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Full text of "Cinquanta anni di storia italiana;"

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CINQUANTA  ANNI 


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STORIA  ITALI 


PUBBLICAZIONE   PATTA   SOTTO   GLI  AUSPICH   DEL   GOVERNO 
PER  CURA  DELLA  R.  ACCADEMIA    DEI  LINCEI 


VOL.    I. 


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1 


ULBICO  HOBPLI 

BDITOBB-LIBBAIO  DELLA  BBAL  CASA 
S  DSLLA  B.  AOGADRUIA  OBI  LINOBI 

MILANO 

1911 


EOMA 

TIPOGRAFIA  DELLA    R.   ACCADEMIA   DEI   LINCEI 

PBOPRIBTÀ   DEL   GAY.   VINCENZO  SALTIUCCI 


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INDICE 


DELLE  MONOGRAFIE  CONTENUTE  IN  QUESTO  VOLUME 


I.  Blasbrna  Pietro.  Introduzione. 

II.  Db  Gbsare  Bafifaele.  Sommario  di  storia  politica  e  amministrativa 

d'Italia  (1861-1910). 

III.  Benini  Rodolfo.  La  demografia  italiana  neWultimo  cinquantennio. 

IV.  Celoria  Giovanni.  -  Gliamas  Ernesto.   Triangolazione  geodetica  e 

cartografia  ufficiale  del  Regno. 

V.  Ferraris  Carlo  F.  Ferrovie. 

VI.  Majorana  Quirino.  Posta,  Telegrafo,   Telefono. 

VII.  Colombo  Giuseppe.  Trasporto  delCenergia. 

Vili.  EoERNBR  Guglielmo.  L'industria  chimica  in  Italia  nel  cinquantennio 

(1861-1910). 

IX.  Baldacgi  Luigi.  La  Carta  geologica  d'Italia. 

X.  Bava  Bbccaris  Fiorenzo.  Esercito  italiano,  sue  origini,  suo  succes- 

sivo ampliamento,  stato  attuale  (con  una  tavola). 

XI.  Bozzoni  Gustavo.  Marina  militare  e  costruzioni  navali. 

XII.  Roncagli  Giovanni.  L'industria  dei  trasporti  marittimi. 

XIII.  MiLLosEviCH  Elia.  Le  principali  esplorazioni  geografiche  italiane 

nell'ultimo  cinquantennio. 


INTRODUZIONE 


In  data  primo  dicembre  1909,  l'on.  Paolo  Carcano,  ministro  del  tesoro  nel 
Gabinetto  presieduto  dall'on.  Giolitti,  pubblicava  un  opuscolo  :  Sulle  condi- 
zioni della  finanza  e  della  economia  pubblica  in  Italia.  La  pubblicazione 
era  corredata  da  una  serie  di  diligentissime  indagini  d'indole  finanziaria  e 
statistica,  che  indussero  Tautore  a  trarne  le  seguenti  conclusioni: 

«  Abbiamo  notato  gli  indici  più  significanti  della  vita  economica  nazio- 
«  naie  ;  e  abbiamo  voluto  stendere  lo  sguardo  anche  alle  condizioni  del  mer- 
«  cato  mondiale  e  a  quelle  deireconomia  pubblica  nei  paesi  più  ricchi.  E  dal 
«  tutto  insieme  degli  elementi  raccolti  parmi  consentito  di  considerare  con 
«  fiducia  il  prossimo  avvenire,  e  di  prevedere  un  nuovo  sensibile  miglioramento 
«  nelle  condizioni  generali  del  paese  nostro. 

«  Il  quale  non  è  tanto  ricco  come  i  superficiali  e  gli  allori  vorrebbero  ; 
«  ma  non  è  nemmeno  così  misero  come,  ad  ogni  stormir  dì  fronda,  sussurrano 
«  i  piagnoni.  Il  paese  lavora  e  studia.  E  poiché  i  primi  passi  sono  sempre  i 
«  più  diflBcili,  dal  cammino  percorso  in  non  lungo  periodo  di  tempo  è  lecito  di 
ft  trarre  i  migliori  auspicii  per  l'avvenire. 

ft  I  ricordi  del  passato  incuorano  e  spronano  al  meglio.  E  giustamente 
ft  r  Italia  sta  apprestandosi,  in  vari  modi,  a  celebrare  degnamente  il  pros- 
«  Simo  giubileo  della  sua  unità  con  la  eroica  e  popolare  dinastia  di  Savoia, 
«  quale  fu  proclamata,  il  4  maggio  1860,  nel  salpare  dallo  scoglio  di  Quarto. 

«  Sia  per  omaggio  agli  uomini  sommi  e  alla  plejade  di  martiri  che  furono 
«  i  fattori  della  redenzione  della  Patria,  sia  per  ammaestramento  delle  nuove 
«  generazioni,  sorge  oggi  spontaneo  il  voto  che,  in  occasione  così  propizia, 


PIETRO   BLASBRNA 


«  venga  pubblicata,  a  spesa  e  con  largo  premio  dello  Stato,  un'opera  che 
«  esponga  quali  progressi  abbia  fatto  nel  cinquantenario  la  nostra  Italia,  in 
«  ogni  campo  deirumana  attività.  Venga  qui  messo  in  piena  luce  il  cam- 
K  mino  percorso  fin  qui,  e  si  additi  quello  da  percorrere,  per  il  buon  governo 
•  della  finanza,  come  per  la  diffusione  e  V intensificazione  della  coltura;  per 
«  eccitare  ogni  sorta  di  produzione  intellettuale,  come  per  migliorare  sotto 
«  qualsiasi  aspetto  la  condizione  del  popolo;  per  la  elevazione  morale  di 
«  ogni  classe  di  cittadini,  come  per  l'agguerrimento  a  fine  di  vittoria  nelle 
«  lotte  della  concorrenza;  e,  in  fine,  per  lo  sviluppo  della  vita  economica 
«  nazionale  «. 

Sin  qui  Ton.  Garcano.  Ritirandosi,  pochi  giorni  dopo,  col  Ministero  a 
cui  apparteneva,  egli  mi  fece  Tenore  di  rivolgersi  a  me,  nella  mia  qualità  di 
Presidente  della  fi.  Accademia  dei  Lincei,  perchè  assumessi  la  direzione  di 
questo  importante  e  patriottico  lavoro.  Il  programma  del  ministro  era  lar- 
ghissimo: esso  abbracciava  tutte  le  manifestazioni  intellettuali  dello  spirito 
umano  ed  i  progressi  compiuti  in  tutte  le  imprese  che,  quale  più  quale  meno, 
rivestono  carattere  economico. 


IL 


Ma  quando  questo  patriottico  disegno  venne  concepito,  era  troppo  tardi 
perchè  potesse  essere  attuato  in  tempo  utile.  L*  idea  di  restrìngerlo  s  impo- 
neva, anche  quando  si  facesse,  come  io  facevo,  largo  assegnamento  sull'at- 
tività degli  nomini  preclari,  che  sarebbero  stati  chiamati  ad  elaborare  i 
singoli  capitoli,  in  ragione  della  loro  riconosciuta  competenza. 

Qui  il  programma  si  scinde,  in  modo  naturale,  in  due  parti  ben  distinte, 
che  hanno  tendenze  e  comportamenti  molto  diversi:  scienza  pura,  scienza 
applicata. 

La  prima,  la  scienza  pura,  ha  carattere  internazionale,  anzi  universale. 
Una  verità  scoperta  da  chiccliessia  ed  ovunque,  conserva  tutto  il  suo  valore, 
qualunque  sia  il  fortunato  scopritore,  qualunque  sia  il  paese  da  cui  emana, 
qualunque  sia  la  data  in  cui  fu  conosciuta.  La  grande  legge  deirattrazione  uni- 
versale è  bensì  un  titolo  di  gloria  per  Isacco  Newton  e  per  tutta  quanta 
l'Inghilterra;  ma  essa  conserverebbe  inalterato  il  suo  valore,   anche  se  la 


INTRODUZIONE 


gloria  di  tale  scoperta  spettasse  ali*  Italia  od  al  Giappone.  Per  chi  contempli 
serenamente  lo  svolgimento  storico  di  una  grande  idea,  risulta  chiaramente 
che  tale  svolgimento  segue  vie  bizzarre,  salta  da  un  paese  allaltro,  in  modo 
da  non  appartenere  esclusivamente  ad  un  paese  solo,  ma  bensì  a  tutti  quelli 
che  vi  hanno  collaborato.  Per  convincersene,  basta  compulsare  la  corrìspon- 
denza  di  scienziati  insigni,  che  vissero  nei  secoli  scorsi,  quando  non  esistevano 
ancora  i  giornali  scientifici.  Questi  eminenti  cultori  sentivano  il  bisogno  di 
rivolgersi  ai  collabi  di  altri  paesi,  comunicando  i  propri  pensieri  ed  entrando 
con  essi  in  un  proficuo  scambio  d'idee.  Però  che  uno  scienziato  che  coltivi 
una  data  scienza,  si  sente  assai  più  vicino  ai  cultori  della  stessa  scienza, 
anche  se  stranieri,  anziché  ai  cultori  compaesani  di  scienza  diversa.  Coi  primi 
egli  parla  il  medesimo  linguaggio  :  coi  secondi,  egli  lo  deve  mutare  e  corre 
rischio  di  non  intendersi.  La  scienza  pura  vola  come  aquila  e  non  conosce 
nò  limitazioni  di  frontiera,  nò  tariffe  doganali  e  differenziali. 

Consegue  da  ciò,  che  la  storia  della  scienza  pura  non  potrebbe  scriversi 
per  un  paese  solo.  Essa  deve  conservare  il  suo  carattere  universale,  e  nel  suo 
svolgimento  figurano  nomi  stranieri  assieme  coi  nazionali.  Pongo,  di  proposito, 
gli  stranieri  avanti  ai  nazionali,  non  per  mancanza  di  quella  giusta  estima- 
zione che  i  nostri  scienziati  meritano  ed  incontrano  ovunque,  ma  perchò  gli 
stranieri,  nel  loro  insieme,  costituiscono  un  blocco,  contro  il  quale  una  nazione 
isolata  non  potrebbe  lottare,  qualunque  essa  sia. 

Per  dare  una  idea  del  modo  in  cui  Talta  coltura  si  ripartisca  nel  mondo, 
vogliamo  esprimerla,  nel  suo  insieme,  con  12.  Allora,  per  chi  bene  esamini  la 
cosa,  la  ripartizione  non  potrebbe  essere,  secondo  noi,  diversa  dalia  seguente: 

Paesi  dì  lingua  inglese 3 

«  »         tedesca 3 

"  »         francese 2 

"  »         italiana 1 

»  »         russa 1* 

Paesi  minori,  di  altre  lingue  ....  2 


Totale    ...    12 


Da  questa  breve  tabella  sintetica  emerge  che  anche  le  lingue  più  forti, 
come  la  inglese  e  la  tedesca,  non  rappresentano,  ciascuna,  più  di  un  quarto 


6 


PIETRO   BLASEIINA 


nella  totalità  della  coltura  universale.  Parlare,  al  giorno  d'oggi,  di  scienza 
nazionale,  è  un*  idea  antiquata,  atta  a  creare  ed  a  mantenere  perniciose  il- 
lusioni. Ogni  paese  deve  cercare  di  coltivare  la  scienza  con  la  maggiore  pos- 
sibile energia,  a  fine  di  ottenere  nella  ripartizione  un  fattore  di  proporzionalità 
di  più  in  più  favorevole  ;  ma  1*  ignorare  ciò  che  fanno  gli  altri,  produrrebbe 
una  inevitabile  e  poco  gloriosa  decadenza. 

Una  storia,  necessariamente  sintetica,  della  scienza  pura,  costituirebbe 
un  lavoro  enorme,  da  oltrepassare  le  forze  di  una  singola  Accademia.  Avrei 
potuto  limitarla  ad  ima  o  ad  altra  scienza,  nella  quale  T  Italia  principal- 
mente si  distingue.  Ma  sarebbe  stato  difBcile  arrestarsi  lì,  senza  urtare  contro 
giuste  suscettibilità.  La  storia  della  scienza  si  farà,  forse,  in  più  o  meno 
lontano  avvenire,  e  probabilmente  per  capitoli  staccati  e  con  limitazione  di 
date  differenti.  Essa  non  avrebbe,  dunque,  potuto  figurare  in  una  pubblica- 
zione, che  ha  più  carattere  nazionale  che  universale,  e  più  popolare  che 
tecnico. 


III. 


Il  comportamento  della  scienza  applicata  è  alquanto  diverso.  Per  fare 
della  scienza  applicata,  occorrono  due  cose:  la  scienza, 'e  quel  talento  speciale, 
che  pochi  hanno,  di  adattarla  ad  un  caso  speciale,  di  scendere  in  tale  adatta- 
mento fino  ai  più  minuti  particolari,  senza  perdere  però  la  vista  delle  grandi 
linee,  che  sono  tracciate  dalla  scienza  pura.  Nel  nostro  paese  esistono  in  pro- 
posito strane  idee  :  si  vorrebbe  contrappoiTe  la  pratica  alla  teoria,  come  due 
cose  che  si  escludono  a  vicenda,  ostentando  per  quest'ultima  e  per  i  suoi 
cultori  poco  men  che  disprezzo.  Si  dice  che  gli  scienziati  non  imbroccano  mai 
una  vera  applicazione  ;  e  ciò  può  essere  anche  vero,  almeno  in  moltissimi  casi. 
Ma  una  applicazione  non  è  mai  possibile,  se  la  scienza  non  ha  prima  pre- 
parato il  terreno. 

Noi  ammiriamo,  e  con  piacere,  V  invenzione  di  Guglielmo  Marconi,  al 
quale  l'umanità  deve  una  delle  più  brillanti  applicazioni,  quella  del  tele- 
grafo senza  fili.  Ma  se  Marconi  fosse  nato  trenta  anni  addietro,  la  sua  inven- 
zione non  sarebbe  stata  possibile.  Era  necessario  che  prima  venisse  Maxwell 
a  porre,  con  grande  audacia,  una  nuova  teoria  sulla  natura  deirelettricità  ; 


INTRODUZIONE 


era  necessario  che  Hertz  le  desse  una  larga  base  sperimentale  e  studiasse  le 
proprietà  delle  onde  dette  hertziane  ;  era,  infine,  necessaria  quella  plejade  di 
sperimentatori  insigni,  che  in  breye  tempo  percorsero  tutto  il  nuovo  campo, 
togliendo  i  dubbi  e  rimovendo  gli  ostacoli  che  la  novella  teoria  aveva  incon- 
trato. E  così  Marconi  trovò  tutti  i  materiali  occon-enti,  perchè  la  brillante 
sua  idea  potesse  tradursi  in  atto. 

Il  paese  non  sa  queste  cose,  nò  può  tutte  saperle:  egli  vede  soltanto 
r ultimo  efTetto  e  vi  applaude.  Ma  quelli  che  negano  l'importanza  della 
scienza  pura,  fanno  come  il  bambino  che  crede  di  dover  tutto  a  se  stesso, 
se  egli  cammina  e  se  parla.  Egli  dimentica  quanto  deve  a  sua  madre,  la 
quale,  dopo  averlo  messo  al  mondo,  lo  ha  allevato  con  infinita  cura  e  lo  ha 
protetto  contro  i  pericoli  che  ad  ogni  pie'  sospinto  minacciavano  lo  sviluppo 
e  la  giovane  esistenza  di  lui! 

Ma  nelle  applicazioni  della  scienza  entra  un  elemento  locale,  senza  il 
quale  l'applicazione  stessa  riesce  impossibile.  Un  esempio  spiegherà  la  cosa. 
Se  per  V  impianto  di  una  data  industria  occorre  un  motore,  ove  questo  motore 
manchi,  l' impianto  viene  anche  esso  a  mancare.  Si  presenta  quindi  la  neces- 
sità di  uno  studio  particolareggiato,  per  vedere  se  e  in  quali  condizioni  quel 
motore  potrebbe  esser  procurato.  È  questo  uno  studio  che  riveste  carattere 
locale  ed  economico.  Ne  segue  che  il  fiorire  di  una  data  industria  in  un  dato 
luogo  non  è  soltanto  da  ascriversi  a  merito  degli  uomini  che  I*  hanno  esco- 
gitata, ma  dipende  anche  dalle  condizioni  locali,  che  ne  hanno  più  o  meno 
agevolato  l'impianto. 

La  scieaza  applicata  presenta  quindi  da  un  lato  carattere  generale,  ma 
riveste  dall'altro  lato  carattere  locale,  senza  di  cui  non  potrebbe  nò  svol- 
gersi, nò  maturare.  E  questo  carattere  non  è  insito  alla  scienza  pura.  Uno 
studio  sulle  condizioni  attuali  dell'Italia,  messe  a  confronto  con  quelle  del 
cinquantennio  precedente,  deve  quindi  rivolgersi  di  preferenza  alle  scienze 
applicate;  perchè  interessa  vedere,  se  e  fino  a  qual  punto  T Italia  abbia 
voluto  e  saputo  approfittare  delle  sue  condizioni  locali,  per  crearsi  una  solida 
vita  industriale,  posandola  sopra  larga  base  economica. 


8 


PIETRO   BLASERNA 


IV. 

La  Beale  Accademia  dei  Lincei  ha  il  vanto  di  essere  la  più  antica  Ac- 
cademia del  mondo.  Essa  fu  fondata  nel  l'608  dal  principe  Federico  Cesi, 
insieme  con  Francesco  Stellutì,  Giovanni  Eckio  e  Anastasio  de  Filiis,  i  quali 
al  17  agosto  di  quell'anno  sottoscrissero  il  patto  scientifico,  con  un  largo 
sentimento  di  modernità  che  da  tutte  parti  prorompeva  coirapplicazione  del 
metodo  sperimentale,  di  cui  il  Galileo  era  il  grande  creatore.  La  nuova  So- 
cietà acquistò  nome  pochi  anni  dopo,  nel  1609.  Nel  1611  si  onorò  del  nome 
di  Galileo,  di  cui  pubblicò  nel  1613  la  lettera  sulle  Macchie  solari,  e  nel 
1622  il  Saggiatore.  Nel  1624  furono  compilate  le  Praescriptiones  Lynceae, 
che  sono  il  primo  Statuto  della  nuova  Accademia,  interamente  dedita  alle 
prescrizioni  sperimentali,  non  negleciis  interim  amoeniorum  musarum  et 
pMlologiae  ornamentisi 

Dell'Accademia,  Federico  Cesi  fu  non  solo  il  mecenate,  ma  anche  uno 
dei  più  efficaci  e  provetti  collaboi-atori.  Era  botanico  di  larghe  vedute.  Egli 
riconobbe  la  necessità  di  una  classificazione  delle  piante;  e  riconobbe,  di 
più,  che  tale  classificazione  doveva  &rsi,  non  sopra  una  proprietà  soltanto,  ma 
sull'insieme  delle  proprietà  di  esse;  egli  riconobbe  infine  che  il  tipo  e  la 
specie  potevano  variare  a  seconda  delle  condizioni  dell'ambiente  esterno,  in 
cui  la  pianta  era  collocata.  Divenne  così  il  precursore  di  Linneo,  di  Jossieu 
e  di  De  CandoUe,  e,  infine,  di  Carlo  Darwin  ;  triplice  gloria,  che  sorprende 
quando  si  pensi  al  tempo  in  cui  quelle  idee  erano  state  svolte. 

Ma  i  tempi  e  la  città  non  erano  propizi  alla  libera  ricerca.  L'Acca- 
demia, aveva  nel  suo  seno  quel  Galileo,  il  quale  già  nel  1618  ebbe  a  dire, 
che  la  teologia  doveva  cercare  di  accordarsi  coi  risultati  delle  scienze  speri- 
mentali. Morto  il  Cesi  nel  1680,  le  reliquie  dell* Accademia  fmono  raccolte 
da  Cassiano  Dal  Pozzo,  il  quale  (come  scrive  un  suo  contemporaneo),  «  acco- 
gliendo senza  alcun  riguardo  di  spesa,  nel  suo  museo,  le  memorie  e  gli  scritti, 
e  nel  suo  cuore  i  disegni  e  i  pensieri  di  cosi  dotta  adunanza,  prorogò  ad 
essa,  che  già  languiva,  pietosamente  la  vita  « .  Cessò  colla  pubblicazione  del 
Tesoro  Messicano^  compiuta  nel  1651. 

Nel  1801  TAccademia  fisico-matematica,  istituita  qualche  anno  prima, 
per  opera  dell'abate  Feliziano  Scarpellini,  assunse  il  nome  di  Accademia  dei 


INTRODUZIONE 


Nwvi  Lincei,  e  nel  1804  prese  semplicemente  il  titolo  di  Lincei  in  ricordo 
deir antica  Accademia  romana,  esistita  due  secoli  prima.  Nel  1813  fu  pub* 
blicato  il  Linceografo,  orna  le  dodici  Tavole  delle  preserimni  dell' Acca" 
demia  dei  Lincei.  L'Accademia,  specialmente  per  opera  dello  Scarpellini, 
fiorì  fino  al  1840,  anno  in  cui  av^renne  la  morte  di  questo  benemerito  rein- 
tegratore. Fu  chiusa  per  ordine  del  papa  Gregorio  XVI;  ma  nel  1847  Pio  IX 
la  riapri,  e  le  diede  uu  nuovo  Statuto,  chiamandola  Accademia  Ponlificia  dei 
Nuovi  Lincei. 

Nel  1870,  quando  Roma  fu  unita  al  Regno  d*  Italia  divenendone  la 
Capitale,  l'Accademia  passò  sotto  la  protezione  del  Governo  italiano,  col  nome 
di  Beale  Accademia  dei  Lincei.  Nel  1878  Ton.  Quintino  Sella,  eletto  Pre- 
sidente, ne  iniziò  una  vera  e  grande  riforma.  Alla  classe  di  scienze  fisiche 
matematiche  e  naturali,  fu  aggiunta  una  nuova  classe,  quella  di  scienze 
morali  storiche  e  filologiche,  con  decreto  del  1875.  In  pari  tempo  fu  aumen- 
tata notevolmente  la  dotazione  dell'Accademia,  dotazione  che,  con  disposi- 
zioni successive,  venne,  nel  1880,  portata  ad  annue  lire  100  mila. 

Nel  1880,  il  Re  Umberto,  appena  succeduto  al  grande  suo  padre  Vit- 
torio Emanuele  III,  istituì  due  premi  reali,  di  lire  10.000  ciascuno,  da  di- 
stribuirsi annualmente  dalle  due  classi  accademiche  ai  migliori  lavori,  merco 
il  concorso.  Dopo  la  luttuosa  morte  di  Re  Umberto,  questi  premi  furono 
confermati  e  resi  perpetui  con  sovrano  rescritto  dal  Re  Vittorio  Ema- 
nuele III. 

Sempre  per  opera  di  Quintino  Sella,  nel  1883,  il  Governo,  in  conformità 
di  una  legge  votata  dal  Parlamento,  acquistò  ed  assegnò  ali* Accademia  per 
propria  sede  il  palazzo  Corsini  ;  ed  in  questa  occasione  il  principe  Corsini  le 
fece  dono  della  insigne  libreria  e  della  celebre  collezione  di  stampe,  raccolte 
e  custodite  nel  suo  palazzo.  Nello  stesso  anno  la  R.  Accademia  riformò  ed 
ampliò  il  suo  statuto,  ripartendo  i  soci  delle  due  classi  per  categorie  ed  anche 
per  sezioni,  allo  scopo  di  meglio  assicurare  un  eguale  trattamento  per  le  diverse 
scienze.  Alla  classe  di  scienze  fisiche  matematiche  e  naturali  furono  asse- 
gnati 55  posti  per  Soci  nazionali,  55  posti  per  Corrispondenti  e  110  posti 
per  Soci  stranieri  ;  a  quella  di  scienze  morali  storiche  e  filologiche,  45  posti 
di  Soci  nazionali,  45  di  Corrispondenti  e  45  di  Soci  stranieri. 

Dopo  la  dolorosa  perdita  di  Quintino  Sella,  TAccademia,  riconosciuta  na- 
zionale ed  autonoma,  attribuì  al  Sella  il  carattei-e  di  Presidente  Fondatore 


10  PIETRO   BLASERNA 


6  modificò  le  norme  delle  proprie  elezioni,  al  fine  di  sempre  più  assicurare 
airAccademia  il  carattere  nazionale. 

Nel  giorno  16  dicembre  1884  essa  tenne  la  prima  adunanza  nella  nnova 
sua  sede  al  palazzo  Corsini. 


V. 


Mercè  Tiniziativa  potente  di  Quintino  Sella,  secondata  da  quella  dei 
suoi  successori,  TAccademia  ha  intrapreso  una  serie  di  pubblicazioni  di  alto 
valore.  Noi  crediamo  che  sia  il  momento  di  abbracciare  in  uno  sguardo 
sintetico  tutta  quanta  l'attività  deirAccademia  in  questo  ramo  tanto  impor- 
tante della  sua  vita. 

La  prima  serie  contiene  gli  Atti  dell* antica  Accademia  pontificia.  Sono 
23  volumi  che  formano  un  insieme  interessante.  Ne  fanno  parte  poi  3  vo- 
lumi (voli.  XXIV,  XXV,  XXVI)  compilati  già  dall'Accademia  divenuta  Beale. 

La  seconda  serie  sente  già  Tinflusso  dell'opera  riformatrice  iniziata  da 
Quintino  Sella;  gli  otto  volumi  che  la  compongono,  contengono  la  separa- 
zione degli  Atti  nelle  tre  parti  sostanziali  :  Transunti^  che  si  chiamarono  poi 
Rendiconti;  Memorie  della  Classe  di  scienze  fisiche,  matematiche  e  na- 
turali; e  infine  le  Memorie  della  Classe  di  scienze  morali,  storiche  e  filo- 
logiche. 

La  terza  serie  abbraccia  gli  anni  1876-1884  e  contiene:  8  volumi  di 
Transunti^  19  volumi  di  Memorie  della  Classe  di  scienze  fisiche  matema- 
tiche e  naturali,  e  13  volumi  di  Memorie  della  Classe  di  scienze  morali 
storiche  e  filologiche. 

La  quarta  sene  va  dall'anno  1884  fino  all'anno  1891.  Essa  contiene: 
7  volumi  di  Rendiconti*,  7  volumi  di  Memorie  della  Classe  di  scienze 
fisiche,  matematiche  e  naturali  \  10  volumi  di  Memorie  della  Classe  di 
scienze  morali,  storiche  e  filologiche. 

La  quinta  serie,  infine,  comprende  gli  anni  1892-1910.  In  essa  si  tro- 
vano: 19  volumi  di  Rendiconti  della  Classe  di  scienze  fisiche,  matematiche 
e  naturali,  e  19  volumi  di  Rendiconti  della  Classe  di  scienze  morali,  sto- 
riche e  filologiche',  8  volumi  di  Memorie  della  prima,  12  volumi  di  Me- 
morie della  seconda  Classe.  In  questa  sene,  che  arriva  fino  agli  or  volgenti 


INTRODUZIONE  11 


giorni  e  non  è  ancora  chiusa,  stanno  nettamente  separate  tutte  le  pubblicazioni 
d'indole  morale  da  quelle  d'indole  fisica.  La  giovane  Classe  di  scienze  mo- 
rali storiche  e  filologiche,  dopo  pochi  anni  di  vita,  è  giunta  ad  ottenere, 
anche  per  le  sue  pubblicazioni,  una  completa  autonomia.  Tenendo  conto  delVin- 
dole  diversa  delle  sue  pubblicazioni,  essa  ha  potuto  per  queste  stabilire  norme 
diverse  da  quella  della  Classe  di  scienze  fisiche  matematiche  e  naturali. 

Sono  in  tutto  156  volumi,  che  costituiscono  un  importante  contributo 
al  progresso  mondiale  della  scienza,  e  che  dimostrano  una  rigogliosa  vita 
scientifica  nel  nostro  paese.  E  non  pertanto,  l'enumerazione  delle  nostre  pub- 
blicazioni non  è  completa.  Quelle  che  abbiamo  citato,  costituiscono  soltanto 
la  parte  normale  e  ordinaria  delle  nostre  pubblicazioni;  ma  ve  ne  sono  altre 
ancora,  di  molta  importanza,  che  nou  si  devono  preterire.  Sono  le  seguenti: 

a)  Pianta  di  Aoma  antica. 

b)  Codice  Atlantico  di  Leonardo  da  Vinci. 
e)  Notizie  degli  Scavi. 

d)  Monumenti  antichi. 

e)  Papiri  greci. 

La  prima  di  queste  pubblicazioni,  quella  della  Pianta  di  Roma  antica, 
preparata  dal  Socio  Lanciani,  ò  compiuta  da  tempo.  Lo  stesso  sì  dica  del 
monumentale  Codice  Atlantico^  che  è  completamente  finito,  meno  il  grande 
indice  ragionato,  intorno  al  quale  si  lavora  ancora,  e  che  sarà  presto  ultimato. 

Le  Notizie  degli  Scavi,  che  prima  si  pubblicavano  unite  alle  Memorie 
della  Classe  di  scienze  morali  storiche  e  filologiche,  ora,  da  sette  anni,  si 
pubblicano  separatamente,  in  fascicoli  mensili,  in  seguito  ad  una  conven-* 
zione  intervenuta  fra  la  Direzione  Generale  di  Antichità  e  Belle  x\rti  e 
l'Accademia,  mercè  l'opera  di  una  benemerita  Commissione  nominata  di  co- 
mune accordo.  Esse,  come  dice  il  loro  nome,  portano  regolarmente  le  notizie 
degli  scavi,  che  il  Ministero  della  pubblica  istruzione  fa  eseguire  in  ogni 
parte  d'Italia;  notizie  obbiettive,  di  pura  descrizione,  lasciando  ai  numerosi 
cultori  la  libertà  di  foimulare  le  loro  opinioni  e  le  loro  ipotesi  sul  significato 

e  sulla  portata  delle  singole  scoperte,  fatte  in  questo  che  è  il  più  importante 
e  più  grandioso  osservatorio  archeologico  del  mondo. 

La  pubblicazione  dei  Monumenti  antichi  si  è  iniziata,  si  ò  svolta  e 
disciplinata  successivamente,  ed  è  ora  al  XXI  volume. 

Finalmente,  i  Papiri  greci  sono  ora  al  li  volume. 


12  PIETRO   BLASERNA 


Dairin8ieme  di  queste  pubblicazioni  chiaramente  è  dimostrata  la  grande 
atti?ità  del  nostro  paese  in  tutti  i  rami  della  scienza.  Ma  TAccademia  dei 
Lincei,  mentre  chiede,  e  con  diritto,  che  si  riconosca  la  grande  parte  che  essa 
ha  avuto  nel  promuovere,  nell'incoraggiare  e  nel  dirìgere  tale  attività,  è 
aliena  dal  volersene  attribuire  il  merito  esclusivo.  Al  contrario,  essa  è  lieta 
nel  riconoscere  la  notevole  parto  che  vi  hanno  preso  e  vi  prendono  le  altre 
Accademie  e  Società  scientifiche  italiane.  La  Società  italiana  delle  scienze, 
detta  dei  XL;  la  R.  Accademia  di  Torino;  V Istituto  Lombardo  di  scienze 
lettere  ed  arti;  Y  Istituto  Veneto^  pure  di  scie  me  lettere  ed  arti;  V  Acca- 
demia di  Bologna;  Y Accademia  della  Crusca  e  la  Società  dei  Georgofili, 
di  Firenze;  Y Accademia  di  scienze^  lettere  ed  arti^  di  Napoli;  V Acca- 
demia di  Palermo  e  la  Società  d' Incoraggiamento  di  Palermo^  e  molte 
altre  minori,  hanno  raccolto  e  raccolgono  molto  materiale  scientifico,  il  quale 
va  accumulandosi  intomo  alla  sorella  maggiore.  Fra  tutte  queste  devesi 
annoverare  in  modo  speciale  la  Società  italiana  per  il  progresso  delle 
scienze,  che  in  pochi  anni  ha  già  preso  un  posto  assai  promettente  per  la 
vita  scientifica  del  nostro  paese. 

Tutte  queste  Accademie,  Istituti  e  Società  si  aggruppano  intorno  alla 
B.  Accademia  dei  Lincei  ;  e  come  le  principali  Accademie  del  mondo  si  sono 
associate,  per  mettere  in  comune  la  loro  competenza  ed  i  loro  mezzi  finan- 
ziari, e  per  rendere  così  possibili  certi  lavori  che  trascendono  la  potenzialità  di 
una  singola  Accademia,  giova  sperare  e  desiderare  che  le  principali  fra  le 
Accademie  nostre  stringeranno  vieppiù  i  vincoli  colla  loro  sorella  maggiore, 
per  riunire  i  loro  sforzi  in  un  programma  comune  di  scienza  e  di  lavoro. 


VL 


In  tale  condizione  di  cose  si  trovavano  il  paese  scientifico  e  l'Acca- 
demia dei  Lincei,  quando  mi  pervenne  Tinvito  deiron.  Carcano,  di  mettermi 
alla  testa  della  pubblicazione  patriottica  da  lui  meditata.  L*accolsi  con 
piacere  ed  ho  già  esposto  le  idee  che  mi  animavano  in  tale  riguardo.  11  mìo 
desiderio  era  ed  ò  quello,  di  presentare  al  paese,  in  forma  semplice  ed  acces- 
sibile a  molti,  una  serie  di  monografie,  affidate  a  quelle  persone,  scelte  fra  le 
più  competenti,  che  volessero  e  potessero  in  breve  tempo  assumersi  Tinte- 


INTRODUZIONE  13 


ressante  e  non  facile  lavoro.  Con  tale  concetto,  e  coiraiuto  di  molti  amici 
e  colleghi,  elaborai  le  segaenti  norme  che  inviavo  a  tatti  gli  autori,  chie- 
dendo la  loro  opera  : 


Roma,  8  febbraio  1910, 

Norme  e  considerazioiii  generali. 

Sotto  Talto  patronato  del  Rk,  cogli  aaspicii  del  GoTcmo  e  per  cura  deirAceademia, 
sarà  pubblicata,  nei  primi  mesi  delPanno  venturo  1911,  un'opera  in  tre  Yolnmi,  contenente, 
in  25  relaiioni  speciali  airincirca,  la  storia  dei  progressi  raggiunti  dal  Governo  Kaslo- 
naie,  nelle  principali  manifestazioni  della  vita  pubblica,  dalla  proclamazione  del  Regno 
d'Italia  fino  ad  oggi. 

È,  e  deve  essere,  una  pubblicazione  a  volo  d'uccello.  Quali  erano  le  condizioni  del 
nostro  paese  nel  1861,  qnkndo  varie  sue  parti  si  riunirono  a  formare  il  Regno  d'Italia; 
e  quali  sono  le  sue  condizioni  al  giorno  d'oggi,  rispetto  ai  singoli  argomenti  trattati 
nelle  25  relazioni  sopra  accennata? 

Ciascuna  delle  relazioni  non  può  eccedere  50  pagine  del  formato  grande  ottavo,  pre- 
scelto per  i  «  Rendiconti  della  Classe  di  scienze  matematiche,  fisiche  e  naturali  ». 

Poche  cifre,  poche  statistiche,  pochi  nomi  tranne  i  primissimi,  linguaggio  sereno 
e  obbiettivo.  Nessuno,  forse,  saprebbe  ancora  ricordare  tutti  i  ministeri  che  si  sono  suc- 
ceduti ;  ciò  che  importa  conoscere  è  quel  che  essi  han  lasciato  di  definitivo  o  di  concreto. 

La  presente  opera  non  può  contemplare  i  progressi  conseguiti  dal  giovane  Regno 
nella  scienza  pura.  Basta  percorrere  le  molte  pubblicazioni  dell'Accademia  ed  altre  ancora, 
per  comprendere  quanto  i  limiti  presenti  dovrebbero  estendersi  e  come  il  tempo  verrebbe 
a  mancare.  Un  rendiconto  sull'andamento  delle  scienze  pure  assumerebbe  un  carattere 
essenzialmente  tecnico,  contrario  alla  presente  opera,  destinata  ad  un  grande  pubblico, 
che  sia  in  grado  di  apprezzare  le  importanti  applicazioni. 

Perchè  quest'opera  possa  presentarsi  alla  festa  commemorativa  del  1911,  è  indispen- 
sabile che,  entro  il  mese  di  giugno  o  di  luglio  delVanno  corrente,  le  singole  relazioni, 
pronte  per  la  stampa,  siano  consegnate  o  inviate  alla  Segreteria  dell'Accademia.  È  pure 
indispensabile  che  le  bozze  siano  rivedute  dagli  autori  colla  maggiore  possibile  solleci- 
tudine. Il  sottoscritto  confida  nel  sentimento  patriottico  degli  autori,  i  quali  vorranno 
considerare  che  il  ritardo  di  uno  di  essi  può  fermare  tutta  quanta  la  pubblicazione. 

Il  Presidente 
P.  BLA8BRNA. 


1^  PIETRO   BLASBRNA 


La  corrispondenza,  come  era  naturale,  fu  lunga,  e  ne  uscì  definitiva* 
mente  il  seguente 


Elenco  dd 


Introdazione Senatore  Blaserna 

1.  2.  Storia  politica  e  amministrativa Senatore  Ds  Cesare 

3.  Movimento  demografico Prof.  Bbnini 

4.  Triangolazione  geodetica  e  carta  topografica     .    .  Senatore  Cbloria 

5.  Bilancio  e  movimento  finanziario Deputato  Gargano 

6.  Ferrovie Deputato  Carlo  Ferraris 

7.  Banche  e  commercio  airestero Comm.  Stringhsr 

8.  Agricoltura,  bestiame  e  foreste Prof.  Valenti 

9.  Poste»  telegrafia  e  telefonia Prof.  Quirino  Majorana 

10.  Trasporti  deireuergia Senatore  Colombo 

li.  Chimica  industriale Piof.  Koerner 

12.  Geologia  e  carta  geologica Ing.  Baldacci 

13.  Organizzazione  militare Senatore  Bava  Beggaris 

14.  Marina  militare  e  costruzioni  navali Senatore  Masdka  (*) 

15.  Marina  mercantile Comandante  Eonoagli 

16.  Geografia  e  viaggi Prof.  Milloseyich 

17.  Preistoria Prof.  Pigorini 

18.  Archeologia Prof.  Gatti 

19.  Meteorologia  e  geodinamica Prof.  Palazzo 

20.  Biologia    .    • .  Senatore  Grassi 

21.  Emigrazione Prof.  Coletti 

22.  Colonie Colonnello  Ademollo 

23.  Istruzione  pubblica  e  privata Comm.  Masi 

24.  Giurisprudenza  e  codici Prof.  Brugi 

25.  Previdenza Comm.  Besso 

26.  Statistica  criminale Prof.  A  schieri 

27.  Beneficenza  privata  e  pubblica Senatore  Caravaggio 

(')  Il  compianto  Senatore  Masdba  ha  lasciato  ben  preparato  il  suo  lavoro,  cosi  che  si  spera  di  poterlo  pab- 
bllcare,  completandolo  dove  sarA  necessario. 


All'atto  pratico,  questo  programma  non  subì  che  leggiere  varianti.  Al- 
cuni autori  domandarono  di  modificare  un  poco  il  titolo  del  loro  lavoro 
per  indicarne  meglio  il  concetto  e  la  portata.  Altri  mi  spiegarono  Timpos- 


INTRODUZIONE  15 


sibilità,  in  cui  si  trovavano,  di  restringere  entro  le  cinquanta  pagine  pre- 
scritte tutta  quanta  la  materia  ad  essi  aflSdata.  Altri  ancora  domandavano 
dì  rinunziare  al  loro  turno,  allo  scopo  di  guadagnare  così  un  mese  di  tempo 
per  la  redazione  definitiva  della  loro  speciale  relazione.  II  prof.  B.  Grassi, 
infine,  con  un  ardimento  degno  del  vasto  suo  ingegno,  interpretò  la  Biologia 
nel  modo  più  largo,  ed  assunse  il  ponderoso  compito  di  svolgere  da  solo  un 
argomento  che  avrebbe  altrimenti  fornito  materia  di  trattazione  per  tre  e 
più  autori. 

Non  ho  bisogno  di  dire  che  tutti  questi  desideri  furono  da  me  soddisfatti. 
La  grande  opera,  che  per  un  momento  io  credetti  di  poter  restringere  a  due 
soli  volumi,  dovette  necessariamente  comprenderne  tre.  Soltanto,  non  sarebbe 
stato  possibile,  per  varie  ragioni,  di  portare  a  compimento,  nel  termine  pre- 
fisso, anche  il  terzo  volume,  che  sarà  distribuito  con  qualche  ritardo.  Rinun- 
zia!, come  dissi,  all'ordine  stabilito,  lasciando  airindice  di  guidare  il  lettore 
nella  ricerca  degli  autori  e  d^li  argomenti. 

Pure  in  così  breve  tempo.  Topera  ha  dovuto,  purtroppo,  risentire  i  tristi 
effetti  della  morte.  L'ammiraglio  Masdea,  Tinsigne  costruttore  navale,  il 
quale  si  era  assunto  Tincarico  di  scrìvere  sui  progressi  della  marina  militare, 
morì  air  improvviso.  Fortunatamente,  egli  aveva  già  tiacciato  le  grandi  linee 
del  suo  lavoro,  di  modo  che  al  suo  nipote,  Ving.  Bozzoni,  distinto  inge- 
gnere del  Genio  navale,  potè  essere  affidato  il  compito  dì  portare  a  fine  il 
lavoro  iniziato. 


VIL 


Non  voglio  chiudere  questa  breve  introduzione,  senza  richiamare  rat- 
tensione  del  lettore  sul  modo  in  cui  Tesecuzione  dell'opera  fu  assicurata  dal 
Governo.  Ebbi  Tonore  di  esporre  al  Be  il  patriottico  disegno  deiron.  Garoano. 
L'on.  Sennino,  allora  Presidente  del  Consiglio,  ne  comprese  subito  tutta  la 
portata;  egli  riconobbe  la  giustezza  della  norma  fondamentale  dell* Accademia, 
che  ad  ogni  spesa  nuova  si  debba  provvedere  con  una  risorsa  speciale,  e  con 
un  impegno  formale  assicurò  airAccademia  il  fondo  riputato  necessario  e  suflB- 


16  PIBTRO   BLASEBNA  -  INTRODUZIONB 

dente  per  procedere  con  fermezza  nell*  esecuzione  del  non  facile  lavoro.  Questo 
impegno,  preso  dagli  on.  Sennino  e  Salandra,  fu  accolto  con  favore  dall'ono- 
revole  Tedesco,  ministro  del  Tesoro,  il  quale  ha  cercato  in  tutti  i  modi, 
d'accordo  col  ministro  della  Pubblica  istruzione,  on.  Gredàro,  di  rimuovere 
alcune  difficoltà,  dandole  amministrativa,  che  intralciavano  la  esecuzione 
deiropera.  Devo  ad  essi  un  pubblico  ringraziamento,  vivo  e  caldo. 

Ed  è  così,  che,  in  quest'anno,  il  quale  per  natura  sua  abbonda  di  discorsi 
e  di  feste  patriottiche,  ho  Tonore  di  presentare  in  forma  serena  e  sintetica 
un'opera  che  viene  direttamente  dal  paese  che  lavora  e  col  suo  lavoro  assi- 
cura l'assetto  normale  di  questo  Segno,  il  quale,  cinquanta  anni  or  sono, 
pareva  mero  sogno  di  fervidi  patrfoti. 


Roma,  25  mt^gìo  1911. 


Pietro  Blaberna 

Praaidente  d«lU  B.  AoGadoiniA  dei  LinoeL 


SOMMARIO 

DI  STORIA  POLITICA  E  AMMINISTRATIVA  D'ITALIA 

(1861-1910) 


Regno  di  Vittorio  Emanuele  II. 

Il  giorno  18  febbraio  1861,  in  Torino,  nella  nuova  sala  del  palazzo 
Oarìgnano,  destinata  a  raccogliere  in  ottava  legislatura  i  rappresentanti  del 
primo  Parlamento  Nazionale,  il  Re  Vittorio  Emanuele  pronunziò  il  memo- 
rabile discorso,  che,  dopo  mezzo  secolo,  non  si  rilegge  senza  commozione. 
-Quel  discorso,  che  eccitò  salve  ripetute  di  applausi  e  grida  entusiastiche, 
dopo  aver  enumerate  le  nuove  fortune  politiche  e  militari  dltalia,  e  ricor- 
dato il  Capitano  «  che  riemp)  del  suo  nome  le  più  lontane  contrade  » ,  si 
chiuse  con  le  parole  :  «  questi  fatti  hanno  ispirato  alla  Nazione  una  grande 
•  confidenza  nei  propri  destini.  Mi  compiaccio  di  manifestare  al  primo  Par- 
«  lamento  d*  Italia  la  gioia,  che  ne  sente  il  mio  animo  di  Re  e  di  soldato  «. 
Le  parole  di  Vittorio  Emanuele  contenevano  una  fede  ed  un  augurio. 
L'Italia,  nei  momenti  più  difScili  degli  ultimi  cinquantanni,  non  disperò, 
anzi  trasse  dalle  sventure  e  dagli  insuccessi  nuova  forza  per  compiere  la 
sua  unità  politica,  per  rifarsi  via  via  nel  campo  economico,  amministrativo  e 
jnìlitare,  e  divenire,  secondo  Taugurio  di  Vittorio  Emanuele,  guarentigia  di 
-ordine  e  di  pace,  ed  efficace  istrumento  della  civiltà  universale.  In  quel 
febbraio  del  1861,  e  proprio  cinque  giorni  prima  della  seduta  reale,  la  fortezza 
di  Qaeta  capitolò  ;  e  i  Sovrani  di  Napoli,  che  vi  si  erano  chiusi,  sostenendo  un 
lungo  e  coraggioso  assedio,  trovarono  rifugio  a  Roma,  ospiti  del  Pontefice 
Pio  IX,  fino  al  1870.  Non  rimaneva  che  la  cittadella  di  Messina,  la  quale  si 
arrese  il  13  marzo,  vigilia  deiraltra  storica  seduta,  nella  quale  Vittorio 
Emanuele  II  fu  proclamato  Re  d' Italia.  Relatore  di  quel  disegno  di  legge 
fu  il  deputato  Giambattista  Oiorgini,  che  scrisse  una  delle  più  magnifiche 
j>agine  del  nostro  Risorgimento.  Se  della  resa  di  Qaeta  die*  l'annunzio  Vit- 
torio Emanuele  ai  Senatori  e  ai  Deputati,  esprimendo  Taugurìo  che,  con  la 

Baftablb  Db  Cbsarb.  —  Sommarto  di  séon'a  ecc.  1 


RAFFAELE   DE    CESARE 


espugnazione  di  quella  fortezza,  si  chiudeva  per  sempre  la  serie  dolorosa  dei 
nostri  conflitti  civili,  Tannunzio  della  capitolazione  di  Messina  fu  inviato  al 
Governo  dal  generale  Cialdini,  espugnatore  dei  due  ultimi  baluardi  della 
potenza  borbonica  nell*  antico  Regno  di  Napoli.  Delle  varie  Signorie  della 
Penisola  non  rimaneva  che  Roma  con  le  quattro  provincie  rimaste  al  Papa  ; 
e  Venezia  con  quelle  di  sua  più  antica  dominazione. 

Nel  febbraio  del  1861  il  ministero  italiano  era  formato  così:  Cavour, 
presidente  del  Consiglio  e  ministro  degli  esteri  e  della  marina;  Marco  Min- 
ghetti,  déirinternò;  Giambattista  Cassinis,  di  grazia  e  giustizia;  Saverio 
Vegezzi,  delle  finanze;  il  generale  Manfredo  Fanti,  della  guerra;  il  conte 
Terenzio  Mamiani,  deiristruzionefUbaldino  Per  uzzi,  dei  lavori  pubblici; 
Tommaso  Corsi,  deiragricoltui-a  industria  e  commercio.  Un  mese  dopo, 
al  Vegezzi  successe  Pietro  Bastogi  ;  al  Mamiani,  Francesco  De  Sanctis  ;  al 
Corsi,  Giuseppe  Natoli  ;  e  fu  ministro  senza  portafoglio  Vincenzo  Niutta,  pre- 
sidente della  Corte  suprema  di  Napoli. 

Il  ministero  non  subì  altre  modifiche  sino  alla  morte  di  Cavour.  Presi- 
dente del  Senato  fu  nominato  Ruggiero  Settimo,  capo  glorioso  della  rivolu- 
zione siciliana  nel  1848,  ma  che  per  la  gi*ave  età  non  prese  mai  possesso 
dell'altissimo  ufBcio;  e  presidente  della  Camera  venne  eletto,  nella  seduta 
del  7  marzo,  Urbano  Rattazzi,  a  quasi  unanimità  di  suffragi.  La  ottava 
legislatura  subì  posteriormente  alcune  modifiche  nelle  sue  presidenze,  onde 
a  Ruggiero  Settimo,  morto  nel  1863,  successe  il  conte  Federico  Sclopis,  e 
poi  il  barone  Giuseppe  Manno;  e  al  Rattazzi  successero,  via  via,  il  Tecchia 
e  il  Cassinis. 

In  quel  primo  semestre  del  1861,  il  nuovo  Regno  d'Italia  era  stato 
riconosciuto  dalla  sola  Inghilterra:  e  nel  suo  discorso  del  18  febbraio  Vit- 
torio Emanuele  lo  notò  con  viva  compiacenza;  ma  rivelò  pure,  con  nobili 
parole  improntate  di  affetto,  che,  nonostante,  da  parte  della  Francia,  il  rico- 
noscimento non  fosse  ancora  avvenuto,  ciò  non  aveva  alterato  i  sentimenti 
della  gratitudine  italiana  verso  di  essa.  Il  riconoscimento  della  Francia  avvenne 
nel  giugno  successivo,  appena  dopo  la  morte  di  Cavour,  quasi  volesse  Napo- 
leone III  confortare  l'Italia  della  perdita  del  suo  grande  ministro;  e  tornò 
ministro  plenipotenziario  a  Parigi  Costantino  Nigra,  al  quale  l'Imperatore 
aveva  detto  nella  visita  di  congedo  dell'anno  innanzi,  quando  le  relazioni 
diplomatiche  furono  interrotte:  au  revoir,  mori  cher  Nigra.  Gli  altri  rico- 
noscimenti vennero  a  breve  distanza;  e  alla  Francia  seguirono  la  Prussia 
e  la  Russia.  Al  nuovo  Re  di  Prussia  Guglielmo,  fondatore  più  tardi  della 
unità  tedesca,  Vittorio  Emanuele  mandò  un  ambasciatore,  in  segno  di  ono- 
ranza a  lui  e  di  simpatìa  verso  il  suo  Regno;  e  fu  il  generale  Alfonso 
La  Marmerà.  A  Cavour  non  poteva  sfuggire  la  grande  analogia  storica  e 
Tidentità  degl'  ideali  e  degli  interessi  politici  fra  la  nuova  Italia  e  la  Prussia, 


SOMMARIO    DI   STORIA    POLITICA   E   AMMINISTRATIVA    d'iTALIA  8 

predestioata  a  ricostituire  anch*es8ft  l'unità  della  nazione  tedesca.  La  Spagna 
riconobbe  il  Regno  nel  1865;  e  TAustria  dopo  la  guerra  del  1866,  onde  Tex-re 
di  Napoli  seguitò  ad  avere  rappresentanza  diplomatica  presso  le  due  Corti, 
lo  quali,  alla  lor  volta,  furono  rappresentate  in  Roma  presso  il  principe  deca* 
duto,  sino  a  che  il  riconoscimento  non  avvenne.. 

» 

V  Le  condizioni  interne  della  Penisola,  e  singolarmente  del  Mezzogiorno,  ^ 
erano  tanto  gravi,  da  rendere  verosimile  e  temuto  il  pericolo  che  Tunità. po- 
tesse disfì^si.  Pericolo  maggiore  era  il  brigantaggio,  che  aveva  apparenza  pò-  \ 
litica,  ma  in  realtà  era  guerra  di  classe,  ed  effetto  dello  stato  di  abbrutimento 
dei  lavoratori  di  campagna,  e  della  loro  estrema  indigenza.  La  rivoluzione 
aveva  spezzato  quasi  ogni  vincolo  di  gerarchia  sociale  ;  i  suoi  eccessi,  inevi- 
tabili in  ogni  cangiamento  di  governo,  ne  provocavano  altri  ;  e  gli  uni  e  gli 
altri  degeneravano  nel  sangue  e  nella  rapina.  Se  il  brigantaggio  rispondeva  ad 
una  condizione  storica,  esso  ebbe  alcune  cause  straordinarie  che  si  sarebbero 
potute  evitare.  Lo  sbandamento  deiresercito  borbonico,  dopo  le  varie  capi- 
tolazioni, e  singolarmente  dopo  quella  di  Gaeta,  ne  fu  la  cagione  principale, 
onde  in  breve  s'infiltrò  e  affermò  in  tutto  Tantico  Regno,  nel  tempo  stesso  che 
divampavano  le  reazioni,  con  atti  di  ferocia  da  parere  leggendarii.  Il  brigan-  ^ 
taggio,  come  movimento  politico,  era  alimentato  da  Roma,  cioè  dalla  parte  più 
turbolenta  di  quella  larga  emigrazione  di  legittimisti  e  fuorusciti  napoletani, 
nobili  e  borghesi,  militari  ed  ecclesiastici,  che  avevano  accompagnato  la  Corte 
e  ne  invocavano  il  ritorno.  Il  governo  pontificio  e  l'occupazione  militare  fran* 
ceso,  per  fini  e  interessi  diversi,  lasciavano  fare,  mentre  il  governo  italiano  era 
quasi  disarmato,  sia  per  la  scarsità  delle  forze  militari,  e  col  pericolo  che 
r  Austria  potesse  con  qualunque  pretesto  passare  il  Mincio  ;  sia  per  i  riguardi  che 
doveva  imporsi  come  governo  civile  e  parlamentare.  Se  l'apparenza  del  bri*  . 
gantaggio  potè*  parere  politica,  singolarmente  nell'anno  1861,  quando  nell'ex- 
Regno  calavano  avventurieri  a  combattere  per  la  legittimità,  la  sostanza 
ne  fu  essenzialmente  sociale  e  criminosa.  La  politica  vi  entrava  solo  per  as- 
sicurare Timpunità  ai  capi,  nonché  il  frutto  delle  rapine,  quando  la  restaura- 
zione fosse  avvenuta,  come  si  era  verificato  nel  1799.  La  triste  illusione  che 
Francesco  II  potesse  riprendere  il  Regno,  col  brigantaggio  e  le  reazioni,  era 
alimentata  in  lui  per  il  primo  dai  ricordi  di  quelVanno  stesso.  L'esempio 
del  cardinal  Ruffo  faceva  perdere  la  esatta  visione  delle  cose.  Il  brigantaggio 
fu  soffocato,  dopo  una  guerra  di  circa  sei  anui,  dal  valore  dell'esercito  e  dal 
patriottismo  delle  popolazioni,  onde  son  ricche  le  cronache  di  quei  tempi. 
All'assetto  sociale  e  al  ripristinamento  deirordine  pubblico  nelle  Provincie 
più  sconvolte  venne  provvedendo  il  nuovo  Governo,  a  misura  che  si  fondava 
l'impero  della  legge,  e  si  iniziavano  le  opere  pubbliche. 

Né  furono  queste  sole  le  difficoltà  dei  primi  tempi  della  nuova  Italia. 
La  rivoluzione  non  rientrava  nel  suo  letto,  ma  permaneva  coi  suoi  ideali  e 


RAFFAELE   DE   CBSARB 


il  SUO  spirito  di  avventura.  Molti  dei  suoi  uomini  maggiori,  con  Garibaldi 
alla  testa,  accusavano  il  Governo  di  non  voler  compiere  il  programma 
nazionale,  liberando  Boma  dal  Papa  e  dai  francesi,  e  muovendo  guerra 
air  Austria  per  la  liberazione  del  Veneto.  La  rivoluzione  non  poteva  darsi 
pace  che  ad  essa  fosse  sfuggita  la  direzione  del  movimento  nazionale;  per 
cui  le  lotte  si  manifestavano  in  vario  modo,  nella  stampa,  nel  Parlamento  e 
nelle  dimostrazioni  popolari,  e  scoppiarono  clamorosamente  nel  non  dimen- 
ticato duello  parlamentare  fra  Cavour  e  Garibaldi,  nella  seduta  del  18  aprile 
W  1861.  Si  venne  così  formando  nella  Camera  dei  deputati  quella  opposizione 
permanente,  che  fu  detta  di  Sinistra,  più  politica  che  amministrativa,  ingros- 
sata alla  sua  volta  da  quanti  erano  malcontenti  del  nuovo  ordine  di  cose 
per  cause  e  interessi  diversi,  e  da  quanti  s*  illudevano  che  la  nuova  Italia 
avrebbe  abolito  o  diminuito  le  imposte,  o  avrebbe  distrutto  gli  abusi  dei 
vecchi  Governi,  o  tollerato  nuovi  abusi  in  nome  della  libertà.  Non  era  pos- 
sibile provvedere  a  tutte  le  deficienze  economiche  e  morali,  effetto,  alla  lor 
volta,  di  una  situazione  nuova  nella  storia:  cinque  Stati,  diversi  di  tradi- 
zione e  anche  di  razza,  che  si  fondevano  in  quello,  che  aveva  avuto  la  dire- 
zione del  movimento  nazionale,  col  suo  Se,  con  la  sua  diplomazia,  col  suo 
esercito  e  un  grande  ministro.  Il  malcontento  cresceva,  e  trovava  la  sua  eco 
nelle  discussioni  parlamentari.  Il  partito  della  rivoluzione  o  di  azione,  come 
si  chiamò,  cercava  diffondere  questi  convincimenti:  che  Tunità  era  stata  fatta 
a  beneficio  del  Piemonte,  e  che  da  parte  di  questo  non  vi  fosse  interesse  a 
compierla;  e  che  un  gran  paese,  privo  di  mezzi  di  comunicazione,  non  poteva 
governarsi  da  Torino,  e  per  ciò  essere  impossibile  rimetter  l'ordine  pub- 
blico. E  tali  convinzioni  mettevano  radici  in  quasi  tutte  le  classi  sociali. 

Sino  a  che  visse  Cavour  le  difficoltà  parevano  non  insuperabili.  Egli  aveva 
chiara  la  visione  del  problema  meridionale,  e  godeva  di  un'autorità  straor- 
dinaria nel  paese,  nel  Parlamento  e  in  Europa  ;  ebbe  oppositori,  non  un  vero 
partito  di  opposizione  ;  governò  come  volle  ;  lottò  con  la  rivoluzione,  e  la  vinse  ; 
lottò  con  Garibaldi  in  quella  ricordata  seduta  del  18  aprile,  e  fece  chiamare 
all'ordine  l'exdittatore.  Volle  che  Boma  fosse  acclamata  capitale  d'Italia, 
mentre  negoziava  un  accordo  col  Papa.  E  poiché  era  chiara  in  lui  anche  la  vi- 
sione del  problema  amministrativo,  forse  non  in  tutte  le  sue  parti,  ma  con  tutte 
le  sue  difficoltà,  lasciò  presentare  dal  Minghetti  nella  seduta  del  13  marzo  1861 
due  progetti:  uno  sull'amministrazione  comunale  e  provinciale,  e  l'altro  sulla 
amministrazione  regionale  :  progetti  non  discussi  sino  a  che  egli  visse,  forse 
perchè  a  lui  non  pareva  fossero  di  sicura  efficacia  per  l'ordinamento  intemo  del 
nuovo  Stato,  o  perchè  erano  troppo  vivaci  i  dissensi  fra  la  tendenza  unitaria  e 
accentratrice,  e  quella  che  voleva  dare  una  ragionevole  espansione  alle  auto- 
nomie locali.  I  progetti  erano  stati  redatti  dal  Farini  l'anno  innanzi,  e  pre« 
sentati  alla  Commissione,  che  studiava  un  nuovo  ordinamento  amministrativo 
presso  il  Consiglio  di  Stato,  e  di  cui  era  presidente  il  Des  Ambrois. 


SOMMARIO   DI   STORIA   POLITICA   E   AMMINISTRATIVA   d'iTALIA  & 


Cavour  morì  quando  era  ancora  necessaria  la  sua  presenza;  morì  air  apogeo 
della  gloria,  e  ancora  in  verde  età.  L*annunzio  della  sua  morte  al  Parlamento 
fu  grandioso  e  semplice  insieme.  Non  ombra  di  rettorica,  ma  commozione 
sincera  e  profonda.  Alla  Camera  dei  deputati  parlarono  il  presidente  Rat- 
tazzi,  il  ministro  deir  interno  Minghetti,  e  Giovanni  Lanza:  nessun  altro. 
La  Camera  e  il  Senato  sospesero  le  sedute  per  tre  giorni;  e  le  bandiere  e 
le  tribune  fiirono  abbrunate  per  una  settimana.  Già  fin  dal  2  giugno,  quando 
la  malattia  del  primo  ministro  non  lasciava  àdito  alla  speranza,  Vittorio 
Emanuele  affidò  il  portafoglio  degli  esteri  al  Minghetti,  e  quello  della  ma- 
rina al  Fanti.  E  spirato  Cavour  nella  mattina  del  6  giugno,  il  Be  incaricò 
il  barone  Bettino  Ricasoli  di  comporre  il  nuovo  ministero  ;  e  nuovi  ministri 
furono  il  Bicasoli,  che  prese  il  portafoglio  degli  esteri  ;  il  Miglietti.  che  sue* 
cesse  nella  giustizia  al  Gassinis;  il  Menabrea,  che  andò  alla  marina,  del 
qual  dicastero  Cavour  aveva  conservato  la  reggenza  sino  a  che  visse  ;  e  Fi« 
lippe  Cordova,  che  sostituì  Giuseppe  Natoli  alVagricoltura. 

Le  difficoltà  interne  si  rendevano  sempre  maggiori  nelle  Provincie  meri' 
dionali,  non  solo  per  il  crescente  brigantaggio,  ma  per  le  nuove  leggi  prO' 
mulgate  dalle  luogotenenze  di  Napoli  e  Palermo  ;  per  i  primi  aggravi  delle 
imposte,  e  per  F  inesperienza  dei  nuovi  governanti,  mandati  dalle  Provincie 
settentrionali.  A  Napoli,  sotto  la  luogotenenza  del  principe  di  Carignano,  che 
aveva  per  segretario  generale  il  Nigra,  furono  promulgate  le  leggi  ecclesia- 
stiche, proposte  dal  Mancini  ;  le  quali  sollevarono  le  alte  proteste  del  clero 
secolare  e  regolare,  nonché  dell'episcopato,  e  acuirono  le  ire  contro  il  nuovo 
ordine  di  cose,  concorrendo  alFinsuccesso  delle  trattative  intavolate  a  Roma 
a  mezzo  del  Passaglia  e  del  Pantaleoni.  Nel  tempo  stesso  il  Minghetti,  ingegno 
meravigliosamente  duttile,  crede*  che  si  potesse  riprendere  la  sua  idea  con- 
tenuta nei  due  disegni  di  legge  presentati  nel  marzo,  e  che  erano  in  sostanza 
una  specie  di  mezzo  termine,  onde  non  venivano  abolite  del  tutto  le  autonomie 
amministrative  regionali,  ed  erano  divisi  i  Comuni  in  classi.  Con  quei  pro- 
getti, di  certo  incompleti,  ogni  regione  era  formata  dalle  Provincie  che  la  com- 
ponevano storicamente  e,  piìl,  geograficamente,  riunite  in  consorzi  obbligatori 
per  le  opere  relative  agristituti  di  istruzione,  agli  archivi,  alle  accademie  e  ai 
lavori  pubblici  per  strade,  ponti,  argini,  fiumi  e  torrenti.  Ad  ogni  regione  era 
dato  un  governatore  con  una  Commissione  eletta  dai  Consigli  provinciali,  ai 
quali  competeva  la  facoltà  di  far  regolamenti  per  le  colture  irrigue  e  Teser- 
cizio  della  pesca  e  della  caccia.  Ma  i  progetti  non  ebbero  fortuna  negli  Uffici, 
sempre  nel  timore  o  pregiudizio  che  potessero  servire  a  indebolire  l'unità. 
Giovanni  Barracco,  uno  dei  pochi  e  gloriosi  superstiti  di  quella  Camera,  cercò 
dissipare  le  prevenzioni  degli  avversari,  e  disse  :  «  le  unità,  se  politicamente 
«  resistenti  da  principio,  saranno  via  via  spazzate  dal  grande  sentimento 
ft  unitario  :  si  tratta,  in  sostanza,  di  allattare  le  provinole,  dando  loro  un'auto* 


6  RAFFAELE   DE   CESARE 


t/*: 


«  Domia  tutta  amministrativa  e  necessaria  in  un  paese,  che  non  fu  mai  unito, 
«  come  il  nostro  «» .  La  relazione  del  Tecchio,  a  nome  di  una  Commissione  di 
ventisette  membri,  li  seppellì,  costringendo  il  Minghetti  a  ritirarsi.  I  progetti 
incontravano  le  più  forti  resistenze  nei  fautori  più  caldi  delVunità  politica,  i 
quali  temevano  che  potessero  tener  vivo  il  ricordo  dei  vecchi  Stati,  ed  essere 
pericolosi  al  consolidamento  dell'unità  nazionale.  Un  libro  polemico  di 
Luigi  Carbonieri,  avvocato  di  Modena  e  già  deputato  nella  legislatura  prece- 
dente, contribuì  al  naufragio  del  progetto  delle  regioni.  Per  effetto,  invece,  delle 
nuove  leggi  accentratrici,  si  vennero  iniziando  le  più  stridenti  contraddizioni  e 
ingiustizie,  che  generarono  veri  disastri  amministrativi,  ai  quali  si  cercò  ri- 
y^parare,  ma  assai  tardi,  con  leggi  speciali  e  regionali.  Con  grave  offesa  della  storia 
e  della  geografia,  il  più  umile  Comune,  perduto  tra  i  monti  e  le  valli  della 
Calabria  e  della  Sicilia,  ebbe  lo  stesso  trattamento  delle  più  progredite  città. 
Si  aggiunga  che  per  ogni  mediocre  provvedimento  si  doveva  far  capo  al  go- 
verno centrale  di  Torino,  con  grave  perdita  di  tempo,  perchè  le  rapide  comu- 
nicazioni erano  ancora  un  sogno,  e  la  rete  telegrafica  appena  allMnizio. 


Alle  difficoltà  amministrative  per  il  ministero  Bicasoli  si  aggiunsero  le 
parlamentari  e  le  diplomatiche.  Morto  Cavour,  la  grande  maggioranza  della 
Camera,  che  riponeva  illimitata  fiducia  in  lui  e  Taveva  gagliardamente  sor- 
retto nella  lotta  con  Garibaldi,  cominciò  a  screpolarsi.  Il  Rattazzi,  il  quale, 
vivo  Cavour,  pur  mostrandosi  non  tenero  di  lui,  non  osò  insorgergli  contro, 
si  venne  via  via  accentuando  come  oppositore,  raccogliendo  intorno  a  so  i 
vecchi  avversari  di  Cavour,  gli  elementi  fluttuanti  di  ogni  assemblea  politica, 
e  infine  i  membri  del  partito  di  azione,  con  Garibaldi  alla  testa,  desiderosi 
questi  ultimi  che  un  ministero  debole  loro  permettesse  di  compiere  il  pro- 
gramma nazionale  rivoluzionariamente.  D'altra  parte,  se  l'Impero  francese 
avea  riconosciuto  il  Regno  d*Italia,  non  si  mostrava  favorevole  al  Ricasoli,  so- 
prattutto nella  questione  romana,  che  il  Ricasoli  tentava  risolvere,  non  trat- 
tando con  la  Corte  pontificia  direttamente,  come  aveva  preferito  Cavom*,  ma 
con  la  mediazione  dell'imperatore  Napoleone.  Il  contenuto  delle  trattative  era 
identico  a  quello  di  Cavour  :  ottenere  che  il  Papa  rinunciasse  spontaneamente 
al  potere  temporale,  e  consentisse  che  Roma  fosse  la  capitale  d'Italia,  mentre 
l'Italia  garantiva  al  Papa  l'assoluta  indipendenza  sua  e  della  Chiesa,  e  conce- 
deva alla  Santa  Sede  onori  e  appannaggio.  Le  trattative  di  Cavour  ebbero 
varie  fasi  e  parecchi  intermediari  ;  quelle  del  Ricasoli,  nessun  vero  e  proprio 
intermediario,  perchè  egli  trattava  mercè  il  nostro  ministro  a  Parigi.  I  nego- 
ziati fallirono,  dichiarando  l'Imperatore  di  non  volerne  sapere,  o  perchè  non 
avesse  fiducia  nel  Ricasoli,  ritenendolo  non  abbastanza  pieghevole,  o  perchè 
non  vedesse  ancora  opportuno  il  richiamo  delle  tinippe  francesi  da  Roma.  E 
poiché  il  Ricasoli  si  sentiva  diminuito  di  autorità,  insidiato  da  ogni  parte, 
e,  si  diceva,  anche  a  Corte,  mandò  nel  marzo  del  1862  le  sue  dimissioni  al 
Re,  che  le  accettò,  incaricando  il  Rattazzi  di  formare  il  nuovo  ministero. 


SOMMARIO   DI   STORIA   POLITICA   E    AMMINISTRATIVA   d'ITALIA 


Questo  non  uscì  tatto  dalla  maggioranza  cavouriana.  Il  Battazzi,  oltre  alla 
presidenza,  tenne  per  sé  il  ministero  dell'interno;  affidò  gli  esteri  al  gene- 
rale Giacomo  Durando;  la  giustizia,  prima  al  Cordova  e  poi  al  Conforti;  le 
finanze  al  Sella;  la  guerra  al  Petitti;  la  marina  al  Persane;  la  istruzione,  prinoùi 
al  Mancini  e  poi  al  Mattencci;  i  lavori  pubblici  al  Depretis,  e  ragricol- 
tura  al  Popoli.  Dei  nuovi  ministri,  il  più  accentuato  di  Sinistra  era  il 
Depretis,  antico  mazziniano  e  poi  querulo  avversario  di  Cavour  nella  Gamem 
subalpina.  Era  egli  che  suscitava  le  maggiori  diffidenze  nella  antica  maggio- 
ranza cavouriana,  onde  dal  primo  giorno  un  forte  nucleo  di  deputati  di  Destra 
si  affermò  contro  il  ministero.  Erano  ottanta,  con  a  capo  Giovanni  Lanza. 

Si  diceva  che  il  Popoli  garantisse  al  nuovo  gabinetto  la  benevolenza 
di  Napoleone  IH,  del  quale  era  cugino.  Il  Cordova  aveva  fatto  parte  del 
ministero  Ricasoli,  e  la  sua  permanenza  nel  ministero  Battazzi  fu  severa- 
mente giudicata,  così  che  fu  costretto  a  cedere  il  portafoglio  a  Baffaele  Con* 
forti.  Il  nuovo  ministero  veniva  su  con  Tappoggio  del  partito  della  rivoluzione, 
che  sperava  guidarlo  e  dominarlo  ;  o  paralizzarne  razione,  quando  sì  fosse  op- 
posto al  movimento  per  compiere  il  programma  nazionale,  movendo  guerra  al- 
TAustria,  o  tentando  un  colpo  di  mano  su  Roma,  con  Garibaldi  inquieto  è 
impaziente.  Il  Battazzi,  a  sua  volta,  riteneva  di  poter  rimanere  egli  Tarbitro 
della  situazione,  e  servirsi  di  quel  partito  per  necessità  parlamentari,  tenuto 
conto  del  contegno  non  favorevole  della  Destra.  Cominciarono  gli  equivoci; 
ripresero  le  agitazioni  ;  Garibaldi  tornò  sul  continente  e  si  aprirono  i  primi 
comitati  di  arrolamento.  Il  ministero  lasciò  fare.  A  Sarnico  convennero  volon- 
tari in  gran  numero;  e  solo  quando  si  disponevano  a  passare  la  frontiera, 
furono  arrestati  e  disarmati.  Il  movimento  parve  represso,  ma  risorse  con 
maggiore  intensità  nel  luglio  successivo,  non  più  col  proposito  di  muover 
guerra  all'Austria,  ma  di  tentare  un'impresa  su  Boma,  al  grido,  non  più 
di  tt  Italia  e  Vittorio  Emanuele  »  ;  ma  di  •  Roma  o  morte  « . 

Garibaldi  scese  in  Sicilia,  e  si  pose  a  capo  della  sommossa,  raccogliendo 
uomini  ed  armi.  Parecchi  ufficiali  deiresercito  abbandonarono  le  file  e  corsero 
a  lui.  Il  ministero  non  osava  affrontare  il  movimento;  e  benché  questo  assumesse 
sempre  più  il  carattere  di  una  vera  insurrezione,  lo  lasciò  ingrossare  al  punto 
che  Garibaldi,  dopo  avere  attraversato  quasi  tutta  la  Sicilia,  sbarcò  in  Calabria 
con  circa  quattromila  uomini  di  sue  milizie,  avviandosi  a  brevi  tappe  verso 
Napoli  e  Boma.  Il  pericolo  apparve  allora  in  tutta  la  sua  gravità.  Garibaldi 
invitava  i  suoi  capitani  del  1859  e  1860  a  unirsi  a  lui,  ma  né  Cosenz,  né 
Bixio,  né  Medici,  né  Sirtori,  né  Cadolini  risposero  all'invito;  e  Donato  Mo- 
relli, già  suo  governatore  a  Cosenza,  gli  scrisse  una  nobile  lettera  per  dis- 
suaderlo dairimpresa.  Fu  inutile.  La  sommossa  straripava,  e  l'antico  Begno  era 
per  andare  in  fiamme.  Nello  stesso  tempo  il  governo  francese  protestava  e  mi- 
nacciava :  sicché  divenne  dolorosa  necessità  arrestare  la  rivoluzione  con  la  forza  ; 


6  RAFFAELE   DE    CESARE 


iniziare  la  guerra  civile  ;  tirare  su  Garibaldi  e  ferirlo  ;  condurlo  prigioniero  ; 
arrestare  i  suoi  militi,  e  tutto  questo  dopo  un  fiero  proclama  di  Vittorio  Ema- 
nuele, la  dichiarazione  dello  stato  di  assedio,  e  l'arresto  a  Napoli  di  tre 
deputati,  i  quali  tornavano  di  Sicilia.  Aspromonte  fu  la  tappa  più  triste 
del  movimento  nazionale.  Sì  sarebbe  potuto  evitarla,  ma  non  se  ne  ebbe 
il  coraggio.  Fu  il  frutto  di  equivoci  parlamentari,  e  anche  di  legittime  illusioni 
da  parte  delle  popolazioni,  le  quali  credettero,  fino  al  giorno  del  proclama 
del  Re,  che  il  Governo  fosse  di  accordo  con  (Garibaldi. 

Alla  riapertura  della  Camera,  dopo  vivacissimi  dibattiti,  il  Rattazzi 
pronunziò  un  discorso  più  abile  che  persuasivo,  tentando  la  sua  difesa.  Egli 
sostenne  che  aveva  voluto  seguire  una  politica  di  conciliazione  col  partito 
di  azione;  che  non  aveva  potuto  frenare  gli  arrolamenti,  perchè  la  legge,  che  li 
vietava,  era  andata  in  vigore  solo  alla  fine  di  luglio,  e  che  il  marchese 
Giorgio  Pallavicino  fu  da  lui  mandato  prefetto  a  Palermo,  per  un  atto 
di  conciliazione,  essendo  egli  conosciuto  come  intimo  amico  di  Garibaldi  ;  e 
che  infine  aveva  fatta  concedere  dal  Re  un*ampia  amnistia.  Si  difese  animo- 
samente, attaccando  gli  avversari  di  Destra  più  che  non  quelli  di  Sinistra,  e 
dichiarò  che  il  ministero  preferiva  dimettersi,  anziché  cadere  sotto  un  voto, 
che  avrebbe  consacrato  un'anomalia  parlamentare:  conservatori  e  rìvoluzio- 
nart,  com'egli  disse,  uniti  insieme  per  rovesciare  un  ministero,  che  aveva  con 
mano  ferma  ristabilito  Tordine  e  domata  la  rivoluzione. 

Luigi  Carlo  Farini  formò  il  nuovo  Governo  con  elementi  presi  in  gran 
parte  dagli  oppositori  di  Destra,  che  si  erano  affermati  fin  dal  primo  giorno 
contro  il  Rattazzi;  e  fu  un  ministero  di  pura  Destra.  Airinterno  andò  il 
Peruzzi,  con  Silvio  Spaventa  segretario  generale  ;  agli  esteri  Giuseppe  Pasolini, 
con  Emilio  Visconti-Venosta  ;  Giuseppe  Pisanelli  alla  giustizia  ;  il  Mìnghetti 
alle  finanze  ;  il  Della  Rovere  alla  guerra  ;  il  Ricci  alla  marina  ;  Michele  Amari 
alla  istruzione;  il  generale  Menabrea  ai  lavori  pubblici,  e  Giovanni  Manna 
all'agricoltura.  Per  grave  infermità  mentale,  il  Farini  fu  sostituito,  tre  mesi 
dopo,  dal  Minghetti  ;  poi  il  Pasolini  dal  Visconti-Venosta  ;  e  il  Ricci,  prima 
interinalmente  dal  Menabrea,  e  poi  definitivamente  dal  generale  Efisio  Cugia. 
Degli  uomini  maggiori  della  deputazione  piemontese  non  entrò  nessuno  nel 
ministero  ;  e  fu  un  errore,  perchè  il  Lanza  e  il  Lamarmora  tennero  dal  primo 
giorno  un  contegno,  se  non  di  diffidenza,  di  grande  riservatezza.  Il  Lamar- 
mora sì  ritirò  da  prefetto  di  Napoli. 

Il  nuovo  ministero  si  mise  all'opera  con  molta  buona  volontà  ;  e  uno  dei 
suoi  primi  atti  fu  una  sottoscrizione  nazionale  per  le  vittime  del  brigantaggio, 
cui  seguì  una  Commissione  parlamentare  d'inchiesta,  per  accertare  le  cause  di 
esso  e  proporre  ì  provvedimenti  adatti.  Era  da  tutti  riconosciuto  che  coi  mezzi 
ordinari  non  se  ne  potesse  ottenere  T estirpazione;  ma  quando  se  ne  usciva, 
per  fatalità  delle  cose,  erano  altissime  le  proteste  nella  Camera  dei  depu- 


SOMMARIO   DI   STORIA    POLITICA    E    AMMINISTRATIVA   D  ITALIA  » 

tati  e  nei  giornali  di  Sinistra.  La  Commissione  d'inchiesta  venne  composta 
da  deputati  di  ogni  colore,  e  alcuni  di  grande  autorità.  Il  Sirtori  ne  fu  il  presi- 
dente, e  Giuseppe  Massari  il  relatore.  Il  Bixio,  il  Saffi,  il  Morelli,  T Argentino, 
il  Oiccone  e  il  Romeo  ne  furono  membri.  La  relazione  del  Massari  rimane 
il  più  esatto  studio  di  quel  fenomeno.  La  Commissione  proponeva  leggi  di 
miglioramenti  economici,  ed  una  legge  speciale  di  pubblica  sicurezza.  Venne  V^ 
riconosciuto  che  il  brigantaggio  trovava  nelle  condizioni  economiche,  mo- 
rali e  sociali  del  Mezzogiorno,  un  ambiente,  che  ne  rendeva  impossibile 
la  distruzione  coi  mezzi  ordinari  ;  ma  non  si  riconobbe  egualmente  che,  se  da  \/ 
una  parte  era  alimentato  dalla  cospirazione  borbonica  di  Boma  e  dai  legitti- 
misti stranieri,  dallaltra  vi  concorrevano  le  delusioni  che  procurava  il  nuovo 
regime  in  fatto  di  pubbliche  gravezze.  Queste  andavano  raggiungendo  una 
misura,  che  Tantico  Segno,  poverissimo,  non  poteva  sopportare. 

Il  prezzo  del  sale,  che,  con  decreto  di  Garibaldi  del  16  settembre  1860, 
era  stato  portato  a  grana  sei,  dopo  essere  stato  ridotto  in  Calabria  a  grana 
quattro,  salì  a  quaranta  centesimi  ;  la  fondiaria  venne  aumentata  di  un  primo 
decimo,  e  poi  di  un  secondo  ;  e  sostituendo,  senza  attenuazioni,  alle  antiche 
tariffe  proibitive,  le  tariffe  liberali,  le  poche  fabbriche  industriali  del  Liri,  del 
Samo,  dell'Imo,  e  varie  presso  Napoli  furono  sopraffatte  dalla  concorrenza  e 
ridotte  a  mal  partito.  Si  aumentò  la  tassa  del  bollo  e  quella  del  r^istro,  che 
erano  minime;  si  minacciavano  la  tassa  di  successione  e  di  ricchezza  mobile;  ma 
quel  che  fu  peggio,  ad  un  sistema  di  amministrazione,  che  il  più  semplice  non 
era  possibile  immaginare,  né  a  Napoli  soltanto,  ma  negli  altri  quattro  Stati,  se  ne 
venne  sostituendo  uno  complicatissimo,  stranamente  fiscale  e  vessatorio  come 
era  il  piemontese.  In  paesi,  le  cui  leggi  amministrative  eran  poche  e  sem- 
plici, come  a  Napoli,  a  Firenze,  a  Roma,  a  Parma  e  a  Modena  ;  e  che  tolle- 
ravano le  vecchie  Signorie  perchè  facevano  pagar  poco,  le  nuove  leggi  tribu- 
tarie dovevano  produrre  malcontenti  infiniti,  e  spostamenti  di  interessi  e  di 
abitudini,  singolarmente  nel  Mezzogiorno.  Si  aggiunga  il  corso  della  rendita 
pubblica,  già  superante  la  pari,  caduto  sotto  il  70.  Il  partito  di  Destra, 
essenzialmente  politico,  ebbe  il  merito  e  la  gloria  di  unire  e  tenere  insieme 
il  nuovo  Stato,  attraverso  difficoltà  infinite;  ma  rivelò  nel  campo  ammi- 
nistrativo una  vera  inconscienza,  a  confessione  dei  suoi  migliori  uomini.  Il 
problema  amministrativo  quasi  non  lo  vide.  Si  sarebbe  potuto  procedere  per 
gradi,  ispirandosi  alle  condizioni  reali  e  storiche  dell'Italia;  ma  le  preoccu- 
pazioni politiche  e  finanziarie,  e  il  pregiudizio  quasi  giacobino  di  far  leggi 
organiche  uniformi,  fecero  perdere  la  visione  della  realtà,  e  si  seguitò  con 
gli  stessi  sistemi  aprioristici,  quasi  fino  al  giorno  in  cui  quel  partito 
cadde  dal  potere.  Occorrevano  più  di  quarantanni  di  tristi  esperienze,  per 
dover  tornare  sopra  a  tante  leggi  sbagliate,  e  tenendo  qualche  conto  della 
esperienza,  e  singolarmente  a  quella  comunale  e  provinciale,  e  poi  alla  elet- 
torale, e  volendo  tacere  delle  leggi  d'imposta,  che  formarono  un  vero  labi- 


10  RAFFAELE    DE    CESARE 


^^rinto.  Occorre  ricordare  die,  essendo  stata  concessa  ai  piccoli  Comuni  la  più 
ampia  libertà  di  governarsi  da  sé,  senza  tutela  concludente  da  parte  dello 
Stato,  essi  si  abbiandonarono  alle  tendenze  più  pazze,  per  compiere  opere  più 
di  lusso  0  superflue,  che  non  di  vera  urgente  utilità.  E  avvenne  che  si  co- 
prirono di  debiti,  elevarono  la  imposta  fondiaria  al  massimo,  distrussero  i 
boschi  di  loro  proprietà,  o  alienarono  terre,  distribuendole  ai  nullatenenti. 
Nell'aprile  del  1861  il  disavanzo  era  di  314  milioni,  e  si  cercò  rimediarvi 
con  un  primo  prestito  di  500  milioni;  ma  occorsero  tredici  anni  di  sacri- 
fìzii  veramente  eroici,  prima  che  il  pareggio  fosse  raggiunto. 

Ma  necessità  imprescindibile  di  esistenza  era  rimettere  Tordine.  Ad 
iniziativa  di  parecchi  deputati,  di  accordo  col  ministero,  fu  approvata,  dopo 
r  inchiesta,  una  legge  eccezionale  per  combattere  il  brigantaggio  :  legge  che 
prese  nome  dal  deputato  Pica,  che  la  svolse,  e  della  quale  fu  affidata  Tesecu- 
zione  al  giovine  generale  Emilio  Pallavicini,  che  sotto  molti  rapporti  richiamò 
alla  memoria  il  generale  Hoche,  pacificatore  della  Yandea.  In  meno  di  cinque 
anni,  il  grande  brigantaggio,  cui  la  legge  eccezionale  privò  dei  suoi  manuten- 
goli mandati  a  domicilio  forzoso,  fu  distrutto.  Restò  il  piccolo  malandrinaggio, 
soprattutto  in  Sicilia  ;  ma  bastavano  le  leggi  ordinarie.  Fu  questo  il  maggior 
merito  del  ministero  Minghetti,  il  quale  affrettò  pure  la  costruzione  delle  fer- 
rovie meridionali,  delle  quali  aveva  ottenuto  la  concessione,  durante  il  mini- 
stero Battazzi,  Pietro  Bastogi,  d'iniziativa  e  volontà  della  Camera,  onde  più 
tardi,  nel  1864,  era  stata  provocata  una  inchiesta  parlamentare,  che  colpì  il 
Bastogi  stesso  ed  altri  deputati,  che  in  quella  concessione  avevano  avuto 
mano.  Una  grande  linea  di  circa  900  chilometri,  da  Bologna  a  Otranto, 
e  di  altri  200  circa  da  Napoli  a  Foggia,  per  Benevento:  lunghe  linee  com- 
piute in  pochi  anni,  e  alle  quali  seguirono  costruzioni  minori  e  quella  impor- 
tantissima da  Napoli  a  Taranto,  squarciando  la  Basilicata.  Nel  novembre 
del  1863  Vittorio  Emanuele  inaugurò  il  primo  tronco  da  Ancona  a  Foggia. 

Non  poche  difficoltà  parlamentari  travagliarono  la  vita  di  quel  ministero. 
Nel  dicembre  del  1863  Garibaldi  si  dimise  da  deputato,  per  fare  atto  di  ostilità 
al  Governo  e  di  protesta  contro  Napoleone  III,  e  incitando  i  suoi  amici  a  se- 
guirne Tesempìo.  Si  dimisero  quasi  tutti  i  deputati  del  partito  d'azione,  tranne 
il  Crispi,  che  in  una  lettera  di  recente  pubblicazione,  diretta  al  barone  Vincenzo 
Favara,  die*  conto  del  suo  rifiuto  con  parole  piuttosto  severe  per  Garibaldi. 

Ma  la  questione  di  Roma  appassionava  molta  parte  del  paese.  Non  si  re- 
putava sicura  l'unità,  fino  a  quando  fosse  lecito  ai  Borboni  ed  ai  loro  parti- 
giani di  cospirare,  sotto  la  protezione  del  governo  pontificio  e  delle  armi  fran- 
cesi. Al  Minghetti,  bolognese  e  già  ministro  di  Pio  IX  nel  periodo  costi- 
tuzionale, assai  coceva  il  desiderio  di  riprendere  i  negoziati  per  la  questione 
romana.  Le  relazioni  fra  il  Governo  italiano  e  il  francese  erano  divenute  migliori, 
per  la  politica  assennata  del  ministero,  e  per  l'opera  efficace  del  conte  Fran- 


SOMMARIO   DI   STORIA   POLITICA    E    AMMINISTRATIVA   D'ITALIA  H 

Cesco  Àrese  presso  Napoleone  III.  Il  Minghetti  e  il  Visconti-Venosta  decisero  di 
fare  i  primi  passi  ?erso  l'Imperatore,  che  si  mostrò  disposto  benevolmente. 
Egli  riconosceva  essere  causa  d'imbarazzi  per  la  Francia  queiroccupazione,  ma 
non  voleva  buttare  il  Papa  in  balìa  della  rivoluzione,  né  tollerare  che  gli 
Tenisse  strappato  quell'ultimo  resto  di  territorio,  che  il  Ooverno  italiano 
avrebbe  invece,  secondo  lui,  dovuto  garantirgli.  Con  tali  disposizioni  dell'Im- 
peratore non  era  difiBcile  venire  ad  una  possibile  intesa,  agevolata  dall'opera 
di  Gioacchino  Popoli,  il  quale,  recandosi  nell'estate  di  quell'anno  a  Pietro- 
burgo dove  era  ministro,  e  passando  da  Parigi,  era  stato  invitato  dall'Impe- 
ratore a  passare  qualche  giorno  a  Fontainebleau,  dove  era  pure  il  Nigra. 
Nelle  istruzioni  date  dal  Minghetti  e  dal  Visconti  al  Pepoli,  non  entrò  in 
alcun  modo  la  condizione  del  trasporto  della  Capitale  da  Torino,  come  mag- 
giore garenzia  per  la  Francia  e  per  il  Papa.  Fu  V  Imperatore  a  volerla  per  dar 
maggior  affidamento  ai  cattolici  francesi,  o  fu  il  Pepoli  a  proporla?  È  un  dato 
storico  non  bene  accertato.  Al  ministero  la  condizione  venne  dichiarata  come 
imprescindibile;  e  il  ministero  Faccettò,  pur  non  nascondendosi  le  gravi  diffi- 
coltà alle  quali  si  andava  incontro,  e  che  si  avverarono,  appena  la  cosa  fu 
nota,  con  i  tumulti  sanguinosi  di  Torino  nelle  giornate  del  21  e  22  settembre, 
provocati  dalla  condotta  dissennata  di  quel  municipio,  dalla  imprevidenza 
del  ministero,  e  dalla  convinzione  che  il  Re  fosse  contrario  al  traspoi*to  della 
Capitale.  Vittorio  Emanuele,  difatti,  seppe  della  Convenzione  dopo  che  fu 
tutta  imbastita;  e  il  Minghetti,  nel  suo  documentato  libro  sull'argomento 
riferisce  il  vivacissimo  colloquio  avuto  col  Be,  dopo  avergli  annunziato  che, 
per  effetto  della  Convenzione,  Firenze  sarebbe  divenuta  la  Capitale  del  Regno. 
È  noto  che,  dopo  le  giornate  di  settembre,  a  placare  l'opinione  pubblica  a 
Torino,  Vittorio  Emanuele,  di  sua  autorità,  depose  il  ministero. 

La  Convenzione,  che,  essendo  stata  firmata  il  15  settembre,  portò  quel 
nome,  venne  accolta  assai  bene  nel  resto  d'Italia;  e  a  Milano  e  Napoli  furono 
pubbliche  manifestazioni  di  plauso.  Per  effetto  di  essa  le  truppe  francesi  ab- 
bandonavano Roma,  e  il  Papa  veniva  posto,  con  i  propri  mezzi  di  difesa,  in 
conspetto  dei  suoi  sudditi.  Trasportandosi  la  Capitale  a  Firenze,  veniva  à 
cessare  la  causa  prima  del  malcontento;  il  Ooverno  italiano  si  impegnava, 
e  questo  era  il  punto  più  difficile,  a  garantire  la  integrità  del  territorio 
pontificio,  e  ad  impedire  che  la  rivoluzione  in  qualunque  forma  vi  pene- 
trasse, mentre  la  Santa  Sede  rimaneva  estranea  alla  Convenzione,  che  con* 
teneva  in  so  molti  dubbi  e  perìcoli. 

Del  nuovo  ministero,  il  Lamarmora  ebbe  la  presidenza  e  gli  esteri  ;  Gio- 
vanni Lanza  Tinterno  ;  Giuseppe  Vacca,  e  poi  Paolo  Cortese,  la  giustizia  ;  Ste- 
fano Jacini  i  lavori  pubblici;  Quintino  Sella  le  finanze;  Giuseppe  Natoli 
l'istruzione;  il  generale  Petitti  la  guerra;  il  generale  Diego  Angioletti  la 
marina,  e  Luigi  Torelli  Tagricoltura.   Il  ministero  cercò  dì  metter  pace  fra 


^2  RAFFAELE   DE   CESARE 


i  Yarì  elementi  della  vecchia  maggioranza,  ma  non  vi  riuscì,  perchè  gran 
parte  della  deputazione  piemontese,  malcontenta  per  il  trasporto  della  Capi- 
tale, inclinava  manifestamente  a  Sinistra.  La  Convenzione  fu  eseguita  con 
grande  lealtà  dal  ministero,  benché  il  Lamarmora,  il  Lanza  e  il  Sella  non  ne 
fossero  entusiasti.  Quel  ministero  ebbe  il  merito  di  promulgare  il  codice  ci- 
vile, in  gran  parte  apparecchiato  dal  ministero  precedente  ;  la  legge  sul  con- 
tenzioso amministrativo  ;  quella  sulle  opere  pubbliche  e  sulle  espropriazioni 
per  causa  di  pubblica  utilità;  e  presentò  varie  leggi  di  finanza,  compresa 
quella  del  macinato,  tutte  dirette  a  colmare  il  disavanzo,  che  nella  esposizione 
finanziaria  del  6  novembre  1864  il  Sella  dimostrò  ascendere  a  316  milioni. 
E  volendo  egli  che  Tesempio  del  sacrifizio  venisse  dairalto,  persuase  il  Re 
a  rinunziare  a  tre  milioni  della  lista  civile,  nel  tempo  stesso  che  i  ministri 
riducevano  i  loro  stipendi.  A  causa  dei  gravi  tumulti  avvenuti  a  Torino,  in 
occasione  del  ballo  dato  dal  Re  la  sera  del  30  gennaio  1865,  —  tumulti  che 
il  ministero  non  aveva  saputo  prevenire,  né  reprimere,  —  il  Lanza  dette  le 
dimissioni,  le  quali  non  furono  accettate:  ma  le  ripetette  nelV agosto  per  dis- 
sensi col  Sella.  Gli  successe  il  Natoli. 

Nel  settembre  dello  stesso  anno  fu  sciolta  la  Camera  dei  deputati.  Le 
elezioni  generali  riuscirono  disastrose  alla  vecchia  Destra,  nelle  Provincie 
meridionali.  Caddero  Carlo  Poerio,  Giuseppe  Massari,  Ruggiero  Bonghi, 
Giuseppe  Pisanelli,  Francesco  de  Sanctis,  Sigismondo  Castromediano,  Oronzo 
de  Donno,  Saverio  Baldacchini,  Francesco  Antonio  Mazziotti,  Nicola  Schiavoni, 
e  Michele  Pironti.  Alcuni  trovarono  posto  via  via  in  altri  collegi,  o  in  Senato. 
Prevalsero  in  quelle  Provincie  i  così  detti  «  uomini  nuovi  « ,  che  Massimo 
d'Azeglio  aveva  evocato,  facendosi  molte  illusioni,  ma  prevedendo  anche  la 
incipiente  degenerazione  del  sistema  elettorale.  D'Azeglio  scrisse  un  opuscolo, 
che  venne  alla  luce  a  Firenze  nell'agosto  del  1865,  e  nel  quale  parlò  della 
necessità  che  la  nuova  Camera  intendesse  e  curasse  gli  affari  più  che  la 
politica.  Il  ministero  preferì  la  riuscita  di  questi  uomini  nuovi,  illudendosi  di 
trovarli  della  stessa  fede  nell'amore  della  cosa  pubblica,  e  della  stessa  yirtil 
di  sacrifizio  nell'affrontare  la  impopolarità  cagionata  dalle  nuove  imposte. 
Da  quelle  elezioni  la  Sinistra  uscì  rafforzata  di  numero. 

Il  Parlamento  si  aprì  a  Firenze  il  18  novembre  nel  salone  dei  Cinquecento, 
in  Palazzo  Vecchio.  Vittorio  Emanuele  disse:  «  nella  città,  che  seppe  custodire 
«  i  destini  dell'Italia  nella  ricrescente  sua  fortuna,  le  mie  parole  furono  mai 
«  sempre  d'incoraggiamento  e  di  speranza  ».  Accennò  poi  alFinsuccesso  dei 
negoziati  con  Roma,  obietto  della  missione  Vegezzi,  e  dichiarò  che  si  do- 
vettero troncare  «  quando  ne  potevano  restare  offesi  i  diritti  della  Corona  e 
«  della  Nazione  ».  E  dopo  aver  detto  che  la  forza  ineluttabile  degli  eventi 
avrebbe  sciolto  le  vertenze  fra  il  Regno  d'Italia  e  la  Santa  Sede,  aggiunse: 
«  a  Noi  pertanto  incombe  questa  fede  alla  Convenzione  del  15  settembre,  cui 
«  la  Francia  darà  pure,  nel  tempo  stabilito,  esecuzione  completa  «.  Unico  ac^ 


SOMMARIO    DI   STORIA   POLITICA   E   AMMINISTRATIVA   D*ITALIA  IB 

cenno,  che  ebbe  interpretazioni  diverse,  anche  perchè  vi  fecero  sèguito  le  pa- 
role: «la  virtù  dell'aspettare  è  oggidì,  più  che  pel  passato,  resa  agevole 
K  airitalia  «.  Annunziava  i  riconoscimenti,  che  la  Spagna  e  quasi  tutti  gli 
Stati  d'Europa  e  delle  Americhe  avevano  fatto  del  nuovo  Regno;  prometteva 
altre  leggi  per  dare  compiuto  assetto  airunificazione  legislativa  e  nuova 
spinta  ai  lavori  pubblici  e  per  migliorare  il  credito;  annunziava  maggiori  sa- 
crifizi ai  contribuenti,  ma  raccomandando  di  ripartire  gli  oneri  nel  modo 
più  equo  e  men  gravoso  possibile.  Annunziava  infine  la  separazione  dello 
Stato  dalla  Chiesa  e  la  soppressione  delle  corporazioni  religiose.  Il  discorso 
ebbe  accoglienza  non  entusiastica.  Seguì  un  periodo  fecondo  di  riforme  legisla- 
tive, nelle  quali  si  distinsero  particolarmente  i  ministri  Jacini,  Sella  e  Torelli. 
Il  ministero  Lamarmora  si  modificò  sostanzialmente  nel  dicembre  1865:  al 
Natoli  fu  sostituito  Desiderato  Chiaves  ;  a  Paolo  Cortese,  Oiovanni  de  Falco  ; 
al  Sella,  Antonio  Scialoja;  al  Petitti,  il  generale  Di  Pettinengo  ;  al  Natoli, 
Domenico  Berti,  e  ne  uscì  anche  il  Torelli,  sostituito  dal  Berti  sino  alla  nuova 
e  più  radicale  crisi  del  giugno  del  1866,  quando  scoppiò  la  guerra.  Il  mi- 
nistero aveva  chiesto  che  i  nuovi  provvedimenti  finanziari,  raccolti  in  uno  di 
quei  così  detti  omnibu$^  che  erano  il  terrore  dei  contribuenti,  fossero  sottoposti 
alV esame  non  degli  UfBcì,  ma  di  una  Commissione  straordinaria  di  quindici  de- 
putati eletti  dalla  Camera.  La  qual  Commissione  ebbe  celebrità,  perche  compì 
il  suo  ufficio  con  sollecitudine  e  indipendenza;  ritoccò  e  attenuò  i  provvedi- 
menti, che  si  risolvevano  in  nuovi  aggravi,  ma  respinse  la  tassa  sui  tessuti, 
che  il  Sella  proponeva.  La  Commissione  era  formata  dalle  maggiori  autorità 
in  fatto  di  finanza,  e  ne  fecero  parte  i  deputati  Cordova,  Depretis,  Casaretto, 
De  Cesare,  De  Luca,  Correnti,  Vincenzo  Ricci,  Rattazzi,  Crispi,  Devincenzi, 
Lanza,  Minghetti,  Sella,  Mordini  e  Musolino.  Il  Minghetti  ne  fu  il  presidente 
e  il  relatore. 

Al  ministero  Lamarmora  non  era  ignoto  il  pensiero  del  governo  prus- 
siano e  del  suo  primo  ministro,  di  sostituire  la  propria  egemonia  a  quella 
deir Austria  nella  confederazione  Germanica  ;  sostituirsi  all'Austria,  avviando 
gli  Stati  tedeschi  all'unità  dell' Impero.  Quell'analogia  di  sentimenti  e  di 
interessi  fra  le  due  nazioni,  che  Cavour  aveva  veduto  fin  dal  1861,  apparve 
manifesta  alla  mente  del  primo  ministro  del  Re  di  Prussia.  Ma  le  difficoltà 
da  superare  non  erano  poche;  maggiori  le  diffidenze  fra  i  due  Governi,  più  che 
fra  i  due  popoli,  alimentate  dalle  rispettive  diplomazie.  Ma  poiché  un  grande 
interesse  s'imponeva,  e  premeva  al  conte  di  Bismarck  venire  a  pronta  conclu- 
sione, e  al  Governo  italiano  di  acquistare  la  Venezia,  il  ministero,  in  pieno 
accordo  col  Re,  mandò  a  Berlino  il  generale  Giuseppe  Govone,  al  quale  il 
Lamarmora  die'  istruzioni  minute  e  precise.  Il  Govoue  vide  Bismarck  il  14 
marzo  per  la  prima  volta,  e  il  giorno  8  aprile  fu  sottoscritto  un  trattato 
offensivo  e  difensivo,  seguito  da  una  convenzione  militare.  Nonostante  il  trattato, 


14  RAFFAELE   DB   CESARE 


le  difficoltà,  alle  quali  andavano  incontro  i  dae  Groverni,  aumentavano  per  effetto 
del  contegno  ambiguo  dell'imperatore  Napoleone,  indeciso  tra  la  Prussia  e 
l'Austria,  ma  disposto  a  benevolenza  verso  di  questa;  non  favorevole  alla 
guerra,  ma  non  risoluto  ad  opporvisi  ;  favorevole  al  trattato  di  alleanza,  ma 
non  per  venire  alle  armi.  Egli  vagheggiava  una.  soluzione  pacifica,  per  la 
quale  l'Austria  potesse  cedere  all'Italia  il  Veneto,  e  la  Prussia  avere  i 
Duoati  dell'Elba  o  altro  piccolo  Stato,  mentre  lasciava  intendere,  senza 
determinazione  d' idee,  la  convenienza  di  un  compenso  alla  Francia,  dandole 
il  Belgio  0  la  Svizzera  francese.  Napoleone,  circondandosi  di  silenzio,  si 
lasciava  variamente  penetrare,  mentre  il  Re  Guglielmo,  dopo  sottoscritto  il 
trattato,  esitava  a  rompere  le  ostilità,  giudicando  la  guerra  all'Austria  quasi 
guerra  civile;  e  chiedeva  almeno  che  l'Italia  fosse  prima  a  scendere  in 
campo.  La  volontà  di  Bismarck  trionfò,  ma  dopo  non  pochi  ^conforti  da  parte 
sua,  così  come  era  avvenuto  a  Cavour  nel  1859.  Il  lavoro  della  diplomazia 
prussiana  fu  più  arduo  di  quello  della  diplomazia  italiana,  la  quale  era 
ispirata  al  concetto  che  la  guerra  si  facesse,  consenziente  la  Francia,  mentre 
di  tal  consenso  non  mostrava  troppo  occuparsi  la  diplomazia  prussiana,  benché 
solo  in  apparenza.  La  guerra  cominciò  due  mesi  dopo  che  il  trattato  era 
stato  sottoscritto;  e  T Italia  fu  prima  ad  attaccare. 

Pochi  giorni  avanti  che  scoppiassero  le  ostilità,  il  ministero  si  modificò* 
Lamai'mora,  nominato  capo  dello  stato  maggiore,  restò  ministro  al  campo 
senza  portafoglio;  Visconti-Venosta,  chiamato  da  Costantinopoli  dov'era  mi- 
nistro, ebbe  il  portafoglio  degli  esteri;  Bicasoli,  dell'interno;  Depretis,  della 
marina  ;  Cordova,  dell'agricoltura  ;  Borgatti,  della  giustizia.  Dei  vecchi  ministri 
restarono  Scialoja,  Di  Pettinengo,  Berti  e  Jacini,  sostituiti  nel  febbi-aio  1867 
dal  Depretis,  che  passò  alle  finanze,  da  Giuseppe  Biancheri,  che  andò  alla  ma- 
rina, da  Cesare  Correnti,  da  Giuseppe  Devincenzi  e  dal  generale  Cugia,  che 
andarono  rispettivamente  all'istruzione,  ai  lavori  pubblici  e  alla  guerra. 

La  guerra  non  fu  fortunata  per  l'Italia,  benché  non  si  possa  veramente  af- 
fermare che  l'esercito  e  l'armata  siano  stati  sconfitti.  Il  generale  Lamarmora 
perdette  la  testa  ;  altri  comandanti  non  fecero  il  loro  dovere,  e  così  il  grosso 
dell'esercito  rimase  inerte  durante  la  battaglia.  E  il  capo  supremo  dell'ar- 
mata, dopo  un  combattimento  durato  meno  di  due  ore,  rivelò  tale  pro- 
fonda inconscienza,  da  tel^rafare  rettoricamente  di  essere  rimasto  «  padrone 
delle  acque  « ,  mentre  rimase  immobile  per  molte  ore  dopo  la  zuffa,  inviando 
ordini  incomprensibili  ai  comandanti  delle  navi,  rifuggendo  di  dar  l'esempio 
col  mettersi  alla  testa  della  flotta  e  inseguire  il  nemico,  e  tornando  l'in- 
domani in  Ancona,  dopo  aver  seppellito  nell'Adriatico  due  delle  migliori 
navi,  e,  con  esse,  circa  un  migliaio  di  giovani  vite!  L'insuccesso  lo  provocò  lui> 
per  incapacità  e  viltà.  Il  Senato,  raccolto  in  Alta  Corte  di  giustizia,  escluse 
la  viltà,  ma  lo  condannò  come  incapace.  Il  Persane  perdette  grado  e  repu- 
tazione, e  morì  nell'oblìo,  sotto  il   peso  di  una  delle   più  grandi  respon- 


SOMMARIO   DI    STORIA    POLITICA    E    AMMINISTRATIVA   DITALIA  15 

sabilità  storiche.  Però  la  responsabilità  di  Lissa  non  rimonta  a  lui  soltanto,  ma 
a  chi  lo  volle  capo  supremo  delFarmata,  e  più  ancora  a  chi  ve  lo  tenne,  dopo  che 
si  era  mostrato  riluttante  ad  afl&ontare  il  nemico  nella  temeraria  dimostrazione 
del  27  giugno,  che  quegli  fece  nelle  acque  di  Ancona.  Il  Persano  si  decise 
a  muoversi,  solo  quando  vi  fu  costretto  da  un  ordine  perentorio,  venuto  da 
Ferrara,  dove  si  era  riunito  il  Consiglio  dei  ministri  sotto  la  presidenza  del  Re  : 
ordine  che  il  Depretis  andò  a  portargli  in  Ancona  il  15  luglio,  e  che  consisteva 
nel  consigliargli  T impresa  di  Lissa:  impresa  dissennata,  trattandosi  di  mandar 
la  flotta  a  sciupare  la  propria  energia  contro  le  batterie  di  un'isola  rocciosa 
e  ben  fortificata,  di  accesso  difficilissimo  e  d'importanza  strategica  più 
ohe  dubbia. 

Qui  bisogna  ricordare  che,  dopo  1*  insuccesso  di  Custoza,  il  paese  chie- 
deva a  buon  diritto  una  rivincita,  e  la  chiedeva  la  nazione  alleata,  le 
cui  sorti  guerresche-  procedevano  di  vittoria  in  vittoria.  In  Prussia  cominciò 
a  insinuarsi  il  sospetto,  che  queirarrèsto  di  azione  militare  da  parte  nostra 
simulasse  un  accordo  segreto  con  la  Francia,  per  cui  non  dovesse  Tltalia  com- 
battere seriamente,  per  lasciare  all'Austria  la  libertà  di  piombare  con  tutte 
le  sue  forze  sulla  Prussia,  e  schiacciarla.  I  sospetti  ingiuriosi  e  mal  fondati 
furono  fatti  palesi  in  pubblicazioni  quasi  ufficiali,  e  sollevarono  polemiche  e 
proteste  da  parte  del  Lamarmora,  singolarmente  preso  di  mira.  Se  Sadowa 
aveva  deciso  le  sorti  della  campagna  in  Boemia,  e  l'avanguardia  dell'esercito 
prussiano  era  quasi  in  vista  del  campanile  di  Santo  Stefano,  la  guerra  non 
era  finita,  accingendosi  T esercito  vincitore  a  marciare  su  Vienna;  e  quando, 
airindomani  doUa  grande  battaglia,  fu  comunicata  ai  due  campi  la  proposta 
francese  di  una  sospensione  di  ostilità,  cedendo  l'Austria  all'imperatore  Na- 
poleone la  Venezia,  fu  immenso  lo  stupore.  La  Prussia  concluse  l'armistizio  il 
giorno  22  luglio  a  Nìkolsburg,  ma  senza  darne  avviso  alla  potenza  alleata,  la 
quale  si  trovò  per  alcuni  giorni  nel  tormentoso  bivio  di  dover  far  altrettanto,  o 
continuare  la  guerra  da  sola.  Vi  era  una  corrente  assai  forte  nello  spirito  pub- 
blico, che  voleva  la  continuazione  della  guerra;  e  si  assicurava  che  a  tale 
opinione  inclinasse  il  Bicasoli.  Fu  per  questo  che  si  era  imposto  al  Peraano  di 
uscire  dalla  sua  paurosa  immobilità.  Una  vittoria  sul  mare,  distruggendo  i 
sospetti  della  nazione  alleata,  avrebbe  messo  l'Italia  in  condizioni  favorevoli 
per  trattare  la  pace,  nel  tempo  stesso  che  il  Cialdini  marciava  nel  Veneto  e 
Oaribaldi  nel  Tirolo.  Ma  Tesito  sfortunato  di  Lissa  affrettò  la  conclusione 
degli  armistizi;  e  la  tregua  fra  1* Italia  e  l'Austria,  che  scadeva  agli  11  di 
agosto,  venne  prorogata  di  quattro  settimane,  fino  alla  pace  definitiva.  Alla 
divisione  Medici,  che  si  era  spinta  sino  a  Primolano,  si  ordinò  di  tornare 
indietro;  ed  egual  ordine  fu  inviato  a  Garibaldi,  che  marciava  da  Bez- 
zecca  sopra  Trento.  Egli  rispose  col  famoso  «  obbedisco  y» .  L' Italia  ebbe 
la  Venezia,  ma   per   mezzo   di   Napoleone   III,   mediatore   non   richiesto; 


16  RAFFAELE   OE   CESARE 


mentre  alla  Prussia  riuscì,  in  seguito  alle  sue  vittorie,  cacciar  TAnstria 
dalla  Confederazione,  afFermarsi  arbitra  dei  destini  del  popolo  tedesco,  ed 
avviarsi  alla  unità  dell'  Impero,  compiutasi  dopo  quattro  anni.  Lo  scopo  del- 
l'alleanza era,  di  fatto,  conseguito  :  ma  con  quanta  diversa  fortuna  ! 

Il  ministero  Bicasoli,  indebolito  dagli  avvenimenti,  non  fu  fortificato 
dalle  nuove  elezioni,  che  indisse  nei  febbraio  del  1867.  Il  Parlamento  si  adunò 
il  22  marzo  ;  e  nel  discorso  del  Be  non  si  fece  alcun  cenno  alla  guerra,  né 
alVaequisto  della  Venezia,  ma  si  preferì  polemizzare  con  Garibaldi,  che  per- 
correva le  Provincie  venete,  proclamando  la  necessità  di  una  impresa  su  Roma. 
Il  Re  disse  :  «  fu  già  tempo  degli  audaci  propositi  e  delle  ardite  imprese  « . 
E  poi:  «  l'Italia  vi  chiede  che  nelle  intemperanze  e  nelle  gare  non  si  di- 
sperda la  vigorìa  delle  menti  e  degli  animi  «.  Il  discorso  lasciò  freddo  il 
Parlamento.  Pochi  giorni  dopo,  il  Ricasoli  presentò  le  dimissioni  sue  e  dei  mi- 
nistri, senza  neppur  interrogare  questi  ultimi,  e  Vittorio  Emanuele  ajDBdò  al 
Rattazzi  l'incarico  di  comporre  la  nuova  amministrazione. 

Si  verificava,  dopo  cinque  anni,  una  situazione  quasi  identica  a  quella 
del  1862.  Al  Ricasoli  succedeva  il  Rattazzi,  con  un  ministero  di  uomini  di 
varia  provenienza  politica:  dal  conte  Pompeo  di  Gampello,  ministro  degli 
esteri,  al  generale  Di  Revel,  ministro  della  guerra,  cattolici  ferventi  ambedue; 
da  Francesco  de  Blasiis,  che  usciva  dalla  Destra,  nominato  ministro  di  agri- 
coltum,  a  Francesco  Ferrara,  al  Tecchio,  al  Ceppino,  al  Pescetto  e  al  sena- 
tore Oiovanola,  da  pochi  conosciuto,  che  andò  ai  lavori  pubblici.  Il  ministero 
ebbe  l'appoggio  della  Sinistra,  come  allora;  lasciando  intendere  che  il  patto 
della  Convenzione  di  settembre,  col  quale  l'Italia  garantiva  al  Pontefice  la 
incolumità  dello  Stato,  fosse  difficilmente  osservabile.  Il  Ferrara  presentò 
il  progetto  per  la  tassa  del  macinato,  proposto  già  dal  Sella.  Per  effetto 
del  nuovo  indirizzo  politico  di  compiacenza  e  di  debolezza  verso  il  partito  di 
azione,  questo  prese  animo  per  iniziare  i  lavori  di  un'  impresa  insurrezionale 
nello  Stato  Pontificio.  Garibaldi  era  sul  continente,  insoddisfatto  di  come 
erano  andate  le  vicende  della  guerra;  percorreva  il  Veneto,  agitando  e  in- 
citando. Si  riaprirono  gli  arrolamenti  e  poi  i  comitati  di  soccorso.  Garibaldi 
andò  in  Toscana,  e  nel  settembre  si  die'  a  percorrere  i  paesi  limitrofi  alla 
frontiera  pontificia,  abbandonandosi  a  discorsi  eccessivi  contro  il  Papa  e 
l'imperatore  Napoleone,  e  proclamando  la  legittimità  dell'insurrezione.  Infine 
decise  di  entrare  egli  stesso  nelle  Provincie  pontificie,  e  da  Arezzo  si  avviò 
verso  Perugia.  Il  ministero,  sotto  le  minaccie  della  Francia,  lo  arrestò  a 
Sinalunga  il  25  settembre,  e  Io  tradusse  nella  fortezza  di  Alessandria.  Di  là 
fu  scortato  a  Caprera. 

L'arresto  produsse  qualche  feimento  a  Firenze,  dove  aveva  sede  il  Co- 
mitato insurrezionale,  del  quale  era  anima  il  Crispi.  Garibaldi  scriveva  da 
Caprera  ai  suoi  amici  di  non  abbandonare  V  impresa  di  Roma,  e  che  al  mo- 


SOMMARIO   DI   STORU   POLITICA   B   AMMINISTRATIVA   D'ITALIA  17 

mento  opportuno  sarebbe  giunto  in  mezzo  a  loro.  E  tenne  la  promessa.  Elu- 
dendo la  crociera,  scese  alla  Maddalena,  dorè  s' imbarcò,  a  giunse  a  LiTomo  su 
'  un  piccolo  legno.  Da  Livorno  andò  a  Firenze;  e  poi,  s»za  alcuna  opposizione  da 
parte  del  Governo,  parlando  sempre  con  violenza  e  noir  nascondendo  1  suoi  pro- 
positi, andò  in  treno  speciale  da  Firenze  a  Perugia;  e  poi  a  T^mi  e  a  Rieti; 
e  sconfinò  il  24  di  ottobre  a  Scandriglia,  .marciando  su  Monterotòndo..  L'in- 
surrezione nello  Stato  Pontificio  divampò  da  ogni  parte,  tranne  a  Boma^  dove, 
nonostante  Topera  di  giovani  e  audaci  cospiratori  andati  di  Toscana,  non  si 
riuscì  a  fare  insorgere  la  popolazione.  Correva  voce,  e  si  accreditava  che  se 
Soma  fosse  insorta,  le  truppe  italiane  avrebbero  passato  il  confine.  Quel  po'  di 
movimento  determinatosi  nella  città,  fu  soffocato  dalla  polizia  pontificia;  nia 
nelle  Provincie  entravano  armati  da  ogni  parte,  con  comandanti  nominati  da 
Garibaldi,  o  che  s  improvvisavano  tali.  Queste  bande  lavavano  contribuzioni  ; 
proclamavano  decaduto  il  governo  pontificio;  d^ecrètavano  il  plebiscito.  Fu- 
rono occupate  Viterbo,  Fresinone  e  Velletri.  In  Francia  le  proteste  del  cat- 
tolici non  ebbero  più  limite  ;  le  rampogne  contro  il  Governo  italiano,  che  non 
osservava  la  Convenzione  di  settembre,  divennero  altissinie  ;  tutti  invocavano 
l'intervento  militare,  per  impedire  che  il  Papa  cadesse  in  mano  della  rivolu-c 
zione.  Il  Governo  imperiale  esaurì  i  mezzi  diplomatici  ;  minacciò  anche  Y  in- 
tervento, ma  parve  contentarsi  delle  assicurazioni  di  Vittorio  Emanuele  al- 
l'Imperatore.  Ma  allorché  questi  vide  che,  avendo  il  Battazzi  dato  le  di^ 
missioni,  il  nuovo  ministero  non  si  liusciva  a  formarlo  e  le  cose  precipitavano; 
ordinò  che  la  spedizione,  da  parecchi  giorni  allestita  a  Tolone,  partisse  per 
Civitavecchia,  dove  giunse  il  31  ottobre.  Era  una  divisione  di  cinque  mila 
uomini  al  comando  del  generale  De  Failly,  con  artiglierie  e  fucili  «  chas" 
sepots  « .  E  poiché  il  quartiere  generale  della  insurrezione  divenne  Mon> 
terotondo,  dove  Garibaldi  concentrò  le  sue  forze,  quasi  tutto  Tesercito  pon- 
tificio al  comando  del  generale  Eanzler,  con  una  brigata  francese,  marciò 
nella  notte  del  3  novembre  verso  quella  direzione.  Arrivò  a  Mentana  nel  mo- 
mento che  Garibaldi  attendeva  alla  ritirata  dei  suoi  volotitaìl:  sópra  Tivoli  : 
ritirata  divenuta  indispensabile  dopo  il  proclama  di  Vittorio  Emanuele  e  la 
formazione  del  nuovo  ministero,  presieduto  dal  generale  Menabrea  ;  dopo  Io 
sbarco  dei  francesi  e  la  più  inverosimile  indifferenza  regnante  in  Boma.  Lo 
scontro  fu  sanguinoso  ;  Tesercito  della  rivoluzione  venne  sbaragliato,  con  morti 
e  feriti  d'ambo  le  parti.  Garibaldi  trovò  rifugio  a  Passo  Corese,  dove  passò  la 
notte;  e  di  là,  il  giorno  dopo,  dichiarato  prigioniero  a  Figline,  fu  condottò 
al  Varignano,  e  dopo  tre  settimane  rimbarcato  per  Caprera. 

La  Camei*a  si  riapiì  come  airindomani  di  Aspromonte.  Il  ministero  Mena- 
brea, succeduto  al  dimissionario  ministero  Battazzi,  era  accusato  dalla  Sinistra 
e  da  tutto  il  partito  garibaldino,  di  essere  poco  meno  che  responsabile  del 
disastro  di  Mentana,  e  del  ritorno  dei  fiancesi  a  Boma.  Furono  dibattiti  di 

Raffaele  De  Crsare.  —  Sommano  di  storia  ecc.  2 


18  RAFFAELE   DE   CESARE 


ana  violenza  estrema;  e  il  Rattazzi,  accusato  dagli  oratori  di  Destra  come 
il  principale  responsabile  di  quanto  era  avvenuto,  e  difeso  o  giustificato  da 
quelli  di  Sinistra,  pronunciò  un  discorso  che  durò  tre  giorni.  Ricorse  alla  dia- 
lettica più  sottile  per  difendere  l'opera  sua,  e  riversò  ogni  responsabilità  sul 
ministero  che  gli  era  succeduto.  Questo  vinse,  ma  con  un  sol  voto  di  maggio- 
ranza, e  fu  costretto  a  modificarsi.  Al  Gualterìo  succedette  il  senatore  Carlo 
Cadorna  ;  al  Mari,  il  De  Filippo  ;  al  Cantelli,  il  Pasini  ;  e  Antonio  Ciccone 
andò  air  agricoltura.  Altre  crisi  travagliarono  quel  ministero;  e  furono  suc- 
cessivamente ministri  deirinterno  Luigi  Ferraris  e  il  marchese  Antonio  di 
Budini;  ministri  di  giustizia  il  Pironti  e  il  Yigliani;  ministro  dell*  istru- 
zione pubblica  il  Bargoni  ;  dei  lavori  pubblici  il  Mordini,  e  Marco  Minghetti 
ministro  deiragrìcoltura  con  Luigi  Luzzatti  segretario  generale,  che  contava 
ventott'anni,  ed  era  professore  di  economia  politica  neiristituto  tecnico  di 
Milano,  ed  enfatico  banditore  di  credito  e  di  cooperazione.  Il  ministero,  logoro 
dalle  crisi  e  dalle  lotte,  fii  abbattuto  nelVelezione  del  presidente  della  Camera, 
in  dicembre  del  1869,  e  sostituito  da  un  ministero  Lanza,  poiché  nella  lotta 
per  l'elezione  del  presidente  il  Lanza  venne  eletto  da  tutte  le  opposizioni, 
.contro  il  Mari,  candidato  del  ministero  e  della  Destra. 

Neiraprile  di  quell'anno  1868  si  compirono  a  Torino  con  lusso  di  feste,, 
ripetute  poi  a  Firenze,  le  nozze  fra  il  principe  di  Piemonte,  erede  della  Co- 
rona, e  sua  cugina  la  principessa  Margherita,  fresca  di  gioventù  e  di  bel- 
lezza, ricca  dì  talento  e  di  coltura;  e  nel  novembre  dell'anno  appresso^ 
nasceva  a  Napoli  l'erede  della  Corona,  cui  venne  dato  il  nome  dell'avo,  o 
tenuto  a  battesimo  dal  sindaco  Onglielmo  Capitelli.  Tutto  il  paese  fu  lieto  di 
quelle  nozze:  il  principe  contava  ventiquattro  anni,  e  la  principessa  noa 
aveva  compiuto  i  dieciassette. 

Il  ministero  Menabrea,  di  cui  fu  parte  principale  il  conte  Guglielmo  de 
Cambray-Digny,  ebbe  l'incontestabile  merito  di  restaurare  le  finanze,  appli- 
cando la  tassa  sul  macinato,  e  via  via  le  leggi  sulla  riscossione  delle  imposte, 
sulla  contabilità  dello  Stato  e  sulle  intendenze  di  finanza.  E  poiché  il  disa- 
vanzo era  sempre  forte,  e  i  fondi  pubblici  discesi  al  43,  il  Dignv  immagina 
anche  una  operazione  finanziaria,  con  cui  si  davano  in  pegno  i  tabacchi  ad  una 
Società  privata,  per  un  prestito  di  150  milioni.  A  quel  contratto,  che  gli  oppo- 
sitori giudicavano  rovinoso  per  lo  Stato,  si  ripeteva  aver  preso  parte  alcuni 
deputati  amici  del  ministero,  e  si  facevano  i  nomi  di  tre,  senza  mistero.  Il 
deputato  Lobbia  dichiarò  di  avere  le  prove  della  corruzione,  e  le  depose  in 
piego  chiuso  sul  banco  della  presidenza.  Poche  sere  dopo,  avvenne  che  quel 
deputato  fosse  aggredito  e  lievemente  ferito;  e  si  levò  gi*an  clamore,  afferman- 
dosi che  fosse  stato  il  ministero  e  i  suoi  amici  a  tentarne  l'assassinio,  ricono- 
sciuto più  tardi  simulato  da  una  sentenza  del  tribunale  di  Firenze,  confermata 
dalla  Corte  di  appello.  Una  inchiesta  parlamentare  venne  decisa,  e  ne  fu  presi- 
dente Giuseppe  Pisanelli  e  segretario  Giuseppe  Zanardelli.  La  Commissione 


SOMMARIO   DI   STORIA    POLITICA   E   AMMINISTRATIVA   d'iTALIA  19 

d^inchiesta,  che  fu  la  seconda,  dopo  quella  delle  ferrovie  meridionali,  tenne  pa- 
recchie sedute  pubbliche,  con  grande  solennità,  nel  salone  di  Palazzo  Vecchio; 
e  se  riconobbe  che  non  vi  erano  stati  atti  di  corruzione  e  di  indelicatezza  da 
parte  di  quei  deputati,  dichiarò  pure  che  qualche  documento  intimo  aveva  pro- 
dotto «  penosa  impressione  « .  Le  conclusioni  dell'inchiesta  parvero  non  ispirate 
ad  assoluta  giustizia,  ma  invece  ad  un  mezzo  termine,  il  quale,  lasciando 
ano  strascico  di  rancori  e  di  agitazioni,  prolungò  le  aspre  polemiche. 

Il  nuovo  ministero  si  costituì  il  14  dicembre  1869;  e  furono  ministri 
il  Lanza  alla  presidenza  e  all'  interno,  il  Visconti- Venosta  agli  esteri  ;  Matteo 
Baeli,  e  poi  il  De  Falco,  alla  giustizia;  il  Sella  alle  finanze;  il  Govone,  e 
poi  Cesare  Ricotti,  alla  guerra  ;  Guglielmo  Acton,  e  poi  Augusto  Bibotty,  alla 
marina;  Cesare  Correnti,  e  poi  Antonio  Scialoja,  all'istruzione;  Giuseppe 
Gadda,  e  poi  Giuseppe  Devincenzi,  ai  lavori  pubblici,  e  Stefano  Castagnola 
all'agricoltura.  Presidente  della  Camera  fu  eletto  Giuseppe  Biancherì,  depu- 
tato di  Centro  sinistro,  e  già  oppositore  di  Cavour,  ma  senza  acredine,  nel  Par- 
lamento subalpino,  e  amicissimo  del  Lanza.  La  numerosa  Sinistra  meridio- 
nale ebbe  la  sua  prima  rappresentanza  in  persona  di  Francesco  Levito,  no- 
minato s^retario  generale  al  ministero  di  agricoltura  ;  carica,  che  il  Levito 
non  tenne  a  lungo.  Alla  nuova  amministrazione  era  serbata  la  fortuna  dì 
portare  l'Italia  a  Roma,  senza  proteste,  nò  opposizioni  degli  Stati  cattolici;  ed 
ebbe  il  merito  incontestabile  di  aver  tenuta  neutrale  l'Italia  nel  tremendo 
conflitto  tra  la  Germania  e  la  Francia.  Le  condizioni  economiche  e  mili- 
tari nostre  eran  tali,  che  una  partecipazione  alla  guerra,  fortemente  voluta 
dal  re  Vittorio  Emanuele  e  da  alcuni  generali,  non  avrebbe  impedito  ciò 
che  purtroppo  avvenne:  che,  merco  un'azione  militare  proceduta  con  ful- 
minea rapidità,  dopo  soli  quarantacinque  giorni,  l'esercito  francese  veniva  scon- 
fitto a  Sédan,  l'Imperatore  era  fatto  prigioniero  e  l'Impero  napoleonico  crollava. 
Proclamata  la  repubblica  in  Francia,  la  Convenzione  di  settembre  non  aveva 
più  ragione  di  essere;  e  il  Governo  italiano  si  affrettò  a  compiere  il  pro- 
gramma nazionale,  ma  abilmente,  impedendo  ogni  tentativo  rivoluzionario, 
sia  da  parte  di  Mazzini  che  di  Garibaldi.  Mazzini  fu  arrestato  a  Palermo, 
e  condotto  nella  fortezza  di  Gaeta  ;  Garibaldi  non  si  mosse  da  Caprera.  Il 
proclama  nazionale  fu  compiuto  dalla  Monarchia  e  dal  suo  Governo  ;  e  V  im- 
presa militare,  da  uno  dei  generali  di  maggiore  moderazione  e  intelligenza. 
Il  ministero  s'illuse,  forse  anche  troppo,  che  la  Santa  Sede  avrebbe  ceduto 
senza  resistenza;  e  resistenza  vi  fu.  Le  mura  agguerrite  protrassero  di  cinque 
ore  una  inutile  difesa.  A  porta  Pia  venne  aperta  una  breccia  ;  e  per  essa  e 
per  la  porta  sfondata  dalle  artiglierie,  alle  10  antimeridiane  del  giorno  20 
settembre  1870,  le  truppe  nazionali  entrarono  in  Boma.  Il  generale,  che  con- 
giunse il  nome  suo  alla  storica  impresa,  onde  era  compiuta  l'unità  della 
patria,  fu  Baffaele  Cadorna. 


20  RAFFAELE    DE   CESARE 


Il  Parlamento  si  aprì  il  27  novembre  1871  nel  palazzo  di  Montecitorio: 
e  fu  spettacolo  grandioso,  che  non  hanno  dimenticato  i  superstiti.  Nessun 
discorso  della  Corona  ebbe  così  frenetico  successo.  Le  prime  parole  del  Be: 
«Topera  alla  quale  consacrammo  la  nostra  vita,  è  compiuta*,  suscitarono 
un  vero  delirio  di  applausi  e  di  grida.  Ma  a  Boma  vi  erano  difficoltà  spe- 
ciali da  superare;  e  innanzi  tutto  si  affacciava  quella  delle  corporazioni 
religiose  e  di  tutta  la  manomorta  ecclesiastica.  Con  grandissimo  tatto  il 
Parlamento  aveva  votato  la  legge  per  le  prerogative  del  Sommo  Pontefice, 
promulgata  a  Firenze  nel  maggio  del  1871  ;  legge  di  libertà  e  di  profondo  sa- 
pere politico,  e  la  cui  sostanza  era  identica  alle  offerte  fatte  da  Cavour  al  Pon- 
tefice e  ripetute  dal  Bicasoli  :  legge,  la  quale  nelle  fiere  lotte  combattute  tra 
la  Santa  Sede  e  la  nuova  Italia  nei  due  pontificati  di  Pio  IX  e  di  Leone  XIII, 
fu  Tarma  più  efficace  contro  le  intemperanze  clericali,  onde  il  Governo  e 
il  Parlamento,  anche  nei  momenti  più  difficili,  non  pensarono  mai  di  so- 
spenderla, né  di  ricorrere  a  misure  di  eccezione.  Tutto  il  mondo  liberale  rico- 
nobbe che  ritalia  non  poteva  fare  al  Papa  e  alla  Chiesa  concessioni  più 
larghe,  per  garantirne  la  libertà  e  T  indipendenza  nel  campo  spirituale.  E 
per  la  soppressione  della  manomorta,  così  numerosa  e  varia  di  orìgine  e  di 
scopi,  si  fece  una  legge  speciale,  non  improntata  a  fiscalità,  né  a  pregiudizi 
giacobini.  Venne  soppressa  sì,  ma  gradatamente  e  coi  riguardi  dovuti  alle 
esigenze  della  Chiesa  cattolica  e  dei  suoi  dommi,  nonché  al  culto  e  alla  be- 
neficenza. Della  prima  legge  fu  relatore  Francesco  Bestelli,  deputato  di  Gal- 
larate;  della  seconda,  Buggiero  Bonghi,  che  associò  il  suo  nome  e  la  sua 
«itraordinaria  dottrina  a  tutta  la  moderna  legislazione  ecclesiastica. 

Il  ministero  Lanza  cadde  nel  giugno  1873  sopra  alcuni  provvedimenti 
di  finanza,  domandati  dal  Sella.  Questi  chiedeva  un  terzo  decimo  sul  registro 
e  bollo  e  la  avocazione  allo  Stato  dei  quindici  centesimi  di  sovraimposta  sui 
fabbricati,  concessi  nel  1870  per  un  triennio.  Prive  le  provinole  di  tale 
risorsa,  se  ne  sarebbero  rivalute  sulla  fondiaria.  Il  Sella  si  prometteva  di 
ottenere  dai  due  provvedimenti  altri  32  milioni  ;  ma  essi  incontrarono  oppo- 
sizione a  Destra  ;  e  Bomualdo  Bonfadini  e  il  Minghetti,  in  eloquenti  discorsi, 
pregarono  il  Sella  di  non  insistere,  ma  egli  rispose  che  la  finanza  domandava 
nuovi  sacrifici,  richiesti  dall'aumento  delle  spese.  Fu  incrollabile,  dichiarando 
ohe  «  preferiva  morire  di  morte  violenta,  anziché  di  etisia  » .  Lamentò  di 
non  avere  più  la  fiducia  della  Camera;  e  ricordando  il  voto  sulFarsenale  di 
Taranto,  per  cui  il  ministero  si  era  trovato  in  minoranza,  disse:  «  dopo  Taranto, 
«  io  non  m' intendo  più  con  la  Camera  » .  Si  venne  al  voto  il  25  giugno,  e  il  mi- 
nistero fu  rovesciato  da  una  maggioranza  composta  da  tutta  la  Sinistm  e  da 
una  parte  della  Destra.  Il  di  seguente,  il  Lanza  annunziò  le  dimissioni  del  mi- 
nistero; e  il  12  luglio  il  Minghetti  compose  la  nuova  amministrazione,  formata 
da  lui,  presidente   del  Consiglio  e  ministro  delle  finanze;   dal   Cantelli  al- 


SOMMARIO    DI    STORTA    POLITICA    E    AMMINISTRATIVA    d'ITALIA  21 

r interno;  dal  Yigliani  alla  giustizia;  da  Silvio  Spaventa  ai  lavori  pubblici; 
dal  Saint-Bon  alla  marina  e  da  Gaspare  Finali  airagricoltura.  Dei  vecchi 
ministri  rimasero  il  Visconti -Venosta,  il  Ricotti  e  lo  Scialoja. 

Il  nuovo  gabinetto  non  era  saldo  parlamentarmente;  e  nel  novembre, 
del  1874  bandi  le  elezioni  generali,  dalle  quali  non  uscì  rafforzato.  Dopo  le 
elezioni,  si  tornò  a  parlare  di  un  connubio  fra  il  ministero  e  quella  parte 
della  Sinistra  detta  «  giovane  « ,  la  quale  mostrava  di  non  dividere  le  idee 
radicali  deiraltra  parte,  detta  «  storica  « .  Della  giovane  Sinistra  erano  mag- 
giori personaggi  il  Depretis,  il  De  Sanctis  e  il  De  Luca.  Urbano  Rattazzi, 
infermo  da  piili  tempo,  era  morto  Tanno  innanzi.  Il  connubio  non  si  fece; 
e  il  ministero,  che  aveva  presentato  inconsultamente  il  progetto  per  la  nullità 
degli  atti  non  registrati,  fu  battuto  dopo  limgo  e  assai  vivace  dibattito,  nel 
quale  assai  si  distinse  il  Mantellini,  capo  dell* avvocatura  erariale.  Anche  gli 
altri  giuristi  della  Destra,  col  Pisanelli  alla  testa,  erano  contrari  a  quel  pro- 
getto, e  inclinavano  invece  ad  una  larga  riforma  della  tassa  sul  macinato,  per 
cui,  mutandosi  il  criterio  della  riscossione,  si  sostituisse  al  contatore  altro  con- 
gegno meno  vessatorio,  e  più  sicuro  nei  suoi  risultati.  Ma  uno  dei  maggiori 
meriti  di  quel  ministero  fu  l'inizio  della  radicale  riforma  della  marina  da 
guerra  :  la  sostituzione,  cioè,  delle  grandi  navi  potenti  di  offesa  e  di  difesa, 
alle  navi  mezzane,  le  quali  non  avevano  fatto  buona  prova  a  Lìssa.  La  riforma 
allarmò  da  principio  :  ma  Teloquenza  e  la  dottrina  del  Saint-Bon  vinsero  i 
dubbt;  e  i  suoi  progetti  vennero  accolti  dal  Parlamento,  che  mostrò  fiducia 
neir audace  ministro. 

Ma  assai  maggiori  difBcoltà  furono  create  al  ministero  da  un'altra  circO" 
stanza.  Silvio  Spaventa,  che  aveva  altissima  Tidea  dello  Stato  e  assolute  le 
convinzioni  circa  i  doveri  di  esso,  prendendo  occasione  da  alcuni  dissidi  fra  il 
Governo  e  la  Società  delle  ferrovie  delTalta  Italia,  concepì  il  disegno  di 
riscattare  quelle  linee,  le  quali  erano  in  mano  di  una  Società  francese  rap- 
presentata da  Alfonso  e  Gustavo  Rothschild.  Lo  Spaventa  aveva  maturato 
tutto  un  piano  per  procedere  al  riscatto  generale  delle  ferrovie  italiane  ;  e  a 
quelle  dell* Alta  Italia  dovevano  far  seguito  le  linee  delle  Romane,  ridotte  a 
mal  partito,  e  il  cui  esercizio  lasciava  tutto  a  desiderare  :  linee  di  suprema 
importanza,  dopo  che  Roma  era  divenuta  Capitale  dltalia.  Al  riscatto  doveva 
naturalmente  accompagnarsi  Tesercizio  di  Stato  in  quel  modo  che  egli  rivelò 
nel  suo  mirabile  discoi^so,  quando  venne  discussa  alla  Camera  la  convenzione 
di  Basilea  da  lui  conclusa,  negoziatore  il  Sella,  per  il  riscatto  della  rete 
dell'Alta  Italia. 

Col  pretesto  di  tal  riscatto,  e  indispensabile  esercizio  governativo,  si  venne 
distaccando  dal  ministero  la  maggior  parte  della  deputazione  toscana,  quasi 
tutta  di  Destra,  in  nome  di  principi  economici  contrarii  all'accentramento 
nello  Stato  di  così  importanti  servizi  pubblici.  Ma  in  verità,  quella  deputazione, 
rimasta  malcontenta  pel  trasporto  della  Capitale  a  Roma,   era   fortemente 


^2  RAFFAELE   DE   CESARE 

agitata  dalla  gra^e  situazione  finanziaria  del  municipio  di  Firenze,  che  non 
poteva  più  pagare  i  suoi  debiti.  Il  ministero  Minghetti  ebbe  il  torto  di  non 
dare  alla  cosa  l'importanza  che  meritava;  e  quella  deputazione,  stringendo 
alleanza  coi  più  irrequieti  deputati  di  Sinistra  e  unendosi  a  quelli  del 
Centro,  col  Correnti  alla  testa,  contribuì  a  formare  la  maggioranza  contro  il 
ministero,  il  quale  cadde  nella  seduta  del  18  marzo  1876.  Il  ministero  fu 
battuto  non  sul  riscatto  delle  ferrovie,  né  sulle  riforme  amministrative  e 
tributarie,  ma  sopra  una  piccola  questione  o  pretesto  per  abusi  non  puniti 
e  piccole  vessazioni  non  represse  sulla  tassa  del  macinato.  Il  Minghetti 
parlò  con  meravigliosa  eloquenza  ;  annunziò  che  alla  fine,  dopo  tanti  sacrifici, 
era  raggiunto  il  pareggio  nel  bilancio  di  competenza,  con  un  avanzo  di 
dieci  milioni,  e  che  tutte  le  imposte  erano  in  aumento.  Chiese  un'ampia  di- 
scussione su  tutto  rindirizzo  politico  del  Governo  ;  riscosse  grandi  applausi 
anche  dalle  tribune  ;  ma  il  rinvio,  da  lui  proposto  sulla  mozione  per  il  ma- 
cinato, fu  respinto  con  242  voti  contro  181. 

Col  Minghetti  cadde  Tultimo  ministero  di  Destra  ;  e  la  Sinistra  fu  chia- 
mata al  governo.  Si  creava  un  nuovo  ordine  di  cose,  che  a  molti  non  pareva 
duraturo.  Agostino  Depretis,  incaricato  di  formare  il  ministero,  ritenne  lui 
le  finanze  e  afSdò  gli  affari  esteri  ad  Amedeo  Melegari;  Tinterno  a  Gio- 
vanni Nicotera  ;  la  giustizia  a  Pasquale  Stanislao  Mancini  ;  i  lavori  pubblici 
a  Giuseppe  Zanardelli;  la  guerra  al  generale  Luigi  Mezzacapo;  la  maiìna 
a  Benedetto  Brin;  Tistruzione  a  Michele  Ceppino,  e  Ts^ricoltura  a  Salva- 
tore Majorana  Calatabiano.  Ministero  di  pura  Sinistra,  con  marcata  esclusione 
degli  alleati  di  Desti-a  e  del  Centro.  Al  Correnti  fu  dato  il  ministero  dei 
SS.  Maurizio  e  Lazzaro  ;  e  al  municipio  di  Firenze  quarantanove  milioni  per 
rimettere  la  sua  finanza. 

Il  nuovo  ministero  aveva  contro  di  sé  Topera  del  suo  partito  in  tanti 
anni  di  opposizione  negativa  ;  ma,  guidatp  da  un  uomo  di  molta  esperienza  e 
di  scettica  furberia,  fece  un  programma  piuttosto  moderato,  anzi  punto  aliar* 
mante  in  fatto  di  finanza,  che  condensò  nella  frase  :  «  né  una  lira  di  più,  né 
una  lira  di  meno  » .  Ma  nel  mutare,  anzi  per  essere  più  esatti,  nello  scon- 
volgere Tamministrazione,  non  ebbe  affatto  misura.  I  prefetti  delle  grandi 
Provincie  dettero  le  dimissioni  ;  gli  altri  tutti  cambiarono  di  residenza;  e  così 
pure  avvenne  nelle  altre  amministrazioni  dello  Stato.  Parecchi  generali  furono 
collocati  a  riposo:  e  fra  gli  altri,  il  Cadorna,  il  Petitti,  il  Valfré  e  il  Carini; 
vennero  nominati  nuovi  senatori  ;  e  pochi  mesi  dopo  fu  sciolta  la  Camera  dei  de- 
putati. Le  elezioni  del  novembre  1876  segnarono  quasi  la  fine  della  Destra.  Il 
ministero  ne  combattette  gli  uomini  maggiori  e  minori,  con  una  violenza  tanto 
più  deplorevole,  quanto  non  necessaria.  Il  paese,  soprattutto  il  Mezzogiorno, 
aveva  salutato  con  puerili  entusiasmi  quella  mutazione  politica,  tanto  che,  sopra 
dugento  deputati,  ne  riuscirono  solo  quattro  di  Destra:  Donato  Morelli  a 


SOMMARIO   DI   STORIA   POLITICA    E   AMMINISTRATIVA   d' ITALIA  28 

Bogliano  e  Giuseppe  Ceci  ad  Andrìa;  ed  in  Sicilia,  il  Di  Budini  a  Cani- 
catti,  e  Calcedonio  Inghilleri  a  Monreale.  Cadde  il  Visconti-Venosta  a  Treviso; 
cadde  il  Minghetti  a  Bologna,  ma  potè  restare  alla  Camera  perchè  eletto  a  Le- 
gnago.  Silvio  Spaventa  tornò  deputato,  ma  da  Bergamo  ;  Bonghi,  da  Cone- 
gliano  ;  Massari,  da  Foligno  ;  Pisanelli,  da  Manduria,  e  altri  non  tornarono  più, 
così  che  i  ministeri  successivi  furono  tutti  di  Sinistra,  sino  al  noto  *  trasfor- 
mismo «  iniziato  dal  Depretis  e  mal  seguito  dai  successori  suoi,  nessuno  escluso. 
Ma  quel  primo  ministero  di  Sinistra  visse  una  vita  assai  agitata,  per 
r irrequietezza  quasi  morbosa  del  ministro  deirinterno,  che  prodigava  fiivori 
agli  amici,  non  concedeva  quartiere  agli  avversari,  commetteva  molte  legge- 
rezze, flit  le  quali  levò  scandalo  la  concessione  di  oltre  settanta  alte  deco- 
razioni, con  un  sol  decreto,  ad  altrettanti  deputati .  della  maggioranza,  e 
da  lui  stesso  ostentatamente  distribuite  al  palazzo  Braschi.  A  quei  deputati 
egli  concedeva  il  premio  del  voto  favorevole  da  essi  dato  alla  tassa  sugli 
zuccheri.  Per  tali  leggerezze  e  imprudenze,  e  per  altre  ancora,  furono  mosse 
interpellanze  alla  Camera,  e  il  ministero  subì  una  prima  mutazione.  Ne  usci- 
rono il  Nicotera  e  il  Melegari,  come  ne  era  uscito  poco  tempo  prima  lo  Za- 
nardelli;  e  vi  entrarono  Francesco  Crìspi,  che  andò  air  intemo,  Agostino  Ma- 
gliani  alle  finanze.  Angelo  Bargoni  al  tesoro  e  Francesco  Perez  ai  lavori  pub- 
blici. Il  Depretis  passò  al  ministero  degli  esteri.  La  ricostituzione  del  gabi- 
netto avvenne  il  26  dicembre;  e  il  9  gennaio  successivo  morì,  dopo  breve 
infermità,  Vittorio  Emanuele.  L*  Italia  sentì  di  perdere  la  sua  maggior  forza 
morale  airintemo  e  air  estero.  Il  suo  funerale  fu  un'apoteosi,  e  venne,  senza 
iperbole,  paragonato  a  quello  di  Germanico  descritto  da  Tacito.  Tutte  le  Po- 
tenze vi  si  fecero  rappresentare.  Il  Gran  Be  fu  sepolto  nel  Pantheon.  Quattro 
giorni  prima  em  morto  a  Firenze,  quasi  nell'oblìo,  il  generale  Lamarmora. 


Regno  di  Umberto  I. 

La  successione  al  trono  si  compì  con  rapidità  e  nel  maggior  ordine; 
e  il  merito  ne  va  dovuto  al  Crispi,  ministro  dell'interno.  Il  nuovo  Be  prestò 
giuramento  nell'aula  di  Montecitorio,  e  il  discorso  destò  profonda  commozione. 
Il  Crispi  aveva  concenti*ato  in  sé  quasi  tutti  i  poteri  dello  Stato,  e  se  ne 
avvalse,  con  grande  energia  e  non  minore  fortuna,  un  mese  dopo,  quando  morì 
Pio  IX.  Il  Papa  più  sentimentale  e  più  impulsivo  che  conti  il  pontificato 
romano,  e  che  governò  la  Chiesa  per  trentadue  anni,  e  il  cui  nome  è  associato  alle 
maggiori  vicende  della  storia  nostra,  seguì  nella  tomba  il  primo  Be  d' Italia, 
a  soli  ventotto  giorni  di  distanza.  Non  erano  poche  le  preoccupazioni  fum 
d' Italia  circa  il  Conclave.  Non  si  sapeva  se  esso  avrebbe  avuto  luogo  a  Boma, 
0  in  una  città  di  Spagna  o  di  Austria.  Il  ministero  fece  sapere  che  avrebbe  garan- 
tito la  libertà  dell'elezione,  nonché  la  sicurezza  dei  Padri  ;  e  tenne  l'impegno. 


■24  .  .      RAFFAELE    DE   CESARE 


Giammai,  forse,  elezione  papale  si  compì  in  tanta  tranquillità  e  indipendenza; 
e  addì  20  febbraio,  dopo  soli  tre  giorni  di  Conclave,  fu  eletto  Papa  il  cardi- 
nale Gioacchino  Pecci,  che  prese  il  nome  di  Leone  XIII.  Furono  fatti  lieti 
•prognostici  circa  le  disposizioni  d*animo  del  nuovo  pontefice  rispetto  airitalia; 
si  ricordava  il  suo  lungo  governo  episcopale  di  Perugia,  nonché  la  mo- 
derazione, di  cui  aveva  dato  prova  ;  e  se  ne  decantava  la  coltura  umanistica. 
I  documenti  di  quella  elezione,  la  prima  che  avesse  luogo  a  Roma,  in  con- 
jdizioni  storicamente  nuove,  furono  da  me  raccolti  nella  storia  che  scrissi  di  quel 
Conclave.  Ma  ben  presto  si  verificarono  le  delusioni  circa  il  nuovo  Papa  ;  anzi 
-la  prima  fa  questa:  che,  mentre  una  immensa  folla  gremiva  la  piazza  di 
•San  Pietro  per  assistere  alla  benedizione,  ch*egli  avrebbe  dato,  secondo  il 
vecchio  costume,  dalla  loggia  esterna  della  Basilica,  il  nuovo  pontefice  pre- 
ferì darla  dalla  loggia  interna. ,  Leone  XIII  nominò  il  cardinale  Alessandro 
branchi  segretario  di  Stato  ;  e  nel  governo  della  Chiesa  cominciò  a  rivelare 
indirizzo  diverso  da  quello  di  Pio  IX,  e  anche  nella  scelta  degli  uomini; 
ma,  per  quanto  concerneva  Tltalia,  Tindirizzo  restò  immutato  sino  al  giorno 
della  sua  morte. 

Non  ostante  il  buon  governo  fatto  dal  ministero  nei  due  avvenimenti 
riferiti,  scoppiò  una  crisi  impreveduta,  non  pai'lamentare,  né  politica.  Per 
EAgioni  affatto  intime  fu  necessario  al  Crispi,  che  di  quel  ministero  era  la 
maggior  forza,  dimettersi.  Il  Depretis  assunse  il  portafoglio  dell* intemo; 
ma,  pochi  giorni  dopo,  nel  marzo,  rassegnava  le  dimissioni  di  tutto  il 
ministero,  considerata,  egli  disse,  la  situazione  parlamentare  e  la  elezione 
del  nuovo  presidente  della  Camera  in  persona  di  Benedetto  Cairoli.  Questi 
fu  incaricato  di  comporre  il  nuovo  ministero;  e  lo  formò,  dando  il  portafoglio 
deirinterno  a  Giuseppe  Zanardelli;  gli  esteri  al  conte  Luigi  Corti;  la  giu- 
stizia al  Conforti;  le  finanze  e  il  tesoro  al  deputato  Federico  Seismit-Doda;  al 
generale  Bruzzo,  e  poi  al  generale  Bonelli,  la  guerra;  air  ammiraglio  di  Broc- 
chetti,  e  poi  al  Brin,  la  marina  ;  al  De  Sanctis  Tistruzione  ;  al  deputato  Alfredo 
Baccarini  i  lavori  pubblici,  e  al  senatore  Enrico  Pessina  ragricoitura. 

Questo  primo  ministero  Cairoli  nacque  con  le  simpatie  della  Destra, 
perchè  esso  afiidava  di  governare  senza  violenze,  né  spiiito  di  parte,  onde  si  era 
malamente  distinto  il  primo  ministero  di  Sinistra.  Nel  suo  programma  pro- 
metteva la  riforma  tributaria  e  la  riforma  elettorale,  dichiarando  che  questa 
era  «  un  pegno  d*onore  »  per  esso  ;  prometteva  la  ricostituzione  del  ministero  di 
agricoltiua,  soppresso  dal  Crispi.  Un  ministero,  disse  il  Cairoli,  creato  con 
legge,  non  può  sopprimersi  con  decreto  reale,  e  concordava  con  Silvio  Spa- 
venta, il  quale  pronunciò  un  notevole  discorso  sulFargomento.  E  poiché  il 
macinato  era  sempre  il  maggior  oggetto  delle  riforme  finanziarie,  e  le  con- 
dizioni dell'erario  non  ne  permettevano  Vabolizione,  il  ministero  lasciò  sperare 
la  sostituzione  del  pesatore  al  contatore,  che  il  Depretis  aveva  promessa,  ma 
non  mantenuta. 


SOMMARIO   DI   STORIA    POLITICA    E    AMMINISTRATIVA   d'iTALIA  23 

Il  ministero  Cairoli  goverDava  col  favore  della  parte  estrema  della  Si- 
nistra, molto  ad  essa  concedendo  circa  l'indirizzo  della  politica  intema,  che 
yeniya  vìa  vìa  allarmando  gli  spiriti  conservatori,  e  più  quella  parte  della 
Sinistra  raccolta  intorno  al  Depretis.  Le  due  disgrazie  di  quel  ministero 
furono  il  Congresso  di  Berlino,  e  l'attentato  contro  la  vita  del  Be,  a  Napoli. 
Al  Congresso  di  Berlino,  del  quale  fu  grande  manipolatore  il  principe  di 
Bismarck,  l'Italia  rappresentò  una  parte  puramente  passiva  :  il  Governo  non 
seppe  intenderne  l'importanza,  né  penetrare  gli  accordi  del  dietroscena,  per  i 
quali  si  dava  alla  Francia  pie'  libero  in  Tunisia;  all'Austria  il  possesso  prov- 
visorio della  Bosnia  e  dell'Erzegovina,  che  poi  divenne  definitivo,  e  l'isola  di 
Cipro  all'Inghilterra.  Ma  ciò  che  parve  addirittura  inverosimile,  fu  questo, 
che  il  ministero  si  die'  merito  di  quella  politica,  chiamandola  delle  mani 
nette,  nel  tempo  stesso  che  con  pretesti  e  menzogne  la  Francia  si  avviava 
a  Tunisi  e  vi  s'installava,  iniziando  tutto  un  lavoro  di  sostituzioni  delle 
influenze  sue  alle  italiane,  aiutata  dalla  Santa  Sede  e  dalle  coi*porazioni  re- 
ligiose, col  cardinal  Lavigerie  alla  testa.  L'esasperazione  nazionale  contro 
la  Francia  e  contro  il  ministero  toccò  il  colmo  in  quella  circostanza. 

Nel  novembre  di  quell'anno  stesso  avvenne  di  peggio.  Reduci  da  un  viaggio 
nelle  Provincie  meridionali,  il  Be  e  la  Regina  andarono  a  Napoli  ;  e  in  via  Car- 
riera Orando  un  insensato  si  accostò  alla  carrozza  reale,  e  vibrò  alcuni  colpi  di 
coltello  al  Be,  che  per  fortuna  restò  incolume.  Il  Cairoli,  il  quale  era  nella 
vettura  reale,  cercò  difendere  il  Sovrano,  e  fu  ferito.  Orandìssìma  la  com- 
mozione a  Napoli  e  in  tutta  Italia,  anzi  in  tutto  il  mondo  civile.  Il  ministero 
era  accusato  d'imprevidenza;  e  il  delitto  ritenuto  come  l'effetto  più  naturale 
delle  dottrine  sue.  Gravi  dispute  alla  Camera.  Lo  Zanardelli,  principalmente 
preso  di  mira,  si  difese  con  forense  abilità,  distinguendo  fra  la  politica  del 
prevenire  e  quella  del  reprimere,  e  dichiarandosi  fautore  della  seconda.  Il  mini- 
stero fu  rovesciato;  e  il  Depretis  ebbe  l'incarico  di  formare  il  nuovo  gabinetto. 
Furono  ministri  con  lui,  che  tenne  il  portafoglio  dell' interno,  Diego  Tajani  per  la 
giustizia;  Agostino  Magliani  per  le  finanze  e  il  tesoro;  il  generale  Mazè  de  la 
Roche  per  la  guerra  ;  Nicolò  Ferracciù  per  la  marina;  il  Ceppino  per  Tistruzione  ; 
il  deputato  Mezzanotte  per  1  lavori  pu1)blici.  Il  Majorana  tornò  ministro  della 
agricoltura. 

Questo  ministero  fu  di  breve  durata  ;  anzi  s'iniziò  un  piccolo  giuoco  di 
altalena,  che  durò  due  anni,  fra  il  Cairoli  e  il  Depretis,  prima  da  soli  a 
presiedere  i  propri  ministeri,  e  poi  insieme.  Il  Cairoli,  nel  luglio  del  1879 
tornò  al  governo,  col  Villa  all'interno,  il  Vare  alla  giustizia,  il  Grimaldi  alle 
finanze  e  al  tesoro,  il  Bonelli  alla  guerra  e  alla  marina,  il  Perez  all'istruzione, 
e  il  Bacoarini  ai  lavori  pubblici.  Ma  neppure  questo  ministero  ebbe  vita 
lunga;  e  il  Cairoli  tentò  un  rimpasto  col  Depretis,  che  andò  all'interno.  Du- 
rarono insieme  fino  al  1881,  nel  quale  anno  il  Depretis  si  disfece  del  Cairoli,  e 


26  RAFFAELE   DE   CESARE 


tornò  solo  a  capo  del  ministero,  col  Mancini  agli  esteri  ;  lo  Zanardelli  alla  giu- 
stizia; il  Magliani  alle  finanze  e  al  tesoro;  il  generale  Ferrerò  alla  guerra;  Tarn- 
miraglio  Ferdinando  Acton  alla  marina;  il  deputato  Genala  ai  lavori  pubblici, 
e  il  Berti  all'agricoltura.  Ministero  con  tinta  conservatrice,  e  di  maggiore 
autorità  dei  precedenti  gabinetti  di  Sinistra.  Ad  esso  non  sfuggiva  la  gravità 
della  situazione  nei  rapporti  con  la  Francia,  divenuti  apertamente  ostili.  La 
Francia  si  era  insediata  a  Tunisi  e  mostravasi  pronta  ad  attaccar  briga,  se 
r Italia  avesse  insistito  nelle  sue  pretese  sulla  Beggenza.  Alla  Francia  era 
riuscito  tirare  dalla  sua  Leone  XIII,  non  mai  stanco  di  reclamare  la  sua  indi- 
pendenza territoriale,  che  confidava  riprendere  in  una  guerra  europea,  e  la  cui 
diplomazia  lavorava  a  tale  intento.  La  Francia  ne  alimentava  le  illusioni.  Fu  in 
tale  situazione  politica  che  il  Mancini  concepì  il  disegno  di  un*alleanza  fra 
ritalia,  la  Qermania  e  TAustria  Ungheria:  alleanza  puramente  difensiva,  diretta 
a  garantire  la  pace  e  lo  statu  quo»  Stipulata  nel  maggio  del  1882,  dopo  un 
viaggio  del  Be  a  Vienna,  venne  rinnovata  neiraprile  del  1887  dal  Bobilant, 
ministro  degli  esteri,  succeduto  al  Mancini  ;  e  poi  dal  primo  ministero  Di  Bu- 
dini nel  1891;  e  infine  nel  1902  da  Giulio  Prinetti,  ministro  degli  esteri 
nel  gabinetto  Zanardelli,  per  dodici  anni.  Scadrà  nel  1914. 

Allo  stesso  ministero  Depretis-Mancini  fu  mosso  rimprovero,  certo  non 
privo  di  consistenza,  che  il  Governo  italiano  rifiutasse  Tinvito  delllnghilterra 
di  prendere  parte  alFoocupazione  dell'Egitto  per  rimettervi  l'ordine,  turbato 
da  una  sommossa  civile  e  religiosa  ;  ma  vero  invito  non  fu  fatto.  Lord  Gran- 
ville,  parlando  al  Nigra,  allora  ambasciatore  a  Londra,  della  necessità  in  cui  si 
trovava  l'Egitto  di  sgombrare  i  suoi  possedimenti  del  mar  Bosso,  lasciò  in- 
tendere se  l'Italia  non  «  dovesse  profittare  delloccasione  ».  Il  Nigra,  rife- 
rendo qnesto  colloquio  del  Granville,  non  manifestava  l'opinione  sua.  Mancini 
e  Depretis  avrebbero  sentito  il  consiglio  del  Bicotti,  ministro  della  guerra,  circa 
le  condizioni  dell'esercito,  e  non  ne  sarebbero  stati  confortati.  Si  era  nella  estate 
del  1888;  e  il  ministero,  che  non  seppe  o  non  potè  profittare  di  quell'occasione, 
poco  tempo  dopo,  incalzato  dagli  avvenimenti  d'Africa  dopo  l'eccidio  della 
spedizione  di  Gustavo  Bianchi  nell'autunno  del  1884,  alla  vigilia  della  ria- 
pertura del  Parlamento,  decise  la  spedizione  a  Massaua,  piccolo  possesso 
turco  sul  mar  Bosso,  privo  di  ogni  risorsa,  e  dì  clima  malsano  per  gli  este- 
nuanti calori  :  da  Massaua  si  sarebbe  dovuto  penetrare  nell'Harrar,  si  diceva. 
Al  Mancini  fu  attribuita  la  frase  che  nel  mar  Bosso  si  sarebbero  trovate  le 
chiavi  del  Mediterraneo. 

Le  interpellanze  circa  il  non  accolto  invito  di  andare  in  Egitto,  benché  fatto 
nella  forma  che  si  è  detto;  l'eccidio  della  spedizione  del  Bianchi  e" la  febbre  ge- 
nerale, manifestatasi  in  Europa,  di  nuove  e  audaci  avventure  in  Africa,  decisero 
dunque  la  spedizione  a  Massaua,  la  quale,  per  la  imprecisione  degli  scopi 
e  il  modo  misterioso  con  cui  fu  allestita,  non  sollevò  entusiasmi  ;  anzi,  dal 
primo  giorno,  il  partito  avanzato  e  quanti  erano  avversi  al  ministero  trova- 


SOMMARIO   DI  STORTA   POLITICA    E    AMMINISTRATIVA   d'iTALIA  27 

rono  in  essa  naoye  cause  o  pretesti  di  viraci  attacchi  al  decadente  Depretis, 
che  alla  spedizione  si  era  deciso  di  mala  voglia,  quasi  con  rincrescimento. 
Alla  Camera  l'opposizione  era  guidata  dai  cinque  deputati  di  maggior  se- 
guito nella  Sinistra,  già  (*>olleghi  del  Depretis  nei  ministeri  precedenti  ;  anzi 
lo  Zanardelli  ed  il  Baccarini  ne  erano  usciti  nella  crisi  del  maggio  1883, 
sostituiti,  il  primo  da  Bernardo  Giannuzzi  Savelli,  magistrato  di  gran  nome, 
e  il  secondo  dal  Genala,  ritenuto  il  più  atto  a  far  le  convenzioni  per  Teser- 
cizio  delle  strade  ferrate,  che  il  Depretis  voleva  ad  ogni  costo.  Gli  altri  tre, 
dei  cinque  che  costituirono  quella  che  fu  chiamata  «  pentarchia  « ,  erano  il 
Grispi,  il  Cairoli  e  il  Nicotera.  Il  Depretis,  cui  veniva  meno  Tappoggio  di 
questi  suoi  ex-coUeghi,  che  non  voleva  riavere  nel  Governo,  iniziò  e  compì 
quello  che  con  barbara  parola  fu  detto  «  trasformismo  »  ;  e  così  egli  cercò  a 
Destra,  tra  i  suoi  antichi  avversari,  queirappoggio  che  perdeva  a  Sinistra, 
ma  concedendo  politicamente  quasi  nulla  ai  nuovi  alleati,  che  pur  gli  davano 
fin  troppe  prove  di  abnegazione.  Unica  concessione  parve  la  nomina  del  Ricotti 
a  ministro  della  guerra,  e  poi  del  Bertele- Viale  e  del  Robilant  agli  esteri.  Per 
effetto  del  trasformismo  si  videro  inaugurati  due  sistemi  di  governo  :  uno  con  le 
riprese  tradizioni  del  partito  moderato  neiralta  Italia,  benché  timidamente, 
quasi  senza  parere;  e  un  altro  nelle  Provincie  meridionali,  dove  seguitarono 
ad  imperversare  Tioframmettenza  parlamentare  e  gli  stessi  sistemi  corruttori. 
Fu  anche  per  questo,  che  il  trasformismo  non  ebbe  fautori  tra  i  pochi  de- 
putati di  Destra  di  quelle  Provincie.  Silvio  Spaventa  vi  era  apertamente 
avverso;  ed  il  Di  Budini,  il  Barracco,  il  Serena,  Tlnghilleri  e  il  Morelli 
con  lui.  Il  Bonghi  non  vi  era  contrario,  perchè,  scrivendo  nella  Perseveranza^ 
risentiva  l'ambiente  milanese;  ma  faceva  spesso  rilevare  con  pungente  sar- 
casmo la  differenza  dei  due  sistemi  di  governo,  che  si  accentuò  nelle  elezioni 
generali  del  1886,  quando  il  Depretis  favorì  non  pochi  candidati  moderati 
nell'alta  e  nella  media  Italia,  che  si  dichiaravano  ministeriali,  e  combattè 
acremente  ogni  candidatura  di  Destra  nel  Mezzogiorno. 

Il  trasformismo  segnò  la  rovina  dei  vecchi  partiti  parlamentari  cn^. 
del  carattere  politico.  La  Destra  e  la  Sinistra,  abbandonate  le  antiche! 
non  ingloriose  tradizioni,  presero  ad  alimentarsi  di  tornaconti  ed  egoismi 
del  momento.  I  futuri  ministeri  perdettero  via  via  ogni  vero  colore  di 
partito,  e  le  elezioni  generali  non  fhrono  più  &tte  con  guida  di  principi 
e  di  convinzioni,  ma  di  accomodamenti  e  tornaconti  personali  col  ministero 
che  le  bandiva.  L'opposizione  costituzionale  quasi  disparve  dal  Parlamento; 
e  unica  opposizione  restò  la  repubblicana,  guidata  dal  Cavallotti,  dal- 
l'Imbrianì,  dal  Pantano  e  dal  Colajanni;  poi  la  socialista,  col  Ferri,  il 
decotti  e  il  Turati.  La  pentarchia  stette  insieme  sino  alla  crisi  del 
4  aprile  1887,  quando  il  Depretis,  sentendosi  mancare  le  forze,  e  non  più 
reggendo  agli  assalti  dell'opposizione  dopo  il  disastro  di  Dogali,  richiamò 


28  RAFFAELE   DE   CESARE 


nel  ministero  il  Crispi  e  lo  Zanardellì,  ridando  al  prinfio  il  portafoglio  del- 
Tinterno  e  Yinferim  degli  esteri  ;  la  giustizia  al  secondo,  ed  al  Saracco  i 
lavori  pubblici.  Parve  an  ministero  più  resistente,  e  Io  fu  dopo  la  morte 
del  Depretis,  avvenuta  il  29  luglio  1887.  Il  Crispi,  cumulando  la  presidenza, 
Tinterno  e  gli  esteri,  impresse  un'azione  più  vigorosa  al  Governo  e  alla  po- 
litica coloniale,  ma  rese  più  acuto  il  dissidio  col  Vaticano,  dopo  che  si 
era  mostrato  disposto  ad  un*intesa  col  Papa,  e  dopo  aver  trattato,  mercè 
il  tramite  del  padre  Tosti,  non  sulla  base  di  una  conciliazione  politica,  ma 
su  quella  di  concessioni  parziali  dirette  ad  attenuare  il  dissidio.  È  da  ri- 
cordare il  gran  rumore  che  levò  Topuscolo  del  padre  Tosti  su  questo  argo- 
mento, e  come  il  Vaticano  smentisse  ogni  trattativa  bruscamente  e  obbligasse 
ril lustre  benedettino  a  ritrattarsi. 

Il  Robilant,  prima  di  lasciare  il  Governo,  aveva  rinnovato  la  triplice 
alleanza.  Egli,  non  africanista,  accettò  di  essere  ministro  degli  esteri,  solo 
per  ubbidienza  al  Re.  Non  era  un  parlamentare;  e  la  nessuna  pratióa  di 
discorrere  in  pubblico  gli  suscitò  nella  Camera  non  dimenticate  tempeste. 
Si  aggiunse  la  fallita  missione  del  generale  Giorgio  Pozzolini  presso  il  Negus 
Giovanni.  Il  Robilant,  che  presentiva  il  grave  pericolo  di  una  rottura  coii 
l'Abissinia,  potente  d'armi  e  fiera  della  propria  indipendenza,  decise  di  man- 
dare una  deputazione  diplomatica  a  queir  Imperatore,  per  dissipare  gli  equi- 
voci e  propiziarlo  all'Italia;  ma  la  deputazione,  con  a  capo  il  Pozzolini, 
non  potè  vedere  il  Negus,  per  intrigo,  si  disse,  della  Russia.  Il  Robilant 
stette  al  Governo  meno  di  due  anni;  e  rimastone  fuori  nella  crisi  del  l'aprile 
del  1887,  andò  ambasciatore  a  Londra,  dove  morì  neirottobre  del  1888. 

Negli  anni  che  corsero  dal  1870  al  1890,  furono  parecchi  gli  avveni- 
menti degni  di  nota,  lieti  e  tristi.  Il  colera  a  Busca,  e  quello  più  tre- 
mendo a  Napoli,  a  Palermo  e  a  Messina;  il  terremoto  di  Casamicciola ; 
le  eruzioni  devastatrici  dell'Etna  e  del  Vesuvio;  i  cicloni,  le  alluvioni,  e 
le  tempeste  nelVItalia  settentrionale.  A  Casamicciola,  a  Busca  e  a  Napoli 
corse  Umberto  I,  dando  prova  di  vera  grandezza  d'animo  e  concorrendo  con 
r esempio  suo  a  dar  coraggio  alle  popolazioni  atterrite.  A  Napoli  gli  fu 
compagno  quell'arcivescovo,  cardinal  San  felice,  che,  nell'adempimento  del 
dovere  cristiano,  dimenticò  ogni  dissidio  fra  Chiesa  e  Stato,  e  si  unì  al 
Re  nella  grande  opera  di  misericordia.  Le  condizioni  inverosimili  di  tanta 
parte  della  città  apparvero  in  tutto  il  loro  desolante  squallore,  onde  nel  Re 
e  nei  ministri  che  lo  accompagnavano,  e  negli  altri  personaggi  e  soprattutto  nel 
sindaco  Nicola  Amore,  si  maturò  il  proposito  di  distruggere  le  vergogne  e 
le  sozzure  dei  bassi  quartieri  della  città;  di  costruire  abitazioni  sane  ed  a 
buon  mercato  per  la  povera  gente;  di  squarciare  quel  lurido  labirinto  di  chias- 
suoli e  di  fondachi,  facendovi  penetrare  la  luce  e  la  vita  ;  di  chiedere  allo  Stato 
l'esecuzione  dell'opera,  che  venne  detta  del  Risanamento.  Cento  milioni  fu- 
rono concessi  dal  Parlamento;  ma  nell'esecuzione  si  perde'  di  vista  il  concetto 


SOMMARIO    DI   STORIA   POLITICA    E    AMMINISTRATIVA    d'iTALIA  29 

informatore,  e  si  compi  un'opera  edilizia,  non  sociale  e  tntt* altro  che  com- 
pleta. Le  case  per  la  povera  gente  non  si  costruirono  ;  e  questa,  che  a  Na- 
poli rappresenta  non  meno  di  due  quinti  della  popolazione,  cacciata  dalle 
vecchie  tane,  fetide  sì,  ma  a  buon  mercato,  si  accatastò  peggio  di  prima  a 
destra  e  a  sinistra  delle  nuove  fabbriche.  Ma,  nonostante  tale  errore  di  mas- 
sima, le  condizioni  igieniche  della  città  grandemente  migliorarono,  per 
effetto  soprattutto  delle  acque  sane  e  fresche  di  Scrino,  che  vi  furono  con- 
dotte in  gran  copia  e  inaugurate  con  pubbliche  feste. 

Il  2  giugno  1882,  alle  6  e  venti  minuti  di  sera,  morì  a  Caprera  Giu- 
seppe Garibaldi.  Benché  da  qualche  anno  la  memoria  di  lui  non  fosse  più 
cosi  viva  negli  animi  degl*  italiani,  la  sua  morte  destò  profonda  commozione. 
Ultimo  della  triade,  che  fece  l'uaità  italiana,  Garibaldi  assistette  ancor 
vivo  alla  propria  apoteosi.  Mori  su  quella  rude  roccia  dell'arcipelago  della 
Maddalena,  da  lui  acquistata  sin  dal  1856,  dove  ampliò  lo  stazzo  primitivo,  che 
sembra  Tabituro  di  un  romito,  e  che  oggi  si  visita  con  curiosità  e  reverenza. 
Morì  a  75  anni.  Cavour  ne  contava  51,  e  Vittorio  Emanuele  60,  quando  spa- 
rirono dalla  scena  del  mondo.  Garibaldi  aveva  disposto  per  la  cremazione  della 
sua  salma,  ma  la  volontà  di  lui  non  venne  rispettata.  Il  corpo  fu  chiuso  in 
un  sarcofago  di  granito  di  Caprera,  e  questo  collocato  a  pochi  passi  dalla 
casa  bianca,  in  un  romantico  viale,  tra  fiorì  e  ulivi.  Tre  mesi  prima  era 
morto  a  Boma,  in  una  modesta  camera  d'albergo,  Giovanni  Lanza,  com- 
memorato da  Silvio  Spaventa  in  un  nobile  discorso  a  Casale  Monft;rrato. 
E  tre  anni  appresso,  nel  marzo  del  1885,  a  un  giorno  di  distanza,  mori- 
rono Giuseppe  Massari  e  Quintino  Sella.  Al  Sella,  fondatore  dell* Accademia 
dei  Lincei,  che  presiedette  finché  visse,  fu  innalzato  un  monumento  in  Boma;  e 
al  Massari  i  concittadini  e  gli  amici  ne  eressero  uno  più  modesto  nella  città 
nativa.  Nel  dicembre  deiranno  seguente  morì  Marco  Minghetti,  il  quale, 
con  nobile  orgoglio,  aveva  disposto  di  non  voler  commemorazioni  uflBciali. 
Egli  sentiva  di  lasciare  troppi  gloriosi  ricordi  di  sé,  come  uomo  di  Stato  e 
come  scrittore,  per  aver  bisogno  di  rimpianti  convenzionali.  Il  Parlamento  gli 
votò  un  monumento  a  Boma,  e  il  municipio  di  Bologna  altro  monumento  nella 
città  nativa.  E  Tanno  appresso  morirono  a  Napoli  nella  villa  di  Capodimonte, 
a  cinque  mesi  di  distanza.  Pasquale  Stanislao  Mancini  e  Benedetto  Cairoli. 

Tra  gli  avvenimenti  lieti  vanno  ricordate  le  Esposizioni  nazionali  del 
1881  a  Milano,  del  1884  a  Torino  e  del  1892  a  Palermo,  le  quali  rive- 
larono i  grandi  progressi  economici  deiritalia  nelle  sue  varie  regioni;  l'inizio 
del  grande  monumento  in  Campidoglio  a  Vittorio  Emanuele  e  il  pellegri- 
naggio nazionale  alla  sua  tomba.  E  se  i  limiti  di  questo  sommario  non  fos- 
sero così  rigorosamente  prescritti,  dovrei  ricordare  le  rumorose  e  bizzarre  vi- 
cende giornalistiche,  elettorali  e  parlamentari  di  Pietro  Sbarbaro  e  di 
Francesco  Cocoapieller,  che  tennero  agitata,  singolarmente  in  Boma,  la  curio- 


30  RAFFAELE   DE   CESARE 


sita  pubblica  per  qualche  anno  ;  e  ricordare  altresì  la  serie  delle  dimostraziooi 
irredentiste  e  socialiste,  e  quelle  in  particolare  di  Toiioo,  di  Napoli,  di 
Palermo  e  di  Bomagna  ;  e  più  gravi  ancora  quelle  di  Berna,  in  piazza  Sciarra. 
Il  movimento  irredentista  andò  ingrossando  un  insieme  di  malumori  contro 
r Austria,  tino  al  segno  che  ne)  1881,  durante  il  terzo  ministero  Cairoli, 
parve  dovesse  scoppiare  la  guerra.  Le  relazioni  diplomatiche  risentivano  in 
generale  quella  specie  di  malessere  senile,  che  aveva  invaso  il  Governo  nei 
sei  anni  non  interrotti  dei  ministeri  del  Depretis,  il  quale,  tra  ripieghi  parla- 
mentari e  crescenti  concessioni  ai  partiti  estremi,  consumava  ogni  sua  atti- 
vità. Lltalia  si  trovò  in  una  specie  d'isolamento,  anche  dopo  la  triplice 
alleanza  ;  e  col  bilancio  in  disavanzo,  nonostante  i  rosei  calcoli  del  ministro 
Magliani,  e  una  burlesca  legge  per  l'abolizione  del  corso  forzoso.  Alla  tassa 
sul  macinato,  che  si  abolì  a  cuor  leggero  quando  già  rendeva  ottanta  milioni, 
non  fu  sostituita  nessuna  imposta  a  larga  base,  ma  ima  serie  di  piccole 
tasse,  più  moleste  che  produttive.  Il  Saracco  rivelò  in  Senato  coraggiosa- 
mente, ma  inutilmente,  tutta  la  vacuità  di  queir  indirizzo  finanziario. 

Incaricato  il  Crispi  di  formare  il  nuovo  ministero,  egli  ritenne  il  Bertolò- 
Viale,  il  Brin,  il  Saracco  e  il  Grimaldi,  sostituendo  il  Magliani  col  Grimaldi  e 
col  Perazzi,  e  il  Ceppino  col  Boselli.  La  nomina  del  Perazzi  e  del  Boselli,  già 
intimi  del  Sella,  rivelò  che  anche  il  Crispi  pagava  il  suo  tributo  al  trasformi- 
smo; però,  volendo  tener  la  bilancia  in  bilico,  chiamò  airagricoltura  Luigi  Mi- 
celi, uno  dei  più  schietti  campioni  della  Sinistra  storica  ;  e  nella  crisi  del  9 
gennaio  1889  il  Crispi  accentuava  il  trasformismo,  nominando  ministro  dei 
lavori  pubblici  in  luogo  del  Saracco,  il  senatore  Finali,  già  collega  del 
Minghetti  neir ultimo  ministero  di  Destra;  e  con  decreto  del  18  marzo  1889, 
essendo  stato  istituito  il  ministero  delle  poste  e  dei  telegrafi,  mise  a  capo 
di  questo  il  deputato  Lacava  ;  e  in  luogo  del  Perazzi,  il  deputato  Giolitti,  cui 
affidò  anche  Yinierim  delle  finanze,  dopo  che,  in  seguito  a  un  imprudente 
discorso  irredentista  detto  dal  Seismit-Doda  a  Udine,  questi  fu  esonerato  dal- 
l'ufficio. Occorre  ricordare  che  sottosegretario  di  stato  del  Perazzi  fu  Sidney 
Sennino,  il  quale  fece  in  tal  modo  le  sue  prime  prove  nel  Governo. 

Ma  non  correvano  lieti  giorni  pel  ministero  alla  Camera.  Le  notizie 
d'Africa  parevano  più  rassicuranti  dopo  il  trattato  di  Uccialli  del  2  maggio 
1889,  per  l'opera  altamente  avveduta  e  feconda  del  generale  Antonio  Bal- 
dissera,  che,  sostituendo  il  San  Marzano,  aveva  dato  alla  Colonia  un  prin- 
cipio di  organizzazione  civile  e  militare,  e  relativa  pace  e  stabilità.  Ma  l'op- 
posizione parlamentare  non  cessava  di  creare  difficoltà  al  ministero,  ed 
erano  in  essa  parecchi  deputati  di  Destra,  i  quali  non  si  credevano  in 
obbligo  di  essere  col  ministero  perchè  ne  facevano  parte  il  Finali,  il  Bo- 
selli e  il  Bertolè-Yiale.  Senza  spiegare  un  contegno  di  decisa  opposizione, 
quei  deputati  cercavano   di   creare  difficoltà  al  Crispi,  non  solo  per  le  cose 


SOMMARIO   DI   STORIA   POLITICA   E   AMMINISTRATIVA   D*1TAMA  31 

d'Africa,  ma  per  alcuni  provvedimenti  finanziari  di  poco  conto.  E  fa  nella 
seduta  del  81  gennaio,  che  il  Crispi,  natura  impulsiva,  rispondendo  a  un 
discorso  mordace  del  Bonghi,  apostrofò  i  suoi  oppositori  di  Destra,  impu- 
tando a  questo  partito  «  i  danni  di  una  politica  servile  verso  lo  straniero  »  : 
onde  si  levò  nell'aula  gi-an  tumulto,  con  grida  di  proteste  e  d'ingiurie  al 
presidente  del  Consiglio,  che  ne  fu  per  un  momento  smarrito,  mentre  il  mi- 
nistro dei  lavori  pubblici,  Gaspare  Finali,  lasciava,  in  segno  di  protesta,  il 
banco  del  Governo.  Fra  i  deputati  che  si  distinsero  in  queir  episodio,  il 
quale  produsse  la  caduta  del  ministero,  sono  da  ricordare  il  giovine  deputato 
di  Modica,  principe  di  Camporeale,  ora  senatore,  e  il  Di  Budini,  il  quale 
disse  al  Grìspi:  «  vergognatevi;  noi  non  abbiamo  servito  che  la  politica  del 
nostro  paese  e  il  Re  9.  E  il  Grispì  :  «  io  sto  qui  a  disagio,  e  a  fretto  con 
tutta  l'anima  un  voto  che  me  ne  liberi  «.  Il  Luzzatti  evocò  con  appassionate 
parole  le  memorie  della  Destra  e  dei  suoi  uomini. 

Crispi  cadde,  e  il  Be  affidò  al  Di  Budini  l'incarico  di  comporre  il  nuovo 
ministero  ;  ed  egli  lo  formò,  accentuando  le  tradizioni  trasformistiche  del  De- 
pretis  e  del  Crispi.  Diede  il  portafoglio  deirinterno  al  Nicotera  ;  le  finanze 
al  deputato  Giuseppe  Colombo;  il  tesoro  al  Luzzatti;  la  giustizia  al  sena- 
tore Ferraris,  e  poi  al  deputato  Bruno  Chimirri  ;  la  guerra  al  generale  Luigi 
Pelloux;  la  marina  al  De  Saint-Bon;  Tistruzione  al  senatore  Villari;  i  la- 
vori pubblici  al  deputato  Ascanio  Branca,  con  Vinterim  delle  poste  e  te- 
legrafi. Il  Budini  prese  per  sé  la  presidenza  e  il  ministero  degli  esteri. 

Era  un  Governo  nel  quale  prevalevano  elementi  di  pura  Destra,  che  si 
erano  mostrati  men  teneri  del  Depretis  e  del  Crispi.  Ma  la  forza  del  mi- 
nistero era  in  mano  del  Nicotera;  e  di  qui  frequenti  malumori,  equivoci  e 
contraddizioni  :  tutte  cose  che,  dando  buon  giuoco  agli  avversar!,  paralizzavano 
razione  del  Governo  nella  politica  intema  e  nella  coloniale.  Il  Baldissera 
chiese  di  essere  richiamato,  e  fu  sostituito  per  breve  tempo  dal  generale 
Orerò  e  poi  dal  generale  Gandolfi,  che  vi  stette  anche  poco,  non  trovandosi  di 
accordo  con  la  Commissione  d'inchiesta  parlamentare  sulle  cose  d  Africa, 
eletta  dalla  Camera,  e  della  quale  fece  parte  il  deputato  Ferdinando  Mar- 
tini. Nell'assenza  del  Gandolfi,  chiamato  a  Boma  per  dare  informazioni,  il 
Budini  nominò  il  colonnello  Oreste  Baratieri  governatore  interiuale;  e  nel 
marzo  dell'anno  successivo,  anche  governatore  civile.  Chi  avesse  consigliato 
al  Budini  la  scelta  del  Baratieri  non  si  seppe.  Il  Baratieri  aveva  fatto  la 
sua  coltura  negli  uflSc!  dei  giornali  ;  era  indole  vanitosa  e  subdola  e  di  non 
larga  intelligenza.  Il  comando  delle  truppe  fu  dato  al  colonnello  Arimondi. 

Benché  il  ministero  contasse  uomini  eminenti,  non  navigava  in  acque 
tranquille.  Si  affermò  ministero  delle  economie  fino  all'osso,  0  della  «  lesina  * , 
come  si  disse  per  ironia,  forse  perchè  si  affaticava  a  mettere  un  argine  alle 
spese  ;  e  più  avrebbe  potuto,  se  non  fosse  stato  internamente  discorde,  e  se  il 


32  RAFFAELE    DE    CESARE 


sao  capo  avesse  saputo  tenere  in  freno  l'irrequieto  collega  dell'interno,  ed  eser- 
citare su  tutti  una  necessaria  autorità.  11  ministero  visse  quindici  mesi.  Ne 
uscì  il  Colombo;  e  nel  maggio  1892,  in  seguito  ad  un  voto  della  Camera,  al 
quale  concorsero  tutte  le  opposizioni,  il  ministero  si  dimise,  e  il  Be  incaricò 
il  Giolitti  di  formare  la  nuoya  amministrazione.  Questi  chiamò  il  Brìn  agli 
esteri,  Teodorico  Bonacci  alla  giustizia,  Vittorio  EUena  alle  finanze,  Fer- 
dinando Martini  alla  istruzione,  il  Qenala  ai  lavori  pubblici,  il  Lacava 
airagricoltura  e  Camillo  Finocchiaro  Aprile  alle  poste  e  ai  telegrafi.  Dei 
vecchi  ministri  restarono  il  Pelloux  e  il  Saint  Bon.  Il  Giolitti  prese  l'in- 
terno e  Yinterim  del  tesoro. 

Un  ministero  più  disgraziato  non  ebbe  forse  l'Italia.  Morirono  l'EUena, 
il  Saint-Bon,  il  Oenala  e  l'Eula.  Furono  sostituiti,  il  primo  dal  deputato 
Lazzaro  Gagliardo,  il  secondo  dall'ammiraglio  Bacchia,  e  il  terzo  dal  Giolitti 
stesso.  Si  dimise  il  Bonacci,  cui  la  Camera  aveva  respinto  il  bilancio,  si  disse 
per  suggerimento  del  Giolitti,  non  volendosi  il  Bonacci  piegare  ad  alcune  esi- 
genze di  lui  nel  processo  della  Banca  Romana,  già  iniziato. 

Furono  ministri  di  giustizia,  successivamente  dopo  TEula,  il  Santa- 
maria e  l'Amò  ;  e  fra  grandi  meraviglie  venne  assunto  al  ministero  del  tesoro 
Bernardino  Grimaldi,  che  col  Nicotera  aveva  assunto  contegno  di  vivace  opposi- 
tore del  nuovo  ministero.  Della  vecchia  pentarchia  nessuno  entrò.  Cairoli  e  Bac- 
carini  erano  morti,  e  furono  oppositori  dal  primo  giorno  il  Nicotera  con  la 
consueta  violenza,  e  il  Crispi  con  ostentato  disprezzo.  Il  ministero  non  poteva 
dirsi  di  Sinistra,  ma  piuttosto  di  Centro  ;  gli  mancava  ogni  deciso  colore  po- 
litico, e,  di  certo,  non  era  nato  vitale.  Si  voleva  dargli  una  n^aggioranza  ;  e 
benché  la  Camera  non  contasse  che  due  anni  di  vita,  fu  sciolta,  e  il  6  no- 
vembre 1 892  vennero  convocati  i  comizii.  Il  ministero  combattette  con  in- 
credibile violenza  avversarìi  di  Destra  e  di  Sinistra.  Ad  esso  bastava  che  i 
candidati  gli  si  dichiarassero  favorevoli,  perchè  li  appoggiasse  senza  vagliarli, 
con  ogni  mezzo  ed  arte.  La  vera  degenerazione  del  carattere  politico  si  af- 
fermò da  quelle  elezioni.  Ne  venne  una  Camera  ibrida,  che  abbandonò  il 
ministero  quando  era  più  doveroso  che  l'appoggiasse,  e  ne  fu  presidente  lo 
Zanardelli,  accomodatosi  alla  nuova  situazione. 

Aprendosi  il  Parlamento  il  23  novembre  1892,  Umberto  pronunziò  un 
discorso  fiorito  di  belle  promesse  e  di  troppo  rosee  assicurazioni.  Disse: 
fc  la  Colonia  Erilrea  non  è  più  argomento  di  preoccupazione,  né  per  la 
«  sicurezza  sua^  né  per  le  nostre  finanze.  Pienamente  pacificata^  ci  fa  spe- 
li' rare  non  lontano  il  tempo  nel  quale  potremo  trovare  i  vantaggi  desiderati*; 
ma  questa  parte  concernente  TAfrica  non  strappò  un  applauso.  Dopo  che  il 
Baldissera  lasciò  la  Colonia,  il  paese  si  mostrò  poco  fiducioso  di  ogni  assi- 
curazione ottimista,  ma  inclinato,  perfino  esageratamente,  ad  ogni  pessi- 
mismo.   La   questione   africana  si  considerava  meno  in  sé  stessa,  quanto  in 


SOMMARIO  DI  STORIA  POLITICA  B  AMMlMISTRATirA   d'ITALIA  33 

rapporto  al  ministero  :  tutti  gli  oppositori  di  questo  erano  antiafricanisti,  ma 
pochi  in  verità  la  capivano. 

Nel  settembre  del  1892  era  morto  a  Livorno  il  generale  Enrico  Cial- 
dini,  il  quale,  affranto  da  inesorabile  malore,  non  faceva  più  parlare  di  so.  Fu 
commemorato  forse  non  quanto  meritava.  E  nella  notte  del  21  giugno  1898 
morì  a  Roma,  nel  generale  compianto,  Silvio  Spaventa,  che  dal  1889 
faceva  parte  del  Senato  piuttosto  nominalmente,  perchè,  colpito  da  male 
inesorabile,  non  vi  andò  che  di  rado.  Egli  fu  uno  dei  maggiori  personaggi  del 
nostro  tempo,  e  uno  dei  più  caldi  fiiutori  deirunità  italiana.  La  storia  del 
patriottismo,  del  carattere  e  del  disinteresse,  e  quella  della  politica  militante 
e  dell'amministrazione  civile,  avranno  per  lui  pagine  che  il  tempo  non  can- 
cellerà. Il  suo  nome  è  legato  alla  maggiore  riforma  amministrativa,  la  cui 
giurisprudenza  riposa  ancora  sui  cardini  fondamentali  da  lui  fìssati,  con 
decisioni  rimaste  fine  ad  ora  insuperate.  Furono,  dopo  di  lui,  presidenti  di 
quel  supremo  tribunale  amministrativo  Francesco  Bianchi,  Giorgio  Giorgi, 
Adeodato  Bonasi  e  Calcedonio  Inghilleri;  e  oggi,  a  presiedere  la  quinta 
Sezione,  creata  accanto  alla  quarta  nel  1907,  per  rispondere  ai  sempre  mag- 
giori bisogni  del  contenzioso  amministrativo,  trovasi  Ottavio  Serena. 

Le  difBcoltà,  nelle  quali  il  ministero  Giolitti  si  dibatteva,  erano  di  varia 
natura,  ma  tutte  gravissime  ;  sarebbero  state  forse  vinte,  se  non  fosse  scoppiata 
la  tempesta  delle  Banche,  e  se  la  lettura  della  relazione  della  Commissione 
d*  inchiesta  parlamentare,  presieduta  da  Antonio  Mordini,  non  avesse  provo- 
cato alla  Camera  la  drammatica  catastrofe  del  24  novembre  1898,  quando 
i  ministri  furono  obbligati,  dalle  grida  e  dalle  minacce  deirestrema  Sinistra 
e  della  estrema  Destra,  ad  uscire  dall'aula  e  a  rassegnare  le  dimissioni. 

È  corso  troppo  breve  tempo  da  quei  tristi  giorni,  e  son  vive  ancora  troppe 
persone,  perchè  se  ne  possa  scrivere  la  storia,  e  colpire  con  rigorosa  giustizia 
le  varie  responsabilità;  ma  i  documenti  non  mancano  per  gli  storici  futuri,  e  ba- 
sterebbero i  volumi  dell'inchiesta,  le  discussioni  della  Camera  e  gli  atti  proces- 
suali del  dibattimento,  innanzi  alla  Corte  d'Assise  di  Roma,  nonché  alcune 
speciali  pubblicazioni.  Fu  quello  un  periodo  della  vita  nazionale,  che  bisogne- 
rebbe quasi  cancellare  dalla  storia.  Si  vissero  giorni  di  trepidazioni  e  di  sorprese. 
Arrestato  Bernardo  Tanlongo,  dopo  la  sua  nomina  a  senatore,  la  quale  parve 
quasi  una  sfida  al  sentimento  pubblico,  il  procuratore  del  Re  aveva  chiesto  di 
procedere  contro  il  deputato  Rocco  de  Zerbi,  ma  si  assicurava  che  vi  sarebbero 
state  altre  domande  di  autorizzazione,  e  correvano  i  nomi  di  varii  deputati; 
ma  altra  autorizzazione  non  fu  chiesta.  Con  gli  arresti  si  avvicendavano  le 
accuse,  onde  Tatmosfera  s' impregnò  tutta  di  sospetti,  non  solo  per  quanto 
concerneva  la  Banca  Romana,  ma  anche  per  quanto  riguardava  il  Banco  di 
Napoli  e  la  Banca  d' Italia  :  accuse  e  sospetti,  che,  inquinando  tutta  la  vita 
politica,  colpivano  deputati,  senatori  e  giornalisti,  ministri  in  carica  ed  ei- 

Bafkablk  De  Cesarb.  —  Sommario  di  storia  ecc.  3 


34  RAFFAELE   DE   CESARE 


ministri,  i  quali  tutti  avrebbero  contratto  impegni  con  quegFistituti,  giovandosi 
della  loro  posizione  politica.  Si  asseriva  enorme  il  numero  dei  debitori  morosi 
nel  mondo  parlamentare,  ma  qual  fosse  risultò  dall'inchiesta  ;  come  risultarono 
del  pari  le  forti  circolazioni  clandestine  e  le  magagne,  che  alcune  Banche 
compivano,  aiutandosi  a  vicenda  nelle  operazioni  della  riscontrata  e  nelle 
verifiche  di  cassa. 

Le  condizioni  del  paese  furono,  in  quel  periodo,  di  una  gravità  eccezio- 
nale. Cresciuto  il  disavanzo,  precipitavano  i  fondi  pubblici;  salì  Taggio  al 
16,  e  la  rendita  scese  al  90  in  Italia  e  al  79  a  Parigi.  11  Credito  Mobi- 
litare e  r  Immobiliare,  potenti  istituti  una  volta,  e  con  essi  la  Banca  Gene- 
rale, chiesero  la  moratoria  ;  le  condizioni  della  Banca  Nazionale  e  del  Banco 
di  Napoli,  come  risultò  da  speciali  inchieste,  si  erano  fatte  assai  diflScili,  per 
effetto  dei  crediti  fondiarii  delle  banche  stesse.  In  Sicilia  si  apparecchiava 
alla  luce  del  sole  la  rivoluzione  sociale  e  la  politica,  con  la  diffusione  dei 
•  Fasci  » .  L*episodio  di  Aigues-Moi-tes  concorse  ad  eccitare  la  pubblica  opi- 
nione contro  il  ministero.  A  tuttociò  si  aggiungevano  le  allarmanti  notizie  di 
Africa,  nonostante  le .  assicurazioni  ottimiste.  Fallita  la  missione  Traversi  per 
ottenere  da  Menelik  una  più  esplicita  interpretazione  del  trattato  di  Uccialli, 
si  seppe  che  BasAlula,  nbellatosi  a  Mangascià,  aveva  catturato  il  residente 
J)e  Martino;  e  in  fine,  nel  febbraio  1893,  Menelik  denunziò  alle  potenze 
quel  trattato.  Il  Brin  aveva  chiamato  il  Baratieri  a  Roma;  questi  venne, 
e  vi  restò  sino  a  quando  non  fu  formato  il  secondo  ministero  Crispi.  Egli 
afferma  nelle  sue  memorie  d'Africa,  di  aver  dato  le  dimissioni  da  governatore^ 
perchè  non  si  trovava  di  accordo  col  nuovo  ministero;  ma  il  Crispi  non  le 
accettò,  ed  egli  ripartì  per  la  Colonia,  senza  essere  riuscito  neppure  ad  otte- 
nere, secondo  confessò  nel  suo  libro,  che  il  ministero  s'impegnasse  a  non 
diminuire  le  forze  in  Africa. 

Incomprensibile  leggerezza  di  un  uomo  sul  quale  pesava  tanta  responsa- 
bilità; ma  queiruomo  era  così  inconsistente! 

Nel  novembre  1893,  dimesso  il  ministero  Qiolitti,  il  Re  incaricò  lo  Zanar- 
delli  di  formare  il  nuovo  gabinetto  ;  ma  lo  Zanardelli  non  vi  riuscì,  desiderando 
egli  che  ne  facesse  parte  il  Baratieri  come  ministro  degli  esteri,  e  non  con- 
sentendovi il  Be.  Le  trattative  durarono  parecchi  giorni  e  fallirono;  e  al- 
lora fu  incaricato  il  Crispi  di  comporre  il  ministero  ;  ed  egli  lo  formò,  dando  gli 
esteri  al  senatore  Alberto  Blanc  ;  il  tesoro  e  le  finanze  a  Sidney  Sennino  ;  la 
giustizia  al  senatore  Vincenzo  Calenda  ;  i  lavori  pubblici  al  Saracco  ;  Tistni- 
zione  al  Baccelli  ;  la  marina  al  Morin  ;  la  guerra  al  Mocenni  ;  Tagricoltura, 
prima  al  Boselli  e  poi  ad  Augusto  Barazzuoli,  e  le  poste  e  i  telegrafi  a 
Maggiorino  Ferraris.  Ministero  relativamente  omogeneo,  che  si  mise  con  co- 
raggio all'opera  di  ricostituzione  politica  e  finanziaria.  Il  Crispi,  con  una 
energia  di  cui  la  storia  gli  terrà  conto,  ristabilì  l'ordine  in  Sicilia,  sciogliendo 
i  Fasci;  e  il  Sennino  riparava  con  provvedimenti  radicali  e  coraggiosi  ai 
bisogni  dell'erario,  i  quali  erano  veramente  gravissimi,   poiché  il  disavanzo 


SOMMARIO   DI   STORIA   POLITICA   E   AMMINISTRATIVA   D*ITALIA  35 

per  queir  esercizio  salì  a  177  milioni.  L'opera  del  Sennino  potè  riassumersi 
in  tre  proposizioni:  bilancio  sincero,  pareggio  senza  debiti  e  tesoro  rinvi- 
gorito con  circolazione  riordinata  e  avviata  al  risanamento. 

Ma  le  diflScoltà,  superate  in  Italia,  rinascevano  in  Africa,  e  ancora  più 
gravemente.  La  guerra  con  TAbissinia  era  ritenuta  quasi  inevitabile.  Mancata 
la  mente  ordinatrice  del  Baldissera,  le  cose  della  Colonia  erano  tornate  ad  im- 
brogliarsi. Il  successo  di  Coatit,  e  poi  quello  di  Senafè,  sollevarono  le  speranze  ; 
e  al  Baratieri,  tornato  in  Italia,  procurarono  teatrali  dimostrazioni,  come  al 
Persane  dopo  Ancona.  Quando  egli  giurò  come  deputato,  dall'assemblea  e  dalle 
tribune  si  gridò:  viva  Baratieri!  Fu  promosso  tenente  generale  a  scelta; 
ma  la  fiducia,  che  il  Governo  poneva  in  lui,  era  forse  più  apparente  che 
reale,  poiché  prevedendo  che  si  andava  incontro  ad  una  guerra,  come  con- 
fessa nel  suo  libro,  egli  chiedeva  altri  milioni  e  soldati,  che  non  ebbe  nella 
misura  che  voleva.  E  scrivendo  a  sua  difesa  che  il  ministero  gli  imponeva 
una  politica  equivoca,  fedifraga  e  incoerente^  e  a  tutto  ciò  attribuendo 
il  disastro  dì  Adua,  dimenticava  che  il  governo  della  Colonia  era  afBdato 
a  lui  con  ogni  potere;  che  tutto  passava  per  le  sue  mani;  che  era  deputato, 
e  poteva,  vedendo  avviarsi  le  cose  al  disastro,  andare  alla  Camera  e  com- 
piere il  proprio  dovere.  Non  lo  fece,  e  seguì  la  politica  che  affermò  es- 
sergli imposta  dalla  Consulta,  e  che  era  poi  quella,  secondo  lui,  di  mettere  i 
Capi  abissini  gli  uni  contro  gli  altri,  promovendo  ribellioni  contro  il  Negus, 
aizzando  costui  contro  i  ribelli,  e  cercando  di  ottenere  a  qualunque  costo  un 
successo  militare.  Se  il  ministero  non  gli  concesse  tutti  i  milioni  che  domandava, 
sostenne  spese  enormi  per  i  trasporti  di  nuove  truppe;  trasporti  eseguiti,  è  vero, 
assai  male,  a  spizzico,  senza  unità  d'indirizzo,  mettendo  soldati  di  ogni  prove- 
nienza al  comando  di  ufficiali,  che  non  conoscevano.  L*amministrazione  militare 
si  mostrò  incapace  ed  esitante  ;  e  Adua  fu  l'epilogo  di  due  anni  di  errori  e  di 
illusioni.  Bisogna  però  riconoscere  che  entrarono  fra  le  cause  le  fatali  e  folli  esi- 
genze parlamentari  ;  e  il  disastro  non  si  sarebbe  avuto,  se  il  ministero,  de- 
ciso di  togliere  il  comando  al  Baratieri,  in  seguito  alla  sua  inettitudine,  e 
sostituirlo  col  Baldissera,  non  lo  avesse  eccitato  all'azione.  È  certamente  de- 
plorabile che,  qualche  giorno  prima  del  decreto  di  sostituzione,  il  Ciispi  in- 
viasse al  governatore  il  famoso  telegramma  :  codesta  è  una  tisi  militare,  non 
una  guerra  :  telegramma  che  conteneva  un  rimprovero  cocente,  e  una  spinta 
fatale  all'azione.  Quando  il  Baldissera  giunse  a  Massaua,  il  4  marzo,  la  im- 
mane tragedia  di  Abba  Carima  era  avvenuta  da  quattro  giorni  !  L' impressione 
nel  paese  fu  terribile;  furono  organizzati  comitati  di  soccorso  per  le  famiglie 
dei  caduti  e  per  la  liberazione  dei  prigionieri,  trascinati  ad  Adis  Abeba  e 
trattati  come  bestie  :  vi  furono  dimostrazioni  clamorose  nelle  vie  e  nelle 
piazze.  L'Italia  non  mostrò  in  quella  occasione  animo  superiore  alla 
sventura. 


36  RAFFAELE   DE   CESARE 


Le  responsabilità  vennero  accertate,  ma  non  interamente.  Il  Baratieri,  sot- 
toposto al  tribunale  di  guerra,  fu  assoluto  dall'accusa  di  viltà;  ma  venne  con- 
dannata come  insipiente  e  imprevidente  la  sua  condotta.  A  propria  difesa  stampò 
quel  libro  di  rivelazioni  accusatrici,  di  cui  si  è  parlato.  Il  ministero  si  dimise, 
non  potendo  più  reggere  alVonda  di  sfiducia  sollevata  contro  di  lui,  e  il  Re 
incaricò  il  generale  Ricotti  di  comporre  il  nuovo  gabinetto.  Di  questo,  ebbe  la 
presidenza  e  il  portafoglio  deirinterno  il  Budini  ;  e  furono  ministri  il  Caetani 
di  Sermoneta  per  gli  esteri;  il  Costa  per  la  giustizia;  il  Branca  per  le  finanze; 
il  Colombo  per  il  tesoro  ;  il  Ricotti  per  la  guerra  ;  il  Brin  per  la  marina  ; 
Emanuele  Gianturco  per  1*  istruzione  ;  il  Perazzi  per  i  lavori  pubblici  ;  Fran- 
cesco Guicciardini  per  Tagricoltura,  e  Pietro  Carmine  per  le  poste  e  i  telegrafi. 
Il  Budini  annunziò  una  politica  di  raccoglimento,  la  rinunzia  al  Tigre,  al  pro- 
tettorato Etiopico  e  al  trattato  di  Uccialli;  chiese  140  milioni  per  continuare 
la  guerra  o  per  ottenere  dal  Negus  anche  mediocri  condizioni  di  pace,  e  il  ri- 
scatto dei  prigionieri  principalmente.  Espresse  fiducia  nel  Baldissera,  il  quale, 
trovata  in  Africa  una  condizione  addirittura  spaventosa,  con  grande  energia  e 
prudenza  la  veniva  rimettendo,  liberando  con  audaci  e  gloriose  spedizioni 
Cassala  e  Adigrat,  che  dopo  Adua  si  trovavano  in  condizioni  quasi  disperate. 

Dopo  sei  mesi  il  ministero  Budini  subì  una  prima  crisi,  e  ne  uscirono 
il  Bicotti,  il  Caetani,  il  Colombo,  il  Perazzi  e  il  Carmine.  Causa  del  dis- 
sidio fu  questa:  che  il  Bicotti  era  fautore  di  un  ordinamento  dell'esercito, 
a  base  di  otto  corpi  d'armata,  ma  in  completo  assetto  di  guerra  ;  e  il  Bu- 
dini mostravasi  favorevole  ai  dodici  corpi.  Il  Bicotti  non  volle  recedere  e 
preferi  ritirarsi;  e  i  colleghi  a  lui  aderenti  lo  seguirono.  Il  Caetani  aveva 
iniziato  quella  politica  di  conciliazione  con  la  Francia,  che  il  Visconti- 
Venosta  ebbe  il  merito  di  condurre  felicemente  a  termine,  per  la  quistione 
di  Tunisi.  Il  Tornielli,  nostro  ambasciatore  a  Parigi,  non  cessava  di  ammo- 
nire il  governo  italiano  che  oramai,  per  riprendere  i  buoni  rapporti  con  la 
Francia,  convenisse  mettere  una  pietra  sepolcrale  su  quanto  era  avvenuto  a 
Tunisi,  e  chiedere  in  altro  campo,  soprattutto  nel  commerciale,  una  serie  di 
compensi.  Il  Billot,  ambasciatore  di  Francia  a  Boma,  si  mostrava  disposto 
a  favorire  questa  politica. 

Poiché  il  Budini  credeva  che  le  varie  questioni,  le  quali  tenevano  sossopra 
la  Sicilia,  nonostante  le  repressioni,  si  potessero  meglio  risolvere  con  un 
governo  locale  più  al  contatto  delle  popolazioni,  nominò  il  senatore  Gio- 
vanni Codronchi  commissario  civile  per  l'Isola,  col  grado  di  ministro;  ma 
la  missione  durò  solo  un  anno;  e,  se  si  eccettuino  parecchi  provvedimenti  di 
amministrazione  tutta  locale  e  il  sindacato  per  gli  zolfi,  non  produsse  nulla  di 
veramente  notevole.  I  ministri  lavoravano  con  ardore  nei  rispettivi  dicasteri, 
e  il  Visconti-Venosta  conduceva  con  l'abituale  tatto  i  negoziati  con  la  Francia, 
al  fine  di  rimettere  le  buone  relazioni  fra  i  due  paesi,  convinto  che  conve- 


SOMMARIO   DI   STORIA   POLITICA    E    AMMINISTRATIVA   D'ITALIA  37 

Disse  stabilire  con  la  Repubblica  \m  proprio  trattato,  allo  scopo  di  regolare 
nettamente  la  condizione  giuridica  degli  italiani  nella  Reggenza  e  dei  tunisini 
in  Italia,  con  concludenti  e  determinate  garanzie.  E  il  giorno  28  settembre 
fu  firmata  a  Parigi  una  convenzione  fra  il  Tornielli  e  il  ministro  degli  esteri 
della  Repubblica,  Hanotaux,  con  la  quale  la  condizione  degl*  italiani  a  Tunisi 
e  dei  tunisini  in  Italia  veniva  ampiamente  regolata,  con  soddisfazione  da 
ambo  le  parti.  Furono  così  ristabilite  le  buone  relazioni,  che  avevan  subito 
una  grave  e  brusca  perturbazione  sotto  i  due  ministeri  Crispi,  al  punto  che, 
oltre  ai  danni  commerciali  che  determinarono  la  rovinosa  crisi  del  vino  nelle 
Puglie,  si  fu  al  punto  di  venire  alle  armi  addirittura. 

Fu  un  periodo  fecondo  di  goyerno  ;  e  sarebbe  stato  maggiore,  se  il  presi- 
dente del  Consiglio  avesse  saputo  trarre,  dalle  nuove  elezioni  Mte  nel  marzo 
1897,  maggiori  vantaggi.  Le  elezioni  riuscirono  favorevoli  al  ministero,  ma  il 
Rudinì  non  se  ne  credeva  sicuro  ;  e  volle  che  presidente  della  Camera  fosse 
eletto  lo  Zanardelli.  Nel  discorso  della  Corona  del  5  aprile  1897,  il  Eie,  dopo 
aver  ringraziato  il  Paese  delle  dimostrazioni  di  simpatia  per  il  matrimonio 
del  prìncipe  ereditario  con  la  principessa  Elena  di  Montenegro,  che  si  era 
compiuto  nellottobre  del  precedente  anno  a  Bari,  pronunciò  frasi  rassicuratrici 
circa  le  condizioni  normali  dell*  Eritrea,  «  le  quali  permettono,  disse,  di 
prendere  libere  risoluzioni  sulle  sorti  della  Colonia  » . 

Il  Rudinì  ebbe  la  mano  felice,  scegliendo  Ferdinando  Martini  come 
governatore  della  Colonia.  Il  Martini  aveva  sostenuto  che  non  fosse  necessario 
abbandonare  Taltipiano,  come  il  Rudinì  aveva  dichiarato  che  si  dovesse  fare 
nei  primi  sgomenti  dopo  Adua.  Il  Martini  governò  la  Colonia  per  dieci  anni 
con  acume  e  prudenza;  vi  ristabilì  l'ordine  e  la  fiducia;  compì  varie  opere 
pubbliche,  pur  realizzando  economie  nel  bilancio;  sviluppò,  come  meglio 
potè,  le  risorse  deiragrìcoltura  e  delle  nascenti  industrie;  scrisse  interessanti 
relazioni  e  si  ritirò  volontariamente  dal  governo  della  Colonia  col  plauso 
generale.  Gli  successe  il  Salvago-Raggi,  che  si  era  trovato  in  Cina  airepoca 
della  sollevazione  dei  Boxer,  e  aveva  dato  prova  di  senno  e  di  fermezza. 

Non  contento  dì  aver  voluto  presidente  della  Camera  lo  Zanardelli,  il  Ru- 
dinì lo  volle  nel  ministero,  provocando  un'altra  crisi,  per  la  quale  lo  Zanardelli 
successe  al  Costa,  e  il  deputato  Giuseppe  Pavoncelli  al  Prinetti  ;  al  Gian- 
turco,  Nicolò  Gallo,  e  al  Pelloux,  il  generale  San  Marzano.  Un  tale  mutamento 
non  détte  vigore  al  ministero,  che  anzi  a  Destra  si  formò  un  forte  gruppo  decì^ 
samente  ostile,  di  cui  facevano  parte  gli  amici  del  Prinetti,  malcontenti  del  con- 
tegno tenuto  dal  Rudinì  verso  dì  lui  ;  e  i  quali  non  approvavano  la  irresistibile 
inclinazione  sua  verso  lo  Zanardelli  e  fin  verso  il  Cavallotti.  E  in  tali  condizioni 
di  governo  avvennero  nel  maggio  i  tumulti  di  Milano,  impreveduti  e  repressi 
con  un'energia  che  le  anime  timide  giudicarono  eccessiva;  tumulti  seguiti  da 
esagerate  condanne  dei  tribunali  militari  e  dalla  sospensione  di  vari  giornali 


38  RAFFAELE  DE   CESARE 


politici.  Furono  giorni  di  trepidazione  in  tutto  il  paese.  I  Sovrani  erano  a  Torino 
per  festeggiare  il  cinquantesimo  anniversario  delVapertura  del  Parlamento  sub- 
alpino, che  ricorreva  agli  8  di  maggio.  Le  notizie  di  Milano,  pur  essendo  gravi, 
giungevano  esagerate;  furono  sospese  le  feste,  e  molti  deputati  e  senatori  la- 
sciarono Torino.  Neiropera  delle  repressioni  il  Rudinl  ebbe  sagace  colla- 
boratore il  generale  Achille  Afan  de  Bivera,  sotto-segretario  di  Stato  alla 
gueri-a.  LA  fan  de  Rivera,  ordinando  con  rapida  misura  preventiva  la  mili- 
tarizzazione dei  ferrovieri,  impedì  lo  sciopero  generale  da  questi  minacciato. 
Le  cause  della  sommossa  di  Milano  son  difficili  a  determinare.  Certo,  nessuno 
poteva  prevederla  due  mesi  prima,  quando  si  celebrava  con  tanta  concordia 
di  spiriti  l'anniversario  delle  Cinque  Giornate,  benché  il  funerale  del  Cavallotti, 
ucciso  in  duello  da  Ferruccio  Macola,  rivelasse  nello  stesso  tempo  un*organiz- 
zazione  rivoluzionaria  impressionante.  Però  si  era  ben  lontani  dal  credere  che 
la  piii  ricca  e  la  più  industre  città  italiana  avrebbe  dato  Tesempio  di  una 
insurrezione,  scoppiata  quasi  improvvisamente,  e  che  solo  poteva  dirsi  pro- 
mossa dal  fine  di  abbattere  il  Governo  della  Monarchia,  contro  il  quale  si 
era  andato  formando  da  più  tempo  un  malcontento  più  morale  che  politico. 
Il  Budini,  ripugnante  ad  affrontare  le  battaglie  parlamentari,  tornò  a 
dimettersi:  il  Be  tornò  a  dargli  T incarico;  ed  egli  compose  un  nuovo  mi- 
nistero, senza  base  parlamentare,  dando  gli  esteri  al  deputato  Cappelli,  la 
giustizia  al  Bonacci,  i  lavoii  pubblici  ali* Afan  de  Bivera,  al  Branca  il  tesoro, 
al  Luzzatti  le  finanze,  e  l' istruzione  al  Cremona.  Dopo  ventotto  giorni  si  ritirò 
definitivamente  ;  e  il  generale  Pelloui  formò  un  primo  gabinetto  con  prevalenza 
di  uomini  di  Sinistra.  Tenne  egli  T  interno,  e  fu  ministro  degli  esteri  l'am- 
miraglio Canevaro  ;  il  Finocchiaro  della  giustizia,  il  Baccelli  dell*  istruzione, 
il  Fortis  dell'agricoltura.  Nunzio  Nasi  delle  poste  e  l'ammiraglio  Giuseppe  Pa- 
Inmbo  della  marina.  Nel  successivo  ministero,  che  compose  con  prevalenza  di 
uomini  di  parte  temperata,  il  Visconti-Venosta  fu  ministro  degli  esteri;  il  So- 
nasi andò  alla  giustizia,  il  Salandra  all'agricoltura,  il  Carmine  alle  finanze,  il 
generale  Mirri,  e  poi  il  Ponza  di  San  Martino,  alla  guerra.  Giovanni  Bettole 
fu  ministro  della  marina,  e  il  San  Giuliano  delle  poste.  Dei  vecchi  ministri  di 
Sinistra  restarono  il  Baccelli  e  il  Lacava.  La  formazione  di  questo  secondo  mi- 
nistero Pelloux  suscitò  malumori  nella  parte  avanzata;  ma  avvenne  di  peggio. 

I  fatti  di  Milano,  ai  quali  erano  seguiti  quelli  della  Lunigiana  e  gra- 
vissimi tumulti  a  Napoli  e  in  altre  provinole,  consigliarono  il  Governo 
a  ricorrere  a  provvedimenti  speciali  di  pubblica  sicurezza,  diretti  a  regolare 
il  diritto  di  riunione  e  la  libertà  della  stampa,  e  a  rendere  più  efficace 
qualche  misura  di  polizia  preventiva.  Il  Pelloux  li  presentò  alla  Camera; 
ma  quando  si  arrivò  alla  discussione,  non  ostante  che  una  larga  maggioranza 
si  mostrasse  favorevole,  l'estrema  Sinistra  vi  oppose,  per  la  prima  volta  in 
Italia,  l'ostruzionismo  nella  sua  forma  più  violenta.  Fu  allora  che  il  mini- 


SOMMARIO   DI   STORIA   POLITICA    E    AMMINISTRATIVA   d'ITALIA  89 

stero  ricorse  al  partito  di  fissare  per  decreto  reale  un  termine,  decorso  il 
quale,  il  disegno  di  legge  avrebbe  avuto  vigore,  anche  prima  dell'approva- 
zione del  Parlamento.  Ma  al  termine  non  si  arrivò,  perchè  le  violenze  as- 
sunsero tale  carattere  facinoroso,  da  impedire  addirittura  ogni  lavoro  parla- 
mentare. Il  ministero,  decorso  il  termine,  applicò  i  provvedimenti,  benché 
in  pochissimi  casi  ;  e  questi,  aiTivati  al  giudizio  della  Cassazione,  trovarono 
l'Alta  Corte  stranamente  discorde,  poiché  una  sezione  giudicò  valido  il  de-' 
creto-legge,  e  l'altra  lo  giudicò  «  caducato  « . 

I  provvedimenti  furono  riportati  alla  Camera  e  provocarono  più  vio- 
lente scene  di  ostruzionismo,  schierando  contro  il  ministero,  per  cause 
confessabili  e  inconfessabili,  uomini  politici  di  vario  colore  e  di  opposti  pre- 
cedenti, dal  Budini  al  Giolitti,  dallo  Zanardelli  al  Prinetti,  dal  Ferri  al 
Pantano.  Tumulti  in  permanenza,  che  l'autorità  del  presidente  Colombo  non 
riusciva  a  domare;  discussioni  che  non  avevano  fine;  grida  sediziose  da 
ricordare  la  Convenzione  francese.  Fu  modificato  il  regolamento,  allo  scopo 
di  offrire  al  presidente  il  mezzo  di  rimettere  l'ordine  nell'assemblea;  ma  il 
presidente  non  se  ne  servì,  e  il  ministero  fu  costretto  a  sciogliere  la  Camera. 
Ma,  per  impreparazione  da  parte  sua,  le  elezioni  fatte  in  fretta  e  furia,  forti- 
ficarono gli  avversari.  Abbattuta  la  grande  aula  di  Montecitorio,  perchè  si  disse 
mal  sicura,  il  discorso  della  Corona  fu  pronunziato  nell'aula  del  Senato,  il 
16  giugno.  Il  Re  Umberto  accennò  all'acuto  dissidio  fra  la  maggioranza  e 
la  minoranza,  il  quale,  «  oltrepassando  i  limiti  delle  pacifiche  e  ordinate 
discussioni  «,  arrestò  ogni  opera  legislativa.  E  aggiunse,  fra  gli  applausi 
dell'assemblea  :  •  vana  sarebbe  tuttavia  ogni  speranza  per  tradurre  in  atto 
«  gli  aspettati  benefica,  senza  il  retto  funzionamento  dell'  Istituto  parla- 
«  mentare;  e  faccio  appello  a  tutti  gli  uomini  di  buona  volontà^  devoti  alla 
1^  patria  e  alla  mia  Casa,  che  con  la  patria  ha  sempre  avuto  comuni  le 
«  sortii.  Dichiarò  suo  dovere  difendere  le  istituzioni  da  ogni  pericolo  che 
potesse  minacciarle.  Discorso  breve,  ma  adatto  alla  circostanza.  Fu  eletto 
presidente  della  Camera  Nicolò  Gallo,  che  si  disse  disposto  ad  affrontare  le 
nuove  tempeste  ;  ma  poi  gliene  mancò  Tanimo.  Il  Pelloux  offrì  le  dimissioni 
del  ministero,  le  quali  vennero  accolte  con  visibile  rincrescimento  dal  Sovrano, 
che  diede  incarico'  al  Saracco  di  comporre  il  nuovo  gabinetto. 

II  Saracco  lo  formò,  tenendo  per  sé  il  ministero  dell'  interno,  e  dando  al 
Chimirri  le  finanze,  al  Gallo  l'istruzione,  al  Branca  i  lavori  pubblici,  al 
Gianturco  la  giustizia,  al  Pascolato  le  poste.  Del  vecchio  ministero  resta- 
rono il  Visconti- Venosta  e  il  generale  Ponza  di  San  Martino.  Se  il  nuovo 
gabinetto  non  ebbe  accoglienze  molto  favorevoli  dalla  Camera,  neppure  le 
ebbe  ostili  ;  anzi  il  Saracco,  parlando  con  semplicità  e  sentimento,  fu  ascoltato 
con  molta  deferenza.  Le  discussioni  vennero  riprese,  e  la  pace  parve  ritornata. 
Ai  9  di  luglio  il  Re  ricevette  la  deputazione  della  Camera,  che  gli  presentò 
r  indirizzo  di  risposta  al  discorso  della  Corona.  Feci  parte  di  quella  deputa^* 


40  RAFFAELE   DE   CESARE 


xione,  e  ricordo  che  il  Sovrano  sembrava  di  umor  lieto,  parlando  con  tutti  e  rive- 
lando la  compiacenza  che  si  fosse  usciti  dal  torbido  perìodo  deirostnizionismo. 
Il  Parlamento  prese  le  vacanze,  e  il  Re  partì  per  Monza  la  sera  del  20,  dopo 
una  corsa  a  Napoli,  dove  andò  a  salutare  le  truppe  che  partivano  per  la  Cina, 
e  dove  non  era  più  andato  dopo  il  disastro  di  Abba  Carima.  La  sera  del 
29  luglio  venne  assassinato,  mentre  usciva  da  una  palestra  ginnastica,  a 
breve  distanza  dalla  villa  reale.  Vi  era  andato  per  assistere  ad  una  distribu- 
zione di  premii.  Compiuta  la  cerimonia,  mentre  la  carrozza  lentamente  mo- 
veva, uno  sciagurato  gli  sparò  contro,  quasi  a  bruciapelo,  tre  colpi  di  rivol- 
tella, due  dei  quali  non  fallirono.  Il  Re  non  pronunziò  parola.  Giunse  alla 
Reggia  morto,  o  spirò  mentre  era  portato  nelle  sue  camere,  fra  le  grida  di 
strazio  della  Regina  e  le  lacrime  di  tutti.  Spettacolo  più  tragico  non  re- 
gistra la  storia  d*  Italia.  Immensa  ne  fu  V  impressione  in  tutto  il  mondo. 
Si  credeva  ad  un  complotto  ;  ma,  se  pur  questo  vi  fu,  non  si  riuscì  a  scoprirne 
la  trama.  L^assassino  era  un  anarchico  venuto  apposta  d'America  per  assas- 
sinare il  Sovrano.  La  salma  del  Re  fu  portata  a  Roma,  dove  ebbe  grandiose 
e  commoventi  esequie,  e  venne  sepolta  nel  Pantheon. 


Regno  di  Vittorio  Emanuele  III. 

La  successione  al  trono  si  compì  alcuni  giorni  dopo  il  misfatto,  poiché  il 
prìncipe  ereditario  era  in  viaggio  ;  sbarcò  il  5  agosto  a  Reggio  di  Calabria,  e 
direttamente  andò  a  Monza.  Il  giorno  11  di  quel  mese  prestò  giuramento 
neiraula  del  Senato  ;  e  con  voce  interrotta  dalla  commozione,  disse  :  «  Il  mio 
«  primo  pensiero  è  per  il  mio  popolo,  ed  è  pensiero  di  amore  e  di  grati- 
«  indine.  Il  popolo  ha  pianto  sul  feretro  del  suo  Re,  ed  affettuoso  e  fidente 

•  si  è  tutto  raccolto  intorno  alla  mia  persona,  e  ha  dimostrato  quali  salde 

•  radici  abbia  nel  paese  la  monarchia  liberale  « .  E  fra  gli  applausi  molto 
caldi  dell'assemblea,  chiuse  il  discorso  così:  «  Impavido  e  securo  ascendo 
«  al  trono  con  la  coscienza  dei  miei  diritti  e  doveri  di  Re:  l'Italia  abbia 
«  fede  in  me,  come  ho  io  fede  nei  destini  della  patria  • . 

11  ministero  restò  in  carica  sino  al  novembre  successivo,  quando  per 
intrighi  misteriosi  intervenuti  fra  una  parte  della  Destra,  del  Centro  e  della  Si- 
nistra, cadde,  in  seguito  ad  un  voto  parlamentare.  Solo  cento  furono  i  depu- 
tati che  votarono  a  favore  del  gabinetto  Saracco  ;  ma,  contrariamente  ai  calcoli 
e  alle  speranze  di  molti  di  coloro  che  avevano  concorso  a  rovesciarlo,  il 
nuovo  Re  incaricò  lo  Zanardelli,  che  non  aveva  partecipato  né  alla  discus- 
sione né  al  voto,  di  formare  il  nuovo  gabinetto;  e  questi  lo  foimò,  dando 
al  Oiolitti  il  portafoglio  dell' interno,  al  Prinetti  quello  degli  esteri,  al 
WoUemborg  le  finanze,  al  deputato   Girolamo  Oiusso  i  lavori  pubblici,  al 


SOMMÀRIO   DI   STORIA    POLITICA    E    AMMINISTRATIVA   d'iTALIA  41 

Di  Broglio  il  tesoro,  al  Nasi  T istruzione;  al  San  Martino,  e  poi  airotto- 
lengbi  la  gaerra,  e  al  Morin  la  marina.  Parve  enorme  che  in  quel  ministero 
entrassero  uomini  di  Destra  e  principalmente  il  Prinetti,  che  si  era  accen- 
tuato avversario  indomabile  dello  Zanardelli,  e  più  del  Giolitti,  da  lui  at- 
taccato con  veemenza  un  anno  prima,  in  una  memorabile  seduta.  Il  Prinetti, 
che,  pochi  giorni  avanti  di  morire,  aveva  cominciato  a  dettare  le  sue  me- 
morie al  presente  ministro  di  Casa  Beale,  Alessandro  Mattioli,  suo  fido  se- 
gretario, lasciò  scritto  di  avere  accettato  «  per  ragioni  di  equilibrio  politico, 
a  ciò  che  tutta  Fazione  del  nuovo  ministero  non  fosse  improntata  a  prin- 
cipii  e  tendenze  radicali  « . 

Si  attribuiva,  non  senza  fondamento,  al  nuovo  ministero  il  proposito  di 
presentare  una  legge  sul  divorzio  e  di  voler  seguire  una  politica  intema  favo- 
revole alle  tendenze  socialiste  e  radicali.  I  tre  ministri  di  Destra  non  riusci- 
rono ad  impedire  che  un  progetto  sul  divorzio  fosse  annunziato  dal  Re  nel 
discorso  del  20  febbraio  1902,  aprendo  la  seconda  sessione  della  XX  legi- 
slatura; né  che  s'inaugurasse  nella  politica  interna  un  indirizzo  di  assoluta 
acquiescenza  verso  i  partiti  estremi  e  le  dottrine  più  radicali.  Dal  banco 
del  Governo  fu  proclamato  il  diritto  allo  sciopero,  ed  il  libero  attentato  al 
lavoro,  e  se  ne  decantarono  persino  i  vantaggi.  Molto  sangue  fu  versato, 
e  reso  più  profondo  il  conflitto  fra  capitale  e  lavoro.  E  i  tristi  effetti  della 
politica  interna  oscurarono  quelli  della  politica  estera,  ottenuti  dal  Prinetti, 
che  riuscì  a  dare  ad  essa  un  contenuto  di  dignità  e  di  coerenza,  e  fece  com- 
piere dal  Be  i  viaggi  a  Pietroburgo  e  a  Berlino.  Il  Prinetti  uscì  dal  mi- 
nistero, in  seguito  a  grave  e  improvviso  malore  che  lo  colse  al  Quirinale, 
in  presenza  del  Be  e  dei  colleghi,  la  mattina  del  29  gennaio  1908.  Ebbe 
r  interim  degli  esteri  il  Morin  fino  al  22  aprile  ;  e  poi  ne  divenne  titolare, 
succedendogli  nella  marina  il  Bettole.  In  quello  stesso  mese  il  re  Edoardo 
d'Inghilterra  sbarcò  a  Napoli  e  venne  a  Boma,  dove  fu  ricevuto  con  grandi 
simpatie.  Il  nostro  Be  gli  restituì  la  visita  a  Londra  nel  novembre,  un  mese 
dopo  aver  visitato  a  Parigi  il  Loubet,  presidente  della  Bepubblica,  che  era 
venuto  a  Boma  in  quello  stesso  periodo. 

Ma  il  Sovrano  che  tornò  più  volte  a  Boma,  fu  V  imperatore  Guglielmo  II 
di  Germania.  Suo  padre  vi  era  stato  da  prìncipe  ereditario  in  occasione  della 
morte  di  Vittorio  Emanuele,  e  poi  nel  1883.  Il  figliuolo  venne  nel  1888, 
pochi  mesi  dopo  Tassunzione  al  trono;  e  vi  tornò  nel  maggio  del  1903. 
Ebbe  sempre  accoglienze  festose  e  cordiali.  Non  mancò  di  visitare  il  Papa, 
ma  non  in  carrozze  della  Corte  italiana.  Nel  1896  Guglielmo  passò  per  Ve- 
nezia, diretto  in  Sicilia;  e  vi  tornò  nel  1898,  diretto  in  Oriente;  e  Tuna 
e  l'altra  volta  i  Sovrani  d'Italia  si  recarono  a  salutarlo.  Nella  primavera 
del  1905  si  trovava  in  Puglia,  ma,  per  la  coincidenza  del  viaggio  in  Italia 
del  Loubet,  la  venuta  dell'Imperatore  in  Boma  non  ebbe  luogo;  ed  egli 
andò  direttamente  da  Bari  a  Venezia. 


42  RAFFAELE   DE   CESARE 


Nel  febbraio  deiranno  innanzi  si  era  dimesso  il  Giiisso  da  ministro  dei 
lavori  pubblici.  Fa  chiamato  a  succedergli  l'attuale  senatore  Nicola  Ba- 
lenzano.  Se  il  primo  ebbe  Y  incontestabile  merito  di  dare  forma  concreta  al 
progetto  di  un  grande  acquedotto  per  le  Puglie,  derivando  l'acqua  dal  fiume 
Sole,  e  facendovi  concorrere  lo  Stato  per  ottanta  milioni,  il  secondo  rese 
più  attuabile  l'idea,  elevando  a  cento  milioni  il  concorso  dello  Stato.  Il  di- 
segno di  legge  fu  approvato  dalla  Camera  il  6  giugno  1892,  e  io  ne  fui  il 
relatore  ;  e  dal  Senato  il  24  dello  stesso  mese,  su  relazione  del  senatore  Serena. 
Questa  opera,  unica  nella  storia  e  diretta  a  dissetare  due  milioni  di  abitanti, 
è  oggi  in  via  di  esecuzione,  ed  è  fi*a  le  maggiori  che  onorano  la  nuova  Italia. 

Rendendosi  sempre  più  gravi  le  condizioni  della  politica  interna,  e  più 
vivaci  gli  attacchi  in  Parlamento  e  nella  stampa,  il  Giolitti  si  ritirò  dal 
ministero,  e  lo  Zanardelli  prese  il  portafoglio  dell'interno.  Fu  durante  questo 
periodo  che  Leone  XIII  morì;  e  nel  breve  Conclave,  la  cui  sicurezza  e  indi- 
pendenza furono  pienamente  tutelate  dal  Governo,  venne  eletto  Papa  il 
cardinale  Giuseppe  Sarto,  patriarca  di  Venezia,  trionfando  in  lui  la  tendenza 
più  moderata  del  sacro  Collegio.  L'Austria  si  servì  del  diritto  di  «  veto  « 
per  colpire  il  cardinal  Rampolla,  che  aveva  nei  primi  scrutiuii  riportato 
ben  la  metà  dei  suffragi. 

Zanardelli  morì  nell'ottobre  del  1903,  e  il  Re  chiamò  il  Giolitti  a  suc- 
cedergli. Questi  affidò  le  finanze  al  deputato  Rosane,  che  si  uccise  a  Napoli 
sei  giorni  dopo,  e  poi  ad  Angelo  Majorana  ;  il  tesoro  al  Luzzatti  ;  i  lavori 
pubblici  a  Francesco  Tedesco;  l'istruzione  all'Orlando.  Il  generale  Pedotti 
andò  alla  guerra,  il  contrammiraglio  Mirabello  alla  marina,  e  restò  il  Tittoni 
agli  eàteri.  Giolitti  fece  le  elezioni  generali  nel  novembre  del  1904,  con  la 
stessa  procedura  adoperata  in  quelle  del  1892.  Combattette,  senza  esclusione 
di  mezzi,  quei  deputati  che  avevano  votato  contro  il  ministero  neirappello 
nominale  del  1^  luglio  1904,  e  singolarmente  gli  amici  del  Sennino.  Benché 
del  ministero  facessero  parte  vecchi  moderati,  come  il  Luzzatti  e  il  Tittoni, 
prevaleva  su  tutti  la  volontà  del  presidente  del  Consiglio,  il  quale  raccolse 
una  copiosa  maggioranza,  non  tenuta  insieme  da  principi  o  da  convinzioni, 
ma  da  interessi  minuscoli  e  personali.  Gli  effetti  di  una  politica  di  acquie- 
scenza ai  partiti  estremi  cominciavano  a  rivelarsi;  si  dava  per  certo  uno  scio- 
pero generale  di  ferrovieri  ;  e  il  Giolitti,  che  in  quei  giorni  si  disse  infermo, 
si  dimise;  e  poiché  non  fu  possibile  trovargli  un  successore,  il  Re  incaricò 
il  Tittoni  di  prender  lui,  con  un  interinato  di  governo,  la  difiBcile  eredità 
e  provocare  un  voto  della  Camera  che  chiarisse  la  situazione.  Il  voto  vi 
fu;  e  tra  il  decreto  che  nominava  il  Tittoni  presidente  interinale  del 
Consiglio  e  ministro  dell'interno,  e  quello  che  nominò  Alessandro  Fortis, 
corsero  soli  dodici  giorni.  Il  Fortis  modificò  il  vecchio  ministero,  chiaman- 
dovi il  Finocchiaro  Aprile  alla  giustizia  e  il  Carcano  al  tesoro,  Carlo  Fer- 


SOMMARIO   DI   STORIA   POLITICA   E   AMMINISTRATIVA   D'iTALIA  ^3 

raris  ai  lavori  pubblici  e  Leonardo  Bianchi  all'istruzione.  Conservò  il  Pedotti 
e  il  Mirabelle,  e,  navigando  alla  meglio  fra  le  difficoltà  lasciategli  dal  Giolitti, 
riusciva  a  scongiurare  lo  sciopero  dei  ferrovieri,  promettendo  Tesercizio  di 
Stato:  promessa  che  mantenne.  Fu  durante  questo  ministero,  nel  giugno  1905, 
che  s'inaugurò  a  Bari  il  grande  monumento  equestre  alla  memoria  di  £e 
Umberto,  il  primo  nel  Mezzogiorno,  il  secondo  in  tutta  Italia:  monumento 
decretato  da  quel  Municipio  e  da  quel  Consiglio  provinciale,  ed  eseguito  da 
uno  scultore  pugliese,  il  Cifariello.  Alla  cerimonia,  riuscita  assai  solenne, 
intervennero  i  Sovrani,  alcuni  ministri  e  le  presidenze  del  Senato  e  della 
Camera.  Io  ebbi  Tenore  di  leggere  il  discorso  inaugurale. 

Il  ministero  Fortia  ebbe  dalla  Camera  un  voto  contrario,  in  seguito  ad 
un  grossolano  e  quasi  inverosimile  errore,  compiuto  da  tre  dei  suoi  mi- 
nistri, il  così  detto  modus  vivendi  con  la  Spagna,  onde  si  concedeva  a  quella 
nazione  la  facoltà  di  introdurre  in  Italia  vini  ed  olii  con  tariffa  eccezionale, 
piii  bassa  della  tariffa  generale,  e  senza  alcun  serio  corrispettivo  dall'altra 
parte.  Si  levarono  altissime  voci  di  protesta  e  di  sdegno,  singolarmente  nella 
Italia  meridionale,  percossa  dalla  crisi  del  vino  e  dell'olio,  quest'ultima  per 
il  tenue  dazio  d'introduzione  concesso  alla  nazione  più  favorita.  Il  decreto  reale 
del  18  novembre  1905,  che  sanciva  questo  inverosimile  accordo  commerciale, 
die'  occasione  ad  una  vivacissima  disputa  alla  Camera,  nella  quale  il  deputato 
Giuseppe  Pavoncelli  pronunciò  un  geniale  discorso.  Àltiù  oratori,  facendo  notare 
Tenorme  differenza  fra  l'esportazione  italiana  in  Spagna  e  l'importazione 
spagnuola  in  Italia,  spiegarono  come  le  premure  fossero  legittime  da  parte 
di  quella  nazione,  che  voleva  assicurare  i  vantaggi  che  già  godeva,  rispetto  ai 
suoi  olii  d*oliva,  e  ottenerne  altri  per  i  suoi  vini  :  ma  che  le  concessioni  erano 
dissennate  da  parie  dell'Italia.  I  ministri  difesero  il  trattato  infelicemente; 
e  la  Camera,  dando  prova  ancora  una  volta  di  quelle  farisaiche  contraddi- 
zioni ond'è  inquinata  da  un  pezzo  la  vita  parlamentare,  votò  la  fiducia  al 
ministero,  ma  respinse  il  modus  vivendi \  Il  ministero  rassegnò  le  dimissioni; 
e  il  Fortis  ne  formò  un  altro,  nel  quale  entrarono  il  San  Giuliano,  il  Tedesco, 
il  De  Marinis,  e  Nerio  Malvezzi,  che  vi  rappresentò,  come  disse  il  Fortis  con 
scettica  arguzia,  la  puniarella  di  Destra.  Ma  questo  ministero,  fatto  nel  di- 
cembre, cadde  ai  primi  del  febbraio  1906;  e  fu  allora  che  il  Be  incaricò  il 
Sennino,  che  riscuoteva  le  più  larghe  simpatie  nel  paese,  di  formare  il  nuovo 
gabinetto.  È  da  ricordare  che  si  deve  al  ministero  Fortis  la  scelta  del  senatore 
Visconti-Venosta  a  rappresentante  dell'Italia  alla  conferenza  di  Algesiras.  Il 
Visconti,  per  l'autorità  del  nome  e  dei  precedenti,  esercitò  una  preponderante 
e  conciliante  influenza  nei  dibattiti  e  conclusioni  della  conferenza,  che  lascia- 
vano temere  gravi  conflitti  fra  la  Germania  e  la  Francia;  ma  non  bisogna 
obliare  che  qnel  ministero  mandò  in  vigore  l'esercizio  di  Stato  di  tutte  le 
ferrovie  senza  alcuna  preparazione,  per  cui  si  lamentarono  infiniti  e  gravi  in- 
convenienti, che  spaventarono  nei  primi  tempi,  e  non  assicurano  neppnre  oggi. 


44  RAFFAELE   DE   CESARE 


dopo  cinque  anni  di  esperimento;  e  quel  che  fu  peggio,  senza  alcuna  adeguata 
previsione  delle  conseguenze  finanziarie,  che  in  breve  tenipo  si  verificarono. 
E  non  dico  di  più,  perchè  il  ponderoso  problema  ferroviario  à  trattato  in 
questa  opera  da  un  ex-ministro  dei  lavori  pubblici,  che  fece  paite  del  primo 
ministero  Fortis. 

Negli  anni  che  corsero  dal  novembre  1903  al  febbraio  1908,  si  svolsero 
fra  la  pubblica  curiosità  le  vicende  del  processo  a  carico  dell* ex-ministro 
Nunzio  Nasi,  le  quali  cominciarono  con  interpellanze  alla  Camera.  Ma  fu  in  se- 
guito alle  accuse  contenute  nella  relazione  del  deputato  Saporito,  membro  della 
Commissione  del  bilancio  per  i  consuntivi,  che  la  Camera  deliberò  un  in- 
chiesta, i  cui  risultati  produssero  rinvio  degli  atti  all'autorità  giudiziaria 
e  Tautorizzazione  a  procedere  contro  Tex-ministro,  che  si  sottrasse  con  la  fuga. 
Ma  avendo  la  Cassazione  dichiarato  Tincompetenza  del  magistrato  ordinario,  la 
Camera  pronunziò  Taccusa,  del^ando  tre  dei  suoi  membri  a  sostener  questa 
innanzi  al  Senato,  costituito  in  alta  Corte  di  giustizia.  Il  12  luglio  1907 
fu  costituita  l'alta  Corte;  e  tre  giorni  dopo,  il  Nasi,  il  quale  aveva  fatto  ri- 
torno in  Roma,  fu  arrestato  e  condotto  a  Regina  Coeli.  Avvennero  dimostra- 
zioni di  protesta,  e  conflitti  abbastanza  gravi  a  Palermo  e  a  Trapani,  ritenen* 
dosi  che  il  Nasi  fosse  vittima  di  odii  regionali.  A  Ti*apani  si  seguitò  a  rieleg- 
gerlo come  deputato.  Il  5  novembre  cominciò  con  grande  solennità  il  dibat- 
timento, che  ebbe  fasi  e  incidenti  impressionanti,  anche  per  la  circostanza 
che  sedeva  come  imputato  il  Lombardo,  già  segretario  e  amicissimo  del  Nasi. 
Risposero  all'appello  centoquarantuno  senatori,  ma  centodue  pronunziarono 
la  condanna,  che  fu  per  peculato,  con  pena  di  undici  mesi  e  giorni  venti 
di  carcere,  e  la  interdizione  dai  pubblici  ufBcii  per  la  durata  di  anni 
quattro  e  mesi  due.  Le  prime  dieci  sedute  si  tennero  sotto  la  presidenza 
di  Tancredi  Canonico,  il  quale,  affranto  dall'età  e  dal  lavoro,  si  fece  sosti- 
tuire dal  vicepresidente  Pietro  Blaserna.  Il  processo  venne  ripreso  il  24 
febbraio  sotto  la  presidenza  di  Giuseppe  Manfredi,  che  rivelò  energia  gio- 
vanile ed  equanimità  di  vecchio  magistrato.  Le  sedute  dell'alta  Corte  fu- 
rono trentasei  ;  eloquenti  le  difese  degli  avvocati  ;  la  condanna  per  peculato 
venne  pronunciata  con  74  voti  favorevoli  e  23  contrarli.  Dopo  il  processo 
del  Persano,  l'alta  Corte  non  aveva  avuto  occasione  di  pronunziare  verdetto 
più  solenne,  in  materia  di  interesse  pubblico  ! 

Sidney  Sonnino  formò  il  nuovo  ministero  con  uomini  di  riconosciuto  va- 
lore. Détte  le  finanze  al  Salandra,  il  tesoro  al  Luzzatti,  al  Carmine  i  lavori 
pubblici,  gli  esteri  al  Guicciardini  ;  conservò  alla  marina  il  Mirabelle,  e  serbò 
per  sé  il  ministero  dell'interno.  E  poiché  ogni  tradizione  dei  vecchi  partiti  ò 
distrutta;  e  per  assicurarsi  la  maggioranza  della  Camera,  divenuta  arbiti-a 
esclusiva  della  vita  di  ogni  Governo,  si  cerca  di  mettere  insieme  deputati  di 
origine  divei-sa,  o  militanti  addirittura  in  campo  opposto,  il  Sonnino,  volendo 


SOMMARfO   DI    STORIA   POLITICA   E    AMMINISTRATIVA    d' ITALIA  ^5 

aoche  tener  conto  delle  varie  parti  della  Camera  che  si  erano  coalizzate  nella 
opposizione  al  ministero  Fortis,  chiamò  Ettore  Sacchi,  capo  del  gruppo  radicale, 
e  gli  affidò  il  portafoglio  della  giustizia;  ed  Edoardo  Pantano,  militante  sino 
allora  nel  campo  repubblicano,  e  gli  affidò  Tagricoltura,  forse  non  considerando 
abbastanza  ohe  la  nomina  di  quest* ultimo  avrebbe  sconcertato  i  conservatori, 
non  abbastanza  gamntiti  dal  fatto  di  vedere  nel  ministero,  oltre  al  Sennino, 
uomini  come  il  Salandra,  il  Carmine  e  il  Guicciardini.  Un  gruppo  di  Destra 
colse  Toccasione  di  attaccare  il  ministero,  il  quale,  anche  per  il  modo  come 
era  formato,  non  riusciva  a  trovar  molto  sèguito  nella  Camera,  non  ostante 
la  promessa  di  leggi  sociali,  di  riforme  radicali  e  della  conversione  della  ren- 
dita. Si  andava  alla  ricerca  di  pretesti  per  rovesciare  il  gabinetto.  In  verità 
si  temeva  cbe  il  Sennino,  rigido  e  austero,  non  avrebbe  governato  con  i  me- 
todi dei  suoi  predecessori,  ne  più  avrebbe  tollerata  la  inframmettenza  dei 
deputati  nelle  cose  del  governo.  Sopra  un  futile  pretesto  di  procedura  parla- 
mentare, approfittando  delle  dimissioni  di  tutto  il  gnippo  socialista,  avvenute 
in  seguito  ad  uno  sciopero  imposto  e  voluto  dal  partito,  nonché  della  asten* 
sione  del  gruppo  repubblicano  e  di  molti  radicali,  con  pochi  voti  di  minoranza 
il  ministero  fu  rovesciato,  dopo  soli  cento  giorni  ;  e  il  Giolitti,  ristabilito  in 
salute,  tornò  al  governo. 

Yi  tornò  col  Tittoni,  con  T  Orlando,  con  Angelo  Majorana,  col  Gianturco, 
col  Gallo,  col  Massimini  e  col  Vigano.  Majorana  ebbe  la  fortuna  di  eseguire 
la  conversione  della  rendita,  preparata,  come  si  è  detto,  dal  ministero 
precedente.  Lasciò  il  Governo  per  grave  infermità,  che  lo  trasse  alla 
morte  giovanissimo,  assai  compianto  per  Tanimo  buono  e  le  qualità  della 
mente.  Di  quest'altro  ministero  Giolitti,  morirono  il  Gallo  e  il  Gianturco, 
e  fu  colpito  da  apoplessia  il  Massimini.  Al  Gianturco,  che,  se  avesse  avuto  la 
saldezza  del  carattere  politico  pari  all'altezza  della  mente,  alla  dottrina  giu- 
rìdica e  all'eloquio  geniale,  avrebbe  potuto  prender  posto  fra  i  maggiori 
uomini  di  Stato,  successe  il  deputato  Bei-tolini,  già  sottosegretario  airinterno 
nel  secondo  ministero  Pelloux.  Il  ministero  sciolse  la  Camera  nel  1909  ;  e  le 
elezioni,  fatte  in  odio  ai  candidati  di  estrema  Sinistra,  e  di  quanti  non  invo- 
carono la  protezione  del  Governo,  dichiarandosi  suoi  soggetti  per  la  vita  e  per 
la  morte,  procurò  al  Giolitti  una  grossa  maggioranza  personale. 

Le  maggiori  difficoltà  di  questo  ministero  furono  procurate  dalla  politica 
estera  e  dalle  convenzioni  marittime.  II  Tittoni,  in  un  discorso  tenuto  in 
Lombardia  nell'ottobre  del  1908,  aveva  lasciato  ritenere,  che  l'annunziata 
annessione  della  Bosnia  e  dell'Erzegovina  all'Austria  si  facesse  quasi  di  ac- 
cordo con  l'Italia,  la  quale  ne  avrebbe  ricevuto  larghi  compensi.  L'an- 
nessione si  compì,  ma  dei  compensi  non  si  vide  Tombi-a  :  onde  furono 
assai  vivaci  i  dibattiti  nella  Camera  e  nel  Senato.  Il  Tittoni,  che  mala- 
mente si  difese,  fu  sul  punto  di  dare  le  dimissioni  ;  ma  il  Giolitti  lo  salvò. 
Però  non  riuscì  a  salvare  le  convenzioni  marittime,  le  quali  furono  argomento 


40  RAFFAELE  DE   CESARE 


di  dibattiti  violenti  ed  eloquenti.  L'estrema  Sinistra  rìeyocò  i  ricordi  della 
Banca  Romana,  e  seminò  il  campo  di  sospetti  e  di  accnse,  a  carico  di  quanti 
si  credeva  che  avessero  avuto  mano  in  quelle  convenzioni.  Il  ministero  chiese 
un  rinvio  a  novembre,  per  impedire  violenze  e  scandali,  tanto  erano  accesi  gli 
animi  ;  ma  riaprendosi  la  Camera,  il  Giolitti  presentò  di  sua  iniziativa  alcuni 
provvedimenti  finanziarii,  che  suscitarono  proteste  nel  paese  e  forti  opposi- 
zioni negli  Uffici,  i  quali  a  maggioranza  li  respinsero.  Il  Oiolitti  détte  le 
dimissioni,  e  il  Re  chiamò  nuovamente  il  Sennino,  capo  deiropposizione,  a 
formare  il  nuovo  ministero. 

Il  Sennino  ebbe  il  torto  di  non  chiedere  al  Re  la  facoltà  di  sciogliere 
una  Camera,  la  cui  maggioranza,  fedele  ai  precedenti  governi,  non  gli  avrebbe 
permesso  di  vivere.  Formò  un  ministero  pia  omogeneo  del  primo,  e  ne  furono 
personaggi  principali  il  Salandra,  il  Bettole  e  il  Luzzatti.  Il  generale  Spin- 
gardi  restò  ministro  della  guerra,  Enrico  Arietta  andò  alle  finanze,  Oiulio  Ru- 
bini ai  lavori  pubblici,  e  tornò  il  Guicciardini  agli  esteri.  Le  affermate  tregue 
degli  avversari  erano  fìnte,  perchè  contro  il  ministero  lavoravano  tutti,  dal 
primo  giorno,  più  o  meno  insidiosamente.  Le  convenzioni  marittime  presen- 
tate dal  Bettole,  e  da  lui  sostenute  con  gagliarda  eloquenza  in  un  discorso 
durato  più  ore  fra  lunanimità  degli  applausi  e  la  commozione  dei  presenti,  che 
sapevano  il  Bettole  colpito  due  giorni  innanzi  da  un  grave  lutto  in  famiglia, 
non  furono  più  fortunate  delle  altre.  SI  trattava  dì  rovesciare  il  ministero, 
non  le  convenzioni  ;  e  il  momento  parve  propizio.  Il  ministero,  convinto  che 
sarebbe  stato  battuto,  non  ostante  un  altro  trionfo  parlamentare,  riportato 
dal  Salandra  nella  sua  onesta  e  geniale  esposizione  finanziaria,  non  affrontò 
il  voto.  E  poiché  il  Sonnino  non  volle  chiedere  al  Re  la  facoltà  di  sciogliere 
la  Camera,  il  Giolitti  —  i  cui  amici,  di  accordo  con  l'estrema  Sinistra,  avevano 
maturata  la  crisi  —  non  essendo  ancora  disposto  a  riprendere  il  Governo, 
indicò  al  Re  il  Marcerà,  presidente  della  Camera  ;  e  poi  il  Luzzatti.  Questi 
compose  il  gabinetto,  chiamando  il  San  Giuliano  agli  esteri,  il  Tedesco  al 
tesoro,  il  Fani  alla  giustizia,  il  Facta  alle  finanze,  il  Raineri  all'agricoltura, 
il  Sacchi  ai  lavori  pubblici,  e  il  Credaro  all'  istruzione.  Ritenne  lo  Spingardi 
alla  guerra,  e  chiamò  uno  dei  più  reputati  ammiragli,  il  Leonardi-Cattolica, 
alla  marina.  Con  Tappoggio  della  maggioranza  giolìttiana,  dalle  cui  fila  usci- 
vano parecchi  ministri,  il  Luzzatti,  che  tenne  per  sé  il  portafoglio  deirinterno, 
cominciò  a  navigare  fra  incerti  scogli,  non  senza  qualche  abilità  da  prin- 
cipio, ma  assai  concedendo  ai  partiti  estremi,  che  non  gli  negarono  il  loro 
appoggio.  E  chiusa  la  Camera,  riuscì  a  prolungare  la  vita  ministeriale,  non 
ostante  che  tutto  congiurasse  contro  il  Governo:  colera,  scioperi,  agitazioni 
agrarie,  carestia,  inondazioni.  Aveva  fatto  approvare  dal  Parlamento  un  pro- 
getto di  convenzioni  provvisorie  per  tre  anni,  obbligandosi  di  presentare,  col 
primo  dicembre  dell'anno  corrente,  la  sistemazione  definitiva  dei  servizi  ma- 


SOMMARIO   DI   STORIA    POLITICA   E   AMMINISTRATIVA   d' ITALIA  47 

rittimi;  e  farono  prese  le  vacanze  nei  primi  giorni  di  luglio,  dopo  lo  svolgi- 
mento di  un  interpellanza  del  senatore  Arcoleo  sulla  riforma  del  Senato. 

Nell'ultimo  decennio  furono  deliberate  parecchie  inchieste;  e  sono  da 
ricordare  quelle  sulle  amministrazioni  della  guerra  e  della  marina;  e  l'altra, 
più  recente,  sulla  pubblica  istruzione  :  tutte  e  tre  provocate  da  vivaci  dibat- 
titi e  da  più  vivaci  polemiche,  da  sospetti  e  da  accuse.  I  risultati  delle 
inchieste,  contenuti  in  ponderosi  volumi,  determinarono  provvedimenti  nei  due 
primi  dicasteri;  e  quelli  per  Tistruzione  generarono  un  comitato,  che  fu  detto 
epuratore  del  personale  di  un  ministero  sconvolto  in  varii  anni  di  pessimi 
governi  ;  e  provocheranno,  è  da  sperare,  riforme  coraggiose  che  valgano  a  dare 
assetto  a  quei  servizii.  La  Commissione  d'inchiesta  sulla  guerra  fu  presieduta 
dal  senatore  Rinaldo  Taverna;  quella  sulla  marina,  dal  deputato  Giusso;  e  la 
iena,  sull'istruzione,  dal  senatore  Serena.  Vi  fu  anche  un'inchiesta  sulla  con- 
dizione dei  contadini  nel  Mezzogiorno,  da  molti  ritenuta  superflua,  dopo  la 
grande  inchiesta  agraria,  che  ebbe  per  relatore  Stefano  Jacini.  Le  conclusioni 
delle  tre  prime  inchieste  suscitarono  dibattiti  meno  vivaci,  e,  di  certo,  meno 
accesi  dalle  passioni  che  le  avevano  provocate,  anche  perchè  provarono  che 
non  poche  accuse  erano    esagerate,  e  non  pochi  sospetti  privi  di  fondamento. 


Leggi  organiche  amministrative  e  sociali 

Se  la  quantità  delle  leggi  amministrative,  in  ogni  ramo  delFazienda 
pubblica,  fu  addirittura  enorme,  la  causa  va  ricercata  principalmente  nel  pec- 
cato di  origine,  per  cui  si  fecero  leggi  organiche  le  quali  prescindevano  dalla 
realtà  delle  cose;  anzi,  come  già  dissi,  dalla  storia  e  dalla  geografia.  Il  bi- 
sogno di  correggere  gli  effetti  funesti  di  leggi  malfatte  consigliava  nuove 
leggi,  le  quali,  essendo  quasi  rappezzature  empiriche  delle  prime,  di  rado 
riuscivano  a  migliorarle.  La  legge  elettorale  politica  fu  più  volte  emendata, 
non  mai  in  maniera  da  evitare  le  violenze,  le  frodi,  onde  la  funzione  eletto- 
rale è  divenuta  quasi  una  menzogna.  Dal  collegio  uninominale  e  dal  suffragio 
ristretto  si  passò  allo  scrutinio  di  lista  a  suffragio  allargato,  quasi  a  suffragio 
universale,  sotto  la  peggior  forma;  poi  si  tornò  al  collegio  uninominale;  e 
dopo  le  tristissime  recenti  esperienze,  si  vorrebbe  tornare  a  un  nuovo  e  più 
deplorevole  allargamento  di  suffragio;  ma  dai  mezzi  concludenti  per  evitare 
le  ribalderìe  si  ripugna,  per  quel  senso  di  paura  rettorica  ch'è  tanta  parte 
deir esser  nostro.  Basterebbe  colpire,  non  con  vane  minaccie,  il  reato  elet- 
torale; sottrarre  gli  scruti  ni  i  agl'interessati  e  la  convalidazione  ai  membri 
della  stessa  Camera.  Io  non  dubito  che  la  forza  delle  cose  imporrà  la  riforma 
della  legge  elettorale  nella  sua  procedura  difettosa  e  addirittura  deficiente  ;  la 


^8  RAFFAELE   DE   CESARE 


imporrà  quello  stesso  movimento  deiropioione  pubblica,  che  produsse  nel  1880 
la  maggior  riforma  compiuta  nel  nostro  diritto  amministrativo,  riforma  che 
s'imperniò  tutta  nel  nome  di  Silvio  Spaventa,  il  quale,  in  un  magistrale  di- 
scorso, pronunciato  a  Bergamo  il  7  maggio  1880,  mise  nettamente  il  pro- 
blema, cui  rimase,  in  omaggio  a  lui,  il  nome  di  giustizia  neW amministra- 
zioae.  Rilevate  le  difiScoltà,  che  incontrano  la  giustizia  e  la  legalità  nelle 
pubbliche  amministrazioni  sotto  i  governi  parlamentari,  e  specialmente  in 
Italia,  egli  notava  come  i  quattro  anni  di  esperimento  della  Sinistra  al  potere 
le  avessero  rese  più  gravi  ed  evidenti. 

Distingueva  lo  Spaventa  governo  da  amministrazione;  e  riconoscendo  che 
l'indirizzo  governativo  deve  soggiacere  alla  mutabilità  delle  correnti  rappre- 
sentate dalla  maggioranza,  affermava  la  necessità  che  l'amministrazione  non 
fosse  secondo  l'arbitrio  e  l'interesse  di  partito,  ma  secondo  la  legge,  applicata 
a  tutti,  e  con  giustizia  ed  equanimità  verso  tutti.  Quel  discorso  fu  una  vera  re- 
quisitoria contro  il  governo  di  Sinistra,  detta  non  da  un  uomo  di  parte,  ma  da 
un  giustiziere  supremo,  che  parlava  in  nome  dei  più  alti  piincipi  di  un  diritto 
pubblico  civile.  L'impressione  fu  enorme  ;  e  divenne  postulato  dei  nostri  giu- 
risti e  pubblicisti  più  eminenti,  da  Giovanni  de  Falco  a  Marco  Minghetti,  al 
Mantellini,  a  Pasquale  Turiello,  a  Vito  Sansonetti,  ad  Antonio  Salandra, 
la  conclusione  del  discorso  di  Bergamo,  cioè  «  la  necessità  di  sottoporre 
«  tutte  le  pubbliche  amministrazioni  ai  freni  più  severi  della  giustizia,  im- 
«  pedendo  che  si  corrompano  le  nostre  istituzioni,  nelle  quali  solamente  il 
«  popolo  italiano,  con  la  libertà,  può  raggiungere  il  suo  maggiore  benessere  » . 

Lo  Spaventa  proponeva  che  organo  di  questa  giustizia  amministrativa 
fosse  il  Consiglio  di  Stato  riformato  nelle  sue  attribuzioni;  e  tale  fu  Tidea 
informatrice  del  progetto  presentato  da  Francesco  Crispi  il  22  novembre  1887, 
che  divenne  la  legge  2  giugno  1889.  Questa  istituì  nel  Consiglio  di  Stato 
la  IV  sezione,  inauguratasi  il  18  marzo  1890,  e  il  Crispi  vi  chiamò  a  capo 
lo  stesso  Spaventa,  il  quale  ne  tenne  la  presidenza  Ano  alla  morte.  Dairalto 
di  quel  supremo  tribunale  amministrativo,  abbandonata  la  politica  militante, 
perchè  le  sue  nuove  funzioni  di  giudice  non  ne  fossero  o  apparissero  tur- 
bate, egli  tornò  a  comandare  in  nome  della  giustizia,  formando  una  giuris* 
prudenza  che  rappresenta  anche  oggi  la  base  della  nostra  giustizia  ammi- 
nistrativa ;  e  così  fu  posto  un  freno  agli  abusi  del  potere  esecutivo.  Ma ,  non 
bastava.  Il  triennio  1888-89-90  resta  memorabile  per  le  leggi  fondamen- 
tali promulgate:  quella  per  la  sanità  pubblica,  del  22  dicembre  1888; 
le  due  del  1889  e  1890,  che  crearono  gli  istituti  della  giustizia  ammi- 
nistrativa, con  la  IV  Sezione  del  Consiglio  di  Stato  e  con  la  Giunta  Pro- 
vinciale amministrativa,  stabilita  con  funzioni  non  solo  contenziose,  ma  so- 
prattutto di  vigilanza,  e  di  tutela  concludente  sui  Comuni,  messi  ora  sotto  il 
governo  di  una  buona  legge,  la  quale  stabilisce  un  limite  nella  misura  del 
sovraimporre   e   dello  spendere,   distingue   le    spese   in    obbligatorie    e  fa- 


SOMMARIO    DI    STORIA    POLITICA   E   AMMINISTRATIVA    D*ITALIA  ^^ 

coltative,  6  fissa  buone  norme  a  tutela  dei  patrimonii  comunali  e  della  con- 
sistenza dei  bilanci. 

Con  la  legge  sulla  sanità  pubblica  venne  disciplinata  tutta  la  materia 
relativa  airigiene,  e  completata  con  regolamenti,  i  quali  formano  con  la  legge 
un  codice,  che  può  star  bene  a  confronto  della  legislazione  sanitaria  di  qua- 
lunque Stato,  e  le  cui  disposizioni  ebbero  discreti  effetti  nella  invasione 
recente  del  colera  in  Puglia.  E  con  la  legge  sulle  istituzioni  pubbliche  di 
beneficenza,  del  17  luglio  1890,  completata  dall'altra  del  1904,  che  istituì 
le  commissioni  provinciali  e  il  Consiglio  superiore,  Tenorme  patrimonio  delle 
opere  pie  viene  non  solo  sottratto  alla  rapacità  di  amministratori  disonesti, 
ma,  secondo  le  occasioni,  anche  accresciuto,  disponendosi  trasformazioni  e 
concentramenti,  riforme  e  revisioni  di  statuti,  al  fine  di  coordinare  tutte  le 
varie  forme  antiche  e  moderne  della  pubblica  carità,  renderne  meno  costosa 
Vamministrazione  e  maggiore  TefiScacia  a  vantaggio  dei  poveri.  Anche  le 
opere  pie  di  culto  e  le  confraternite  laicali  vennero  rivolte  a  scopo  di  bene- 
ficenza; e  se  non  sempre  lattuazione  di  questa  l^ge  fu  immune  da  indirizzo 
paiiigiano,  che  in  alcuni  momenti  le  si  détte,  non  si  può  dire  che  abbia  fallito 
allo  scopo  suo,  che  fu  quello  di  fare  delle  Congregazioni  di  carità  il  centro 
di  irradiazione  della  pubblica  beneficenza,  e  di  avviare  questa,  dalle  sue  pri- 
mitive forme  elemosiniere  e  generiche,  a  forme  specifiche  più  evolute,  e  princi- 
palmente a  vantaggio  dei  bambini  e  degrinfermi. 

Però,  ammaestrati  dall'esperienza  dopo  circa  mezzo  secolo  dall'unità 
politica,  si  cominciò  a  sentire  la  necessità  di  leggi  speciali  e  frammentarie, 
provocate  o  da  pubblici  infortuni,  o  da  minacce  di  sedizioni.  E  furon  fatte  quelle 
per  la  Calabria  e  per  Messina,  dopo  i  ripetuti  terremoti  devastatori  ;  per  la  Ba- 
silicata, per  il  Mezzogiorno  e  per  la  città  di  Napoli  :  leggi  informate  a  concetti 
più  pratici,  nonché  ad  una  più  chiara  conoscenza  delle  cose,  e  ad  una  più  di- 
retta azione  dello  Stato.  Tutta  l'opera  del  Ooverno  nelle  Provincie  meridionali, 
per  effetto  dell'assurda  uniformità  delle  leggi  organiche  amministrative,  era 
riuscita  dissanguatrice  economicamente,  e  moralmente  disastrosa.  La  Basili- 
cata ridotta  quasi  una  landa,  denudata,  dai  suoi  boschi,  impoverita  dai  debiti, 
dalla  crescente  diminuzione  dei  suoi  armenti  e  da  una  più  crescente  emigra* 
zione  dei  suoi  lavoratori.  E  così  le  Calabrie,  dove  le  varie  leggi  per  i  lavori 
pubblici  non  erano  eseguite  per  mancanza  di  mezzi,  e  perfino  di  progetti. 
Il  problema,  poi,  della  città  di  Napoli,  apparve  in  tutta  la  sua  triste  evidenza. 
Se  la  più  popolosa  città  d'Italia  ha  conseguito  importanti  miglioramenti 
edilizi  ed  igienici,  resta  sempre  un  gran  centro  di  povertà,  di  disquilibrio  eco- 
nomico e  di  minaccia  perenne  dell'ordine  politico.  Le  sue  risorse  non  bastereb- 
bero a  trasformarla  in  un  centro  di  attività  industriale,  e  a  scemarne  via  via 
il  nimiero  dei  disoccupati.  Non  é  già  che  le  nuove  leggi  abbiano  comple- 
tamente risoluto   questi  problemi;  ma  li  hanno  posti  e  definiti.  Esse  non 

Rkkiaflb  Db  Orbare.  —  Sommario  it  storia  ecc.  4 


50  RAFFAELE   DE   CESARE 


furono  sempre  preparate  con  suflSciente  elaborazione,  e  di  rado  i  mezzi  vennero 
proporzionati  al  fine.  Così  per  le  ferrovie,  le  strade,  le  bonifiche  e  il  governo 
delle  acque  ;  così  per  i  rimboschimenti  e  il  credito.  Esistono  ancora  contraddi- 
zioni strìdenti  e  quasi  inverosimili.  Si  vuole  il  rimboschimento,  e  si  lascia 
devastare  gli  ultimi  resti  dei  vecchi  boschi;  si  vogliono  strade,  indispen- 
sabili nelle  regioni  del  latifondo,  e  nelle  leggi  per  il  Mezzogiorno  non  si  son 
resi  obbligatori!  i  consorzi  per  farle  :  quei  consorzi,  che  sono  oggi  nelle  Pro- 
vincie meridionali  una  derisione.  Non  si  è  posto  mente  che  il  problema  del  lati- 
fondo non  si  risolve  senza  le  strade  vicinali  e  comunali:  problema,  cui  sono 
strettamente  connessi  ben  due  altri:  spopolare  i  grossi  centri  di  abitazione, 
fomiti  perenni  di  disordini  politici  e  di  infezioni,  e  popolare  la  campagna  coi 
suoi  lavoratori.  Di  tali  mancanze  è  conseguenza  logica  la  emigrazione,  col  suo 
male  e  col  suo  bene,  perchè  se  la  emigmzione  spopola  le  campagne,  le  eco- 
nomie degli  emigrati  cominciano  a  formare  nel  Mezzogiorno  una  nuova  ric- 
chezza territoriale,  che  sarà  più  resistente  di  quella,  la  quale  si  vien  liqui- 
dando per  effetto  soprattutto  dei  crediti  fondiari  che  seminarono  di  rovine 
quelle  contrade;  mentre  altri  crediti,  sotto  forme  più  bugiarde  e  seducenti  di 
cooperazione,  compirono  il  disastro.  Nei  prestiti  fondiarii  non  si  tenne  presente 
la  circostanza  che  il  denaro  avuto  in  mutuo  non  dovesse  servire  che  alla 
terra;  e  che,  per  T impossibilità  di  pagarlo  a  scadenza  semestrale  in  lunga 
serie  di  anni,  prescindendo  da  tutti  i  possibili  infortunii,  si  sarebbe  venuti 
presto  0  tardi  airinevitabile  precetto  ed  alla  espropriazione.  Però,  tutto  com- 
preso, è  da  convenire  che  solo  coi  nuovi  concetti,  che  cominciano  a  prevalere 
nella  legislazione  amministrativa  ed  economica,  si  può  risolvere  il  problema 
meridionale,  causa  di  debolezza  di  tutta  la  vita  organica  dello  Stato,  dando 
a  quelle  regioni  il  benessere  e  la  pace,  elevandone  il  carattere  morale  e 
risolvendo,  un  pò*  per  volta,  altre  questioni  minori,  che  non  furono  mai 
risolute,  ma  piuttosto  mutate  ed  acuite  in  circa  mezzo  secolo  di  quel  con- 
venzionalismo teoretico,  che  informò  la  legislazione  amministrativa  della 
nuova  Italia. 

Della  legislazione  amministrativa  di  carattere  sociale  io  non  parlerò  di 
proposito  ;  della  previdenza,  discorrerà  in  questa  opera  istessa  un  uomo  di 
riconosciuta  autorità.  Mi  limiterò  a  discorrere  di  quelle  leggi,  che  hanno 
più  spiccatamente  carattere  sociale,  e  la  cai  esecuzione  è  competenza  dello 
Stato.  Se  V  Italia  in  fatto  di  legislazione  sociale  è  appena  ali*  inizio,  questo 
inizio  è  segnato  da  due  leggi,  che  potrei  chiamare  organiche  e  fondamen- 
tali: la  legge  sul  lavoro  delle  donne  e  dei  fanciulli,  e  Taltra  sugli  infor- 
tunii del  lavoro.  La  prima,  iniziata  fin  dal  1886,  riguardava  il  lavoro  dei 
soli  fanciulli,  ma  divenne  nel  1902  anche  legge  per  le  donne.  Si  estende 
alla  sola  industria  estrattiva  e  manifatturiera,  per  ora,  e  protegge  fanciulli 
d'ambo  i  sessi,  dai  13  ai  15  anni;  fanciulle  minorenni  dai  16  ai  21;  e  donne 


SOMMARIO   DI   STORIA   POLITICA    E   AMMINISTRATIVA   d'ITALIA  51 

superiori  ai  ventuno  anni.  Contiene  una  serie  di  provvedimenti  amministrativi 
circa  la  limitazione  degli  orail  Tobbligo  dei  riposi  e  divieti  di  lavori  not- 
turni; e  per  le  donne  il  riposo  durante  il  puerperio.  La  legge  sulla  cassa 
di  maternità  e  Taltra  sul  lavoro  notturno  delle  donne  completano  la  prima. 
Il  fondo  che  sì  riferisce  alla  maternità,  viene  costituito  coU'assicurazione 
delle  interessate  ad  una  Cassa,  alla  quale  contribuiscono  i  proprietari  delle 
manifatture.  È  limitato  inoltre  il  lavoro  notturno  femminile,  in  attuazione 
della  convenzione  di  Berna  del  26  settembre  1905,  dalle  ore  22  alle  5. 

L*altra  legge  fondamentale  è  quella  del  31  gennaio  1904  sugi' infortuni 
del  lavoro.  Ha  due  scopi:  la  riparazione  degl* infortuni  mercè  compensi 
pecuniarìi,  e  la  determinazione  di  norme,  destinate  a  diminuirne  la  frequenza: 
si  occupa  cioè  dell'assicurazione  e  della  prevenzione.  La  prima  deve  esser 
fatta  dair  imprenditore  presso  un  istituto  di  sua  scelta,  e  con  le  norme  di 
polizza  libere,  in  quanto  le  disposizioni  legislative  o  regolamentari  diretta- 
mente non  provvedano.  La  seconda  si  esplica  in  misure  preventive,  per 
disposizione,  illuminazione  dei  locali,  uscite  per  incendi,  riparo  di  organi 
pericolosi  delle  macchine  operatrici,  precauzioni  imposte  agli  operai,  isola- 
mento dei  motori,  sorveglianza  delle  trasmissioni,  segnale  di  messa  in  marcia: 
misure  comprese  in  regolamenti  speciali,  detti  appunto  preventivi. 

Fra  le  leggi  minori  sono  da  ricordare  quella  sui  probiviri,  del  15  giugno 
1893,  che  limita  la  sua  azione  agli  operai  dell*  industria  e  ai  trasporti  del- 
Tagricoltura,  e  stabilisce  la  istituzione  dei  collegi  per  decreto  reale,  su  ri- 
chiesta degl'interessati;  e  Taltra  sul  riposo  settimanale  e  festivo,  corredata 
da  due  regolamenti,  il  primo  riguardante  il  commercio,  ed  il  secondo  l'in- 
dustria. Mira  ad  assicurare  24  ore  settimanali  di  riposo  non  interrotto  agli 
operai,  con  esclusioni  ed  eccezioni,  cercando  di  conciliare,  e  non  sempre 
riuscendovi,  le  ragioni  di  necessità  pubblica  coi  riposi  che  si  vorrebbe  assicu- 
rare. Sono  anche  da  ricordare  la  legge  sul  lavoro  delle  risaie,  e  quella 
suir abolizione  del  lavoro  notturno  nell'  industria  della  panificazione.  Bicordo 
anche  la  più  recente,  che  die'  luogo  a  vivaci  dibattiti  fra  i  competenti  in 
Senato,  circa  il  divieto  di  usare  fosforo  bianco  nella  fabbricazione  dei  fiam- 
miferi: legge  sanzionata  il  10  luglio  dell'anno  scorso,  e  che  non  sarà  appli- 
cabile prima  del  1915.  È  anch'essa  risultato  della  convenzione  di  Berna. 

Questa  è  la  legislazione  sociale  finora  attuata  in  Italia,  compresa  la  Cassa 
nazionale  di  previdenza.  É  innanzi  al  Parlamento  un  disegno  di  legge  su  gl'in- 
fortunii  degli  operai  addetti  al  lavoro  neiragricoltura,  la  cui  prima  iniziativa 
fu  del  senatore  Emilio  Conti,  e  che  il  Governo  ha  fatto  suo  nella  sostanza,  mo- 
dificandolo in  varii  punti.  E  innanzi  al  Parlamento  è  pure  un  più  modesto 
progetto  snir  ispettorato  del  lavoro,  per  Tesecuzione  delle  leggi  votate  finora; 
e  un  altro,  infine,  sul  contributo  dello  Stato  contro  la  disoccupazione  invo- 
lontaria, progetto  respinto  dagli  Ufliciì  del  Senato,  perchè  incompleto  e  infor- 


52  RAFFAELE   DE   CESARE 


mato  a  principii  troppo  discutìbili.  È  infine  da  ricordare  che,  sin  dal  1902, 
Tenne  costituito,  alla  dipendenza  del  ministero  di  agricoltura  industria  e  com- 
mercio, un  Ufficio  detto  del  lavoro,  che  ha  per  iscopo  di  studiare  tutte  le  que- 
stioni operaie  e  sociali,  e  di  provvedere  airapplicazione  delle  leggi  relative.  Si 
rimprovera  all'Italia  che  questa  legislazione  sia  ancora  scarsa,  e  s'insinua 
che  è  tale,  perchè  la  borghesia  seguita  ad  essere  la  classe  dirigente  del  paese. 
Certo,  le  altre  nazioni  hanno  fatto  di  più  ;  ma  si  deve  notare  che  esse  sono  eco- 
nomicamente più  progredite;  e  nessuna  è  ricca,  come  T Italia,  di  tante  opere 
pie,  che  compiono  funzioni  sociali,  utili  e  notevoli,  e  sono  alimentate  da 
un'enorine  fortuna  accumulata  da  secoli:  beneficenza  in  tutte  le  sue  forme, 
dovuta  alla  pietà  e  alla  fede  religiosa  delle  vecchie  generazioni.  Se  è  vero 
che  in  Italia  il  povero  non  ha  nessun  diritto  legale,  come  in  Inghilterra,  non 
è  men  vero  che  la  beneficenza  non  l'abbandona  in  qualunque  infortunio  della 
vita,  dalle  malattie  all'educazione  e  sussistenza  dei  suoi  figli,  come  non 
abbandona  gli  orfani,  i  derelitti  e  quanti  sono  miseri  nella  vita.  Ma  il  do- 
loroso è  questo  veramente:  che  la  beneficenza  abbonda  nelle  regioni  più 
ricche,  e  scarseggia  nelle  più  povere.  Nel  Mezzogiorno  è  concentrata  nelle 
grandi  città;  ed  una  perequazione  non  è  possibile,  poiché  la  beneficenza 
è,  per  sua  natura,  strettamente  locale,  né  può  mutarsi  senza  offendere  la  vo- 
lontà del  fondatore  e  i  legittimi  interessi  regionali.  In  quelle  provincie  la 
beneficenza  venne  a  mancare  dal  giomo  in  cui  cominciò  a  deperire  il  sen- 
timento religioso  :  mentre  nelle  provincie  del  Nord  accenna  a  cambiar  forme, 
conciliando  i  lasciti  generosi  agli  ospedali  con  la  fondazione  di  opere  ri- 
chieste dalle  più  impellenti  esigenze  sociali.  Anche  nel  Mezzogiorno  ora  pre- 
vale la  abitudine  di  provvedere,  mercè  lotterie,  a  molti  bisogni  della  benefi- 
cenza. Ed  è  laggiù  che  dovrebbe  rivolgersi  l'attenzione  di  quanti  si  occupauo 
del  grande  problema  di  rialzare  le  condizioni  economiche  dei  lavoratori;  e 
laggiù  sono  lavoratori  della  campagna  in  grandissima  parte.  Sarebbe  do- 
vere dell' Ufiicio  del  lavoro  e  della  Direzione  della  previdenza,  che  sono  i 
due  organi  amministrativi  della  legislazione  sociale,  studiare  provvedimenti 
più  opportuni  e  conclusivi,  per  venire  in  aiuto,  ad  esempio,  di  quella  nu- 
merosa classe  di  lavoratori  giomalieri  della  terra,  condannati  ad  un  ozio 
di  miseria  nei  crudi  inverni,  e  messi  neiralternativa  tra  la  fame  e  la  som- 
mossa. Occorre  una  sapiente  e  radicale  opera  di  reintegrazione  dello  Stato 
a  propria  difesa,  e  a  tutela  dell'ordine.  Dopo  tanti  disastri  di  terremoti  e 
di  stagioni  avverse,  e  il  continuo  esodo  di  quelle  popolazioni  nelle  Ame- 
riche, e  l'espropriazione  della  terra  ai  proprietari  indebitati,  è  stoltezza 
credere  che  quelle  provincie  possano  da  sé  riparare  alle  proprie  miserie. 
Deve  provvedervi  il  paese,  col  Govemo  alla  testa,  non  trascinato  da  vio- 
lenze parlamentari  o  da  tumulti  popolari,  ma  illuminato  dalla  visione  del 
pericolo,  dal  sentimento  del  bene  e  dell'onore,  e  soprattutto  dalla  coscienza 
di  compiere  un'azione  pacificatrice  e  redentrice  per  tutta  l'Italia. 


SOMMARIO  DI   STORIA   POLITICA   E   AMMINISTRATIVA   d'iTALIA  ^^ 


Proposta  di  riforma  del  Senato  e  della  legge  elettorale. 

Tra  le  riforme  politiche,  che  si  affacciarono  nei  primi  giorni  del  nuoTO 
ministero,  fu  quella  del  Senato,  promossa  da  tendenze  indeterminate  e  quasi 
opposte.  Mentre  la  corrente  più  radicale  Yuole  un  Senato  eletto  a  suffragio 
piuttosto  largo,  dicendone  quasi  una  succursale  della  Camera  dei  deputati,  la 
corrente  conservatrice  ne  vagheggia  uno,  che  abbia  effettiva  partecipazione 
alla  vita  politica  dello  Stato,  ed  eserciti  il  suo  ufficio  moderatore  con  serenità 
ed  efficacia,  rimanendo  assemblea  vitalizia,  indipendente  da  Governi  e  da 
torbide  maree  elettorali.  Da  più  tempo  sì  lamentava  che  il  Senato  avesse 
perduto  ogni  vigore  di  azione  politica  ed  ogni  ombra  di  resistenza  al 
potere  esecutivo,  anche  quando  il  Oovemo  più  accentuava  la  sua  noncuranza 
per  esso.  Ministeri  senza  scrupoli  non  avevano  avuto  freno  nelle  nomine,  ispi- 
rate 0  da  male  esigenze  parlamentari,  o  da  paure  immaginarie;  o,  peggio 
ancora,  da  inconfessabili  baratti  di  favori.  Si  chiedeva  una  riforma  che  fre- 
nasse soprattutto  l'arbitrio  governativo,  contro  il  quale  il  Senato  aveva  cre- 
duto di  trovare  un'arma  in  un  regolamento  con  cui  esso  può  rifiutare  a  scru- 
tinio segreto  qualunque  nominato,  senza  dar  conto  a  nessuno.  Eccesso  di 
difesa,  provocato  dal  timore  di  peggiori  abusi. 

Una  delle  difficoltà  della  riforma  era  il  metodo  da  seguire  neirintrodurla. 
Essendo  i  senatori  di  nomina  regia,  ma  effettivamente  di  nomina  ministe- 
riale, ogni  mutazione  appariva  come  uno  strappo  ai  diritti  del  Sovrano,  in 
apparenza  :  ma  ai  poteri  e  capricci  del  governo,  in  sostanza  ;  e  perciò  nessun 
ministero  promosse  la  riforma,  o  ne  apparve  tenero,  eccetto  il  gabinetto 
Luzzatti,  che  veniva  al  potere  col  favore  manifesto  dei  radicali  e  dei  socia- 
listi. Biformare  il  Senato,  significa  riformare  lo  Statuto,  considerato  finora  come 
una  specie  di  arca  santa  dei  vecchi  diritti  della  Monarchia,  cui  costituzio- 
nalmente apparterrebbe  la  facoltà  di  modificare  quel  che  ha  concesso.  Lo  Sta- 
tuto sardo  del  1848,  copia  meccanica  di  quello  del  1830  in  Francia,  creò  il 
piccolo  Senato  piemontese,  di  cui  potevano  essere  fra  i  titoli  un  censo  di 
lire  tremila  dlmposta  diretta  ;  tre  elezioni  alla  presidenza  di  quelli  che  allora 
si  chiamavano  Consìgli  di  divisione,  ed  ora  son  detti  provinciali,  e  la  de- 
putazione politica  con  soli  sei  anni  dì  esercizio.  Gli  altri  tìtoli  erano  e  sono 
alti  gradì  civili,  militari,  accademici  ed  ecclesiastici,  distribuiti  in  varie  ca- 
tegorie, senza  numero  determinato  per  ciascuna,  onde  piena  balìa  al  governo 
nelle  scelte,  e  disquilibrio  enorme  nello  stato  dei  senatori,  essendo  sempre 
in  gran  maggioranza  i  fnnzìonarìì  in  servizio  o  in  riposo.  Sopi-a  ventuno 
categorie,  sei  soltanto  sono  di  cittadini  non  appartenenti  agli  uni  o  agli 
altri. 

Essendo  così  strìdenti  le  anomalie,  appena  il  potere  passò  dalla  Destra 
alla  Sinistra,  si  cominciò  dai  conservatori  a  sentire  la  necessità  di  una  ri- 


^^  RAFFAELE   DE   CESARE 


forma  :  necessità,  che  crebbe  dopo  le  scandalose  «  infornate  « .  La  quistione 
fu  studiata  più  volte  :  ma  a  nessuna  conclusione  si  era  mai  venuti,  per  dif- 
ficoltà di  forma  e  di  sostanza.  Fu  nella  tornata  del  6  maggio  di  questa)  anno 
che  il  senatore  Giorgio  Arcoleo,  di  accordo  col  presidente  del  Consiglio  Luz- 
zatti,  svolse  un  interpellanza  «  su  gl'intendimenti  del  Governo  circa  le  riforme 
politiche,  che  riguardano  la  costituzione  dei  due  rami  del  Parlamento  « .  Parlò 
bene  ;  fu  udito  con  simpatia  e  applaudito  quando  dimostrò  la  necessità  di  una 
riforma,  con  ragioni  tratte  dalla  realtà  delle  cose.  Non  presentò  proposte 
concrete,  e  solo  un  ordine  del  giorno  per  la  nomina  di  nove  membri,  «  con 
l'incarico  di  studiare  e  proporre  quali  riforme  possano  adattarsi  sulla  com- 
posizione e  funzionamento  del  Senato  » .  Rispose  il  Luzzatti  aderendo,  sopra- 
tutto in  vista  di  un  maggior  allargamento  di  suffragio  nella  elezione  dei  de- 
putati: allargamento  non  lontano,  egli  disse,  che  troverebbe  posto  in  un  disino 
di  nuova  riforma  elettorale.  E  lasciò  troppo  intendere  che  considerava  la  ri- 
forma Game  correttivo  di  una  più  larga  partecipazione  di  cittadini  all'elet- 
torato, con  relative  e  prevedute  conseguenze.  Accettò  la  proposta  della  Com- 
missione, che  il  presidente  Manfredi  nominò,  e  della  quale  fu  presidente  il 
Finali  e  relatore  TArcoleo. 

La  riforma  nasce,  perchè  nasconderlo  ?,  sopra  un  equivoco.  I  partiti  estremi, 
messi  in  sull'avviso  dalle  imprudenti  dichiarazioni  del  Governo,  non  saranno 
soddisfatti  del  progetto  di  riforma  della  Commissione;  e  il  Senato  vedrebbe 
non  senza  suo  rodimento,  quasi  come  un'offesa  delle  prerogative  sue,  che  la 
riforma  dovesse  essere  discussa  e  approvata  dalla  Camera  elettiva.  I  conflitti 
non  sarebbero  pochi,  né  facilmente  componibili;  e  può  facilmente  preve- 
dersi che  la  riforma  si  ridurrà  semplicemente  a  rendere  elettiva  la  presi- 
denza, con  l'iniziativa  apparente  della  Corona. 

Biaprendosi  la  Camera,  il  ministero  presentò  varii  disegni  di  legge,  fra 
i  quali  sono  da  ricordare  quelli  sui  servizi  marittimi  e  sulla  riforma  elet- 
torale. Con  essa,  il  suffragio  politico  è  esteso  a  quanti  possano  dare  la  prova 
di  saper  leggere  e  scrìvere.  Si  calcola  che,  per  effetto  di  tale  riforma,  il  nu- 
mero degli  elettori  sarebbe  accresciuto  di  un  milione  e  mezzo.  Né  il  tem- 
peramento, addirittura  assurdo,  della  obbligatorietà  del  voto  attenuerebbe  gli 
effetti  dell'allargamento  del  suffragio:  nuova  concessione  al  pregiudizio  dei 
partiti  estremi,  che  credono  di  elevare  il  livello  politico  e  morale  di  un  po- 
polo, chiamando  a  partecipare  alla  sovranità  moltitudini  d'ignoranti,  i  quali 
non  vedono  nel  voto  che  l'arma  per  pretendere  dallo  Stato  beneficii  mate- 
riali e  immediati  di  persone,  di  classi  o  di  clientele.  Da  qui  un  maggiore  ab- 
bassamento della  funzione  legislativa,  cui  le  folle  elettorali  pretenderanno 
di  partecipare  sempre  più  direttamente,  non  solo  imponendosi  ai  proprìi  rap- 
presentanti, ma  mutando  costoro,  peggio  che  non  lo  siano  oggi,  in  faccendieri 
senza  dignità;  facendo  esulare  dalla  vita  politica  ogni  sentimento  di  sacri- 
fizio, ogni  tendenza  alle  grandi  idealità,  onde  fu  potuta  formare  l'Italia;  e 


SOMMARIO   DI    STORIA   POLITICA   E    AMMINISTRATIVA   d'iTALIA  55 

disarmando  lo  Stato  di  ogni  suo  potere  atto  a  garantire  la  esistenza  del  di- 
ritto. Anche  questa  riforma,  di  certo  meno  innocua  di  quella  del  Senato,  non 
è  intesa  dalla  parte  più  intelligente  e  piti  sana  del  paese,  ma  piuttosto 
voluta  da  quelle  esigenze  parlamentari,  cui  l'Italia  deve  le  sue  maggiori 
sciagure. 

Nel  novembre  si  celebrarono  a  Napoli  le  feste  commemoranti  il  ple- 
biscito, con  rintervento  dei  Sovrani  che  vi  ebbero  festose  accoglienze.  Furono 
in  quella  occasione  inaugurati  i  monumenti  al  Re  Umberto,  al  generale  Enrico 
Gosenz  e  a  Paolo  Emilio  Imbriani.  I  Sovrani  si  recarono  in  alcuni  istituti 
di  beneficenza,  di  antica  e  recente  fondazione,  e  assai  si  compiacquero  dei 
raggiunti  progressi  igienici  ed  educativi.  La  Begina  visitò  due  delle  istitu- 
zioni nuove,  dovute  alla  pietà  illuminata  e  magnanima  della  duchessa  Teresa 
Bavaschierì.  Il  Re  visitò  alcuni  dei  nuovi  stabilimenti  industriali,  consta- 
tando che  accenna  a  sorgere  anche  per  Napoli,  dopo  tanti  errori  e  abban- 
doni, un'era  di  prosperità  e  di  conforto,  che  sarà  affrettata  dalla  nuova  legge, 
dovuta  alla  tenacia  del  sindaco  Del  Garretto  e  al  buon  volere  dei  mi- 
nistri Luzzatti,  Tedesco  e  Sacchi.  I  Sovrani  sovvennero  molte  miserie,  e  la 
loro  presenza  quasi  cancellò  il  trìste  ricordo  di  un'epidemia,  che  la  legge- 
rezza e  la  paura  avevano  esagerata.  Certo  il  1910  fu  uno  dei  più  nefasti, 
anche  a  causa  dei  raccolti  agricoli  in  gran  parte  mancati.  Ghe  il  1911, 
anno  fausto,  in  cui  si  commemora  con  due  Esposizioni  la  data  gloriosa  del 
nostro  Risorgimento,  sia  foriero  di  letizia  e  cancelli  i  dolori  del  passato. 
Ecco  Taugurio  con  cui  chiudo  queste  pagine,  nelle  quali  è  condensata,  per 
obbligo  di  programma,  la  storia  di  mezzo  secolo:  storia  cosi  varia  e  diffi- 
cile, anche  perchè  contemporanea,  con  uomini  tuttora  vivi,  passioni  non 
ancora  spente,  e  fktti  dei  quali,  se  molti  son  degni  di  plauso  e  di  orgoglio, 
altri  sono  da  segnalare  al  biasimo  dei  futuri. 


Roma,  31  dicembre  1910. 


Raffaele  de  Cesare 

Senatore  del  Regno. 


ÌA  DEMOGRAFIA  ITALIANA  NELL'ULTIMO  CINQUANTENNIO 


I. 


Dagli  ex-Stati  italiani  al  nuovo  Regno  dltalia. 


1.  Se  mai,  per  tutte  le  vie  conosciute  ai  cultori  della  statistica  storica, 
Terrà  &tto  di  ricostituire  il  numero  probabile  degli  abitanti  dei  principali 
paesi  a  vane  date  dalla  scoperta  deirAmerica  in  poi,  si  confermerà  la  co- 
mune opinione  che  il  secolo  XIX  sia  stato,  fra  gli  ultimi  quattro,  di  gran 
lunga  il  più  favorevole  allo  sviluppo  demografico  delle  popolazioni  europee. 
Esso  le  ha  più  che  raddoppiate  ;  ed  evidentemente  non  si  potrebbe,  andando  a 
ritroso,  mantenere  la  ragion  della  progressione  senza  scendere  a  risultati  del 
tutto  inverosimili.  Nessuno  vorrà  ammettere,  infatti,  che  al  principio  del  1500 
l'Europa  contasse  soli  25  milioni  di  uomini,  che  per  quattro  secolari  raddop- 
piamenti sarebbero  diventati  i  400  milioni  di  dieci  anni  fa  e  1  445  milioni 
di  oggi  (0.  Convien  dunque  ritenere  —  e  un  principio  di  prova  lo  si  ha 
in  indiani  statistiche  parziali  —  che,  nelVinsieme,  il  movimento  demografico 
tra  il  Cinquecento  e  l'Ottocento  sia  stato  lentissimo.  Della  qual  cosa  le  ca- 
gioni non  si  trovano  né  in  una  deficiente  fecondità  delle  famiglie  di  allora 
(fecondità  che  sarebbe  anzi  da  presumere  maggiore  dell* attuale,  cioè  più 
esente  da  freni),  né  in  una  vasta  emigrazione  d'oltremare  (Vemigrazione  in 
masse  veramente  grandi  essendo  fenomeno  caratteristico  d^li  ultimi  cin- 
quanta 0  sessantanni),  ma  nelValta  mortalità  ordinaria,  massime  dei  bam- 
bini, e  in  quella  straordinaria,  comune  a  tutte  o  a  speciali  età,  per  epidemie, 
carestie,  guerre,  persecuzioni  religiose  ecc. 

(*)  Secondo  il  Levassear  (La  repartition  d$  la  race  humaine  tur  le  globe  terrestre, 
Ball,  de  Tlnstìtiit  internat.  de  statistiqae,  tom.  XVni,  2^^^  lìvr.)  la  popolaiione  d*Eiiropa 
nel  1801  sarebbe  stata  di  175  milioni  di  ab.  (altri  porrebbe  186);  nel  1850  di  266  milioni; 
nel  1908  di*4d7.  I  censimenti  e  le  valutazioni  del  1910-11  eleveranno,  con  tutta  probabi- 
lità, questo  numero  a  445  milioni. 

aoDOi.ro  BBNim  —  Z«  icnografia  UaKoM  eee.  1 


RODOLFO   BENINI 


Quanto  ali*  Italia,  gli  studi  del  Beloch  stabiliscono  intorno  alla  metà 
del  Cinquecento  una  popolazione  di  11  milioni  di  individui  o  poco  più,  e  un 
incremento  di  2  o  3  milioni  al  massimo  da  questa  data  al  principio  del  Set- 
tecento (»).  Le  epidemie  del  1574-76,  del  1630-82  e  del  1656-57  —  per 
dir  solo  delle  principali  —  che,  neirinsieme,  produssero  un  vuoto  di  oltre 
un  milione  di  vite  umane  ;  le  guerre,  l'oppressione  spagnuola,  lo  spostamento 
delle  vie  commerciali  e  T emigrazione  di  non  poche  industrie,  spiegano  quella 
stazionarietà  demografica.  Il  secolo  decimottavo,  per  buon  tratto  piii  ripo- 
sato, immune  da  gravi  epidemie,  meno  sfavorevole  allo  sviluppo  delle  forze 
economiche,  aggiunse  4  o  5  milioni  di  abitanti,  che  sono  però  ancor  poca  cosa 
in  confronto  dei  14  apportati  dal  decimonono. 

Valutazioni  abbastanza  attendibili  assegnano  infatti  al  territorio  delFat- 
tuale  Regno  nel  1800  una  popolazione  di  18,125,000  individui,  mentre  il 
censimento  del  10  febbraio  1901  ne  ha  accertata  una  di  32,475,253.  Tutto 
lascia  credere  che  il  censimento  dell' 11  giugno  1911  ci  farà  toccare  i  84  mi- 
lioni e  mezzo.  Il  periodo  di  raddoppiamento,  a  partire  dal  1800,  potrebbe 
quindi  stimarsi  di  centoventi  anni.  Nella  gara  abbiamo  vinto  i  francesi,  gli 
spagnuoli  ed  alcuni  altri  concorrenti  ;  ma,  per  quanto  notevole,  il  nostro  pro- 
gredire come  numero  è  stato  inferiore  a  quello  della  media  delle  nazioni 
europee,  che  raddoppiarono,  a  quanto  sembi-a,  in  ottantaoinque  anni. 

2.  Per  le  molte  diversità  di  date,  di  metodi  e  di  valore  dei  censimenti 
nominativi  o  delle  stime  ufSciali  eseguite  dagli  ex-Stati  italiani,  e  per  le 
variazioni  territoriali  di  questi  ultimi,  non  si  può  aspirare  ad  una  grande 
precisione  e  ad  una  perfetta  comparabilità  di  elementi  statistici.  I  dati,  che 
seguono,  per  l'ambito  dell'attuale  Regno  e  per  i  territori  degli  staterelli, 
dalla  cui  fusione  esso  è  felicemente  sorto,  sono  il  frutto  di  un  lavoro  di  ri- 
costruzione assolto  già  dal  dott.  Pietro  Gastiglioni,  direttore  dell'Ufficio  sta- 
tistico al  ministero  deirintemo  in  Torino  (nella  lodata  prefazione  al  censi- 
mento degli  Stati  sardi  del  V  gennaio  1858),  e  rifinito  e  ritoccato  in  qualche 
punto,  per  suggerimento  del  Beloch,  dalla  Direzione  generale  della  statistica 
in  Roma. 

Premettiamo  che  l'attuale  Regno  si  stende,  secondo  le  piìL  recenti  misure^ 
per  286.682  kq.,  pari  ali*  87,8  Vo  della  superficie  dell'Italia  geografica.  I  vecchi 
annuarii  semiufficiali,  anche  posteriori  all'unificazione  (come  quello  del  1864 
che  citiamo  più  sotto),  non  esitavano  a  fornire  notizie  demografiche,  econo- 
miche ecc.  concernenti  questa  maggiore  Italia;  ma  oggi  1* indagine  riusci- 
rebbe laboriosa  e  la  novità,  dopo  il  disuso,  parrebbe  meditata  a  scopo  non 
esclusivamente  scientifico. 


(•)  Giulio  Beloch,  La  popolazione  d'Italia  nei  secoli  XVU  XVII  e  XVIII.  Dal 
BnlL  de  rinstitut  internai,  de  Statistique,  Tome  III,  1888,  l^re  livraison. 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA    NELL  ULTIMO   CINQUANTENNIO 


Popolazione  del  territorio  dell'attuale  regno  d'Italia 

a  varie  date  dal  1800  in  poi. 


Intorno 

Migliiga 

Densità 

Intorno 

Miglii^'a 

DenaiU 

air  anno 

di  abitanti 

perkq. 

air  anno 

di  abitanti 

porkq. 

1800 

18,125 

68,2 

1852 

24,348 

84,9 

1816 

18,388 

64,1 

1858 

24,861 

86,7 

1825 

19,727 

68,8 

al  !•  genn.  1862 

25,017 

87,2 

1833 

21,212 

74,0 

I»           1872 

26,801 

93,5 

1888 

21,976 

76,7 

n          1882 

28,460 

99,3 

1844 

22,937 

80,0 

allOfebbr.  1901 

32,475 

113,3 

1848 

23,618 

82,4 

airilgìug.1911 
(proTiaiono; 

84,500 

120,3 

I  singoli  territoriì  degli  ex-Stati  erano  così  popolati  (^)  : 


Intorno 

6taU  Bardi 

(osolnso 

Nizsa 

•  Saroia) 

Kogno  Lombardo-Veneto 

Daoato 

di 
Panna 

Daoato 

di 
Modena 

Oiandocato 

di  Toscana 

(e  dacato 

di  Lacca) 

SUti 
Pontifioii 

Bagno 

air  anno 

Lombardia 

Yeneto 

delle 
Dne  SioUie 

1800 

3,265 

2,038 

1,845 

415 

888 

1,224 

2,310 

6,640 

1816 

3,243 

2,179 

1,958 

427 

373 

1,290 

2,855 

6,563 

1825 

3,494 

2,310 

1,941 

4S3 

404 

1,896 

2,485 

7,314 

1838 

3,791 

2,429 

1,963 

466 

488 

1,549 

2,782 

7,845 

1838 

3,974 

2,498 

2,094 

474 

485 

1,632 

2,782 

8,086 

1844 

3,992 

2,640 

2,236 

494 

507 

1,703 

2,930 

8,484 

1848 

4,220 

2,724 

2,236 

495 

576 

1,722 

2,930 

8,714 

1852 

4,220 

2,774 

2,315 

503 

598 

1,776 

3,125 

9,038 

1858 

4,373 

2,881 

2,294 

502 

610 

1,794 

3,125 

9,279 

(^)  Contiene  tener  presente  che  il  regno  di  Sardegna,  meno  Savoia  e  Niisa,  cor- 
rispondeva agli  attuali  compartimenti  del  Piemonte  (più  i  circondarli  di  Bobbio,  Mortara 
e  Voghera,  che  ora  fan  parte  della  provincia  di  Pavia),  della  Liguria  e  della  Sardegna  ; 
il  regno  Lombardo-Veneto  alFattaale  Lombardìr,  tolti  1  circondarli  nominati,  e  al  Veneto; 
il  ducato  d:  Parma  alle  Provincie  di  Parma  e  Piacenza,  più  il  circondario  di  Quastalla, 
sostituito,  dopo  il  1847,  da  quello  di  Pon tremoli  ;  il  ducato  di  Modena  alle  provincie  di 
Modena,  Reggio  d*  Emilia  e  Massa^Oarrara,  fatto  il  debito  conto  dello  scambio  del  Pon- 
tremolese  col  Guastallese  ;  il  granducato  di  Toscana  e  Tez-ducato  di  Lucca,  insieme  presi, 
alla  Toscana  attualo,  meno  la  provincia  di  Massa  e  Carrara  ;  gli  Stati  Pontifici  al  Lazio, 
airUmbrìa,  alle  Marcha  e  alla  Romagna,  più  i  piccoli  territorii  di  Benevento  e  Pontecorvo, 
geograficamente  inclusi  uel  reame  di  Napoli  ;  infine  il  regno  delle  Due  Sicilie  ai  compar- 
timenti continentali  meridionali  (meno  i  due  piccoli  territori!  anzidetti)  e  alla  Sicilia. 


4  RODOLFO   BENINI 


3.  La  fusione  dei  vecchi  Stati  ebbe  compagna  una  riforma,  non  ardita 
nò  organica,  delle  loro  interne  circoscrizioni.  Nell'alta  e  media  Italia,  Tele- 
mento  storico,  che  vi  prevaleva  prima  del  1796  sotto  specie  di  principati, 
marchesati,  contee,  baronìe  e  castellanze,  aveva  ceduto  il  posto,  durante  il 
dominio  napoleonico,  ali* elemento  topografico  in  forma  di  dipartimenti,  40  in 
numero  nel  1810,  di  cui  15  facevano  parte  dell'Impero  francese  e  25  del 
Regno  italico.  Colla  Ristorazione  i  dipartimenti,  qua  e  là  contro  ogni  conve- 
nienza smembrati  di  territorio,  convertironsi  in  provincie  (^)  {divisioni  in 
Piemonte,  prefetture  in  Toscana,  legazioni  e  delegazioni  negli  Stati  Pontifici). 
Nel  Napoletano,  le  9  provincie,  oltre  la  capitale  coi  dintorni,  descritte  dal 
Porzio  verso  il  1578,  in  seguito  alla  partizione  dell* Abruzzo,  della  Calabria 
e  del  Principato,  eran  divenute  12  sotto  i  viceré  spagnuoli,  e  15  sotto  i 
Borboni.  Circoscrizione  intermedia  tra  la  provincia  e  il  comune  era  in  tutta 
Italia,  airinfnori  dei  ducati  emiliani,  il  distretto,  che  però  soltanto  nel 
Lombardo-Veneto  rappresentava,  sia  pure  in  sottordine,  una  completa  unità 
politico-amministrativa,  finanziaria  e  giudiziaria.  Quanto  ai  comuni,  il  Regno 
italico  li  aveva  costituiti  in  Lombardia  meno  numerosi  e  più  robusti,  che 
oggi  non  siano;  fu  la  dominazione  austriaca  che,  accarezzando  le  vanità  mu- 
nicipali, li  suddivise  e  moltiplicò.  Frazionamento  poco  minore  notavasi  negli 
Stati  Sardi.  Al  contrario,  gli  ordini  leopoldini  avevano  determinato  in  Toscana 
numerose  fusioni  di  comunelli,  leghe  e  balìe.  Sussistevano  i  comunelli  nel 
Modenese  e  nel  Parmense,  ma  senza  importanza  quanto  airamministrazione, 
nei  riguardi  della  quale  erano  riuniti  in  comuni  maggiori  ;  e  nelle  Romagne 
sopravviveva  l'organismo  municipale  antico,  per  cui  attorno  al  centro  urbano 
si  raccolgono  le  vicine  comunità  rurali  e  gli  appodiati  ('). 

Il  nuovo  regno  d'Italia  segnò  subito  la  fine  di  molte  provinciette,  che 
furono  aggregate  come  circondarii  a  vicine  e  maggiori  provincie;  ma  lasciò 
intatte  le  circoscrizioni  comunali.  Solo  dal  1^  luglio  1865,  e  cioè  dalla 
attuazione  della  legge  comunale  e  provinciale  del  20  marzo  stesso  anno,  in- 
cominciò un  abbastanza  attivo  movimento  di  incorporazione  di  piccoli  co- 
muni ad  altri  contigui,  movimento  rallentatosi  di  molto  sette  anni  dopo  e 
cessato  quasi  del  tutto  dopo  il  1880.  Per  dir  breve,  intorno  al  1850,  nei 
limiti  deiritalia  politica  di  oggi,  si  noveravano  91  provincie,  489  distretti 
e  8759  comuni,  cui  si  contrappongono  attualmente  69  provincie,  284  circon- 
dari 0  distretti,  e  8320  comuni. 

(*)  Norme  spesso  arbitrarie  e  favoritismi  presiedettero  aUa  creazione  delle  provincie. 
V Annuario  economico  statistico  d$lVItalia  pel  1853  (Biblioi  dei  comuni  italiani,  Torino, 
pag.  25)  ricorda  ad  esempio  Orvieto,  frazioncella  di  paese  elevata  a  dignità  di  provincia 
per  gli  onori  tributati  a  S.  S.  Gregorio  XVI  di  felice  memoria.  Il  corsivo  è  nel  testo. 

(•)  Ved,  \  Annuario  statistico  italiano,  per  cura  di  C.  Correnti  e  P.  Maestri.  Anno  II, 
1864,  pag.  40  e  seg.;  e  la  Relazione  al  censimento  1861  {Statistica  d'Italia,  Popolazione» 
parte  l),  pp.  13-14. 


LA   DEUOGRAFIA   ITALIANA   NBLL  ULTIMO   CIMQDANTBNNIO 


Intoino  al  1850  (■) 

Hai  1910  (') 

firmi  o  p*HTi  DI  Stati 

S 
ì 

1 

1 

i 

1 

0  anorrt  w  peotiboib 

ì 

1 

1 

6 
2 

8 
8 

5 

7 

10 
16 
7 

69 

1 

i 

é 

1 

Stati  SuTdi  di    terra- 
ferma, escluse  Niiza 
e  Savoia    

Sardeiina 

Raenn    (  Lombardia 
lombardo- 
veneto  (  Veneto  .  . 

Ducali    di    Parma    e 
M.'deDa 

Granduc.  di  Toscana, 

SUti  Pontifici    ,  .  .  . 

Regno    iNapoletano 
delle  Du. 

Sicilie    'Sicilia.  .  . 

37,406 
24,109 
21,321 
24,547 

12,378 

22,324 

41,762 
76.814 
25.739 

8 
3 

9 
8 

12 

9 

20 
15 
7 

91 

31 
11 
I2G 

92 

56 

46 
53 
24 

1,696 
388 

2,111 
813 

175 

246 

833 
1,851 

348 

Piemonte  e  Liguria. 
Sardegna 

Veneto 

Emilia  propr.  detta, 
con  Massa-Carrara. 

Toscana,  senza  Mas- 
sa-Carrara   

Latio,  Marche,  Um- 
bria. Romagna    .  . 

Napoletano 

Sicilia 

To1,ili  .   .  . 

34,645 
24,109 

24,085 
24,647 

12.378 

22.824 

41,606 
76,970 
25,739 

Totali 

286,403 

m 

439 

8,761 

286,403 

(21 

284[   8,320 

Le  meno  toccate  furono,  per  dir  breve,  le  circoscrizioni  del  Veneto  e 
dell' ex-regno  delle  Due  Sicilie,  nel  quale  novità  importante  parve  la  costita- 
zione  della  provincia  di  Benevento,  fatta  col  piccolo  territorio  già  di  ragion  del 
pontefice  e  con  frammenti  delle  provincie  contigue;  le  più  rimandiate,  quelle 
dei  ducati  emiliani  e  dei  dominii  della  Chiesa. 

Ordinando  gli  ei-Stati  o  le  parti  loro  secondo  Veiteraione  media  dei 
rispettivi  comuni,  il  primo  posto  dobbiamo  darlo  al  granducato  di  Toscana 
e  l'ultimo   alla    Lombardia;  e  l'ordine  è  in  complesso  il  medesimo  per  i 


(')  Le  differenze  di  anperficie  tra  alcuni  degli  ei-Stati  e  i  compartimenti  o  grnppi 
di  Provincie,  che  loro  meglio  corrispondoDO  attualmente,  dipendono  dal  fatto  che  il  vec- 
chio Piemonte  comprendeva  i  circondari  di  Bobbio,  Hortnra  e  Voghera,  oggi  facienti 
parte  della  Lombardia,  e  gli  Stati  Pontifici  comprendevano  i  territori  di  Benevento  e 
Pontecorvo,  oggi  facjenti  parte  del  Napoletano. 

Gli  Stati  Sardi  di  terraferma,  esclusa  la  Savoia,  erano  ripartiti  in  9  diviaiani, 
S2  distretti  e  2081  comuni.  Per  eliminare  anche  Nitia,  allora  capolnogo  di  una  divisione, 
e  il  coi  distretto  (87  comuni  nel  1850.  divenuti  poi  89).  fu  cednto,  eccezion  fatta  per 
2  comuni,  alla  Francia,  abbiamo  diminuito  il  totale  di  una  dirlsione,  nn  distretto  e  85 
comoni. 

(■)  La  enperlìcie  dell'Italia  nei  limiti  politici  attnali  è  di  286,683  kq  ,  ossia  di  279  kq. 
pt&  di  quella  suindicata.  Tedi  in  proposit»  i  chiarimenti  contenuti  nellMHnuarto  itatitìieo 
italiano  pel  1905-1907,  fase.  1",  pp.  50-51. 


6 


RODOLFO   BBNINI 


compartimenti  che  loro  oggi  corrispondono,  eccetto  per  l'Emilia,  propriamente 
detta,  con  Massa-Carrara,  che  per  il  cresciuto  numero  de'  suoi  municipii  passa 
dal  terzo  al  quarto  posto.  Ordinando  con  riguardo  alla  popolazione  media 
dei  comuni,  riusciremmo  ad  una  graduatoria  poco  diversa;  l'eccezione  di 
maggior  rilievo  essendo  quella  della  Sardegna,  che  aveva  ed  ha  comuni 
estesi,  ma  poco  popolati: 


StoU  o  puti  di  SUti 


2       fi 


U    «    0 
OQ         • 


Popoluione 
media 

dei  comnni 
intorno 
al  1850 


Graiiduc.  di  Toscana 
Sicilia 

Ducati  emiliani    .  . 
Sardegna 

Stati  Pontifici   .  .  . 

Napoletano 

Veneto 

Stati  Sardi  di  terra- 
ferma  

Lombardia 


Densità 
per  kq. 


Compartimenti 

o  grappi 
di  prorincie 


.2     -S 


o  «  o 


Popolasione 

media 
dei  cenoni 

al 
10  febbr.  1901 


Denaitft 


90,75 

7,069 

78,96 

6,195 

70,73 

6,206 

62,14 

1,410 

50,13 

8.634 

41,50 

8,680 

80,19 

2,799 

18.74 

1,837 

10,10 

1.302 

77,9 
83,8 


Toscana,    senza 
Massa-Carrara   . 


Sicilia 


87,7 


Emilia  propr.  detta 
con  Massa-Carr. 


22.7     Sardegna 


72,5 
87,5 
92.7 


Lazio.Uinbria.Mar- 
che,  Romagna.  . 

Napoletano   .  .  .  . 

Veneto     


98,0    Piemonte  e  Liguria 
128,9  I  Lombardia 


89,65 

9,452 

72,10 

9,887 

55,76 

5,969 

66,42 

2,181 

54,46 

5,550 

41,63 

4,555 

30,88 

3,943 

19,33 

2,452 

12,68 

2,255 

105,4 
137,1 

107,0 
82,8 

101,9 
109.4 
127,7 

126.8 
177,8 


Il  contrasto  fra  le  circoscrizioni  comunali,  che  già  appare  a  forti  tinte 
nelle  medie  dei  compartimenti  o  gruppi  di  Provincie  (andando  dairi  al  7 
per  la  superfìcie,  e  dairi  al  4  Vt  per  la  popolazione),  crescerebbe  natural- 
mente se  prendessimo  a  considerare  le  medie  delle  provincie,  e  ancor  pia 
dei  circondar!  caratteristici  di  ogni  compartimento.  Dai  comuni  del  Ferrarese, 
del  Grossetano  ecc.,  che  contano  spesso  oltre  200  kq..,  si  scende  ai  comu- 
nelli  del  circondario  di  Varese  con  una  media  di  neppur  5  kq.  Un  più  completo 
quadro  dei  comuni  esistenti  al  31  marzo  1910  classificati  per  superficie, 
fatta  eccezione  per  14,  creati  da  poco  (di  cui  6  in  Lombardia,  4  nell'Emilia 
e  1  per  ciascuno  dei  seguenti  compartimenti:  Toscana,  Marche,  Abruzzi,  e 
Sicilia)  l'estensione  dei  quali  non  venne  ancom  determinata,  ci  è  offerto  del 
nuovo  Ufficio  di  statistica  agraria  (^): 


(')  Ved.  Notiiié  periodiche  di  statistica  agraria^  fase.  2^  agosto  1910.  Ministero  di 
Agrìc.  ecc..  Ufficio  di  Statistica  agraria.  Roma,  Bertero,  1910. 


LA   DBMOGRAFIA   ITALIANA   NBLL' ULTIMO   CINQUANTENNIO 


Toscana,  sema  Massa-Carrara.     .     . 

Sicilia 

Emilia  propr.  detta,  con  Massa-Carr. 

Sardegna  

Lazio,  Marche,  Umbria,  Bomagna 

Napoletano 

Veneto 

Piemonte  e  Liguria 

Lombardia     . 

Totali    .    .    . 


NUMBRO  DBI   COMCXI  ÀVEMTI  UMA  SUPBBFIOW 


-  J? 


IO 


•■  2 


3 


ó*  K 


'o 

s 


ToUle 


8 
4 


16 


14 


1 


9 


90 


805 
583 


1,010 


83 


33 

159 

1 

130 

25 

182 

54 

482 

186 

1,120 

54 

625 

430 

924 

543 

717 

1,828 

4,422 

89 
76 
68 
77 
133 
329 
93 
94 
45 


74 
74  2 


1,004 


22 

68 
91 
128 
20 
81 


2 
2 


51 


8 


248 

359 

222 

868 

767 

1,858 

796 

1,792 

1,901 


8,806 


Tra  il  1850  e  il  *60  le  primo  quattro  categorie  erano  certamente  più 
numerose.  Attualmente  il  più  piccolo  dei  comuni  è  Lascari,  in  prov.  di  Pa- 
lermo, con  5  ettari  di  superficie.  Il  più  grande  è  Roma,  con  2075  kq.,  terri- 
torio cui  non  arrì?ano  le  singole  pro?incie  di  Livorno,  Napoli,  Porto  Maurizio, 
Lucca,  Cremona,  Massa-Carrara,  Rovigo,  Ravenna,  Forlì  e  Ancona.  In  ordine 
di  grandezza  seguono  i  comuni  di  Tempio  Pausania  con  907  kq.  ;  di  Ravenna 
con  647;  di  Noto  con  640  e  di  Sassari  con  606. 

E  quanto  alla  scala  di  popolazione,  di  cui  può  dare  un'idea  resistenza, 
ancor  nel  1901,  di  cinque  comuni  con  meno  di  100  anime  ciascuno  e  di  tre 
che  oggi  superano  il  mezzo  milione,  valga  questo  prospetto,  a  varie  date, 
considerato  sempre  il  territorio  dell'attuale  regno  (^)  : 


(')  Per  il  1850  ì  dati  sono  attinti  al  citato  Annuario  per  il  1858,  che  dà  la  clasd- 
ficaiione  dei  comuni  dei  singoli  ex-Stati,  ad  eccesione  delle  provincie  della  Campania, 
della  Basilicata,  delle  Puglie,  delle  Calabrie.  Abbiamo  integrato  la  classificasione  valen- 
doci per  queste  provincie  dei  dati  del  1861,  avato  riguardo  al  poco  variato  numero  così 
dei  comuni,  come  degli  abitanti,  nel  decennio  di  intorvallo.  D'altra  parte,  dovemmo  de- 
durre gli  85  comuni  del  Nizzardo  ceduti  alla  Francia,  supponendoli  ripartiti,  nelle  pro- 
porzioni accertate  nel  censimento  del  1857. 

Quanto  al  1861,  la  Relazione  sul  censimento  del  81  dicembre  dà,  a  pag.  224,  la 
classificazione  dei  comuni  del  regno  d'allora,  integrata  con  quella  dei  comuni  del  Veneto 
e  dei  distretti  mantovani,  secondo  il  censimento  del  1857  (Ved.  Statistica  d^Italia.  Popo- 
lazione, parte  1^:  Censimento  generale  31  dicembre  1861.  Firenze,  Barbèra  1867).  Non 
abbiamo  fatto  che  completarla  colFaggiunta  dei  227  comuni  del  Lazio,  ripartiti  a  stima 


8 


RODOLFO   BBNINI 


NUMBBO  DBI   COMUNI 

POPOLAZIONB 

T      * 

Intorno 
Al  1850 

nel  1861 

nel  1871 

nel  1881 

nel  1901 

Meno    di    500       abit. 

1,142 

1,112 

799 

693 

575 

da     500  a       1000    » 

1,862 

1,707 

1,442 

1,345 

1,198 

»     1000  a       2000    » 

2,473 

2,491 

2,348 

2,270 

2,079 

n      2000  a       3000    » 

1,303 

1,369 

1,399 

1,415 

1,442 

n     3000  a       4000     a 

718 

748 

858 

86") 

974 

r>     4000  a       5000    » 

841 

380 

439 

481 

577 

n      5000  a    10,000    » 

619 

667 

733 

795 

940 

»  10,000  a    20,000    » 

221 

227 

260 

274 

337 

»  20,000  a    50,000    » 

61 

67 

81 

96 

133 

»  50,000  a  100,000    » 

10 

11 

13 

14 

24 

oltre  a  100,000           n 

8 

10 

10 

11 

11 

8,753 

8,789 

8,382 

8,259 

8.290 

4.  Quello  che  non  si  è  operato,  con  riforma  legislativa  generale  e  si- 
multanea, nelle  circoscrizioni  municipali,  si  è  dunque  in  parte  e  a  poco  a  poco 
operato  per  forza  di  cose.  I  piccoli  nuclei,  al  di  sotto  di  duemila  abitanti, 
sono  diminuiti  quasi  di  un  terzo,  vuoi  per  soppressione  e  aggregazione,  non 
infrequente  nei  primi  anni  dalla  legge  20  marzo  1865,  vuoi  per  passaggio  a 
categorie  superiori  conseguente  al  crescere  generale  della  popolazione.  Questa 
penetrazione  nelle  categorie  superiori,  per  parte  di  molti  tra  essi,  ha  contro- 
bilanciato il  gravitare  di  altri  verso  le  categorie  inferiori  in  sèguito  a  perdite 
di  abitanti,  causate  dai  movimenti  migratorii  per  l'estero  e  per  i  grandi 
centri  urbani  airinterno.  Nel  1871  già  si  erano  trovati  circa  600  comuni, 
generalmente  piccoli,  la  cui  popolazione  appariva  diminuita  rispetto  a  quella 


tenendo  conto  delle  risultanze  così  del  censimento  del  1853  come  di  quello  del  1871,  tra 
cui  intermedio  è  Tanno  che  si  considera. 

Pertanto  i  dati  del  1850  e  1861  dehhonsì  ìnierìàere  approssimativi  ;  ad  ogni  modo, 
poco  discosti  dal  vero. 

Ricordiamo  infine,  che  nel  territorio  del  regno,  quale  era  nel  1861  —  ancor  monco, 
cioè,  del  Veneto,  dei  distretti  mantovani  e  del  Lazio,  —  si  contavano  allora  7722  comuni, 
ridotti,  dieci  anni  dopo,  a  7316,  e  altri  dieci  anni  dopo  a  7193. 


LA   DEMOORAFIA   ITALIANA   NELL  OLTIMO    CINQUANTENNIO  ^ 

accertata  col  censimento  precedente;  e  2144  se  ne  trovarono  dieci  anni  dopo 
in  perdita  rispetto  al  1871;  e  ancora  1935  nel  1901  rispetto  al  1881. 

Non  può  sfuggire  ad  alcuno  l'importanza  di  questi  dati  e  di  quelli  che 
nel  prospetto  testimoniano  raddoppiato  nel  volgere  di  un  cinquantennio  il 
numero  dei  comuni  con  più  di  20  mila  abitanti,  per  ciò  che  concerne  il 
fenomeno  àélY urbanesimo.  Fenomeno  caratteristico  del  secolo  XIX,  così  per 
ritalia  come  per  altri  paesi,  e  in  via  di  accentuarsi  nel  secolo  in  corso,  se 
una  politica  discentratrice  non  richiamerà  la  popolazione  alle  campagne; 
alimentato  dalla  scelta  sistematica,  che  i  governi  fanno  delle  maggiori  città 
a  sede  di  nuovi  uffici  amministrativi  ;  dal  minor  costo  o  dal  maggior  comodo, 
che  l'uso  di  molti  pubblici  servizi  (istituti  d'istruzione  superiore,  corti  giu- 
diziarie, ferrovie)  messi,  per  dir  così,  a  portata  di  mano  degli  abitanti  dei 
centri  urbani,  implica  per  essi,  a  parità  d'imposte  pagate,  in  confronto  del 
resto  della  popolazione  ;  dalla  maggior  facilità  d'occultazione  della  ricchezza 
mobiliare  al  fisco,  ecc.  Gli  si  imputa  una  influenza  deleteria  sulla  forza 
fisica  e  resistenza  morale  degli  individui  e  sulla  coesione  delle  famiglie  ;  il 
facile  contagio  della  delinquenza  e  del  libertinaggio;  la  gara  dell'arrivare, 
con  poco  riguardo  dei  mezzi,  ai  posti  migliori.  D'altra  parte,  ad  esso  inne- 
gabilmente si  connettono  la  diffusione  della  coltura  e  dell'attività  industriale, 
quella  dei  freni  preventivi  scemanti  ovunque  la  natalità  e  quella  dei  prov- 
vedimenti d'igiene  scemanti  la  mortalità,  che  pel  logorìo  di  una  vita  intensa 
sarebbe  altrimenti  gravissima.  Sunt  bona  mixta  malis;  ma  dei  beni  e  dei 
mali,  che  tutti  sanno,  non  è  qui  luogo  a  discorrere.  Stando  dunque  alle  ri- 
cerche del  Beloch,  il  numero  delle  città  nostre  con  più  di  20  mila  abitanti 
sarebbe  rimasto  pressoché  stazionario  tra  la  seconda  metà  del  Cinquecento 
e  la  seconda  del  Settecento:  laddove,  nel  1861,  già  troviamo  raddoppiato  il 
numero,  non  diciamo  dei  comuni,  ma  dei  centri  di  popolazione  agglomerata 
sorpassanti  quel  limite;  ed  il  censimento  del  1911  lo  troverà  forse  raddop- 
piato una  seconda  volta: 


CENTRI 

Seconda  metà, 

del 
Cinquecento 

Seconda  metà 

del 

Settecento 

1861 

1881 

1901 

con  più  di  100  mila 

ab. 

5 

5 

8 

9 

10 

da    50    a    100    » 

n 

4 

5 

5 

5 

6 

n     30    a      50    » 

n 

7 

5 

11 

18 

28 

n     20    a      80    1» 

n 

8 

11 

28 

34 

50 

24 

26 

52 

66 

94 

10  RODOLFO   BENINI 


Dai  dati  raccolti  dal  Easeri,  che  qui  aggiorniamo  colle  più  recenti  no- 
tizie, appare  che  i  dodici  maggiori  comuni,  i  quali  al  principio  del  1910 
contavano  nell*  insieme  3.707.177  ab.,  non  ne  contavano  che  1.867.274 
nel  1848  e  1.401,660  nel  1800.  Quattro  fra  essi  hanno  visto  nei  110  anni, 
più  che  triplicarsi,  quadruplicarsi  la  loro  popolazione:  Torino  (da  78.677 
a  884.032  ab.),  Milano  (da  185.000  a  602.700),  Catania  (da  45.081  a 
167.414)  e  Roma  (da  158.004  a  561.167).  Avviata  oggi  ad  una  fase  in- 
dustriale, Napoli  (602.912  ab.)  tiene  ancora,  per  due  centinaja  di  abitanti  in 
più  di  Milano,  il  primo  posto  fra  i  comuni  del  Regno.  Nel  computo  dei  do- 
dici maggiori  figura  ancora  Messina,  ma  con  popolazione  stremata  dal  recente 
disastro  a  110.000  ab.  circa,  mentre  prima  gareggiava  colla  vicina  Catania. 
Incrementi  .più  rapidi  ancora,  determinati  da  cause  speciali,  ebbero  tra  il  1848 
e  il  1910  i  comuni  di  Spezia  (da  10,598  a  79.592),  di  Taranto  (da  18.000 
a  70.789),  di  Bari  (da  28.000  a  86.617),  Sampierdarena  (da  9.078  a  48.285), 
di  Brindisi  (da  7.547  a  27.964),  di  Carrara  (da  15.754  a  58.094)  ecc. 


II. 

ììi  un  possibile  collegamento  tra  la  demografia  dell' ultimo 
e  quella  del  precedente  cinquantennio. 

1.  La  presente  nostra  costituzione  demografica  porta  le  traccio  di  tutti  gli 
avvenimenti  notevoli  che  nel  cinquantennio  avanti  la  proclamazione  del 
regno  hanno,  volta  a  volta,  ritardato  o  accelerato  lo  sviluppo  delle  popola- 
zioni italiane,  modificato  le  proporzioni  numeriche  dei  sessi,  delle  età,  delle 
professioni  ecc.  Molte  di  queste  traccio  non  sono  visibili  ai  nostri  imperfetti 
strumenti  o  si  celano  dietro  errori  di  rilevazione  prodotti  da  ignoranza,  in- 
curia, difSdenza  delle  persone,  da  insufficienza  di  mezzi  od  altro;  e  nulla- 
meno  esistono.  Altre  traccio  si  vedono,  ma  aspettano  la  loro  storia.  Pur 
troppo,  documenti  statistici  paragonabili  a  quelli  che  il  Levasseur  potè  com- 
pulsare per  la  storia  della  popolazione  francese  dopo  la  Rivoluzione,  difet- 
tano agli  studiosi  italiani,  o  son  frammentari,  o  eccessivamente  sobrii,  o  di 
dubbio  valore.  Così,  per  le  Provincie  continentali  deirex-regno  delle  Due 
Sicilie,  unico  autorevole  è  il  censimento  del  1824,  illustrato  dal  Petroni;  e 
le  numerazioni  posteriori  non  sono,  in  ultima  analisi,  che  il  risultato  di  suc- 
cessive addizioni  di  nati  e  deduzioni  di  morti;  mentre  poi  le  notizie  dei 
nati  e  dei  morti,  anno  per  anno,  procedono  con  irregolarità  legittimanti  più 
di  un  sospetto,  e  si  arrestano  al  1856.  Nell'ex-Stato  pontificio  le  anagrafi 
del  1883  e  1853  non  si  possono  collegare  tra  loro  e  col  primo  censimento 
nazionale   mediante  i  dati  sul  movimento  della   popolazione,  che   mancano 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA   NELL'ULTIMO   CINQUANTENNIO  H 

affatto  0  riducoDsi  a  quelli  di  Roma  città,  non  accettabili  neppur  essi  ad 
occhi  chiusi.  Migliori  istituzioni  statistiche  funzionavano  invece  presso  gli 
altri  governi  italiani  e  in  Sicilia. 

Ad  ogni  modo,  come  già  dicemmo,  una  ricostruzione  critica  del  movi- 
mento della  popolazione  in  Italia,  anteriormente  al  1861,  cogli  elementi 
noti,  con  quelli  che  ancor  potrebbero  venire  alla  luce  per  singole  città  o 
borgate,  sussidiata  dalle  liste  degli  inscritti  alle  leve,  che  permettono  un  certo 
controllo  delle  variazioni  della  natalità  fino  al  1846,  sarebbe  assai  deside- 
l'abile.  L'intento  dev'essere  di  dar  risalto  alle  maggiori  perturbazioni  demo- 
grafiche per  cui  siamo  passati,  e  misurarne  gli  effetti  di  lunga  mano,  quali 
si  rivelano  oggi  in  certe  ineguaglianze  di  serie,  che  noi  troppo  comodamente 
usiamo  imputare  alle  così  dette  cause  accidentali  e  non  suscettive  d'analisi, 
mentre   forse  lo  sono. 

2.  Momenti  caratteristici  per  la  nuzialità,  la  natalità  o  la  mortalità,  si 
sono  avuti  in  tutte  le  parti  della  penisola,  come  conseguenze  di  guerre  o  di 
timori  di  leve  straordinarie  o  di  epidemie  o  di  carestie.  Rimontando  per  le 
Provincie  napoletane  al  principio  del  secolo,  eccoci  al  1804,  colla  sua  cu- 
spide di  eccezionale  nuzialità  (48,823  matrimoni,  una  volta  e  mezza  la  media 
normale)  a  malgrado  della  carestia  che  fece  in  quell'anno  numerose  le 
morti.  Luca  De  Samuele  Cagnazzi  (^)  spiega  questo  fervore  di  nozze  colla 
credenza,  diffusa  allora  tra  le  popolazioni,  in  una  prossima  leva  di  giovani, 
dalla  quale,  secondo  il  solito,  sarebbero  stati  risparmiati  i  coniugati.  Un 
motivo  consimile  egli  adduce  a  chiarimento  delle  altissime  quote  del  1818 
e  del  1819  (59,181  e  58,185  matrimoni  rispettivamente)  succedute  ad  un 
triennio  di  assai  scarsa  (1811-13,  meno  di  31  mila  matrimoni  all'anno) 
e  a  un  quadriennio  di  media  frequenza  (1814-17,  37,500  matrimoni),  e 
succedute  pure  a  due  epidemie  invernali,  che  avevano  elevato  la  mortalità  dalla 
media  di  160,000  all'altezza  di  224,000.  Dice  appunto  il  nominato  scrit- 
tore che  le  unioni  crebbero  così  fuor  di  misura,  «  non  solo  pel  costante  fenomeno 
che  dopo  molta  mortalità  ne  risulta  maggior  comodo  ai  superstiti  e  si  animano 
al  matrimonio . . . ,  ma  più  di  tutto  per  la  supposizione  di  una  prossima  leva 
di  soldati,  per  rimettersi  l'esercito  sotto  il  dominio  borbonico,  in  cui  secondo 
il  primiero  sistema  sarebbero  stati  risparmiati  i  coniugati  «.  Fatto  è,  però, 
che  quel  turno  di  tempo,  forse  per  il  buon  mercato  dei  vìveri,  vide  numerose 
celebrazioni  anche  nel  Veneto  (nel  1819:  19,602  matr.  contro  la  media  di 
14  mila),  in  Toscana  e  nel  Lucchese  (nel  1819:  14,157  matr.;  nel  1820: 13,906, 


(*)  Vedi:  Saggio  sulla  popolazione  del  Regno  di  Puglia,  Parte  prima,  pp.  298  e 
802;  Parte  seconda,  pp.  81-82.  Gli  anni  ricordati  per  il  Reame  di  Napoli  non  sono  so- 
lari, ma  amministrativi  e  Tanno  dal  luglio  al  giugno.  Quindi,  dove  è  detto,  ad  es.,  1818, 
intendasi  Tanno  amministratiTO  dal  luglio  1818  a  tutto  giugno  1819. 


12  RODOLFO    BENINI 


contro  la  media  di  12  mila),  e  altrove.  Una  depressione  singolare  distingue  in- 
vece il  settennio  1826-32  o,  secondo  i  luoghi,  1827-33:  il  Napoletano  e  la 
Toscana  v'entrano  in  conto  colla  diminuzione  del  15  Vo  almeno  della  loro 
nuzialità  ordinaria;  in  Piemonte  e  Liguria  il  1829  e  il  1831  contano  solo 
25,215  e  25,010  matrimoni,  contro  29,472  e  30,508  del  biennio  1835-36; 
pure  in  Roma,  città,  si  avverte  il  fenomeno.  Gli  anni  di  colèra  1854-55, 
diradano  daccapo  le  file  degli  sposi  nel  Veneto  e  in  Toscana  ;  un  pò*  anche 
in  Boma;  nel  Napoletano,  invece,  il  1855  sarebbe  segnalato  da  una  fre- 
quenza (64,282  matr.)  che  ha  dell'inverosimile.  Venendo  ai  tempi  post  Ita- 
liani conditam,  che  più  c'interessano,  troveremo  altri  anni  caratteristici  della 
nuzialità,  alcuni  dei  quali  meritano  particolare  analisi:  come  il  1865-66,  per- 
turbato dall'introduzione  del  matrimonio  civile  ;  il  1867  nefasto  per  il  colera; 
il  1880,  che  a  taluno  pare  sospetto,  statisticamente  parlando;  ecc. 

Lo  studio  delle  variazioni  annuali  della  ntuialità,  dal  punto  di  vista 
del  collegamento  demografico  fra  il  periodo  posteriore  al  1861  e  il  periodo 
anteriore,  ha  però  un'importanza  limitata.  Se  i  censimenti  dal  1861  in  qua 
dessero,  poniamo,  la  ripartizione  esatta  dei  coniugati  o  dei  vedovi  secondo 
il  tempo  al  quale  rimontava  il  loro  primo  od  unico  matrimonio,  ancor  sa- 
rebbe possibile  trovarvi  la  traccia  degli  anni  che  per  ì  nostri  padri  furono 
felicitati  da  molti  imenei  o  trascorsero  melanconicamente  scarsi.  Ma  la  par- 
simonia delle  notizie  riguardanti  i  censiti,  non  lo  permette.  Per  il  collega- 
mento della  demografia  dei  due  cinquantennii  occorrono  fenomeni  dagli  effetti 
protendentisi  a  lungo  nel  tempo;  laddove  la  nuzialità  annuale  è  fenomeno 
dagli  effetti  diffusi  e  digradanti  d'intensità  fino  a  rendersi  presto  evanescenti. 
Le  sue  maggiori  variazioni  si  riproducono,  via  via  attenuate,  nella  natalità 
del  primo,  terzo  e  quinto  anno  successivi,  e  non  oltre.  La  ragione  è  ovvia: 
le  nascite  dì  un  medesimo  anno  dipendono  dall'attività  sincrona  di  matri- 
moni risalenti  a  varie  date  e  di  schiere  più  o  meno  numerose;  quindi  varie 
le  interferenze  di  fattori,  molteplici  le  compensazioni  ;  talché,  in  generale,  le 
variazioni  della  natalità  riescono  meno  ampie  di  quelle  della  nuzialità  con- 
comitante 0  di  poco  antecedente. 

La  curva  della  mortalità  ebbe  pure,  nei  due  grandi  periodi,  le  sue  cuspidi 
e  le  sue  depressioni  eccezionali.  Limitandoci  per  oi*a  al  primo  :  la  febbre  petec- 
chiale e  la  carestia  fanno  nel  Napoletano  quasi  65  mila  vittime,  che  si  ag- 
giungono alla  mortalità  ordinaria  in  ciascuno  degli  anni  1817  e  1818;  nel 
Veneto,  dove  il  prezzo  del  frumento,  già  salito  ad  oltre  130  lire  il  moggio, 
si  manteneva  sovra  le  108,  il  doppio  del  prezzo  normale,  la  mortalità  ben 
grave  del  1816  (92,901  morti)  vien  sorpassata  di  40,848  unità  nell'anno 
successivo;  e  Roma,  città,  per  tre  volte  di  sèguito  (1817,  *18,  *19)  deplora 
6500  morti,  proporzione  assai  alta  per  i  suoi  155  mila  abitanti  d*allora. 
All'epidemia  vaiolosa  è  specialmente  imputabile  negli  Stati  Sardi  di  terra- 
ferma (esclusa  la  Savoia,  compresa  Nizza)  l'aumento  da  94,003  morti  del  1828 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA   NELL'uLTIMO   CINQUANTENNIO  13 

a  111,775  deiraoDO  dopo;  e  il  colera  del  1885  si  fa  sentire  riportando  la  mor- 
talità, che  tre  anni  innanzi  era  discesa  a  99,147,  al  livello  di  114,751. 
Questo  colera,  che  si  ripresentò  più  mite  nel  biennio  successivo  negli  Stati 
Sardi,  moltiplicò  i  lutti  nel  1836  nel  Veneto  (102,074,  contro  la  mortalità 
ordinaria  di  74  mila)  e  nel  1838  a  Roma  (12,653);  riapparve  nel  1849  e 
poi  nel  1854  e  1855,  micidiale  in  più  parti  del  paese,  per  esempio  in  To- 
scana, dove  i  decessi,  da  48  mila  circa  (media  del  1851-53),  salgono  a  58  e 
a  95  mila.  Assai  più  deboli  paiono  le  traccio  lasciate  dalle  guerre  deirindi- 
pendenza  nazionale  (^). 

Ma  anche  le  variazioni  della  mortalità  servono  in  maniera  indiretta, 
più  che  in  maniera  diretta,  al  collegamento  demografico  del  secondo  col 
primo  cinquantennio.  Potrebbero  servire  direttamente,  qualora  una  ristretta 
classe  di  individui,  giovani  per  giunta,  fosse  colpita  a  preferenza  di  tutte  le 
altre.  Cosi,  se  una  guerra  ha  diradato  le  file  dei  giovani  dai  20  ai  30  anni, 
ancor  mezzo  secolo  dopo  si  rivelerà  al  censimento  una  certa  deficienza  dei 
vecchi  di  70  ad  80  anni.  Invece,  quando  un'invernata  rigida  porta  ria  molti 
vecchi,  i  censimenti  di  mezzo  secolo  dopo  non  hanno  nulla  da  scoprire,  come 
nulla  avrebbero  da  scoprire  se  quell'invernata  per  i  vecchi  non  fosse  stata 
micidiale.  Del  pari,  allorché  un'epidemia  colpisce  in  misura  poco  diversa 
molte  classi  d'età  in  una  volta,  i  segni  suoi  son  più  difBcili  a  trovarsi  nelle 
esplorazioni  statistiche  successive.  Indirettamente,  però,  le  variazioni  ecce- 
zionali della  mortalità  si  prestano  come  controllo  di  sincroni  o  quasi  sincroni 
perturbamenti  della  nuzialità  e  della  natalità.  Le  preoccupazioni  di  malattie 
e  le  gramaglie  sono  motivi  di  rinvìo  di  matrimoni  progettati;  ed  è  dimo- 
strato 0  dimostrabile  che,  nelle  epoche  sfavorevoli  alla  pubblica  salute,  presso 
le  famiglie  colpite  o  minacciate  si  fanno  più  rari  i  rapporti  sessuali  dei 
coniugi,  più  rari  i  concepimenti  e,  a  tempo  debito,  le  nascite. 

I  momenti  caratteristici  della  natalità  coincidono  dunque  o  seguono  con 
meno  di  un  anno  di  ritardo  quelli  della  nuzialità  e  della  mortalità.  Però, 
alla  loro  volta,  le  variazioni  eccezionali  della  natalità  sono  foriere  di  muta- 

(^)  Le  statistiche,  par  troppo  frammentarie,  cai  nel  momento  son  costretto  a  ricor- 
rere, hanno  per  fonti  le  sedenti:  Per  il  Napoletano,  il  citato  saggio  del  Cagnazzi;  per 
la  Toscana,  la  pabblicazione  della  Sezione  di  statistica  dal  titolo:  Popolazione  delle  Pro- 
vincie Toscane  nel  1860  e  movimento  della  medesima  dal  1818  al  1860  (Firenze,  Tip.  Mu- 
rata, 1860);  per  Roma  la  Monografia  della  città  di  Roma  e  della  Campagna  romana,  con- 
tenente lo  scritto  del  dott.  P.  Castiglioni  snlla  Popolazione  di  Roma  dalle  origini  ai 
nostri  tempi  (Direz.  gen.  della  Statistica,  Roma,  Tip.  Elzeviriana,  1881);  per  il  Veneto 
Topera  del  Mayr  e  SaWionì  :  La  statistica  e  la  vita  sociale,  pp.  866,  420  nota,  e  448  (To- 
rino, Loescher,  1886);  per  il  Piemonte  e  la  Liguria  le  Informazioni  statistiche  raccolte 
dalla  R,  Commissione  per  gli  Stati  di  S,  M.  in  Terraferma^  voi.  2°  (Torino,  Stamp.  R^ale, 
1839-53).  Nella  Statistica  delV Italia  del  conte  L.  Serristori  (Firenze,  Stamp.  grandac,  1842) 
si  trovano  dati  concernenti  il  movimento  della  popolazione  nel  Ducato  di  Parma  (per  gli 
anni  1821-38)  e  in  quello  di  Lucca  (per  il  1827-89). 


14  RODOLFO   BENINI 


menti  degli  altri  due  fenomeni.  Del  primo,  perchè  alla  stregua  delle  nascite, 
abbondanti  o  scarse,  di  un  dato  anno  o  periodo,  si  avrà  in  capo  a  24  o  25 
anni  un  numero  più  o  meno  grande  di  celibi  e  di  nubili,  che  si  trovano 
nell'età  preferita  per  le  nozze  (0;  del  secondo,  perchè  i  neonati,  colla  lor 
grande  facilità  a  soccombere  nel  corso  deirallattamento,  contribuiscono  a  far 
alto  0  basso  il  totale  delle  morti,  secondo  che  essi  proyengono  da  una  annata 
molto  0  poco  feconda  —  indipendentemente  dal  variare  delle  condizioni  sa- 
nitarie generali  del  paese.  La  vera  mortalità  da  considerarsi  sarebbe,  insomma, 
quella  al  netto  dei  decessi  di  bambini  almeno  sotto  Tanno  d'età. 

Secondo  i  dati  deiramministrazione  napoletana,  sarebbero  stati  anni  molto 
fecondi  il  1813,  il  1819,  il  1824  e  *25,  il  1855;  scarsi  il  1812,  il  1816  e 
*17,  il  1828  e  i  due  successivi,  ecc.  Nel  Veneto  una  forte  depressione  si  nota 
nel  1817,  in  coincidenza  colla  ricordata  grande  mortalità  e  con  una  scemata  nu- 
zialità; nel  1832,  '40,  e  '47,  scarsezza;  nel  1854  e  '55  depressione,  pure  in  coin- 
cidenza di  anraeiitati  decessi  e  diminuiti  matrimoni.  Anni  fecondi  invece  il  1818, 
il  '22,  il  *25  e  '26,  il  *45^  il  '53  (quest'ultimo  coincidente  con  una  bassa  morta- 
lità, quale  non  s'era  avuta  da  im  trentennio);  fecondissimo  il  '59,  nonostante  la 
guerra  e  le  poche  nozze  dell'annata.  In  Toaeana,  buone  le  annate  1826,  *28,  '31, 
'34,  '46,  '53  e  59;  poveri  il  1818,  '38,  *40,  *54  e  '55.  In  Piemonte  e  Liguria 
il  1831  eccelle  con  135,375  nascite,  mentre  ranno  aneoessivo,  nonostante 
la  mite  mortalità,  cade  ad  un  minimo  di  121,589. 

8.  In  mancanza  di  dati  completi  per  tutto  il  Regno  anteriormente  al  1872^ 
potremmo  dalle  liste  di  leva  trarre  indizi  circa  le  variazioni  annuali  della 
natalità,  risalendo  fino  oltre  la  metà  del  secolo  ;  e  si  avrebbe  sùbito  la  conferma 
della  depressione  del  1854  e  del  1855,  che  fornirono  alle  leve  del  1874-75 
appena  258,801  giovani  ciascuno,  mentre  le  tre  leve  precedenti  ne  avevan 
dati  275,637,  e  le  tre  successive  290,584.  Si  ha  pure  la  conferma  delle 
alte  natalità  del  1859,  del  1863,  del  1866  ecc. 

Le  oscillazioni  della  serie  dei  giovani  inscritti,  per  ragion  d'età,  nelle 
liste  di  estrazione  concordano  perfettamente  con  quelle  delle  nascite  maschili 
di  veni' anni  prima,  nel  periodo  in  cui  le  statistiche  sono,  per  entrambi  i  feno- 
meni, complete  o  quasi  complete  (*).  Tale  concordanza  non  esclude  un  altro 


(')  Per  i  maschi  Tetà  preferita  è  tra  i  25  e  i  26:  per  le  femmine  tra  i  21  e  i  22; 
quindi  può  anche  darsi  squilibrio  tra  domanda  e  offerta  per  le  età  rispettivamente  pre- 
ferite. I  maschi,  poniamo,  possono  essere  scarsi,  per  deficienza  di  nascite  verificatasi  25 
anni  innanzi,  e  le  femmine  numerose,  per  frequenza  di  nascite  di  21  anni  addietro;  o 
TÌceversa.  Allora  debbono  darsi  accomodamenti  e  spostamenti  di  età  media  degli  sposi, 
per  la  partecipazione  maggiore  o  minore  di  altre  classi  d*elà.  Ma  Bon  finezze,  che  solo 
una  statistica  perfetta  potrehbe  mettere  in  evidenza. 

(')  Altri  potrà  rendere  più  rigorose  le  serie  i^ffigurate  in  diagramma  ;  io  ho  creduto 
di  limitarmi  ai  dati  concernenti  gli  inscritti  per  ragion  d'età  nelle  liste  annuali  di  estra- 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA    NELL'ULTIMO   CINQUANTENNIO 


l5 


fatto  degno  di  nota,  che  la  percentuale  dei  superstiti  a  cent'anni  accenna 
ad  elevarsi.  Da  57,1 7» ,  media  del  1892-99,  risulta  salita  a  60,8  nel  1900- 
1907,  conseguenza  non  dubbia  delle  migliorate  condizioni  dell'allevamento 
dei  bambini  dopo  il  1880.  Nei  prossimi  anni  dovremmo  aspettarci  di  meglio. 
E,  ancora,  se  dal  noto  si  volesse  inferire  all'  ignoto,  potremmo  dalle  variazioni 
accertate  della  natalità,   posteriormente  al  1887,  argomentare  le  probabili 


▲ani  delle  BMoite: 


1861    1866 


1871 


1876    1881 


1886 


1891    1896 


1901 


1906 


isn    1876    1881    1886   11891    1896    1901    1906  j  r  Aimi  dell*  lere 


variazioni  di  numero  degli  inscrivendi  nelle  liste  fino  al  1927;  oppure,  dalle 
variazioni  accertate  nelle  liste  di  estrazione  anteriormente  al  1882,  argomen- 
tare quelle  che  la  natalità  italiana  dovette  subire  tra  il  1842  e  il  1861. 
I  nostri  censimenti  diedero  alcune  volte  la  distribuzione  per  età,  anno 
per  anno,  dei  regnicoli  ;  similmente  hanno  fatto  le  pubblicazioni  annuali  sul  mo- 


zione, escladendo  i  eapilista  provenienti  da  leve  anteriori  e  gli  ometii  pure  di  anni  an« 
teriori.  Bisognerebbe  peraltro  dedurre  anche  i  cancellati  dalle  liste  dopo  Testraziono 
(perchè  morti  nel  frattempo,  o  indebitamente  inscritti  ecc.),  sottraendoli,  se  del  caso,  in 
eque  parti  dai  eapilista  e  dagli  inscritti  per  ragion  d*6tà;  ma,  ad  ogni  modo,  non  si 
modificherebbe  sensibilmente  Taspetto  delle  serie  e  del  diagramma:  molto  più  che  i  morti» 
gli  indebitamente  inscritti  ecc.,  trovano  un  certo  compenso  negli  omessi  di  leve  anteriori 
e  negli  aggiunti  dopo  Testrazione. 


16  RODOLFO   BENINI 


vimento  dello  stato  civile,  per  quanto  riguarda  i  morti,  Dcirundicennio  1879-89. 
Un'analisi  delle  traccie  che  in  queste  classificazioni  di  viventi  o  di  morti  si 
possono  forae  ancora  trovare  delle  annate  di  molta  o  poca  natalità  anteriori 
airunificazione  del  paese,  avrebbe  pregio.  Pur  troppo,  rendono  difficile  il 
lavoro  gli  errori  delle  denunzie  d*età,  che  nascondono  particolari  di  molto 
interesse  dal  punto  di  vista  del  collegamento  demografico,  di  cui  si  parlava. 
Non  è,  ad  ogni  modo,  una  ragione  per  non  tentare,  né  per  soffocar  tutto  colle 
medie,  colle  perequazioni  e  colle  interpolazioni;  mentre  i  procedimenti  mate- 
matici dovrebbero  venire  in  applicazione  soltanto  dopo  esauriti  i  procedi- 
menti critici.  La  presente  Memoria,  per  i  limiti  che  le  furono  assegnati,  non 
colmerà  queste  ed  altre  lacune;  ma  forse  le  sai-à  dato  merito  d'avere  indicato 
la  direttiva  di  nuove  esplorazioni. 


III. 
Risaltati  sommarii  dei  quattro  censimenti  nazionali. 

1.  I  censimenti  dell*  Italia  unita,  eseguiti  con  rilevazione  generale  e 
simultanea,  al  31  dicembre  del  1861,  del  1871  e  del  1881,  e  al  9  febbraio 
del  1901,  offrono  vastissima  materia  ad  una  analisi  comparativa,  di  cui  qui 
non  osiamo  dare  che  una  traccia  e  pochi  saggi. 

Quanto  a  risultati  d'insieme,  le  quattro  inchieste  vanno  abbastanza 
d'accordo.  Dalla  prima  eransi  accertate  presenti,  nel  territorio  del  Regno 
d'allora,  21.777.384  persone.  A  comprendervi  il  Veneto  e  il  Lazio,  i  cui  cen- 
simenti risalivano  al  1857  e  al  1853,  rispettivamente,  e  tenuto  conto  del 
probabile  progredire  delle  loro  popolazioni  fino  a  tutto  il  '61,  si  sarebbe 
toccato  il  numero  di  25,017,000.  L'eccedenza  delle  nascite  sulle  morti 
nel  1862-71  fu  di  1.820.145  per  il  territorio  attuale,  meno  la  provincia  di 
Boma  (*);  colla  provincia  di  Roma,  sarebbe  risultata  forse  di  1.870.000.  Quindi 
alla  fine  del  decennio  avremmo  dovuto  trovarci  in  26.887.000;  invece,  al- 
l'appello nominativo,  che  fu  il  secondo  della  serie,  rispondemmo  in  26.801.154, 
86  mila  meno  del  prevedibile.  Divario,  peraltro,  assai  piccolo  e  imputabile 
a  movimenti  migratorii  da  e  per  l'estero,  a  renitenze  di  giovani  soggetti 
alla  leva,  e  ad  altre  cause,  di  cui  è  difficile  dire  in  quale  misura  si  com- 
pensino e  in  quale  si  assommino. 


(^)  Nei  volumi  del  Movimento  dello  stato  civile^  pubblicati  dalla  nostra  Direttone 
gen.  di  Statistica,  solo  a  partire  dal  1863  fu  compreso  il  Veneto  nei  prospetti  riguardanti 
la  natalità  e  mortalità;  i  dati  corrispondenti  per  il  1862  si  trovano  però  neìV Italia  eco- 
nomica del  Maestri  (Roma,  tip.  Barbèra,  1874),  a  pp.  165-166. 


LA   DEMOORAFI  A    ITALIANA   NBLL'ULTIMO   CINQUANTENNIO  ^^ 

L'eccedenza  netta  delle  nascite  nel  decennio  successivo  fu  di  2.020.789,  e 
avrebbe  fatto  prevedere,  alla  chiusa  dei  conti,  un  totale  di  28.821.948 
abitanti.  Il  terzo  censimento  ne  registrò  28.459.628,  ossia  862.815  in 
meno.  Il  distacco  ò  sensibile.  Anche  a  considerare  come  tutta  perduta 
per  il  paese  la  emigrazione  propria  o  permanente  del  decennio,  si  farebbe 
un  insieme  di  800  mila  persone  (^);  e  non  è  verosimile  che  la  venuta  di 
forestieri  tra  noi  non  abbia  in  piccola  parte  colmato  i  vuoti,  molto  più  che 
il  perìodo  in  parola,  esente  da  guerre,  da  epidemie  coleriche,  da  brigantaggio, 
dovette  essere  meno  sfavorevole  del  precedente  all'  immigrazione.  Salvo  a  du- 
bitare che  il  censimento  del  1881  sia  riuscito  al  di  sotto  del  vero,  biso- 
gnerebbe ritenere  che  una  parte  dell'emigrazione  temporanea  si  fosse,  per 
via,  trasformata  in  definitiva  ('). 

Interrotta  per  angustie  di  bilancio  la  decennalità  dei  nostri  censimenti, 
corsero  diciannove  anni  e  quaranta  giorni  fra  il  terzo  e  il  quarto.  L'eccedenza 
dei  nati  sui  morti  fu  di  6.197.000;  per  essa  avremmo  dovuto  attenderci,  al 
10  febbraio  1901,  un  totale  di  34.657.000  abitanti.  Aggiunti,  anzi,  i  70.061 
nati  alFestero,  trovati  in  più  nel  1901  in  confronto  dell'  '81,  il  totale  sarebbe 
etato  di  84.727.000  abitanti.  Il  censimento  ne  numerò  appena  82.475.258. 
Deficit:  2.252.000!  L'emigrazione  propria  o  permanente  ci  sottrasse,  secondo 
le  statistiche  del  diciannovennio,  2.866.000  persone;  mairimpatrii  per  via 
<li  mare  che  essa,  nonostante  il  suo  nome,  in  gran  parte  alimenta,  ridurreb- 
bero la  perdita,  mettiamo,  a  1.600.000.  Per  aver  ragione  del  deficit^  manche- 
rebbero 652  mila  unità,  che  se  non  dipendono  da  eiTorì  di  rilevazione,  vanno 
attribuite  al  tacito  trasformarsi  di  molta  emigrazione  temporanea  in  de- 
finitiva, 0,  meglio,  di  annuale  in  duratura  tre,  quattro  o  più  anni,  ed  infine 
«i  decessi  di  emigrati  temporanei  all'estero. 

A  partire  dal  10  febbraio  1901,  venendo  sino  a  tutto  il  1909,  la  vita- 
lità e  fecondità  delle  nostre  popolazioni  si  è  affermata  splendidamente  con 
una  nuova  eccedenza  di  nati  sui  morti  per  8.208.000  unità.  Senza  il  recente 
disastro  di  Messina  e  Reggio-Calabria,  che  causò  la  morte  di  77  mila  per- 
sone, sarebbe  risultata  di  ben  860  mila  individui  per  anno,  più  che  mille  per 
giorno.  Grazie  al  migliore  ordine  introdotto  nei  registri  comunali  di  popola- 
zione, si  può  con  sufiBciente  approssimazione  valutare  a  1.118.000  il  numero 

(*)  Nel  periodo  1872-81  si  ebbero  annualmente  119  mila  emigranti  in  media,  di 
•eoi  30  mila»  a  quanto  sembra,  in  emigrazione  propria.  Nel  triennio  1869-71  si  era  avuta 
una  media  di  118  mila,  di  cui  18  mila  di  emigrazione   propria  e  12.000  di  clandestina. 

(')  Un  indizio  potrebbe  trarsi  dal  numero  degli  italiani  alPestero,  che  nel  1881  era 
aumentato  di  circa  600  mila  in  confronto  del  1871,  secondo  le  stime  dei  consoli  in  questo 
anno  e  secondo  lo  spoglio  di  censimenti  esteri  integrati  da  stime,  in  quello  ;  aumento,  che 
•uperaYa  tutta  Temigrazione  propria  doir  intervallo  decennale,  accresciuta  di  mezza  annata 
di  emigrazione  temporanea.  Peraltro,  di  quei  600  mila,  molti  erano  i  nati  da  italiani  al- 
J'estero,  che  dovrebbero  eliminarti  dal  riscontro  indiziario. 

KoDOLVO  BBram  —  X«  diwtogré/té  itulùma  «co.  S 


18 


RODOLFO   BENISI 


degli  ìndÌTidui  cancellati  da  quei  registri  perchè  emigrati  a  tempo  indefinito 
sU'eatero,  in  più  degli  individui  inscritti  per  rimpatrio  o  immigrazione.  Non 
diciamo  del  moTÌmento  dislocativo  da  comnne  a  comune  del  Regno,  movi- 
mento che  ornai  comprende  piti  di  600  mila  persone  all'anno,  e  che  natural- 
mente non  turba  il  nostro  calcolo.  La  popolazione  italiana  al  1°  gennaio  1910 
sarebbe  da  stimarsi  di  34,565.000  abitanti,  così  distribuiti  per  comparti- 
menti : 


Piemante  .... 

3317.401 

234.271 

125.372 

66.034 

_ 

3.492.334 

LìgarU 

1.077.473 

74  369 

17.316 

76.582 

1.211,108 

LombArdia     .     .    . 

4.282.728 

464.522 

58.670 

40.776 

4.647.804 

Veneto 

3134.467 

504'248 

35.845 

100.362 

3  502.508 

Emilia  e  Romkgna. 

2  445.035 

273.266 

61.065 



98.366 

2.563  870 

Toscana    .... 

2,549.142 

228.571 

42  938 

18.393 

2.716  382 

Marche 

1.060.755 

107.628 

51.896 

25.881 

1.091.106 

Umbri» 

667.210 

60.338 

9.252 

15.120 

703.176 

Laiio 

1196.909 

105,623 

14.497 

54.730 

1.342.765 

Abruizi  e  Molise    . 

1.441  551 

132,873 

78.55M 

876 

1.496.741 

Campania .... 

3.160.448 

271.065 

179.007 

31  ..•H2 

3.283.848 

Puglie 

1.9S9.668 

202.073 

52  521 

16  305 

2. 125.525 

490.705 

88.757 

53.707 

1.891 

477.646 

Calabria    .... 

1.370.208 

139.652 

70,228 

8.O0O 

1.447,632 

Sicilia 

3.529.799 

290.076 

259.067 

S3.bi2 

3.594.340 

Sardegna  .... 

791.754 

80.798 

7.850 

4.116 

— 

868.818 

Totale    .    .     , 

32.475.253 

3.208.130 

1 117.780 

293.398 

293.S9eJ34.565  603 

Àpparir«bbero  così  in  guadagno  pel  movimento  interregionale  della 
popolazione,  i  compartimenti  del  mezzogiorno  e  le  isole,  il  Lazio,  il  Piemonte 
e  la  Liguria;  in  perdita  gli  altri.  I  dati  però  non  sono  molto  sicuri,  in 
quanto  gli  uffici  municipali  possono  più  presto  accertarsi  delle  persone  che 
Tengono  a  fissare  la  dimora  nel  territorio  del  comune  e  per  varie  esigenze 
ammioistratìTe  e  fiscali  o  per  richieste  di  pubblica  assistenza  devono  dar 
contezza  di  so,  che  non  di  quelle  le  quali  abbandonano  il  luogo  senza 
dare  alcun  avviso.  Ond'è  die  il  conguaglio  necessario  degli  scambii  di  popò- 
lazione  interni,  nel  complesso  del  paese,  fu  stabilito  ufficialmente  per  via 
dì  artificio  e  cioè  coH'accrescere  di  un  medesimo  tanto  per  cento  tutti  i 
risaltati  compartimentali  delle  emigrazioni  registrate  dai  singoli  comani 
per  altri  comuni  del  regno,  sino  a  pareggiare  il  totale  generale  delle  immi- 
grazioni dall'interno  (').  Ad  ogni  modo  è  ammissibile  che  i  vuoti  prodotti 


(')  All'intento  di  rendere  ]>erfetto  il  cunguaglio  finnle  degli  scumbii  interni  di  po- 
polaiione,  doTemino  ritoccare  qualche  dato,  itcostaodoci  così,  ma  in  misura  lievissima,  dai 
risultati  ufficiali.  A  maggior  notitia  del  lettore  si  aggiunge  che,  giusta  lu  registraiiaDi 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA   NBLL  ULTIMO   CINQUANTENNIO 


19 


dall' ingente  emigrazione  per  Testerò  nelle  Provincie  meridionali  abbiano 
«  aspirato  »  popolazione  dalle  altre  proTincie  e  che  lo  stesso  effetto,  sebbene 
per  altra  causa  (le  attratiiye  della  capitale)  siasi  verificato  nel  Lazio.  Il 
Piemonte  e  la  Liguria  dovrebbero  il  loro  guadagno,  per  qaesto  titolo,  allo 
sviluppo  industriale  e  commerciale. 

2.  I  criteri  diversi  seguiti  nei  censimenti  nel  computare  gli  anni  vissuti 
e  le  agglomerazioni  dei  censiti  intorno  alle  età  rotonde,  rendono  laboriosi  i 
confronti. 

Limitandoci  alle  agglomerazioni  nelle  età  terminanti  per  zero,  notiamo 
tra  il  censimento  del  1861  e  i  due  successivi  lo  spostamento  di  un  anno. 
Nel  '61  l'addensarsi  di  censiti,  ignari  del  tempo  esatto  trascorso  dalla  loro 
nascita,  avveniva,  per  es.,  in  corrispondenza  delle  età  da  19  a  20,  da  29 
a  80,  da  89  a  40  ecc.;  invece,  nel  71,  in  corrispondenza  di  quelle  da  20 
a  21,  da  80  a  31,  da  40  a  41  ecc.,  come  si  impara  da  questo  prospetto,  li- 
mitato, per  i  parziali,  ai  maschi,  ed  esteso,  per  i  totali,  alle  femmine: 

Cknsimsnto  31  die.  1861  Csnsimento  31  die.  1871 

(Il  numero  dei  censiti  è  dato  in  migliaia) 


Età 

N.®  dei  censiti 

EU 

N.®  dei  censiti 

BU 

N.®  dei  censiti 

EU 

N.®  dei  censiti 

EU 

N.^  dei  censiti 

EU 

N.^  dei  censiti 


17-18  18-19  19-20  20-21  21-22 

205  160  195  175  188 

27-28  28-29  29-30  30-Sl  81-22 

182  128  240     127  150 

87-88  88-39  89-40  40-41  41-42 

U9  104  285  106  181 

47-48  48-49  49-SO  50-51  51-52 

109  77  222  81  97 

57-58  58-59  59-eO  60-61  61-62 

67  48  168      56       61 

67-68  68-69  69-70  70-71  71-72 

35  25   80   24   28 


Maschi        747  537  1.196  569  650 
Femmine       773  538  1.373  516  635 


18-19  19-20  20-21  21-22  2^28 

246  205  258  246  236 

28-29  29-30  30-31  81-82  32-38 

219  162  276  159  184 

88-89  89-40  40-41  41-42  42-48 

171  120  802  127  157 

48-49  49-50  50-51  51-52  52-58 

141  107  271  107  127 

68-99  59-60  60-61  61^2  62-68 

90  64  199  70       81 

68-69  69-70  70-71  71-72  72-78 

50  37  95  38   40 

917  695  1.401  747  825 

939  676  1.571  635  787 


Nel  1881  la  classificazione  anno  per  anno  d*età  fu   data  solo  per  i 
capoluoghi  di  provincia  e  di  circondario  (^): 


originarie  dei  manicipì,  dal  10  febbraio  1901  a  tatto  il  81  dicembre  1909,  le  immigra- 
lioni  accertate  da  altri  comani  compresero  5.071.642  indiyidni,  e  le  emigrazioni  accertate 
per  altri  comani,  solo  4.308.668,  mentre  si  sarebbe  dovuta  avere  la  parità. 
(»)  Ved.  Annali  di  Statistica,  serie  8»,  voi.  16,  pag.  80  e  segg. 


20  RODOLFO   BENINI 


Censimento  31  die.  1881  (^) 
(solo  per  i  capoluoghi  di  provincia  e  di  circondario). 

Età  28-29      29-80  80-Sl  S1-S2  82-88 

N.^"  dei  censiti   (migliaia)  56        50  69  51  49 

EU  88-89      89-40  40-41  41-42  42-48 

N.^*  dei  censiti  »  47        41  66  45        46 

EU  48-49      49-50  SO-51  51-52  52-58 

N.""  dei  censiti  »  36        28  59  34        34 

Eti  58-59   59-«0  60-61  61-62  62-63 

N.**  dei  censiti  »  25        22  46  25        23 

EU  68-69       69-70  70-71  71-72  72-78 

N.«  dei  censiti  »  14        11  20  12        11 


Maschi  178      152      260      167      163 

Femmine  175      144      291      160      154 

L'agglomerazione  è  dunque  maggiore  per  le  femmine  che  per  i  maschi  ; 
avviene  a  scapito  quasi  uguale  delle  due  età  contigue  a  quella  preferita 
nelle  dichiarazioni;  cresce,  relativamente  parlando,  col  crescere  delFetà;  e, 
se  fosse  qui  luogo  ad  una  minuziosa  analisi,  si  vedrebbe  accentuatissima 
per  gli  analfabeti,  per  i  vedovi,  per  gli  abitanti  dei  piccoli  centri  ecc. 

Ora  tutti  intendono  che,  formandosi  scale  graduate  d'età  di  questo 
tipo:  25-80,  80-35,  35-40  ecc.,  a  seconda  che  nella  classe  sia  o  non  sia 
compreso  Tanno  deiragglomerazione,  cambiano  non  solo  le  dimensioni  della 
classe,  ma  le  proporzioni  dei  maschi  e  delle  femmine,  dei  celibi,  dei  coniu- 
gati e  dei  vedovi,  degli  analfabeti  e  dei  non  analfabeti.  Circostanza,  questa, 
che,  non  tenuta  presente,  condurrebbe  ad  affermazioni  erronee.  L' inconveniente 
quasi  scompare,  se  si  formano  gruppi  di  quest'altro  tipo:  27-32,  32-87, 
37-42  ecc.  («). 

Maggior  discordanza  tra  i  censimenti  provenne  da  altra  cagione. 


[^)  Abbiamo  trascarato  le  classi  da  18-19  a  22-23  perchè  la  presenza  di  molti  gio- 
vani tra  i  21  e  i  23  anni  nelle  città  per  ragion  di  servizio  militare,  di  studi  ecc.,  maschera 
r  influenza  dell'età  rotonda. 

(')  Nel  censimento  del  1881  anche  le  classi  quinquennali  della  popolazione  dei  comuni 
non  capoluoghi  si  susseguono  per  modo  da  rivelare  T  influenza  in  questione.  Così  i  gruppi  da 
40  a  45  anni,  da  50  a  55  e  da  60  a  65,  che  avrebbero  dovuto  essere  meno  numerosi  dei  gruppi 
rispettivamente  più  giovani  (da  35  a  40,  da  45  a  50  e  da  55  a  60),  risaltarono  invece 
più  numerosi,  comprendendo  essi  quelle  che  già  nel  1871  fungevano  da  età  rotonde,  cioè 
le  età  da  40  a  41,  da  50  a  51  ecc. 

Noto  di  passaggio  che  anche  le  età  terminanti  per  5  esercitano  una  certa  attrazione  ; 
ma  lo  scapito  per  le  contigue  è  poca  cosa,  e  d'altronde  queste  si  rifanno  a  spese  della 
età  terminante  per  cifra  dispari  (il  3  o  il  7)  che  le  precede  o  che  le  sussegue. 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA   NELL* ULTIMO   CINQUANTENNIO  21 

3.  Il  censimento  del  1871  graduò  le  età  anzitutto  per  mesi,  dal  P 
airil*'  e  poi  per  anni  compiuti:  1,  2,  3  ecc.,  prescrivendo  che  i  censiti 
non  tenessero  conto  dei  mesi  vissuti  in  più  degli  anni  interi.  À  spogli  ulti- 
mati,  però,  si  ebbero  solo  681.194  bambini  fino  a  11  mesi  d'età,  susseguiti 
nella  seriazione  da  549.250  di  un  anno  (intendendosi  da  1  anno  compiuto 
a  2  non  compiuti),  da  654.918  di  due  anni  e  da  più  di  600  mila  per  cia- 
scuna delle  quattro  età  successive.  Risultati  inverosimili.  Anche  accresciuto 
il  primo  gruppo  di  un  undicesimo  della  sua  consistenza,  a  spese  del  secondo, 
per  completare  il  numero  dei  bambini  sotto  Tanno  d*età,  si  veniva  a  questo: 
742.912  bambini  dalla  nascita  a  1  anno,  487.532  da  1  a  2  anni,  654.918 
da  2  a  3,  ecc.  ;  numeri  che  ebbero  poi  sanzione  ufBciale.  Ma  il  primo  era 
ancor  molto  al  di  sotto  del  probabile,  perchè  i  nati  nel  corso  del  1871  in 
Italia  (Lazio  compreso)  furono  circa  988.000,  e  alla  data  del  censimento 
ne  sopravvivevano  forse  830.000  ;  il  secondo  era  ancor  più  al  di  sotto  del 
probabile,  perchè  le  nascite  del  70,  quasi  uguali  in  numero  a  quelle 
del  71,  dovevan  far  trovare,  al  31  dicembre  di  quest'anno,  almeno  700.000 
superstiti  in  età  da  1  a  2  anni. 

Caso  volle  che,  nel  complesso,  i  dati  greggi  dei  censiti  fino  ai  sei 
anni  compiuti  si  trovassero  concordanti  col  calcolo  dei  sopravviventi  fra  la 
nascila  e  i  cinque  anni  compiuti;  e  allora  TUfScio  centrale  di  Statistica, 
con  risoluzione  coraggiosa,  a  pag.  X,  5  del  volume  secondo  del  censimento, 
dichiarò  doversi  intendere  modificate  tutte  le  tavole  di  classificazione  per 
età,  nel  senso  che  il  gruppo  di  bambini  indicati  fino  a  6  anni  compiuti 
fosse  da  considerare  come  rappresentante  del  gruppo  fino  a  5  ;  e  che  la  classe 
susseguente,  in  luogo  di  rappresentare  i  fanciulli  fra  6  e  7,  corrispondesse  a 
quella  fra  5  e  6,  e  così  di  seguito  per  tutti  i  gradi  della  scala. 

Forse  l'Ufficio  centrale  andò  troppo  oltre  nella  correzione  e  d'altronde 
la  sua  proposta  restò  lettera  morta  per  i  successivi  elaborati.  Le  istruzioni 
del  1871  disponevano  che  si  iscrivessero,  come  bambini  di  un  anno,  anche 
quelli  che  da  nove,  dieci  o  undici  mesi,  avevano  ultimato  l'anno;  e  come 
bambini  di  2  anni,  anche  quelli  che  da  nove,  dieci  o  undici  mesi  avevano 
finiti  i  due  anni.  Ma  i  capifamiglia  o  gli  stessi  commessi  del  censimento, 
che  di  rado  leggono  le  «  istruzioni  »,  disposero  forse  altrimenti:  per  i  bam- 
bini sopra  l'anno  e  mezzo  di  età,  scrissero  due  anni;  per  quelli  che  avevan 
varcato  i  due  e  mezzo,  scrissero  tre,  ecc.  Solo  le  persone  di  una  certa  col- 
tura e  osservanti  delle  «  istruzioni  » ,  segnarono  uno  fino  all'età  di  1  anno  e 
11  mesi,  due  fino  a  quella  di  2  anni  e  11  mesi,  e  così  vìa;  ma  esse  non 
pesarono  molto  in  conto.  L^attendibilità  di  t^le  ipotesi  ha  un  principio  di 
prova  in  ciò  :  che,  computati  (giusta  la  mortalità  infantile  del  tempo)  i  su- 
perstiti probabili  al  31  dicembre  1871  dei  988  mila  nati  nel  corso  del  71 
e  dei  538  mila  nati  negli  ultimi  sette  mesi  del  1870  —  per  tutto  il  Regno, 
compreso  a  calcolo  il  Lazio  — ,  si  riesce  ad  un  totale  di  1.235.000  sopravvi- 


22 


RODOLFO   BBNINI 


veuti  fino  ad  ao  anno  e  sette  mesi  di  età;  risultato  superiore  di  appena 
5  mila  alla  somma  dei  bambini  dei  primi  undici  mesi  d'età  e  di  quelli 
indicati  come  aventi  un  anno  compiato,  negli  spogli  delle  schede.  Sicché  i 
dati  greggi  del  nostro  secondo  censimento  andrebbero  riferiti,  per  le  prime 
classi,  a  limiti  di  età  anticipati  di  cinque  mesi,  su  quelli  che  figui*ano 
nelle  classificazioni  originarie  e  la  seriazione  potrebbe  ricostruirsi  così: 


SnccMsioae 

delle  eU 

Delle  carte 

di  spoglio 


CUssiflouione  per  età 
secondo  le  istmxioni  del  censimento 


Numero  dei  censiti 


Classificazione  per  età 

secondo 

la  probabile  intensione 

dei  capifkmigUa 


1-11  mesi 

1  anno 

2  anni 

3  » 

4  » 


Primi  undici  mesi 

Da  1  anno  comp.  a  2  anni  non  corop 
Da  2  anni  comp.  a  8  non  comp. 
Da  3     »        n       a  4        n 
Da  4     »        »       a  5        » 


681 194  ) 

[  1.230.444 
549.250  S 


654.918 
610.591 
600.496 


Dalla  nascita  a 
1  anno  e  7  mesi 

Da  1  V.t  a  2  7., 
Da  2  V.,  a  3  Vis 
Da  8  Vis  a  4  V,. 


A  partire  poi  dai  cinque  o  sei  primi  gruppi  Tabitudine,  propria  di  certe 
classi  di  persone,  di  indicare  l'anno,  anche  appena  incominciato,  come  anno 
finito,  dovette  prevalere  sempre  più  decisamente  suirabitudine  contraria; 
sicché  i  limiti  reali  dei  gruppi  d'età  andrebbero  arretrati  di  sei,  di  sette, 
di  otto  mesi,  fino  ad  un  massimo,  forse,  di  dieci,  non  di  un  intero  anno 
come  suggeriva  l'Ufficio  centrale.  Adunque  un  censito,  la  cui  vera  età  fosse 
stata,  poniamo,  di  37  anni  e  4  mesi,  dichiarava  facilmente  88  e  veniva  classifi- 
cato nel  gruppo  38-39  ;  nel  censo  del  1 8(51  pare  invece  che  gli  operatori,  mi- 
gliori interpreti  della  consuetudine  popolare,  lo  classificassero  nel  gruppo 
37-38.  Così  si  chiarisce  la  posticipazione  di  un  anno,  dianzi  notata  per 
il  1871  a  fronte  del  1861,  nelle  agglomerazioni  di  censiti  in  corrispondenza 
delle  età  rotonde.  Si  spiega  pure,  come  vedremo,  la  diminuzione  dei  coniu- 
gati giovani  e  la  quasi  scomparsa  dei  coniugati  precoci  dall'una  all'altra 
data,  e  Taumento  dei  primi  e  la  ricomparsa  dei  secondi  nel  1901. 


4.  Uno  spostamento  consimile  desiderano  le  classificazioni  del  terzo  appello 
nominativo.  I  bambini  fino  a  2  anni  d*età,  indicati  in  numero  di  1.402.993 
dagli  spogli  deirSl,  troppo  pochi  in  confronto  dei  probabili  superstiti  tra 
i  2.039.000  nati  del  biennio  1880-81,  appartengono  certo  al  gruppo  fino  ad 
un  anno  e  sette  mesi.  Il  loro  numero  infatti  corrisponde  abbastanza  bene 
a  quello  di  1.280.444  assegnabile,  come  dicemmo,  al  31  dicembre  1871, 
al  gruppo  infantile  fino  a  un  anno  e  sette  mesi,  la  diflferenza  essendo  in 
gran  parte  spiegabile  colla  maggior  natalità  e  minor  mortalità  dei  lattanti 
dal  giugno  1880  a  tutto  il  1881,  in  confronto  di  quella  dal  giugno  1870  a 
tutto  il  1871. 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA    NELL  ULTIMO   CINQUANTENNIO 


28 


ETÀ 

Censiti  al  SI  dickmrbm 

DifFerenzft 

Moondo  U  elasBiflcuione  conretU 

1881 

1871 

in  più 
nel  1881  . 

Dalla  nascita  a  1  anno  e  sette  mesi 
Da  1  7„  a  2  Vii  anni.     .... 

Da  2  V«t  a  8  V,.    » 

Da  8  Vit  a  4  V.t   » 

1.402  993 
706.630 
677.559 
652.421 

1.280.444 
654.918 
610.591 
600.496 

1 72.549 
51. 712 

66.968 
5L925 

5.  Nel  1901,  mutato  sistema,  si  richiese  ranno  di  nascita,  e  non  l'età 
in  anni  compiuti.  Dal  censimento  del  9  febbraio,  riportato  a  calcolo  al  31 
dicembre  antecedente,  risultarono  943.246  bambini  fino  ad  un  anno  d*età  e 
834.807  da  1  a  2  anni,  numeri  conciliabili  col  calcolo  dei  superstiti 
fra  i  nati  del  1900  e  del  1899.  Nell'insieme,  che  è  di  1,777.553,  essi  si 
accordano  anche  coi  dati  del  1881,  qualora  questi  si  interpretino  nel  modo 
testé  ragionato;  infatti,  addizionando,  nel  prospetto  superiore,  1.402.993  bam- 
bini sotto  Tanno  e  sette  mesi  d'età,  con  quelli  dai  19  ai  24  mesi,  che  si 
possono  ritenere  eguali  a  ^/n  dei  706.630  pertinenti  al  gruppo  successivo, 
si  otterrebbe  pel  1881  un  insieme  di  1.724.188  censiti  fino  ai  2  anni.  I  to- 
tali 1.777.553  e  1.724.188  appaiono  abbastanza  cònsoni  alle  condizioni  di 
natalità  e  di  mortalità  infantile  dei  biennii  che  fecero  capo  ai  due  censimenti 
confrontati. 

Frutto  della  digressione  è  che  molti  bambini  non  sono  sfuggiti,  come  a  prima 
giunta  si  sarebbe  potuto  credere,  al  secondo  e  al  terzo  dei  nostri  censimenti; 
non  furono  delle  «  quantità  trascurabili  »  per  le  quali  le  famiglie  avessero 
ritenuto  soverchio  lusso  o  incomodo  riempire  la  scheda  ;  le  apparenti  lacune 
dipesero  da  un  modo  particolare  d' intendere-  le  classi  d'età.  Per  tale  rispetto, 
i  rilievi  del  '71  e  dell'  '81  sono  comparabili  tra  loro,  ma  non  cogli  altri  due, 
salvo  gli  adattamenti  del  caso.  Invece  i  risultati  del  1861  reggono  il  para- 
gene  con  quelli  del  1901  nelle  stesse  classificazioni  ufSciali. 


Bambini  obnsiti 

. 

BTÀ 

il  81  die  1861 

(s«iiu  il  Veneto, 

i  distretti  mantoT. 

e  Komft) 

il  9  febbraio  1901, 
riportati  a  calcolo 

al  81  dio.  1900 

(•ttaale  territorio 

del  Segno) 

Differente  in  più 
nel  1900 

Inferiori  ad  1  anno  .     .    . 

Da  1  a  2  anni 

Da  2  a  3    » 

Da  8  a  4    » 

Da  4  a  5    « 

Da  5  a  6    » 

722.726 
571.880 
685.265 
507.744 
472.126 
491.249 

943.246 
834.807 
798.308 
782381 
763.274 
732.058 

220.520 
262.477 
108.038 
274,637 
291.148 
240.804 

24 


RODOLFO   BENINI 


IV. 


La  popolazione  italiana  per  sesso,  età  e  stato  civile. 

1.  Il  diagramma,  che  qui  presento,  descrive  alla  meglio  la  ripartizione  J9^r 
sesso  e  per  età  della  popolazione  italiana,  secondo  i  quattro  censimenti  na- 


POPOLAZIONE  ITALIANA 

DISTRIBUITA   PER   STA 


A)  al  81  die.  ISeirescInai  II  Yeaeto  e  11  Lazio 
1871,  compresi        «  « 

1881, 
1900«        » 


— .—  Maschi 
..«•.»..  Fomnilno 


NB.  —  A  partire  dall'asse  delle  ordinate  d'ogni  figura,  nn  millimetro  eolie  ascisse  corrisponde  a  5.000  censiti. 


zionali.  Per  i  noti  motivi  una  immagine  fedele  non  si  sarebbe  avuta  dai  dati 
grezzi  ;  fu  d*uopo  ricorrere  a  processi  elementari  di  perequazione. 

L'occhio  esercitato  non  fatica  ad  orientarsi  in  questo  semplice  disegno. 
L'andamento  della  curva  continua  e  di  quella  punteggiata  mostra  senz'altro 
che  Teccedenza  dei  maschi  sulle  femmine  persiste  in  generale  fino  al  quin- 
dicesimo anno  d'età,  come  effetto  di  lunga  mano  della  maggior  natalità  ma- 
scolina e  forse  di  un  allevamento  men  trascurato.  Come  è  noto,  l'eccedenza 
dei  maschi  nelle  nascite  è  solo  in  piccola  parte  falciata  dalla  maggiore  loro 
mortalità  nel  primo  anno  dell'infanzia;  poi  la  morte  colpisce  ugualmente  i 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA   NELL'ULTIMO   CINQUANTENNIO  25 

due  sessi,  e  ìd  seguito  si  volge  a  danno  del  sesso  gentile  fino  ai  42  o  43 
anni  d'età.  Ciononostante,  a  partire  dal  quarto  lustro  e  per  un  tratto  più  o 
meno  lungo  della  seriazione,  la  superiorità  numerica  delle  femmine,  tra  i 
viventi,  si  delinea  nettamente.  Causa  notissima  :  Temigrazione,  che  trova  le  sue 
reclute  specialmente  tra  i  maschi  delle  età  meglio  atte  al  lavoro.  Allorquando, 
come  nel  '61  e  nel  71,  l'emigrazione  italiana  per  l'estero  era  poca  ed  aveva 
spiccato  carattere  di  temporaneità,  la  scarsezza  di  maschi  rivelata  dai  cen- 
simenti si  limitava  al  tratto  Tra  i  15  e  i  35  anni;  in  parte  poteva  foi-se 
attribuirsi  a  mancate  denunzie  di  giovani  intenzionati  di  sottrarsi  alla  leva 
0  già  trasgressori  dell'obbligo  loro  verso  la  patria.  Ma  dopo  che  le  correnti  mi- 
gratorie si  fecero  più  considerevoli,  e  l'emigrazione  permanente  cominciò  a 
prevalere  sulla  temporanea,  quella  deficienza  si  protese  molt'oltre  il  gruppo 
dei  trentacinquenni.  Il  censimento  del  1881  già  la  rivela  fino  alla  classe 
da  50  a  55  d'età,  e  il  censimento  del  1901  fino  a  quella  da  70  a  75!  Na- 
turalmente, a  partire  dai  42  o  43  d'età  e  andando  fino  ai  65,  le  conseguenze 
di  un  largo  esodo  di  uomini  avvenuto  qualche  tempo  addietro,  si  assommano 
con  quelle  della  mortalità,  che  in  tale  stadio  di  vita  infierisce  più  sui  ma- 
schi che  sulle  femmine.  Sarà  interessante  vedere  nel  prossimo  censimento 
le  traccie  lasciate  dall'emigrazione,  che  dal  1901  si  cambiò  di  grande  in 
gi-andissima. 

Nella  porzione  del  diagramma  che  raffigura  la  ripartizione  dei  censiti 
per  età  all'inìzio  del  secolo  ventesimo,  l'occhio  raccorderebbe  volentieri  con 
una  retta  o  con  una  linea  a  lieve  curvatura  gli  estremi  delle  ascisse  corri- 
spondenti alle  età  di  14-15  e  di  60-61  anni;  l'area  interposta  fra  questo 
tracciato  ideale  e  la  curva  reale  dei  censiti  esprimerebbe  grosso  modo  il 
vuoto  prodottosi,  per  la  causa  in  questione,  nelle  file  degli  italiani,  vuoto 
maggiore  per  i  maschi,  minore  per  le  femmine.  Però  non  tanto  maggiore  per 
i  maschi,  quanto  potrebbe  aspettarsi  chi  guardasse  solo  alle  proporzioni  dei 
sessi  tra  gli  emigranti  ;  e  la  cosa  si  spiega  ammettendo  che  tra  i  rimpatriati 
la  prevalenza  dei  maschi  sia  ancor  più  accentuata  che  tra  gli  espatriati. 

Oggi,  fine  del  1910,  i  nati  prima  dell*  unificazione  nazionale  non  arri- 
vano al  20  ®/o  dei  regnicoli  ;  invece  essi  rappresentavano  il  30  Vo  della  po- 
polazione presente  dieci  anni  fa,  il  57  Vo  di  quella  del  1881  e  il  76  ^/o  di 
quella  del  1871.  A  tener  conto  solo  dei  nati  prima  del  1850,  cioè  della 
generazione  che  fu  veramente  parte  o  spettatrice  non  passiva  delle  lotte  per 
l'indipendenza,  si  scenderebbe  al  10  ^/q.  Esiguo  il  numero,  ma  grande  il 
valore  morale. 

2.  Considerando  la  popolazione  italiana,  senza  distinzione  di  luoghi  di  di- 
mora, l'ultimo  censimento  presentava,  su  1000  abitanti.  341  in  età  da  0  a  15 
anni.  Una  proporzione  molto  inferiore  (260  Voo)  si  ha  in  Francia,  paese  di 
limitatissima  natalità.  L'Irlanda  (304  Voo),  il  Belgio  (317),  la  Svizzera  (321), 


26 


RODOLFO   BENINI 


r  Inghilteri-a  e  la  Svezia  (324)  ci  si  accostano  nn  pò*  più.  Ma  la  nostra 
quota  è  superata,  fra  l'altro,  dalla  Prussia,  Norvegia  e  Ungheria  (356  Voo)» 
e  più  ancora  dai  paesi  slavi  come  la  Bulgaria  (402)  e  la  Serbia  (435),  e 
da  alcuni  del  Sud  America:  il  Brasile  (413)  e  TArgentina  (401). 

Guardisi  qui  come  si  stanno  a  fronte  capoluoghi  di  provincia,  comuni  non 
capoluoghi  con  più  di  15,000  e  altri  comuni  con  meno  di  15,000  abitanti.  Nei 
primi,  la  scarsa  natalizi  e  il  costume  dì  afSdare  lattanti  a  nutrici  fuori  del 
comune  spiegano  la  debole  proporzione  dei  censiti  d'ambo  i  sessi  fino  ai 
5  anni  d*età;  come  resistenza  di  guarnigioni  militari,  di  uffici  amministra- 
tivi civili,  di  aziende  industriali  e  commerciali,  spiega  il  prevalere  eccezio- 
nale dei  maschi  sulle  femmine  tra  i  20  e  i  25  anni.  Nei  secondi  si  ha  una 
proporzione  già  elevata  di  fanciulli,  e  negli  ultimi  una  ancor  maggiore.  In 
tutti  le  traccio  dell'  emigrazione  di  uomini  si  scorgono  nelle  categorie  di  cen- 
siti nati  prima  del  1876;  ma  sono  traccio,  come  dicemmo,  promiscue  per 
un  certo  intervallo  con  quelle  della  maggior  mortalità  maschile. 


69  Capoluoghi  di  ProTincia 

Comnni  non  capolnoghi 

di  ProTincia, 

con  pia  di  15  mila  abitanti 

Altri  Comuni 
con  meno  di  15  mila  abitanti 

Anni  di  naicita 

MmcU 

Vemmioo 

Maschi 

Femmine 

Maschi 

Femmine 

190M896 

104.7 

100.6 

131.8 

128.7 

140.2 

132.2 

1895-1891  . 

93.0 

89  9 

108.9 

107.5 

117.6 

111.2 

1890-1886  . 

96.9 

93.4 

107.7 

104  9 

108.1 

104.4 

1885-1883  . 

57.7 

57.2 

59.5 

59.8 

58.0 

58.1 

1882-1880  . 

58.0 

55.4 

53.2 

54.2 

49.4 

51.6 

1879-1876  .    . 

87.8 

69.9 

68.9 

65.0 

56.6 

63.0 

1875-1866  .    . 

142.5 

151.7 

133.1 

134.7 

123.1 

129.6 

1865-1856  .    . 

127.9 

131.3 

118.1 

118.5 

110.0 

113.1 

18551846  . 

102  2 

107.5 

95.9 

97.4 

96.2 

97.9 

1845-1836  . 

75.2 

80.2 

69.9 

72.7 

77.1 

77.4 

1835-1826  .    . 

39.7 

45.1 

38  3 

40.5 

46.2 

45.0 

1825-1816  .    . 

13.1 

15.9 

13.4 

14  4 

16.0 

14.8 

1815  e  anteriormente  . 

1.2 

1.9 

1.3 

1.7 

1.4 

1.4 

1000.— 

1000.— 

1000. 

1000.— 

1000.— 

1000.— 

G.  Mortara,  nel  primo  suo  studio  sulle  Popolazioni  delle  grandi  città 
italiane^  raffronta  la  composizione  per  età  degli  abitanti  degli  undici  mag- 
giori comuni  con  quella  degli  abitanti  dei  rispettivi  compartimenti.  Risaltano 
chiari  gli  effetti  della  scarsa  natalità  (alla  sua  volta,  conseguenza  di  matri- 
moni men  frequenti  o  più  tardivi  o  ad  arte  poco  fecondi)  e  dell* attrazione 
che  i  centri  urbani  esercitano  sulla  gioventù  di  una  estesa  zona  ali*  intorno. 


LA    DEMOGRAFIA   ITALIANA   NBLL  ULTIMO   CINQUANTENNIO 


27 


Stt  1000  cenniti 
il  9  febbr.  1901,  erano  in  eU 

Sn  1000  censiti 
il  9  febbr.  1901,  erano  in  età 

Città 

"S 

9 

S 

a 

COMPABTIUBNTI 

1 

o 

a 
e 

4 
O 

iti 

et 

O 
OS 

3 

•8 

•I 
o 

o 

Firenze 

240 

418 

270 

72 

1 

Toscana  .... 

333 

866 

232 

69 

GenoTa  

247 

457 

242 

54 

Liguria    . 

m             m 

312 

397 

225 

66 

Torino 

249 

448 

254 

54 

Piemonte. 

■              ■ 

331 

370 

285 

64 

Bologna 

254 

406 

269 

71 

;     Romagna. 

•             • 

328 

870 

241 

61 

Milano 

257 

448 

249 

46 

Lombardia  . 

■ 

342 

375 

280 

53 

Venezia 

265 

403 

263 

69 

Veneto     .     , 

• 

360 

360 

216 

64 

Roma 

269 

424 

258 

49 

Lazio  .     .    . 

• 

321 

390 

239 

50 

Napoli 

290 

389 

255 

65 

Campania     . 

■ 

337 

350 

242 

71 

Catania 

333 

399 

223 

45 

) 

Palermo 

337 

401 

218 

44 

>  Sicilia 

349 

877 

225 

49 

Messina 

338 

380 

225 

57 

\ 

La  serie  dei  numeri  proporzionali  concernenti  i  censiti  da  0  a  15  anni 
nei  grandi  comnni  presenta  un  notevole  parallelismo  con  quella  delle  rispet- 
tive quote  di  natalità  accertate  nel  novennio  1892-900.  Infatti  per  Firenze, 
Genova,  Torino  e  Bologna,  si  ebbero  da  23,6  a  24,9  nati  vivi  su  1000  ab.; 
per  Milano,  Venezia  e  Roma,  da  27,4  a  28,1;  per  Napoli  31,6;  per  Catania, 
Palermo  e  Messina,  da  31,9  a  36,1. 

Ogni  1000  maschi,  si  ebbero,  secondo   l'ultimo  censimento: 

1.018  femmine  negli  11  maggiori  Comuni 
997        «         negli  altri  58  capoluoghi  di  Provincia 
972        *         in  altri  185  Comuni  con  più  di  15  mila  ab. 

1.018        »         nel  restante  del  Begno. 

Considerando  invece  la  eccedenza  annuale  dei  nati  sui  morti  secondo 
il  sesso,  dovremmo  aspettarci  nei  maggiori  comuni  una  assai  più  alta  pro- 
porzione di  femmine,  e  nei  minori  una  assai  più  bassa. 

Quinquennio  1896-1900. 


Masclu  nati 

Femmine  nata 

Femmine 

in  pih  dei  maachi 

In  più  delle  fem- 

V» 

morti 

mine  morte 

1000  mascki 

11  magg^iori  Comuni  .... 

35.480 

88.838 

L095 

58  allrì  capol.  di  Provincia    . 

81.273 

81.663 

1.012 

Capei,  di  circond.  o  distretto . 

74.808 

70.167 

938 

Comuni  non  capoluoghi  con  più 

di  15  mila  abit 

48  599 

43.765 

901 

Comuni  minori 

741.770 

648.692 

874 

Regno 


931.930 


883.125 


894 


28 


RODOLFO   BBNINI 


L* emigrazione  maschile,  superiore  alla  femminile,  dai  minori  centri 
verso  i  grandi  e  i  medii,  spiega  la  proporzione  relativamente  considerevole 
delle  femmine  tra  la  popolazione  presente  nei  primi,  e  la  loro  proporzione 
meno  alta  di  qaella  che  altrimenti  sarebbe,  nei  secondi. 

3.  L*  Italia,  mezzo-  secolo  fa,  era,  più  che  non  sia  oggi,  paese  dai  ma- 
trimoni precoci.  La  relazione  del  censimento  del  1861  sollecitava  il  legisla- 
tore a  regolare  la  materia,  togliendola  all'ingerenza  del  clero  troppo  corrivo 
a  «  perdonare  e  benedire  i  congiungimenti  immaturi,  che  tanto  Tigiene  quanto 
la  morale  pubblica  condannano  «.  A  quella  data  esistevano  —  se  i  censiti 
risposero  il  vero  —  395  maschi  coniugati  in  età  inferiore  a  15  anni,  e,  di 
essi,  92  da  13  a  14  anni  e  uno  da  12  a  13;  similmente  si  noverarono  196 
coniugate  da  12  a  13  anni,  78dallal2e  una  di  11  non  peranco  com- 
piuti! Il  nuovo  Codice  civile,  fissando  a  18  anni  per  Tuomo,  a  15  per  la 
donna,  l'età  minima  legale  pel  matrimonio,  salva  in  casi  gravi  la  dispensa 
sovrana,  ha  fatto  cessare  le  maggiori  anomalie.  Peraltro,  chi  facesse  i  de- 
biti confronti,  rileverebbe  questo  di  strano,  che  la  nuzialità  prematura, 
scomparsa  quasi  del  tutto  dal  primo  censimento  ai  due  successivi,  riappare 
ancor  numerosa  nel  quarto. 


ETÀ 


Coniugati  al 

81  die  SI  die.  81  die.        9  febbr. 

1861        1871  1881  n     1901 


31  die. 

1861 


Coniagate  al 


81  die. 

1871 


sino  a  15  anni 

395 

/ 

— 

— 

1    3,307 

141 

242 

da  15  a  18     n 

4,846 

398 

[381) 

4.327     31.188 

11.251 

(13.224) 

»  18a2l     n 

25.997 

10.251 

(10.650) 

17.379 

128.603 

108.803 

(117.427) 

»  21  a  25      n 

151.595 

113.453 

(122.700) 

162.388 

369.396 

371.365 

(408.525) 

31  die.  9  febbr. 

1881   («)      1901 

2,001 

24.979 

131.179 

480.496 


Proporzioni  a  100.000  coniugati  o  coniugate  di  qualunque  età: 


Bino  a  15  anni 

10 

•  •  • 

— 

86 

3 

5 

da  15  a  18      » 

127 

8 

(7) 

75 

809 

235 

(254) 

»  18  a  21       n 

681 

216 

(207) 

802 

3  335 

2  275 

(2.258) 

»  21  a  25      » 

3.971 

2.386 

(2.383j 

2.825 

9.580 

7.766 

(7.839) 

34 

421 

2.209 

8.090 


Sono  quattro  migliaja  e  piti   di  coniugati  e   due  di  coniugate   sotto  Tetà 
legale,  che  il  censimento  del  1901  avrebbe  rivelato,  quantunque  le  dispense 


(M  I  dati  del  1881,  forniti  dal  censimento  in  classi  quinquennali  (da  15  a  20,  da  20 
a  25  ecc.),  furono  risoluti  in  classi  annuali  d'età,  in  base  alle  proporzioni  che  già  erano 
risultate  nel  1871  ;  e  indi  vennero  ricomposti  in  classi  di  tre  o  di  quattro  anni,  seconda 
le  esigenze  del  prospetto. 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA    NELL  ULTIMO   CINQUANTENNIO 


29 


per  atto  sovrano  (50  in  media  all'anno  a  favore  di  maschi,  70  a  favore  di 
femmine)  non  ne  dovessero  far  prevedere  più  di  un  centinaio  e  mezzo.  Forse 
che  il  costume  delle  unioni  precoci,  sancite  col  rito  religioso  soltanto  o 
riconosciute  dalle  parentele  sotto  riserva  di  legalizzazione  futura,  è  rimasto 
presso  certe  popolazioni  —  sopra  tutto  le  siciliane  —  ed  ha  indotto  molti 
giovani  a  dichiararsi  coniugati,  mentre  non  erano  che  dei  conviventi  in  con- 
nubii  irregolari  ?  L*  ipotesi  fu  avanzata  dal  Coletti  ed  è  accettabile  per  chi 
conosca  la  forza  d'inerzia  del  costume;  ma  essa  lascia  insoluta  la  questione 
della  quasi  mancanza  di  coniugati  precoci  nei  censimenti  del  1871  e  1881. 
Il  costume  esistente  alVinizio  della  nostra  vita  nazionale,  se  esiste  ancora 
oggif  non  può  aver  patito  soluzione  di  continuità. 

Il  Mortara,  poco  concedendo  alla  forza  del  costume,  ritiene  reale  la 
scomparsa  dei  coniugati  precoci  nel  secondo  e  terzo  censimento  e  ISttizia  la 
loro  ricomparsa  nel  1901,  che  egli  ascriverebbe  al  metodo  allora  adottato  di 
richiedere  ai  censiti  Tanno  di  nascita  invece  che  Tetà  in  anni  compiuti.  I 
censiti,  a  suo  avviso,  male  conoscono  la  propria  età,  ma  peggio  la  data  della 
nascita.  Pure,  contro  questo  avviso  sta  il  fatto  che  errate  si  dimostrano  le 
classificazioni  per  età  nei  censimenti  del  71  e  '81,  e  più  attendibili  invece 
quelle  per  anni  di  nascita  del  1901.  Sia  che  il  quesito  nella  nuova  forma 
abbia  indotto  gli  interrogati  a  un  volenteroso  esercizio  di  memoria  e  di  con- 
teggio, sia  che  spesso  le  commissioni  di  censimento  abbiano  fatto  verificare  da 
impiegati  municipali  le  età  sui  registri  di  popolazione,  è  forza  riconoscere 
che  i  risultati  greggi  dell'ultima  indagine  non  hanno  quasi  bisogno  di 
perequazioni  o  di  aggiustamenti  discrezionali. 

E  appunto,  tenendo  fermo  il  concetto  che  i  censiti  adolescenti  e  adulti 
nel  1871  e  1881  furon  fatti  figurare,  nelle  tabelle  ufSciali,  di  sette  od  otto 
mesi  più  vecchi  che  non  fossero  realmente,  noi  dovremmo  far  rientrale  gran 
parte  dei  veri  o  sedicenti  coniugati  di  18-19  anni  e  delle  vere  o  sedicenti 
coniugate  di  15-16,  nei  gruppi  di  17-18  e  14-15  rispettivamente.  I  primi 
erano  1140  nel  1871  e  le  seconde  914;  dieci  anni  dopo,  potevan  calcolarsi 
a  1090  e  1074.  Spostandone,  mettiamo,  i  tre  quinti,  la  categoria  dei 
veri  0  sedicenti  coniugati  sotto  l'età  legale  ingrosserebbe  nel  1871  da  399 
a  1.083  e  nel  1881  da  881  a  1026;  e  quella  delle  coniugate  da  141  a  689 
e  da  242  a  886.  In  pari  tempo  bisogna  riflettere  che  il  censimento  del 
1901  fu  eseguito,  non  nel  giorno  iniziale  o  terminale  dell'anno,  ma  al  9-10 
febbraio:  opperò  i  censiti,  che  in  riguardo  all'anno  di  nascita  noi  classifi- 
cammo, ad  esempio,  nel  gruppo  da  15  a  18,  appartengono  in  realtà  al  gruppo 
da  15  anni  e  40  giorni  a  18  anni  e  40  giorni.  Ora,  tra  l'età  di  18  precìsi 
e  quella  di  18  più  40  giorni,  vi  è  senza  dubbio  qualche  centinaio  di  questi 
coniugati  da  eliminare,  mentre  ve  n'ha  ben  pochi  da  aggiungere  nell'età  tra 
i  15  precisi  e  i  15  e  40  giorni.  È  anzi  probabile  che,  al  varco  del  limite 
legale  d'età,  le  unioni  irregolari  in  attesa  di  mettersi  in  regola  colla  legge 


30  RODOLFO   BENINI 


senza  sollecitare  la  dispensa  sovrana,  siano  tante  da  costituire  come  un  salto 
nella  seriazione.  A  conti  fatti  in  via,  s'intende,  di  semplice  approssimazione, 
il  gruppo  dei  mariti  precoci  si  ridurrebbe,  in  numeri  tondi,  da  4827  a  3900, 
e  quello  delle  mogli  da  2001  a  1700. 

Il  risultato  di  questi  emendamenti  conforterebbe  la  tesi  ohe  il  costume 
delle  unioni  precoci,  legittime  o  no  che  siano,  non  cessò  air  epoca  del  se- 
condo e  del  terzo  censimento  per  rivivere  in  tempi  a  noi  più  vicini.  Tuttavia 
le  serie  corrette: 

1861      1871      1881       1901 

Dichiaratisi  coniatati  sotto  i  18  anni:       5.241       1.083      1.026      8.900 
Dichiaratesi  coniugate  sotto  i  15  anni:      3.807         689         886      1.700 

pur  presentando  sbalzi  assai  attenuati  in  confronto  delle  originarie,  lasciano 
ancor  dubitare  di  altre  cause  d*errore  o  di  discordanza.  Non  tanto  la  discesa 
dal  1861  al  1871  è  cagion  di  mei*aviglia  (perchè  una  notevole  influenza  sul 
costume  deve  pur  avere  esercitato  il  nuovo  Codice),  quanto  la  ripresa  del 
costume,  massime  da  parte  dei  maschi,  neirintervallo  fra  il  terzo  e  il  quarto 
censimento. 

Eccoci  tratti  a  pensare  che  se  gravemente  errate  riuscirono  in  un  senso 
le  classificazioni  per  età  nel  1871  e  1881,  errate,  sia  pure  in  misura  assai 
minore  e  in  senso  opposto^  siano  riuscite  quelle  del  1901.  Le  tabelle  uffi- 
ciali, là,  avrebbero  invecchiato  d'un  anno  circa  i  censiti  adolescenti  e  adulti  ; 
qui  potrebbero  averli  ringiovaniti  di  qualche  mese.  Basti  riflettere  ai  molti 
casi,  in  cui  il  computo  dell'anno  di  nascita  potè  farsi  alla  lesta  con  la  sem- 
plice sottrazione  delletà  (dichiarata  in  anni  compiuti  senza  complemento  di 
mesi)  dal  numero  costante  1901.  Pongasi:  una  persona  nata  tra  l'agosto  e 
il  dicembre  1882  e  avente  meno  di  diciott'anni  e  mezzo  alla  data  del  cen- 
simento, indicava  la  propria  età  col  numero  18;  e  il  commesso  o  gli  incaricati 
della  revisione  delle  schede,  senza  preoccuparsi  del  mese,  sottraendo  18 
da  1901  segnavano  come  anno  di  nascita  il  1888  in  luogo  del  1882.  Nel- 
l'esempio supposto,  la  coincidenza  dell'anno  a  calcolo  con  quello  vero  della 
nascita  si  sarebbe  avuta  solo  per  i  censiti  abituati  a  contare  come  finito  l'anno 
d'età  incominciato:  i  quali  censiti  sono  forse  la  maggioranza  ;  ma  noi  dob- 
biam  riconoscere  la  parte,  che  loro  spetta,  anche  alle  minoranze. 

Se  per  tali  riguardi  i  dati  del  1901  desidererebbero  un  lieve  ritocco,  uno 
anche  più  lieve,  non  però  trascurabile,  bisognerebbe  apportare  specialmente 
ai  gruppi  maschili  fino  ai  25  anni.  In  Sicilia,  nelle  Calabrie  e  nelle  Puglie, 
proprio  dove  più  resiste  il  costume  dei  connubii  prematuri,  è  invalso, 
dopo  la  legge  del  1875  sul  reclutamento  militare,  l'uso  di  denunziare  i 
maschi,  venuti  al  mondo  negli  ultimi  giorni  dell'anno,  come  nati  al 
principio  del  successivo,  per  far  loro  guadagnare,  dicesi,  un  anno  alla  leva. 
Ora  può  essere  avvenuto  che,  per  i  figli  prossimi  alla  leva,  le  famiglie  ab- 


LA    DEMOGRAFIA    ITALIANA   NBLL  ULTIMO   CINQUANTENNIO 


81 


Mano  tenuta  presente  la  contrayveDziooe  già  commessa  alla  legge  e  indicati 
i  diciottenni  per  diciassettenni  e  cosi  via  ;  e  che  altre  famiglie,  le  quali  non 
erano  in  colpa  per  la  denuncia  delle  nascite,  s'illudessero  di  fare  lo  stessa 
guadagno  con  una  dichiarazione  inesatta  sulla  scheda  del  censimento.  Queir  uso 
spiegò  i  saoi  primi  effetti,  quanto  alle  classi  d*età,  che  ci  interessano,  solo 
nel  1901  ;  e  dà  in  piccola  parte  ragione  del  maggior  salto  che  si  avverte  nella 
serie  emendata  dei  veri  o  sedicenti  coniugati  sotto  i  diciott*anni  in  confronto 
della  serie  delle  coniugate  sotto  i  quindici. 

L'effetto  di  questi  spostamenti  si  legge  anche  nei  rapporti  di  frequenza 
delle  classi  sopra  Tetà  legale: 


1861 


1871 


1881 


1901 


CUsti 
d*eU 

Gonlufati  per  1000  maaclii 
dell'etA  eoatroindìcata 

Goniagate  per  1000  feromine 
dell'eU  oontroindiuato 

18-21 

49 

14 

14 

21 

218 

188 

151 

158 

21-25 

205 

124 

127 

158 

481 

419 

417 

457 

25-80 

494 

425 

467 

502 

680 

661 

688 

686 

80-85 

697 

684 

705 

719 

752 

754 

773 

780 

85-45 

785 

793 

801 

813 

741 

756 

771 

798 

45-55 

780 

801 

811 

824 

645 

675 

679 

722 

55-65 

719 

786 

755 

770 

489 

523 

528 

564 

65-75 

588 

618 

616 

644 

881 

859 

885 

857 

1891 


1871 


1881 


1001 


Dal  primo  censimento  ai  due  successivi  appare  indebolita  nelle  schiere 
giovani,  rafforzata  nelle  anziane,  la  rappresentanza  dei  conjugati,  appunto 
perchè,  la  seriazione  loro  avendo  il  suo  massimo  fra  i  35  e  i  40  anni,  lo 
spostamento  di  circa  un  anno  nelle  età  doveva  accollare  ad  ognuna  delle 
classi  anziane  un  indebito  contingente  di  coniugati  maggiore  di  quello  che 
essa  cedeva  alla  successiva;  giusto  il  contrario  di  ciò  che  avvenne  per  le 
classi  giovani.  Nel  1901  mancò  tuttavia  la  inversione  del  fenomeno,  grazie 
airemigrazione,  la  quale,  diradando  i  celibi,  mantenne  ai  conjugati,  anche 
anziani,  una  posizione  più  considerevole  di  quella  stessa  che  sembravano  avere 
nel  71  e  '81;  e  grazie  alla  maggior  durata  delle  convivenze  (effetto  di 
migliorate  condizioni  sanitarie  del  popolo),  che  fece  poco  numerosi  i  vedovi. 


4.  Ben  poco  mutò  la  compagine  della  nostra  popolazione  per  grandi 
gruppi.  L'equilibrio  dei  sessi  si  è  mantenuto,  i  maschi  essendo  stati  al  mas- 
simo il  60.27  Vo  nel  1871,  al  minimo  il  49.75  •/•  nel  1901.  Per  100  maschi 
d*ogni  età  si  ebbero  al  più  61  celibi  (1®  censimento)  e  almeno  59.89  (3^  cen- 
simento); per  100  femmine  gli  estremi  delle  nubili  furono  55.37  e  53.97 
alle  stesse  date. 

Ma  più  interessa  illustrare  il  contrasto  tra  le  città  e  il  resto  del  paese. 
Nei  centri  urbani  le  maggiori  attrattive  del  celibato,  i  molti  modi  che  si 


32 


RODOLFO    BENINI 


offroDO  alFuomo  di  esplicare  la  sua  socievolezza  ali*  infoori  deirambiente  do« 
mestico,  le  divorile  esigenze  del  vivere,  distolgono  alcani  dal  matrimonio; 
per  altri  le  nozze  sono  tardive,  e  le  vedovanze  cadono  spesso  in  età  che  non 
invita  pia  a  secondi  amori  ;  oltre  di  che,  per  la  donna  almeno,  il  pass^gio 
a  nuove  nozze  implica  spesso  nelle  città,  ove  hanno  sede  impiegati  o  pen- 
sionati, la  perdita  di  certi  vantaggi  (pensioni).  Scarsa  dnnque  la  rappresen- 
tanza dei  coniugati;  non  scarsa  invece  quella  dei  vedovi,  die,  come  ab- 
biam  detto,  nelle  città  sentono  meno  la  convenienza  del  ritorno  allo  stato 
coniugale. 


ClMti 

dieU 


15-20 

20-25 
25-30 
80-35 
35-45 
45-55 
55-65 
65-75 
75-85 

oltre  85 


1861 


Coniugati 


5-go 

09 


2 


24 

153 
443 

650 
744 
751 

700 
587 
462 
387 


*■  ti 

9 


Vedovi 


-Sii 


51  i 


1871 


CONIDOATI 


1  -a 


o 
u 

a. 


-^  o 


Vedovi 


I     S 

<5     cu 


<  o 


1881 


Coniugati 


■e  a 

<  5 

o 


Vedovi 


•a  - 

l'I 


I»oi*  1000   iiiaselji  della   <.las>e  «li   età    «-ontroindicata 


li 


17 

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0. 

4 

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••• 

2. 

3 

•  •• 

193 

8., 

8.. 

77 

109 

1.4 

l.e 

70 

117 

1 

514 

11 

• 

11 

839 

443 

8> 

8» 

381 

484 

8 

713 

20 

21 

578 

705 

20 

18 

609 

724 

19 

797 

85 

86 

719 

807 

40 

83 

728 

817 

88 

790 

74 

82 

744 

812 

80 

67 

754 

822 

79 

725 

144 

168 

689 

744 

147 

146 

705 

765 

145 

588 

258 

816 

584 

619 

262 

285 

586 

622 

264 

442 

362 

454 

447 

452 

423 

465 

435 

448 

429 

304 

484 

580 

838 

318 

522 

588 

303 

308 

585 

1.8 

7 

16 
81 
67 
185 
275 
459 
609 


Il  censimento  del  1901  non  ci  offre  una  discriminazione  analitica, 
quanto  vorremmo,  di  classi  per  età  combinata  collo  stato  civile  e  per  capo- 
luoghi e  non  capoluoghi. 

Pur  riconoscendo  che  la  distinzione  dei  centri  con  6000  abitanti  0  pib 
dal  resto  del  paese  non  coincide  bene  con  quella  dei  capoluoghi  di  provincia 
dagli  altri  comuni,  e  che  nel  1861  la  mancanza  dei  dati  per  le  Provincie 
venete  e  per  quella  di  Roma  toglie  qualche  cosa  ancora  all'omogeneità  dei 
termini  di  confronto,  non  possiamo  non  rilevare  l'accordo  delle  serie  che 
affermano  la  debole  proporzione  dei  coniugati  tra  la  popolazione,  diciam 
così,  urbana.  L'accordo  si  ripete  nel  seguente  prospetto  dedicato  all'altro 
sesso: 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA   NELL  QLTIMO   CINQUANTENNIO 


33 


ClMSi 

aitu 


15-20 
20-25 
25^ 
30-35 
35-45 
45-55 
55-65 
65-75 
75-85 

oltre  85 


1861 


COMIOOATB 


^11 


135 
434 
619 
679 
666 
576 
417 
275 
186 
150 


'Bit 
o  fl  g 


Ybdovb 


-CS 


5  o 

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Sii 
ss  a 

08S 


1871 


COMIUOATB 


il 


Ybdovb 


■a  - 

II 


se 


1881 


CONIUQATB 


^1 


Vbdovb 


2     « 
-     1 

Vs 


Por  lOCXD  foimiìine  della  classe  di  eti  oomro indicata 


90 

8.1 

U 

45 

44 

0.8 

455 

18 

9 

319 

376 

10 

702 

46 

28 

568 

679 

29 

776 

67 

48 

662 

772 

55 

767 

125 

101 

675 

772 

no 

669 

S46 

222 

602 

688 

212 

514 

419 

891 

448 

536 

871 

350 

557 

554 

295 

371 

541 

223 

643 

669 

163 

217 

672 

155 

664 

788 

112 

129 

732 

0., 


21 


48 


97 


196 


859 


584 


692 


777 


41 

319 
577 
678 
690 
608 
458 
271 
134 


67 


13 


49 

0.. 

399 

7 

704 

28 

792 

48 

788 

105 

694 

214 

543 

870 

349 

551 

185 

700 

107 

779 

O.e 

5 

17 

87 

86 

196 

855 

547 

718 

795 


V. 


La  popolazione  per  professioni. 

1.  Lungi  da  noi  Tidea  di  condurre  il  lettore  nel  ginepraio  dei  quattro 
censimenti  per  la  parte  che  concerne  le  professioni.  Varianti  di  nomencla- 
tura 0  di  aggruppamenti,  rapporti  complessi  nascenti  dalla  promiscuità,  tem- 
poraneità 0  alternanza  di  mestieri,  zone  grigie  tra  Inattività  industriale  e  com- 
merciale e  l'attività  domestica,  confusioni  non  rare  fra  titoli,  gradi  e  con- 
dizioni da  un  lato  e  professioni  vere  e  proprie  dalFaltro,  termini  dialettali 
simili  per  suono,  dissimili  per  senso  da  quelli  degli  elenchi  ufficiali,  tutto 
concorrerebbe  a  rendere,  oltre  ogni  dire,  laboriosa  una  analisi  comparativa. 
D'altronde,  un  censimento  non  potrebbe  neppur  concatenarsi  cogli  anteriori, 
0  coi  successivi,  per  la  mancanza  di  statistiche  del  «  movimento  * ,  per  la 
mancanza,  cioè,  di  ogni  notizia  intorno  all'  ingresso  di  nuove  schiere  nei  vart 
gruppi  professionali  del  paese,  e  alle  uscite  che  non  siano  quelle  determinate 
dalla  morte  o  dall'emigrazione.  La  professione,  non  essendo  un  carattere  im- 
mutabile come  il  sesso,  né  regolarmente  variabile  come  l'età,  né  suscettivo 
di  poche  forme,  come  lo  stato  civile,  aduna  difficoltà  d*ogni  specie  sulla  via 
dei  rilevatori. 


BODOLFO  Bbnini  —  La  demografia  italiana  ecc. 


u 


RODOLFO   BBNINI 


Basterà  dunque  un  semplice  giro  di  ricognizione. 

Il  censimento  del  1861  diede  questi  risultati  per  grandi  gruppi: 


Professioni  e  condizioni 

Industria  agricola 

n         minerale 

n        manifattrice 

n        commerciale 

Professioni  liberali 

Culto 

Amministrazione  pubblica 

Sicurezza  interna  ed  esterna .     .     .    . 

Possidenti 

Domesticità 

Poveri 

Senza  professione  (di  oltre  9  anni).  . 
Fanciulli  sino  ai  0  anni 

Totali     .     .     . 


Maschi 

Femmine 

Totale 

4.869.421 

2.839.210 

7.708  631 

55.757 

2.794 

58.551 

1.379.505 

1.692.740 

3.072.245 

542.090 

92.848 

634.438 

407.722 

126.763 

584.485 

122.753 

41.662 

164.415 

124.246 

6.351 

130.597 

240.003 

41 

240.044 

347.030 

257.407 

604.437 

160.077 

313.497 

473.574 

128.346 

176.997 

305.343 

89.895 

2.957.207 

3.047.102 

2.430.391 

2.373.081 

4.803.472 

10.897.236 

10.880.098 

21.777.334 

Gli  occupati  neir  industria  agricola  furono  censiti  per  nove  decimi  nei 
centri  inferiori  a  6000  ab.  e  nelle  campagne.  Decisa  la  preyalenza  dei  maschi 
sulle  femmine,  ma  con  estremi  compartimentali  assai  discosti  :  in  Piemonte, 
ad  es.,  100  contro  81;  in  Sardegna,  100  contro  8.  Notevole  pure,  per  ragioni 
non  ben  chiarite,  la  frequenza  dei  capifamiglia,  doppia  anzi  di  quella  accer- 
tata per  la  restante  popolazione  attiva.  Gruppi  scelti:  i  piccoli  possidenti- 
coltivatori,  un  sesto  delle  persone  occupate  nell'agricoltura,  numerosi  soltanto 
in  Piemonte  e  in  Liguria,  dove  la  tendenza  al  frazionamento  della  proprietà 
non  era  stata  ostacolata,  come  altrove,  dal  risorgere  dei  maggioraschi  sotto  i 
governi  della  Ristorazione;  i  mezsadri^  ^lixo  ^^^io^  frequenti  nell* Italia  cen* 
trale  e  quasi  inesistenti  nella  meridionale  e  nelle  isole;  i  fittaiuoli,  un  ven- 
ticinquesimo, con  discreta  rappresentanza  numerica  nel  Napoletano  e  nel  Mo- 
denese e  con  speciale  importanza  economica  nel  Lombardo  ;  infine  le  categorìe 
più  0  men  bene  determinate  dei  coloni,  degli  agricoltori  contadini  e  dei 
giornalieri^  quest'ultima  in  condizioni  precarie  e  misere  di  vita. 

L'industria  manifattrice,  numericamente,  appariva  rappresentata  più  nel 
Napoletano  e  in  Sicilia  che  in  Lombardia  e  Piemonte,  ma  solo  perchè  là  gli 
abitanti  raccolti  in  grossi  centri  o  borghi,  esercitando  nell'inverno  qualche 
arte,  seguita  in  più  propizie  stagioni  dall'agricoltura,  si  classificarono  tra  gli 
artigiani.  Il  censimento  d'allora,  come  i  successivi,  ebbe  luogo  appunto  nel- 
r  inverno.  D'altronde,  nel  Napoletano  e  in  Sicilia  la  popolazione  artigiana  era^ 
in  forte  prevalenza,  femminile:  donne  alternanti  il  lavoro  del  fuso  o  del  te- 
laio colle  cure  domestiche.  L'esposizione  nazionale  di  Firenze  del  1861  mostr^ 


LA   DEMOGRAFIA    ITALIANA    NELL'DLTIMO   CINQUANTENNIO  35 

che  da  noi  non  mancava  la  grande  industria.  Non  poche  delle  più  cospicue 
fabbriche  d'oggi  sono  le  discendenti  dirette  —  figlie  maggiori  delle  madri  — 
delle  fabbriche  sdrte  nel  perìodo  preparatorio  dell'unità  politica.  Scorrendo 
le  relazioni  dei  gini-ati  a  quella  prima  solennità  del  layoro  italiano,  incon- 
triamo nello  stato  maggiore  dell'  industria  i  nomi  degli  stabilimenti  di  Fol- 
lonica e  di  Pertusola  per  la  mineralurgia  e  metallurgia,  di  Ansaldo  a  Sam- 
pierdarena  per  la  meccanica,  dei  Lanza  di  Torino  pei  prodotti  chimici,  del 
Florio  di  Palermo  per  l'enologia,  ed  altri  molti.  La  ceramica  vantavasi  delle 
manifatture  in  grande  del  Ginorì  a  Doccia  e  del  Richard  a  Milano.  Tra  gli  espo- 
sitori dei  prodotti  della  seta,  del  cotone,  del  lino  e  della  canapa  (i  Gavazzi 
di  Desio,  i  Geriana  di  Torino,  i  Cantoni  di  Castellanza,  i  Bossi  di  Schio, 
i  Sella  del  Biellese,  gli  Schlàpfer  di  Napoli,  ecc.),  a  decine  si  contavano  i 
condottieri  aventi  ciascuno  più  centinaia  di  operai  ai  loro  ordini  e  un  arma- 
mentario corrispondente  di  apparecchi  meccanici  mossi  da  forza  idiaulica  o 
dal  vapore.  Con  tutto  ciò,  non  si  può  negare  che  industria  casalinga,  arti- 
gianato e  piccola  fabbrica  non  fossero  in  parecchi  rami  il  fondo  e  il  nerbo 
della  nostra  produzione,  in  parecchi  altri  gli  ausiliari  o  i  complementi  del- 
l' impresa  accentrata.  L'allevamento  del  baco  da  seta,  la  filatura  e  tessitura 
a  mano,  la  macinazione  dei  cereali,  la  brillatura  del  riso,  la  lavorazione  della 
paglia  da  cappelli  ecc.,  si  innestavano  più  o  meno  intimamente  ad  una  agri- 
coltiua  progredita  sui  piani  lombardi,  sui  colli  piemontesi  e  toscani  ;  ma  più 
giù  arretrata  come  l'economia  dei  tre  campi  nel  medio  evo. 

Le  634  mila  persone  indicate  nella  categoria  «  industria  commerciale  « 
si  suddistinguevano  in  60.945  esercitanti  il  commercio  all'  ingrosso  e  354.759 
quello  al  minuto;  218.734  occupate  nei  trasporti.  Metà  furon  censite  nei 
centri  di  6000  ab.  e  più;  metà  nei  centri  minori  e  nelle  campagne. 

Tra  le  professioni  liberali,  le  meglio  accertate  statisticamente  riuscirono 
le  sanitarie.  Il  complessivo  numero  dei  medici,  chirurgi,  farmacisti,  veteri- 
nari, levatrici,  ecc.,  fu  di  43.889.  Alle  belle  arti,  alle  lettere  e  scienze  ap- 
plicate, alla  giurisprudenza,  all'  insegnamento  e  agli  impieghi  privati  in  largo 
senso,  dichiararono  di  attendere  490.596  individui. 

Il  clero  regolare  noverò,  secondo  il  censimento,  più  assai  che  non  si 
aspettasse  per  altre  fonti  di  notizie:  30.632  ascritti  maschi  e  42.664  fem- 
mine; rado  in  Lombardia  per  effetto  delle  riforme  giuseppine  e  delle  sop- 
pressioni dell'antico  Regno  italico,  denso  nell'Umbria,  nelle  Marche  e  in 
Sicilia.  La  nostra  quota  generale  per  1000  ab.  (3.36)  superò  così  quella 
della  Francia  (2.97),  della  Spagna  (1.31)  e  del  Belgio  (3.23).  Pel  clero  se- 
colare, rappresentato  da  87.744  individui,  la  frequenza  maggiore  si  ebbe  nelle 
Marche,  la  minore  in  Lombardia. 

L'unificazione  del  paese  avrebbe  dovuto  addirrre  ad  una  economia  di 
personale  almeno  nei  servizi  governativi  centrali  e  in  alcuni  di  conGne,  come 
il  doganale,  che  per  Tabbattimento  delle  barriere  dei  vecchi  Stati  svolgevasi 


36  RODOLFO   BBNINI 


ormai  su  una  linea  più  breve.  Ma  alla  fine  del  1861  non  s'eran  fatti  che 
i  primi  passi  sulla  via  dell'unificazione.  D'altronde,  il  rispetto  ai  diritti 
acquisiti  e  i  riguardi  agli  interessi  impegnati,  insieme  col  maggior  lavoro 
richiesto  per  incominciare  a  fare  il  non  fintto  dai  cessati  governi  e  assicurare 
il  nuovo  ordine  di  cose,  volevano  conservato  almeno  il  vecchio  personale  e 
tenuto  Tesercito  su  un  piede  quasi  di  guerra.  Il  censimento  registrò  così 
370.641  persone  addette  all'Amministrazione  pubblica  e  alla  sicurezza  interna 
ed  esterna  del  paese,  numero  superiore  di  71  mila  a  quello  trovato  dal 
censimento  di  dieci  anni  dopo  per  l'Italia,  ingrandita  del  Veneto  e  di 
Boma. 

Veniamo  ai  censimenti  del  1871  e  del  1881  : 

Gateoorie  di  professioni  1871  1881 

Agricoltura,  Bilvicoltura,  pastorìzia,  pesca 
e  caccia   

Miniere,  cave,   saline 

Produzioni  industriali 

Commercio  e  trasporti  ;  alloggio,  toeletta 
e  igiene  della  persona 

Professioni  liberali 

Culto 

Amministrazione  pubblica 

Esercito  e  marina  da  guerra 

Capitalisti,  proprietari  e  pensionati    .    . 

Impiegati  privati  e  personale  di  servizio 

Personale  di  fatica 

Altre  professioni  o  condizioni    .... 

Senza  professione  o  professione  non  in- 
dicata   

Fanciulli  sino  ai  9  anni 

Totali    .    .    . 


8.815.960 

8.559.065 

39.519 

59.512 

3.457.923 

4.186.216 

632.938 

743.878 

184.822 

223.161 

148.883 

131.585 

154.201 

170.652 

145.304 

160.155 

765.099 

962.881 

525.C42 

713.405 

135.378 

129.829 

85.902 

264.131 

6.216.661 

6  306.656 

5.493.227 

5.908.502 

26.801.154 

28.459.628 

Impossibile  fai*e  confronti  col  censimento  del  1861,  che  non  si  limitino 
a  specialissimi  gruppi.  Così  nella  diminuzione  progressiva  degli  ascritti  al 
culto  si  legge  Toffetto  dell'abolizione  delle  corporazioni  religiose.  Gli  addetti 
alle  amministrazioni  civili  o  alla  difesa  del  paese,  dicono  col  loro  moderato 
numero  la  politica  di  raccoglimento  e  di  parsimonia,  che  i  tempi  consiglia- 
vano e  gli  uomini  eseguivano.  Risultano  in  perdita  grave,  ma  solo  apparente, 
le  professioni  liberali,  perchè  il  primo  censo  le  aveva  ingrossate  con  elementi 
di  varie  altre  categorie.  Tra  esse,  le  professioni  sanitarie  progredirono,  per 
numero  di  componenti,  da  48.889  a  54.409  e  poi  a  59.717;  il  censimento 
del  1901  le  troverà  di  69.918. 


LA  DEMOGRAFIA   ITALIANA   NELL'ULTIMO   CINQUANTENNIO  87 

I  grappi  scelti  degli  agricoltori  mostraronsi  nel  1881  alquanto  mutati 
nelle  dimensioni  rispettile  :  la  mezzadria  in  decremento  ;  in  aumento  inyece 
la  piccola  proprietà  coltivatrice  e  il  fitto. 

Forse,  a  quella  data,  la  maggior  frequenza  di  occupati  nelle  produzioni 
industriali  fu  in  parte  l'effetto  della  creazione  di  nuove  imprese  e  delFam- 
pliamento  delle  antiche,  mentre  ancor  resisteva  l'artigianato  e  la  manifat- 
tura casalinga.  Quel  periodo  si  segnala  per  Tequilibrio  restituito  alla  finanza 
pubblica,  per  il  risveglio  dell'attività  industriale  del  paese  e  per  la  politica 
moderatamente  protettiva  inaugurata  con  la  tariffa  generale  del  1878.  Il  cen- 
simento del  1901  mostrerà  invece  un  regresso  numerico,  dovuto  alla  concen- 
trazione delle  imprese  ed  alla  parziale  scomparsa,  massime  nelle  industrie 
tessili,  del  lavoro  a  domicilio  eseguito  da  donne. 

Non  isperi,  del  resto,  chi  mi  legge,  di  cavare  un  gran  costrutto  neppur 
da  più  minuziosi  confronti,  i  quali  costerebbero  una  fatica  mal  compensata 
dai  probabili  risultati.  Anche  nel  seguente  parallelo  tra  1  due  ultimi  censi- 
menti, dobbiamo  contentarci  di  prendere,  per  il  1881,  dati,  ufficiali  sì,  ma 
non  sempre  coincidenti  con  quelli  pure  ufficiali  testé  riferiti,  a  motivo  di 
alcuni  rimaneggiamenti  di  gruppi,  che  richiederebbero  troppo  lungo  discorso  : 

GATBGORn    DI    PROySSSIONI 

1881  1901 

Agrìcoltara,  silyicoltara»  pastorisìn,  pesca 
e  caccia 8.614.708  9.666.467 

Miniere,  cave  e  saline 59.719  91.659 

Produxioni  indastrali 4.163.144  3.898.157 

Commercio  e  trasporti 899.854  1.196.7  M 

Profof^sìuni   liberali   e   impieghi   privati  279.478  382.498 

Culto 131.585  129.893 

Amministrazione  pubblica 167.362  178.241 

Difesa  del  paese 160.155  204.012 

Persone  che  vivono  specialmente  di  red- 
dito   962.881  600.752 

Addetti  ai  sernsl  domestici  e  di  piazza  675.908  574.855 

Persone  di  oltre  9  anni,  a  carico  della 
famiglia 4.658.086  8.355.773 

Assistiti  dalla  carità  pubblica  e  privata, 
0  viventi  a  carico  dello  Stato.    .    .    .  197.276  146.853 

Di  professione  o  condizione  ignota    .    .  1.580.975  10.603 

Fanoialli  sino  a  9  anni  d>tà    ....  5.908.502  7.060.967 

Totali    .    .    .  28.469.628  82.447.474 

Or  non  è  chi  non  veda  che  coacervi,  quale  quello  delle  persone  di 
oltre  nove  anni  a  carico  della  famiglia,  che  si  ingrossano  di  quattro  milioni 
da  un  censimento  all'altro,  e  coacervi  quale  quello  degli  individui  di  pro- 
fessione 0  condizione  ignota,  che  da  un  milione  e  mezzo  si  stremano  sino 


88 


RODOLFO   BENINI 


a  poche  migliaia,  fanno  cadere  nel  vuoto  ogni  tentativo  di  confronti.  Tuttavìa, 
per  r  importanza  speciale  che  suolsi  annettere  al  censimento  delle  persone  oc- 
cupate nelle  industrie  manifattrici,  aggiungiamo  questo  prospetto  : 


Industrie  mi ncralargiehe,  metallurgiche  e 
meccaniche 

LavorazioDe  delle  pietre,  argille  e  sabbie 

Industria  edilizia 

Lavoraz.  del  legno  e  della  paglia,  e  fabbric. 
di  mobilio  e  di  utensili  domeslici   .     . 

,   ,       .  Mn  opifici 

Industrie  tessili   < 

(  artigianato   .     .     .     . 

Industrie  attinenti  al   vestiario   e   airac- 
conciatura  della  persona 

Industrie  alimentari 

Lavorazione  delle  pelli  e  di  altri  prodotti 
animali 

Altre  industrie,  escluse  le  estrattive  .     . 


Industrie  mineralurgicbe,  metallurgiche  e 
meccaniche 

Lavorazione  delle  pietre,  argille  e  sabbie 

Industria  edilizia 

Lavoraz.  del  legno  e  della  paglia,  e  fabbric. 
di  mobilio  e  di  utensili  domestici  .     . 

Sin  opificii 
artigianato    .     .     .     . 

Industrie   attinenti   al  vestiario  e  all'ac- 
couciatura  della  persona 

Industrie  alimentari 

Lavorazione  delle  pelli  e  di  altri  prodotti 
animali 

Altre  industrie,  escluse  le  estrattive  .     . 


1881 

Vuoili 

Femmine 

Totale 

287.500 

1.875 

23  9  J  75 

103.276 

5.465 

108.741 

518.876 

67.914 

586.790 

307.802 

73.400 

381.202 

1           137.476 

1.213.978 

1.351.454 

494.432 

498.523 

992.955 

267.938 

55.615 

323.553 

35.958 

7.372 

43.325 

116.567 

19.182 

136.749 

2.219.820 

1.943.324        i 

i.163.144 

1901 

MmcIiì             Femmine 

ToUle 

Di  Mi  pa- 
droni diret- 
tori 0  artl- 
giaai  indi- 
pendenti di 
tnboieetei 

326.082 

3.069 

329A51 

88.266 

129.460 

5.890 

135J50 

27.360 

558.890 

5.908 

564.798 

9.299 

343.139 

67.796 

410.935 

165  881 

•   107.691         362  326 

470,017 

19.148 

13.788        299  448 

313.236 

318.286 

574.666        539.177 

1.113.843 

545.134 

270.431 

44.069 

314.500 

136.984 

89.033 

7.881 

46.914 

11.610 

164.530 

34.883 

199.413 

84.728 

2.527.710      1.370.447    3.898.157    1.351.641 


Quali  sorprese  ci  riserba  il  censimento  del  cinquantenario?  La  gigan- 
tesca emigrazione  di  questi  ultimi  anni,  pur  temperata  dai  numerosi  rimpa- 
trii,  lascierà  i  segni  suoi  nella  compagine  e  nelle  proporzioni  dei  gruppi 
scelti  della  popolazione  agricola?  La  concentrazione  e  trasformazione  tecnica, 
la  creazione  ex  novo  di  molte  aziende  industriali,  appariranno  in  qualche 
modo  nel  nuovo  appello  nominativo  delle  professioni  ?  Un  censimento  profes- 


LA   DEMOQRAFIA   ITALIANA   NELL' ULTIMO   CINQUANTENNIO  39 


sionale,  nella  parte  che  concerne  le  produzioni  industriali,  e  una  statistica 
vera  e  propria  delle  industrie,  non  sono  la  stessa  cosa  ;  sono  due  modi  diversi 
di  prospettarla.  Neil'  uno  si  considerano  gli  individui  per  il  genere  di  occu- 
pazione, indipendentemente  dai  legami  che  possono  avere  con  questa  o  quella 
azienda;  nell'altra  le  aziende,  in  cui  collaborano  individui  anche  di  occupa- 
zioni diverse.  Il  censimento  delle  industrie,  che  avrà  pure  luogo  nel  1911, 
darà  modo  di  verificare  la  bontà  del  censimento  professionale,  nella  parte 
che  gli  corrisponde  ratione  materiae. 

Secondo  una  statistica  del  1876,  in  alcuni  rami  la  potenzialità  media 
di  un  opificio  era  rappresentata  da  16  operai  (donne  e  fanciulli  compresi, 
ma  contati  come  mezze  forze)  e  da  neppur  4  cavalli  dinamici.  Oggi,  negli 
stessi  rami  la  potenzialità  è  forse  quintuplicata:  il  che  è  assai,  trattandosi 
deirelevazione  di  una  media  di  numerosissimi  termini.  Della  nostra  ric- 
chezza d'acque  si  utilizzavano  allora  sopra  luogo,  da  tutte  quante  le  in- 
dustrie del  paese,  250  mila  cavalli  dinamici,  intermittenti  ;  le  meraviglie  del 
trasporto  deirenergia  elettrica  a  distanza,  che  oggi  mettono  a  nostra  dispo- 
sizione 600  mila  cavalli  elettrici,  oltre  quelli  utilizzati  direttamente  sul- 
l'asse delle  turbine  idrauliche,  non  erano  peranco  conosciute.  L' importazione 
delle  macchine,  dieci  anni  fa,  era  ancora  fra  i  800  e  i  400  mila  quintali, 
ed  oi*a  è  quattro  volte  tanto  ;  T  importazione  del  carbon  fossile  era  tra  i  4  i  e 
i  5  milioni  di  tonnellate,  ed  ora  sorpassa  i  9  milioni.  L'agricoltura,  istruita 
dalle  cattedre  ambulanti,  si  avvia  essa  stessa  ad  una  fase  industriale.  La 
produzione  nazionale  di  perfosfati  e  V  importazione  del  nitrato  di  sodio  e  di 
altri  fertilizzanti,  si  è  in  poco  tempo  ingigantita. 

11  censimento  professionale,  per  so  solo,  potrebbe  dirci  ben  poco  in  pro- 
posito :  cambiamenti  di  dimensioni  di  certi  gruppi,  rappresentanza  maggiore 
0  minore  dell'uno  o  delFaltro  sesso  nel  campo  dell'attività  industriale,  per- 
centuali variate  tra  operai  e  padroni,  come  effetto  della  concentrazione  delle 
fabbriche;  scomparsa  quasi  definitiva  delFartigianato  in  alcuni  rami.  Ma  ò 
troppo  poco,  e  quel  poco  porta  seco  troppo  d'incerto;  per  la  qual  cosa  fu 
savio  consiglio  di  integrare  per  questo  rispetto  l'indagine  demografica  con 
un  vero  e  proprio  censimento  delle  industrie. 

2.  Propaggine  del  censimento  professionale,  è  la  categoria  dei  proprietari 
di  immobili.  I  censimenti  del  1881  e  1901  li  hanno  numerati  così: 

ISSI  IMI 

Proprietari  di  soli  terreni 682.802  1.045.118 

n  n        fabbricati 781.984  828.442 

I»  n        terreni  e  fabbricati    .  2.668.696  2.241.578 


Totale    .    .    .  4.183.432  4.110.183 

di  cui  maschi 2.733.467  2.597.556 


40  RODOLFO   BENINI 


Oltre  che  concordanti  sostanzialmente,  questi  dati  sono  anche  abba- 
stanza attendibili.  Moltiplicando  le  successioni  immobiliari  di  ogni  anno,  che 
sono  da  127  a  128  mila,  per  32  o  33,  numero  probabile  d'anni  d'intervallo 
tra  due  trasmissioni  immobiliari  mortis  causa^  si  ottiene  a  un  bel  circa  il 
dato  del  censimento. 

Frequenza  grande  di  proprietari  d'immobili  si  incontra  in  Piemonte, 
Sardegna,  Basilicata  e  Abruzzi;  minima  nell'Emilia,  nelle  Marche  e  in  To- 
scana. Per  rispetto  alla  superficie  del  territorio,  la  Liguria  prende  il  primo 
posto,  e  la  Sardegna  passa  all'ultimo.  La  prevalenza  numerica  degli  agricol- 
tori coltivanti  terreni  proprii  o  dei  possidenti  occupati  nell'agricoltura,  sugli 
altri  gruppi  professionali,  è  tale  che,  so  si  separano  i  comuni  capoluoghi  di 
provincia  o  di  circondario  dal  resto  del  Regno,  la  proporzione  dei  proprie- 
tari per  1000  abitanti  si  riduce  alla  metà,  e  la  riduzione  riesce  ancora 
maggiore  per  i  grandi  centri  urbani,  a  malgrado  delle  allettative  che  esse 
offrono  all'assenteismo. 


VI. 
La  popolazione  per  coltura  elementare,  lingua  e  religione. 


La  colttira  elementare. 

1.  Non  si  va  molto  lontani  dal  vero  affermando  che  verso  la  metà  del 
secolo  scorso  gli  analfabeti  di  ogni  sesso  ed  età,  nei  limiti  dell'Italia  poli- 
tica d'oggi,  dovevano  essere  circa  1'  83  Vo  ^^^^*  intera  popolazione  Alla  fine 
deiranno  in  cui  fu  proclamato  il  nuovo  regno,  la  proporzione  risultò  del 
78,1  Vo  sul  territorio  di  allora;  né  sarebbe  risultata  molto  diversa,  se  si 
fossero  potute  far  entrare  in  conto  le  provincie  venete  e  quella  di  Roma. 
Dieci  anni  dopo,  e  per  tutto  il  territorio  attuale,  ci  troviamo  al  72.9  7o(0; 
e  dopo  altri  due  lustri  a  67,3.  Il  censimento  del  1901  segna  un'ulteriore 
foticosa  conquista  di  undici  punti.  Ed  oggi  (fine  del  1910)  vari  elementi  di 
calcolo  fanno  ritenere  ridotta  a  meno  del  50  ^/o  la  popolazione  ancora  ignara 
dell'alfabeto.  Quindi,  siccome  il  limite  verso  il  quale  tende  questa  progres- 
sione è  del  15  Vo  —  nell'ipotesi,  cioè,  che  in  un  avvenire  più  o  meno  vicino 
solo  i  bambini  sotto  i  sei  anni  di  età  costituiscano  la  categoria  degli  illet- 
terati —  vuol  dire  che  ci  resta  tanto  terreno  da  conquistare,  quanto  il  già 
conquistato  a  pai*tire  dall'anno  della  prima  guerra  d'indipendenza. 

(^)  Eliminando  dai  risultati  del  1871  le  provincie  venete  e  la  romana,  la  proporzione 
cambierebbe  assai  poco:  73^3%;  e  sarebbe  questa,  a  rigore,  la  percentuale  da  contrapporre 
a  quella  di  78,1  accertata  nel  1861. 


LA   DEMOGRAFIA    ITALIANA    NBLL'uLTIMO   CINQUANTENNIO  ^1 


Per  gli  Stati  Sardi  le  pib  antiche  notizie  dirette  risalgono  appunto  al 
1848;  per  il  ducato  di  Parma  al  1857.  Le  prime  ci  permettono  (previo  stralcio 
della  Savoia  e  di  Nizza,  cedute  alla  Francia,  e  dei  circondari  di  Bobbio, 
Voghera  e  Moii^ra  riuniti  alla  Lombardia,  e  previa  permutazione  di  alcuni 
territori  fra  le  Provincie  liguri  e  le  piemontesi)  di  distinguere  con  sufBciente 
approssimazione  1  attuale  Piemonte  dalla  Liguria,  in  modo  da  rendere  com- 
parabili i  vecchi  dati  coi  successivi: 

Analfabeti  per  100  abitanti  in  generale. 

Provincie 
diParm» 
CeuimAnti  Pienoiite  Liguri»  Sardegn»  e  Piacenu 

1848  65.82  76.57  98.67                     ? 

1857  •      59.35  78.14  92.71  84.19 

1861  57.37  70.83  91.17  81.88 

1871  50.03  62.18  88.06  77.23 

1881  41.89  51.77  82.68  69.69 

1901  28.82  35.80  72.80  62.38 

2.  L'eredità  di  coltura  lasciataci  da  parecchi  tra  i  vecchi  Stati  italiani 
non  è  solo  rappresentata  dalle  alte  proporzioni  di  analfabeti,  rivelateci  dal  primo 
censimento  nazionale,  ma,  quel  che  è  peggio,  da  un  costume  formato,  che  ancor 
oggi  si  spiega  per  diffidenze  e  resistenze  passive  di  certe  popolazioni  (o  delle 
classi  loro  dirìgenti)  a  tutto  ciò  che  sa  di  coltura  popolare.  Sicché  la  disu- 
guaglianza di  condizioni  tra  le  varie  parti  del  paese  è  notevolmente  mag- 
giore oggi  che  non  fosse  mezzo  secolo  fa. 

•   r^».^**!»^»!  Analfabeti  per  100  abitanti  nimi«««i«.^ 

T*"itorii  ,  JÌ««?^  «!f^„«i«  •«»»  diatinaiene  di  etA  «^  S,^^*;?, 

decli  ex-Stati  v**  *"?''•  **  ^^"®f«  nel  "•"  interrano 

^  "*"'  olle  oggi  Ti  oorriepondODO  jgjj  j^^^  o/^ 

Stati  Saedi  (escluse  j  ^^^"^^"^  '  ^^«^"»    '     '    '    •      ^^^  ^^'^^  '^^ 

Nizza  e  Savoia)      (  Sardegna 91.17  72.80  20^ 

Regno  (Lombardia 59.96  33.08  44.8 

Lombardo-Veneto   (  Veneto 69.77  (*)    45.84  {34^) 

Ducato  di  Parma  -  Pro?,  di  Parma  e  Piacenza     .    .    81.88  52.38  36.0 

Ducato  di  Modena  -  Proy.  di  Modena,  Reggio  E.  e 

Massa  Carr. 79.92  54.61  31.7 

Grand.  DI  Toscana  -  Toscana,  senza  Massa  Carr.    .    .      77.89  55.23  28.6 

L  Lazio 71 73  (*)    51.20  (28.6) 

Stati  Pontificii     l 

{  Romagna,  Umbria,  Marche  .    .      83.28  61.82  25.7 

I  Abruzzi,  Campania,  Pnglie,  Ba- 
silicata, Calabrie 88.05  74.24  15.7 
Sicilia 90.28          75.24             16.6 

(')  Per  il  Veneto  e  il  Lazio,  mancando  i  dati  pel  1861,  le  proporzioni  indicate  si 
riferìseono  alPanno  1871. 


42  RODOLFO   BENINI 


È  cosa  di  osserFazione  comnne  che  il  dimenticare  Talfabeto  avviene 
talvolta  pei  fanciulli  i  quali,  abbandonata  la  scuola,  son  tenuti  a  lungo  fuor 
di  ogni  occasione  di  esercitarsi  alla  lettura  :  mentre  chi  a  venti  anni  ancora 
sa  leggere,  lo  sa  per  il  resto  della  vita.  Però,  chi  a  venti  o  trenta  anni  non 
ha  peranco  imparato  a  leggere,  non  tanto  spesso  rapprende  in  sèguito.  Onde 
è  che  la  proporzione  di  analfabeti,  data  dai  censimenti  nostri  per  le  età  ma- 
ture, è  suppergiù  la  medesima  che  era  tdmpo  addietro  per  la  piena  gioventù 
degli  individui  considerati.  0  meglio:  è  una  proporzione  alquanto  ridotta,  sia 
perchè  alcuni,  quantunque  avanti  negli  anni,  si  procurano  un  pò*  di  istruzione, 
sia  perchè,  col  trascorrere  delle  età,  sopravvivono  più  facilmente  gli  individui 
delle  classi  colte,  le  quali  godono  di  un  benessere  maggiore  ed  esercitano 
professioni  meno  logoranti.  Nel  seguente  prospetto,  che  riguarda  tutta  lltalia, 
non  son  considerati  i  bambini  e  i  fanciulli,  ma  solo  i  censiti  di  almeno  15 
anni  di  età  ;  in  esso  si  possono  leggere  gli  effetti  cumulativi,  così  dell*  istru- 
zione anche  tardivamente  appresa,  come  della  più  facile  sopravvivenza  delle 
classi  colte: 


Anni 

di 
naaciU 

1861 

AmlfalMii 
100  niMckl  MpraTTirenti 

1871           1881           1901  (^) 

per 
18«1 

Analfabete 
100  femmine  sopreTTÌ  Tenti 

1871           1881           1901  (^) 

1807-16  \ 

63.86 

59.29 

61.89 

85.78 

82.18 

79.17 

1817-26  / 
1827-36  ( 

65.62 

64.63 
61.41 

60.08 
58.27 

61.71 
59.02 

80  90 

\  84.97 
1  73.86 
(  74.46 

81.41 
78.28 

80.10 
78.29 

1837-46  ) 

58.44 

54.18 

53.91 

73.67 

74.05 

1847-56 

58.82 

49.09 

46.74 

69.04 

67.67 

67.54 

1857-66 

••  » 

49.20 

40.10 

••• 

59.69 

58.53 

1867-76 

•  •• 

••• 

86.81 

••e 

«  •• 

48.99 

1877-86 

««  • 

•  • 

35.42 

•  ■e 

•  •• 

41.03 

Tra  le  donne,  dunque,  i  progressi  dell'istruzione  elementare  sono  stati 
meno  lenti  che  tra  gli  uomini.  Più  difficile  è  il  giudizio  di  confronto  tra 
le  popolazioni  urbane  e  le  rurali.  Alla  fine  del  1861  gli  analfabeti  (senza 
distinzione  di  età)  nei  centri  superiori  a  6000  ab.  costituivano  il  70,82,  e 
nei  centri  inferiori  e  nelle  campagne  1*80,51  Vo  ^^^^^  popolazione.  Dieci  anni 
dopo,  i  capoluoghi  di  provincia,  che  formano  il  grosso  e  il  meglio  dei  centri 
di  oltre  6000  ab.,  presentavano  una  quota  di  55.29  contro  una  di  72.96  per 
l'intero  paese.  Nel  1881  ci  troviamo  a  50.17  e  a  67.26  per  %  rispettivamente, 
e  nel  1901  a  39  ed  a  56  Escludendo  i  bambini  fino  a  6  anni  di  età,  le 
proporzioni  mutavano  così: 

C)  Veramente,  le  proporzioni  date  pel  1901  si  riferiscono  a  classi  di  indi?idai  nati 
nei  periodi  1806-15,  1816-25  ecc.  (perchè  così  distinte  figurano  le  dette  classi  nella  pnb- 
blicaiione  officiale);  ma  non  ci  è  sembrato  che  valesse  la  pena  di  lunghi  calcoli  il 
pìccolo  guadagno  di  precisione  che  si  sarebbe  ottenuto  con  la  distribuzione  teorica  dei 
censiti  nel  1901  per  decenni  di  nascita  coincidenti  con  quelli  adottati  nel  prospetto. 


LA   DEMOGRAFIA.   ITALIANA   NELL*ULT1M0   CINQUANTENNIO  ^3 


Analfabeti  per  100  abitanti  da  6  anni  in  su. 

C«ii9ÌiD«nti  Capolaoghi  Altri  jj^ 

•  "  di  ProTinuu  Comuni  i*«buw 

1871  50.10  72.16  68.77 
1881  44.08  65.44  61.94 
1901        31.90      52.11        48.49 

8.  Altri  scriverà,  colla  storia  dei  nostri  ordinamenti  scolastici  e  dei  bilanci 
dell'istruzione  neir ultimo  cinquantennio,  le  cause  di  un  sì  pigro  progredire 
in  fatto  di  coltura  elementare;  noi  concluderemo  con  pochi  altri  dati,  tolti 
alle  statistiche  degli  atti  di  matrimonio  non  sottoscritti  o  non  saputi  sotto- 
scrivere dagli  sposi,  a  fine  di  illustrare,  oltre  il  cammino  percorso  dal  1866 
(primo  anno  da  che  si  posseggono  notizie  in  proposito)  al  1900,  anche  quello 
percorso  dal  1900  al  1909.  Pare  che  il  moto  si  acceleri  alquanto,  come  per 
segnalare  la  fine  non  lontanissima  delFanalfabetismo.  E  così  sia. 

L'ordine  dei  compartimenti  è  stabilito  dal  grado  di  diffusione  della  col- 
tura nel  1909;  distinguiamo  nigro  lapillo  per  i  vari  compartimenti  Tanno 
0  gli  anni,  in  cui  si  ebbero,  su  100  coppie,  più  di  100  tra  sposi  e  spose  in- 
capaci di  sottoscrivere  Tatto  nuziale: 


Spotl 

ch«  non  soppero  lottoBcrÌTore 

l'atto  di  natrimonio 

eh*  ] 

SpOM 

non  seppero  sottoiorivore 
l'atto  di  matrimonio 

1866 

1900 

1900 

1900 

1900 

1866 

80.3 

6.8 

2.8 

Piemunte 

3.4 

12.4 

59.0 

37.1 

11.4 

5.4 

Lombardia 

5.7 

13.0 

57.9 

44.7 

13.0 

79 

Liguria 

10.3 

17.7 

65.4 

64.4  (>) 

19.4 

11.7 

Veneto 

20.1 

34.2 

84.7  C) 

66.5 

32.8 

20.5 

Emilia 

28.0 

43.0 

88.9 

32.3   («) 

29.4 

20  8 

Lazio 

88.8 

48.7 

57.0  0) 

60.8 

28.8 

22.7 

Toscana 

37.7 

49.3 

74.9 

68.9 

406 

83.2 

Umbria 

53  9 

68.6 

85.6 

70.8 

42.4 

88.1 

Marche 

54.4 

64.9 

853 

72.1 

481 

37.2 

Campania 

58.6 

68.4 

88.7 

76.2 

46.1 

34.5 

Abruzzi 

62.5 

75.1 

95.4 

76.9 

56.9 

48.6 

Sicilia 

59.8 

71.2 

89.5 

81.7 

57.5 

46.8 

Puglie 

646 

747 

94.4 

743 

50.9 

46.9 

Sardegna 

67.4 

72.6 

91.8 

88.8 

652 

58.4 

Basilicata 

69.8 

799 

956 

88.6 

641 

582 

Calabrie 

75.8 

84.7 

96.0 

60.0  83.8  25.6         Regno  37.6  47.9  79.0 

0)  Per  il  Veneto  la  percentuale  indicata  nelle  colonne  del  1866  si  riferisce  real- 
mente alÌ*anno  1867,  e  quella  del  Lazio  alPanno  1872,  perchè  non  si  posseggono  notizie 
più  lontane  per  i  due  compartimenti. 


44  RODOLFO   BBNINI 


Per  ritrovare  in  Inghilterra  proporzioni  simili  alle  nostre  del  1909,  bi- 
sognerebbe risalire  al  1859;  per  ritrovarle  in  Fi-ancia,  al  1866-67.  Di  fronte 
a  questi  due  paesi  siamo  in  arretrato  di  cinquanta  e  di  quarantatre  anni, 
rispettivamente.  Un  intervallo  imprecisabile,  ma  certo  maggiore,  ci  distanzia 
dalla  Scozia,  dall'Olanda,  dalla  Prussia  ecc.  Precorriamo  tuttavia  i  popoli 
delle  penisole  iberica  e  balcanica  ! 

La  lingua  parlata. 

1.  Il  nostro  paese  è  unitario  anche  per  T  idioma,  quantunque  i  contrasti 
fonetici  dei  dialetti  distinguano  molto  i  singoli  gruppi  e  nuocciano  alla  loro 
intesa,  non  in  patria,  ma  nei  paesi  d'immigrazione,  dove  sarebbe  maggior 
titolo  d'onore  la  conservazione  della  lingua  nazionale.  Rimangono  tra  noi 
nuclei  di  famiglie  discendenti  da  popolazioni  immigrate  in  epoche  più  o  men 
lontane,  parlanti  i  primitivi  dialetti,  che  ancora  offrono  agevolezza  di  comu- 
nicazioni nei  commerci  e  contatti  con  stranieri  dello  stesso  ceppo.  Così  il 
dialetto  franco-provenzale  persiste  in  molti  comuni  della  Valle  d'Aosta  con 
diffusione  eguale  a  quella  di  mezzo  secolo  fa  (80.000  ab.),  e  non  senza  van- 
taggio per  gli  emigranti  temporanei  diretti  di  là  alla  vicina  Francia;  esso 
va  scomparendo  però  dai  circondari  di  Susa  e  Pinerolo  ;  il  dialetto  burgundo, 
stazionario  nelle  vallate  che  fan  capo  al  Monte  Rosa  (5000  ab.),  e  il  pre- 
teso embrico  in  alcuni  comuni  del  veronese  e  del  vicentino  (da  12  mila 
ridotto  a  6000  ab.  in  cinquantanni)  ;  lo  slavo  nel  Friuli,  fermo  sui  30  mila 
individui,  e  nel  Molise,  d'origine  più  antica,  ma  meno  persistente;  Y alba- 
nese^ disseminato  in  un  mezzo  centinaio  di  comunelli  del  Mezzogiorno  e  par- 
lato da  96  mila  persone  (41  mila  più  che  nel  1861,  per  chi  non  creda  alle 
lacune  probabili  del  nostro  primo  censimento);  il  greco,  esso  pure  in  au- 
mento apparente  di  diecimila  individui,  parlato  nel  1901  da  30.700  censiti 
nel  Leccese  e  nell'estrema  Calabria  ;  infine  il  catalano,  famigliare  a  9.800 
abitanti  di  Alghero  e  dintorni  (Sardegna). 

La  religione. 

1.  Quasi  tutti  gli  italiani  si  affermano  crìstiani  cattolici.  I  professanti 
altro  culto  o  appartenenti  per  nascita  ad  altro  ambiente  religioso,  sono,  ad 
eccezione  degli  israeliti  e  dei  valdesi,  in  massima  parte  stranieri.  I  valdesi  co- 
stituiscono un  gruppo  evangelico  nazionale  di  men  che  20  mila  individui, 
raccolto  nel  circondario  di  Pinerolo.  Gli  altri  evangelici,  piuttosto  numerosi  in 
alcuni  grandi  centri,  sono  in  via  di  crescere,  non  tanto  per  attività  di  pro- 
paganda, quanto  per  afflusso  di  correligionari  dalla  Svizzera,  dalla  Germa- 
nia e  dair  Inghilterra.  Nel  1861  — Provincie  venete  e  romane  comprese  — 
tutti  gli  evangelici  e  protestanti    in   Italia   potevano  stimarsi  a  33  mila; 


LA   DEMOGRAFIA    ITALIANA    NBLL' ULTIMO   CINQUANTBNNIO  ^5 

dieci  anni  dopo,  il  censimento  ne  segnalò  58.651,  e  nel  1901  risposero  al- 
Tappello  in  65.595.  Gli  israeliti,  pari  ad  essi  di  numero  nel  1861,  non 
crebbero  che  di  quantità  insignificanti  :  85.356  e  35.617  ne  contarono  i  cen- 
simenti del  1871  e  del  1901,  in  gran  parte  nei  centri  urbani  dell'Italia 
media  e  superiore.  Qualche  migliaio  tuttavia  può  essersi  celato  T  ultima 
volta  nelle  schede  dei  razionalisti  e  simili,  e  in  quelle  non  contenenti  alcuna 
dichiarazione  di  culto.  Ad  ogni  modo,  questo  gruppo  conta  per  trenta  volte 
tanto,  se  non  più,  colla  sua  rappresentanza  nelle  Università,  nell'alta  Banca 
e  nel  Parlamento. 

Sorvolando  su  nuclei  minori  o  individui  sporadici  di  altre  confessioni, 
ricordiamo  come,  nell'ultimo  censimento,  36.092  schede  fossero  di  persone 
le  quali  dichiararono  di  non  professare  alcuna  religione  positiva,  e  795.276 
fossero  per  tal  quesito  restituite  in  bianco.  Che  le  mancate  risposte  aves- 
sero loro  causa  nella  negligenza,  piuttosto  che  nell'indecisione  degli  inter- 
rogati, l'argomenterei  dal  fatto  che  le  schede  in  bianco  provennero  in  gran 
numero  dal  Napoletano  e  dalla  Sicilia,  e  per  due  terzi  circa  si  riferivano  a 
fanciulli  sotto  i  15  anni. 


vril. 
La  popolazione  per  altre  caratteristiche. 

QM  stranieri  e  i  nati  all'estero. 

1.  Gli  stranieri  censiti  nell'Italia  politica  del  1861  (15.066  parlanti 
il  francese,  5.546  T  inglese,  4.494  il  tedesco  e  4.594  altra  lingua)  rad- 
doppiano quasi  al  terzo  appello  (59.956,  compresi  però  quelli  presenti  nelle 
Provincie  venete  e  romana),  ma  al  quarto  non  si  avvantaggiano  neppur  di 
due  migliaia  (61.606).  Mutano  un  pò*  le  proporzioni  delle  nazionalità:  te- 
deschi, inglesi,  nordamericani  progrediscono;  svizzeri,  francesi  e  austriaci 
sono  in  regresso.  Questo  gruppo  di  censiti,  per  il  genere  di  dimora,  per  la 
maggiore  o  minor  rappresentanza  dell'uno  o  dell'altro  sesso,  o  di  certe  classi 
d*età,  0  di  certe  religioni,  professioni  ecc.,  si  distingue  così  dagli  altri,  da 
meritare  —  se  qui  lo  comportassero  i  limiti  assegnatici  —  un  lungo 
discorso. 

I  nati  all'estero,  su  10.000  presenti,  risultarono  dalle  quattro  indagini 
in  numero  di  41,  30,  36  e  53.  Tra  i  41  della  prima  son  compresi  non  pochi 
veneti  e  romani  dimoranti  nelle  Provincie  già  riunite,  massime  in  quelle  del 
confine  d'allora:  Brescia,  Cremona,  Ferrara  ecc.  Trai  51  dell'ultima,  molti 
sono  (certo  più  che  non  fossero  nei  censimenti  anteriori)  i  quali,  nati  al- 
Testero  da  padre  italiano,  si  trovavano  presenti  qui  per  rimpatrio  della  fa- 
miglia 0  da  questa  mandati  a  scopo  temporaneo  di  studio  o  di  commercio. 


46 


RODOLFO    BEN INI 


La  popolazione  per  luoghi  e  modi  di  dimora  nel  Segno. 

1.  Per  quanto  il  paese,  il  giorno  della  sua  risurrezione  politica,  fosse  pò- 
yero  dì  strade  ferrate  e,  in  parecchie  regioni,  di  strade  ordinarie;  per  quanto 
raccentramento  delle  industrie  e  la  costituzione  di  un  esercito  nazionale  e 
di  una  nuova  burocrazia  governativa  incominciassero  appena  a  disgregare  le 
vecchie  unità  famigliari^  si  trovarono,  su  100  regnicoli  con  residenza  stabile» 
15  che  si  dissero  nati  in  un  comune  diverso  da  quello  della  dimora  abi- 
tuale. Gli  estremi  compartimentali  andavano  però  da  un  minimo  di  5,4  in 
Sicilia  ad  un  massimo  di  26,5  in  Lombardia  ;  gli  estremi  professionali,  da 
men  che  14  per  i  possidenti  e  gli  agricoltori  a  più  che  39  per  gli  addetti 
alle  pubbliche  amministrazioni  e  al  culto.  Indagine  conforme  fu  fatta  nel 
1871  e  diede,  per  la  popolazione  stabile,  un  19,2  Vo  di  censiti  fuori  del 
comune  di  nascita,  con  un  aumento  al  quale  la  terza  e  definitiva  capitale 
del  regno  deve  aver  contribuito.  Peccato  che  T  indagine,  interrotta  nel  suc- 
cessivo censo,  non  sia  stata  ripresa  nell* ultimo  se  non  limitatamente  ai  capo- 
luoghi di  provincia  e  ai  comuni,  non  capoluoghi,  con  più  di  30  mila  ab.  ; 
per  il  resto  del  paese  essendosi  tenuto  conto  della  provincia  e  non  del  co- 
mune di  nascita.  Riferiamo  qui  i  dati  concernenti  i  dodici  mi^giorì  comuni 
italiani,  la  cui  forza  attrattiva  si  spiega  a  grandi  distanze: 


Censiti  nei  12  maggiori   Comnni 
che  si  dichiararono  nati 

Nello  stesso  comune  dì  presenza  .  . 
In  altro  cornane  della  proyincia  .  . 
In  altra  provincia  dello  stesso  compart.^ 

In  altro  compartimento 

AlPestero 


Numero 

dei  censiti 

nel  1901 

1.987.398 

478.188 

308.598 

480.015 

55.481 

3.304.675 


Per 

100  ab. 

60.1 

14.3 
9.4 

14.5 
1.7 

100.- 


MaMhi 
100  femnine 

98.6 
92.9 
97.9 
127.9 
91.9 

98.1 


Giustamente,  dunque,  i  grandi  centri  urbani  possono  considerarsi  come 
crogiuoli  per  miscugli  demografici,  come  meccanismi  di  assimilazione  e  di 
coesione  del  popolo. 

Confrontando  i  censiti  di  ogni  singolo  compartimento  coi  nati  in  questo 
e  presenti  o  in  esso  o  in  altra  parte  dello  Stato,  si  ha  un'idea  degli  scambi 
interni  di  popolazione.  Nel  1901  Piemonte,  Liguria,  Lombardia,  Lazio,  Cam- 
pania, Puglie  e  Sardegna  presentarono  una  eccedenza  del  numero  dei*  pre- 
senti su  quello  dei  nati  nei  rispettivi  territori,  in  qualunque  parte  dltalia 
li  avesse  còlti  il  censimento;  gli  altri  compartimenti  diedero  invece  un 
supero  di  nati  sui  presenti.  Né  e*  indugiamo  a  dir  le  ragioni  di  ciò,  poiché 
sono  ovvie. 


LA   DEMOGRAFIA    ITALIANA    NELL'uLTIMO    CINQUANTENNIO  47 

2.  Una  imperfezione  del  sistema  di  rilevazione  è  venuta  in  chiaro  a  pro- 
posito della  corrispondenza  numerica,  che  dovrebbe  esistere  tra  i  presenti 
occasionali  nei  diversi  comuni  (dedotti  gli  stranieri  di  passaggio),  e  gli  as- 
senti temporanei  dai  comuni  di  dimora  abituale,  che  però  non  fossero  usciti 
dal  regno.  Nel  1881  si  contarono,  dei  primi,  510.761  contro  724.790  dei 
secondi;  nel  1901,  invertito  il  contrasto,  704.984  dei  primi,  contro  642.332 
dei  secondi.  Il  giudizio,  affatto  soggettivo,  della  temporaneità  o  meno  del- 
l'assenza, deir abitualità  od  occasionalità  della  dimora,  demandato  al  de  cuius 
e  inoltre  alla  famiglia,  da  cui  egli  si  trovava  lontano,  non  poteva  non  dar 
luogo  a  contraddizioni;  ma,  così  grandi  come  le  rivelò  il  censimento  del  1881 
non  si  sarebbero  aspettate.  Quale  la  causa  dell'errore?  A  mio  avviso,  nei 
724.790  assenti  temporanei  del  1881  finirono  per  esser  compresi  molti  (specie 
tra  i  domestici,  infermieri,  ospiti  ecc.)  che  erano  semplicemente  assenti  dalla 
famiglia  e  non  dal  comune.  Sta  di  fatto  che,  negli  spogli  d'allora,  la  neces- 
saria discriminazione  non  fu  eseguita,  quantunque  le  schede  di  famiglia  ne 
fornissero  il  mezzo  ai  municipi,  ai  quali  spettava  provvedere  alla  trascrizione 
delle  notizie  su  speciali  modelli.  Sta  anche  di  fatto  che  la  differenza  finale 
tra  la  popolazione  residente  (28.935.480)  e  la  presente  (28.437.628,  al  netto 
di  22.000  stranieri  di  passaggio)  —  da  cui  si  suole  desumere  con  buona 
approssimazione  il  numero  di  nazionali  all'estero,  conservanti  la  residenza 
in  Italia  —  ammontò  a  515  852  unità,  laddove  gli  assenti,  che  le  famiglie 
dichiararono  dimoranti  prò  tempore  all'estero,  non  furono  che  801.826,  cioè 
214.026  in  meno;  proprio  la  differenza  frale  510.764  eie  724.790  schede 
di  censiti,  di  cui  si  è  parlato  sopra,  le  quali  avrebbero  dovuto  farsi  esatta 
contropartita.  La  conclusione  inevitabile  è,  adunque,  che  allora  i  comuni  fecero 
un  sol  mazzo  degli  assenti  dalla  famiglia,  ma  censiti  in  luogo,  con  gli  as- 
senti dalla  famiglia  e  dal  comune,  e  ingrossarono  la  popolazione  legale  di 
214  mila  unità,  in  complesso,  creando  il  duplioe  contrasto  prima  tra  i  presenti 
occasionali  e  gli  assenti  temporanei  all'  interno,  poi  tra  gli  assenti  temporanei 
fuori  regno  e  la  eccedenza  della  popolazione  residente  sulla  presente. 

Nel  1901  Terrore  riuscì  attenuato  e  il  contrasto,  come  dicemmo,  inver- 
tito ;  ma  invertito  forse  per  mero  cambiamento  di  posto  dell'errore.  Fu  messa 
ed  eseguita  negli  spogli  la  distinzione  tra  gli  assenti  dalla  famiglia  e  non 
dal  comune,  e  gli  assenti  dall'una  e  dall'altro;  ma  quanto  alla  dimora  oc- 
casionale, non  fu  posto  bene  in  chiaro  che  essa  dovesse  riferirsi,  come  nel 
1881,  al  comune  e  non  alla  famiglia.  Quindi  è  probabile  che-  si  contassero 
come  presenti  occasionali  nel  comune  molti  che  eran  tali  rispetto  alla  famiglia 
0  convivenza,  presso  cui  si  trovavano  la  notte  del  censimento,  mentre  non 
eran  tali  rispetto  al  comune.  Con  questa  interpretazione  si  chiarisce  un  altro 
punto:  che  mentre  gli  stranieri  con  presenza  occasionale  crebbero  assai 
poco  dal  penultimo  all'ultimo  appello,  i  nazionali  sarebbero  aumentati  di 
oltre  un  terzo.   Del  resto  giudichi  il  lettore  da  so  colla  scorta  del  seguente 


48  RODOLFO   BBNIMI 


prospetto,  io  cai  raccolgonsi  anche  i  dati  non  completi  dei  due  primi  cen- 
simenti : 

AambU  tenporaaai  dai  imo  Cobbbì 
^"^^^  •IVmUn  altra  «mi 


PrsMDtl  oeeasioMli 

TpU1« 

Stranieri 
di   paataggio 

NasionaU 

1861 

361.813 

17.434 

344.379 

1871 

510.071 

20.370  («) 

489. 701 

1881 

532.764 

22.000  (•) 

510,764 

1901 

728.828 

23.844 

704.984 

dal  raglio 
?  405.043  (»)  ? 

1.012.426  ?  ? 

1.026.616      301.826  724.790 

1 . 1 1 1  852      469.020  642.332 


3.  Anche  sulle  forme  delle  convivenze^  in  famiglie  naturali  o  in  alberghi, 
collegi,  ospedali,  caserme  ecc.,  potrebbe  Ear  lungo  discorso  chi  volesse  dare 
speciale  risalto  alla  demografia  descrittiva.  Noi  ci  contenteremo  di  dire,  per 
le  famiglie  vere  proprie,  che  la  loro  composizione  ha  poco  variato  intomo 
alla  media  di  4,50  individui. 

La  famìglia  italiana  è,  d'ordinario,  meno  numerosa  della  tedesca,  come 
questa  lo  è  meno  della  slava;  è  più  numerosa,  invece,  della  francese. 

Contando  gli  individui  viventi  soli  come  famiglie  di  1  persona,  il  cen- 
simento del  1901  trovò  che  esse  costituivano  1*8.8  per  Vo  elei  totale  delle 
famiglie;  quelle  di  2  persone  il  15.9  Vo»  Q^^l^o  di  3  il  16J  7»  •  ^  succes- 
sivamente si  ebbero  le  percentuali  15.4;  13.8;  IO.5;  7.5;  4.8;  2.8;  1.6.  Di 
oltre  10  componenti,  il  2.8  del  totale.  I  capi  di  casa  sono  per  lo  più  maschi, 
con  preponderanza  crescente  col  crescere  di  numero  dei  membri  della  fami- 
glia ;  sicché  la  loro  proporzione,  da  74  ^1^  nelle  famiglie  di  due  soli  membri, 
sale  grado  grado  a  88.5  in  quelle  di  cinque,  a  95.2  in  quelle  di  otto  ecc. 
Le  donne  prevalgono  tra  le  persone  conducenti  la  vita  in  solitudine. 

4.  Ai  modi  della  dimora  si  connetterebbe  l'indagine  sulle  abitazioni; 
ma  i  materiali  raccolti  non  sono  che  parzialmente  utilizzabili. 

Dicasi  lo  stesso  quanto  alla  distribuzione  della  popolazione  per  centri^ 
ossia  aggregati  di  case  cui  convengono  gli  abitanti  del  vicinato  per  ragioni 
di  culto,  di  commercio  ecc.,  e  per  case  sparse.   Fu  sempre  lasciata  libertà 

(*)  Questi  20.370  sono  veramente  i  nati  all'estero,  censiti  nel  1871  con  dimora  oc- 
casionale in  Italia;  ma  si  va  poco  lontani  dal  vero  ritenendoli  in  generale  cittadini  di 
altri  Stati,  dovendo  essere  allora  ben  raro  il  caso  di  italiani  nati  fuori  di  patria  e  venati 
in  Italia  senza  avervi  fissato  0  senza  intenzion  di  fissarvi  stabile  dimora. 

(■)  Gli  stranieri  censiti  nel  1881  furono  59.956;  nel  1901,  61.606.  Siccome,  di  questi 
ultimi,  non  più  di  28.844  ebbero  a  dichiararsi  con  dimora  occasionale  tra  noi,  così  ai  può 
accettare  per  il  1881  il  numero  rotondo  di  22.000,  non  essendosi  fatta  in  tale  anno  la 
distinzione  degli  stranieri  secondo  il  carattere  della  dimora. 

(")  Dato  desunto  dalPeccedenza  della  popolazione  di  diritto  su  quella  di  fatto.  Non 
è  da  meravigliare  della  grandezza  del  numero,  perchè  neWeUero  d'allora  figuravano  le 
Provincie  venete  0  la  romana,    con  cui  facili  potevano  essere  gli  scambi  di  popolazione. 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA   NBLL* ULTIMO   CINQUANTENNIO  49 


alle  commissioni  comunali  di  stabilire  qaali  gruppi  di  case  dovessero  rite- 
nersi centri.  Ora  non  consta  nulla  dei  criteri  prevalsi  nei  diversi  luoghi.  Oltre 
a  ciò,  col  crescere  della  popolazione,  piccoli  aggregati  di  case  perdettero  im- 
portanza rispetto  a  un  vicino  nucleo  ingrandito  e  passarono  dalla  categoria 
di  piccoli  centri  a  quella  di  case  sparse;  viceversa,  delle  case  sparse,  per 
r  interposizione  di  nuovi  edifici,  acquistarono  importanza  di  centri.  Questa 
seconda  causa,  a  quanto  pare,  non  prevalse  sulla  prima.  Infatti,  su  1000 
abitanti,  257  si  assegnavano  nel  1871  alla  popolazione  sparsa,  273  nel  1881 
e  282  nel  1901.  Per  avere  una  serie  decrescente  bisognerebbe  aggiungere 
alla  sparsa  la  popolazione  agglomerata  io  centri  inferiori  a  500  abitanti. 

A  quest* ultimo  riguardo,  dice  la  relazione  ufBciale  sul  censimento  del 
1901,  si  può  dividere  l'Italia  in  tre  zone.  La  prima,  con  un  massimo  di 
popolazione  agglomerata  (in  centri  superiori  a  500  ab.),  comprende  il  Napo- 
letano, il  Lazio,  la  Sicilia  e  la  Sardegna;  le  quote  più  alte  ivi  spettano 
alle  Provincie  di  tìirgenti  (96  Vo),  di  Foggia  e  di  Palermo  (94.4  Vo),  di 
Bari  (98.8  Vo)  ^^^'  ^^  seconda  comprende  l'Umbria,  le  Marche,  la  Toscana, 
r£milia  e  il  Veneto;  e  si  distingue  per  una  popolazione  agglomerata  meno 
numerosa  di  quella  sparsa  o  vivente  in  centri  inferiori  a  500  ab.  :  le  quote 
vi  discendono  talvolta  sotto  il  30  %  (come  nelle  provinole  di  Rovigo,  Pesaro 
e  Urbino,  Padova  e  Modena),  e  tìnanco  sotto  il  25  ^/o  (Arezzo  e  Reggio 
Emilia).  La  terza,  con  caratteri  intermedi  alle  prime  due,  si  stende  per  il 
Piemonte,  la  Liguria  e  la  Lombardia.  Condizioni  del  suolo  e  del  clima,  svi- 
luppo più  0  meno  deficiente  della  viabilità,  latifondo  o  proprietà  divisa  ecc., 
sono  le  cause,  interferentisi  Tuna  Tal  tra,  di  questa  singolarità  nella  distribu- 
zione della  popolazione. 

L'inchiesta  sulle  condizioni  igieniche  e  sanitarie  dei  comuni,  che  ri- 
monta al  1885,  noverò  5753  comuni  il  cui  maggior  centro  era  situato  in 
luogo  aperto,  1379  che  l'avevano  in  valle  ampia,  801  in  valle  angusta  e 
325  tra  gole.  Essa  ci  ha  dato  un  primo  saggio  anche  di  distribuzione  della 
popolazione  in  assoluto  secondo  Taltitudine,  cui  fa  riscontro  analoga  ricerca 
istituita  nel  1901.  Oggi  che  possediamo,  grazie  all' Ufficio  di  statistica  agra- 
ria, dati  attendibili  sulla  superficie  dei  singoli  comuni,  non  dovrebbesi  in- 
dugiare uno  studio  consimile  circa  la  distribuzione  delle  densità  secondo  l'alti- 
tudine. E  non  soltanto  secondo  l'altitudine,  ma  ancora  secondo  la  temperatura 
media  invernale  o  estiva,  la  quantità  media  di  pioggia,  il  genere  prevalente 
di  coltivazione  ecc.  Lo  schedario  dei  comuni,  che  fu  deliberato  per  il  pros- 
simo censimento,  se  non  resterà  lettera  morta,  permetterà  ad  un  tempo  la 
ricostituzione  per  superficie  e  per  popolazione  di  tutte  le  circoscrizioni  arti- 
ficiali del  paese  (amministrative,  elettorali-politiche,  giudiziarie,  finanziarie, 
ecclesiastiche,  ecc.)  e  quella  delle  sue  circoscrizioni  naturali.  Solo  contrappo- 
nendo comuni  di  montagna  a  comuni  di  collina  o  di  pianura,  comuni  urbani 
a  suburbani  o  ad  eccentrici,  comuni  ricchi  a  mediocri  e  poveri,  e  così  i  co- 

BoDOLFO  Bsxcufi  —  Zm  dimogra/(a  itaiùmM  «co.  4 


50 


RODOLFO   BENINI 


munì  serviti  da  facili  mezzi  di  trasporto  ai  segregati,  i  comuni  prevalente- 
mente industriali  agli  agricoli  ecc.,  verranno  in  evidenza  le  caratteristiche  più 
opposte  del  nostro  popolo,  così  pittorescamente  vario  in  tutte  le  manifesta- 
zioni sue,  dalla  nuzialità  alla  delinquenza,  dall'istruzione  airemigrazione, 
dalle  forme  e  dai  modi  del  possesso  alla  partecipazione  alla  vita  pubblica. 
Ma  è  superfluo  dire  che  T  indagine  oltrepassa  le  forze  di  uno  studioso 
isolato. 

Ecco  dunque,  per  quanto  &ccia  difetto  la  loro  comparabilità,  i  dati  del 
1881  e  del  1901  circa  la  distribuzione  della  popolazione  in  assoluto,  se< 
condo  Taltitudine  dei  comuni,  e  per  il  1881  quella  secondo  la  temperatura: 


ISSI 

IMI 

1881 

Altitudine 

Numero 

dei 
Comani 

Popolazione 

Namero 

dei 
Comani 

Popolazione 

Temperatura 

media 

aunoa 

in    gradi 

Popola- 

alone 

ridotU 

a  1000 

8ÌQQ  a  50 

metri 

1.064 

7.394.487 

1.041 

8.587.291 

fino  a  7.5 

5 

50-100 

!» 

665 

2.977.546 

726 

3.444.907 

7.6-9 

7 

100-150 

n 

612 

2.529.545 

564 

2.919.427 

9-10.6 

31 

150-250 

» 

1.119 

3512.109 

1.165 

4.393.747 

10.6-12 

109 

260-500 

n 

2.442 

6  547.268 

2.637 

7.753.573 

12-136 

359 

500-1000 

n 

1.845 

4.661.988 

1.884 

5.020.433 

13.6-15 

213 

1000-1500 

n 

215 

317.126 

217 

339.598 

15-16.5 

196 

oltre  1500 

n 

40 

29.287 

28 

16.276 

16  5-18 

51 

Ignota 

n 

256 

490.322 

— 

oltre  18 

29 

8.258       28.459.628        8.262       82.475.253 


1000 


Con  piccolo  sforzo,  la  statistica  ufficiale,  servendosi  dei  nuovi  rilievi  sulla 
superficie  dei  comuni  e  tenendo  conto  (dove  può,  esatto;  dove  non  può,  ap- 
prossimativo) delle  avvenute  variazioni  territoriali,  potrebbe  ricostituire  le 
seriazioni  anche  per  il  1871  e  1861,  informandoci  sulla  tendenza  spiegata  in 
mezzo  secolo  dal  nostro  popolo  ad  addensarsi  nelle  zone  per  natura  favorite. 


Vili. 


Il  moTimento  generale  della  popolazione. 

§  1.  —  È  forse  più  spiacevole  per  l'autore  il  sacrificare  alla  brevità 
argomenti  importanti  del  suo  assunto,  che  per  i  lettori  il  restarsene  con  una 
aspettazione  incompletamente  appagata.  Esposto  con  tratti  discreti,  se  anche 
ineguali,  lo  stato  della  popolazione  italiana  secondo  le  istantanee  prese  a 
quattro  diverse  date,  toccherebbe  ora  discorrere  del  movimento  per  un  cìn* 


LA    DEMOORAFIA   ITALIANA    NELL  ULTIMO    CINQUANTENNIO 


51 


quantennio  ;  discorrerne,  dico,  o  per  semplice  parafrasi  di  numeri  o  in  forma 
critica  e  investigatrice.  Poiché  la  storia  tabellare  della  nostra  demografia  ò 
già  consegnata  in  cento  pubblicazioni  (accessibili  nei  loro  riassunti  a  tutti 
gli  nomini  di  buona  yolontà)  sul  movimento  dello  stato  civile,  sulle  cause 
di  morte  e  sulla  emigrazione,  assolviamo  per  questa  parte  il  compito  con  pochi 


1862 


66        1870        74        1878        82        1886        90        1894        93        1902        06        190» 


Matriin. 
850.000 

200.000 
150.000 


Bmlgr. 


500.000 


400JOOO 


MOXKM) 


200.000 


100.000 


cenni  generali,  salvo  per  Taltra  parte  a  proporre  alcuni  tipi  di  ricerche,  che 
gli  amatori  di  metodologia  potranno,  meglio  che  imitare,  perfezionare. 

§  2.  —  La  natalità  italiana,  affermatasi  subito  dopo  Tunificazione  del 
Regno,  con  alte  quote,  deprimesi  a  partire  dal  1866  in  conseguenza  della 
introduzione  del  matrimonio  civile  ;  riacquista  il  terreno  perduto  tra  il  1873 
e  il  1888,  salvo  T  interruzione  di  qualche  annata  critica;  si  deprime  di  nuovo 
nel  decennio  di  crisi  economica,  toccando  il  suo  più  basso  punto  nel  1898, 
per  rilevarsi  negli  anni  più  vicini,  nonostante  la  forte  emigrazione  di  gioventù. 

Caratteristiche  degne  di  nota:  l'età  media  alle  prime  nozze  gravita  sui 
27  anni  o  poco  più  per  gli  sposi,  sui  24  o  poco  meno  per  le  spose;  alle 
seconde  o  ulteriori  nozze,  sui  43-44  e  sui  41.  La  distribuzione  per  classi 
d'età  permane  dissimetrica,  colla  norma  (o  valore  di  massima  densità)  nella 


52  RODOLFO   BENINI 


classe  da  25  a  30  per  gli  uomini,  e  in  quella  da  20  a  25  per  le  donne.  1 
ripetuti  cambiamenti  di  criteri  nella  classificazione  non  impediscono  di  vedere 
che  una  certa  diminuzione  dell'età  media  è  stata  conseguenza  di  una  rap- 
presentanza più  larga  presa  dai  gruppi  giovani,  come  questa  è  stata  conse- 
guenza di  un  sopravvivere  più  sicuro  delle  nuove  generazioni.  Soltanto  dove 
la  resistenza  al  matrimonio  civile  si  è  spigata  colle  numerose  unioni  alla 
Chiesa,  tardivamente  legalizzate  davanti  ai  sindaci,  l'età  media  degli  sposi 
alle  nozze  civili  si  è  elevata  (provincio  ex-pontificie). 

Per  la  concorrenza  di  più  folte  schiere  di  celibi,  e  per  la  minor  mor- 
talità degli  stessi  coniugati,  che  ha  per  effetto  di  far  cadere  le  vedovanze 
in  età  men  propizia  alle  seconde  nozze,  i  vedovi  hanno  perduto  terreno  nella 
gara  matrimoniale.  Essi  rappresentavano  quasi  il  15  Vo  degli  sposi  nel  1865-71 
e  son  discesi  a  meno  del  9  nel  1905-08;  le  vedove  dall' 8  Vo  &  in^oo  ^^^  ^• 
Non  però  è  cessata  la  preferenza  dei  simili;  anzi  i  vedovi  oggi  impalmano 
vedove  con  una  frequenza  maggiore  d'un  tempo,  riferita,  s' intende,  alla 
frequenza  che  si  dovrebbe  avere  a  calcolo  di  probabilità. 

La  distribuzione  dei  matrimoni  per  mesi,  se  per  la  concomitanza  con- 
suetudinaria del  rito  civile  e  del  religioso  non  si  risentisse  dei  divieti  che 
la  Chiesa  pone  alla  celebrazione  solenne  nella  Quaresima  e  nell'Avvento, 
darebbe  luogo  a  un'onda  semplice  col  suo  minimo  da  metà  luglio  a  metà 
agosto  e  col  suo  massimo  (doppio  del  minimo)  da  metà  gennaio  a  metà 
febbraio.  Invece,  di  solito,  molte  unioni  sono  anticipate  in  novembre  a  sca- 
pito del  dicembre  per  ragion  dell'Avvento,  e  molte  altre  in  febbraio  a  scapito 
del  marzo,  grazie  alla  Quaresima.  Gli  spostamenti  delle  epoche  di  divieto 
religioso,  dipendenti  dalla  Pasqua,  festa  mobile,  modificano  poi  in  varia 
maniera  la  frequenza  delle  nozze,  anche  civili,  nei  primi  quattro  mesi  del- 
l'anno; sicché,  ricorrendo  il  giorno  delle  Ceneri  nella  prima  decade  di  feb- 
braio, questo  mese  scende  al  suo  minimum  e  il  gennaio  e  l'aprile  arrivano 
al  proprio  maximum  ;  ricorrendo  quello  a  fine  della  prima  decade  di  marzo, 
il  marzo  si  fa  più  nutrito  e  dimagrano  gennaio  ed  aprile. 

Di  28  anni  e  8  mesi  è  la  durata  media  della  convivenza  matrimoniale. 
Così  risulta  dalla  divisione  delle  coppie  maritali  esistenti  (5.939.582  se- 
condo il  censimento  del  1901)  per  la  semisomma  dei  matrimoni  nuovi  (media 
annua  nel  1894-1907  =  238.098),  e  dei  disciolti  per  morte  di  uno  dei 
coniugi  (media  annua  175  824).  Alcune  decine  di  migliaia  di  sedicenti  coniu- 
gati, che  probabilmente  ingrossano  il  numeratore,  non  tolgono  valore  di  suf- 
ficiente approssimazione  al  quoziente.  La  superiorità  numerica  delle  coppie 
nuove  sulle  disciolte  è,  come  si  vede,  assai  notevole;  a  determinarla  concor- 
rono l'ingrossare  delle  file  dei  giovani,  candidati  alle  nozze,  e  il  prolun- 
garsi della  convivenza  coniugale  (effetti  entrambi  delle  migliorate  condizioni 
sanitarie  ed  economiche  del  paese);  concorre  pure  la  mortalità  all'estero 
di  coniugati   emigrati,    il  cui  matrimonio  aveva  avuto   luogo  in  patria. 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA   NELL'ULTIMO   CINQUANTENNIO  ^^ 

Nel  decennio  1872-81  la  media  eccedenza  dei  matrimoni  nuovi  sui 
disciolti  fa  di  40.481,  due  terzi  circa  delFattuale,  e  la  durata  della  con- 
vivenza  risultò  di  25  anni  e  10  mesi. 

Distinguendo  tra  capoluoghi  di  provincia  ed  altri  comuni,  e  prendendo 
come  estremi  di  confronto  i  sessennii  1881-86  e  1904-909,  entrambi  favo- 
revoli alla  nuzialità  e  succeduti  a  periodi  di  depressione,  notiamo  una  dimi- 
unzione  da  7.64  a  7.21  matrimoni  per  mille  abitanti  nei  capoluoghi  e  da  8.13 
a  7.92  nei  non  capoluoghi  di  provincia.  Nei  primi  il  regresso  è  tanto  piii 
sensibile  in  quanto  la  loro  popolazione  si  è  accresciuta,  nell'intervallo,  special- 
mente di  giovani  celibi  affluiti  dal  contado  e  dalle  borgate  intorno. 

§  8.  —  La  natalità  generale  si  è  mantenuta  a  livello  piuttosto  alta 
per  un  trentennio,  oscillando  intorno  a  37  nati  per  mille  abitanti  ;  poi  de- 
gradò Kno  alla  quota  di  81,4,  che  fu  la  minima,  nel  1907.  Il  fenomeno,  in 
parte  è  da  imputarsi  a  diminuita  fecondità  dei  matrimoni,  in  parte  al  cam- 
biamento delle  proporzioni  nelle  classi  d'età  della  popolazione,  in  cui  oggi 
hanno  rappresentanza  rafforzata  fanciulli  ed  infanti.  La  natalità  illegittima 
è  in  continuo  decrescere. 

Anche  qui  merita  d'essere  posto  in  risalto  il  contrasto  tra  la  demo- 
grafia dei  capoluoghi  di  provincia  e  quella  del  resto  del  paese.  Confrontando, 
come  dianzi,  il  1881-86  col  1904-09  nei  riguardi  della  fecondità  coniugale 
(desunta  questa  in  via  di  prima  approssimazione  dal  rapporto  tra  i  nati 
legittimi  e  i  matrimoni  contratti  nello  stesso  tempo)  risulta  che  il  nu- 
mero medio  di  figli  per  coppia  scemò  da  3.76  a  3.36  nei  capoluoghi  di 
provincia  e  da  4.46  a  4.06  negli  altri  comuni,  con  perdita  più  accentuata, 
relativamente  parlando,  nei  primi: 

Medie  aaniuili 


Periodi 

Popolasi  one 

ameU 

dello 

interrano 

1 

Comi 

Matrimoni         NaU  legittimi 

UNI  Capoluoghi  di  Provincia 

Matrimoni 

per 
1000  ab. 

Nati 
per 
1  matrim. 

1881-86 

4.541.962 

34.689             130.495 

7.64 

8.76 

1904-09 

5  986.847 

43.139             145.161 
Altri  Comuni 

7.21 

8.36 

1881-86 

24.295.172 

197.442            879.970 

8.18 

446 

1904-09 

27.671.743 

219.204            890.667 

7.92 

406 

Non  è  dubbio  che  il  costume  della  limitazione  della  prole  tenda  a 
passare  dalle  città  alle  campagne.  Ma  per  accertare  Tintensità  dell'irradia- 
zione del  costume  e  stabilire  se  essa  sia  in  proporzione  diretta  dell* impor- 
tanza dei  centri  e  inversa  delle  distanze,  bisognerebbe  poter  distìnguere  i 
comuni  urbani  dai  suburbani  e  dagli  eccentrici;  ciò  che  le  nostre  statistiche 
poco  specializzate  non  permettono. 

Aumentata,  per  motivi  che  si  diranno,  dal  1866  al  1883  e  diminuita 
ininterrottamente  dal  1888  in  poi,  temperata  benanco  dalle  numerose  legit- 


S4  RODOLFO   BENINI 


timazioni,  la  natalUà  illegittima  mantiene  nei  capoluoghi  di  provincia  la  sua 
frequenza  relativa  più  che  doppia  di  quella  che  ha  negli  altri  comuni.  È 
ben  noto  però  che  non  tutti  i  nati  illegittimi  nelle  città  sono  imputabili  alla 
popolazione  cittadina,  derivando  essi  in  parte  dalla  popolazione  dei  comuni 
suburbani,  la  quale  profitta  di  istituzioni   esistenti  nella  vicina  città. 

Inoltre,  mentre  gli  illegittimi  riconosciuti  da  uno  o  da  entrambi  i 
genitori  costituirebbero  più  dei  due  terzi  dei  bambini  nati  fuori  delle  giuste 
nozze,  nei  comuni  non  capoluoghi  di  provincia,  entrano  invece  per  meno  di 
metà  nella  natalità  irregolare  dei  capoluoghi  e  meno  facilmente  fruiscono 
della  legittimazione. 


Capoluoghi 

DI  Provincia 

Altri 

Comuni 

Nati  legittimi 

Nati  illegittimi 

Nati  legittimi 

NaU  illegittimi 

1881-86 

130.495 

20.100 

879.970 

62.825 

Vo 

86.7 

13.3 

98.4 

6.6 

1904^9 

145.161 

17.868 

890.667 

89.778 

Vo 

89.8 

10.7 

9.58 

4.2 

Due  cuspidi  presenta  la  distribuzione  per  mesi  delle  nascite  nel  set- 
tembre e  nel  febbraio,  e  due  depressioni  nel  giugno  e  nel  dicembre.  Però 
questa  del  dicembre  è,  in  una  certa  misura,  causata  dalle  denunzie  ad  arte 
differite  al  gennaio  per  motivi  già  detti.  L*onda  doppia  della  natalità  l^t- 
tima  procede  inversamente  a  quella,  pure  doppia,  della  mortalità  di  nove  o 
dieci  mesi  innanzi,  quasi  a  significare  che  i  lutti  o  le  minaccio  di  lutti  do- 
mestici  rendono  più  rari  i  rapporti  sessuali  dei  coniugi,  più  rari  i  concepi- 
menti e,  a  debito  intervallo,  le  nascite.  Questo  significato  verrebbe  meno,  se 
si  dimostrasse  che  la  duplicità  deironda  della  natalità  legittima  è  tutta  una 
apparenza  dovuta  alla  larga  pratica  delle  denunzie  differite.  Nella  natimor- 
talità Tonda  doppia  non  esiste. 

§  4.  —  In  continuo  decrescere  è  la  mortalità,  a  partire  dal  1881,  anno 
in  cui  abbandonò  definitivamente  la  quota  del  80  per  1000,  che  aveva  spesso 
oltrepassata  nel  periodo  anteriore.  Nemmeno  il  disastro  recente,  che  affra- 
tellò gli  italiani  nel  lutto  per  le  77  mila  vittime  di  Messina  e  di  Reggio 
di  Calabria,  potò  riportare  la  quota  della  mortalità  (che  altrimenti  sarebbe 
stata  appena  di  20.3  per  1000  ab.)  al  di  sopra  di  22,6  Voo  •  Soprattutto  i 
bambini  furono  avvantaggiati  dalle  migliori  difese  contro  le  malattie  infet- 
tive e  dal  più  elevato  tener  di  vita  delle  famiglie  del  popolo.  Infatti  i  coef- 
ficienti di  probabilità  di  morte  diminuirono  nelle  seguenti  misure: 

p«r{A<li  Dalla  nascita         Dal  a2  anni        Da2a8anni         Da8a4anBÌ        Da  4  a  danni 

r»noai  alannod'eU  d'«U  d'età  d'eU  d'vtà 

1877-82  206.4  109.4  58.9  83.6  24.9 

1883-88  196.0  101.7  52.2  32.2  23.6 

1889-94  185.9  91.5  44.3  26.7  18.8 

1895-900  171.1  80.8  38.1  21.3  14.9 

1901-906  166.4  74.5  32.4  17.8  12.1 

1907-908  154.1  65.2  29.3  16.8  11.7 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA   NELL  ULTIMO   CINQUANTENNIO 


55 


L  origine  legittima  o  illegittima  ha  molta  influenza  sulla  mortalità  in- 
fantile e  sulla  natimortalità  ;  qualche  cosa  ne  diremo  nel  prossimo  capitolo. 
Ne  ha  il  sesso:  i  maschi  soccombono  assai  più  delle  femmine  nel  primo 
anno  d*età;  in  seguito,  egualmente  o  meno.  Il  valore,  che  si  attribuisce  ai 
maschi  dalle  famiglie  in  alcune  parti  d'Italia,  si  palesa  a  contrario  con  un 
allevamento  trascurato  delle  femmine  che  son  mietute  in  buon  numero  tra 
il  secondo  e  il  quinto  anno. 

Considerando  le  cause  di  morte,  senza  distinguere  fra  le  classi  d'età 
che  ne  sono  a  preferenza  colpite,  risultano  in  notevole  diminuzione  da  un 
ventennio  in  qua  il  vajuolo,  il  morbillo,  la  scarlatlinaj  la  difterite,  la 
febbre  puerperale^  le  febbri  da  malaria  ecc.  ;  in  diminuzione  più  lenta,  ma 
pur  confortante,  le  affezioni  tubercolari;  quanto  alle  malattie  dell'apparato 
respiratorio,  alcune  in  via  di  decrescere,  altre  tenaci  intorno  a  una  certa 
media;  in  aumento  i  tumori  maligni^  le  malattie  del  cuore  e  del  pericardio 
ecc.  À  scatti,  ventate  della  così  detta  influenza.  Delle  morti  violente^  le 
accidentali  son  stazionarie,  i  suicida  progrediscono;  gli  omicidiiy  compresi 
quelli  d' infante,  segnano  un  certo  regresso.  Il  lettore  discreto  non  chieda  più 
di  queste  cifre: 


Morti  per  100.000  abitanti. 


Cause  di  mortb 


1879-8»        18M-tt 


Yaiuolo 534 

Morbillo 655 

Scarlattina 337 

Difterite 825 

Febbri  da  malaria .     .     .  595 

Febbre  puerperale  ...  79 

Pellagra 116 

Affezioni  tubercolari   .    .  2.128 

Bronchite  acuta  e  cronica  2.220 
Polmonite  erupale  e  bron- 
co-polmonite acuta  .    .  2.233 

Tumori  maligni.    .     .     .     427 

Malattie  del  cuore  e  del 
pericardio;  sincope.    .  1.514 

Enterite,  diarrea,   ecc.    .  3  125 

Morti  violente  accidentali     867 

Omicidii 52 

Suicidii 50 


1888-85        1888-88       1888401 

Rat>iK>rti    medii    annuali 


1888-4M 


1888-89 


125 

88 

37 

40 

117 

11 

507 

357 

243 

225 

229 

245 

247 

160 

122 

74 

50 

78 

530 

481 

273 

187 

132 

141 

541 

505 

393 

414 

273 

168 

53 

52 

39 

35 

33 

31 

184 

102 

104 

110 

75 

60 

1.995 

1.909 

1.809 

1.796 

1.627 

1.695 

2.611 

2.444 

2.100 

1.928 

1.866 

1.659 

2.467 

2.521 

2.306 

2.296 

2.297 

2.257 

428 

452 

502 

523 

549 

603 

1.584 

1.644 

1.642 

1.782 

1.816 

1.798 

8.372 

3.421 

3.360 

3.181 

8.288 

8.193 

361 

309 

315 

821 

822 

352 

47 

49 

49 

41 

40 

40 

56 

57 

62 

63 

61 

71 

56  RODOLFO  BEN  INI 


La  distribnzioDe  per  mesi  della  mortalità  presenta  oscillazioni  più  o  meno 
profonde  a  seconda  dell'età,  del  sesso  e  dello  stato  civile  e,  certo,  se  ne  aves- 
simo i  dati,  secondo  le  professioni.  Tra  il  maggio  e  il  giugno,  tra  l'ottobre 
e  il  novembre,  son  sitnati  i  due  minimi  ;  tra  il  gennaio  e  il  febbraio  e  tra 
il  luglio  e  Tagosto  i  due  massimi.  Le  classi  d'età  più  sensibili  alle  vicende 
delle  stagioni  sono  le  estreme  —  le  infantili  più  insidiate  nei  mesi  estivi, 
le  senili  negli  invernali  — ;  1*  indifferenza  relativa  maggiore  si  ha  tra  i  25 
e  i  35  anni  e  può  essere  presa  come  indice  di  elevata  resistenza  organica. 
L' indifferenza,  che,  in  poche  parole,  si  rivela  con  una  certa  uniformità  d'an- 
damento della  mortalità  nel  corso  dell'anno,  è  sempre  più  accentuata  nei 
coniugati,  che  non  nei  celibi  e  nei  vedovi  di  pari  età  ;  espressione  complessa 
delle  migliori  condizioni  di  vita  professionale  e  sociale,  di  cui  godono  i 
primi. 

§  5.  —  Il  tema  della  emigrazione  e  dei  rimpatrii  sarà  svolto  anali- 
ticamente da  altri.  Il  che  ci  dispensa  da  lungo  discorso.  Il  fenomeno  della 
emigrazione  ha  assunto,  come  a  tutti  è  noto,  proporzioni  gigantesche  nel- 
l'ultimo  decennio.  Limitata  a  100  o  120  mila  persone  all'anno,  tra  il  1869 
e  il  1880,  e  per  tre  quarti  temporanea,  l'emigrazione  andò  crescendo  prima 
lentamente,  poi  con  una  certa  rapidità  e  a  scatti  che  caratterizzarono  in  par- 
ticolare gli  anni  1888,  1891  e  1895-96.  Il  primo  anno  del  nuovo  secolo  la 
vide  elevarsi  d'improvviso  da  853  a  533  mila  pei-sone,  per  quasi  metà  in 
emigrazione  propria  o,  meglio,  diretta  a  paesi  transoceanici  ;  e  il  1905  assi- 
stette ad  un  secondo  salto  della  serie,  che  portò  da  471  a  726  mila  gli 
emigranti,  questa  volta  con  decisa  prevalenza  degli  imbarcati  per  oltre 
l'oceano.  Il  massimo  fu  raggiunto  nel  1906:  788  mila;  e  in  seguito  si  con- 
tarono, nel  1907,  705  mila;  nel  1908,  487  mila,  nel  1909  circa  626  mila, 
di  cui  quasi  400  mila  con  destinazione  fuori  d'Europa  e  dell'Africa  medi- 
terranea. 

Anche  la  emigrazione  transoceanica  ha  però  assunto  in  buona  parte 
carattere  di  temporaneità.  Ne  sono  chiaro  indizio  i  rimpatrii  di  nazionali  per 
via  di  mare,  che  dopo  il  1903  sorpassarono  annualmente  i  100  mila,  toc- 
cando anzi  nel  1907  i  249  mila  e  nel  1908  i  320  mila,  per  ripercussione 
di  crisi  americane. 

Qlì  effetti  demografici  di  questo  straordinario  movimento  di  popolazione, 
cumulati  con  quelli  dei  cambiamenti  di  sede  e  delle  migrazioni  stagionali 
da  provincia  a  provincia  del  regno,  non  sono  apprezzabili  nella  giusta  mi- 
sura, a  causa  della  cresciuta  povertà  delle  nostre  pubblicazioni  statistiche 
annuali;  ma  anche  nei  limiti  in  cui  potrebbero  valutarsi,  richiederebbero 
un  lavoro  da  certosini,  che  non  poteva  essere  tra  i  presupposti  della  presente 
monografia. 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA   NBLL'ULTIMO   CINQUANTENNIO  57 


IX. 

Di  alcnni  anni  caratteristici  della  demografia  italiana. 

Il  1859. 

1.  —  L'anno  della  maggior  guerra  d' indipendenza  fu  felicitato  da  una 
abbondante  natalità,  preparata  dalle  favorevoli  condizioni  sanitarie  in  cui  si 
svolse  il  1858  e  dai  numerosi  matrimoni  di  questo  stesso  anno.  Mancano 
dati  per  tutta  Italia;  però  sappiamo  che  nel  Veneto  a  ben  103.138  am- 
montarono le  nascite  (oltre  15  mila  più  che  nel  1858  e  circa  20  mila  più 
che  nel  1860),  numero  non  raggiunto  prima,  né  dopo  per  molti  anni;  in 
Toscana,  a  72.582  contro  68.730  deiranno  precedente,  che  pur  contava  tra 
i  fecondi  ;  a  Roma  stessa  sono  indicate  6370  nascite  contro  5822  dell'anno 
addietro  e  5907  del  successivo.  Oli  auspicii  per  il  risorgimento,  anche  de- 
mografico della  nazione,  non  potevano  essere  migliori! 

Le  traccio  di  quell'alta  natalità  si  ritrovano  anzitutto  nei  censimenti 
del  1861  e  del  1871.  Nel  primo,  eccezionale  il  numero  di  bambini  in  età 
da  2  a  3  anni,  che,  se  in  parte  può  spiegarsi  come  effetto  di  errata  dichiara- 
zione di  età  (anche  per  la  tendenza  dei  padri  a  riferire  la  nascita  dei  figli 
ad  una  data  memoranda),  per  il  resto  rispecchia  certamente  le  condizioni 
singolari  della  natalità  del  1859.  Nel  secondo  censo,  un  numero  pur  grande 
di  fanciulli  di  12  a  13  anni  spiegabile  colla  stessa  cagione  (')•  La  classifica- 
zione, anno  per  anno  di  età,  non  fu  data  nel  terzo  censimento,  quello  del 
1881,  se  non  per  i  capoluoghi  di  provincia  e  di  circondario,  dove  i  giovani 
maschi  tra  i  20  e  i  25  anni  sono  frequenti  per  ragion  di  servizio  militare, 
di  studi  ecc.  ;  ma  escludendo  i  maschi  e  limitandoci  alle  femmine,  è  ancora 
degna  di  nota  la  preponderanza  del  gruppo  da  22  a  28  anni,  cioè  delle  gio- 
vani nate  nel  1859,  su  quello  delle  età  contigue,  eccezion  fatta  pel  gruppo 
da  20  a  21  dov'è  manifesta  l'agglomerazione  per  l'età  rotonda. 

31  die.  1861  31  die.  1871  31  die.  1881 

(soli  Capolaoflif  di  Pror.  e  di  Circond.) 

EU  Cenaiii  EU  Confiti  -— i.*^^!!Ì— ^— 

(d*ambo  i  tessi)  (d'ambo  i  lessi)  EU  Maschi  Femmine 

—  —  9-10  520.274  19-20  60.556  59.891 

0-1  722.726  10-11  583.516  20-21  65.018  69.080 

1-2  57Ì.830  11-12  475.974  21-22  90.477  61181 

2-3  685.265  12-13  590.040  22-23  98.094  66.836 

3-4  607.744  13-14  501.402  23-24  67  158  58.459 

4-5  472.126  14-15  532.185  24-25  64.243  61.545 

5-6  491.249  15-16  511.579  25-26  60.654  61.315 

(')  Per  lo  spostamento  di  mezzo  anno  o  più,  che  per  motivi  già  detti  bisognerebbe 
apportare  alle  classificaxioui  dei  censiti  nel  1871,  l*età  dai  12  ai  13  anni  sarebbe  forse 


58 


RODOLFO   BENINI 


Dì  lina  ulteriore  confeima  disporremmo  senza  dubbio,  se  il  censimento 
del  1901  non  presentasse  classificaziuni  per  gruppi  quinquennali  nelle  età 
adulte.  Vestigia  non  trascurabili  rimangono  tuttavia  per  qualche  comune, 
come  Milano,  che  ebbe  la  diligenza  di  apprestare  a  propria  notizia  una  clas- 
sificazione degli  abitanti  anno  per  anno  di  nascita.  A  Milano  le  6986  per- 
sone, che  dichiararonsi  nate  nel  1859,  superano  non  solo  le  singole  schiere 
più  anziane,  ma  benanco  quelle  più  giovani  del  1860,  1861  e  1862.  Il 
Ravizza  interpretò  la  cosa  come  riflesso  di  simpatia  per  le  date  storiche, 
molto  più  che  numerosi  furono  pure  i  dichiaratisi  nati  nel  1848  e  1866, 
tempi  di  rivoluzione  o  di  guerra.  Ma  se  c'è  del  vero  in  questa  supposizione, 
è  pur  vero  che  le  dette  annate  si  segnalarono  per  fecondità.  Del  1859  già 
abbiam  detto.  Quanto  al  1866,  consta  che  in  Italia,  Lazio  non  compreso, 
nacquero  allora  19  mila  bambini  più  che  nel  1865  e  58  mila  più  che 
nel  1867  ;  e  in  Lombardia,  rispettivamente,  8  e  10  mila  in  più.  Per  il  1848, 
in  difetto  di  elementi  più  probanti  sta  il  fatto  che,  ad  es.,  nel  Veneto  si 
ebbero  quattro  migliaia  e  in  Toscana  e  a  Roma  (città)  alcune  centinaia  di 
nascite  in  più  degli  anni  contigui. 

Le  statistiche  delle  leve  comprovano  pienamente  l'asserto  pel  1859  e 
1866,  parzialmente  pel  1848.  I  giovani  inscritti  per  ragion  d'età  sulle  liste 
di  estrazione  furono: 


LisU 
dttl 

1867 
1868 
1869 


Anni 

di 

nascita 

1847 
1848 
1849 


Insù  ritti 

219.904 

225.934 

281.253 


Liste 
del 

1878 

1879 
1880 


Anni 

di 

nascita 

1858 

1859 

1860 


Inscritti 

258.808 
272.991 

240.819 


Liste 
del 

1885 
1886 
1887 


Anni 

di 

nascita 

1865 

1886 

1867 


inscritti 

270.069 
278.579 
258.968 


Ora,  tenuta  presente  la  percentuale  probabile  di  superstiti  ventenni  sui 
nati  di  una  medesima  generazione  —  pel  tempo  in  questione  può  ritenersi 
del  55  Vo  —  si  induce  che  nel  1859  videro  la  luce  in  Italia  oltre  25  mila 
maschi  più  che  nell'anno  antecedente  e  58  mila  più  che  nel  1860;  e  inte- 
grando il  conto  colle  femmine,  si  riesce  ad  una  natalità  generale  di  48  mila 
e  di  112  mila  superiore  a  quella  dei  due  anni  circostanti. 

Così  forti  distacchi  non  possono  non  aver  avuto  qualche  ripercussione 
nelle  statistiche  della  mortalità.  Queste  si  pubblicarono  per  singoli  anni  di 
età  dei  deceduti  solo  nel  periodo  1879-89,  al  solito  non  immuni  da  agglome- 


meglio  rappresentata  dalla  semtsomma  dei  gruppi  12-13  e  13-14.  Si  avrebbero  così  5487.21 
superstiti  a  fine  1871  tra  i  nati  nel  1859,  numero  peraltro  ancor  superiore  alle  semi- 
somme dei  gruppi  contigui,  com^è  facile  verificare.  Per  il  1881,  riferendosi  i  dati  ai  soli 
capoluoghi  dove  più  diffusa  è  la  coltura  e  ineii  grossolani  gli  errori  delle  denunzie  d^età, 
lo  spostamento  da  eseguire  sarebbe  di  molto  minor  conto. 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA   NBLL  DLTIMO   CINQUANTENNIO 


59 


razioni  in  corrispondenza  delle  età  rotonde;  tuttavia  lasciano  intravyedere 
qaalche  cosa  che  interessa  la  nostra  tesi.  Assumendo,  senza  più  sottili  di- 
stinzioni, che  fossero  in  generale  nati  nel  1859  coloro  che  morirono  tra  20 
e  21  anni  di  età  nel  1879,  o  tra  21  e  22  nel  1880,  tra  22  e  23  nel  1881 
ecc.  (e,  analogamente,  che  fossero  nati  nel  1860  coloro  che  morirono  tra  19 
e  20  anni  nel  1879,  tra  20  e  21  nel  1880  e  cosi  di  sèguito)  si  àrri?a 
ai  seguenti  risultati: 


Anni 

di 

nascita 

Clasni 
dieta 

UorU 

Perìodo 

di  osservazione 

della 

mortalità 

1861 

18-29 

44.789 

1879-89 

1860 

19-30 

44.801 

n 

1859 

20-81 

45.501 

» 

1858 

21-32 

44.021 

n 

1857 

22-33 

43.260 

n 

La  traccia,  convien  dirlo,  è  a  mala  pena  segnata  ;  tuttavia  la  eccedenza 
dei  morti  tra  i  20  e  i  31  anni,  provenienti  dalla  generazione  del  1859, 
accenna,  pia  che  altro,  ad  un  numero  di  esposti  a  morire  di  quella  gene- 
razione, superiore  a  quello  degli  esposti  a  morire  di  generazioni  contigue. 

Il  1859,  anno  di  guerra,  deve  aver  diradato  le  file  dei  giovani  maschi 
di  allora,  sopra  tutto  nell'  Italia  settentrionale.  Non  so  se  qualche  vestigio  del 
fatto  si  può  ancor  ritrovare  nei  nostri  censimenti  e  nelle  statistiche  della 
mortalità;  ma  è  da  aspettarsi  che  qui  pure,  ad  una  attenta  analisi,  fram- 
mezzo Kg\\  errori  che  inquinano  i  materiali  statistici,  riesca  a  farai  strada 
la  verità. 

n  1865-66. 

1.  —  Un  avvenimento  di  singolare  importanza  per  la  nostra  demografia, 
del  quale  gli  eflTetti  ancor  oggi  si  avvertono  in  alcune  parti  del  paese, 
fu  r  istituzione  del  matrimonio  civile,  il  1"  gennaio  1866,  per  tutte  le 
Provincie  costituenti  il  regno  di  allora.  A  dir  vero,  già  nel  periodo  delle 
annessioni,  T Umbria  era  stata  scelta  a  campo  di  esperimento  del  nuovo  isti- 
tuto, poiché  là  il  regio  commissario  generale  6.  N.  Popoli,  con  decreto  da 
Terni  del  31  ottobre  1860,  aveva  messo  in  vigore  i  titoli  V  e  VI  sul  Ma- 
trimonio e  XIII  sugli  Atti  dello  Stato  Civile,  contenuti  nel  progetto  di  re- 
visione del  Codice  civile  sardo.  Non  consta,  però,  che  tale  decreto  abbia  avuto 
piena  applicazione,  perchè  la  resistenia  delle  popolazioni  umbre  alla  novità 
legislativa  non  appare  nettamente  dalle  statistiche  del  quadriennio  1862-65 
e  si  direbbe  cominciare,  come  presso  le  altre  popolazioni  della  penisola, 
eoi  1866,  quasi  che,  da  questo  anno  soltanto,  nella  stessa  Umbria  fosse 
entrato  in  attività  il  nuovo  istituto. 


60 


RODOLFO  BENINI 


I  pochi  indizi,  che  farebbero  credere  ad  una  reazione  già  aYYÌ?ata  prima 
del  1866  neirUmbria,  sono:  1)  lo  scarso  numero  di  matrimoni  nel  1862-64: 
2)  Toscillazione  poco  profonda  nei  due  anni  1865  e  1866,  che  per  altxe 
Provincie  italiane  segnarono  invece,  rispettivamente,  un  forte  incremento  e 
una  forte  diminuzione  nella  nuzialità  legale;  3)  lalta  quota  di  nati  di  stato 
civile  ignoto,  esposti  ai  brefotrofìi,  buona  parte  dei  quali  potè  provenire  prima 
del  1861  da  famiglie  povere  regolarmente  costituite  e,  dopo  di  allora^  da 
famiglie  povere  costituite  irregolarmente.  Ma  sono  indizi  di  valore  dubbio. 
Il  primo  si  presta  anche  ad  essere  interpretato  come  conseguenza  di  lacune 
nella  registrazione  dei  matrimoni,  molto  più  che  lo  stesso  fenomeno,  sebbene 
in  minori  proporzioni,  si  avverte  nelle  Provincie  marchigiane  e  romagnole 
già  soggette,  come  l'Umbria,  al  governo  della  Chiesa  e  non  abituate  a  questa 
specie  di  rilievi  sul  movimento  della  popolazione.  Il  terzo  ha  il  valore  di 
una  ipotesi  accettabile,  ma  non  confortata  da  osservazioni  dirette.  Ad  ogni 
modo,  giudichi  da  sé  il  lettore  colla  scorta  dei  seguenti  elementi: 


Matrìmon 
cen 

[  per  1000  abiUnti 

Nati  legitUmi 
del  1868-65 
ragguagliati 

ai 
matrimoni 
del  1862-64 

Per  100  nati  del  1868-65 

siti  nel  1861 

illegittimi 

esposti 

0 

1862 

1863 

1864    1    1865 

1866 

di  sUto  ci  Tile 
ignoto 

Umbria.    .     .     . 

6.07 

6.42 

7.16 

7.11 

5.21         5.04 

0.94 

6.27 

Marche  .... 

6.58 

7.10 

7.12 

7.57 

3.82 

5.10 

0.92 

2.51 

Romagna    .     .     . 

7.57 

7.48 

7.86 

8.40 

4.06 

4.96 

0.40 

3.42 

Altri  compari.**  . 

8.28 

8.37 

8.26 

9.65 

5.71 

4.53 

1.28 

3  87 

Anche  l'alta  fecondità  dei  compartimenti  ex-pontifici  sarebbe  più  appa- 
rente che  reale;  dipenderebbe  cioè  da  difettosa  registrazione  dei  matrimoni. 


2.  —  L*oscillazione  della  nuzialità,  che  distingue  ì  due  anni  1865  e 
1866,  avvenne  così:  molte  famiglie  fecero  contrarre  le  nozze  ai  figli,  an- 
ticipandole di  qualche  tempo,  nel  dicembre  o  nel  novembre  1865,  per  pro- 
fittare degli  ultimi  mesi  utili  alla  celebrazione  legale  col  semplice  rito  re- 
ligioso. Nelle  Provincie  costituenti  il  regno  di  allora,  il  novembre  1865  no- 
verò infatti  23.550  matrimoni  contro  21.065,  media  del  mese  stesso  accer- 
tata pel  1862-64;  il  dicembre  poi  salì  addirittura  a  27.786,  contro  la  media 
di  10.024.  In  tutto,  20.247  matrimoni  presumibilmente  anticipati.  D'altret- 
tanto e  più  rimasero  impoveriti  i  primi  mesi  del  rito  civile.  Il  gennaio  1866 
noverò  solo  6.908  celebrazioni  col  nuovo  rito  contro  la  media  di  20.822  del 
triennio  1863-65,  e  il  febbraio  17.023  contro  la  media  di  24.339.  Perdita 
complessiva,  21.230.  La  scarsa  nuzialità  perdurò  anzi  caratteristica  in  tutto 


LA'  DEMOGRAFIA   ITALIANA    NBLL  ULTIMO   CINQUANTENNIO 


61 


qaell'anno  e  in  alcuni  dei  saccessiri,  massime  nelle  provincie  già  pontificie. 
In  compenso  continuarono  numerose  le  celebrazioni  col  solo  rito  religioso, 
come  risulta  dalle  indagini  a  corredo  del  progetto  di  legge  Vigliani  sulla 
precedenza  del  matrimonio  ciyile.  I  dati  si  riferiscono  al  sessennio  1866-71  : 


Distretti 
di  Corti  d'appello 


Matrimoni 
celebrati 

col  solo  rito 
religioso 


Torino  e  Casale 4.208 

Genova 3.833 

Milano  e  Brescia 2.940 

Parma 5.654 

Bologna  e  Ancona   ....  84.294 


Distretti 
di  Corti  d'appello 


Firenze  e  Lucca  .... 

Napoli 

Aquila,  Trani,  Catanzaro  . 
Palermo,  Messina,  Catania 
Cagliari 


Matrimoni 

celebrati 
col  solo  rito 

religioso 

10.380 
14.935  (*) 
12  488 
15.097 
6.053 


Sono  da  aggiungere  7961  celebrazioni  alla  chiesa,  scompagnate  dal  rito 
civile,  pel  distretto  della  Corte  d  appello  di  Roma,  e  2102  per  quello  di 
Venezia  dall'aprile  e  dal  settembre  1871  (rispettivamente)  sino  al  giugno 
1872.  Cdme  è  noto,  il  matrimonio  civile  fu  inaugurato  a  Roma  il  1°  febbraio; 
nelle  provincie  venete  il  V  settembre  1871  (^). 

Il  grande  numero  di  matrimoni  religiosi  e  non  legali  nei  distretti  delle 
Corti  di  Bologna,  Ancona  e  Roma,  dà  la  misura  della  resistenza  passiva 
iniziata  dalle  popolazioni  già  soggette  al  governo  pontifìcio.  Primissima 
conseguenza:  regresso  nella  natalità  legittima,  progresso  nella  illegittima: 


Periodi 


ProTiDcie  ex-pontificie  (esclusa  Roma) 


Media  annua 

delle 

nascite 


Nati 


Illegittimi  ed  esposti 
per  100  nati 


legittimi        illegittimi  esposti 


Provincie 
ex-pontificie 


Altre  prov. 
comprese 
le  Tenete 


1863-66 


1867-68 


1869-70 


1871-72 


91.415 

87  234 

780 

86.838 

80.423 

2.798 

88.942 

79.G35 

5.695 

88.361 

75.775 

8.675 

3.401 
3617 
3.612 
8.911 


4.57 

7.39 

10.46 

14.24 


5.03 
5.65 
5.76 
6.02 


(')  Dati  incompleti,  mancando  quelli  delle  dodici  preture  di  Napoli  e  delle  due  di 
Portici  e  Barra. 

(')  Ed  anche  qui  interessa  leggere  nelle  cifre  la  reazione  provocata  dal  nuovo  istituto. 
A  Roma,  città,  107  coppie  profittano  del  gennaio  1871  come  ultimo  mese  utile  alla  ce- 
lebrazione legale  col  semplice  rito  religioso  ;  ma  soltanto  4  nel  febbraio  e  16  nel  marzo  si 
uniscono  civilmente  dinanzi  al  sindaco.  Nel  Veneto,  l'agosto  di  quello  stesso  anno  (Fagosto 
solitamente  povero  di  nozze)  solennizza  1655  unioni  col  rito  religioso,  valido  per  Tnltima 
▼olta;  e  il  settembre,  solitamente  men  povero,  non  ne  registra  avanti  al  sindaco  che  267, 
la  terza  parte  deirordinario. 


62 


RODOLFO    BENINl 


Non  aumentarono  che  lievemente  gli  esposti,  il  cui  stato  civile  è  ignoto, 
ma 'che  si  presumono  illegittimi;  aumentarono  con  rapida  progressione  i 
bambini  dichiarati  illegittimi,  che  nelle  provinole  ex-pontificie,  proye- 
nendo  per  lo  più  da  famiglie  moralmente  ben  costituite,  quantunque  irre- 
golari di  fronte  alla  legge  civile,  erano  all'atto  della  nascita  riconosciuti  da 
entrambi  i  genitori. 

Dal  1872  in  qua  possiamo  mettere  in  conto  il  Lazio.  Seguita  la  pro- 
gressione crescente  delle  nascite  illegittime  in  dette  Provincie  sino  al  1888, 
toccando  quasi  il  21  Vo  per  discendere  poi  grado  grado  fin  sotto  il  12  Vo; 
mentre  nelle  altre  parti  d'Italia  il  colmo  della  parabola  si  ha  nello  stesso 
anno  1872  e  d'allora  in  poi  il  declinare  è  tanto  che  oggi  la  quota  si  ritrova 
a  3,86  Vo ,  cioè  ben  al  di  sotto  del  punto  dal  quale  abbiamo  preso  le  mosse. 
Segni  questi  di  vittoria  definitiva  del  matrimonio  civile  presso  la  generalità 
degli  italiani: 


ProTtDOie  ez-pontifloia  (oomptMa  Boma) 

Illegittimi 
per  10 

ed  eepoeti 
0  nati 

T^          t       A  • 

'Hedia   annna 

delle 

nascite 

NaU 

Periodi 

ProTiacie 
ez-pontifloie 

klhrtk 

legittimi 

illegittimi 

eepoeti 

Aisre 
proTinoie 

1872-74 

115.387 

98.060 

12.545 

4.782 

15  02 

6.06 

1878-80 

118.496 

96.215 

17.219 

5.061 

1880 

5.75 

1884-86 

136.669 

108.676 

21893 

6.097 

20.48 

5.74 

1890.92 

140.928 

112.782 

22.401 

5.789 

20.00 

5.25 

1896-98 

135.654 

112.170 

18.592 

4.892 

17.31 

4.80 

1908-05 

131.581 

113.179 

14.241 

4  161 

18.99 

4.36 

1909 

141.166 

124.326 

13.229 

3.611 

11.93 

3.86 

Ad  attenuare  il  fenomeno  della  frequenza  di  nascite  illegittime,  provo- 
cato dal  nuovo  istituto,  si  sono  andate  moltiplicando  le  legittimazioni  di  figli 
naturali  per  susseguente  matrimonio  civile  o  per  decreto  reale,  sopra  tutto 
nelle  provincie  già  pontificie.  Secondo  dati  un  po'  vecchi  (1885-87),  i  bam- 
bini legittimati  sopra  l'anno  d'età  furono  circa  i  Vio  del  totale;  ma  per 
comodità  di  calcolo,  qui  supponiamo  giusto  di  un  anno  Tintervallo  ordinario 
fra  la  nascita  e  la  legittimazione. 


(^)  Dal  1884  in  poi  la  categoria  u  illegittimi  «  comprende  i  soli  riconosciuti  airatto 
della  nascita  da  uno  almeno  dei  genitori  ;  Taltra  comprende,  oltre  gli  esposti,  gli  illegit- 
timi accertati  come  tali  dagli  nffic!  di  stato  civile,  ma  non  riconosciuti  dai  genitori. 


LA    DEMOGRAFIA    ITALIANA   NELL  ULTIMO   CINQUANTENNIO 


63 


Frequenza  delle  legittimazioni. 


Periodi 


Nascite  illegittime 


ProTincie 
ìgil  pontificie 


Altre 
proTincIe 


Periodi 


Legittimazioni 
di  figli  naturali 


Provincie 
già  pontificie 


Altre 
prorincie 


Legittimati 
per  100  nati  iUegittimi 


Provincie 
già  pontificie 


Altre 
prorincie 


Aleclie    annuali 


1884-86 


1890-92 


1893-95 


1896-98 


1899-01 


1902-04 


1905-07 


27.990 

56.117 

28.190 

50.758 

25.882 

• 

48.564 

28.484 

45.762 

21.044 

42.805 

19.115 

41.502 

17.549 

39.647 

1885-87 

5.432 

8.430 

19.4 

1891-93 

10.622 

10.717 

87.7 

1894-96 

11.611 

12.583 

44.9 

1897-99 

11.196 

12.451 

47.7 

1900-02 

11.874 

12.775 

54.0 

1903-05 

10.639 

12610 

55.7 

1906-08 

10.165 

12.386 

57.9 

15.0 
21.1 
25.9 
27.2 
29.0 
80.4 
31.2 


Chi  ben  consideri  lo  speciale  carattere  della  natalità  illegittima  nelle 
Provincie  già  pontificie  e  in  alcune  finitime,  si  dà  ragione  dei  risultati  rac- 
colti nei  Bruenti  prospetti.  Qui  si  tratta  di  bambini  allevati  in  seno  a  fa- 
miglie abbastanza  ben  costituite,  se  anche  irregolari  di  fronte  alla  legge 
civile  ;  e  la  mortalità  loro  deve  naturalmente  differir  poco  da  quella  dei  veri 
legittimi,  mentre  il  divàrio  si  mantiene  grande  nel  resto  d*Italia,  dovunque 
cioè  gli  infittimi,  frutto  per  lo  più  di  colpa,  sono  abbandonati  o  male  al- 
levati. Per  ragioni  che  tutti  comprendono,  anche  la  natimortalità  deve  pre- 
sentarsi poco  diversa  nelle  due  categorie  per  tutte  le  Provincie  già  ponti- 
ficie ;  e  lo  stesso  si  ripeta  della  mortalità  delle  madri  legittime  e  delle  ille- 
gittime per  malattie  inerenti  allo  stato  di  fecondità: 


Natimortalità  dbi  legittimi  £  degli  illegittimi. 


PaOTIMCIB 


LegittiBi 


Nati  Tiyi 

e 

nati   morti 

insieme 


Nati   morti 


Pereentoalfl 

dei 
nati  morti 


Illegittimi 
e  di  stato  civile  ignoto 


Nati  yìyì 

e 

nati  morti 

insieme 


Nati   morti 


Pereentoale 

dei 
nati  morti 


già  pontificie    \ 
altre  del  Begno  ' 


1884-89 


già  pontificie 
altre  del  Regno 


1905-08 


115  328 

4.297 

8.78 

30.015 

1.355 

4.51 

964.959 

32607 

8.88 

59.488 

3.970 

6.67 

124.572 

5.496 

4.41 

18.487 

989 

5.85 

953.306 

40.255 

4.22 

42.115 

2.535 

6.02 

Indice  del- 
la maggior 
natimorta>- 
lità  degli 
illegittimi 
ed  espoeti 


1.21 


1.97 


1.21 


1.43. 


64 


RODOLFO   BBNINI 


Mortalità  nel  primo  anno  di  età. 


Provincib 


Legittimi 


BspoBti 
a  morire 


Morti 

nel  1®  anno 

di  età 


Morti 

per  100 

eeposti 

a  morire 


Illegittimi 
e  di  stato  civile  ignoto 


Morti 
Etposti    Ventanno 
a  morire  i     ^i  eU 


Morti 

per  100 

eepoeti 

a  morire 


Indice  del- 
la 


già  pontificie 
altre  del  Regno 


già   pontificie 
altre  del  Regno 


1885-90 


1905  08 


111.217 

21.350 

19.2 

28.692 

928.764 

175.096 

18.9 

54.913 

117.618 

17.615 

15.0 

17.710 

907.863 

140.807 

15.5 

39.087 

6.426 

22.4 

15.260 

27.8 

2  989 

16.9 

10  208 

25  5 

gior  mor- 
taliU  de 
gli  illegit- 
timi 


U7 


1.47 


U3 


1.64 


Sarebbe  lango  il  seguire  altre  impronte  lasciate  sul  terreno  demografico 
dell'Italia  centrale  dalla  innovazione  legislativa  del  1866.  Per  ciò  che  con- 
cerne la  mortalità  delle  madri  legittime  e  illegittime,  la  proporzione  delle 
prime  e  delle  seconde  nozze,  la  distribuzione  per  mesi  dei  matrimoni^  Tetà 
media  degli  sposi  o  la  classe  d*età  di  maggior  frequenza,  i  contrasti  fra  le 
Provincie  già  pontificie  e  le  altre  del  Regno  sono  stati  da  chi  scrive  illu- 
strati con  opportuni  esempi  in  altra  sede.  Ma,  a  riguardo  degli  spostamenti 
d*età  alle  nozze,  non  passerà  sotto  silenzio  un'anomalia  di  qualche  im- 
portanza. 

Nel  1865,  ultimo  anno  di  validità  del  matrimonio  religioso,  e  nel  1866, 
primo  del  rito  civile,  quando  ancor  non  poteva  parlarsi  di  unioni  civili  con- 
tratte per  legittimare  figli  nati  da  nozze  religiose  e  non  più  valide,  le  pro- 
porzioni numeriche  degli  sposi  delle  varie  classi  di  età  nelle  Romagne  non 
si  presentavano  dissimili  da  quelle  medie  del  resto  del  paese.  Il  con- 
trasto si  palesa  invece  un  certo  tempo  dopo,  massime  dal  1890  in  poi, 
quando  le  unioni  irregolari  combinate  in  età  normale  dei  contraenti,  dopo 
essere  durate  parecchi  anni  rallegrati  dalla  nascita  di  tìgli  nel  cui  interesse 
urgeva  la  legittimazione,  vennero  a  sistemarsi  in  buon  numero  col  matri- 
monio civile.  È  ovvio  che.  alle  nozze  civili,  questi  conviventi  irregolari  di 
fronte  al  nuovo  Codice  dovettero  presentarsi  con  una  età  notevolmente  su- 
periore a  quella  che  avrebbero  avuto  celebiando  ab  initio  un  matrimonio 
legale.  Ne  è  venuto  uno  spostamento  nell'età  media  degli  sposi,  specialmente 
accentuato  in  parecchie  delle  Provincie  ex-pontificie.  Infatti  nelle  Romagne 
gli  sposi  di  oltre  30  anni,  che  erano  appena  il  36  Vo  noi  1865-66,  salgono 
a  più  del  46  Vo  noi  1898-94  (e  lo  stesso  dicasi,  a  un  di  presso,  per  altri 
anni  circostanti)  ;  e  le  spose  di  oltre  25  anni,  da  meno  del  86  Vo  salgono 
al  53.  Analogamente  deve  dirsi  per  il  Lazio,  salvo  che  qui  va  preso  come 
termine  iniziale  di  confronto  il   1872-73,  primo  biennio  delle  relative  sta- 


LA   DBMOGRAFIA   ITALIANA   NELL*ULTIBIO   CINQUANTENNIO  ^^ 


tistiche  e  delFandata  in  vigore  del  nuovo  codice  in  tale  compartimento.  In 
quella  vece,  l'Umbria  e  le  Marche  fanno  eccezione,  nel  senso  che,  se  avo- 
vano  ed  hanno  matrimoni  tardivi  secondo  le  statistiche  degli  ultimi  venti 
anni,  avevano  pure  matrimoni  tardivi  già  nel  1865  e  1866.  È  una  ano- 
malia che  non  saprei  imputare  ad  errori  di  classificazione  piuttosto  che  a 
cause  d*altro  ordine.  Ci  pensi  chi  più  ne  sa. 

n  1867. 

Ne&sto  per  straordinaria  mortalità.  Già  dal  giugno  al  dicembre  del  1865 
aveva  fatto  la  sua  apparizione  il  colera,  mietendo  12.901  vite  umane,  sopra 
tutto  nelle  Marche,  nella  Campania  e  nelle  Puglie;  Tanno  seguente  tornò 
a  serpeggiare,  segnando  sua  strada  con  19.571  morti,  per  tre  quarti  della 
Campania  e  di  Sicilia.  Nonostante  questa  perdita  e  quella  della  gnerra  col- 
TAnstria,  il  1866  passò  nella  nostra  demografia  come  anno  di  moderata 
mortalità,  tanto  da  far  venire  ufficialmente  il  dubbio  di  una  manchevole 
registrazione  dei  decessi  nelle  provinole  in  cui  gli  Atti  dello  stato  civile 
erano  allora  allora  passati  dalla  Chiesa  al  Municipio.  Senonchè,  fatte  le  de- 
bite comparazioni  tra  queste  Provincie  e  quelle  dove  i  registri  di  stato  ci- 
vile erano  tenuti  fin  da  prima  dai  sindaci,  il  dubbio  non  trovò  conferma. 
Nel  1867  si  diedero  convegno  carestia  e  colera,  quest'ultimo  ricomparso  con 
violenza  sestuplicata,  sì  che  128.075  morti  si  aggiunsero  alla  media  dei  tre 
0  quattro  anni  precedenti.  In  tutto,  cioè,  si  contarono  866.665  decessi,  il 
numero  piii  alto,  assolutamente  (quando  lo  si  integri  a  stima  con  30  mila 
morti  del  Lazio)  e  relativamente  parlando,  tra  quelli  della  colonna  nera  del 
cinquantennio  nazionale. 

Le  regioni  più  colpite  furono  Sicilia  (54.107  morti  di  colera),  Puglie 
(18.023)  e  Lombardia  (21.904);  delle  classi  di  età,  il  maggior  tributo  fu 
pagato  dagli  adulti  e  il  minore  dai  fanciulli  ;  delle  categorìe  di  stato  civile, 
in  ragion  della  più  o  meno  alta  età  media  che  le  distingue,  subirono  perdite 
ì  vedovi  più  dei  coniugati  e  questi  più  dei  celibi  adulti. 

Molteplici  sono  le  traccio  lasciate  dal  flagello,  ma  non  è  qui  luogo  di 
esaminarle  tutte.  Nello  stesso  anno  1867,  e  ancor  più  nel  successivo,  il  con- 
traccolpo si  ebbe  nelle  nascite,  che  discesero  a  927  e  a  900  mila  contro  la 
media  di  961  mila  in  tutto  il  Segno  d'allora.  Qui  pure  fu  espresso  ufficial- 
mente il  dubbio  di  manchevoli  denuncio  allo  stato  civile;  ma,  senza  esclu- 
dere la  frode  in  casi  sporadici,  parmi  evidente  che  la  diminuzione  della  na- 
talità derivasse  quasi  tutta  dal  dissesto  materiale  e  morale  in  che  il  terribile 
morbo  aveva  gettato  le  famiglie.  Che  se  la  frode  poteva  avere  per  i  maschi 
incentivo  nell*  interesse  di  sottrarli  al  servizio  militare,  per  le  femmine  sa- 
rebbe stata  senza  ragion  sufficiente  ;  e  tuttavia  la  diminuzione  della  natalità 
si  verificò  in  quei  due  anni  equamente  distribuita  sui  due  sessi  e  non  appena 
in  danno  del  primo. 

Rodolfo  Eskiici  ^  Za  demografia  italiana  «ce.  ^ 


66 


RODOLFO  BENINI 


Ecco  le  statistiche  delle  leve  mostrare,  nelle  liste  del  1887  e  1888, 
cioè  di  venti  anni  dopo,  un  ammanco  di  12  a  22  mila  maschi,  in  piccola 
parte  certamente  renitenti,  ma  per  gran  parte  proprio  mancati,  colpa  del 
colera  e  del  disagio  economico,  alla  fecondità  del  1867  e  1868.  Pel  Begno  in 
generale  e  per  la  Sicilia  in  particolare,  che  fu  la  zona  più  battuta,  si  ebbero  : 


Anni 


Naacito 

di 
mMcM 


Bbono  (1) 
Loto 


1864-66  '«95.411  1884-86 

1867  ^78.624  18S7 

1868  463.530  1888 
1869-71  492.802  1889-91 


Inicritti 
per  ragion  d'età 

nelle  liete 
di  eitrailone 

270.716 

258.968 
248.387 
270.882 


Sicilia 


Anni 

1864-66 
1867 
1868 

1869-71 


Naaclte 

di 
maBcbi 

51.444 
45.699 
42.278 

50.135 


Leye 

1884-86 
1887 
1888 

1889-91 


Inacritti 
per  ragion  d*età 

nelle  liete 
di   eetraxione 

26.264 
23,527 
21.602 
27.437 


Prescindendo  ora  da  traccie  piuttosto  deboli,  che  la  scarsa  natalità  del 
1867  e  1868  lasciò  nei  censimenti  del  1871  e  1881,  l'attenzione  nostra  deve 
portarsi  su  quelle  che  si  scorgono,  ad  una  diligente  analisi,  nella  nuzialità 
di  15  a  25  anni  dopo.  Pur  troppo  le  nostre  statistiche,  condotte  talvolta  senza 
spirito  di  continuità,  per  un  decennio  soltanto  (esso  pure  interrotto  da  una 
lacuna)  hanno  fornito  la  classificazione  degli  sposi  per  bienni  di  nascita;  ma 
il  materiale  è  già  sufRciente  per  un  principio  di  dimostrazione.  I  due  pro- 
spetti, che  s^uono,  riguardano  la  nuzialità,  per  anni  di  nascita  delle  spose 
e  degli  sposi,  in  Sicilia  nel  periodo  1883-92,  salva  la  lacuna  del  1887: 

Anni  di  nascita  delle  spose. 


Anno  del  l 
matrimonio! 

74-75 

1878-74 

72-78 

1871-72 

70-71 

1869-70 

68-69 

1867-68 

66-67 

1865-66 

64-65 

1868-61 

62-63 

1S61-62 

isst                                                    1 

1 

1.492 

3.032 

4.069 

4.570 

1884                                                                3 

1 

1.546 

3.136 

4.070 

4.329 

1886                                                   8 

1.871 

2.799 

4.010 

4.042 

3.393 

1886 

U 

2.150 

3.163 

3.961 

4.054 

3  457 

1887 

••• 

• . 

••• 

■•• 

... 

.»• 

••• 

1888 

12 

1.725 

3.223 

3.188 

3.470 

2.650 

2.153 

1889 

1.505 

3.052 

3.480 

2.858 

2.631 

1.932 

18M 

1.671 

« 

3.566 

3.855 

3.173 

2.570 

1.918 

1801 

3.429 

4.293 

3.828 

2.468 

2.050 

1802 

2.969 

3.988 

3.992 

2.811 

2.156 

(*)  I  dati  delle  leve  si  riferiscono  al  territorio  attuale  del  Regno;  quelli  delle  na- 
icite  al  territorio  d*oggi,  meno  la  provincia  di  Roma.  Quindi,  per  la  miglior  comparabilità 
dei  dati,  bisognerebbe  aumentare  i  secondi  del  8  Ve  circa.  È  sottinteso  che  i  numeri  a 
fronte  dei  periodi  1864-66,  1869-71,  1884-86  e  1889-91  esprimono  medie  annuali. 


LA.   DEMOORAPIA   ITALIANA   NBLL  OLTIMO    CINQUANTBNNIO 


67 


Leggendo  dall'alto  al  basso,  verticalmeate,  i  nniuerì  del  prospetto,  si 
ha  una  frammentaria  tavola  di  nuzialità^  la  quale  ci  dice  quante  donne 
nate  nello  stesso  biennio,  per  es.  il  1867-68,  si  sposarono  nel  1883,  1885, 
1889,  1891.  Leggendo  invece  nel  senso  delle  linee  inclinate,  si  apprende 
quante  donne,  proyenienti  da  diversi  bienni  di  nascita,  si  maritarono  ad  una 
stessa  età  negli  anni  del  periodo  d'osservazione.  Ed  è  qui  appunto  che  si 
vede  la  traccia  della  scarsa  natalità  del  1867-68.  Cosi  i  numeri  1492,  2799, 
2858,  2468,  stampati  in  carattere  distinto  e  riferibili  alle  femmine  nate  nel 
1867-68  e  convolate  a  nozze  a  15-16  anni,  a  17-18,  a  21-22  e  a  23-24, 
sono  inferiori  a  qualsiasi  altro  numero  delle  rispettive  colonne  oblique,  rife- 
ribile alle  donne  sposatesi  alle  stesse  età,  ma  provenienti  da  bienni  di 
nascita  anteriori  o  posteriori. 

È  deplorevole  la  lacuna  del  1887,  ma  ancor  più  deplorevole  la  man- 
cata continuazione  della  classificazione  in  questa  forma  per  gli  anni  succes- 
sivi al  1892.  Non  solo  avremo  potuto  ricostruire  una  abbastanza  completa 
tavola  di  nuzialità  e  stabilire  il  controllo  delle  oscillazioni  delle  nascite  di 
tempi  trascorsi,  ma  anche  separare  per  certe  annate  di  crisi  l'effetto  della 
scarsa  o  abbondante  disponibilità  delle  nubili  di  diverse  classi  di  età  dal- 
l'effetto proprio  delle  condizioni  economiche  generali. 

Ciò  che  si  è  detto  per  il  precedente  prospetto  si  dica  per  il  seguente, 
che  concerne  gli  sposi: 


Anni  di  nascita  deqli  sposi. 


^  ■#« 

HI 

~^~"~~^ 

^iM-S^ 

^BS^ 

■^■■^ 

il 

1871-72 

1860.70 

18C7-48 

1865-66 

1868-64 

1861-62 

1850-60 

-1 

72-73 

70-71 

68^60 

06-67 

61-6C 

62-63 

60-61 

1S8S 

71 

1 

482 

2.035 

3.652 

1884 

70 

501 

2.180 

3.753 

1S85 

66 

493 

1.973 

4.162 

4.675 

Ì9» 

85 

487 

1.964 

4.252 

5.150 

1867 

1 

*•• 

•  •• 

•  a. 

••• 

•  •• 

.•• 

1S8S 

81 

423 

1.576 

3.353 

4.476 

3.516 

1889 

80 

491 

1.248 

3.126 

4  364 

3.484 

1880 

107 

546 

1.352 

3.105 

4.628 

3.793 

1891 

517 

1.714 

2899 

4.972 

3.907 

189S 

641 

1.537 

3.276 

4.587 

3.867 

Abbiamo  accennato  a  qualche  indizio  rimasto  nel  censimento  del  1871. 
In  Sicilia  infatti  (e  in  maniera  piii  attenuata,  altrove)  i  bambini  da  8  a  5 


68  RODOLFO   BBNINI 


anni  di  età,  provenienti  dalle  generaxioni  del  1867  e  1868,  non  sono,  come 
d'ordinario,  più  numerosi,  ma  sono  meno  numerosi  di  quelli  da  5  a  7,  da 
7a9eda9all,  provenienti  dai  bienni  di  nascita  1865-66,  1863-64, 
1861-62;  i  censiti  del  primo  grappo  non  furono  insomma  che  113.844,  con- 
tro 118.025,  120.614  e  117.652  dei  tre  grappi  successivi.  Anche  operando, 
per  i  motivi  esposti  a  debito  luogo,  lo  spostamento  di  cinque  o  sei  dodice- 
simi di  anno  nella  classificazione  uflBciale  delle  età,  non  scomparirebbe  la 
deficienza  di  bambini  provenienti  dallanno  dell'epidemia  colerica  e  dal  suc- 
cessivo. 

n  1880. 

Credo  di  non  mancare  alla  discrezione,  dicendo  che  a  persone  autore- 
voli della  direzione  generale  della  Statistica  i  risultati  demografici  del  1880 
parvero  sospetti  di  errore  o  di  colpa,  che  avesse  inquinato  gli  spogli.  Non  si 
vedeva  ragion  sufficiente  perchè  la  nuzialità  di  queiranno  dovesse  presen- 
tare una  depressione  quale  non  si  era  verificata  dopo  il  1866  e  1867,  tempi 
agitati  per  l'entrata  in  vigore  del  codice  civile  e  per  il  flagello  del  colera; 
e  perchè  la  natalità  dovesse  umiliarsi  a  una  quota  senza  precedenti  dall'uni- 
ficazione del  Segno  sino  allora.  Neppur  facile  riusciva  lo  spigare  le  perdite 
di  uomini  di  quell'anno,  rappresentate  da  869.992  morti,  il  numero  più  alto, 
in  via  assoluta,  dopo  quello  del  1867  (^  e  che  poi  fortunatamente  non  fu 
più  raggiunto. 

Ora  io  sono  venuto  nella  ferma  persuasione  ohe  ì  dati  del  1880  hanno 
lo  stesso  grado  di  attendibilità,  che  compete  a  quelli  di  altre  annate  nelle 
statistiche  del  movimento  della  popolazione  italiana  ;  e  ho  creduto  doveroso 
dissipare  qualsiasi  dubbio,  facendo,  anche  non  richiesto,  opera  di  perito. 

I  dati  delle  leve  del  1900  e  degli  anni  contigui  costituiscono  una  prima 
prova,  che  la  natalità  del  1880  dovette  essere  molto  inferiore  a  quella  media 
del  tempo: 


Anni 
di 

IMCiU 

Nati 
niMelii 

1877 

529.867 

1878 

521.945 

1879 

548.959 

1880 

498.591 

1881 

557.029 

1882 

545.714 

1883 

551.402 

Inscritti 

p«r  ragion  d'età 

n«Il«   HsU 

di  estrazione 

Anni 

di 
leTa 

309.466 

1897 

305.581 

1898 

318.152 

1899 

290.649 

1900 

333.743 

1901 

330.986 

1902 

337.619 

1903 

(*)  Beninteso  che  ci  riferiamo  al  1867  co*  saoi  866.865  morti  nel  territorio  d^allora, 
qnali  diventano  circa  897.000  quando  si  comprendano  a  stima  30.000  morti  del  Lasio. 


LA   DBMOaAAFIA   ITALIANA  NBLL  ULTIMO   CINQUANTENNIO 


69 


E  cioè  la  leva  del  1900  fu  in  difetto  di  27.503  giovani  rispetto  a  quella 
deiranno  antecedente,  e  di  43.094  rispetto  a  quella  del  successivo.  In  ragion 
di  60  superstiti  ventenni  per  100  nati,  le  dette  deficienze  ne  farebbero  sup- 
porre una  di  45.800  maschi  nelle  nascite  del  1880  rispetto  al  1879,  e  una 
di  71.800  rispetto  al  1881.  Le  statistiche  della  natalità  avevano  segnalato 
deficienze  di  55.368  e  63.438,  con  divario  in  complesso  poco  rilevante  da 
quelle  stabilite  a  calcolo. 

In  conseguenza  della  grande  scarsezza  di  nascite  dovettero  essere  piut- 
tosto scarsi  1  bambini  morti  nel  primo  mese  o  nei  primi  tre  mesi  di  età 
nel  corso  del  1880,  i  quali  provenivano  in  gran  parte  dalle  nascite  di  quello 
stesso  anno  ;  così  pure  dovettero  essere  scarsi  i  bambini  morti  da  1  a  2  anni 
w\  1881,  da  2  a  3  nel  1882,  da  3  a  4  nel  1883  ecc.,  i  quali  pure  pro- 
venivano in  maggioranza  dalla  scarsa  generazione  del  1880.  Se  si  ripete  il 
conto  per  gli  anni  contigui,  si  vede  che  tanto  nella  somma,  quanto  nella 
maggioranza  dei  termini  parziali,  i  morti,  la  cui  nascita  risaliva  più  proba- 
bilmente al  1880,  appaiono  meno  numerosi  di  quelli,  la  cui  nascita  risaliva 
a  date  contigue: 


Data  della  nascita  per  la  maggior  parte  dei  morti 
considerati  nelle  quattro  serie. 


EU 
d«i  morti 


0-1  mese 
1-3  mesi 
1-2  anni 
2-3    n 


3-4 
4-5 
5-6 
6-7 
7-8 
8-9 


n 
il 
n 
n 
il 
n 


l'I 

(1878) 

if 
(1879) 
(1880) 
(1881) 
(1882) 
(1883) 
(1884) 
(1885) 
(1886) 


1878 

86.984 

28.998 

88.885 

41.132 

22.777 

15226 

11.463 

8.526 

5.678 

5.043 

314.711 


o     S 


(1879) 

n 

(1880) 
(1881) 
(1882) 
(1883) 
(1884) 
(1885) 
(1886) 
(1887) 


1879 

97.695 

30.499 

96.545 

38.618 

22.342 

16  077 

10.940 

8.074 

6.677 

4.862 

332.329 


Ì2S     ISSO 


8 


(1880) 


» 


(1881) 
(1882) 
(1883) 
(1884) 
(1885) 
(1886) 
(1887) 
(1888) 


87.329 

28.688 

86.010 

37.35 1 

21.911 

14.955 

9.829 

8.800 

6.338 

4.461 

305.675 


I 


-3 


(1881) 

.» 
(1882) 
(1883) 
(1884) 
(1885) 
(1886) 
(1887) 
(1888) 
(1889) 


1881 

92.250 

29.570 

88.823 

39.630 

21.507 

14.647 

12.145 

9.293 

6.334 

4.184 

318.383 


Provata  così  la  depressa  natalità  del  1880,  Tesperienza  statistica  inse- 
gna a  ricercarne  la  causa  ordinaria  in  un  alta  mortalità  di  nove  o  dieci  mesi 
innanzi,  un'alta  mortalità,  che,  portando  il  lutto  in  molte  famiglie  o  facen- 
dolo temere  in  altre,  abbia  diradato  i  concepimenti.  L'errore  o  la  colpa  negli 
spogli  facilmente  avrebbe  dato  luogo  a  sconcordanze  di  tempo  ;  invece,  se  noi 
confrontiapio  la  mortalità  dal  principio  del  1879  fino  a  tutto  il  primo  qua- 
drimestre del  1881  colla  natalità  di  nove  mesi  dopo,  troviamo  verificata  la 


70 


RODOLFO   BBNINI 


legge  delle  variazioni  concomituQti  di  segno  coutrairio.  Col  crescere,  cioè,  o 
diminuire  della  mortalità  a  dati  moamiti,  diminuisce  o  cresce  la  natalità 
di  nove  mesi  posteriore.  Per  la  natimortalità  vale,  al  solito,  T  intervallo  di 
otto  mesi. 


Quadrimestri 

della 

mortalità 

Morti 

NaU-TÌTÌ 
BOTO  mesi  dopo 

Nati  morti 
otto  mesi  dopo 

ToUie 

dei 

coDcepi  menti 

contemporanei 

allamorUtiU 

Variaiioni 
da  nn  periodo  all'altro 

nella                  nei 
mortalità        concepimenti 

l"»  del  1879 

257.385 

862.837 

11.453 

374.290 

*•• 

... 

2*        n 

263.965 

343.636 

11.367 

355.003 

+   6.580 

— 19  287 

3»       n 

315.332 

302  091 

9.247 

311.338 

+  51.367 

—  43.665 

1»  del  1880 

306.238 

302.298 

9.791 

312.080 

-    9.094 

+      751 

2^       n 

288.349 

353.041 

11.481 

364.522 

-  17.889 

+  52.433 

3*»      » 

275.405 

360  533 

11.468 

372.001 

—  12.944 

+  7.479 

l"»  del  1881 

259.330 

387.400 

12.305 

399.705 

—  16.075 

+  27.704 

Da  questo  prospetto  risulta  pure  che  la  grande  moiiialità  del  primo  e 
secondo  quadrimestre  del  1880  non  è  che  la  prosecuzione  naturale  di  una 
mortalità  anche  più  grande,  manifestatasi  già  nell*  ultimo  quadrimestre  del 
1879  (^);  e,  similmente,  che  la  bassa  mortalità  del  1881  non  è  se  non  la 
naturale  prosecuzione  della  mortalità  già  attenuatasi  nell'ultimo  quadrime- 
stre del  1880.  Sicché  i  tre  anni  in  questione  sono  perfettamente  concatenati; 
e  chi  insistesse  nei  suoi  dubbi  riguardo  al  1880,  dovrebbe  sollevare  dubbi 
anche  a  riguardo  delle  due  annate  contigue. 

Né  si  creda  che  la  concatenazione  esista  solo  nei  totali.  Io  ho  conside- 
rato per  i  tre  anni  le  serie  dei  morti  distintamente  per  età,  per  sesso  e  per 
stato  civile  ;  e  quelle  delle  nascite  secondo  il  sesso,  lo  stato  civile  (legittime 
e  illegittime)  ed  altri  caratteri  (nati-vivi  e  nati-morti,  nati  da  parti  semplici 
e  multipli  ecc.)  senza  imbattermi  in  alcuna  di  quelle  discontinuità  o  sconcor- 
danze, che  possono  legittimare  il  sospetto  di  una  causa  perturbatrice  nelle 
operazioni  di  spoglio  e  di  aggruppamento  dei  dati  originari.  Lo  stesso  dicasi 
per  le  singole  provincie  :  con  questo  di  più,  che  non  tutte  offrono  la  eguale  mi- 
sura delle  variazioni,  ma  tutta  la  naturale  concatenazione,  di  cui  si  parlava, 
da  un  anno  airaltro.  Il  che  esclude  Terrore  casuale,  ed  esclude  pure  Tartìficio; 
poiché  sarebbe  stato  necessario  un  lavoro  enorme  e,  insieme,  sapiente,  da  parte 
degli  operatori  per  evitare  ogni  possibile  contraddizione  o  sconcordanza  dei 
dati,  lavoro  certamente  superiore  a  quello  di  una  genuina  esecuzione. 

Credo  di  dover  alleviare  al  lettore  la  fatica  di  una  dimostrazione  par- 
ticolareggiata, e  vengo  invece  ad  una  conferma  dell'alta  mortalità  del  1880, 


(^)  Se  invece  di  considerare  Tanno  del  calendario  civile,  considerassimo  i  dodici  mesi 
di  sèguito  dal  settembre  1879  a  tutto  agosto  1880,  la  mortalità  complessiva  di  questi  do- 
dici mesi  risulterebbe  di  909.919  individui,  40  mila  in  più  di  quella  delFanno  civile  1880. 


LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA  NELL  ULTIMO   CINQUANTENNIO 


71 


che  si  legge  nelle  statistiche  del  1883-1886  (di  più,  in  argomento,  non  se 
ne  hanno)  riguardanti  la  durata  della  vedovanza  per  gli  sposi  passati  a  se- 
conde nozze  in  detto  periodo. 

La  mortalità  eccezionale  del  1880,  se  fu  un  fenomeno  reale  e  non  ap- 
parente, deve  aver  moltiplicato  le  vedovanze  ;  e  i  numerosi  vedovi  di  quella 
annata,  specialmente  quelli  divenuti  tali  in  giovane  età,  devono  aver  dato 
luogo  a  numerose  seconde  nozze  negli  anni  successivi.  È  quanto  si  rileva 
appunto  dai  due  prospetti  che  seguono,  in  particolare  da  quello  che  concerne 
le  vedove  passate  a  nuovo  matrimonio  dopo  una  vedovanza  che  risaliva  al 
1880.  I  numeri  stampati  in  grassetto  sono  quasi  sempre  superiori  a  quelli 
delle  linee  inclinate  da  sinistra  a  destra,  che  indicano  i  matrimoni  contratti 
in  diversi  anni  da  vedovi  o  vedove,  dopo  un  intervallo  eguale  di  inconso- 
lata solitudine: 


Vedovi  riammogliatisi. 


Addo 

SII                         s 

1877 

.^v 

delle  seconde 
BO»e 

1878 

1879 

1880 

1881 

1882 

188S 

1883 

748 

1.048 

1.608 

2.699 

4.585 

1884 

894 

1.189 

1.778 

2.489 

4.526 

1885 

824 

ll&O 

1.578 

2.270 

4.176 

1886 

881 

1.073 

1.450 

2472 

188é 


4.589 


Vedove  rimaritatesi. 


Anno 

delle  seconde 

nesie 

1883 
1884 
1885 
1886 


1877 


1878 


ANNI     AI     QUALI    RISALIVA    LA   VBDOVANZA 


1879 


1880 


1881 


1883 


700        1.038        1.448        2.287 


2.960 


776      •  1.080        1.665        1.998 


2.818 


793 


1.150 


1.364        1.821 


188S 


2.725 


1884 


860        1.038        1.245        1.794        2.872 


Provata  dunque  Tattendibilità  dei  dati  demografici  del  1880,  si  domanda 
quale  potè'  essere  la  causa  della  eccezionale  moi'talità  di  quelFanno.  Senza 
pretendere  di  dare  risposta  esauriente,  ci  basti  rammentare  che  Testate  e 
Tautunno  del  1879  furono  a  tutta  Tltalia  avversi  per  siccità  ininterrotta 
e  l'in  verno  del  1880  per  freddo  intenso,  così  da  distinguersi  fra  gli  anni  di 
una  lunga  serie.   Nessun  dubbio  che  a  questi  fattori  vada  ascritta  la  mor- 


72  RODOLFO  BENINI  -  LA   DEMOGRAFIA   ITALIANA  ECC. 

talità,  intensificatasi  appunto  dal  settenoibro  del  1879  e  con  lungo  strascico 
proseguita  fino  a  tutto  l'agosto  dell'anno  successivo.  I  molti  lutti  poi  fecero 
più  radi  i  concepimenti  e  consigliarono  il  rinvìo  di  molte  nozze,  che  allie- 
tarono così  il  1881, 

Altri  anni  caratteristici  della  demografia  nazionale. 

Conclusione. 

Il  fine  del  presente  capitolo,  che  era  di  proporre  all'imitazione  e  alla 
capacità  altrui  di  far  meglio,  alcuni  tipi  di  ricerche  analitiche,  è  raggiunto 
neir  intenzione  dell'autore.  Al  tempo  3tesso  è  forse  vinta  la  prova  della  ve- 
ridicità per  le  statistiche  demografiche  italiane,  almeno  per  quelle  che  ri- 
guardano il  movimento  della  popolazione. 

Altri  anni  o  periodi  caratteristici  rimangono  degni  d'esame  ;  il  decennio 
1889-98  per  tutte  le  ripercussioni  che  la  crisi  economica  ebbe  sulla  nostra 
struttura  demografica;  gli  anni  1901  e  1905,  memorandi  per  l'improvviso 
e  straordinario  incremento  della  emigrazione;  il  1908  che  lasciò,  col  terre- 
moto del  28  dicembre,  nelle  Provincie  funestate  una  eredità  con  molto  passivo. 
Ma  il  resto  del  compito  va  confidato  a  lavoratori  più  sciolti  da  freni  d'arte. 
La  già  deplorata  magrezza  delle  pubblicazioni  statistiche  da  ventanni  ad 
oggif  non  permette  se  non  risultati  modesti  comparativamente  agli  sforzi  ne- 
cessari; tuttavia,  neppur  questo  è  motivo  per  non  fare. 

La  demografia  italiana,  vista  traverso  a  quattro  censimenti  e  ad  un  cin- 
quantennio di  movimento  della  popolazione,  ci  ha  mostrato  cose  d*  interesse 
non  soltanto  scientifico,  ma  storico.  Che  alla  storia  appartiene  omai  questo 
breve,  ma  grande  mezzo  secolo,  il  quale  vide  comporsi  la  nostra  gente,  già 
divisa,  a  forte  compagine  unitaria;  crescere  senza  compressioni  eccessive 
della  sua  fecondità;  di  sedentaria  farsi  straordinaiiamente  migrante;  adde- 
strarsi alla  meccanica  delle  grandi  industrie  colla  versatile  genialità,  con 
cui  seppe  trattare  e  tratta  le  arti  belle.  La  quinta  rassegna  dei  cittadini 
fissata  per  TU  giugno  1911  e  associata  alla  prima  degli  opifici  e  delle 
imprese  industriali,  rivelerà  se  il  nostro  paese  può  stare  alla  pari  dei  più 
civili  per  il  desiderio  di  conoscere  se  stesso  e  per  quell'abito  di  sincerità, 
che  agevola  Tadempimento  dei  fini  della  legge  ;  se  nella  sua  progredita  cul- 
tura apprezza  l'alta  importanza  di  queste  indagini,  necessarie  per  la  sua 
storia,  utili  per  il  buon  governo  della  cosa  pubblica.  Ho  parlato  solo  degli 
italiani  entro  i  confini  politici  del  momento;  sarà  bello,  per  chi  riprenderà 
il  filo  del  discorso,  illustrare  il  valore  di  tutta  la  nazionalità  italiana,  nel- 
l'antica patria  e  fuori. 


Pag.  linea 

35  16 

54  ultima  del  1*  prosp,® 

5.)  Intestaz.  del  prosp.® 
I»  n 

n  n 

67  linea  15 


B.  Benini 

Prof,  della  K.  Voiversità  di  fiona. 

ERRATA-CORRIGE 

inveet  di 

leggati 

non  foBsero 

9.58 

Morti  per  100.000  ab. 

1879-89 

1893-901 

fossero 

95.8 

Morti  per  1.000.000  di  ab. 

1887-89 

1899-901 

avremo 

avremmo 

ma   iintfA 

TRIANGOLAZIONE  GEODETICA 
E  CARTOGRAFIA  UFFICIALE  DEL  REGNO 


LAVORI  ASTRONOfflCI,  GEODETICI  E  CARTOGRAFICI  ITALIANI 


PREFAZIONE 

Non  è  facile  svolgere  degnamente  il  tema  che  riguarda  la  triangolazione 
geodetica  e  la  Caiia  topografica  del  Begno,  i  lavori  geodetico-astronomici  com- 
piuti in  Italia  dalla  proclamazione  della  sua  unità  in  poi,  e  tutta  la  carto- 
grafia nazionale  che  sovra  essi  come  su  sicuro  fondamento  si  appoggia. 

Io  non  saprei  immaginare  un  insieme  o  più  difScile,  o  più  complesso,  o 
più  utile  di  lavori  ;  difficile,  per  le  vaste  cognizioni  scientifiche  che  esso  sup- 
pone e  per  gli  alti  problemi  della  scienza,  alla  soluzione  dei  quali  deve 
contribuire;  complesso,  per  la  serie  concatenata  e  mai  interrotta  delle  opera- 
zioni che  esso  richiede  sul  terreno  e  a  tavolino,  operazioni  di  osservazione  e 
di  calcolo,  di  disegno  geometrico  e  artistico,  di  costruzioni,  di  ricostruzioni 
e  di  riproduzioni  cartografiche,  di  incisione  e  di  fotoincisione;  utile,  per  le 
innumerevoli  applicazioni  dei  risultati  suoi  nella  vita  privata  e  pubblica,  nelle 
industrie  e  nei  commerci,  nello  studio  delle  rapide  comunicazioni  fra  regione 
e  regione,  indispensabili  ad  ogni  progresso  sociale. 

Fortuna  volle  che  in  Italia  a  tanto  lavoro  concorrere  potessero  tre  nobili 
e  forti  istituzioni:  l'Istituto  Geografico  Militare,  l'Istituto  Idrografico  e  la 
B.  Commissione  Geodetica.  Esse,  animate  da  alti  ideali  e  da  un  profondo 
sentimento  del  dovere,  pur  fra  T indifferenza  dei  più,  seppero  coordinare  le 
energie  loro  dalle  moltitudini  ignorate,  raccogliere  in  un  fascio  fecondo  le 
varie  potenzialità  loro,  e  dare  prova  manifesta  di  quella  solidarietà  di  pensiero 
e  di  azione,  che  fu  causa  efficacissima  della  nostra  risurrezione  politica  e  scien- 
tifica: mirabili  sovrattutto  nel  campo  dell'azione  gli  Istituti  Geografico  e  Idi'O- 
grafico;  modesta,  ma  efficace  per  il  consiglio  suo,  la  R.  Commissione  Geodetica. 

Sorse  quest'ultima  per  Decreto  del  Ministero  della  Istruzione  Pubblica 
nell'anno  1865,  ed  essa  doveva  tradurre  in  atto  sul  suolo  italiano  le  conven- 
zioni per  la  misura  del  Grado  medio  europeo  stabilite  a  Berlino  nell'ottobre 

Q.  Cbloria  -  GLIAMIA5:.  —  TrianQolasione  geodetica,  ecc.  1 


GIOVANNI    CELORIA    -    ERNESTO    GLIAMAS 


del  1864  dai  rappresentanti  i  paesi  da  esso  Grado  attraversati.  Io  non  credo 
che  in  quel  tempo  il  paese  nostro  fosse  interamente  preparato  alla  difficile 
intrapresar  scientifica  ;  ma  si  era  allora  nel  periodo  epico  del  risorgimento  na- 
zionale, e  gli  animi  e  le  menti  erano  dagli  alti  ideali  di  patria  e  di  italianità 
fatti  capaci  delle  più  ardite  iniziative.  Non  senza  audacia  i  fondatori  della 
nostra  Commissione  accettarono  11  per  lì  di  collaborare,  coi  paesi  più  progre- 
diti, alla  misura  del  Grado  europeo  :  ma  l'audacia  loro  fii  atto  di  civile  sa- 
pienza e  di  preveggenti  ingegni.  Rendiamo  loro  il  dovuto  plauso.  A  quella 
epoca  e  per  merito  loro,  nuovo  vigore  venne  agli  studi  nostri  geodetici  e  car- 
tografici, vigore  reso  più  intenso  e  gagliardo,  fecondato  quasi  dalle  energie 
potenti  che  in  esso  trasfuse  la  scienza  pura,  per  opera  specialmente  della 
Commissione  Geodetica  e  degli  insigni  Direttori  dei  due  Istituti  Geografico 
e  Idrografico,  i  quali  della  Commissione  furono  sempre  magna  pars. 

La  Commissione  Internazionale  per  la  misura  del  Grado  medio  europeo, 
non  seppe,  o,  meglio,  non  volle  rimanere  ligia  al  programma  chiaro  e  definito 
che  per  essa  aveva  tracciato  con  mano  sicura  il  fondatore  suo,  il  generale 
Baeyer.  Dato  il  suo  carattere  internazionale,  essa  previde  che,  ad  assicurarsi 
vita  lunga,  doveva  sacrificare  la  praticità  degli  intenti  immediati  alle  attrat- 
tive di  intenti  alti  e  lontani,  di  molto  allargando  il  campo  deirazione  sua. 
Nò  si  ingannò.  Altre  e  molte  nazioni  fecero  via  via  ad  essa  adesione,  e  presto, 
smesso  il  suo  nome  d'origine,  dovette  assumere  quello  di  Associazione  Geo- 
detica Internazionale,  che  ancora  oggi  essa  porta.  Era  sórta  proponendosi  di 
misurare  nell'Europa  Centrale  un  arco  di  meridiano  da  Palermo  a  Cristiania, 
e  già  nel  1873  essa  apertamente  annunziava  essere  scopo  suo  la  ricerca  scien- 
tifica della  figura  terrestre  in  tutta  TEuropa  e  nelle  regioni  confinanti  del- 
l'Asia e  dell'Africa,  ricerca  che,  cammin  facendo,  si  allargò  ancora,  estenden- 
dosi a  tutta  la  Terra  e  abbracciando  inoltre  i  problemi  tutti,  vari  e  difiHci- 
lissimi,  che  vi  si  collegano. 

La  Commissione  Italiana,  non  senza  qualche  esitanza,  si  associò  al  primo 
trasformarsi  della  Commissione  Internazionale,  e  nella  sua  riunione  del  1873 
dichiara  vasi  quasi  sgomenta  di  un'impresa,  che  tutti  i  giorni  andava  diventando 
più  vasta  senza  utilità  pratica  proporzionata.  Ma  la  sua  esitanza  non  durò  a 
lungo.  Con  giusta  percezione  del  vero  stato  delle  cose,  essa,  nella  medesima 
riunione  del  1873,  dichiarava,  dopo  sapiente  discussione,  di  aderire  all'am- 
pliato e  trasformato  programma  internazionale,  ma  di  aderire  entro  confini 
determinati  dalle  condizioni  di  fatto  italiane,  nessun  obbligo  preso  che  fosse 
racchiuso  entro  limiti  ristretti  di  tempo,  poiché,  aggiungeva  essa,  trattasi 
ormai  di  lavori  che  dureranno  decine  e  decine  di  anni,  e  che  foi-se,  dato  il  pro- 
gresso continuo  delle  scienze,  non  finiranno  mai.  Parole  profetiche,  le  quali 
ogni  giorno  vanno  diventando  più  e  più  conformi  alla  realtà  delle  cose. 

Per  la  deliberazione  presa,  il  campo  di  azione  della  Commissione  Geo- 
detica, dell'Istituto  Geografico  e  dell'Istituto  Idrografico,  via  via  si  ampliò. 


TRIANGOLAZIONE    GEODETICA    ECC. 


Alle  operazioni  e  ai  calcoli  di  geodesia  e  di  cartografia  propriamente  detta, 
di  astronomia  geodetica,  operazioni  e  calcoli  vennero  ad  aggiungersi  riguar- 
danti la  mareografia,  le  liyellazioni  di  precisione,  le  misure  della  gravità 
terrestre  ;  ma  pur  neirampliato  orizzonte  gli  Istituti  Geografico  e  Idrografico, 
la  Commissione  Geodetica,  seppero  coordinare  mirabilmente  la  teoria  con  la 
pratica,  le  speculazioni  e  le  ricerche  di  ordine  scientifico  con  operazioni  ispi- 
rate a  illuminata  praticità  di  intenti. 

Una  fusione  armonica  di  criterii  direttivi,  scientifici  e  pratici,  informò 
cosi  tutti  i  lavori  geodetici,  cartografici,  astronomico-geodetici  italiani,  e  diede 
loro  un  carattere  pregevolissimo  dì  precisione  e  modernità. 

LUstituto  Geografico  Militare,  l'Istituto  Idrografico,  continuando  tradi- 
zioni nobilissime,  poterono  fare  opera  sapiente  e  duratura,  compiere  un  po- 
deroso complesso  di  lavori  che  soddisfa  alle  più  alte  esigenze  scientifiche,  e  a 
un  tempo  offre  basi  sicure  alla  caiiiografia  generale  del  paese,  alle  costruzioni 
ferroviarie,  idrauliche,  marittime,  alle  misure  agricole  e  forestali,  ai  molti 
e  vari  bisogni  delle  pubbliche  amministrazioni.  Mirabile  esattezza  raggiun- 
sero i  nostri  rilevamenti  topografici  ;  e  i  lavori  catastali  italiani,  appoggiati 
come  a  saldo  fondamento  a  quelli  anteriori  geodetici,  assunsero  fin  dalla 
origine  un'impronta  di  serietà  scientifica  e  pratica  che  ne  assicura  il  successo. 

E  quando  si  vollero  studiare,  con  esperienze  rigorose,  le  migrazioni  del 
polo  sulla  superficie  della  Terra,  la  Commissione  nostra  potè  fare  sì  che  una 
delle  nove  stazioni  intemazionali  destinate  allo  studio  delle  variazioni  delle 
latitudini  terrestri  sorgesse  in  Italia,  a  Carloforte,  e  senza  jattanza  volere  che 
ad  astronomi  italiani,  non  a  stranieri,  essa  fosse  affidata. 

Né  questi  fatti  rimasero  isolati  e  senza  effetto  sul  movimento  generale 
scientifico  italiano,  poiché  le  scienze,  pur  progredendo  in  apparenza  disgiunte, 
sono  intimamente  connesse  fra  loro.  Singolarmente  audaci  e  ricche  di  stupe- 
facenti iniziative  sono  andate  esse  facendosi,  soprattutto  dacché  esse  acqui- 
starono chiara  visione  e  coscienza  di  essere  via  via  diventate  una  grande  e 
forse  la  piti  potente  delle  moderne  energie  sociali. 

Né  la  geodesia,  l'astronomia  e  le  scienze  affini  ebbero  in  questi  anni 
visione  meno  chiara  della  loro  potenzialità.  Le  moderne  ricerche  dei  geodeti 
e  degli  astronomi  e  dei  matematici,  già  hanno  in  parte  svelato  quali  siano,  o 
almeno  possano  probabilmente  essere,  le  condizioni  della  materia  nell'interno 
della  Terra;  quale  sulla  Terra  sia,  almeno  nelle  sue  grandi  linee  generali, 
l'andamento  della  forza  di  gravità.  Posto  hanno  in  piena  luce  che  questo 
guscio  terrestre  sul  quale  l'umanità  si  agita  e  vive,  è  esso  stesso  in  agita- 
zione continua,  soggetto  a  tensioni  immani  alle  quali  per  un  resto  della  pla- 
sticità sua  primitiva  esso  obbedisce,  dietro  l'azione  loro  diversamente  qua  e 
là  plasmandosi. 

Dimostrato  hanno  che  lo  stesso  guscio  terrestre  è  percorso  da  onde  inte- 
riori elastiche,  paragonabili  a  bniTasche  vastissime,  qualche  volta  terrificanti  ; 


GIOVANNI    CELORIA   -   ERNESTO   GLIAMAS 


che  esso  è  agitato  inoltre  da  brevissime  e  rapide  onde  pulsanti,  per  le  qaali 
può  a£fermarsi  che  esso,  noi  inconsci,  incessantemente  vibra  sotto  ai  nostri 
piedi.  Difficilissime  questioni,  problemi  arditissimi  ai  quali  Tltalia  nostra, 
per  opera  specialmente  delle  sue  istituzioni  scientifiche,  seppe  non  rimanere 
estranea.  Né  di  essi,  che  per  il  momento  costituiscono  più  che  altro  un  pro- 
gresso della  scienza  pura,  la  presente  Relazione,  per  Tindole  sua,  può  a  lungo 
occuparsi.  Basta  il  fugace  cenno  fattone.  Con  qualche  ampiezza  devesi  qui 
invece  rispondere  a  due  domande  :  Quale  era  lo  stato  delle  triangolazioni  e 
della  cartografìa  del  Begno  alVepoca  della  proclamazione  sua?  Quale  ne  è 
lo  stato  attuale? 

Sarebbe  stato  a  me  difficile  dare  risposta  categorica  senza  ricorrere  a 
fonti  sicure  esistenti  solo  presso  T Istituto  Geografico  Militare.  La  fortuna 
venne  però  in  aiuto  mio.  La  lunga  e  tradizionale  armonia  che  regna  fra  esso 
Istituto  e  la  Commissione  Geodetica  fece  sì  che  io  potessi  ricorrere  con  fiducia 
intera  al  Maggiore  Generale  E.  Gliamas,  Direttore  dell'Istituto  Geografico  e 
vice-Presidente  della  Commissione  Geodetica.  Non  ricorsi  invano.  Con  atto 
di  squisita  cortesia  l'insigne  Generale  e  Tlstituto  affidato  alla  sapiente  sua 
direzione,  accordatisi  meco  suirindole  del  lavoro,  sull'estensione  e  sui  titoli 
delle  diverse  sue  parti,  seppero  nelle  pagine  che  seguono  dare  risposta 
esauriente  alle  questioni  qui  poste;  e  io  ne  rendo  loro  grazie  sentite  (^). 

G.  Celoria. 

I. 

La  Cartografia  in  Italia  nel  1861.  . 

(Triangolazioni  e  cartografia  nei  singoli  Stati  avanti  la  proclamazione  del  Regno  dltalia). 

1.  Le  condizioni  della  cartografia  ufficiale  delle  varie  regioni  italiane  al 
momento  della  costituzione  del  nuovo  Begno  erano  diverse  nei  singoli  Stati, 
poiché,  mentre  taluni  possedevano  buoni  documenti  topografici,  altri  ne  difet- 
tavano quasi  in  modo  assoluto. 

Le  Provincie  continentali  del  Beame  Sardo  (Piemonte  e  Liguria)  pos- 
sedevano già  una  Carta  topografica  alla  scala  di  1 :  50.000,  di  cui  la  costru- 
zione era  stata  iniziata  dal  1830  sulla  base  di  una  regolare  triangolazione, 
0  valendosi  della  riduzione  delle  mappe  catastali,  o  utilizzando  parziali  ri- 
lievi preesistenti,  o  infine  facendo  eseguire  apposite  levate  sul  terreno. 

La  riproduzione  di  questa  Carta,  eseguita  col  processo  litografico,  fu 
incominciata  nel  1851  per  rispondere  ai  bisogni  dell'esercito  e  del  pubblico. 

(*)  La  relazione  fa  redatta  dalla  Direzione  deiristitato  Geografico  con  la  collabora- 
lione  dei  signori:  Giovanni  Paner,  tenente  colonnello  di  fanteria;  Prospero  Baglione,  te- 
nente colonnello  del  genio;  Antonio  Loperfido,  ingegnere  geodeta  capo;  Ernesto  Bnsca- 
glione,  Michele  Gatt,  Dialma  Rimbotti  e  Felice  Capponi,  topografi  capi;  Attilio  Mori,  to- 
pografo principale;  Luigi  Perego,  tenente  di  fanteria. 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA   ECC. 


Essa  doveva  constare  di  91  fogli  rettangolari,  delle  dimensioni  ciascuno  di 
metri  0,70  per  0,50. 

Il  lavoro  era  proceduto  abbastanza  celeremente,  tanto  che,  nel  1860, 
86  fogli  erano  già  pubblicati  e  solo  cinque  mancavano  ancora  al  completamento 
di  questa  Carta. 

2.  Per  le  Provincie  lombarde  e  così  pure  per  i  ducati  dell* Italia  cen- 
trale, il  granducato  di  Toscana  e  lo  Stato  Pontificio,  Tlstituto  Geografico 
Militare  dello  Stato  Maggiore  Austriaco,  che  risiedeva  a  Milano  e  che  fu  poi 
trasportato  a  Vienna,  aveva  completato  ima  serie  di  eccellenti  carte  topogra- 
fiche a  scala  unica  e  con  eguali  segni  convenzionali  ed  uguale  sistema  di 
rappresentazione  del  terreno,  tantoché  le  carte  anzidette  potevano  considerarsi 
la  naturale  prosecuzione  una  dell'altra. 

La  scala  adottata  era  stata  quella  di  una  linea  per  100  Klafter  di  Vienna, 
ossìa  di  1 :  86.400  del  vero,  e  l'orografia  vi  era  rappresentata  col  tratteggio 
a  luce  zenitale.  Quanto  alla  loro  composizione,  le  dette  carte  provenivano 
dalle  mappe  catastali  collegate  mediante  apposite  triangolazioni  e  verificate 
sul  terreno  coir  aggiunta  della  rappresentazione  orografica  fatta  per  lo  più  a 
vista  e  basata  sopra  uno  scarso  numero  di  determinazioni  altimeti'iche. 

3.  Per  risola  di  Sardegna  si  possedeva  una  Carta  topografica  generale 
alla  scala  di  1 :  50.000,  che  avrebbe  dovuto  essere  pubblicata  al  pari  di 
quella  degli  Stati  Sardi  di  terraferma,  ma  della  quale  non  era  stata  intra- 
presa ancora  la  pubblicazione. 

4.  Finalmente  per  il  Reame  Napoletano  il  Regio  OfScio  Topografico  di 
Napoli  aveva  intrapreso  sino  dal  1814  la  costruzione  di  una  Carta  topo- 
grafica del  Reame  alla  scala  di  1 :  80.000,  da  costruirsi  in  base  a  levate  sul 
terreno  eseguite  alla  scala  di  1 :  20.000  e  da  riprodursi  con  incisione  su 
rame.  Ma  i  lavori  per  la  costruzione  di  questa  Carta  procedevano  assai  a  ri- 
lento, e  gli  avvenimenti  del  1860  trovarono  che  soltanto  la  parte  geodetica 
era  stata  condotta  abbastanza  innanzi,  laddove  arretrati  erano  ancora  i  rile- 
vamenti topografici  e  quasi  appena  iniziata  la  pubblicazione  dei  fogli  incisi, 
dei  quali  solo  cinque  erano  in  corso  di  lavoro. 


II. 

Organizzazione  del  servìzio  geodetico  e  cartografico  del  Regno. 

Gran  Carta  d'Italia. 

1.  Cenni  storici.  —  L*unificazione  della  Patria  in  seguito  agli  avveni- 
menti del  1859-60,  e  la  proclamazione  del  nuovo  Regno  d'Italia  avvenuta 
nel  1861,  portarono  di  conseguenza  la  unificazione  del  servizio  cartografico 
dello  Stato,  e  Taccentramento  in  uno  solo  Istituto,  che  fu  TUfScio  Tecnico 
del  Comando  del   Corpo  di  Stato   Maggiore  dell'Esercito  Italiano.  Fu  esso 


GIOVANNI   CELORIA    -   ERNESTO   QLIAMAS 


Ufficio  Terede  e  il  continuatore  dell'Ufficio  analogo  del  Regno  Sardo,  del 
Beale  Officio  Topografico  Napoletano  (0,  nonché  dell'Ufficio  Topografico  To- 
scano; cresciuto  in  importanza,  trasformossi  in  seguito  in  una  istituzione 
autonoma  che  assunse  dapprima  il  nome  di  Istituto  Topografico  e,  successi- 
vamente, quello  di  Istituto  Geografico  Militare. 

La  storia  della  cartografia  italiana  negli  ultimi  50  anni  si  riassume 
quindi  nell'esposizione  dell'operosità  di  questo  Istituto,  completata,  per  quanto 
riguarda  il  rilevamento  idrografico  delle  coste  del  Begno,  da  quella  dell'Uf- 
ficio Idrografico  della  Regia  Marina  stabilito  in  Genova,  il  quale  di  recente 
cambiò  ancor  esso  l'antico  nome  in  quello  di  Regio  Istituto  Idrografico. 

Le  grandi  operazioni  geodetiche,  base  della  cartografia,  e  i  lavori  tutti 
dei  due  Istituti  Geografico  e  Idrografico,  assunsero  presto  fra  noi  carattere  e 
importanza  scientifica,  grazie  all'accordo  mai  venuto  meno  fra  i  due  Istituti 
e  la  Regia  Commissione  Geodetica  Italiana  istituita  pochi  anni  dopo  l'unifi- 
cazione del  Regno. 

À  dare  pertanto  un  concetto  chiaro  e  sintetico  delle  operazioni  geodetiche 
e  topografiche  eseguite  in  Italia  sino  ai  nostri  giorni,  basterà  ricordare  suc- 
cintamente l'opera  dell'Istituto  Geografico  Militare  e  della  Commissione  Geo- 
detica Italiana,  nonché  quella  dell'Istituto  Idrografico. 

2.  Uffi>cio  Tecnico  del  Comando  del  Corpo  di  Staio  Maggiore.  — 
Quale  fosse  lo  stato  della  cartografia  italiana  al  momento  della  unificazione 
del  Regno,  risulta  da  quanto  abbiamo  precedentemente  esposto.  Pressoché 
compiuta  la  Carta  del  Piemonte  ad  1  :  50.000;  estesa  sulle  Provincie  lom- 
bardo-venete e  dell'Italia  centrale  la  Carta  austriaca  ad  1:86.400;  iniziati 
appena  i  lavori  topografici  nelle  provinole  continentali  ed  insulari  dell' ex- 
Reame  delle  due  Sicilie;  compiuta,  ma  non  pubblicata,  una  Carta  topografica  ad 
1 :  50000  della  Sardegna,  per  la  quale  si  possedeva  la  buona  Gai*ta  corografica 
del  Lamarmora.  Urgeva  quindi  dare  anzitutto  mano  alla  Carta  delle  Provincie 
meridionali  del  Regno,  e  della  Sicilia  ;  ed  a  tale  effetto  il  Capo  dell'Ufficio 
Superiore  dello  Stato  Maggiore  riceveva  l'incarico  di  prender  cognizione  dello 
stato  in  cui  trovavasi  la  intrapresa  costruzione  della  Carta  topografica  napo- 
letana, e  di  proporre  i  mezzi  più  acconci  per  sollecitarne  il  compimento. 

Risultava  da  detta  inchiesta  che  dei  92.941  kmq.  ai  quali  si  raggua- 
gliava l'estensione  del  territorio  dell' ex-reame,  meno  che  V?  «  ^  ^i^^  appena 
12.420  kmq.,  erano  già  rilevati,  e  che,  per  completarla  sul  piano  già  iniziato, 
sarebbero  occorsi  ben  20  anni  di  lavoro  a  68  operatori,  con  una  spesa  adeguata. 
Proponevasi  inoltre  che,  vista  la  necessità  di  riprendere  il  lavoro,  e  dare  ad 

(*)  L*antico  Officio  Topografico  Napoletano,  con  Regio  Decreto  del  4  agosto  1861  fu 
conservato  col  suo  personale  e  nei  suoi  locai',  come  sezione  staccata  dairUfficio  Tecnico 
del  Corpo  di  Stato  Maggiore  e  poi  deiristituto  Topografico  Militare,  fino  al  1880,  anno 
in  cui  fu  definitivamente  riunito  all'Istituto  nella  sua  sede  di  Firenze. 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA   ECC. 


esso  UQ  impulso  maggiore,  si  dovessero  cambiare  il  sistema  e  la  scala  dei 
rilevamenti,  senza  con  ciò  influire  menomamente  sulla  riuscita  finale  del- 
l'opera. 

In  seguito  a  ciò  il  Ministro  della  Guerra  Generale  Della  Bovere  pre- 
sentava all'approvazione  del  Parlamento  Nazionale,  nella  seduta  della  Camera 
dei  Deputati  del  15  febbraio  1862,  un  disegno  di  legge  col  quale  veniva 
stanziata  la  somma  di  due  milioni,  ripartita  nei  bilanci  degli  anni  1862-69, 
per  la  formazione  della  Carta  topografica  delle  provinole  meridionali.  La 
Commissione  parlamentare,  riferendo  su  questa  proposta  nella  seduta  del 
20  giugno  successivo,  approvava  in  massima  la  proposta  stessa,  solo  avver- 
tendo che  si  sostituisse  la  parola  compimento  a  quella  di  formasione  della 
Carta  topografica  delle  Provincie  napoletane  e  siciliane,  perchè  non  si  credesse 
che  solo  da  allora  si  incominciassero  i  lavori  topografici  in  Napoli  e  Sicilia. 
Con  tale  modificazione  la  proposta  riuscì  approvata  dal  Parlamento  e  pro- 
mulgata come  legge  dello  Stato  con  Regio  Decreto  del  10  agosto  di  quel- 
l'anno. 

8.  Commissione  Geodetica  Italiana.  —  Mentre  si  riprendevano  nella 
isola  di  Sicilia  le  operazioni  geodetiche  e  topografiche  per  il  compimento 
della  Carta  topografica  delle  Provincie  meridionali,  veniva  creata  un'istitu- 
zione la  quale  doveva  servire  a  dare  maggiore  impulso  scientifico  alle  ope- 
razioni stesse,  volgendone  gli  intenti  a  ricerche  di  alta  geodesia. 

Nell'anno  1861,  per  iniziativa  del  generale  Baeyer,  si  iniziavano  gli  ac- 
cordi fra  i  vari  Stati  delFEuropa  centrale,  allo  scopo  di  procedere  alla  mism*a 
dell'arco  di  meridiano  che,  da  Cristiania  a  Palermo,  attraversa  l'intero  con- 
tinente europeo.  Gli  accordi  stessi  condussero  alla  costituzione  di  una  Associa- 
iione  internazionale  per  la  misura  dei  gradi  in  Europa,  la  quale  più 
tardi,  ampliando  il  proprio  programma,  cambiò  il  suo  nome  in  quello  di 
Associazione  Geodetica  Internazionale.  L'Italia  fu  tra  i  primi  Stati  ade- 
renti al  nuovo  consesso  scientifico,  e  il  professore  G.  Schiaparelli,  allora  Di- 
rettore del  B.  Osservatorio  di  Brera  in  Milano,  fu  nominato  a  rappresentarla 
in  seno  alla  Commissione  permanente  che  doveva  governare  e  dirigere  l'As- 
sociazione. Questa,  nella  sue  riunioni  tenute  a  Berlino  dal  15  al  22  ottobre 
1864,  stabiliva  il  compito  che  doveva  spettare  ai  singoli  Stati  aderenti  e  le 
norme  secondo  le  quali  i  lavori  geodetici  dovevano  venire  condotti  per  cor- 
rispondere agli  scopi  dell'Associazione. 

Una  Commissione  nazionale  venne  pertanto  eletta  dal  Ministero  della 
Pubblica  Istruzione  a  fine  di  tradurre  in  atto  sul  suolo  italiano  le  conven- 
zioni stabilite  a  Berlino.  Tale  Commissione  risultò  composta  dal  generale 
Bicci,  capo  dell'Ufficio  Superiore  di  Stato  Maggiore  dell'esercito,  presidente; 
dai  professori  A.  De  Gasparis,  G.  B.  Donati,  G.  Schiaparelli,  allora  direttori 
rispettivamente  degli  osservatori  di  Napoli,  di  Firenze,  di  Milano  ;  dal  prò- 


8  GIOVANNI   CELORIA   -    ERNESTO   GLIAMAS 

fessore  F.  Schiavoni,  professore  di  geodesia  neirex-OfiScio  Topografico  Napo- 
letano, coDserTato  con  tale  grado  nel  ricostituito  IJfBcio  Tecnico  del  Corpo 
di  Stato  Maggiore;  infine,  dal  colonnello  Ezio  De  Vecchi,  il  quale  già  aveva 
diretto  i  lavori  geodetici  iniziati  in  Sicilia. 

Nella  prima  riunione  che  la  Commissione  stessa  tenne  a  Torino  nei 
giorni  3-7  giugno  1865  (Of  venne  stabilito  il  programma  dei  lavori  che  do- 
vevansi  eseguire  in  Italia  per  rispondere  agli  impegni  internazionali  assunti. 
Si  riconobbe  perciò  l'opportunità  di  svolgere  sul  suolo  italiano  delle  catene 
di  triangoli  in  modo  da  rendere  possibili  le  misure  di  tre  archi  di  meri- 
diano e  di  tre  archi  di  parallelo.  Per  quanto  riguarda  le  altitudini,  ricono- 
scendosi che  il  suolo  italiano  poco  prestavasi  alle  livellazioni  geometriche 
raccomandate  dall'Associazione  internazionale,  fu  deciso  di  attenersi  in  mas- 
sima alla  livellazione  trigonometrica.  La  Commissione  stabilì  inoltre  un  esteso 
programma  di  osservazioni  astronomiche  per  le  determinazioni  assolute  di  la- 
titudine, di  azimut,  e  di  differenze  di  longitudine  ai  diversi  vertici  della  rete. 

Circa  poi  l'esecuzione  di  questo  vasto  programma  di  lavoro,  il  gene- 
rale Ricci,  come  capo  dell'Ufficio  Superiore  dello  Stato  Maggiore  a  cui  erano 
affidati  i  lavori  geodetici,  propose,  e  la  Commissione  approvò,  che,  essendo 
già  iniziati  i  lavori  di  triangolazione  in  Sicilia  per  la  costruzione  della  Carta 
(lavori  che  in  gran  parte  raggiungevano  l'esattezza  richiesta,  e  perciò  pote- 
vano essere  utilizzati,  con  poche  correzioni,  per  gli  scopi  dell* Associazione), 
dovessero  venir  continuate  le  osservazioni  angolari  lungo  la  meridiana  del 
Capo  Passare.  Quanto  ai  lavori  astronomici,  era  prematuro  prendere  impegni 
finché  gli  osservatori!,  ai  quali  dovevano  venire  affidati,  non  fossero  provve- 
duti degli  strumenti  occorrenti. 

Così  venne  stabilito  quel  piano  uniforme  e  coordinato  di  lavori,  atti  ad 
un  tempo  per  gli  scopi  cartografici  ai  quali  la  legge  approvata  intendeva,  e 
per  quelle  ricerche  scientifiche  alle  quali  l'Italia  aveva  deliberato  asso- 
ciarsi. 

4.  L'Istituto  Geografico  Militare,  —  L'incessante  incremento  che  an- 
davano intanto  prendendo  i  lavori  geodetici,  topografici  e  cartografici  dello 
Stato,  affidati,  come  vedemmo,  all'Ufficio  Tecnico  del  Corpo  di  Stato  Mag- 
giore, consigliava  l'opportunità  di  adibire  al  loro  disimpegno  un  ufficio  au- 
tonomo, provvisto  di  personale  proprio  e  stabile,  senza  dover  ricorrere,  come 
per  Taddietro,  all'impiego  di  ufficiali  dello  Stato  Maggiore,  dei  quali  biso- 
gnava specialmente  valersi  per  i  lavori  geodetici.  Già  la  Commissione  per 
la  misura  dei  gradi  aveva  su  ciò  richiamata  l'attenzione  del  Ministero  della 


(')  Gli  Atti  della  «  K.  Commissione  italiana  per  la  misura  dei  gradi  in  Europa  », 
detta  poi  a  R.  Commissione  geodetica  italiana»»  sono  pubblicati  nei  Processi  i;^r3a/t  delle 
diverse  riunioni  successivamente  da  essa  tenute. 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA    ECC. 


Oaerra  sino  dalla  sua  riunione  del  1867,  fonnulando  il  voto  che,  «  non  po- 
tendosi presumere  che  fra  il  personale  dello  Stato  Maggiore  si  possano  tro- 
vare tanti  indivìdui  che  abbiano  tutte  le  doti  e  i  requisiti  necessari  per  tal 
genere  di  lavori  geodetici,  senza  dìstrarli  da  altri  lavori  inerenti  al  Corpo, 
fosse  autorizzato  il  Comando  Generale  dello  Stato  Maggiore  ad  aumentare 
il  numero  degli  ingegneri  geograti,  dando  a  questi  una  destinazione  stabile 
ed  esclusivamente  diretta  alla  parte  scientifica  «  (').  À  questo  voto  il  Mini- 
stero non  potò,  per  ragioni  finanziarie,  aderire  subito  ;  ma  esso  parve  entrare 
in  questo  concetto  allorché,  con  B.  Decreto  del  27  ottobre  1872,  venne  fon- 
dato ristituto  Topografico  Militare. 

Nella  relazione  del  Ministro  della  Guerra  generale  Ricotti,  che  precede  il 
testo  del  B.  Decreto,  dicevasi  infatti  che  Tinsufficienza  del  personale  civile, 
costituito  di  soli  topografi  addetti  all'Ufficio  Tecnico  del  Corpo  di  Stato  Mag- 
giore, rendendo  necessaria  la  destinazione  quasi  permanente  di  molti  ufficiali 
dello  Stato  Maggiore  presso  l'Ufficio  Tecnico,  con  non  lieve  pregiudizio  della 
loro  istruzione  dal  punto  di  vista  militare,  si  sarebbe  potuto  rimediare  a 
tale  inconveniente  trasformando  l'Ufficio  Tecnico  del  Corpo  di  Stato  Mag- 
giore in  un  Istituto  separato  dal  Corpo  stesso,  provvisto  di  personale  proprio, 
atto  ai  lavori  di  ufficio  e  ad  un  tempo  a  quelli  di  campagna,  geodetici  e 
topografici,  col  quale  surrogare  in  questa  bisogna  gli  ufficiali  di  Stato  Mag- 
giore. Così  veniva  decretata  la  costituzione  di  un  Istituto  Topografico  Mili- 
tare sotto  Talta  direzione  del  Comando  generale  del  Corpo  di  Stato  Mag- 
giore, il  cui  incarico  essenziale  doveva  essere  quello  di  eseguire  i  lavori  geo- 
detici e  topografici  pei  bisogni  militari  dello  Stato.  Il  testo  del  decreto  stesso 
stabiliva  poi  la  ripartizione  dei  diversi  servizi,  nonché  il  numero  e  le  attri- 
buzioni del  personale. 

A  sede  del  nuovo  Istituto  Topografico,  che  10  anni  più  tardi  cambiava 
il  suo  nome  in  quello  più  vasto  e  comprensivo  di  Istituto  Geografico  Mili- 
tare, fu  prescelta  la  città  di  Firenze  ove  già  aveva  sede  l'Ufficio  Tecnico 
del  Corpo  di  Stato  Ms^giore,  del  quale  esso  Istituto  era  il  continuatore  e 
l'erede.  Il  generale  Ezio  De  Vecchi,  già  capo  dei  lavori  geodetici  in  Sicilia, 
ne  fu  il  primo  direttore,  e,  sotto  la  guida  sua  e  sotto  quella  del  suo  succes- 
sore generale  Annibale  Ferrerò,  il  quale  per  sette  anni  continuò  a  dirigerne 
i  lavori  secondato  dall'opera  del  colonnello  Leopoldo  De  Stefanis,  l'Istituto 
salì  via  via  ad  un  alto  e  meritato  grado  di  riputazione. 

5.  Legge  per  la  Carta  d'Italia  al  100.000  —  I  lavori  per  la  costru- 
zione della  Carta  topografica  delle  provincie  meridionali  volgevano  oramai 
al  loro  termine.  Per  soddisfare  alle  esigenze  del  momento,  e  in  attesa  che 


(^)  Processo  verbale  delle  sednte  della  Commissione  Italiana  per  la  misura  dei  gradi. 
(Seconda  rianione  tenuta  in  Firenze  il  17  e  il  18  settembre  1867). 


10  GIOVANNI    CELORIA    -   ERNESTO   GUAMAS 


la  Carta  stessa  fosse  ultimata,  l'UfiScìo  Tecnico  del  Corpo  di  Stato  Maggiore 
aveva  intanto  iniziato  sino  dal  1869,  e  Tlstitato  condotto  poi  a  compimento 
nel  1874,  la  costruzione  della  Carta  corografica  delle  provincie  stesse  alla 
scala  di  1 :  250.000,  profittando  dell'antica  Carta  del  Bizzi-Zannoni  riveduta 
e  rifatta  già  dagli  austriaci,  riconosciuta  sul  terreno  negli  anni  1868-69 
dal  nostro  Stato  Maggiore,  e  svecchiata  per  la  parte  che  riguarda  la  rete 
stradale. 

Era  però  già  sorto  il  proposito  di  ridurre  alla  scala  di  1 :  100.000  le 
levate  originali  di  campagna,  e  di  costruire  per  tal  modo  una  Carta  topogra- 
fica artisticamente  finita  delle  provincie  meridionali,  Carta  che  in  progresso 
di  tempo  avrebbe  potuto  costruirsi  anche  per  le  rimanenti  parti  del  Regno, 
utilizzando  il  materiale  topografico  esistente,  ovvero  procedendo  a  nuovi  ri- 
levamenti. 

Rendevasi  infatti  sempre  più  palese  l'inferiorità  in  cui  si  trovavano,  por 
rispetto  alla  topografia,  le  provincie  settentrionali  e  centrali  del  Regno  di 
fronte  a  quelle  meridionali. 

Fino  dal  1871  era  stata  ultimata  la  pubblicazione  della  Carta  del  Pie- 
monte :  ma,  da  una  parte,  la  mancanza  in  essa  delle  curve  altimetriche  e  lo 
scarso  fondamento  geometrico  a  cui  essa  poggiavasi,  la  rendevano  inservi- 
bile per  gli  scopi  civili,  ai  quali  molto  giovavano  invece  le  nuove  levate 
delle  Provincie  meridionali  alla  scala  di  1 :  50.000  ;  e  d'altra  parte,  la  poca 
esattezza  nella  rappresentazione  dell'alta  montagna  ove,  mancando  i  catasti, 
il  rilievo  era  stato  fatto  quasi  esclusivamente  a  vista,  la  rendevano  ineffi- 
cace per  gli  scopi  militari. 

Peggiori  ancora  erano  le  condizioni  delle  provincie  Lombardo-Venete  e 
dell'Italia  centrale,  perchè  la  Carta  austriaca  ad  1 :  86.400,  ai  difetti  propri 
di  quella  piemontese,  aggiungeva  la  minore  scala  di  riduzione  ed  il  fatto 
che  la  proprietà  stessa  della  Carta  apparteneva  ad  uno  Stato  straniero  il  quale 
ne  conservava  i  rami. 

Bisognava  dunque  pensare  ad  estendere  a  tutte  le  altre  provincie  le  le- 
vate intraprese  e  condotte  ormai  quasi  a  compimento  nelle  provincie  dell' ex- 
reame delle  Due  Sicilie,  e,  sulla  scorta  di  quelle,  addivenire  poi  alla  costru- 
zione di  una  Carta  artisticamente  finita,  alla  scala  ridotta  di  l  :  100.000, 
come  già  era  stata  proposta  per  le  provincie  meridionali. 

Un  disegno  di  legge  per  autorizzare  la  spesa  occorrente  venne  pertanto 
presentato  al  Parlamento  Italiano,  nella  seduta  della  Camera  dei  Deputati  del 
3  febbraio  1875,  dal  Ministro  della  Guerra  generale  Ricotti.  La  spesa  stessa 
era  preventivata  in  4.400.000  lire,  ripartibile  in  vari  anni.  Ragioni  di  bilancio 
consigliarono  di  impegnarsi  per  soli  quattro  esercizi,  e  cioè  per  gli  anni 
1875-78,  per  i  quali  fu  assegnata  una  spesa  di  650.000  lire.  Secondo  la  Re- 
lazione ministeriale  che  accompagnava  il  disegno  di  legge,  le  norme  da  se« 
guirsi  per  la  costruzione  di  questa  Carta,  che  saranno  in  seguito  esposte,  erano 


TRIANGOLAZIONE   OBODETICA   EOO.  H 

fratto  degli  studi  e  delle  indagini  di  apposita  Commissione.  Circa  alla  scala 
delle  levate  ,  che  per  la  Carta  delle  Provincie  meridionali  era  stata  quella 
uniforme  di  1 :  50.000  (salvo  pochissime  eccezioni),  il  disegno  ministeriale 
stabiliva  che  dei  118  fogli  interi  della  Carta  che  ancora  dovevano  rilevarsi, 
93  fossero  rilevati  ad  1 :  50.000,  e  25  ad  1 :  25.000,  adottando  quest'ul- 
tima scala  di  rilievo  per  i  dintorni  delle  grandi  città,  per  la  pianura  del 
Po,  ed  in  genere  per  le  regioni  militarmente  piìi  importanti  e  più  dense  di 
particolari  topografici.  La  Commissione  parlamentare  incaricata  dell'esame  di 
quel  disegno  di  legge  (^),  ne  approvò  integralmente  le  proposte,  che  furono 
ampiamente  esaminate  e  chiarite  nella  Relazione  da  essa  presentata  al  Par- 
lamento nella  seduta  del  18  maggio  1875.  Discussa  ed  approvata  dalla  Ca- 
mera dei  Deputati  nelle  sedute  del  2  e  3  giugno  di  quell'anno,  e  successi- 
vamente presentata  al  Senato  e  da  questo  pur  approvata  nelle  sedute  del  23- 
27  giugno  1875,  la  legge  stessa  venne  finalmente  promulgata  il  29  giugno. 

Tre  anni  dopo,  essa  riceveva  il  suo  complemento  in  una  nuova  disposi- 
zione legislativa  per  la  quale  venivano  aumentati  gli  stanziamenti  dei  fondi 
occorrenti,  e  ciò  per  la  necessità  in  cui  lo  Stato,  e  per  esso  Tlstituto,  si 
trovava,  di  fare  acquisto,  mediante  lo  sborso  di  lire  150.000,  del  diritto  di 
proprietà  del  procedimento  di  riproduzione  fotomeccanica  sistema  Avet,  e  per 
la  opportunità  inoltre  di  estendere  molto  più  di  quello  che  era  stato  già 
preveduto,  i  rilevamenti  alla  scala  di  1 :  25.000,  scala,  oltreché  dalle  esigenze 
militari,  consigliata  anche  dalle  continue  richieste  delle  altre  amministrazioni 
dello  Stato. 

Cosi  l'Istituto,  a  partire  dal  1876,  terminate  ormai  le  operazioni  di  ri- 
levamento nelle  Provincie  meridionali,  poteva  iniziarle  pur  anco  nelle  altre 
Provincie  del  Regno  (*). 

Prima  però  di  accennare  allo  sviluppo  delle  operazioni  per  il  rileva- 
mento del  territorio  dello  Stato  e  per  la  costruzione  della  Carta  topografica 
del  Regno,  e  prima  di  ricordare  le  altre  principali  produzioni  cartografiche 
alle  quali  l'Istituto  attese  negli  ultimi  50  anni,  giova  agli  intenti  della  pre- 
sente pubblicazione  ricordare  brevemente  la  serie  dei  lavori  astronomici  e 
geodetici  che  di  tali  operazioni  costituiscono  il  fondamento  scientifico  e  che, 
nel  periodo  di  tempo  considerato,  furono,  cosi  dalla  Commissione  per  la  misura 
dei  gradi  (poi  detta  R.  Commissione  geodetica)  come  dall'Istituto  Topografico 
(detto  poi   Istituto  Geografico),  continuati  con  particolare  alacrità. 

(1)  Composta  dei  Deputati  Bertele- Viale,  presidente  ;  Biancardi,  segretario  ;  San  Mar- 
iano, Morra,  Corbetta,  Mazza,  Marselli,  Zanolini;  Gandolfi,  relatore. 

(*)  Per  sopperire  alle  necessità  del  momento,  fa  pubblicata  una  nuova  edizione  della 
antica  Carta  piemontese  dopo  averne  eseguita  una  ricognizione  generale,  e  fu  altresì  pub- 
blicata, col  consenso  del  Governo  austriaco,  una  riproduzione  ingrandita  ad  1  :  75.000  della 
sua  Carta  del  Lombardo-Veneto  e  dellltalia  centrale,  riconosciuta  ancor  essa  sul  terreno 
negli  anni  1874-76. 


12  GIOVANNI    CELORIA   -   ERNESTO   GLIAMAS 


III. 

Lavori  geodetico-astronomici  esegaitì  dal  1861  al  1911. 

1.  Cenni  storicL  —  I  lavori  geodetici  compiati  daU'UflScio  Tecnico 
del  Comando  del  Corpo  di  Stato  Maggiore  e  poi  dall'Istituto  nel  periodo 
decorrente  dal  1861  al  1911,  dovevano  contribuire  alle  ricerche  che  la  geo- 
desia aveva  intrapreso  in  modo  sistematico  nel  1865,  proponendosi  non  tanto 
di  determinare  le  costanti  di  un  ellissoide  la  cui  superficie  si  adattasse  bene 
a  quella  della  Terra,  quanto  piuttosto  di  costruire  il  profilo  geoidico  di 
una  data  regione  della  Terra  stessa. 

Prima  del  1865,  epoca  a  cui  risale  l'istituzione  dell* Associazione  Geo- 
detica Internazionale  e  della  Commissione  Geodetica  Italiana,  nelle  varie  re- 
gioni d'Italia  si  era  già  proceduto  a  misure  di  precisione  che  consentissero 
rindagine  del  Geoide  rispetto  a  quella  superficie  di  riferimento,  analoga  al 
Geoide  medesimo,  determinata  da  Bessel  fino  dal  1846,  che  da  lui  prende 
il  nome  di  ellissoide  di  Bessel,  e  che,  nel  suo  complesso  ed  in  prima  ap- 
prossimazione, rappresenta  la  Terra  in  gi*andezza  e  forma. 

Fino  dal  1859  l'Officio  Topografico  di  Napoli  aveva  intrapreso  misure 
di  basi  geodetiche  con  l'apparato  bimetallico  di  Bessel  ed  eseguito  deter- 
minazioni assolute  delle  coordinate  geografiche  in  vari  punti  dell'antico  Regno 
di  Napoli.  L'Officio  Topografico  Napoletano  infatti  —  per  competenza  geo- 
detica dei  suoi  ufficiali  e  dei  suoi  ingegneri  geografi,  due  dei  quali,  Fedele 
Amante  e  Federigo  Schiavoni,  sono  stati  efficaci  divulgatori  della  geodesia 
in  Italia  —  aveva  raggiunto,  prima  ancora  del  1859,  tale  una  organizza- 
zione, così  nella  parte  scientifica  come  nella  parte  cartografica,  da  meritare 
l'alta  stima  degli  Istituti  congeneri  delle  altre  nazioni. 

Nell'enumerare  i  lavori  geodetici  compiuti  dal  1861  al  1911,  senza 
prescindere  dall'epoca  in  cui  vennero  eseguiti,  sarà  opportuno  accennare 
prima  alle  misure  lineari,  poi  a  quelle  angolari  e,  in  ultimo,  alla  misura 
degli  elementi  che  fissano  la  posizione  sulla  superficie  della  Terra  delle  re- 
gioni in  cui  tali  lavori  vennero  compiuti,  ossia  delle  coordinate  geografiche 
assolute  e  dell'azimut.  In  ultimo,  sarà  fatta  menzione  dei  collegamenti  geo- 
detici, i  quali,  mentre,  come  risultato  immediato,  portano  al  paragone  delle 
nostre  triangolazioni  con  quelle  degli  Stati  finitimi  e  delle  nostre  triangola- 
zioni nel  continente  e  nelle  isole,  mirano  essenzialmente  a  conferire  ai  lavori 
geodetici  di  triangolazione  quella  continuità  geometrica  occorrente  per  la 
misura  di  archi  terrestri. 

2.  Misure  lineari  ed  angolari  per  la  triangolazione  di  primo  or- 
dine, —  La  prima   base   geodetica    fu  misurata  nel  1859-60  sul  Tavoliere 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA    ECC.  13 

delle  Paglie  allo  scopo  di  poter  calcolare  le  dimensioni  lineari  di  tutta  la 
triangolazione  compresa  fra  il  parallelo  di  Napoli  e  quello  di  Bari,  ossia  delle 
triangolazioni  riguardanti  la  Campania,  il  Principato  Citeriore,  la  Basilicata 
e  la  Terra  di  Bari. 

Nel  1862,  allo  intento  di  costruire  una  pianta  topografica  della  città  di 
Napoli,  venne,  dairOflScio  Topografico  di  Napoli,  —  già  diventato  Officio  to- 
pografico italiano,  ma  rimasto  ancora  nell'antica  sede,  —  misurata,  presso  la 
città,  una  piccola  base  geodetica  valendosi  dell'apparato  di  Bessel. 

Negli  anni  successivi,  e  sempre  neir  intendimento  di  giovare  agli  scopi 
scientifici  della  geodesia,  vennero  misurate  le  basi  di  : 

Catania  (1865),  nella  valle  del  Simeto,  per  la  triangolazione  della  Sicilia. 

Crati  (1871),  a  sud  di  Buffaloria  (Sibari),  per  la  triangolazione  della  Ca- 
labria. 

Lecce  (1872),  per  la  triangolazione  della  penisola  Salentina  e  le  reti  di 
collegamento  alVÀlbania. 

Udine  (1873),  per  la  triangolazione  del  Veneto,  contigua  a  quella  austriaca. 

Somma  (1878),  per  la  triangolazione  del  Piemonte,  della  Liguria  e  della 
Lombardia. 

Ozieri  (1879),  per  la  triangolazione  della  Sardegna. 

Il  generale  A.  Ferrerò,  in  una  comunicazione  presentata  alla  conferenza 
dell'Associazione  Geodetica  Internazionale  del  1880,  dimostrava  come'si  po- 
tesse a  priori  determinare  non  soltanto  la  precisione  angolare  di  una  rete 
geodetica,  ma  altresì  quella  lineare,  la  quale  ha  maggiore  importanza  per  le 
ricerche  di  alta  geodesia.  L'illustre  generale,  relativamente  alla  precisione 
lineare,  concludeva  inoltre  che  le  basi  geodetiche,  in  una  triangolazione 
avente  forma  continua  ed  estendentesi  sopra  una  vasta  regione,  come  quella 
deiritalia,  dovevano  essere  distribuite  alla  distanza  di  circa  400  km.  Tuna 
dall'altra. 

Precisamente  per  tutto  ciò  la  Commissione  Geodetica  Italiana  riconobbe 
la  necessità  di  misurare  un'altra  base  in  Italia,  fra  Somma  e  Foggia.  Il 
luogo  prescelto  fu  una  pianura  a  levante  di  Piombino,  e  su  questa,  sempre 
coll'apparato  bimetallico  di  Bessel,  venne,  nel  1895,  eseguita  la  misura  di 
una  base  geodetica. 

Oltre  a  queste  basi,  il  cui  errore  relativo  oscilla  intorno  ad  un  milio- 
nesimo della  loro  lunghezza,  a  giustificare  quanto  già  si  disse,  che  cioè  anche 
prima  del  1865  in  varie  parti  d'Italia  emno  già  stati  intrapresi  lavori  di 
alta  geodesia,  giova  ricordare  la  base  di  Simini  misurata  dal  Boscovich, 
quella  di  S.  Pietro  in  Grado  misurata  dal  P.  Inghirani  e  quella  di  Roma 
misurata  dal  P.  Secchi  con  l'apparato  di  Porro,  nonché  la  base  di  Somma 
misurata  dagli  astronomi  di  Brera,  e  gli  altri  lavori  fatti  dai  medesimi  nel 
1827  per  determinare  un  arco  del  parallelo  medio  terrestre. 


14  GIOVANNI   CBLORIA   -   ERNBSTO   GLIAMAS 


Come  per  la  misura  delle  basi,  così  per  le  misure  ai^olari  concernenti 
le  triangolazioni  fondamentali,  cioè  quelle  che  dovefano  portare  il  diretto 
contributo  alle  misure  di  archi  terrestri,  si  procedette  dal  sud  verso  il  nord. 
La  triangolazione  di  primo  ordine  della  Sicilia  venne  eseguita,  infatti, 
dal  1863  al  1865;  quella  di  Calabria,  Capitanata  e  Basilicata,  dal  1867 
al  1870;  e  cosi  successivamente  fino  al  1879,  nel  quale  anno  venne  ese- 
guita la  triangolazione  di  Sardegna  e  terminata  quella  dell'Italia  settentrio- 
nale, ad  ovest  del  meridiano  di  Milano. 

Se  non  che,  quando  si  trattò  di  constatare,  per  tutta  la  triangolazione 
italiana  del  continente  e  delle  isole,  la  continuità  nella  sua  figura  e  nelle 
sue  dimensioni,  a  causa  della  compensazione  angolare  eseguita  isolatamente 
zona  per  zona,  si  manifestarono,  ai  contini  delle  varie  reti  dipendenti  dalle 
basi  fondamentali,  delle  contraddizioni  lineari,  le  quali  dovevano  attribuirsi 
in  gran  parte  agli  errori  nelle  misure  angolari,  e  non  già  a  quelli  relativi 
alla  misura  delle  basi  stesse. 

Fu  precisamente  Tesarne  di  tali  contraddizioni  che  condusse  in  questi 
ultimi  anni  la  B.  Commissione  Geodetica  Italiana  alla  decisione  di  far  ripe- 
tere le  misure  angolari  in  tutte  le  triangolazioni  dell'Italia  meridionale,  a 
partire  dal  parallelo  di  Boma;  e  tale  lavoro,  iniziato  nel  1904  con  la  revi- 
sione della  rete  di  ingrandimento  della  base  di  Foggia,  ebbe  termine  nel- 
l'anno 1909. 

3.  Determinazioni  astronomiche  e  misure  gravimetriche,  —  Le  deter- 
minazioni delle  coordinate  geografiche,  mediante  osservazioni  di  stelle,  risal- 
gono al  1874,  nel  quale  anno  vennero  eseguite  misure  di  latitudine  e  di 
azimut  a  Monte  Mario  (Eloma),  airUfficio  Topografico  di  Napoli,  a  Termoli 
ed  a  Lecce.  Misure  congeneri  sono  state  fatte  nell'anno  1875  a  Li  Foi  ed  a 
Castanea  delle  Furie,  e  fu  su  questo  punto  che  venne  orientato  Tellissoide 
di  Bessel  per  il  calcolo  delle  coordinate  geodetiche  di  tutta  la  triangolazione 
della  Sicilia. 

Mentre  la  stazione  di  Li  Foi,  quella  di  Termoli  e  quella  di  Pachino 
(eseguita  nel  1876)  dovevano  essere  utilizzate  nella  misura  di  un  arco  di 
meridiano  dell'Europa  centrale  passante  per  Termoli,  la  stazione  di  Lecce 
era  stata  eseguita  all'unico  scopo  di  fissare  sulla  superficie  della  Terra  la 
base  geodetica  fondamentale,  e  per  ciò  appunto  venne  scelto  a  centro  di  os- 
servazione uno  degli  estremi  della  base  stessa. 

Analoghe  determinazioni  vennero  in  seguito  eseguite  in  varie  altre  lo- 
calità d'Italia  e  dall'Istituto  Geografico  Militare,  e  da  diversi  Osservatori 
astronomici,  e  dai  singoli  professori  di  geodesia  delle  Università  italiane,  e 
dall'Istituto  Idrografico.  Ma  piuttosto  che  accennare  a  particolari,  ed  in  con- 
siderazione del  loro  maggiore  contributo  alle  ricerche  di  alta  geodesia,  sarà 
qui  più  utile  far  menzione  di  quelle  speciali  stazioni  astronomiche,  chiamate 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA    ECC.  15 

"         -  -  —  , 

Fanti  di  Laplace,  nelle  quali  furono  eseguite  determinazioni  di  latitudine, 
di  longitudine  e  di  azimut.  Dal  1870  al  1896  vennero  determinati  ben  17 
dì  questi  punti,  e  cioè:  due  in  Sicilia,  due  nell'Italia  meridionale,  uno  a 
Soma  (sul  Monte  Mario),  due  in  Toscana,  uno  a  Bologna,  uno  a  Genova,  sei 
distribuiti  fra  Torino,  Milano  e  Padova,  intorno  cioè  al  parallelo  medio,  e 
finalmente  due  in  Sardegna.  Questi  ultimi  due  punti,  insieme  con  quelli  di 
Genova,  Milano  e  Crea,  potranno  essere  utilizzati  per  definire  il  profilo  del 
geoide  nel  bacino  del  Tirreno,  quando  sarà  stato  eseguito  il  collegamento 
geodetico  della  Sardegna  alla  Liguria,  attraverso  la  Corsica. 

Ora,  il  rilevamento  del  geoide  lungo  un  arco  terrestre,  o  lungo  più  archi 
uscenti  da  uno  stesso  punto,  può  essere  ottenuto  in  modo  approssimato,  pre- 
scindendo cioè  dal  difetto  di  parallelismo  delle  superficie  di  livello,  ovvero 
in  modo  rigoroso,  tenendo  conto  deiraccennato  difetto.  Nel  primo  caso,  le 
linee  di  forza,  lungo  le  quali  vengono  valutate  le  altitudini  dei  punti,  sono 
rettilìnee  ;  nell'altro,  invece,  devono  essere  considerate  nella  loro  forma,  con- 
cava verso  il  polo  :  e  perciò  V  Istituto  Geografico,  nel  fare  eseguire  la  livella- 
zione geometrica  di  precisione,  ebbe  anche  cura  di  iniziare,  nel  1895,  le 
determinazioni  relative  della  gravità  lungo  le  linee  stesse  di  livellazione, 
senza  le  quali  è  impossibile  l'esatto  apprezzamento  delle  ondulazioni  del 
geoide  rispetto  all'ellissoide.  Precisamente  a  questo  scopo  vennero  iniziate, 
fino  dal  1907,  misure  di  latitudine  e  di  azimut  in  Toscana  per  determinare 
in  modo  esatto  il  rilevamento  del  geoide  per  tutta  la  media  valle  dell' Amo. 

Misure  gravimetriche  congeneri  sono  state  fino  ad  ora  eseguite  anche  in 
Piemonte  dal  prof.  C.  Aimonetti,  in  Liguria  per  cura  dell'  Istituto  Idrogra- 
fico, nel  Napoletano  dal  prof.  G.  Cicconetti,  in  Calabria  dal  prof.  A.  Ricco, 
in  Sicilia  dal  prof.  A.  Venturi,  e  sulle  coste  dell'Adriatico  per  cura  del  ge- 
nerale B.  von  Stemeck. 

Queste  misure  relative  di  gravità,  sono  naturalmente  riferite  alle  sta- 
zioni fondamentali,  cioè  ai  punti  nei  quali  esistono  misure  assolute  della 
gravità  stessa,  di  Padova  (prof.  G.  Lorenzoni),  e  Roma  (proff.  E,  Pucci  e 
G.  Pisati). 

4.  Livellazione  di  precisione^  e  servizio  mareografico.  —  Le  livella- 
zioni di  precisione,  iniziate  in  Italia  solo  dal  1876  con  alcuni  lavori  ese- 
guiti a  tìtolo  di  esperimento  sotto  la  direzione  del  prof.  Oberholtzer,  per 
incarico  della  Commissione  Geodetica  Italiana,  furono  dal  1878  completa- 
mente proseguite  dall'Istituto  Geogra6co,  il  quale  ha  utilizzato  i  risultati 
delle  livellazioni  stesse  in  tutti  i  suoi  lavori  cartografici  per  meglio  definire 
le  forme  del  terreno  rappresentato  con  curve  orizzontali. 

Ora,  in  analogia  a  quanto  venne  fatto  per  dedurre  le  dimensioni  lineari 
delle  reti  geodetiche,  bisognava  stabilire  opportune  origini  delle  altitudini 
ortometriche;  e  vennero  perciò  utilizzati  gli  elementi  geometrici  della  marea 


16  GIOVANNI   CELORIA    -    ERNESTO   GLIAMAS 

forniti  dal  Genio  Civile,  il  quale  aveva  avuto  cura  di  collocare  sulle  coste 
italiane  appositi  strumenti  registratori.  Nel  1896  il  servizio  mareografico, 
che  ha  per  scopo  il  dedurre  elementi  plausibili,  sia  di  natura  geometrica  — 
e  perciò  utilizzabili  per  Taltimetria  —  sia  di  natura  nautica,  venne,  per  ini- 
ziativa della  B.  Commissione  Geodetica  Italiana  e  della  Direzione  delllstituto 
Geografico,  assunto  dall'Istituto  Geografico  stesso,  in  seguito  ad  una  convenzione 
intervenuta  fra  il  Ministero  dei  Lavori  Pubblici  ed  il  Ministero  della  Guerra. 

Fino  a  tutto  Tanno  1909  la  livellazione  geometrica  di  precisione  è  stata 
estesa  per  tutta  Tltalia  continentale,  fatta  eccezione  della  penisola  Salentina. 
Furono  eseguite  livellazioni  le  quali  si  estendono  a  linee  poligonali  che  nel 
loro  insieme  misurano  8.500  chilometri  circa,  livellati  a  doppio.  I  risultati 
per  sole  29  linee  sono  già  stampati  in  22  fascicoli  della  pubblicazione  «  Li- 
vellazione di  precisione  «,  che  comprende  anche  il  fascicolo  P,  intitolato: 
«  Elementi  della  rete  altimetrica  fondamentale  » .  Ogni  fascicolo  comprende 
una  0  più  linee. 

Presto  la  livellazione  di  precisione  sarà  estesa  anche  alle  isole  di  Sar- 
degna e  di  Sicilia,  e  ciò  anche  perchè  la  Regia  Commissione  Geodetica  Ita- 
liana intende  oramai  di  svolgere  opportunamente  in  Italia  e  di  estendere  le 
ricerche  sulla  gravità  relativa,  di  maniera  che  esse  riescano  a  costituire  un 
sistema  di  determinazioni  fondamentali,  atte  a  contribuire  efficacemente  alle 
varie  e  importanti  ricerche  della  geofisica  e  della  geologia  dinamica. 

Le  nostre  livellazioni  sono  state  anche  collegate  a  quelle  della  Francia, 
della  Svizzera  e  dell*  Austria  ;  e  si  può  dire  che  i  confronti  stabiliti  sui  capi- 
saldi di  confine  (^),  per  le  tenui  discordanze  che  ne  risultano,  hanno  messo 
in  luce  la  grande  precisione  che  viene  conseguita  in  lavori  di  tal  genere. 

5.  Collegamenti  geodetici.  —  Risultati  non  meno  favorevoli,  per  quel 
che  riguarda  la  loro  importanza  e  precisione,  si  ottennero  anche  relativamente 
alle  triangolazioni,  collegandole: 

a)  alla  rete  geodetica  austriaca,  al  confine  orientale  ; 

b)  alla  rete  della  Dalmazia  attraverso  T Arcipelago  delle  Curzolari; 
e)  alla  rete  dell'Albania,  direttamente  dalla  penisola  Salentina; 

d)  alla  triangolazione  della  Svizzera; 

e)  alle  triangolazioni  della  Francia,  sì  al  confine  occidentale  che  nella 
Tunisia. 

Allo  scopo  di  misurare  elementi,  necessari  da  una  parte  al  prolunga- 
mento del  meridiano  dell'Europa  centrale,    dall'altra  al  prolungamento  del 

(^)  I  principali  capisaldi  della  livellazione  di  precisione  ai  confini  sono  i  seguenti: 
Confine  svizzero  —  Gran  S.  Bernardo,  Gondo,  Sempione,  Passo  dello  Spinga. 
Conpine  austriaco  —  Borghetto,  Pontebba,  Strasoldu. 
Confine  francese  —  Ponte  S.  Luigi,    Colle  di  Tenda,    Colle   dell'Argenterà,    Passo  del 

Moùginevra,  Galleria  del  Fréjus,  Passo  del  Moncenisio,  Piccolo  S.  Bernardo. 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA   ECC.  17 

meridiano  di  GenoTa,  T Istituto  Geografico,  dietro  iniziativa  della  Commissione 
Geodetica  Italiana  e  dietro  accordi  con  essa  presi,  procedette  nel  1900  al  col- 
legamento geodetico  della  Sìtilia  alle  isole  Maltesi,  e,  nel  1902,  al  collega- 
mento dell' Arcipelago  Toscano  alla  Sardegna.  Costituiscono,  questi  collegamenti, 
due  fra  i  piìi  importanti  lavori  geodetici  del  tempo  nostro.  Le  misure  ango- 
lari concementi  i  medesimi  vennero  eseguite  di  notte,  servendosi,  per  le  colli- 
mazioni, di  proiettori  lenticolari  a  luce  ossi-acetilenica  studiati  dall' illustre 
generale  Faini  per  conto  della  Regia  Commissione  Geodetica  Italiana;  proiet- 
tori che  possono  essere  adoperati  con  successo,  così  come  Tesperienza  ha  già 
dimostrato,  a  distanze  maggiori  di  200  chilometri,  tale  appunto  essendo  la  mas- 
sima lunghezza  dei  lati  considerati  nelle  due  accennate  reti  di  collegamento. 

Ora,  per  utilizzare  gli  elementi  geodetici  occorrenti  tanto  al  calcolo  di 
un  arco  di  meridiano  quanto  a  quello  di  un  arco  di  parallelo,  allo  scopo 
di  definire  un  ellissoide  locale  per  le  varie  regioni  dellltalia  o  per  tutto  il 
territorio  italiano,  occorreva  eliminare  le  discordanze  angolari  e  lineari  che 
si  manifestano  inevitabilmente  fra  gli  accennati  elementi.  Di  questo  impor- 
tante problema  si  occuparono,  tanto  la  direzione  dell'Istituto  Geografico, 
quanto  la  Commissione  Geodetica:  e  l'Istituto,  il  quale  aveva  già  compiuto 
la  compensazione  angolare  delle  varie  reti,  ha  dovuto  poi  applicare  alle  varie 
reti  compensate  quel  criterio  che,  soltanto  per  ragioni  di  economia  di  lavoro, 
era  stato  trascurato  nelle  compensazioni  puramente  angolari,  e  cioè  le  con- 
dizioni imposte  dall'invariabilità  in  lunghezza  delle  basi  geodetiche  fonda- 
mentali. In  questo  modo  fu  ottenuto  il  riordinamento  definitivo  di  tutta  la 
rete  geodetica  a  nord  del  parallelo  di  Roma  e  di  quella  della  Sardegna,  uti- 
lizzando anche  il  collegamento  del  1902. 

Partendo  quindi  da  una  delle  basi  delle  rete  geodetica  italiana,  si  può 
ora  ricadere  sopra  un'altra,  senza  che  ne  risulti  alcuna  contraddizione,  cal- 
colando col  metodo  di  Legendre  i  triangoli  contigui  interposti. 

Seguendo  criterii  e  procedimenti  identici  si  sta  ora  compensando  e  rior- 
dinando definitivamente  le  reti  dell'Italia  meridionale  e  quella  della  Sicilia. 

6.  Superficie  del  Regno.  —  Per  la  costruzione  della  grande  Carta  di 
Italia  alla  scala  di  1 :  100.000,  vennero  utilizzati  gli  elementi  geodetici 
provvisorii,  e  inoltre  gli  elementi  delle  reti  ausiliarie  o  secondarie,  nonché 
quelli  che  dedurre  si  possono  dalla  triangolazione  di  dettaglio.  La  gran  Carta 
d'Italia  è  rappresentata  nella  proiezione  naturale,  la  quale  è  un  caso  parti- 
colare della  proiezione  di  Benne,  e  a  base  di  essa  sta  ancora  un  reticolato 
geografico  generale,  il  quale  rappresenta  un  quadro  d'insieme  di  tutti  i 
fogli  della  Carta  stessa,  e  servì  inoltre  mirabilmente  nella  valutazione  della 
superficie  del  Regno. 

Ogni  foglio  della  Carta  d'Italia  rappresenta  infatti  un  rettangolo  sferoi- 
dico  limitato   dadue  meridiani  distanti  fra  loro  di  30'  e  da  due  paralleli  di- 

0.  Celoria  -  Gliamàs.  —  Triangolazione  geodetica,  ecc.  2 


18  GIOVANNI   CELORIÀ   -   ERNESTO   OLIAMAS 

stanti  di  20':  e  Tarea  della  superficie  del  Regno  rimane  così  definita  dalla 
somma  delle  aree  dei  vari  rettangoli  sferoidici,  ciascuna  valutata  con  le 
regole  di  Goldino,  e  dalla  somma  delle  aree  delle  porzioni  di  terreno  non 
completamente  occupanti  i  detti  rettangoli  ;  aree,  le  quali  si  ottennero  con  una 
integrazione  meccanica,  e  precisamente  mediante  il  planimetro  polare  di 
Amsler. 

Il  calcolo  tanto  importante  della  superficie  del  Begno,  fu  diretto  dal- 
l'illustre  colonnello  De  Stofanis,  più  sopra  già  ricordato:  risulta  dal  mede- 
simo la  superficie  totale  del  Begno  uguale  (le  acque  interne  comprese),  ri- 
dotta al  livello  del  mare,  a  chilometri  quadrati  286.588,3  ±  chilometri 
quadrati  1 , 2  (0* 

IV. 
Lavori  topografici  eseguiti  dal  1861  al  1911. 

L  Triangoloiioni  secondarie  e  livelloiioni  trigonometriche.  —  Poiché 
la  triangolazione  principale  coi  suoi  vertici  (punti  di  P  ordine),  da  sola  non 
avrebbe  potuto  offrire  che  un  ìnsufBciente  numero  di  punti  (lati  di  60-80  fan. 
circa)  sui  quali  appoggiare  il  rilevamento  del  terreno,  si  inserirono,  nella 
rete  geodetica,  punti  a  minor  distanza  Tuno  dall'altro,  collegandoli  fira  loro 
ed  ai  vertici  principali  in  modo  da  formare  un'altra  rete  continua  (triango- 
lazione di  2°  ordine),  della  quale  si  calcolarono  gli  elementi  geometrici  de- 
rivandoli da  quelli  della  rete  principale  (lati  di  40  km.  circa). 

Tenuto  conto  della  precisione  relativa  dei  lati  della  rete  fondiunentale, 
quella  dei  lati  della  triangolazione  del  2°  ordine  può  ritenersi  di  un  ses- 
santamillesimo. 

Oltre  ai  «  punti  di  secondo  ordine  « ,  si  determinarono  anche  altri  «  punti 
di  8^  ordine  e  di  4®  ordine  (punti  di  dettaglio)  > ,  rispondenti  alle  esigenze 
del  rilievo  al  50.000  ed  essenzialmente  al  25.000.  Questi  punti  non  costi- 
tuiscono una  veiti  e  propria  rete  continua,  perchè  furono  determinati  ecce- 
zionalmente con  triangoli  chiusi,  e  generalmente,  o  per  intersezione,  ovvero 
a  e  vertice  di  piramide  »,  dai  punti  di  1®  e  di  2^  ordine. 

I  punti  di  2%  di  3^  e  di  4^  ordine  costituiscono  i  vertici  delle  «  trian- 
golazioni secondarie  * . 

L'errore  relativo  alla  distanza  lineare  fra  due  qualunque  dei  «  punti 
di  dettaglio  >  si  può  ritenere  di  un  decimillesimo  ;  opperò  la  precisione  che 
si  raggiunge  nella  loro  determinazione  è  sufBciente  per  appoggiarvi  un  rile- 
vamento da  eseguirsi  con  la  tavoletta  pretoriana. 


0)  Istituto  Geografico  Militare.  Superficie  del  Regno  (VJtalia  valutata  nel  1884. 
Edizione  1897. 


TRIANGOLAZIONE    GEODETICA   ECC.  19 

Le  quote  altimetriche  che  interessano  le  triangolazioni  secondarie,  sono 
state  determinate  con  una  «  livellasione  trigonometrica  ^ ,  pure  opportuna- 
mente collegata  ai  capisaldi  della  livellasione  geometrica;  ciò  che  può 
assicurare  una  soddisfacente  precisione  anche  per  tutti  i  lavori  della  inge- 
gneria civile  in  rapporto  ai  progetti  di  massima. 

In  n^fione  di  45  a  60  punti  trigonometrici  necessarii  per  il  rilevamento 
al  50.000  del  terreno  compreso  in  un  foglio  della  carta  d*  Italia,  e  di  180 
a  200  per  il  corrispondente  rilevamento  al  25.000,  il  lavoro  di  determina- 
zione è  ammontato  a  circa  30.000  punti  trigonometrici. 

Su  tale  lavoro  si  sono  appoggiate  le  operazioni  più  tardi  iniziate  per 
la  costruzione  del  nuovo  catasto  del  R^no. 

La  pubblicazione  dei  risultati  numerici  (longitudine,  latitudine  e  alti- 
tudine) della  triangolazione,  venne  iniziata  nel  1880  per  fascicoli  (^)  corri- 
spondenti ai  singoli  fogli  della  carta  d'Italia,  corredati  colle  indicazioni 
monografiche  e  i  disegni  prospettici  dei  singoli  punti,  e  recanti  anche  le 
coordinate  polari  (distanze  ed  angoli)  e  le  correzioni  dovute  alla  compensa- 
zione delle  osservazioni  originali. 

In  questo  modo  si  pubblicarono,  sino  al  1896,  gli  elementi  di  78  fogli 
della  carta  d'Italia  al  100.000. 

A  partire  dal  1897,  nello  scopo  di  accelerare  questa  pubblicazione,  si 
è  posto  mano  ad  un'edizione  provvisoria  ridotta,  la  quale  contiene,  oltre  le 
indicazioni  monografiche  dei  singoli  punti  col  loro  disegno  prospettico,  le 
sole  coordinate  geografiche  dei  punti  stessi,  e  cioè  latitudine,  longitudine  ed 
altitudine,  eliminando  le  coordinate  polari  e  le  indicazioni  delle  variazioni 
apportate  dalla  compensazione.  Apposite  istruzioni,  ripetute  in  ciascun  fiisci- 
colo,  servono  ad  indicare  come  si  possono  ricavare  dalle  coordinate  geogra- 
fiche, le  coordinate  polari. 

I  fiuscicoli  così  preparati  e  sinora  pubblicati,  riguardano  62  fogli  della 
Carta  d'Italia,  oltre  i  78  di  cui  sopra  è  cenno:  l'Istituto  però  possiede  i 
fiiscicoli  manoscritti  degli  elementi  di  tutti  gli  altri  188  fogli  della  Carta 
predetta,  e  compila,  a  richiesta,  appositi  stralci  di  tali  fascicoli. 

2.  Levate  topografiche  con  la  tavoletta  e  col  tacheometro,  —  Il  ma- 
teriale cartografico  esistente  nei  varii  Stati  italiani  all'epoca  della  fondazione 
del  Regno,  non  poteva,  per  la  sua  eterogeneità,  venire  utilizzato  per  la  co- 
struzione di  un'  unica  Carta.  Diverso  ne  era  il  grado  di  precisione  :  le  scale 
ne  erano  diversissime  :  difforme  era  il  modo  di  rappresentare  il  terreno. 

Provveduto,  subito  dopo  il  1859,  ad  una  sistemazione  provvisoria  della 

(')  latitato  Geografico  Militare.  Fascicoli  degli  elementi  geodetici  dei  punti  oontC' 
ntUi  nei  fogli  della  carta  d'Italia.  Ogni  fascicolo  riunisce  gli  clementi  dei  pnnti  conte- 
nati  in  1,  2,  3,  sino  a  6  fogli. 


20  GIOVANNI   CELORIA   -   ERNESTO  GLIAUAS 


cartografia  nell'alta  e  media  Italia  con  la  formazione  di  una  Carta  corografica 
al  600.000,  per  la  quale  si  usufruì  del  materiale  esistente,  urgeya  proce- 
dere alla  formazione  di  una  Carta  per  le  provincie  meridionali  e  la  Sicilia. 

A  ciò  provvide,  come  si  è  già  detto,  il  disegno  di  legge  presentato  dal 
Ministro  della  Guerra,  generale  Della  Rovere,  nel  1862. 

La  scala  adottata  per  la  costruzione  della  nuova  Carta  fu  di  1 :  50.000, 
e  ad  essa  vennero  perciò  ridotte  le  poche  levate  sino  allora  compiute  negli 
Abruzzi,  nei  dintoiiii  di  Napoli  ed  in  Sicilia.  La  rappresentazione  orografica 
doveva  OHsere  eseguita  col  sistema  delle  curve  di  livello,  tracciate  coirequi- 
distanza  di  10  metri;  e,  per  il  sistema  di  proiezione  nel  quale  la  Carta  do- 
veva essere  sviluppata,  fu  conservato  quello  di  Benne,  assumendo  sempre 
come  origine  delle  coordinate  1*  intersezione  del  meridiano  passante  per  TOs- 
servatorio  astronomico  di  Capodimonte  con  il  40®  parallelo.  La  Carta  stessa 
sarebbe  risultata,  così,  composta  di  174  fogli  rettangolari,  delle  dimensioni 
di  metri  0,50  per  OJO,  corrispondenti  a  25  Km.  di  altezza  per  17,5  Km. 
di  lunghezza. 

Quanto  ai  lavori  geodetici  ai  quali  le  levate  dovevano  appoggiarsi,  non 
vi  era  che  da  continuare  le  regolari  triangolazioni  iniziate  già,  come  ve- 
demmo, tanto  nelle  Provincie  continentali  deirex-Reame,  quanto  in  Sicilia. 
I  lavori  relativi  furono  intrapresi  prima  ancora  che  la  legge  venisse  promul- 
gata; e  così,  sino  dal  dicembre  1861  venne  iniziata,  sotto  la  direzione  del 
colonnello  Ezio  De  Vecchi,  la  triangolazione  della  Sicilia,  che  fu  ultimata 
nel  1865,  e  nello  stesso  anno  furono  pure  incominciate  le  levate,  compiute 
nell'estate  del  1868. 

Per  la  esecuzione  delle  levate  di  campagna  venne  adottato  il  rileva- 
mento topografico  regolare  con  la  «  tavoletta  pretoriana  >  combinata  con  la 
diottra  a  canocchiale  :  il  prototipo  degli  strumenti  pei  rilevamenti  grafici  è 
in  ispecie  adatto  a  quelli  per  uso  militare,  inquantochè  permette  di  comporre 
e  disegnare  (a  matita)  la  intera  levata  in  presenza  del  terreno  e  con  un  grado 
di  precisione  consono  a  quello  del  graficismo. 

Questi  primi  rilevamenti  furono  eseguiti  da  ufficiali  di  Stato  Maggiore 
e  da  provetti  ingegneri  del  Genio  Civile. 

Ultimati  i  rilievi  in  Sicilia,  si  proseguirono  nelle  Provincie  meridionali, 
ad  eccezione  di  una  limitata  zona  ai  confini  fra  l' ex-Reame  delle  Due  Sicilie 
e  Tei  Stato  Pontificio,  per  la  quale  vennero  invece  riconosciuti  e  quotati  i 
preesistenti  rilievi  al  20.000  dell*  Officio  Topografico  di  Napoli  e  ridotti 
alla  scala  di  1:50.000. 

Il  complesso  lavoro  del  rilevamento  delle  Provincie  meridionali  venne 
compiuto  nel  1876,  cioè  dopo  quindici  anni  dall*  inizio,  anziché  nel  tempo  pre- 
visto di  otto,  senza  però  superare  la  spesa  stabilita. 

Talune  circostanze,  alle  quali  non  furono  estranei  gli  avvenimenti  mi- 
litari del  1866  e  del  1870,  protrassero  il  termine  deir  ingente  lavoro,  che 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA    ECC.  21 

meritò  lusinghieri  giudizi.  A  buon  diritto  potevasi  affermare  che  nessun* altra 
regione  d*  Europa  possedeva  una  carta  fondata  su  documenti  migliori  e  con- 
cretati con  maggiore  rapidità  e  precisione  e  con  minore  spesa. 

L'opera  compiuta  fn  invero  tanto  più  meritevole  di  considerazione,  ove 
si  ponga  mente  all'intelligente  attività  spiegata  dal  Corpo  di  Stato  Mag- 
giore, che  la  diresse,  e  alle  gravi  difScoltà  e  ai  disagi  superati  dagli  ope- 
ratori, vuoi  per  Tasprezza  di  talune  regioni,  vuoi  per  i  pericoli  ai  quali  furono 
esposti  nel  gruppo  della  Sila,  allora  infestato  dal  brigantaggio,  vuoi  infine 
per  l'insidia  della  malaria  nella  nuda  regione  del  Tavoliere. 

Nel  1876,  essendosi  adottata  la  proiezione  policentrica,  i  fogli  sopra 
detti  vennero  trasformati  dalla  proiezione  primitiva  in  quella  naturale  e 
ridotti  alle  dimensioni  d^li  attuali  quadranti,  opportunamente  rìdisegnan- 
doli  a  penna. 

Con  l'adozione  della  nuova  proiezione  si  considerò,  a  riguaido  delle 
levate  di  campagna,  diviso  il  foglio  in  quattro  quadranti  per  le  levate  al 
50.000  e  in  sedici  tavolette  per  le  levate  al  25.000. 

Mentre,  da  principio,  in  ogni  quadrante  o  tavoletta,  le  coordinate  rettan- 
golari dei  punti  trigonometrici,  calcolate  con  le  formule  della  proiezione 
policentrica,  furono  riferite  al  centro  del  foglio  al  100.000,  vennero  in  se- 
guito riferite  al  centro  di  ciascun  quadrante  o  tavoletta. 

Durante  la  esecuzione  dei  rilievi  nelle  provincie  meridionali,  veniva 
utilizzata  in  quelle  settentrionali  la  Carta  preesistente  delle  provincie  di 
terraferma  del  Regno  di  Sardegna  alla  scala  di  1:50.000,  opperò  furono 
iniziate  nel  1874  le  ricognizioni  in  quella  zona  da  parte  degli  ufBciali  del- 
l'Istituto  Topografico  Militare,  di  recente  costituito. 

Senonchè,  la  mancanza,  in  detta  Carta,  di  curve  altimetriche,  e  lo  scarso 
fondamento  geometrico  su  cui  essa  poggiavasi,  la  rendevano,  già  fu  detto, 
inservibile  per  gli  scopi  civili,  pei  quali  invece  tanto  corrispondevano  le 
nuove  levate  delle  provincie  meridionali.  Nò  migliori  erano  le  condizioni 
della  cartografia  nelle  provincie  Lombardo-Venete  e  dell'Italia  centrale, 
perchè  per  le  Carte  austriache  all'  86.400,  ai  difetti  della  minore  scala  e 
dell'imperfetto  fondamento  geometrico,  si  aggiungeva  l'inconveniente  della 
mancanza  dei  rami,  come  già  si  disse,  posseduti  da  un  governo  straniero, 
il  quale  anche  conservava  il  diritto  di  privativa  per  la  riproduzione. 

Allo  scopo,  quindi,  di  estendere  a  tutte  le  altre  provincie  le  levata 
ormai  condotte  a  compimento  nell'Italia  meridionale,  venne  approvato  dal 
Parlamento,  sul  principio  del  1875,  il  progetto  di  legge  (Ricotti)  per  la 
costruzione  dei  118  fogli  della  Carta,  che  ancora  erano  da  rilevare,  dei  quali, 
98  dovevano  essere  prodotti  al  50.000,  e  25  al  25.000.  Quest'  ultima  scala 
di  rilievo  veniva  applicata  ai  dintorni  delle  grandi  città  (come  già  si  era 
fatto  per  Roma  e  Firenze),  alla  pianura  del  Po  e  alle  regioni  militarmente 
più  importanti. 


22  GIOVANNI   GELORIA   -   ERNESTO   GLIAMAS 

Nel  1877  fu  rilevata  la  zona  a  cavaliere  deirAppenniDO,  fra  Piacenza 
e  Spezia. 

Nel  1878  i  lavori  procedettero  attorno  alle  Alpi  Apuane,  nella  cam- 
pagna romana  e  attorno  a  Genova. 

Oli  anni  1879  e  1880  furono  impiegati  nei  rilievi  delle  provinole  di 
Lucca  e  Genova,  compresa  tutta  la  riviera  di  ponente.  In  Piemonte  furono 
compiute  le  levate  da  Drenerò  a  Gesana. 

Nei  successivi  anni  1881  e  1882,  mercè  Tesperienza  acquistata  dai 
mappatori,  la  produzione  dei  lavori  salì  a  17.000  Kmq.  e  furono  fatti  ri- 
lievi nel  Parmigiano,  nel  Modenese,  in  Toscana,  nel  gruppo  del  Monte  Bianco 
e  nel  Vercellese. 

Nell'anno  1883  procedettero  sollecite  le  levate  nelle  Provincie  di  Siena, 
di  Grosseto  e  di  Novara. 

Nel  biennio  1884-1885  venne  rilevato  tutto  il  versante  meridionale 
del  Monte  Rosa,  TArcipelago  della  Maddalena  e  una  zona  lungo  il  meri- 
diano di  Bormio. 

L'infierire  del  colera  nel  1886  turbò  il  procedimento  dei  lavori;  tut- 
tavia, anche  in  quelFanno,  venne  rilevata  una  superficie  di  4.000  Kmq.  fra 
Peschiera  e  Schio. 

Estesi  rilievi  in  provincia  di  Sondrio,  nella  Lombardia  e  nel  Veneto, 
la  lagima  compresa,  furono  eseguiti  nel  quadriennio  1887-1890. 

Mentre  nel  1891  e  1892  si  compievano  i  rilievi  nel  Veneto,  si  inizia- 
vano anche  quelli  delle  Marche  e  dell'Umbria. 

I  tre  anni  decorrenti  dal  1892  al  1895  vennero  impiegati  nel  comple- 
tamento delle  zone  che  rimanevano  da  rilevare  nel  continente,  dopo  le  quali 
furono  intraprese  le  levate  in  Sardegna  che  durarono  fino  al  1900. 

Nel  1902,  col  rilievo  dell'isola  di  Montecristo,  ebbero  definitivamente 
termine  le  levate. 

L'opera  di  rilievo  era  ultimata  :  ma  le  necessità  che  consigliarono  fino 
dairinizio  l'adozione  di  una  maggiore  scala  per  talune  zone  più  impor- 
tanti, si  andarono  man  mano  estendendo  a  quasi  tutto  il  territorio  na- 
zionale. 

Infatti,  il  consolidarsi  della  situazione  politica  provocò  l'incremento 
di  tutte  le  forme  di  attività,  rendendo  sempre  più  manifesto  il  biseco  di 
una  rappresentazione  particolareggiata  del  terreno,  sia  per  lo  studio  della 
difesa  nazionale,  sia  per  l'elaborazione  di  progetti  di  dettaglio  di  opere  idrau- 
liche, idroelettriche,  ferroviarie  e  stradali. 

Indice  di  queste  necessità  sono  le  Carte  in  uso  presso  la  Francia,  l' In- 
ghilterra e  le  nazioni  più  progredite,  che  posseggono  in  gran  parte  i  rilievi 
al  10.000. 

II  turismo,  gli  stndii  geologici,  i  cartogrammi  a  scopo  scientifico,  sono 
pure  causa  del   diffondersi  della  cartografia  a  grande  scala. 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA   ECC.  ^ 

Per  le  ragioni  anzidette,  le  levate  al  25.000  hanno  a  mano  a  mano  so- 
stituito i  precedenti  rilievi  al  50.000  (legge  del  1878),  fino  a  coprire,  oggi, 
una  superficie  che  supera  i  due  terzi  del  territorio  nazionale. 

Da  prima  si  provvide  alle  regioni  nelle  quali  più  erano  intense  l'agri* 
coltura  e  T  industria. 

Nel  1902  e  1903  si  procedette  al  rinnovamento,  alla  scala  del  25.000, 
del  territorio  ligure  e  di  quello  contermine  piemontese  che  già  era  stato 
rilevato  al  50.000. 

Altrettanto  fu  praticato  nel  triennio  1903-1906  a  vantaggio  delle  re- 
gioni del  lago'  Maggiore,  del  lago  d'Iseo,  della  Lunigiana  e  dei  dintorni 
di  Firenze.  In  complesso  furono  allestite  70  nuove  tavolette. 

Sia  per  addestrare  il  personale  al  rilevamento  numerico,  sia  per  sosti- 
tuire metodi  più  celeri  e  moderni  nelle  speciali  levate  a  grande  scala,  ven- 
nero eseguiti,  nel  1903,  nei  dintorni  di  Firenze  (Galluzzo),  dei  rilievi  nu- 
merici alla  scala  di  1:10.000,  Scendo  uso  del  tacheometro  Salmoiraghi  e 
del  rapportatore  Paganini. 

Fra  i  parziali  rilievi  merita  di  essere  menzionato  quello,  di  particolare 
interesse  scientifico,  del  cono  vesuviano,  eseguito  dopo  la  grande  eruzione 
che  funestò  la  regione  nella  primavera  del  1906. 

Da  quest'epoca  fino  ad  oggi,  mentre  ancora  pochi  operatori  sono  impie- 
gati a  rilevare  al  25.000  quelle  zone  delle  quali  già  esistono  i  fogli  al 
50.000  in  ordine  alla  loro  importanza  militare  e  industriale,  l'opera  del- 
r  Istituto  è  intesa  a  tenere  al  corrente  le  levate  mediante  frequenti  perio- 
diche ricognizioni  (vedasi  §  YIII). 

Tanto  i  rilievi  quanto  le  ric(^izioni  vengono  ad  essere  facilitati,  ora 
più  che  per  il  passato,  da  tutti  gli  elementi  che  il  catasto,  le  ferrovie,  le 
amministrazioni,  gli  uffici  tecnici  ed  i  privati  possono  fornire.  Così  l' Istituto 
Geografico  si  vale  della  preziosa  opera  di  quello  Idrografico  per  ricavare 
dalle  Carte  di  questo  (le  più  rettificate)  i  movimenti  che  subisce  la  linea 
di  costa  e  per  inserire,  a  mano  a  mano,  nelle  proprie  tavolette  costiere,  le 
curve  batometriche  di  2,  5,  10  e  20  metri. 

Per  tale  modo,  la  reciproca  cooperazione  fra  le  varie  istituzioni  statali 
va  intensificandosi,  con  rilevante  beneficio  della  cultura  e  dell'economia  na- 
zionale. 

Sembrerebbe  che  l'attività  dell'Istituto  dovesse  diminuire  dopo  la  co- 
stituzione della  gran  Carta  al  100.000  ;  per  contro,  essa  diviene  più  intensa, 
sollecitata  com'  è  dalle  urgenze  che  annualmente  si  manifestano  da  parte  di 
privati  e  di  ammistrazioni  civili,  per  non  parlare  di  quelle  d' indole  militare. 

Oltre  la  cartografia  coloniale  e  la  produzione  di  Carie  derivate,  di  cui 
si  fa  cenno  in  altri  capitoli,  si  ponga  mente  alle  necessità  che  si  accentuano 
nei  grandi  centri.  Firenze,  Venezia,  Roma  e  Messina,  ad  esempio,  in  questi 
ultimi  anni,  hanno  commissionato  all'  Istituto  il  rilievo  della  città  e  dintorni 


24  GIOVANNI   CELORIA   -    ERNESTO   GLIAMA8 

a  grande  scala  (1:5.000)  per  soddisfare  alle  esigenze  del  loro  rapido  pro- 
gredire, sia  per  preordinare  con  piano  regolatore  lo  sviluppo  edilizio,  sia 
per  la  conveniente  utilizzazione  delle  aree,  per  Tordinamento  dei  servizi, 
per  la  distribuzione  delle  acque,  ecc. 

Tali  rilievi  furono  naturalmente  preceduti  dalla  misurazione  di  una 
base  e  da  un  conveniente  rafSttimento  di  rete.  Per  queste  levate  venne 
usato  il  procedimento  numerico  (tacheometro  Salmoiragbi),  ed  in  parte  la  ta- 
voletta pretoriana. 

Ormai,  la  cartogitifia,  presa  a  sussidio  di  ogni  forma  di  attività,  va 
estendendo  ogni  giorno  più  i  suoi  beneficii,  rendendo  vieppiù  intensa  Topera 
di  questo  Istituto. 

3.  Levate  topografiche  col  fototeodolite.  —  Le  impervie  regioni  di 
frontiera,  coperte  di  estesi  ghiacciai,  nelle  quali  il  rigore  del  clima  rendeva 
difScile  il  prolungato  soggiorno,  non  potevano  essere  rilevate  col  metodo  or- 
dinario, se  non  a  prezzo  di  forti  disagi  e  di  un  rilevante  sacrificio  di  tempo 
e  di  denaro.  Pertanto,  la  Direzione,  ancora  prima  del  1878,  sollecitò  il 
comm.  Pianini  di  perfezionare  gli  strumenti  che  già  si  studiavano  in 
Francia,  per  modo  da  consentire  il  loro  pratico  uso  nel  rilievo  fotogram- 
metrico. 

Gli  studi  furono  coronati  da  felice  esito,  affermato  questo  dal  primo 
grande  saggio  fatto  col  rilievo  fotogrammetrico  delle  cave  marmifere  di  Co- 
lonnata (Carrara)  alla  scala  dell' 1:25.000  (anno  1878). 

Fu  di  poi,  fra  gli  anni  1880  e  1885,  eseguito  il  rilievo  della  Serra 
dell'Argenterà,  la  più  elevata  cresta  delle  Alpi  Marittime,  nonché  il  rilievo  al 
50.000  del  gruppo  del  Gran  Paradiso. 

Negli  anni  successivi  1887-1888,  furono  compilati  due  quadranti  dei 
fogli  6  e  7,  «  Passo  di  Spinga  «;  nel  1890,  il  Monte  Cervino,  del  gruppo 
del  Monte  Bosa;  e  finalmente,  per  non  citare  che  i  principali,  il  M.  Viso 
nel  1907-1908. 

Una  brillante  applicazione  avrà  in  seguito  la  fototopografia  ogniqual- 
volta arditi  viaggiatori  si  spingeranno  in  regioni  inesplorate,  a  forti  altitu- 
dini. Così,  nella  recente  spedizione  di  S.  A.  B.  il  Duca  degli  Abruzzi,  al- 
l'Himalaia,  con  i  preziosi  elementi  dalla  spedizione  raccolti  nel  suo  breve 
soggiorno,  potè'  essere  concretato  lo  schizzo  del  ghiacciaio  di  Baltoro,  corre-' 
dato  da  panorami:  documenti  tutti  di  alto  valore  scientifico-geografìco. 

Come  si  è  accennato,  spetta  all'ingegnere  Paganini  il  merito  di  avere 
inventato  strumenti  pratici  per  ritrarre  dei  panorami,  con  precisa  determi- 
nazione del  punto  di  vista,  e  per  ricavare  l'esatta  posizione  e  l'altimetria  dei 
punti  della  prospettiva  con  operazioni  materiali  speditive,  riducendo  al  mi- 
nimo le  operazioni  di  calcolo. 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA    ECC.  25 


V. 

Allestimento  della  gran  Carta  d'Italia  al  100.000  a  tratteggio 
e  successiva  sua  trasformazione  in  cromo. 

1.  Idee  generali.  —  In  conformità  della  legge  29  giugno  1875,  per  la 
costrnxione  della  Carta  topografica  d*Italia  alla  scala  di  1  :  100.000  (v.  §  II) 
fa  seguito  il  sistema  di  proiezione  naturale  o  policentrica,  limitando  l'am- 
piezza dei  fogli  entro  trapezi  rettilinei  aventi  per  base  lo  sviluppo  di  30'  di 
arco  di  parallelo  e  l'altezza  corrispondente  allo  sviluppo  di  20'  di  arco  di 
meridiano. 

Fu  inoltre  stabilito  di  pubblicare  di  questa  Carta  fondamentale  una  edi- 
zione in  nero,  con  orografia  a  curve  di  livello,  aventi  l'equidistanza  di  50 
in  50  metri,  e  tratteggio  a  luce  mista,  artisticamente  finita. 

Nel  sistema  di  proiezione  prescelto,  ciascun  foglio  risulta  di  forma  tra- 
pezia  isoscele  e  costituisce  una  Carta  topografica  indipendente.  Le  lunghezze 
dei  lati  furono  limitate  a  quelle  indicate,  non  solo  perchè,  senza  errore  grafico 
sensibile,  i  lati  stessi  si  possono  considerare  rettilinei  (che  anzi  potrebbero 
essere  anche  maggiori),  ma  perchè  si  volle  limitare  l'ampiezza  dei  fogli,  per 
possibilità  e  precisione  di  riproduzione  fotomeccanica  e  per  comodità  di  lettura. 

La  Carta  al  100.000  risulta  composta  di  272  fogli  (ai  quali  si  devono 
aggiungere  altri  6  comprendenti  il  titolo,  i  segni  convenzionali,  i  cenni  sulla 
formazione  della  Carta  e  l'elenco  delle  posizioni  geografiche  e  delle  altitudini 
dei  punti  trigonometrici);  è  compresa  tra  36^40'  e  46^20'  di  latitudine  boreale, 
e  fra  6®  est  e  6^  ovest  di  longitudine  dal  meridiano  di  Roma  (Monte  Mario), 
scelto  come  meridiano  d'origine. 

2.  Compilazione.  —  La  compilazione  dei  fogli  viene  fatta  alla  scala  di 
1 :  75.000,  allo  scopo  di  poter  disporre  di  maggiore  spazio  per  introdurre  i 
particolari  più  importanti  del  terreno  e,  soprattutto,  per  trarre  partito  del 
miglioramento  intrinseco  del  disegno,  che  si  ottiene  passando  ad  una  giusta 
riduzione  dell'originale  mediante  le  riproduzioni  fotonieccaniche. 

Tali  fogli  risultano  dalla  riunione  dei  rilievi  topografici,  i  quali,  come 
si  è  già  detto,  sono  limitati  dai  meridiani  e  paralleli  centrali  dei  fogli  stessi. 
Per  formare  quindi  uno  di  questi  fogli,  occorrono  4  quadranti  (rilevati 
al  50.000)  0  16  tavolette  (rilevate  al  25.000). 

Col  procedimento  di  riproduzione  fotozincografico  si  stampano  le  copie 
dei  rilievi  in  colore  azzurro-cobalto  molto  leggero,  cercando  di  mantenere 
le  dimensioni  meglio  che  sia  possibile.  Queste  copie  passano  agli  ìncai'icati 
di  eseguire  l'operazione  detta  di  spoglio,  che  consiste  nel  ripassare  in  nero 
tutte  le  linee,  o  segni,  che  si  vogliono  mantenere  sulla  Carta  al  100.000. 


26  GIOVANNI  CELORIA   -   ERNESTO  GLIAMAS 

Lo  spoglio  è  dunque  importantissimo  per  l'esattezza  che  richiede  ;  Tiene 
eseguito,  sui  dati  fomiti  da  coloro  che  hanno  rile?ato  il  terreno  al  25.000 
0  50.000,  da  impiegati  provetti,  che  sanno  commisurare  il  numero  dei  parti- 
colari da  conservare  alla  loro  importanza  relativa  e  allo  spazio  disponibile 
alla  scala  del  100.000. 

Con  la  successiva  riduzione  fotozincografica  al  75.000  dei  quadranti  e 
delle  tavolette  di  spoglio,  non  solo  si  ottengono  i  rilievi  ridotti  alla  scala 
voluta  pel  disegno,  ma  si  raggiunge  la  eliminazione  di  tutti  i  particolari 
non  necessari  al  100.000;  perchè  tutto  ciò  che  è  disegnato  in  azzurro-co- 
balto, non  si  riproduce  fotograficamente. 

Dai  tipi  così  ottenuti  si  stampano  delle  copie  su  una  qualità  di  carta 
che  è  detta  da  trasporto;  la  quale  ha  la  proprietà  che  se  calcata,  quando 
è  ancora  fresca  della  stampa,  sopra  un  piano  di  sostanza  atta  alle  operazioni 
litografiche  (pietra,  zinco,  alluminio),  conserva  un'impronta  che  può,  mediante 
un  trattamento  appropriato,  utilizzarsi  per  una  buona  stampa  lit(^rafica. 

Le  copie  da  trasporto  sopra  indicate,  vengono  disposte  sopra  un  apposito 
foglio  sul  quale  è  stato  preventivamente  tracciato  il  reticolato  geografico  e 
fissata,  mediante  le  coordinate,  la  posizione  dei  vart  punti  trigonometrici, 
valendosi  della  trasparenza  della  carta  per  far  collimare  le  linee  ed  i  punti 
corrispondenti. 

Per  questa  parte  di  lavoro,  denominata  puntatura,  sono  necessarie  molte 
avvertenze  per  la  delicatezza  delle  copie,  e  molto  scrupolo  per  raggiungere 
la  necessaria  esattezza  di  collimazione.  Essa  richiede  im  giusto  criterio  topo- 
grafico, per  concordare  ed  eliminare  le  discrepanze  grafiche,  dovute  quasi 
sempre  a  coefBcenti  indipendenti  dalla  esattezza  e  precisione  dei  rilievi. 

Il  foglio  cos)  approntato,  è  consegnato  ai  torcolieri-litografi,  i  quali,  con 
le  operazioni  necessarie,  lo  calcano  sopra  pietra,  zinco  od  alluminio,  secondo 
è  richiesto,  con  molte  avvertenze,  per  non  alterare  le  dimensioni. 

Dal  tipo  ottenuto  si  stampa  accuratamente  una  copia,  su  di  uno  stagio- 
nato e  ben  calandrato  cartone  da  disegno,  in  tinta  leggera  azzunro-cobalto. 
Questa  copia  è  quella  che  viene  consegnata  agli  artisti  topografi  i  quali, 
come  diremo,  procedono  al  disegno  artistico  del  foglio  al  75.000,  e  che  prende 
il  nome  di  «  foglio  modello  «. 

8.  Disegno,  —  Allorché  l'Officio  Topografico  dell'ex-Beame  di  Napoli 
si  fuse  con  1*  Ufficio  Tecnico  del  Corpo  di  Stato  Maggiore,  occorse  di  coor- 
dinare le  due  scuole  artistiche,  per  raggiungere  un  metodo  uniforme  di  arte 
topografica  ;  il  che  fu  conseguito  assai  bene. 

Nel  1875  vennero  preparati  i  saggi  dei  segni  convenzionali  da  adottarsi 
per  rappresentare  tutti  i  singoli  particolari  esistenti,  come  pure  quelli  per 
indicare  le  divisioni  politiche  ed  amministrative,  e  per  esprimere  grafica- 
mente la  forma,  l'altezza  e  le  ineguali  pendenze  del  terreno.  I  segni  con- 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA   ECC.  27 

^■^1^^^^— ^1^^-^^— ^i^^i^p»^»^— ^^^— ^^^^^— ^— ^■^— ^^^^^^— ^^^^^^—  ^^^—^^^—^^^^^^.^^■^—1      I  li^»^— ^ 

Tonzionali  di  oggetti  naturali  sono  stati  noteTolmente  accresciuti  nelle  pro- 
porzioni, per  renderli  efScaci  airimmediato  apprezzamento  a  vista  ;  e  tutti 
poi  furono  inseriti  e  disegnati  in  numero  e  forma  tali  da  non  riuscire  offen- 
sivi alla  dote  principale  della  Carta,  che  è  la  chiarezza. 

Le  curve  di  50  in  50  metri  rappresentano,  con  sufBcente  esattezza  geo- 
metrica, l'orografia;  nel  mentre  lasciano  abbastanza  spazio,  per  introdurre 
il  trattelo.  Per  i  ghiacciai  non  viene  usato  il  tratteggio  :  ma  la  loro  rap- 
presentazione plastica  è  ottenuta  mediante  una  specie  di  •  curve  rappresen- 
tative »  (  «  horizontal  style  »  )  che  consiste  nel  far  risaltare  le  forme,  interca- 
lando fra  le  curve  geometriche  altre  interrotte,  più  o  meno  ravvicinate  e 
robuste,  secondo  la  maggiore  o  minore  pendenza. 

Per  le  rocce,  gli  scogli,  i  burroni,  ecc.,  si  adottarono  metodi  che  appar- 
tengono piuttosto  al  disegno  di  imitazione  che  al  disegno  proiettivo. 

Compiuto  il  disegno  dei  particolari,  delle  scritture  e  delle  curve  di  li- 
vello, si  eseguisce,  lungo  il  perimetro,  la  indicazione  del  reticolato  geogra- 
fico ;  il  quale,  mentre  fa  da  cornice  al  disegno,  permette  di  dedurre  grafica- 
mente la  posizione  geografica  di  qualsiasi  punto  segnato  nel  foglio. 

Per  alcuni  fogli,  e  più  precisamente  per  quelli  che  comprendono  parte 
dell'Isola  di  Sardegna,  il  foglio  modello  si  deduce  dai  tre  tipi  fondamentali, 
planimetria  e  scrittura,  acque,  curve,  già  esistenti  separati,  e  che  hanno 
servito  per  la  formazione  della  Carta  policroma,  della  quale  si  dirà  più  sotto. 

Dal  foglio  modello  completato,  come  si  è  detto,  viene  tratto  un  tipo 
fotozincografico,  molto  accurato  per  dimensioni  e  Chiarezza.  Esso  serve  alla 
stampa  deir edizione  senza  tratteggio  ;  ma  precedentemente,  per  prima  copia 
e  con  le  opportune  avvertenze,  si  trae  un  fac-simile  del  foglio  modello,  che 
può  essere  eventualmente  utilizzato  per  la  riproduzione  o  compilazione  di 
Carte  ad  altra  scala. 

Il  foglio  modello  originale  viene  quindi  passato  agli  artisti  tratteggiatorì. 

L'impiego  del  tratteggio,  ossia  del  sistema  rappresentativo  delle  linee 
di  massima  pendenza,  in  aiuto  delle  curve,  s'imponeva  non  solo  per  aumen- 
tare l'effetto  plastico,  ma  per  rappresentare  tutte  quelle  ondulazioni  del  suolo, 
che  le  curve  stesse  non  potevano  sufBcientemente  definire. 

Il  lumeggiamento  da  adottarsi  détte  luogo  a  vive  discussioni,  perchè 
si  presentavano  due  sistemi  ben  differenti  fra  loro  :  e  cioè  quello  geometrico 
od  a  luce  zenitale,  e  quello  artistico  od  a  luce  obliqua,  che  più  si  avvicina 
al  vero.  La  controversia  fu  tanto  maggiore,  in  quanto  si  avevano  ottimi 
esempi  di  luce  zenitale  in  Germania  ed  in  Austria,  ov'era  stata  adottata  la 
proposta  di  Lehman;  ma  si  avevano  stupendi  saggi  di  liuneggiamento  a 
luce  obliqua  nella  Carta  del  Piemonte  e  nella  Carta  al  100.000  della  Svizzera, 
eseguita  sotto  la  direzione  del  Dufour.  Si  concluse  con  l'adottare  un  lumeg- 
giamento, che,  per  essere  un  contemperamento  fra  i  due  sistemi  citati,  fu 
chiamato  «  a  luce  mista  » . 


28  GIOVANNI    CELORIA   -    ERNESTO   GLIAMAS 

■  ^>  » 

Così,  dalla  armouica  fusione  dei  due  sistemi,  nacque  un  giuoco  di  luce 
col  quale  l'osservatore  rintraccia  lo  scheletro  generale  delle  forme  con  mag- 
giore efScacia  che  non  con  la  sola  luce  zenitale,  e  la  carta  è  resa  intelligi- 
bile anche  alle  persone  non  abituate  a  consultarla.  Le  difficoltà  di  esecuzione 
sono  però  certamente  aumentate,  specialmente  per  ottenere  un'intonazione 
unica  nei  molti  fogli,  dovendo  i  divei*si  artisti  disegnatori  tener  conto  della 
altitudine,  del  pendìo,  e  della  esposizione  deirelemento  da  rappresentare. 
La  omogeneità  dei  lavori  è  ottenuta  con  Tuso  della  così  detta  «  scala  a  trat- 
teggio delle  pendenze  »  e  con  un'unica  direzione  artistica. 

Con  il  tratteggio,  il  foglio  modello  è  completo,  e  si  passa  alla  riproduzione 
fotomeccanica.  Il  valore  artistico  della  Carta  dipende  principalmente  dalla 
bontà  degli  originali,  e  precisamente  dalle  qualità  a  cui  questi  devono  sod- 
disfare: cioè  precisione,  chiarezza  e  armonia.  Quando  si  pensa  che  ciascun 
foglio  originale  risulta  disegnato  al  minimo  da  tre  artisti,  uno  per  i  parti- 
colari, uno  per  le  scritture,  uno  pel  tratteggio,  si  rimane  sorpresi  della  ca- 
ratteristica omogeneità  raggiunta  nei  256  fogli  pubblicati  a  tutt'oggi. 

Di  questi  256  fogli  tratteggiati,  240  completano  tutta  la  penisola  Ita- 
lica e  la  Sicilia,  e  16  comprendono  parte  dell'isola  di  Sardegna.  Mancano 
quindi,  a  completare  la  pubblicazione,  soltanto  15  fogli,  di  cui  6  compren- 
dono il  titolo,  i  cenni  sulla  formazione  della  Carta,  ecc. 

4.  Riproduiioni,  —  Anteriormente  all'invenzione  della  fotografia,  il 
tipo  a  scala  eguale  doveva  essere  fatto  col  lucido  :  e  la  riduzione  e  l'ingran- 
dimento, 0  col  sistema  della  quadrettazione,  o  col  pantografo.  I  processi  foto- 
meccanici rappresentano  un  grande  progresso  nella  riproduzione  dei  lavori 
cartografici,  ed  hanno  il  pregio  assoluto  di  conservare  le  dimensioni  e  di  pro- 
durre figure  esattamente  simili  a  quelle  del  disegno  originale.  Soltanto  essi 
consentono  di  ottenere  rapidamente,  ed  a  qualunque  scala,  dei  tipi  che  hanno 
le  proprietà  medesime  delle  matrici  usate  nelle  già  conosciute  arti  tipogra- 
fiche, litografiche  e  calcogi'afiche. 

L'Istituto,  nei  primi  anni  dei  suoi  lavori,  e  precisamente  nel  1873,  si 
valse  del  procedimento  eliotipico,  i  cui  risultati  lasciavano  alquanto  a  desi- 
derare. Nel  1875  ricorse  alla  fotolitografia,  che  in  quel  tempo  era  stata  stu- 
diata dal  maggiore  C.  Castelli,  e  nel  1878  acquistò  dal  generale  E.  Avet 
il  processo  di  fotoincisione  galvanica,  per  valersene  nella  riproduzione  e  nella 
stampa  della  carta  al  100.000. 

La  fotoincisione  galvanica,  sistema  Avet,  si  basa  sulla  proprietà  che  ha 
la  gelatina  bicromata,  di  diventare  insolubile  se  esposta  alla  luce,  per  arri- 
vare a  tradurre  in  rilievo,  sopra  una  lastra  di  cristallo,  il  disegno  da  ripro- 
durre. Con  soluzioni  adatte,  si  rendeva  lo  strato  gelatinoso  buon  conduttore 
di  elettricità,  e,  con  la  galvanoplastica,  se  ne  faceva  la  riproduzione  in  rame. 
Risultava  così  un  rame  galvanico  inciso,  per  il  quale  era  necessario  sempre  un 


TRIANGOLAZIONE    GEODETICA    ECC.  29 

luogo  ritocco  da  pai-te  di  abili  artisti  jncisori.  Ed  è  qui  giusto  far  coDOscere 
come  gli  artisti  incisori  concorsero  validamente  al  lavoro  della  Carta  al  100.000, 
col  portare  i  rami  dalla  fotoincisione  alla  voluta  perfezione,  mediante  gene- 
rali ritocchi  ;  armonizzando  completamente  il  disegno,  fino  ad  ottenere,  nella 
stampa,  un  risultato  conforme  al  modello. 

Attualmente,  la  fotoincisione  galvanica,  sistema  Avet,  è  sostituita  con 
quella  chimica,  sistema  Gliamas,  la  quale  si  fonda  sull'altra  proprietà  della 
gelatina  bicromata,  di  essere  permea})ile  ai  liquidi  corrosivi  in  rapporto  in- 
verso al  suo  spessore,  che  nei  vari  punti  è  proporzionale  alla  quantità  di 
luce  che  li  colpì. 

Questo  sistema,  adottato  dalllstituto  nel  1905,  consiste  in  un  processo 
di  fotoincisione  chimica,  dovuto  a  studi  personali  dell'allora  colonnello  Glia- 
mas,  capo  del  servizio  fototecnico,  attualmente  Direttore  dell' Istituto  Geogra- 
fico, e  che,  mentre  sostituisce  il  processo  Avet,  dà  anche  la  riproduzione  delle 
mezze  tinte;  processo  riconosciuto  ottimo  per  compiere,  con  rapidità  ed  eco- 
nomia, la  pubblicazione  del  100.000  policromo,  con  l'orografia  a  sfumo. 

Deir originale  da  riprodurre  viene  eseguito  un  negativo  a  collodio  umido, 
esattamente  alla  scala  del  100.000,  e  da  questo  si  trae  un  positivo  sopra 
lastra  al  cloruro  di  argento,  che  riproduce  esattamente  anche  i  più  piccoli  par- 
ticolari. Sotto  a  questo  positivo  si  espone  il  rame  già  accuratamente  prepa- 
rato, con  uno  strato  di  gelatina  bicromata.  L'esposizione  viene  giudicata 
con  un  fotometro,  e,  quando  è  considerata  sufSciente,  si  passa  alla  cor- 
rosione. 

Con  questo  procedimento  il  tipo  inciso  è  ottenuto  facilmente  in  qua- 
lunque stagione  ed  in  poche  ore:  lo  si  può  usare  per  qualunque  genere  di 
lavoro,  sia  cioè  a  tratti,  sia  a  mezze  tinte  continue  ;  solo  che,  in  questo  se- 
condo caso,  è  conveniente  dare  al  rame,  mediante  una  leggera  punteggiatura 
di  resina  fusa,  una  granitura  di  finezza  proporzionale  al  dettaglio  delle 
mezze  tinte,  tanto  per  determinarvi  dei  punti  di  riserva,  e  spezzare  la  con- 
tinuità delle  tinte. 

Oltre  a  questo  procedimento  di  riproduzione  per  l'allestimento  dei  tipi 
in  rame  delle  Carte  al  100.000,  Tlstituto  usa  largamente  un  procedimento 
di  riproduzione  fotozincografico,  sia  per  la  preparazione  di  tipi  provvisoii, 
sia  per  Tallestimento  dei  tipi  dei  quadranti  e  delle  tavolette  di  campagna, 
che,  per  gli  usi  a  cui  devono  soddisfare  e  per  il  minor  tiraggio  cui  devono 
essere  sottoposti,  non  richiedono  un  procedimento  più  accurato  e  costoso. 

5.  Trai  formazione,  —  La  Carta  al  100.000  fotoincisa  col  sistema  Avet, 
e  stampata  in  nero  come  le  Carte  corrispondenti  della  Francia  (1 :  80.000), 
dell'Austria  (1:75.000),  della  Svizzera  (1:100.000)  e  dell*  Inghilterra 
(1 :  63.860).  fu  giudicata  un  lavoro  cartografico  pregevole,  sia  come  rappre- 
sentazione geometrica,  sia  come  prodotto  artistico. 


BO  GIOVANNI   CELORIA   -   ERNESTO   GLIAMAS 

La  sua  pubblicazione,  il  cui  inizio  rimonta  al  1878,  costituì  un  pro- 
gresso notevole,  giacché  in  essa  per  la  prima  Tolta  si  sostituì  un  procedi- 
monto  fotomeccanico  al  lavoro  lento  e  dispendioso  dell*  incisione  in  rame. 

Ma  col  progredire  incessante  delle  arti  gi-afiche,  derivato  specialmente 
dalle  numerose  applicazioni  della  fotografia,  oltre  ai  numerosi  vantaggi  tecnici 
ed  economici  che  tali  processi  promettevano,  non  tanto  per  la  costruzione, 
quanto  per  la  riproduzione  delle  Carte,  si  andò  formando  il  convincimento 
che  essi  avrebbero  potuto  consentire  altresì  la  stampa  a  più  colori  che,  molto 
meglio  di  quella  a  tinta  unica,  avrebbe  fatto  conseguire  notevoli  migliora- 
menti intrinseci  alla  cartografia,  specie  nella  chiarezza  e  nella  facilità  di 
lettura.  L*uso  dei  colori  doveva  infatti  permettere  di  differenziare  meglio  le 
varie  categorie  dei  particolari  naturali,  e  di  rappresentare  con  maggior  evi- 
denza il  terreno,  poiché,  alla  rappresentazione  dell'orografia  fatta  col  trat- 
teggio, avrebbe,  con  maggiore  evidenza,  potuto  sostituirsi  una  ombreggiatura 
a  pastello  alla  quale  non  fosse  tolto  il  fondamento  geometrico  delle  curve. 
Infine  si  comprendeva  che  miglioramenti  di  tal  genere  avrebbero,  come  na- 
turale conseguenza,  generalizzato  l'uso  e  la  comprensione  della  cartografia 
ufficiale,  anche  a  coloro,  cui,  o  per  mancanza  di  esercizio  nella  consultazione 
delle  Carte,  o  per  difetto  di  cognizioni  necessarie  alla  interpretazione  di  esse, 
non  riusciva  famigliare  Vesatta  corrispondenza  di  quelle  stampate  in  solo 
nero  col  terreno. 

Ma  gravi  difficoltà,  e  di  vario  genere,  s'incontrarono  per  definire  il  pro- 
cesso da  adottarsi  per  la  riproduzione  di  Carte  policrome  :  tanto  che,  sebbene 
fin  dal  1873  il  riparto  fototecnico  siasi  sempre  occupato  di  studi  e  di  espe- 
rimenti tendenti  a  conseguire  il  desiderato  intento,  dovettero  trascorrere 
molti  anni  prima  che  il  progresso  delle  arti  grafiche  fosse  in  grado  di  con- 
sigliare Tadozione  di  un  sistema  conveniente.  Tuttavia,  quale  risultato  par- 
ziale di  tali  studi,  conviene  ricordare  la  pubblicazione  di  una  parte  della 
Carta  dltalia  al  100.000,  a  tre  colorì,  con  Torografla  a  pastello  mediante 
una  mezza  tinta  eseguita  direttamente  su  pietra  con  matita  grassa  :  processo 
che  fu  poi  abbandonato,  poiché,  com*è  noto,  il  pastello  litografico,  ossia  il 
chiaroscuro  ottenuto  su  pietra  granita,  ha  il  grave  inconveniente  di  alterarsi 
dopo  un  certo  numero  di  tirature. 

Una  grande  facilitazione  alla  risoluzione  del  problema  fu  portata  dalla 
adozione  del  procedimento  di  fotoincisione,  sistema  Oliamas,  poiché,  come  si 
é  già  detto,  oltre  alla  riproduzione  dei  disegni  a  tratto,  esso  permette  altresì 
quella  delle  mezze  tinte.  Tale  sistema,  adottato  nel  1905,  quando  mancavano 
soltanto  30  fogli  della  Sardegna  a  completare  la  pubblicazione  della  Carta 
d'Italia  al  100.000  in  nero  ed  a  ti*atteggio,  permetteva  di  usufruire  di  tutto 
il  numeroso  materiale,  per  tale  lavoro  raccolto,  per  l'allestimento,  senza 
grave  dispendio,  di  una  nuova  edizione  policroma,  a  sfamo,  della  Carta  stessa. 
Ed  infatti  da  tale  anno  in  poi  fu  stabilito  di  procedere  alla  trasformazione 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA   ECC.  ^1 

in  cromo  della  Carta  fondamentale,  traendola  dai  fac-simili  di  questa  scom- 
posti in  tre  rami,  uno  per  le  acque,  uno  per  la  planimetria  e  scritture,  ed 
uno  per  l'orografia  a  sfumo,  e  provvedendo  per  i  fogli  al  100.000,  non  an- 
cora allestiti,  alla  loro  pubblicazione  nell'edizione  policroma. 

Per  i  fogli  dei  quali  non  si  possiedono  i  fac-simili  (Italia  meridionale 
e  Sicilia),  si  deve  procedere  al  ridisegno  per  la  formazione  dei  tre  tipi. 

La  pubblicazione  della  Carta  d'Italia  al  100.000  nell'edizione  poli- 
croma a  sfumo,  che  è  quella  che  oggi  meglio  soddisfa  alle  esigenze  di  chi 
è  chiamato  a  servirsi  di  Carte  topografiche,  non  arrestò  quindi  il  regolare 
proseguimento  della  edizione,  che  potremo  chiamare  classica,  in  solo  nero  e 
con  Forografia  a  tratteggio,  e  che  può  dirsi,  come  abbiamo  visto,  compiuta, 
poiché  mancano  solo  11  fogli  della  Sardegna,  però  già  pubblicati  in  cromo. 

La  nuova  edizione  policroma,  oltre  a  soddisfare  assai  meglio  alle  esi- 
genze cartografiche  attuali,  presenta  sulla  Carta  a  tratteggio  il  grande  van- 
taggio di  facilitare  e  rendere  possibile  all'Istituto,  con  i  mezzi  dei  quali  può 
disporre,  la  sua  tenuta  al  corrente. 

Infatti  si  comprende  facilmente  quali  immense  difBcoltà  si  incontravano 
per  introdurre  varianti,  anche  minime,  sui  rami  della  Carta  a  tratteggio, 
poiché  occorreva  raschiare  per  il  tratto  necessario  un  certo  numero  di  par- 
ticolari, per  poi,  con  un  lavoro  lento  e  preciso  di  bulino,  procedere  all'inci- 
sione dei  nuovi  ed  all'  inserzione  ed  al  raccordo  dei  preesistenti,  dei  quali 
non  si  aveva  più  traccia.  Con  ciò,  il  vanti^gio  di  tempo  e  di  lavoro  che 
erasi  conseguito  inizialmente  con  Tallestimento  fotomeccanico  dei  rami,  veniva 
totalmente  perduto  per  un  simile  lavoro,  senza  contare  che  la  continua  rettifi- 
cazione avrebbe  portato  a  consigliare  per  alcuni  rami,  in  riguardo  al  lavoro 
ed  alla  spesa,  la  riproduzione  fotomeccanica  di  nuovi  originali. 

L' Istituto,  tuttavia,  per  molto  tempo  provvide  alla  loro  tenuta  al  cor- 
rente, che  ora  non  é  più  possibile,  a  meno  di  compromettere  il  valore  arti- 
stico della  Carta  e  di  molti  rami,  poiché  le  sensibili  e  numerose  modifica- 
zioni, portate  alla  superficie  del  suolo  dall'attività  nazionale  con  il  suo  rapido 
sviluppo  nelle  industrie,  nel  commercio  e  nell'agricoltura,  vanno  continua- 
mente estendendosi  a  presso  che  tutto  il  territorio  del  Regno. 

La  Carta  in  cromo,  invece,  permette  la  modificazione  di  uno  dei  tre  ori- 
ginali di  ciascun  foglio  senza  il  pericolo  di  modificare  la  posizione  relativa 
dai  particolari.  Cosicché  la  rettificazione  é  ora  limitata  a  questa  Carta  della 
quale  sono  pubblicati  ben  183  fogli.  Tale  rilevante  produzione  ottenutasi  in 
pochi  anni,  depone  a  favore  della  rapidità  del  sistema  adottato,  il  quale  cer- 
tamente consentirà  fra  non  molto  di  completare  questa  Carta,  che,  sotto  un 
abbigliamento  più  fresco  e  più  consono  ai  tempi,  é  sempre  in  sostanza  una 
riproduzione  della  grande  e  poderosa  opera  dell* Italia  nuova:  la  Carta  al 
100.000. 


82  GIOVANNI    CELORIA   -   ERNESTO   GLIAMAS 


VI. 

Le  altre  Carte  d'Italia  a  scale  minori. 

1.  Carte  corografiche.  —  Alla  proclamazione  del  Regno  d'Italia, 
come  si  è  già  detto,  si  provvide  alle  prime  necessità  con  la  pubblicazione 
delle  Carte  dell' Italia  superiore  e  media  al  600.000  (anno  1865,  in  sei 
fogli),  e  con  quella  delle  Provincie  meridionali  al  640.000  (anno  1861,  in 
quattro  fogli). 

Nel  1870,  dopo  Tannessione  di  Roma,  si  senti  più  vivo  il  bisogno  di 
nna  buona  Carta  generale  corografica  che  rappresentasse  ad  una  stessa  scala 
tutto  il  territorio  dello  Stato.  Gli  studi  già  iniziati  nel  1878,  avevano  con- 
dotto alla  pubblicazione  di  qualche  foglio  (Sicilia),  quando,  cambiati  i  con- 
cetti di  compilazione,  si  iniziò  nel  1883  la  prima  edizione  della  Carta  al 
500.000  (in  35  fogli)  che  apparve  nel  1886,  e  fu  apprezzata  anche  alVestero 
con  lusinghieri  giudizi. 

Non  essendo  però,  a  quel  tempo,  ancora  ultimati  i  nuovi  rilievi,  fu  neces- 
sario, nella  costruzione  della  Carta  al  500.000,  di  ricorrere,  per  alcune  regioni, 
alle  vecchie  Carte.  Le  numerose  varianti,  derivate  dai  nuovi  rilievi  e  dalle 
ricognizioni  di  campagna,  consigliarono  nel  1900  di  procedere  ad  una  nuova 
pubblicazione  di  detta  Carta,  per  la  quale  si  poterono  adottare,  con  sicuro 
beneficio,  i  procedimenti  Gliamas,  dei  quali  si  è  tenuto  parola.  La  nuova 
pubblicazione  è  comparsa  in  due  edizioni  :  una  con  la  rappresentazione  del- 
Forografia,  e  Taltra  con  la  sola  planimetria. 

Contemporaneamente  ai  lavori  per  la  prima  edizione  della  Carta  al 
500.000,  r  Istituto  attese  alla  compilazione  di  altre  due  carte  corografiche, 
quella  dXl.000.000  in  sei  fogli  e  quella  ilYSOO.OOO,  che,  derivate  essen- 
zialmente dalla  suddetta,  poterono  essere  pubblicate  nel  1885  e  che  corri- 
spondono tuttora,  per  i  pochi  lavori  di  rettificazione  che  richiedono,  allo 
scopo  per  il  quale  furono  costituite. 

Nel  1905,  soddisfacendo  ad  un  voto  replicatamente  espresso  dagli  stu- 
diosi e  manifestato  in  seno  ai  congressi  geografici,  l'Istituto  attese  all'alle- 
jBtimento  di  una  nuova  Carta  corografica  all'  1 :  200.000  in  edizione  policroma 
a  sfumo,  a  sei  colori.  Questa  Carta,  tuttora  in  corso  di  pubblicazione,  con- 
forme ad  un  quadro  d' unione  che  comprendeva  in  origine  91  fogli  di  P  di 
longitudine  per  40'  di  latitudine,  rappresenta  quanto  di  più  perfetto,  sia 
rispetto  al  conteuuto,  sia  in  merito  ai  processi  cartografici,  l'Istituto  possa 
disporre  per  una  pubblicazione  che,  oltre  agli  usi  civili,  deve  rispondere 
anche  a  necessità  d'ordine  militare.  I  lavori,  spinti  con  molta  alacrità,  por- 
teranno, fra  non  molto,  alla  completa  pubblicazione  dell'intera  Carta,  a  mal- 
grado che  siano  in  corso  studi  per  la  semplificazione  dei  segni  convenzionali, 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA   ECC.  ^3 

6  si  sìa  già  stabilito  di  estendere  maggiormente  la  rappresentazione  del 
terreno  a  territori  degli  Stati  confinanti,  in  modo  che  la  Carta  rerrà  a  risul- 
tare di  102  fogli,  anziché  di  91. 

2.  Carta  ipsometrica.  —  Utilizzando  la  planimetria  dell'anzidetta 
Carta  corografica  al  500.000,  l'Istituto  ha  altresì  pubblicato  una  Carta  ipso- 
metrica, valendosi,  per  essa,  dello  spoglio  di  curve  che  fu  intrapreso  dagli 
ufficiali  allievi  della  scuola  di  guerra,  e  provvedendo  soltanto  alla  forma- 
zione dei  tipi  ed  alla  stampa. 

Su  questa  Carta  sono  tracciate  le  isoipse  opportunamente  scelte  e  di- 
stinte con  tre  tinte  diverse,  e  con  diversa  intensità  le  varie  zone  ipsome- 
triche.  La  pubblicazione  di  questa  Carta  che  doveva  comprendere  35  fogli, 
si  è  arrestata  ai  25  fogli  comprendenti  l'Italia  continentale  e  la  Sicilia,  e 
risultò  particolarmente  accetta  agli  studiosi  di  geografia  per  le  indagini  sta- 
tistiche ed  orometriche,  quantunque  non  sia  esente  da  qualche  pècca,  essen- 
zialmente dovuta  al  procedimento  seguito  nella  sua  compilazione. 

8.  Carta  scolastica.  —  Accogliendo  un  voto  espresso  già  dal  congresso 
di  Firenze,  l'Istituto  Geografico  Militare  ha  pure  allestito  una  pubbli- 
cazione cartografica  di  interesse  didattico,  la  quale,  sebbene  riservata  princi- 
palmente alle  scuole  militari  del  Segno,  riuscì  utile  agli  istituti  d'istru- 
zione in  genere,  tanto  elementari  quanto  secondari. 

Questa  Carta  scolastica  di  tipo  murale,  in  12  fogli,  delle  dimensioni 
complessive  di  2  metri  per  2  metri,  alla  scala  di  1 :  750.000,  comprende, 
oltre  i  territori  del  Begno,  le  regioni  adiacenti  fino  al  parallelo  di  Parigi 
a  nord  e,  rispettivamente,  i  meridiani  di  Parigi  e  Belgrado  a  ovest  e  ad  est. 

Ne  furono  fatte  due  distinte  edizioni,  una  con  speciale  riguardo  alla 
configurazione  fisica  del  suolo,  l'altra  destinata  specialmente  a  rappresentare 
gli  elementi  antropogeografici  (circoscrizioni  politiche,  abitati,  vie  di  comu* 
nicazione,  ecc.).  S'intende,  tuttavia,  che  ciascuna  edizione  contiene  gli  ele- 
menti principali  dell'altra. 

La  rappresentazione  orografica  fu  ottenuta,  in  ambedue  i  tipi,  con  il 
sistema  di  fotoincisione  Gliamas. 

Per  la  compilazione  di  questa  Carta  scolastica,  l'Istituto  si  valse  dei 
più  sicuri  elementi  esistenti  e  si  attenne,  per  quanto  riguarda  la  divisione 
dei  gruppi  montani  e  la  terminologia  geografica,  ai  testi  più  accreditati  e  ai 
voti  espressi  nei  congressi  geografici. 

Con  la  sua  pubblicazione,  la  prima  del  genere  alla  quale  si  è  accinto, 
l'Istituto  ha  contribuito  airinsegnamento  geografico  nelle  nostre  scuole. 

4.  Carte  spedali.  —  Comprendiamo  sotto  questo  titolo  le  seguenti 
pubblicazioni  : 

G.  Celobia  -  Gliamas.  —  Triangolazione  geodetica^  ecc.  8 


S4  GIOVANNI    CELORIA   -    ERNESTO   GLIAMAS 

1)  Carta  della  circoscrizione  militare  del  Segno  alla  scala  di  1:1.200.000, 
in  dae  fogli,  in  cromolitografia. 

2)  Carta  itineraria  del  Regno  d'Italia  alla  scala  di  1 :  300.000,  in  26 
fogli,  a  tre  colori. 

3)  Carta  delle  ferrovie,  tramvie   e   linee  di  navigazione  del  Segno 
dltalia,  alla  scala  di  1 : 1.000.000,  in  due  fogli. 

La  prima  risponde  essenzialmente  ad  esigenze  di  ordine  militare.  La 
seconda,  che  ha  carattere  essenzialmente  schematico,  in  unione: 

a)  al  dizionario  dei  comuni  del  Regno; 

b)  al  prontuario  dei  più  brevi  percorsi  fra  i  capoluoghi  di  provincia  ; 
e)  alla  tavola  polimetrica, 

provvede  ad  una  reale  necessità  dei  comandi  e  d^li  uffici  dipendenti  dal- 
l'anuninistrazione  della  guerra,  ma  può  tuttavia  riuscire  di  utile  consulta- 
zione per  le  amministrazioni  pubbliche  e  per  i  privati. 

Della  Carta  delle  ferrovie,  tramvie  e  linee  di  navigazione,  è  uscita  nel 
gennaio  del  corrente  anno  una  edizione,  compilata  col  concorso  della  Dire- 
zione generale  delle  ferrovie  dello  Stato,  completamente  rettificata. 


VII. 
Lavori  geodetici  e  cartografici  per  le  Colonie. 

1.  eritrea.  —  A)  Lavori  geodetici.  Dall'epoca  in  cui  avvenne 
l'occupazione  di  Massaua,  ossia  dal  1884,  fu  sentito  il  bisogno  di  avere  una 
Carta  del  territorio  di  occupazione  ;  ma,  date  le  condizioni  in  cui  si  trovava 
allora  tutta  la  regione  fra  Massaua  e  Saati,  non  poterono  essere  subito  ini- 
ziati i  lavori  di  triangolazione  occorrenti  per  la  formazione  di  una  Carta 
topografica  a  scala  relativamente  grande. 

Dopo  la  spedizione  S.  Marzano,  Taccennata  necessità  si  fece  maggior- 
mente sentire  per  Fallargamento  dei  confini  della  nostra  occupazione,  e,  alla 
fine  del  1888,  s'iniziarono  i  lavori  geodetici.  Occupata  poi  TAsmara  e  tutto 
il  territorio  fra  l'altipiano  di  Cheren,  i  lavori  intrapresi  vennero  spinti  anche 
su  queste  regioni;  ma  soltanto  nel  1896  fu  provveduto  ad  una  misura  di 
base  nella  pianura  di  Gura,  con  la  quale  vennero  calcolate  le  dimensioni 
lineari  di  tutta  la  triangolazione  fino  ad  allora  compiuta,  nonché  di  tutte 
quelle  eseguite  negli  anni  successivi  fino  al  1907. 

La  triangolazione  è  stata  considerata  sull'ellissoide  di  Bessel  orientato 
a  Massaua,  nella  direzione  dell'  isola  di  Dissei. 

Nel  1907,  r  Istituto,  allo  scopo  di  utilizzare  anche  gli  accennati  lavori 
nelle  ricerche  di  alta  geodesia,  ebbe  cura  di  far  collocare  nel  porto  di  Mas- 
saua un  mareografo  tipo  Tompson  e  di  fare  eseguire  una  livellazione  di  pre- 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA   ECC.  35 

eisione  sulla  lìnea  Massaua-GhiDda.  Nel  1908  poi,  fece  eseguire  stazioni 
astronomiche  di  latitudine  e  di  azimut  nei  due  punti  Zagher  e  Tacarai,  per 
costruire  il  profilo  del  geoide  lungo  il  meridiano  centrale  della  colonia. 

B)  Lavori  cartografici.  Avvenuta  l'occupazione  di  Massaua,  l'Isti- 
tuto, per  soddisfare  alle  prime  esigenze,  attese  alla  compilazione  di  una 
Carta  corografica  dimostrativa  delle  regioni  comprese  tra  Massaua^  Che- 
ren,  Assum  ed  Adigrat,  in  4  fogli  al  250.000,  che  fu  pubblicata  a  tre 
colorì  nel  1885,  cercando  di  utilizzare  tutti  i  documenti  editi  ed  inediti 
che  fu  possibile  consultare  ;  ma  che  fu  in  seguito  sostituita  da  pubblicazioni 
migliori. 

Contemporaneamente  fu  iniziato  un  rilevamento  topografico  delle  adia- 
cenze immediate  di  Massaua,  alla  scala  di  1:10.000,  esteso  poi  nel  1889 
ad  una  zona  adiacente  alla  linea  MassauaSaati.  Nell'anno  seguente  venne 
incominciata  una  generale  levata  del  territorio  della  colonia,  alla  scala  di 
1:50.000,  appoggiandosi  alla  regolare  triangolazione  geodetica  di  cui  si  è 
già  parlato.  Le  operazioni  di  rilevamento  rimasero  poi  sospese;  e  solo  nel 
1896  furono  riprese  secondo  un  piano  stabilito,  per  il  quale  la  Carta  topo- 
grafica della  colonia  doveva  estendersi,  presso  a  poco,  tra  i  paralleli  boreali 
14*20'  e  16*0',  ed  i  meridiani  87»  40'  e  40^0'  a  est  di  Greenwich. 

Le  nuove  levate  furono  eseguite  alla  scala  di  1  a  100.000,  che  si  ri- 
conobbe sufficiente  per  quei  territori. 

Alla  stessa  scala  furono  ridott-e  anche  le  levate  anteriori,  in  modo  da 
risultarne  una  Carta  omogenea  che  fu  poi  riprodotta  in  cromolitografia  a  4 
colori,  in  35  fogli. 

La  primitiva  Carta  al  SO.OOOy  formata  dalla  riproduzione  dei  rilievi 
regolari  compiuti  negli  anni  1888-89-90-91,  viene  periodicamente  rettifi- 
cata in  base  alle  ricognizioni  eseguite  sul  terreno  da  ufficiali  del  Corpo 
Coloniale  ed  a  documenti  vari  trasmessi  dal  Comando  del  Corpo  stesso. 
Anche  notevoli  correzioni  toponomastiche  vi  furono  introdotte,  sìa  in  conse- 
guenza delle  suddette  informazioni,  sia  per  effetto  di  una  minuta  revisione 
eseguita  dal  capitano  di  Stato  Maggiore  cav.  Verri.  Le  correzioni  eseguite 
sugli  originali  portarono  ad  una  ristampa,  nel  1909,  di  12  fogli  (quelli  più 
in  uso),  rimanendosi  in  attesa  di  altri  documenti  prima  di  pubblicare  una 
nuova  edizione  dei  fogli  rimanenti. 

La  Carta  ad  1:100.000  in  35  fogli,  anch'essa  tenuta  al  corrente  con 
le  stesse  norme  dette  per  la  Carta  al  50.000,  è  stata  ristampata  nel  1909, 
dopo  ohe,  per  desiderio  espresso  dal  Comando  del  Corpo  delle  truppe  colo- 
niali, furono  portate  opportune  varianti  ai  segni  convenzionali. 

Con  la  pubblicazione  di  questa  Carta,  simile  in  tutto  alle  Carte  ana- 
loghe che  si  hanno  per  gli  Stati  Europei,  ma  con  quelle  modificazioni  ed 
aggiunte  consigliate  dagli  speciali  caratteri  della  regione,  Tltalia  ha  portato 
un  contributo  notevole  alla  descrizione  geografica  del   continente   Africano. 


36  GIOVANNI    CELORIA    -    ERNESTO   OLIAMAS 

Infatti,  pochissime  altre  regioni  dell* Africa  possono  vantare  di  possedere  una 
rappresentazione  cartografica  degna  di  starle  a  confronto. 

Mentre  venivano  condotte  le  operazioni  di  rilevamento,  fa  pare  ricono- 
sciuta la  necessità  di  possedere  per  tutta  quella  parte  deirAfrica,  che,  pur 
non  essendo  compresa  entro  i  limiti  della  nostra  Colonia,  presenta  con  questa 
relazioni  di  attinenza,  una  Caiia  corografica  generale,  capace  di  fornire  la 
rappresentazione  quale  a  noi  risultava  da  tutti  i  documenti  grafici  e  descrit- 
tivi, editi  od  inediti,  che  potevano  essere  utilizzati. 

Ad  un  tale  intento  corrispose  la  Carta  dimostrativa^  della  Colonia 
Eritrea  e  delle  regioni  adiacenti j  alla  scala  di  1:400.000^  della  quale  fu 
iniziata  la  pubblicazione  nel  1897.  Questa  Carta,  in  30  fogli,  comprendeva 
tutta  la  zona  dell'Africa  Orientale  che  si  estende  dal  meridiano  36^  (Green- 
wich)  alla  costa  del  Mar  Bosso  e  che  è  compresa  fra  i  paralleli  11®  e  16® 
di  latitudine  Nord,  meno  per  la  zona  che  resta  ad  Ovest  del  40**  meridiano, 
la  quale  invece  è  limitata  a  Sud  dal  17®  parallelo. 

Per  la  costruzione  di  questa  Carta  furono  utilizzate  le  levate  regolari 
della  Colonia  Eritrea,  le  osservazioni  astronomiche  e  geodetiche  ed  idrogra- 
fiche della  Marina  italiana  e  di  quella  inglese,  i  rilievi  dello  Stato  Mag- 
giore egiziano  e  di  quello  inglese  (spedizione  contro  Teodoro),  la  triangola- 
zione del  D*Abbadie,  ed  in  genere  tutti  i  lavori  geodetici  e  cartografici, 
nonché  le  monografie  descrittive  redatte  dai  viaggiatori  di  ogni  nazionalità 
che  percorsero  ed  illustrarono  quella  regione.  Per  alcuni  fogli  poterono  essere 
anche  utilizzati  schizzi  e  rilevamenti  di  regioni  inesplorate  (quale  ad  esempio 
r  Aussa),  estuiti  dai  nostri  ufiRciali  e  rimasti  tuttora  inediti  ;  onde  la  Carta, 
non  solo  costitm'sce  una  rappresentazione  organica  e  complessiva  della  regione 
considerata,  quale  risulta  da  un  numero  grandissimo  di  altre  pubblicazioni 
esistenti,  ma  per  talune  parti  essa  è  documento  originale  che  viene  ad  arric- 
chire le  nostre  cognizioni  geografiche  intorno  alle  regioni  limitrofe  dell'Etiopia. 

La  carta  dimostrativa  della  Colonia  Eritrea  e  regioni  adiacenti  con- 
stava, come  fu  detto,  di  30  fogli,  ciascuno  dei  quali  rappresenta  un  trapezio 
di  1®  di  latitudine  per  1®  di  longitudine.  Essa  era  stampata  in  cromolito- 
grafia, a  4  colori:  si  provvide  alle  sua  tenuta  al  corrente,  curando  che  nelle 
nuove  edizioni  di  ciascun  foglio  fosse  tenuto  debito  conto  di  ogni  nuovo  dato 
che  modificasse  o  completasse  quelli  già  esistenti,  finché  nel  1909  venne 
preparata  la  nuova  edizione  riveduta  e  in  gran  parte  rifatta,  la  quale,  a  dif- 
ferenza  della  edizione  precedente  limitata  a  Nord  al  16®  parallelo,  si  estende 
fino  al  18®  parallelo,  in  modo  da  comprendere  l'intera  Colonia,  ed  è  suddivisa 
in  12  fogli,  corrispondenti  ciascuno  ad  un  trapezio  di  2®  nel  senso  delle 
longitudini  e  delle  latitudini,  più  due  mezzi  fogli  a  sud. 

Per  completare  l'enumerazione  delle  pubblicazioni  cartografiche  della 
Colonia  Eritrea,  occorre  accennare  alla  Carta  dimostrativa  della  Colonia 
Eritrea  e  delle  regioni  adiacenti,  alla  scala  di  1:500.000 j  in  4  fogli,  in 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA    ECC.  37 

cromolitografia,  a  sei  colori,  compilata  dal  Corpo  di  Stato  Maggiore  e  pub- 
blicata nel  1898-99,  in  base  ai  documenti  allora  esistenti,  e  successivamente 
rettificata. 

Tale  Carta,  che  ha  sopperito  alle  prime  necessità,  verrà  sostituita  nel- 
Vuso  da  quella  al  400.000  già  accennata,  questa  maggiormente  si  presta 
alla  rettificazione. 

Per  analoga  ragione  si  ritiene  ormai  inutile  accennare  alla  Carte  dimo- 
strative ed  agli  schizzi  dimostrativi  e  itinerari,  dei  quali  si  conservano  i 
tipi  per  una  eventuale  riproduzione,  ma  che  non  sono  più  pubblicati  perchè 
compresi  nei  rilievi  regolari. 

2.  Somàlia.  —  L'Istituto,  che  già  sino  dai  primi  tempi  deiroccupa- 
zione  di  Massaua  era  stato  chiamato  a  portare  il  contributo  dell'opera  propria 
neir  interesse  della  cartografia  del  nuovo  possedimento  coloniale,  non  aveva, 
invece,  avuto  occasione  sino  ad  ora  di  adoperarsi  a  vantaggio  della  carto- 
grafia della  Colonia  della  Somalia.  Tranne  infatti  la  compilazione  di  una 
Carta  dei  possedimenti  e  protettorati  europei  nella  Somalia  alla  scala  di 
1  a  2.500.000  e  una  Carta  del  territorio  da  Ras  Casar  alla  foce  del 
Giuba  (1:4.000-000),  pubblicate  per  conto  del  Ministero  degli  Affari  Esteri, 
valendosi,  oltre  che  dei  documenti  cartografici  già  esistenti,  in  parte  anche 
di  elementi  inediti,  l'Istituto  nulla  aveva  ancor  fatto  nell'interesse  di  quella 
vasta  e  promettente  Colonia. 

Anche  in  questo  campo,  esso  ha  ora  iniziato  efScacemente  la  propria 
attività. 

Di  concerto  col  Ministero  degli  Affari  Esteri  e  con  la  Società  Geo- 
grafica Italiana,  si  è  intrapresa  presso  l'Istituto  la  compilazione  di  una  Carta 
generale  della  Somalia  meridionale  alla  scala  di  1:200.000>  Questa  Carta, 
che,  allo  stato  attuale  delle  nostre  cognizioni  —  limitate,  può  dirsi,  alla  sola 
costa,  ove  per  cura  del  Begio  Istituto  Idrografico  si  eseguirono  già  determi- 
nazioni astronomiche  e  levate  parziali  — ,  potrebbe  sembrare  prematura,  ser- 
virà di  orditura  fondamentale  per  inquadrarvi  le  nuove  determinazioni  topo- 
grafiche che  verranno  successivamente  eseguite. 

Mentre  poi  si  attende  che  le  condizioni  politiche  dell'Etiopia  permettano 
la  materiale  determinazione,  sul  terreno,  dei  confini  tra  l'Etiopia  medesima 
6  la  Somalia  italiana  —  determinazione  che  dovrà  essere  compiuta,  per  quanto 
riguarda  le  operazioni  metriche,  da  operatori  dell'Istituto,  e  che  frutterà 
perciò  un  contributo  notevolissimo,  anche  dal  punto  di  vista  topografico  e 
cartografico,  alla  esplorazione  di  regioni  ancora  oggi  fra  le  più  sconosciute 
del  continente  africano  —  una  missione  geodetica  topografica  è  stata  inviata 
recentemente  al  Benadir  coirincarico  di  eseguire  levate  parziali,  alla  scala 
di  1:100.000,  della  regione  della  Goscia  e  della  valle  inferiore  deirUebi 
Scebeli  ove  si  trovano  le  concessioni  agricole  già  accordate  o  da  accordarsi 


38  GIOVANNI    CELORIA   -    ERNESTO    GLIAMAS 


a  coltivatori  europei.  Queste  levate  verranno  eseguite  appoggiandosi  ad  una 
regolare  rete  trigonometrica  di  cui  si  deriveranno  le  dimensioni  da  un'appo- 
sita base  e  della  quale  si  stabiliranno  le  coordinate  con  riferimenti  astrono- 
mici. Sarà  questo  il  primo  lavoro  di  cartografia  positiva  della  Somalia  che 
verrà  a  suo  tempo  ad  inquadrarsi  nella  Carta  generale  di  sopra  accennata. 

Intanto  l'Istituto  non  trascura  di  apportare  sugli  originali  e  sui  tipi 
delle  Carte  già  esistenti  tutte  quelle  perfezioni,  in  riguardo  alla  loro  retti- 
ficazione, ricavate  da  documenti  che  pervengono  dall'Ufficio  coloniale,  con  la 
maggior  possibile  sollecitudine,  perchè,  ad  ogni  richiesta,  le  nuove  stampe 
risultino,  per  quanto  è  possibile,  al  corrente. 


Vili. 

Revisione  e  tenuta  al  corrente  della  cartografia  del  Regno 

e  coloniale. 

1.  Le  Carte  edite  dall'Istituto,  perchè  rispondano  al  loro  scopo,  devono 
essere  sottoposte  ad  una  continua  opera  di  revisione  e  di  rettificazione  ten- 
dente alla  più  perfetta  tenuta  al  corrente  di  esse,  in  modo  che  vi  sia  sempre 
mantenuta  la  esatta  rappresentazione  grafica  del  suolo  con  tutto  quanto  ha 
subito  trasformazione  dall'epoca  del  rilievo  che  servì  di  base  alla  sua  costru- 
zione od  è  il  risultato  di  nuove  opere  dovute  all'incremento  continuo  della 
agricoltura,  dell'industria,  del  commercio,  e  frutto  dell'ingegno  e  deiroperosità 
umana. 

A  questo  compito  importantissimo  l'Istituto  ha,  in  ogni  tempo,  rivolto 
le  più  assidue  cure  :  e,  se  il  risultato  non  fu  sempre  raggiunto  completamente, 
lo  si  deve  a  ragioni  di  tempo  e  di  spesa  ed  alla  considerevole  mole  di  lavoro 
occorrente,  sia  per  procurarsi  tutti  gli  elementi  necessari  all'uopo,  sia  per  con- 
cretarli sui  numerosi  originali  e  tipi  delle  Carte  che  formano  il  nostro  gran- 
dioso patrimonio  cartogi*afico. 

D'altra  parte  era  necessario,  prima  di  tutto,  che  l'Istituto  impiegasse  le 
sue  maggiori  energie  nella  esecuzione  dei  rilievi  regolari  in  quelle  regioni  del 
Regno,  per  le  quali,  o  non  si  avevano  affatto  Carte  geometriche,  o  quelle  esi- 
stenti erano,  a  causa  della  loro  imperfezione  od  anzianità,  non  rispondenti 
neppure  lontanamente  alla  giusta  chiara  e  completa  rappresentazione  del  ter- 
ritorio che  comprendevano. 

Prima  ancora  che  venisse  organizzato  un  vero  e  proprio  servizio  di  rico- 
gnizioni sul  terreno,  per  la  tenuta  al  corrente  delle  nostre  Carte,  è  sempre 
stata  cura  di  coloro  che  sopraintesero  alla  direzione  del  servizio  cartografico 
in  Italia,  di  provvedere  nel  miglior  modo  possibile  alla  rettificazione  delle 
Carte  stesse,  mediante  ricognizioni  più  o  meno  particolareggiate  sul  terreno. 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA   ECC.  39 

■  III  -^— ^^         ^— ^— .^— ^— ^ 

continuando  l'opera,  e  vieppiù  perfezionandola,  che  avevano  intrapresa  gli  uffi- 
ciali dei  vari  Stati,  i  quali,  prima  della  unificazione  italiana,  si  occuparono 
della  cartografia. 

Già  fino  dal  1868,  nelVintento  di  compilare  una  Carta  al  25.000  delle 
Provincie  napoletane,  TUfiScio  Tecnico  del  Corpo  di  Stato  Maggiore  fece  ese- 
guire, da  ufBciali  e  mappatori  dello  stesso,  un'accurata  ricognizione  della  rete 
stradale  a  fondo  Artificiale  di  quelle  Provincie. 

Questa  ricognizione  venne  eseguita  sulle  stampe  della  Carta  alla  scala 
di  1 :  103.680  circa,  detta  «  delle  Provincie  continentali  dell'ex-Beame  di 
Napoli  »,  costruita,  sugli  elementi  di  quella  dello  Zannoni,  dagli  ufficiali  au- 
striaci occupanti  il  Beame  dopo  la  rivoluzione  del  1821  ;  la  quale  Carta  poi 
servì  di  base  alla  compilazione  di  quella  al  250.000. 

Decretata  con  apposita  legge  (agosto  1862)  la  formazione  di  una  Carta 
delle  Provincie  meridionali  mediante  i  rilievi  al  50.000,  si  pensò  anche  a 
provvedere  in  modo  sollecito  di  una  migliore  Carta  le  regioni  settentrionali 
dltalia,  al  fine  di  colmare  la  lacuna  che  pur  troppo  verificavasi,  in  attesa 
di  altra  pubblicazione  più  rispondente  ai  tempi. 

Per  &r  fronte  alle  esigenze  del  momento,  venne  intrapresa  la  rettifi- 
cazione dei  tipi  della  Carta  del  Piemonte  alla  scala  di  1 :  50.000,  la  migliore, 
per  scala  e  precisione,  che  allora  si  possedesse  :  ed  a  tale  uopo,  negli  anni 
1874  e  1875  si  es^uì  una  rìcognizione  sulle  stampe  dei  fogli  di  detta  Carta 
per  la  viabilità  principale  e  secondaria  e  per  altri  particolari  di  maggiore 
importanza,  nonché  per  la  toponomastica. 

Per  quanto  fino  dal  1875  Tosse  già  approvata  dal  Parlamento  la  forma- 
zione di  una  Carta  al  100.000  a  tratteggio,  dell'Italia  intera,  da  costruirsi 
sulla  base  di  rilievi  regolari,  pur  tuttavia  era  duopo  attendere  non  poco, 
prima  che  essa  diventasse  un  fatto  compiuto,  giacché  i  soli  rilievi  richiede- 
vano una  lunga  serie  di  anni  per  la  loro  esecuzione,  che  doveva  essere  prece- 
duta dalle  necessarie  operazioni  di  triangolazione  ;  ed  un  tempo  non  indifferente 
occorreva  per  il  disegno  e  la  rìproduzione  degli  originali  della  Carta  stessa. 

Però,  mentre  fino  allora  si  ei-a  pensato  per  le  Provincie  napoletane  e 
per  il  Piemonte,  poco  o  quasi  nulla  si  era  fatto  per  il  Lombardo- Veneto,  per 
la  Toscana  e  per  lo  Stato  Pontificio. 

Nel  1876  si  pensò  di  trarre  profitto  della  Carta  austriaca  air86.400  per 
la  pubblicazione  di  fogli  al  75.000  di  quelle  regioni,  e  nelFanno  stesso  si 
iniziarono  i  lavori  di  una  abbastanza  dettagliata  ricognizione  sui  fogli  di 
detta  Carta  ingranditi  alla  scala  del  75.000.  Detta  ricognizione  fu  continuata 
nel  1877  e  portata  a  compimento  nel  1878;  cosicché  nel  1879  si  pubblicò 
una  edizione,  se  non  completamente  al  corrente,  almeno  in  condizioni  abba- 
stanza rispondenti  ai  bisogni  a  cui  la  Carta  doveva  servire. 

Altri  notevoli  lavori  di  ricognizione  si  eseguirono  contemporaneamente 
i  precedenti  e  negli  anni  successivi. 


40  GIOVANNI   CBLORIA   -   ERNESTO   GLIAMAS 

Vanno  ricordati  quelli  del  1878  nelle  Provincie  della  Basilicata,  Sa- 
lerno, Benevento;  degli  anni  1879  e  1880  nelle  Puglie  e  Catanzaro;  e  quelli 
del  1883  nelle  Provincie  di  Chieti,  Aquila  e  Campobasso,  eseguiti  sulle 
copie  dei  rilievi  al  50.000.  Essi  furono  anteriori  al  disegno  dei  fogli  mo- 
dello della  Gran  Carta  al  100.000  a  tratteggio,  i  quali,  per  conseguenza, 
poterono  essere  pubblicati  in  buonissimo  stato  di  rettificazione. 

Nel  1895  si  intraprese  la  ricognizione  generale  della  Sicilia,  che  con- 
tinuò nel  1896  e  fu  completata  nel  1897.  Essa  fu  eseguita  parte  sugli  in- 
grandimenti al  25.000  delle  levate  al  50.000,  e  parte  su  le  copie  stesse  al 
50.000  ;  e  le  varianti  od  aggiunte  furono  tanto  numerose  che  consigliarono  un 
ridisegno  degli  originali,  al  50.000,  di  tutta  risola. 

Negli  anni  successivi  ebbero  luogo  altri  importanti  lavori  di  ricognizione, 
quasi  sempre  parziali,  riguardanti  le  principali  vie  di  comunicazione  ed  i 
particolari  di  maggiore  importanza,  nonché  la  toponomastica.  Essi  furono  mag- 
giormente accurati  per  le  zone  di  teiTeno  di  frontiei^a,  per  quelle  dì  maggiore 
importanza  militare,  e  nelle  quali  sì  dovevano  svolgere  viaggi  d*istruzione, 
manovre  e  grandi  esercitazioni  annuali,  e  infine  per  quelle  di  cui  si  possedeva 
un  numero  considerevole  di  informazioni  riguardanti  le  variazioni  avvenute 
sul  terreno  dopo  l'epoca  dei  rìlievi. 

Così,  mentre  le  ricognizioni  contribuivano  validamente  al  miglioramento 
delle  nostre  Carte  maggiori,  esse  servivano  altresì  alla  correzione  delle  Carte 
minori,  ma  non  meno  interessanti,  quali  la  Carta  al  25.000  degli  ex  Stati 
Sardi,  quella  al  25.000  dei  dintorni  di  Napoli,  quella  al  600.000  dell'Italia 
superiore  e  centrale,  e  quella  itineraria  delle  provincie  meridionali  al  640.000, 
che  poi  vennero  tolte  dalla  vendita  perchè  sostituite  da  altre  più  perfe- 
zionate. 

In  massima,  le  ricognizioni,  da  una  ventina  di  anni  ad  oggi,  si  sono  ese- 
guite parziali  ;  vale  a  dire  per  quei  soli  particolari  planimetrici  dei  quali  si 
avevano  notizie,  e  per  quelli  di  cui  tali  informazioni  si  raccoglievano  sopra- 
luogo dalle  autorità  più  indicate  all'uopo. 

Oltre  agli  elementi  topografici  non  considerati  nelle  ricognizioni,  molti 
fra  questi  poterono  facilmente  sfuggire,  per  varie  ragioni,  alla  ricerca  degli 
operatori  ;  e  per  conseguenza,  i  risultati  di  questo  lavoro,  per  quanto  buoni,  non 
portarono  ad  ima  completa  rettificazione  delle  Carte. 

Tuttavia,  in  alcune  campagne  di  ricognizione,  nelle  quali  il  tempo  ed  i 
mezzi  disponibili  non  difettarono,  i  risultati  furono  assai  soddisfacenti.  Fra 
queste  vanno  ricordate  quelle  degli  anni  1894-95-97-1900-902-903,  nelle 
quali  il  terreno  fu  meglio  esaminato  dai  riconoscitori  cui  era  afiìdato  Tincarico 
di  raccogliere  ed  accertare  il  maggior  numero  di  elementi  possibile. 

Dal  1908,  questo  servizio  è  stato  ancor  meglio  organizzato,  facendo 
eseguire  esclusivamente  delle  ricognizioni  generali  e  per  fogli  interi,  e  pre- 
scrivendo che  l'operatore  percorra  minutamente  tutto  il  terreno  rappresentato, 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA    ECC.  41 

per  controllare  scnipolosamente  l'esattezza,  tanto  della  rappresentazione  pla- 
stica, quanto  di  tutti  i  particolari,  compresa  la  nomenclatura.  Tali  rico- 
gnizioni si  estesero  a  ben  75  quadranti  al  50.000  nelle  Provincie  di  Cam- 
pobasso, Caserta,  Benevento,  Foggia,  Avellino  e  Salerno,  per  quella  parte  del 
territorio  compresa  nei  detti  quadranti. 

Col  servizio  delle  ricognizioni,  sia  generali  sia  parziali,  di  questi  ultimi 
anni,  si  può  considerare  abbastanza  al  corrente  lo  stato  delle  pubblicazioni 
delle  tavolette,  dei  quadranti  e  dei  fogli  delle  varie  Carte,  di  cui  l'Istituto 
ha  pubblicato,  o  sta  allestendo,  nuove  edizioni,  e  cioè  per  tutta  la  parte  con- 
tinentale del  Regno,  eccetto  che  per  le  Puglie  e  la  Calabria. 

In  peggiore  stato  di  rettificazione  si  trovano  presentemente  i  rilievi  e 
le  Carte  da  questi  derivate,  che  riguardano  i  territorii  delle  provincie  di  Bari, 
Potenza,  Lecce,  Cosenza,  Catanzaro  e  Seggio  Calabria,  nelle  quali  poco  si 
estesero  i  lavori  di  ricognizione  sul  terreno,  dopo  i  rilievi  che  risalgono  agli 
anni  1869-1874.  Per  queste  provincie  si  eseguiranno  al  più  presto  ricognizioni 
generali  che  precederanno  la  pubblicazione  dei  fogli  della  Carta  policroma 
al  100.000  ;  la  quale  per  tal  modo  potrà  rispondere  ad  un  perfetto  stato  di 
rettificazione. 

Per  la  Sicilia  e  per  la  Sardegna  si  provvederà  pure,  non  appena  siano 
compiuti  i  lavori  per  la  rettificazione  della  parte  continentale  del  Regno: 
giacché,  per  la  prima,  dopo  le  ricognizioni  generali  degli  anni  1895-1897, 
quasi  nulla  è  più  stato  fatto  ;  per  la  seconda,  dopo  i  rilievi  che  si  eseguirono 
dal  1896  al  1900,  non  vennero  effettuate  che  rare  ricognizioni  parziali. 

Presentemente  l'Istituto  sta  studiando  uno  speciale  ordinamento  delle 
ricognizioni  generali,  affinchè  le  varie  zone  del  territorio  nazionale  vi  siano 
sottoposte,  in  base  alla  loro  importanza  e  possibilità  di  variazioni,  secondo 
turni  diversi  e  fissi,  in  modo  che  si  possa  stabilire  un  lavoro  a  rotazione  ad 
epoche  determinate,  tanto  per  la  rettificazione  delle  levate  di  campagna,  quanto 
per  quella  delle  varie  Carte  pubblicate,  delle  quali  si  rinnoveranno  le  edizioni 
pure  ad  epoche  stabilite.  Ne  risulterà  un  grandissimo  vantaggio  per  la  con- 
servazione degli  originali  e  dei  tipi,  che,  per  tal  modo,  verranno  sottoposti 
solamente,  a  periodi  fissi,  a  complete  correzioni,  anziché  quasi  continuamente, 
come  sìnora  è  avvenuto,  a  ritocchi  per  aggiunte  o  varianti  parziali,  con  danno 
manifesto  della  parte  ai-tistica,  che  pure  deve  sempre  essere  tenuta  in  gran 
conto  nei  lavori  cartografici. 

L'Istituto  ha  pure  sempre  provveduto  nel  miglior  modo  possibile  alla 
tenuta  al  corrente  delle  Carte  delle  colonie  dell'Eritrea  e  della  Somalia,  sia  pro- 
venienti da  regolali  rilievi,  sia  compilate  in  base  a  pubblicazioni  cartografiche, 
a  documenti,  scritti  vari,  itinerari,  schizzi  ecc.  di  maggiore  attendibilità, 
valendosi  di  informazioni  e  notizie  che  gli  pervengono  dalle  autorità  coloniali. 

Siccome  i  miglioramenti  cartografici  si  collegano  strettamente  con  la 
maggior  conoscenza  che  del  territorio,  col  protrarsi  dell'occupazione,  si  viene 


42  GIOVANNI   CELORIA    -   ERNESTO   QLIAMAS 

acquistando,  così  rimandiamo  il  lettore  al  §  VII  per  quanto  riguarda  la 
revisione  e  la  rettificazione  della  cartografia  coloniale. 

Nonostante,  come  già  si  è  accennato,  che  in  tutti  i  lavori,  tanto  di  ri- 
cognizioni sul  terreno,  quanto  di  revisione  e  di  rettificazione,  Tlstituto  abbia 
sempre  curato  di  informare  le  sue  pubblicazioni  ai  dettami  della  scienza 
toponomastica,  pure,  per  le  grandi  diflBcoltà  da  superare  in  una  completa 
revisione  toponomastica  di  tutto  il  territorio  del  Begno,  e  per  i  limitati 
mezzi  di  cui  l'Istituto  ha  potuto  sinora  disporre,  i  risultati  sonò  purtroppo 
ancora  lontani  dalla  desiderata  perfezione. 

Se  il  compito  è  arduo  e  diflBcile  per  le  Carte  che  si  limitano  alla  rap- 
presentazione del  territorio  del  nostro  Begno,  lo  è  ancora  più  per  quelle  che 
comprendono  zone  di  territorio  estero;  ma  l'Istituto  stesso  ha  piena  fiducia 
di  superare  fra  non  molto  le  varie  difiicoltà,  sicché  Tesito  abbia  a  corrispon- 
dere interamente  alla  legittima  aspettativa  dei  cultori  della  scienza  geo- 
grafica non  solo,  ma  altresì  a  tutti  i  bisogni  civili  e  militari  dei  tempi  mo- 
derni :  giacché  esso,  con  la  maggior  cura  e  con  l'aiuto  di  autorevoli  competenti 
e  volonterose  persone,  si  é  già  dedicato,  con  la  massima  attività  e  passione, 
a  risolvere  anche  questo  importante  problema. 


IX. 
Cartografia  marittima. 

1.  Il  R.  Istituto  Idrografico  e  la  sua  origine.  —  Il  quadro  che  abbiamo 
già  fatto  dell'operosità  spiegata  dallo  Stato  Italiano,  per  quanto  riguarda  le 
operazioni  geodetiche  e  topografiche  nonché  le  rappresentazioni  cartografiche  del 
territorio  nazionale,  non  sarebbe  compiuto,  se  non  si  facesse  accenno  anche  a 
quanto  si  riferisce  alle  operazioni  idrografiche,  che  più  particolarmente  ri- 
guardano il  rilevamento  delle  nostre  coste  e  la  morfologia  del  fondo  delle 
zone  marittime  e  prospicenti. 

Il  compito  di  eseguire  tali  lavori,  analogamente  a  quanto  pure  si  fece 
per  la  cartografia  continentale,  venne  aflSdato,  poco  dopo  la  costituzione  del 
Regno,  ad  un  apposito  Istituto,  il  quale  quasi  da  40  anni  vi  attende  con 
grande  lena,  esplicando  la  sua  azione  non  solo  nei  lidi  marittimi  della  Pe- 
nisola e  delle  isole  nostre,  ma  altresì  sulle  più  lontane  coste  africane  ove  il 
dominio  italiano  venne  affermato. 

L'UfBcio  Idrografico  della  Begia  Marina  sorse  con  tal  nome  —  recente- 
mente cambiato  in  quello  di  Begio  Istituto  Idrografico  (il  cambiamento  di 
nome  avvenne  per  B.  Decreto  del  14  dicembre  1899)  —  nella  città  di  Ge- 
nova (dove  tuttora  ha  sede),  per  B.  Decreto  del  26  dicembre  1872.  Non  é 
da  credere  tuttavia  che,  nei  12  anni  precedentemente  trascorsi  dalla  proda- 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA   ECC.  43 

inazione  del  Regno  d'Italia,  l'azione  del  nuovo  Stato,  per  quanto  riguarda  il 
rilevamento  idrografico  delle  sue  coste,  fosse  stata  nulla. 

Già  dal  1867  il  B.  Governo,  preoccupato  dal  fatto  che  il  materiale  car- 
tografico marittimo  delle  coste  italiane  era  insufficiente  ed  antiquato,  e  de- 
sideroso di  sottrarre  il  paese  all'umiliante  tributo  che  doveva  alle  marinerie 
straniere,  specialmente  a  quelle  inglese,  francese  ed  austriaca,  per  quanto  ri- 
guardava lo  studio  dei  suoi  mari,  aveva  costituito  un'apposita  Commissione 
incaricata  di  redigere  e  tradurre  in  atto  un  piano  di  lavori  idrografici  capace 
di  corrispondere  alle  esigenze  della  moderna  navigazione. 

2.  La  cartografia  marittima  delV Italia  all'epoca  della  costituzione 
del  Regno,  —  Le  Carte  allora  esistenti,  e  più  in  uso  presso  i  naviganti,  erano 
quasi  tutte  di  origine  straniera.  Opera  italiana  poteva  sicuramente  consi- 
derarsi, sebbene  pubblicata  da  un  governo  straniero,  quella  monumentale 
Carta  del  mare  Adriatico  alla  scala  di  1  :  175,000,  costruita  dall'I.  B. 
Istituto  Geografico  Militare  di  Milano,  cui  serviva  di  opportuno  commento 
il  Portolano  del  mare  Adriatico^  pubblicato  dal  medesimo  Istituto  col  nome 
del  cap.  Giacomo  Marieni.  Opera  italiana  era  pure  la  bellissima  Carta  di 
cabottaggio  delle  coste  del  Regno  delle  Due  Sicilie  bagnate  dall'Adriatico^ 
dal  fiume  Tronto  al  Capo  di  S.  Maria  di  Leuca,  rilevata  e  costruita  dal 
B.  Officio  Topografico  Napoletano  alla  scala  di  1 :  100.000  e  pubblicata 
nel  1834;  ed  opera  italiana  erano  altresì  alcuni  rilevamenti  parziali  eseguiti 
dall'ammiraglio  Albini  nei  porti  della  Liguria  e  della  Sardegna.  Ma,  se  ne 
togli  forse  la  Carta  napoletana,  tutte  le  altre  erano  ormai  insufficienti  per  i 
bisogni  della  navigazione*  né  più  rispondevano  allo  stato  attuale  della 
linea  di  costa  e  dei  fondali,  soggetti  a  continue  variazioni  ;  onde  meglio  con- 
veniva ricorrere  alle  più  recenti  Carte  straniere  che,  come  abbiamo  veduto, 
si  dovevano  specialmente  all'ammiragliato  francese  per  le  coste  tirrene,  a 
quello  inglese  per  la  Sicilia,  a  quello  austriaco  per  TAdriatico. 

La  Commissione,  presieduta  dall'ammiraglio  duca  Imbert,  rivolse  dap- 
prima le  sue  cure  al  litorale  veneto,  come  quello  che,  per  la  natura  sua,  era 
più  soggetto  a  forti  variazioni;  ma  ben  presto,  in  seguito  ad  accordi  col 
Governo  austro-ungarico,  venuto  ad  intesa  (agosto  1868)  con  quello  italiano 
per  un  nuovo  rilevamento  generale  dell 'Adriatico,  tali  cure  si  estesero  a  tutte 
quante  le  coste  italiane  bagnate  da  quel  mare.  Esso  rilevamento  volgeva  ap- 
punto al  suo  termine  quando  venne  istituito  l'Ufficio  Idrografico  di  Genova,  che, 
accentrando  tutte  le  operazioni  interessanti  l'idrografia  marittima  e  coordinan- 
dole con  una  serie  di  ricerche  scientifiche  a  quelle  congiunte,  doveva  dare  a 
questo  ramo  dell'attività  dello  Stato  un  così  largo  sviluppo. 

3.  Lo  stato  attuale  della  cartografia  marittima  italiana,  —  Non  è 
qui  il  caso  di  seguire  in  ordine  cronologico  l'andamento  dei  lavori,  compiuti 


44  GIOVANNI   CELORIA   -   ERNESTO   GLIAMAS 

in  gran  parte  sotto  la  direzione  del  comandante,  poi  ammiraglio,  6.  B.  Ma- 
gnaghi,  primo  direttore  del  nuovo  Ufficio  che  fu  da  lui  retto  dal  1872  al  1888 
e  a  cui  pure  presiedette  per  oltre  cinque  anni  in  qualità  di  direttore  generale 
del  Servizio  idrografico,  imprimendogli  quell'elevato  indirizzo  tecnico  e  scien- 
tifico  che  poi  fu  sempre  mantenuto.  Pib  opportuno  riuscirà  invece  Taccennare 
allo  stato  attuale  dei  lavori  eseguiti  e  il  fornire  alcune  notizie  sui  procedi 
menti  impiegati  nella  loro  esecuzione. 

L*  idrografia  delle  coste  marittime  del  Regno  comprende  230  fra  Carte  e 
Piani,  dei  quali  83  riguardano  le  coste  del  Tirreno,  20  quelle  del  mare  Jonio, 
55  l'Adriatico,  31  la  Sardegna,  40  la  Sicilia.  Sono  poi  da  aggiungersi  altre 
13  Carte  generali  dei  mari  d'Italia  e  4  Carte  speciali  per  il  rilevamento  ba- 
tometrico dei  laghi  Yerbano  e  Benaco. 

Le  Carte,  come  lo  richiedono  i  bisogni  della  navigazione,  sono  tutte  co- 
struite nella  proiezione  di  Mercatore.  Esse  non  formano  una  serie  continua, 
nò  hanno  tutte  eguale  scala  :  ma  ciascuna  di  esse  sta  a  sé,  e  la  loro  scala 
media  varia  per  le  Carte,  secondo  l'importanza  navigatoria  del  tratto  di  costa 
rappresentato,  tra  1 :  50.000  e  1 :  300.000.  Per  i  porti,  per  le  isole  minori 
e  in  genere  per  quelle  località  di  particolare  importanza  nautica,  si  posseg- 
gono Piani  a  scala  variabile  tra  1 :  2.000  e  1 :  40.000. 

«  La  idrografìa  delle  nostre  coste  è  oggi  completa,  e  per  ricchezza  e 
«  bontà  può  reggere  al  confronto  con  quella  delle  nazioni  piti  progredite; 
«  sicchò  possiamo  affermare  con  legittima  soddisfazione  »  —  così  riferiva 
il  comandante,  ora  ammiraglio,  Leonardi-Cattolica,  al  Congresso  Geografico 
Italiano  tenuto  a  Napoli  nel  1904  —  ^  come  il  nostro  paese,  che  era  disceso 
K  ad  un  livello  molto  basso  nella  cartografia  nautica,  sia  riuscito,  in  un  pe^ 
«  riodo  di  tempo  relativamente  breve,  a  conquistare  un  posto  confacente  alle 
ft  sue  belle  tradizioni  ed  ai  suoi  nuovi  ideali:  il  che  sta  a  conferma  del 
«  fatto  storico  che  il  progresso  degli  studi  cartografici  ò  uno  degli  indici  della 
«  prosperità  civile  ed  economica  delle  nazioni  » . 

Le  carte  idrografiche,  oltre  a  dare  una  rappresentazione,  per  quanto  è 
possibile,  precisa  e  dettagliata  della  linea  di  costa,  con  tutti  i  suoi  più  mi- 
nuti particolari,  debbono  rappresentare  anche  il  fondo  marino  per  una  zona 
pib  0  meno  ampia,  neir  interesse  della  navigazione.  Il  rilevamento  della  linea 
di  costa  vien  fatto  con  Tuso  del  tacheometro.  Il  fondo  marino  viene  rappre- 
sentato indicando  le  quote  di  profondità  riferite  ad  un  numero  grandissimo 
di  punti.  La  posizione  del  punto  scandagliato  viene  determinata  con  osser- 
vazioni angolari  riferite  ai  punti  trigonometrici  stabiliti  sulla  costa.  Le  ope- 
razioni di  triangolazione,  alle  quali  si  appoggiano  tanto  i  rilievi  tacheome- 
trici costieri  quanto  gli  scandagli,  sono  collegate  alla  triangolazione  fonda- 
mentale del  Regno  eseguita  dall'Istituto  Geografico  Militare.  Così  pure  dai 
lavori  dell'Istituto  Geografico  si  desume  la  topografia  interna  della  zona  co- 
stiera rappresentata. 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA    ECC.  45 

Alle  operazioni  di  rilevamento  e  di  scandaglio  sono  adibiti  ufSciali  dello 
Stato  Maggiore  dell'Armata,  coadiuvati  da  un  certo  numero  di  tecnici  civili 
che  prendono  imbarco  su  di  una  nave  espressamente  armata  per  la  campagna 
idrografica.  I  rilievi  originali  vengono  eseguiti  ad  una  scala  assai  maggiore 
di  quella  adottata  poi  per  la  costruzione  della  Carta,  in  modo  da  ottenere 
in  questa  una  grandissima  precisione.  La  riproduzione  delle  Carte  viene  fatta 
mediante  V  incisione  diretta  su  rame,  dalla  quale  si  ricavano  stampe  calco- 
grafiche. Non  ebbero  sinora  pratico  risultato  i  tentativi  fatti  per  sostituire 
air  incisione  a  bulino,  necessariamente  lenta  e  dispendiosa,  i  moderni  procedi- 
menti fotomeccanici,  e  ciò  per  la  necessità  di  avere  le  copie  stampate  su 
carta  atta  al  disegno  e  poco  alterabile  alle  intemperie  cui  possono  essere 
esposte  durante  la  navigazione  ;  ciò  che  richiede  particolare  nitidezza  e  pro- 
fondità del  tratto  inciso  sulla  lastra  di  rame. 

Il  lavoro  di  incisione  non  è  soltanto  una  copia  fedele  di  un  disegno  fatto 
su  carta,  ma  è  una  vera  e  propria  costruzione  originale,  in  cui  la  posizione 
dei  punti  determinati  viene  riportata  con  grandissima  accuratezza,  usando 
allo  scopo  uno  speciale  apparecchio  che  dal  suo  inventore  prende  il  nome  di 
Coordinatometro  Magnaghi. 

Le  Carte  idrografiche,  non  meno  di  quelle  topografiche,  hanno  bisogno 
di  un  continuo  lavoro  di  revisione  e  di  aggiornamento  che  permetta  loro  di 
rappresentare  ad  ogni  momento  lo  stato  attuale  della  linea  di  costa  e  dei 
fondali  dello  specchio  d'acqua  adiacente.  Sia  Tuna  che  gli  altri  sono  infatti 
soggetti  a  cambiamento  incessante,  per  opera  dell'uomo  che  tende  a  miglio- 
l'are  gli  approdi  portuali  coU'erezione  di  moli  e  banchine,  e  per  quella  degli 
agenti  fisici  che,  specialmente  lungo  le  spiagge  alluviali,  valgono  ad  alterare 
rapidamente  le  profondità  e  la  linea  di  spiaggia. 

Tale  lavoro  di  revisione  oggi  assorbe  particolarmente  gran  parte  del- 
l'opera del  R.  Istituto  Idrografico,  che  deve  provvedere  a  ripetere  i  rileva- 
menti e  gli  scandagli  e  apportare  ai  rami  originali  le  necessarie  correzioni, 
rinnovando  di  frequente  le  tirature  delle  Carte.  Esso  non  lo  distoglie  tut- 
tavia dair esecuzione  del  suo  programma,  che  mira  ad  estendere  la  cono- 
scenza dei  nostri  mari  ad  una  distanza  sempre  maggiore  dalla  costa,  e  a 
fornire  rilevamenti  di  dettaglio  per  quei  pochi  tratti  dì  costa  interessanti  la 
navigazione  e  gli  approdi,  per  i  quali  ancora  non  si  posseggono  piani  a 
grande  scala. 

4.  Lavori  idrografici  nelle  colonie.  —  L'opera  dell'Istituto  Idrografico 
compiuta  negli  ultimi  cinquanta  anni,  non  si  limita  soltanto  allo  studio  dei 
mari  che  lambiscono  le  coste  del  Regno,  ma  si  estende,  in  larga  misura, 
anche  a  quelli  che  bagnano  i  litorali  delle  nostre  colonie  africane  del  Mar 
Bosso  e  dell'Oceano  Indiano,  la  cui  cartografia,  al  momento  della  nostra 
occupazione,  lasciava  tanto  a  desiderare. 


46  GIOVANNI   CBLORIA   -   ERNESTO   OLIAMAS 

I  lavori  nel  Mar  Bosso  iniziati  nel  1880-81  con  il  rilevamento  della 
Baia  di  Assab,  estesi  nel  1886  al  porto  di  Massaua  e  alle  sue  adiacenze, 
furono  ripresi  e  continuati  con  maggior  lena  tra  gli  anni  1891  e  1896,  e 
poi  nel  1904,  conducendo  alla  costruzione  di  ben  14  fra  Carte  e  Piani  della 
Costa  Eritrea,  appoggiati  ad  osservazioni  astronomiche  e  a  determinazioni  geode- 
tiche opportunamente  eseguite. 

Per  quanto  riguarda  la  Somalia,  i  lavori  regolari  di  rilevamento  idro- 
grafico si  iniziarono  nel  1898  e  furono  poi  più  o  meno  attivamente  conti- 
nuati in  tutti  gli  anni  seguenti.  Essi  fruttarono  il  rilevamento  dei  Piani  dei 
principali  scali  della  costa,  dei  quali  furono  anche  determinate,  mediante 
osservazioni  astronomiche,  le  coordinate  geografiche  ;  e  fruttarono  altresì  una 
ricognizione  sommaria  e  generale  di  tutta  la  Costa  della  Somalia  meridionale, 
ancora  troppo  mal  rappresentata  sulle  Carte  preesistenti. 

Nò  l'attività  del  B.  Istituto  Idrografico  nel  campo  cartografico  e  scien- 
tifico si  limitò  e  si  limita  soltanto  alla  pubblicazione  delle  Carte.  Prescin- 
dendo dal  largo  concorso  prestato  al  programma  di  lavori  astronomico-geode- 
tici  che  interessano  gli  scopi  dell'Asssociazione  Geodetica  Internazionale  e 
dei  quali  fu  già  detto,  dobbiamo  aggiungere  la  compilazione  del  Portolano 
delle  coste  italiane,  descrizione  particolareggiata  del  nostro  littorale  marit- 
timo e  complemento  indispensabile  delle  Carte  che  lo  rappresentano,  nonchò  la 
pubblicazione  periodica  degli  Annali  Idrografici^  raccolta  e  miniera  perio- 
dica di  documenti  e  notizie  che  interessano  T  idrografia  e  la  navigazione,  e 
che  tanno  fede  deiroperosità  attiva  ed  efBcace  esercitata  dal  B.  Istituto 
Idrografico,  e  d^li  ufiiciali  della  Begia  Marina  in  genere,  per  lo  studio  dei 
nostri  mari  non  solo,  ma  di  tutti  quelli  ove  le  BB.  navi  sono  destinate  a 
recarsi  in  servizio  dello  Stato. 


X. 


BIEPILOGO 


Lo  stato  dei  lavori  geodetici  e  cartografici  al  1911. 

Giunti  così  al  termine  della  rapida  rassegna,  colla  quale  ci  proponemmo 
di  prendere  in  sommario  esame  il  lavoro  compiuto  dallo  Stato  italiano  nel 
campo  geodetico,  topografico  e  cartografico,  sarà  agevole  constatare  come  l'at- 
tività dispiegata  anche  in  questo  campo  non  sia  punto  trascurabile,  ma 
costituisca  anzi  un  contributo  veramente  valevole  ed  efficace  agli  studi  scien- 
tifici e  tecnici  di  cui  il  nostro  paese  fu  oggetto  e  che  tanto  ridondano  al 
suo  vantaggio  economico. 


TRIANGOLAZIONE   GEODETICA    ECC.  47 

Per  quanto  riguarda  infatti  le  operazioni  di  carattere  astronomico-geode- 
tico,  la  rete  geodetica  fondamentale,  che  tutto  copre  il  territorio  dello 
Stato,  congiunta  con  le  numerose  determinazioni  assolute  di  latitudine, 
di  longitudine  e  di  azimut,  oltre  al  fornire  una  base  sicura  alla  cartografia 
topografica,  permette  ormai  di  dedurre  con  sufficiente  precisione  la  curvatura 
del  Geoide  per  la  nostra  regione,  e  di  mettere  in  evidenza  le  sue  anomalìe 
locali  ;  mentre  una  conveniente  rete  di  livellazione  geometrica  consente  inoltre 
un  opportuno  confronto  fra  il  livello  medio  dei  mari  che  bagnano  le  coste 
della  Penisola. 

La  Carta  topografica  del  territorio  nazionale  è  compiuta  in  ogni  sua 
parte,  e,  per  la  precisione  delle  determinazioni  su  cui  essa  si  fonda  e  per  T evi- 
denza artistica  della  sua  rappresentazione,  gareggia  con  le  migliori  d'Europa. 
Altrettanto  si  dica  per  il  rilevamento  idrografico  delle  sue  coste  marittime, 
onde  Topera  del  B.  Istituto  Idrografico  riesce  un  opportuno  complemento,  in 
questo  campo,  a  quella  delV Istituto  Geografico  Militare. 

Né,  come  abbiamo  veduto,  tale  attività  scientifica  e  cartografica  in  terra 
ferma  e  sul  mare  si  limitò  al  territorio  nazionale,  ma  si  estese  per  anco,  in 
misnra  più  o  meno  larga,  a  quello  dei  possedimenti  coloniali  che  T  Italia  ha 
acquistato  nell'Africa  Orientale. 

Ma  non  si  creda  con  ciò  compiuta  in  ogni  sua  parte  l'esecuzione  di  un 
programma  che,  di  natura  sua,  non  ha  né  può  avere  limiti,  mentre  invece 
deve  necessariamente  seguire  i  progressi  della  scienza,  dell'arte  e  dei  bisogni 
della  pratica.  Prescindendo  dalle  determinazioni  di  carattere  scientifico,  che 
debbono  essere  moltiplicate  a  misura  che  si  estendono  gli  orizzonti  della 
fisica  del  globo,  e  che,  come  del  resto  tutte  le  indagini  scientifiche,  hanno 
continuo  ed  intimo  rapporto  con  la  pratica  della  vita,  e  limitandosi  solo  alla 
descrizione  geometrica  del  territorio,  dovranno  apparire  ormai  insufficienti 
quelle  levate  ad  1 :  50,000  che,  soltanto  sotto  l'imperio  dell'urgenza  e  delle 
ragioni  finanziarie,  furono  decretate  circa  mezzo  secolo  fa;  dovrà  palesarsi 
sempre  più  il  bisogno  di  estendere  le  levate  a  grande  scala  nelle  regioni  ove 
l'attività  economica  va  sempre  più  affermandosi,  e  di  procedere  a  periodiche 
revisioni  sul  terreno  per  seguirne  le  incessanti  trasformazioni  dovute  al- 
l'opera della  natura  e  dell'uomo;  dovrà  sentirsi  sempre  più  forte  la  neces- 
sità di  seguire  attentamente  il  progresso  delle  arti  grafiche  e  dei  varìt 
processi  scientifici  utilizzabili  nella  cartografia,  sia  per  ottenere  prodotti 
sempre  migliori,  sia  per  diminuire  il  lavoro,  il  tempo  e  le  spese  a  ciò  occor- 
renti. 

Dovranno  altresì  moltiplicarsi  le  determinazioni  altimetriche  di  preci- 
sione, di  così  grande  e  riconosciuta  utilità  pratica  per  le  operazioni  idrauliche 
e  stradali. 

Si  prenderanno  finalmente  opportuni  provvedimenti  perchè  il  lavoro,  che 
si  può  dire  soltanto  iniziato  in  Eritrea  e  più  ancora  nella   Somalia,    venga 


48  GIOVANNI   CELORIA   -   ERNESTO   OLIAMAS 

proseguito  e  compiuto  cosi  come  è  richiesto  dallo  sviluppo  degli  interessi 
tanto  scientifici  quanto  economici. 

Un  campo  yastissimo  di  attività  geodetica  e  cartografica  si  presenta 
quindi  da  coltivare  nel  territorio  della  madre  patria,  non  meno  che  in  quello 
delle  sue  colonie. 

Al  lavoro  da  compiere  riuscirà  ognora  di  incitamento  e  di  sprone  il 
ricordo  di  quello  che,  a  traverso  difBcoltà  non  lievi  e  con  risultati  veramente 
confortanti,  venne  compiuto  nel  primo  mezzo  secolo  di  vita  dello  Stato 
Italiano. 

Milano,  luglio  1910. 

0.  Celoria 

Diietton  del  E.  Ouervatorio  di  Br«n,  Milimo. 
Praldente  della  E.  Commietio&e  geodeiicA. 

E.  Qliamas 

Direttore  deU*Iititato  feogtmfioo  militare,  Firenxe. 
Viee-Preeidente  delle  B.  Commiaeio&e  geodetica. 


FERROVIE  0 


I. 

Le  ferrovie  e  la  politica  ferroviaria  fino  alle  convenzioni  del  1885. 

Al  V  giugno  del  1859  erano  in  Italia  in  esercizio  1758  chilometri  di 
ferrovie,  così  ripartiti  :  Piemonte  808,  Lombardia  202,  Veneto  298,  Toscana 
256,  Stato  pontificio  e  Ducati  101,  Begno  di  Napoli  98  ;  erano  pure  concessi, 
e  parte  in  costruzione,  oltre  millecento  chilometri:  qualche  linea  anti  fu 
aperta  poco  dopo  quella  data. 

Il  Begno  di  Napoli,  allora  il  meno  dotato  di  ferrovìe,  era  però  stato 
il  primo  a  fare  le  concessioni:  questo  avvenne  nel  1836:  ma  soltanto  nel 
1839  fu  aperto  il  primo  tronco  (8  chilometri)  da  Napoli  a  Portici.  In  Lom- 
bardia la  prima  concessione  fii  fatta  nel  1837,  in  Toscana  nel  1888. 

11  Begno  di  Napoli  ebbe  pure  pel  primo  una  costruzione  a  spese  dello 
Stato,  col  tronco  Napoli-Caserta-Capua,  decretato  nel  1842  e  aperto  all'eser- 
cizio  nel  1843-44;  ma  poco  altro  fece,  mentre  il  Piemonte  adottava  risolu- 


0)  Notizie  molto  particolareggiate  e  diligenti  Balla  formazione  della  rete  ferroviaria 
italiana  e  sulle  sue  attuali  condizioni,  si  trovano  ;  V,  negli  Atti  della  Reale  Committione 
(istituita  nel  1898)  per  lo  ttudio  di  propotte  intomo  aW ordinamento  delle  Strade  fer- 
rate (Roma),  specialmente  nel  voi.  I  (1903)  e  voi.  VII  (1906);  2?,  nella  relazione  pubbli- 
cata dairUfficio  speciale  per  le  ferrovie  al  Ministero  dei  lavori  pubblici,  col  titolo:  Le 
eonceuioni  di  ferrovie  alVindustria  privata  (Roma,  1907  e  segg.);  3^  nelle  Reiasioni 
(annuali)  delVAmminietrasione  delle  Ferrovie  esercitate  dallo  Stato,  pubblicate  dalla 
Direzione  generale  (Roma,  1906  e  segg.).  Ho  consultati  anche  gli  Atti  parlamentari  e  \e 
Uggì  speciali,  delle  quali  si  farà  la  citazione  a  luogo  opportuno.  Meritano  di  essere  ri- 
cordati due  articoli  col  titolo:  Die  Eisenbahnfrage  in  Italien,  pubblicati  dal  prof.  Co- 
stantino Bresciani  noiVArchiv  fùr  Eisenbahnwesen  del  1905  e  del  1908,  e  Taccurato 
Cenno  storico  della  legislazione  sulle  costruzioni  ferroviarie,  pubblicato  dairon.  Ettore 
Sacchi  nella  Nuova  Antologia  del  16  novembre  1906.  Ringrazio  qui  la  Direzione  gene- 
rale delle  Ferrovie  dello  Stato  e  TUfScio  speciale  delle  ferrovie  al  Ministero  dei  lavori 
pubblici  per  le  notizie  e  i  documenti,  che  mi  hanno  cortesemente  favoriti. 

Carlo  F.  Ferraris.  —  Ferrovìe.  1 


CARLO   F.   FERRARIS 


tamente,  per  le  linee  principali,  il  sistema  della  costruzione  e  dell'esercìzio 
di  Stato  nel  1844,  pur  non  trascurando  concessioni  di  linee  minori  all'in- 
dustria privata.  Cosi  nel  1859  il  Piemonte  aveva  una  rete  di  Stato  di  285 
chilometri,  fra  cui  la  linea  Torino-Genova,  tutta  a  doppio  binario. 

Linee  importanti  erano  pure  la  Milano-Venezia,  di  286  chilometri,  in 
parte  a  doppio  binario  ;  la  Firenze-Pisa-Livorno,  di  96  chilometri,  a  doppio 
binario;  la  Piacenza-Bologna,  finita  però  ed  aperta  per  intiero  all'esercizio 
soltanto  il  21  luglio  1859,  di  147  chilometri,  in  parte  a  doppio  binario,  ecc. 

I  Governi  provvisori  non  trascurarono  il  problema,  e  presero  provvedi- 
menti per  revoca  di  concessioni,  concessioni  nuove,  e  continuazione  di  co- 
struzioni, cosicché,  ad  esempio,  nel  gennaio  1860  si  ebbe  una  linea  com- 
pleta da  Susa  a  Bologna  per  Torino,  Alessandria  e  Piacenza;  ed  all'aprirsi 
del  primo  Parlamento  italiano,  nell'aprìle  1860,  le  linee  in  esercizio  ascen- 
devano a  1983  chilometri,  dei  quali  1465  nelle  provinole  già  politicamente 
congiunte;  le  concessioni  già  fatte  erano  per  la  costruzione  di  1887  chilo- 
metri, dei  quali  1285  nelle  ora  indicate  provincie. 

II  Governo  nazionale  subito  riconobbe  l'assoluta  necessità  di  provvedere 
al  pieno  congiungimento  ferroviario  delle  varie  regioni  unite  col  vincolo  po- 
litico, per  ripieni  economiche,  politiche,  strategiche,  troppo  note  o  facili  ad 
indovinarsi  perchè  occorra  ricordarle.  A  tale  intento  si  volsero  gli  sforzi,  non 
in  base  a  studi  completi,  ma  adottando  metodi,  i  quali  permettessero  la 
pronta  congiunzione  delle  linee  già  esistenti  e  la  rapida  creazione  di  nuove 
linee  nelle  regioni  che  ne  erano  prive,  bisogno  divenuto  urgentissimo  dopo 
l'annessione  del  Mezzogiorno  e  della  Sicilia.  Far  molto  e  presto,  anche  a  costo 
di  imperfezioni,  fu  il  canone,  pienamente  giustificato,  della  politica  ferroviaria 
airinizio  del  nuovo  Begno;  così  non  fosse  stato  sonito  più  tardi! 

Colla  legge  8  luglio  1860  fu  approvata  la  convenzione  che  alla  Società 
delle  Strade  ferrate  meridionali  austriache,  lombardo- venete,  e  dell'Italia 
centrale,  conservava  le  precedenti  concessioni,  e  ne  faceva  altre,  obbligan- 
dola però  ad  avere  per  la  rete  italiana  uno  speciale  Consiglio  di  ammini- 
strazione residente  nel  Begno;  così  essa  potò  in  breve  possedere  una  rete  di  825. 
chilometri.  Furono  affrettatamente  concesse  le  linee  sulla  costa  ligure  (dal 
confine  francese  per  Genova  a  Spezia)  ;  poi  furono  date  alla  Società  Vittorio 
Emanuele,  con  sede  in  Piemonte,  ma  di  origine  estera,  alcune  parti  della 
rete  Calabro-Sicula  ;  furono  stretti  nuovi  patti  colle  varie  Società  delle  fer-^ 
IO  vie  toscane,  che  ebbero  anche  diramazioni  nell'Umbria  ;  con  aiuti  alla  So- 
cietà generale  delle  ferrovie  romane,  pur  essa  di  origine  estera,  e  già  in  pos- 
sesso di  concessioni  fattele,  a  cominciare  dal  1856,  dal  governo  pontifìcio, 
le  si  rese  possibile  aprire  sulla  fine  del  1861  all'esercizio  la  linea  Bologna- 
Ancona  e  di  iniziare  la  costruzione  delle  diramazioni;  nel  1862  si  fece  la 
prima  concessione  alla  Società  italiana  per  le  strade  ferrate  meridionali,  la 
cui  potente  attività  si  congiunse  poi  a  tutta  la  storia  ferroviaria  italiana  fino» 


FERROVIE 


al  1906,  e  che  seppe  mostrare  fin  dall'origine  un  robusto  organismo,  co- 
struendo rapidamente  la  linea  Ancona- Foggia:  si  costrussero  linee  minori 
nel  Piemonte,  ove  si  ampliò  anche  la  rete  di  Stato:  nel  novembre  1864  si 
apriva  all'esercizio  la  linea  Bologna-Pracchia-Pistoia,  ecc.  Né  si  era  trascu- 
rata la  Sardegna,  ove,  mediante  la  Compagnia  reale  delle  ferrovie  sarde, 
sorta  nel  1862,  si  ei-a  avviata  la  costruzione  della  rete  nel  1868. 

Come  si  scorge,  i  primi  anni  del  nuovo  regno  furono  sanati  da  note- 
vole attività  in  ordine  alle  ferrovie. 

La  necessità  di  ridurre  il  soverchio  numero  delle  Società,  che  troppo 
frazionava  Tesercizio,  e  la  sempre  rinascente  difficoltà  di  trovare  capitali  sul 
mercato,  vuoi  pei  bisogni  delle  Società  in  ordine  alla  costruzione  ed  allo 
esercizio,  vuoi  pei  bisogni  dello  Stato  non  soltanto  per  provvedere  alle 
ferrovie,  ma  anche  per  colmare  il  formidabile  disavanzo  del  bilancio,  porta- 
rono all'approvazione  di  un  vasto  piano  ferroviario  e  finanziario,  il  quale  fu 
sanzionato  colla  legge  14  maggio  1865,  mentre  già  poco  prima  una  nuova 
legge  organica  del  20  marzo  1865  sui  lavori  pubblici  riproduceva,  comple- 
tandola, quella  del  1859. 

Questa  legge  del  20  marzo  1865,  ancora  in  parte  vigente,  sanzionava 
la  classificazione  delle  ferrovie  in  pubbliche  e  in  private  ;  queste  erano  sud- 
distinte in  private  di  prima  categorìa,  le  quali  dovevano  correre  esclusiva- 
mente su  terreni  appartenenti  a  chi  le  costruiva,  e  davano  luogo  ad  inge- 
renza dello  Stato  nei  soli  riguardi  dell'igiene  e  della  sicurezza  pubblica,  e 
private  di  seconda  categoria,  cioè  quelle  che  toccavano  in  qualsiasi  modo  la 
proprietà  altrui  (le  pubbliche  strade,  i  corsi  d'acqua  pubblici,  gli  abitati, 
ed  ogni  altro  sito  od  opera  pubblica)  e  richiedevano  la  preventiva  approva- 
zione dei  piani  esecutivi  da  parte  del  governo.  Criterio  distintivo  restava 
la  natura  dell'uso,  ma  anche  per  le  ferrovie  private  di  seconda  categoria 
era  imposto,  alle  proprietà  privaite  da  intersecarsi,  la  servitù  del  passaggio 
coattivo,  e  i  costruttori  dovevano  adempiere  agli  obblighi  richiesti  per  lo 
acquisto  della  servitù  coattiva  di  acquedotto.  La  le^e  regolava  la  conces- 
sione (da  farsi  sempre  a  tempo)  di  costruzione  e  di  esercizio,  tenuto  conto 
che  la  finalità  della  concessione  è  l'interesse  pubblico,  determinava  i  di- 
ritti e  doveri  del  concessionario  e,  pur  non  disciplinando  le  modalità  finan- 
ziarie della  concessione,  sanciva  il  diritto  dello  Stato  alla  partecipazione  dei 
benefici,  le  norme  per  la  sua  vigilanza,  ecc. 

L'altra  legge,  quella  del  14  maggio  1865,  fu  veramente  notevole,  e 
diede  alle  ferrovie  il  seguente  assetto. 

Le  ferrovie  principali  furono  ripartite  fra  quattro  Società  assai  cospicue  : 
l""  la  Società  dell'Alta  Italia,  che  sorse  scindendosi  dalla  ricordata 
Società  concessionaria  delle  linee  dell'Austria  meridionale,    del   Lombardo- 
Veneto  e  dell'Italia  centrale;  essa  acquistò  per  200  milioni  dallo  Stato  la 
rete  piemontese  e  le  linee  già  date  in  concessione  alla  Società  Vittorio  Ema- 


CARLO    F.    FERRARIS 


Duele,  e  ne  assunse  l'esercizio  insieme  con  le  altre  linee  italiane  (tranne  le 
venete,  che  ebbe,  come  vedremo,  dopo  il  1866)  già  di  quella  Società; 

2°  la  Società  delle  strade  ferrate  romane,  che  nacque  dalla  fusione 
della  Società  delle  ferrovie  livornesi,  della  Maremmana,  della  Centrale  To- 
scana, e  della  Società,  sopra  menzionata,  già  intitolata  delle  ferrovie  romane  : 
le  fu  concessa  la  costruzione  e  l'esercizio  della  linea  da  Massa  a  Venti- 
miglia  per  Genova  colle  diramazioni,  e  delle  linee  da  Asciano  a  Grosseto, 
da  Sanseverino  ad  Avellino,  ecc.,  con  riserva  da  parte  del  Governo  di  com- 
prendere nella  concessione  altre  linee  dell'Italia  centrale  e  meridionale,  e  con 
l'obbligo  di  esercitare,  a  richiesta  del  Governo,  varie  lìnee  piemontesi; 

8''  la  Società  italiana  per  le  strade  ferrate  meridionali,  della  quale  fu 
già  dato  cenno,  e  che  con  le  concessioni  d'allora  e  con  le  successive,  venne 
ad  avere  l'intiera  linea  Bologna-Otranto  colla  Foggia-Napoli  e  varie  dira- 
mazioni, più  la  Voghera-Pavia  Cremona-Brescia  ed  altre  linee  minori; 

4^  la  Società  Vittorio  Emanuele,  che,  dopo  avere  cedute  le  linee  da 
Torino  al  Ticino  (affidate  nel  nuovo  assetto  alla  Società  Alta  Italia),  fu 
confermata  concessionaria  per  la  costruzione  e  Teserclzio  di  alcune  princi- 
pali linee  nel  Mezzogiorno  ed  in  Sicilia. 

Completavano  questo  sistema  alcune  Società  lasciate  sussistere  per  linee 
minori,  e  per  la  Sardegna  la  ricordata  Compagnia  reale. 

Con  tutte  le  concessioni  fatte  si   sperava   di  arrivare,  nel   termine  di 
cinque  anni,  ad  avere  una  rete   di  7500  chilometri. 

È  innegabile  che  il  riordinamento  così  sanzionato  aveva  notevoli  pregi. 
Si  escludevano  quasi  del  tutto  le  costruzioni  per  conto  dello  Stato,  le 
cui  finanze  abbisognavano  di  sollecite  cure  :  occorreva  evitare  ulteriori  cause 
di  aggravare  il  disavanzo,  e  fra  esse  potevano  prender  posto  in  prima  linea 
le  costruzioni  ferroviarie.  Il  sistema  si  fondava  sul  razionale  principio  di 
affidare  alle  Società  private  tanto  la  costruzione  che  l'esercizio:  esse  ave- 
vano interesse  a  costruire  bene,  per  poter  bene  e  con  minor  spesa  esercitare. 
Eliminate  parecchie  piccole  Società,  si  evitava  il  soverchio  frazionamento 
dell'esercizio,  raggruppato,  per  le  principali  linee  continentali  e  sicule,  in 
quattro  Società,  aventi  reti  di  estensione  non  molto  diversa  (dai  1500  ai  2000 
chilometrì),  ciascuna  con  qualche  porto  principale,  con  qualche  linea  di 
forte  traffico,  e,  così,  con  prospettiva  di  concorrenza,  ma  moderata.  Una  delle 
Società,  quella  dell'Alta  Italia,  aveva  la  partecipazione  finanziaria  della 
Casa  Rothschild,  e  così  questa  potentissima  banca  era  interessata,  non 
soltanto  al  buon  andamento  della  Società,  ma  anche  al  miglioramento  del 
bilancio  dello  Stato  ;  la  Società  era  anche,  data  la  posizione  geografica  della 
sua  rete,  in  grado  di  estendere  la  sua  attività  ;  e  difatti  ebbe  l'esercizio  della 
rete  veneta  quando  nel  1866  il  Veneto  fu  congiunto  al  nuovo  Regno.  Altro 
buon  elemento  del  sistema  era  la  Società  delle  strade  ferrate  meridionali, 
ben  costituita  fin  dall'inizio,  italiana  di  origine,  di  capitali  e  di  personale, 


FERROVIE 


largamente  sovvenzionata»  e  cosi  in  grado  di  consolidarsi  economicamente, 
con  amministrazione  oculata,  la  quale  seppe  predisporla  ad  affrontare  le  ine- 
vitabili  difficoltà  future. 

Ma  non  mancavano,  purtroppo,  i  tarli  roditori,  ed  erano  le  non  buone 
condizioni  delle  altre  due  Società. 

La  Società  delle  ferrovie  romane  aveva  ereditato  onerosissime  passività; 
e  le  sue  costruzioni  fatte  disordinatamente,  e  le  sue  mal  riuscite  specula- 
zioni per  fronteggiare  i  bisogni  finanziari,  le  rendevano  di  ognor  più  difficile 
accesso  le  fonti  del  credito,  mentre  si  era  assunta  la  costruzione  delle  costo- 
sissime linee  liguri  :  le  sovvenzioni  governative  erano  piuttosto  scarse,  e  coslr 
anche  scontando  queste,  si  trovò  ben  presto  in  imbarazzi  finanziari  e  si 
avviava  a  sicura  rovina. 

Di  origine  estera  come  la  precedente,  la  Società  Vittorio  Emanuele  si 
trovò  nella  impossibilità  di  portare  il  suo  capitale  alla  somma  preventivata 
in  100  milioni,  e  cadde  pienamente  neUarbitrio  dell'impresa  costruttrice 
delle  sue  linee,  la  famosa  ditta  Vitali-Charles-Picard,  la  quale  aveva  sotto- 
scritte gran  parte  delle  sue  azioni. 

Ad  aggravare  il  male,  sopravvennero  la  crisi  economica  europea  del 
1865-66,  la  guerra  con  l'Austria  del  1866,  l'introduzione  del  corso  foi-zoso, 
le  cattive  condizioni  del  credito  pubblico.  Anche  le  buone  Società  se  ne  ri- 
sentirono: così  si  dovettero  fare  anticipazioni  alla  Società  delle  Meridionali 
per  metterla  in  grado  di  continuare  le  costruzioni.  Lo  Stato  dovette  farsi 
retrocedere  dalla  Società  delle  romane  vuoi  la  concessione  delle  linee  liguri 
assumendone  la  costruzione,  vuoi  Tesercizio  di  alcune  linee,  specialmente  to- 
scane, che  furono  affidate  alla  Società  Alta  Italia,  alla  quale  furono  pure  con- 
cessi la  costruzione  e  T esercizio  della  ferrovia  da  Bussoleno  a  Bardonecchia, 
e  Tesercizio  del  tratto  da  Bardonecchia  al  confine  francese:  infine,  dopo 
varie  vicende,  per  le  quali  la  ditta  Vitali-Charles-Picard  si  sostituì  alla  So- 
cietà Vittorio  Emanuele,  si  finì  per  concedere  le  Calabro-Sicule  alla  Società 
delle  Meridionali. 

Si  fu  cosi  costretti  a  modificare  il  sistema  del  1865:  ma  è  pur  d*uopo 
ricordare  che  tutte  quelle  fortunose  vicissitudini  non  impedirono  che  si  ag- 
giungessero alla  rete  nel  quinquennio  quasi  duemila  chilometri  di  strade 
ferrate  e  che  si  portasse  innanzi  la  difficilissima  costrazione  delle  linee  li- 
guri e  si  aprisse  la  galleria  del  Frèjus,  inaugurata  nel  settembre  1871,  due 
glorie  deiringegneria  italiana. 

Poco  dopo  il  trasporto  della  capitale  a  Roma  (si  trascura  di  entrare 
in  maggiori  particolari),  la  politica  ferroviaria  prese  nuovo  orientamento. 

Si  fecero  convenzioni  per  riscattare  le  linee  ferroviarie  delle  Romane  e 
delle  Meridionali,  rendendone  proprietario  lo  Stato:  questo  nel  1873  e  1875. 
Nel  1875-76  si  strinse  la  convenzione  pel  riscatto  della  rete  dell'Alta  Italia, 
separandola  completamente  dalla  rete  austriaca.  Presentando  al  Parlamento 


CARLO   F.    FERRARIS 


il  disegno  di  legge  per  Tapprovazione  di  queste  coDYenzioni,  il  ministero 
Minghetti-Spaventa  arditamente  propose  T esercizio  di  Stato.  La  proposta  fu 
sconfìtta  col  famoso  voto  del  18  marzo  1876,  che  determinò  la  caduta  della 
Destra  e  laYTento  della  Sinistra  al  potere  col  programma  dell* esercizio  pri- 
vato: e  colla  legge  29  giugno  1876  si  approvò  il  riscatto  delle  ferrovie  del- 
l'Alta Italia,  mentre  si  invitava  il  Governo  a  presentare  un  disegno  di  legge 
per  affidare  le  ferrovie  all'esercizio  privato. 

La  Destra  cadde,  ma  cadde  gloriosamente,  mostrando  di  avere  intuita 
la  soluzione  futura  del  problema  ferroviario  prima  che  ne  dessero  com* 
pietà  esperienza  i  paesi  stranieri;  cadde,  ma  lasciando  in  pareggio  il  bi- 
lancio dello  Stato,  e  una  rete  ferroviaria  da  4200  chilometri,  quale  era 
nel  1865,  cresciuta  a  7438  chilometri  in  esercizio  e  349  in  costruzione 
nel  1876. 

Il  nuovo  Governo,  salito  così  clamorosamente  al  potere  con  la  ban- 
diera dell'esercizio  privato,  non  credette  però  di  adottarlo,  e  volle  ulte- 
riori studi.  Colla  legge  8  luglio  1878  fu  ordinata  una  Commissione  d'in- 
chiesta sull'esercizio  delle  ferrovie,  e  lo  Stato  assunse  provvisoriamente  Io 
esercizio  della  rete  dell'Alta  Italia:  nel  1879  si  approvò  colla  legge  29  luglio 
un  vastissimo  e  dispendiosissimo  programma  per  la  costruzione  di  ferrovie 
complementari  da  farsi  dallo  Stato;  nel  1880  sì  riscattò  la  rete  delle  Romane, 
che  fu,  dal  1882  in  poi,  esercitata  pure  provvisoriamente  dallo  Stato:  furono 
estese  le  concessioni  alla  Società  delle  Meridionali,  modificando  gli  ante- 
riori patti. 

Il  28  marzo  1881  la  Commissione  d'inchiesta  presentava  le  sue  pro- 
poste, favorevoli  all'esercizio  privato.  Ma,  prima  che  si  addivenisse  ad  un 
ordinamento  definitivo,  trascorsero  altri  quattro  anni,  durante  i  quali  non 
si  mantenne  per  le  complementari  rigidamente  il  principio  della  costru- 
zione di  Stato,  ma  si  fece  larga  parte  anche  alla  costruzione  mediante 
società  private. 

In  complesso  si  può  dire  che  si  commisero  non  pochi  errori  e  si 
sperperò  molto  danaro;  si  esercitò  dallo  Stato  una  vigilanza  molto  im- 
perfetta, sia  in  ordine  ai  progetti,  sia  rispetto  alle  costruzioni  ;  ma  questo 
non  impedì  che  la  rete  ferroviaria  si  allargasse,  e  sempre  meglio  giovasse 
al  miglioramento  economico  ed  all'unificazione  politica  e  militare  dello 
Stato:  cosicché  al  principio  del  1885  la  rete  ferroviaria,  pur  sempre  di- 
fettosa, ma  in  costante  aumento,  aveva  raggiunto  uno  sviluppo  superiore 
ai  10,000  chilometri. 


FERROVIE 


II. 

Le  convenzioni  del  1885  e  le  altre  concessioni  fino  al  1905. 

Come  abbiamo  detto,  la  CommissìoDe  d'inchiesta  sulle  strade  ferrate, 
Dominata  nel  1878,  presentò  la  sua  relazione  il  28  marzo  1881  ;  essa  aveva 
formulato  tutto  un  piano  per  Tordinamento  delle  ferrovie  sulla  base  del- 
l'esercizio privato,  al  quale  l'opinione  pubblica  inclinava  anche  perchè  l'espe- 
rimento di  esercizio  di  Stato  sulla  rete  dell'Alta  Italia  si  considerava  come 
non  riuscito,  benché  tale  risultato  fosse  piuttosto  da  imputarsi  al  modo 
molto  manchevole,  col  quale  Fesercizio  fu  organizzato,  e  si  potesse  a  ragione 
sostenere  che  l'esperimento  non  fosse  affatto  decisivo  per  condannare  quel 
sistema. 

Ài  concetti  propugnati  dalla  Commissione  d' inchiesta  si  informarono  i 
disegni  di  legge  formulati  dal  ministro  Baccarini  nel  1883  e  dal  ministro 
Genala  nel  1884:  da  essi  derivò  poi  la  legge  27  aprile  1885,  n.  8048  {% 
che  segna  un  momento  importantissimo  nella  politica  ferroviaria  italiana. 

Le  linee  della  penisola  vennero  ripartite  in  due  reti  longitudinali  ;  Tnna 
pel  versante  Mediterraneo  o,  meglio.  Tirreno,  l'altra  pel  versante  Adriatico  : 
facevano  capo  entrambe  a  Roma  ;  ciascuna  aveva  tre  valichi  alpini,  restando 
comune  la  stazione  di  Chiasso  :  e  dei  passi  degli  Appennini  due  erano  asse- 
gnati alla  rete  Mediterranea,  quattro  alla  rete  Adriatica.  Le  linee  della 
Sicilia  vennero  riunite  in  un'unica  speciale  rete,  fatta  eccezione  della  linea 
Palermo-Castelvetrano-Trapani  già  concessa  a  società  privata. 

Si  crearono  così  tre  grandi  reti  :  la  Mediterranea,  l'Adriatica,  la  Sicula, 
ciascuna  suddistinta  in  rete  principale,  comprendente  le  linee  già  aperte 
airesercizio  il  1  gennaio  1884,  e  in  rete  secondaria,  comprendente  le  linee 
complementari  allora  in  costruzione  od  autorizzate. 

L'esercizio  veniva  assunto  da  tre  Società  private.  L'una  era  la  già  esi- 
stente Società  italiana  per  le  strade  ferrate  meridionali,  che  aggiunse  al 
suo  titolo  le  parole  >  esercente  la  rete  Adriatica  »  perchè  questa  rete  appunto 
le  fu  affidata,  con  facoltà  di  portare  a  180  milioni  il  suo  capitale  di  150 
milioni  in  azioni.  Le  altre  due  furono  la  Società  italiana  per  le  strade  fer- 
rate del  Mediterraneo  e  la  Società  italiana  per  le  strade  ferrate  della  Sicilia  : 
si  costituirono  con  un  capitale  in  azioni,  rappresentato  dal  valore  del  ma- 
teriale rotabile  e  d'esercizio  e  degli  approvvigionamenti,  e  ascendente  a  185 
milioni  per  la  rete  Mediterranea  e  a  15  milioni  per  la  rete  Sicula,  con  fa- 
coltà di  emettere  obbligazioni  nei  limiti  segnati  dal  Codice  di  commercio. 

(')  L^esposizìone  del  contenato  di  tale  legge  fatta  dalla  Commìssioue  reale  del  1898 
nel  voi.  I,  p.  124  e  segg.,  dei  suoi  Atti,  è  così  precisa  e  diligente  che  Tho  nel  seguito 
riprodotta  quasi  letteralmente. 


8  CARLO   F.    FERRARIS 


Importanti  per  giudicare  del  sistema  di  politica  ferroviaria  allora  adot- 
tato SODO  i  seguenti  dati  riferentisi  alla  seconda  metà  del  1885,  cioè  quando 
la  costituzione  delle  due  reti  fu  definitivamente  stabilita. 

La  rete  Mediterranea  comprendeva  4046  chilometri,  la  rete  Adriatica 
4131,  la  rete  Sicilia  597;  inoltre  127  erano  comuni  alle  due  prime.  In 
questa  rete  di  circa  8900  chilometri,  ve  ne  erano  piti  di  6400  di  proprietà 
dello  Stato,  cosicché  le  convenzioni  di  esercizio  allora  stipulate  discipli- 
narono essenzialmente  un  contratto  di  afBtto  concesso  dallo  Stato  per  le 
proprie  linee  alle  Società:  si  aveva  soltanto  una  parziale  eccezione  per  la 
rete  Adrìatica,  poiché  la  Società  esercente  era  proprietaria  di  più  che  1800 
chilometri,  e  fu  quella  che  (non  soltanto  per  questa  r^ione,  ma  anche  per 
questa,  cioè  di  essere  proprietaria  di  grossa  parte  della  rete  esercitata)  am- 
ministrò meglio. 

Messo  in  luce  questo  punto  fondamentale,  ecco  le  modalità  delle  con- 
venzioni. 

Queste  dovevano  avere  la  durata  di  60  anni,  a  partire  dal  1  luglio  1885, 
divisa  in  tre  periodi  ventennali,  con  facoltà  allo  Stato  ed  alle  Società  di 
rescindere  il  contratto  alla  fine  di  ciascuno  dei  due  primi  periodi,  col  preav- 
viso di  due  anni. 

I  patti  di  esercizio  furono  sostanzialmente  i  seguenti. 

Per  le  linee  costituenti  la  rete  principale  : 
P  le  Società  furono  dichiarate  proprietarie  del  materiale  rotabile  e 
di  esercizio  e  degli  approvvigionamenti,  che  esistevano  al  1^  luglio  1885  e 
pei  quali  sborsarono  allo  Stato  il  prezzo  di  stima  alVatto  delia  stipulazione 
del  contratto,  obbligandosi  a  rivenderli  allo  Stato  al  termine  del  contratto  : 
venne  loro  attribuita  anche  la  proprietà  del  materiale  rotabile  e  di  esercizio 
da  acquistarsi  a  carico  dell'apposito  fondo  ; 

2^  le  Società  assunsero  a  proprio  carico  le  spese  per  la  servai  ianza 
governativa  e  tutte  le  spese  per  T esercizio  e  per  la  manutenzione  ordinaria  e 
straordinaria  delle  linee  e  del  materiale,  eccettuate  soltanto  le  spese  cui  do- 
vevano provvedere  i  fondi  speciali  di  riserva  ; 

3°  furono  istituiti  fondi  speciali  di  riserva,  il  primo  destinato  alla 
conservazione  delle  linee  contro  i  danni  di  forza  maggiore  ed  all'emenda- 
mento dei  vizi  di  costruzione,  il  secondo  per  la  rinnovazione  della  parte  me- 
tallica dell'armamento,  il  terzo  per  la  rinnovazione  del  materiale  mobile,  il 
quarto,  la  cosiddetta  cassa  per  gli  aumenti  patrimoniali,  per  provvedere  al- 
l'aumento ed  al  miglioramento  del  patrimonio  fisso  e  del  materiale  mobile  ; 
4°  il  prodotto  lordo  doveva  dividersi  in  tre  quote  : 
a)  una  quota  spettava  alle  Società  in  corrispettivo  delle  spese  di 
esercizio,  vale  a  dire  per  le  reti  Mediterranea  ed  Adriatica  il  62,50  Vo  del 
prodotto  iniziale,  il  56  %  del  prodotto  ultra-iniziale,  fino  a  50  milioni,  e  il 
50%  dell'ulteriore  prodotto;  per  la  rete  Sicula  r82  Vo  del   prodotto    ini- 


FERROVIE 


ziale,  il  72  Vo  di  quello  ultra-iniziale,  fino  a  lire  6,500,000,  e  il  02  Vo  del- 
l'ulteriore prodotto; 

b)  una  quota  serviva  ad  alimentare  i  fondi  speciali  ed  a  rimunerare 
il  capitale  di  esercizio  sborsato  dallo  Società  per  l'acquisto  del  materiale  e 
degli  approvvigionamenti  ; 

e)  la  rimanente  quota  spettava  allo  Stato. 

Per  le  linee  complementari  costituenti  la  rete  secondaria  si  stabili: 
V  che  il  materiale  rotabile  e  di  esercizio  venisse  fornito  dallo  Stato 
e  dovesse  essere  ricevuto  in  consegna  dalle  Società  che  ne  erano  dichiarate 
proprietarie  con  gli  stessi  obblighi  indicati  per  gli    analoghi   acquisti  fatti 
a  carico  del  fondo  o  cassa  per  gli  aumenti  patrimoniali; 

2"  che  lo  Stato  percepisse  il  prodotto  lordo,  assumendosi  Tobblìgo  di 
alimentare  con  una  determinata  quota  di  esso  i  fondi  speciali,  i  quali  dove- 
vano funzionare  anche  per  le  nuove  linee  come  per  le  principali,  e  di  cor- 
rispondere alle  Società,  in  compenso  delle  spese  di  esercizio,  una  somma 
fissa  di  lire  3000  per  ogni  chilometro  di  lunghezza  virtuale  (determinata 
cioè  in  relazione  alla  pendenza)  della  linea,  più  una  parte  del  prodotto 
stesso  (il  50  Vo  pe^'  le  i'6ti  Mediterranea  ed  Adriatica,  il  65  Vo  P^i*  1&  Sicula). 

Le  linee  complementari  dovevano  essere  incorporate  nella  rete  princi- 
pale quando  il  loro  prodotto  lordo  raggiungesse  lire  15,000  per  le  reti  Medi- 
terranea ed  Adriatica  e  lire  12,000  per  la  Sicula,  per  ogni  chilometro  di 
lunghezza  virtuale. 

Quanto  agli  utili  netti  venne  pattuito  che,  quando  essi  superassero  fra 
interessi  e  dividendi  sul  capitale  versato  in  azioni  il  7  Vs  pei'  cento  al  lordo 
dell'imposta  di  riccliezza  mobile,  la  metà  del  sopravanzo  spettasse  allo 
Stato. 

Per  le  tariffe  si  pattuì  che  ai  trasporti  si  applicassero  i  prezzi  segnati 
in  apposito  allegato  al  contratto;  che  le  tariffe  ivi  indicate  non  potessero 
essere  aumentate  se  non  per  legge  o  regio  decreto  ;  che  ogni  variazione  tanto 
nei  prezzi,  quanto  nelle  condizioni  dei  trasporti,  dovesse  essere  autorizzata 
dal  Governo;  che  le  Società  dovessero  sottoporre  all'approrazione  di  questo 
le  tariffe  speciali  e  locali,  e  che  il  Qovemo  avesse  in  casi  speciali  la  facoltà 
di  ordinare  alle  Società  ribassi  di  tariffe. 

Gli  orari  dei  treni  pei  viaggiatori  e  misti  dovevano  essere  determinati 
dal  Ministero  dei  lavori  pubblici,  sentito  il  concessionario,  ed  il  numero  dei 
treni  medesimi,  a  partire  da  un  dato  minimo,  doveva  aumentarsi  in  rela- 
zione al  prodotto  chilometrico  dei  trasporti  a  grande  velocità. 

Per  la  sorveglianza  governativa  sull'esercizio  e  pel  controllo  dei  pro- 
dotti e  della  gestione  dei  fondi  speciali  fu  organizzato  il  B.  Ispettorato  delle 
strade  ferrate,  e  poscia  con  legge  speciale  fu  istituito  il  Consiglio  delle  ta- 
riffe composto  di  funzionari  governativi  e  di  delegati  delle  tre  grandi  Società 
e  da  un  delegato  delle  Società  minori. 


10  CARLO   F.    FERRARIS 


È  bene  pure  notare  cbe  si  destinarono  somme  cospicue  per  immediato 
acquisto  di  materiale  mobile,  essendone  insufficiente  la  quantità  esistente,  e 
per  il  miglioramento  e  la  sistemazione,  resa  necessaria  dal  nuovo  regime, 
degli  impianti. 

Per  la  Sardegna  non  si  mutò  il  regime  preesistente  e  già  esposto. 

Scopo  di  questo  lavoro  essendo  principalmente  l'esposizione  dei  fatti, 
non  è  il  caso  di  indagare  per  quali  motivi  questo  sistema  di  esercizio,  orga- 
nizzato con  tanta  cura  e  con  tanta  apparenza  di  buone  norme,  abbia  dato 
risultati  mediocri,  per  non  dire  cattivi.  Era  intrinsecamente  bacato  :  la  scienza 
e  l'esperienza  degli  altri  paesi  avevano  già  dimostrato  che  il  sistema  deiraf- 
fitto,  pel  quale  la  proprietà  delle  linee  appartiene  allo  Stato  e  l'esercizio  si 
affida  a  Società  private,  non  puossi  mai  organizzare  in  modo  soddisfacente, 
e  riesce  a  danno  o  dell'uno  o  delValtro  dei  contraenti,  sia  in  ordine  al  miglio- 
ramento delle  linee  e  delle  stazioni,  sia  in  ordine  all'acquisto  del  materiale 
mobile,  sia  in  ordine  alle  discipline  per  il  traffico,  e  via  dicendo.  Da  noi 
tutto  il  complicato  sistema  dei  fondi  speciali  si  mostrò  inetto  allo  scopo:  in 
parte  non  funzionò,  in  parte  fu  alterato  nella  pratica  o  con  leggi,  e  così  si 
accumularono  deficienze  gravissime  in  ordine  agli  impianti  e  al  materiale. 
L'ingerenza  governativa,  invece  di  garantire  il  buon  esercizio,  lo  inceppò,  e  si 
finì  per  avere  un  regime  che  non  era  né  l'esercizio  privato  né  l'esercizio  di  Stato, 
con  tutti  i  difetti  e  nessuno  dei  pregi  di  questi  sistemi  applicati  nella  loro  in- 
tegrità, tanto  che  colla  legge  7  luglio  1902  dovette  lo  Stato  assumere  a  suo 
carico  perfino  l'aumento  di  retribuzione  del  personale  dipendente  dalle  Società  ! 

É  anche  inutile  indicare  tutte  le  modificazioni  che  con  leggi  successive 
s  introdussero  nei  patti  contrattuali  di  esercizio  ;  meglio  per  lo  scopo  nostro, 
riassumere  quanto  fu  fatto  in  ordine  alle  costruzioni,  per  dar  ragione  della 
progressiva  estensione  della  ret«  e  dello  stato  di  essa  al  1^  luglio  1905, 
quando  s' iniziò  l'esercizio  di  Stato. 

Nelle  convenzioni  fu  introdotta  una  disposizione  molto  importante:  si 
diede  facoltà  al  Governo  di  affidare  alle  tre  grandi  Società  la  costruzione 
di  nuove  linee  o  la  continuazione  di  quelle  già  intraprese  per  conto  dello 
Stato,  sia  a  prezzo  fatto,  sia  col  rimborso  delle  spese,  ed  anche  di  far  loro 
assumere  la  direzione  tecnica  ed  amministrativa  delle  ferrovie  già  in  corso 
di  costruzione.  Per  provvedere  i  fondi  si  autorizzarono  le  Società  ad  emettere 
obbligazioni  del  valore  nominale  di  lire  500  ciascuna,  fruttanti  l'interesse 
del  8  per  cento,  ammortizzabili  in  90  anni,  colla  garanzia  dello  Stato  per 
il  pagamento  degli  interessi  e  l'ammortamento  del  capitale:  e  la  emissione 
procedette,  sia  pure  stentatamente,  ed  arrivò  successivamente  a  736  milioni. 

Per  verità  l'applicazione  del  sistema  incontrò  nel  primo  triennio  varie 
difficoltà  e  si  dovettero  continuare  le  costruzioni  per  conto  dello  Stato,  che 
colla  legge  del  24  luglio  1887  stanziò  nuovi  fondi  per  le  ferrovie  comple- 
mentari, e  provvide  all'aumento  delle  sovvenzioni  chilometriche,   portandole 


FERROVIE  11 


al  massimo  di  lire  3000,  ed  alla  più  sollecita  costruzione  delle  linee  Eboli- 
Beggio  Calabria  e  Messina-Patti-Cerda,  ecc.  Cosicché,  nonostante  quegli 
ostacoli,  dal  1885  a  tutto  il  1888  si  aggiunsero  2047  chilometri  alla  rete. 

Nel  frattempo  il  regio  decreto  25  dicembre  1887  (convertito  in  legge 
il  30  giugno  1889)  regolava  meglio  il  concorso  degli  enti  morali  e  dei  pri- 
Yati  interessati  alle  spese  di  costruzione  e  le  condizioni  per  la  concessione 
delle  sovvenzioni,  mentre  Timportantissima  l^ge  20  luglio  1888  applicava 
efficacemente  il  sistema  sanzionato  nel  1885,  concedendo  la  costnizione  di 
437  chilometri  all'Adriatica,  390  alla  Mediterranea,  233  alla  Sicula,  ai 
quali  si  fece  posteriormente  qualche  aggiunta:  con  essa  si  deliberaya  pure 
la  costruzione  di  una  direttissima  Boma-Napoli  per  Terracina. 

Il  risultato  si  fu  che  nel  1897  si  trovarono  aperti  ali* esercizio  altri  1077 
chilometri,  dei  quali  883  nelle  Provincie  meridionali,  per  opera  delle  tre  So- 
cietà, mentre  fin  dal  1895  si  trovarono  aperti,  per  costruzioni  fatte  a  licita- 
zione privata,  altri  483  chilometri,  pur  essi  io  gran  parte  in  quelle  Provincie. 

Il  preaccennato  aumento  nella  sovvenzione  chilometrica  promosse  molte 
domande  di  ^concessione,  che  in  parte  furono  esaudite,  anche  in  altre 
Provincie. 

Le  non  buone  condizioni  del  bilancio  dello  Stato  dal  1891  al  1894 
costrinsero  a  limitare  le  spese  ferroviarie,  mentre  dall'altra  parte,  essendosi 
già  concedute  le  linee  di  maggiore  probabile  traffico,  le  sovvenzioni  fissate 
dalle  leggi  apparvero  inadeguate  per  ulteriori  costruzioni.  Così  di  fronte  ai 
bisogni  delle  popolazioni  ed  agli  impegni  presi  si  dovettero  aumentare  gli 
stanziamenti  in  bilancio  colla  legge  12  luglio  1894  ed  altre  successive,  ed 
aumentare,  colla  legge  30  aprile  1899,  n.  168,  le  sovvenzioni  chilometriche,  por- 
tandole a  lire  6000  per  le  complementari,  che  congiungessero  più  direttamente 
importanti  territori  o  conducessero  a  porti  marittimi  e  il  cui  costo  non  fosse 
inferiore  a  lire  100,000  a  chilometro,  e  a  lire  5000  per  le  secondarie,  com- 
prese le  ferrovie  elettriche,  il  cui  costo  chilometrico  non  riuscisse  inferiore  a 
lire  130,000,  assegnando  per  Tesercìzio  1899-900  il  limite  di  lire  500,000, 
mantenuto  anche  in  seguito,  pei  nuovi  impegni  da  assumersi  in  ogni  esercizio 
dal  Tesoro  derivanti  da  concessioni.  Bestò  per  alcuni  anni  in  vigore  anche  la 
le^e  27  giugno  1897,  che  aveva  sanzionata  la  massima  di  non  iniziare  più 
costruzioni  a  spese  dirette  dello  Stato. 

Meritano  di  essere  qui  ricordate: 
a)  la  legge  27  dicembre  1896,  n.  561,  che  disciplinò  la  concessione 
di  ferrovie  economiche  e  di  tramvie  a  trazione  meccanica.  Le  prime  dovevano 
aver  sede  propria,  ma  non  era  escluso  che  per  n^ioni  di  convenienza  parte 
del  percorso  si  potesse  avere  sopra  strade  ordinarie,  però  con  sede  separata: 
le  seconde  dovevano  avere  la  loro  sede  su  strade  ordinarie,  ma  non  era 
escluso  che  per  ragioni  di  convenienza  potessero  per  brevi  tratti  del  per- 
corso avere  sede  propria  ; 


12  CARLO   F.    FERRARIS 


b)  la  legge  9  giugno  1901,  n.  220,  che  diede  facoltà  al  Governo  di  at- 
tuare il  servìzio  economico  sulle  ferrovie  a  traffico  limitato  comprese  nelle 
tre  grandi  reti:  il  servizio  economico  consentiva  un  materiale  mobile  più 
leggero,  minor  velocità  nei  treni,  tariffe  ridotte  e  speciali  facilitazioni  per 
viaggiatori  e  merci,  riduzione  di  personale,  alleggerimento  delle  tasse  era- 
riali, ecc. 

È  inutile  enumerare  le  molte  concessioni  fatte  in  quegli  anni:  esse  però 
non  bastarono  a  soddisfare  le  brame  delle  popolazioni,  le  quali  si  lagnavano 
della  mancata  costruzione  di  non  poche  complementari,  il  cui  costo  era 
troppo  alto  così  da  essere  insucScienti  le  sovvenzioni  chilometriche  fissate 
dalle  leggi.  Si  decise  allora,  ferma  restando  la  massima  di  non  far  costru- 
zioni dirette  da  parte  dello  Stato,  di  facilitare  le  concessioni  delle  comple- 
mentari e  quindi  la  legge  4  dicembre  1902,  n.  506,  accrebbe  il  numero  delle 
linee,  modificò  qualche  tracciato  e  scartamento,  ed  elevò  per  tutte  il  limite 
massimo  delle  sovvenzioni  a  lire  8000  e  per  alcune  determinò  sovvenzioni 
varie  dalle  8500  alle  18,000  a  chilometro:  poscia  la  legge  31  mai'zo  1904, 
n.  140,  per  le  ferrovie  della  Basilicata,  da  costruirsi  a  scartamento  ridotto, 
autorizzò  sovvenzioni  fino  a  lire  7500. 

Poco  appresso  la  legge  30  giugno  1904,  n.  293,  iniziava  la  violazione 
della  massima  che  non  si  dovessero  fare  costruzioni  dirette  dallo  Stato,  e 
ordinava  la  esecuzione,  da  parte  di  questo,  di  un  tronco  della  direttissima 
Boma-Napoli. 

Infine  la  legge  9  luglio  1905,  n.  413,  promulgata  pochi  giorni  dopo 
Tinizio  deiresercizio  di  Stato,  e  da  me  controfirmata,  applicava  e  combinava 
per  le  complementari  i  due  sistemi  : 

a)  per  alcune  linee  (Spilimbergo-Gemona,  Poggio  Rusco-Verona,  Co- 
senza-Paola) ordinava  la  costruzione  di  Stato  ; 

b)  per  altre  stabiliva  la  costruzione  da  affidarsi  all'  industria  privata, 
ed  autorizzava  in  generale  ad  aumentare  le  sovvenzioni  chilometriche  a 
lire  7500  per  linee  in  determinate  condizioni  (che  esporremo,  perchè  le  norme 
sono  ancora  vigenti,  parlando  delle  concessioni  di  ferrovie  all'industria  privata); 

e)  per  altre  infine  prescriveva  che,  se  entro  un  dato  termine  non  fossero 
state  concesse  all'industria  privata,  si  procedesse  alla  costruzione  di  Stato. 

A  quest'ultimo  proposito  è  opportuno  fin  da  ora  notare  che,  mancate  le 
concessioni  private  per  la  rete  complementare  della  Sicilia,  ascendente  a 
circa  450  chilometri,  ne  fu  colla  legge  12  luglio  1906,  n.  341,  autorizzata 
la  costruzione  a  spese  dello  Stato,  da  eseguirsi  per  mezzo  dell'Amministra- 
zione delle  ferrovie  di  Stato. 

Come  sopra  si  fece  cenno  della  galleria  del  Fréjus,  così  non  devesi  di- 
menticare che  l'Italia  concoi-se  anche  per  la  costruzione  delle  gallerie  del 
Gottardo  e  del  Sempione,  e  che  le  linee  di  accesso  a  quest'ultima  erano  già 
compiute  alla  metà  del  1905. 


FERROVIE 


18 


Per  la  Sardegoa  già  abbiamo  ricordata  la  Compagnia  reale  delle  fer- 
rovie sarde,  sorta  nel  1862,  che  colla  legge  4  gennaio  1868  ottenne  la  con- 
cessione di  linee  neirisola,  e  dopo  varie  vicende  e  convenzioni,  pervenne  a 
costruire  ed  esercitare  nna  rete  di  421  chilometri,  che  rappresenta  la  rete 
principale  dell*  isola.  Ivi  pure,  nel  1886,  si  fece  la  concessione  di  linee  se- 
condarie alla  Società  detta  appunto  delle  feiTovie  secondarie,  la  quale  ha 
costruito  ed  esercita  una  rete  avente  lo  sviluppo  di  594  chilometri. 

Così  attraverso  a  forti  ostacoli  amministrativi  e  finanziari,  ad  incertezze 
di  politica  e  ad  errori  tecnici,  ohe  è  facile  ora  criticare,  ma  non  sarebbe 
stato  allora  altrettanto  facile  evitare,  Tltalia  era  pur  riuscita  ad  avere,  c«n 
ingente  spesa  che  calcolasi  a  circa  cinque  miliardi,  una  cospicua  rete  fer- 
roviaria, la  quale  al  80  giugno  1905  era  costituita  come  risulta  dal  se- 
guente prospetto: 


• 

FERROVIE  IN  CHILOMETRI 

GRUPPI  DI  LINEE 

di  proprieU 
dello  Stato 

conoeBse 
a  SocieU 

TOTALB 

I.   Kete  destinata  airesercìzio  di  Stato   .     . 

9,868 

689 

10,557  (») 

II.  Rete  in  esercizio  privato  : 

1)  Società  per  le  strade  ferrate  meridionali 

40 

2,016 

2,056 

2)  Sardegna: 

a)  Compagnia  reale 

b)  Ferrovie  secondarie 

421       ) 
594       ì 

1,015 

8)  Società  Veneta.     .    * 

188 

302 

485 

4)  Società  diverse 

— 

1,824 

1,824 

Totale    .    .    . 

10,041 

5.846 

15,887 

Quanto  allo  scartamento,  si  hanno  i  seguenti  dati  (non  corrispondenti  in 
tutto  ai  precedenti  per  la  diversità  dei  metodi  nel  determinare  la  lunghezza) 
al  30  giugno  1905  : 

1)  Scartamento  normale: 

a)  doppio  binario chil.     1,934 

b)  semplice «      12,603 

Totale    ...»      14,537 

2)  Scartamento  ridotto  e  a  semplice  binario    .     .      «        1,287 

Totale  generale    ...      »      15,824 


(')  Di  questi  furono  fino  allora  parte  della  rete  Mediterranea  chilometri  5785,  del* 
rAdriatica  8595.  della  Sicnla  1079. 


14  CARLO   F.   FERRARIS 


Qaanto  alla  ripartizione  geografica,  si  hanno  i  segaenti  dati  rìferentisi 
al  31  dicembre  1904: 

L     Italia  settentrionale  ed  Emilia  (escluse  le  Provincie  di  Forlì 
e  Ravenna) chil.    6,080 

II.  Italia  centrale  (compresi  gli  Abruzzi,  ma  della 
Emilia  comprese  le  sole  Provincie  di  Forlì 

e  Bavenna) «        3,641 

III.  Italia    meridionale    continentale    (meno    gli 

Abruzzi) n        3,533 

IV.  Sicilia »        1,449 

V.  Sardegna n        1,012 

Totale     .     .     .      »      15,715 


III. 
L'esercizio  di  Stato  e  le  costruzioni  di  Stato  dal  !<"  luglio  1906. 

I)  Primo  ordinamento  dell'esercizio  di  Staio  —  Formazione  della  rete 
e  stato  attuale  di  questa.  —  Un  disegno  di  legge  presentato  dal  Governo  alla 
Camera  dei  deputati  il  17  marzo  1904,  e  sul  quale  riferì  la  Commissione  il 
80  giugno,  formulava  ampiamente,  in  ispecie  per  opera  di  questa,  le  norme  fon- 
damentali per  Tordinamento  dell'esercizio  di  Stato.  Lo  stesso  scopo  si  propose 
il  Oo verno  col  disegno  di  legge  presentato  alla  Camera  il  21  febbraio  1905. 
Siccome  però  si  avvicinava  a  gran  passi  la  scadenza  delle  convenzioni,  ed  ormai 
l'adozione  deiresercizio  di  Stato  era  irrevocabilmente  decisa,  essendo  del 
resto  divenuta  impossibile  qualsiasi  altra  soluzione  del  problema  ferroviario, 
Tautore  di  questo  scritto,  divenuto  ministro  dei  lavori  pubblici  il  28  marzo 
1905,  si  convinse  che  un  disegno  di  legge  di  tanta  mole  non  poteva  rapi- 
damente discutersi,  mentre  urgeva  provvedere  al  passaggio  delle  ferrovie  allo 
Stato  ed  armar  questo  dei  necessari  poteri.  Presentò  quindi  alla  Camera 
un  disegno  di  legge  di  soli  24  articoli  1*8  aprile  1905;  la  Commissione 
delia  Camera  riferì  il  16,  la  discussione  cominciò  il  17,  il  19  il  disegno 
era  approvato  dalla  Camera  e  il  21  dal  Senato,  il  22  firmato  dal  Be  e 
così  si  ebbe  la  legge  22  aprile  1905,  ù.  137,  punto  di  partenza  di  un  nuovo 
periodo  nella  politica  ferroviaria  italiana. 

L* amministrazione  delle  ferrovie  dello  Stato  fu  costituita,  sotto  la  re- 
sponsabilità del  Ministro  dei  lavori  pubblici,  da  un  Direttore  generale  no- 
minato con  regio  decreto  su  proposta  di  quel  Ministro,  sentito  il  Consiglio  dei 
Ministri,  e  da  un  Comitato  di  Amministrazione,  composto  di  sei  membri, 
nominati  nello  stesso  modo,  e  presieduto  dal  direttore  generale.  A  questi  ed 
al  Comitato  di  Amministrazione  furono  deferite  (salvo  le  modificazioni  por- 


FERROVIE  15 


tate  dalla  legge)  le  attribuzioni  e  le  facoltà  spettanti   ai  Consigli  di  Am- 
minintrazione  ed  ai  direttori  generali  delle  tre  cessate  grandi  Società. 

I  primi  coadiutori  del  direttore  generale  dovevano  essere  scelti  nel 
R.  Ispettorato  delle  strade  ferrate  e  nel  personale  delle  tre  reti,  mentre  si 
preparava  il  passaggio  delle  linee  allo  Stato:  poscia,  il  P  luglio  1905,  data 
deirincominciamento  del  nuovo  esercizio,  parte  del  personale  del  S.  Ispet- 
torato e  tutto  quello  delle  tre  reti  dovevano  passare  allo  Stato,  salvo,  quanto 
al  personale  dell'Adriatica,  quella  parte  di  esso  che  ancora  occorreva  alla 
Società  stessa,  alla  quale  si  era  lasciato  Tesercizio  di  una  rete  di  2056  chi- 
lometri (2016  erano  di  proprietà  della  Società  stessa),  faciente  capo  a  Bo* 
legna,  Napoli  ed  Otranto. 

Tutti  gli  addetti  alle  ferrovie  dello  Stato,  qualunque  fosse  il  loro  grado 
ed  ufficio,  vennero  dichiarati  pubblici  ufficiali;  si  conservarono  in  vigore  le 
disposizioni  disciplinari  e  le  relative  garanzie  contenute  nei  regolamenti  alle- 
gati al  regio  decreto  4  agosto  1902,  n.  379,  emanato  in  esecuzione  della  citata 
legge  7  luglio  1902,  n.  291:  ma  fu  sancito  pure  che  coloro,  i  quali  abban- 
donassero il  lavoro  0  non  assumessero  l'ufficio  o  prestassero  l'opera  loro  in 
modo  da  interrompere  o  perturbare  la  continuità  e  regolarità  del  servizio, 
sarebbero  stati  considerati  come  dimissionali  e  quindi  surrogati,  salvo  al 
direttore  generale,  su  parere  del  Gomitato  di  Amministrazione,  considerate 
le  condizioni  individuali  e  le  speciali  responsabilità,  di  applicare  invece  un 
provvedimento  disciplinare. 

Si  mantennero  provvisoriamente  in  vigore  le  condizioni  per  i  trasporti 
e  le  tariffe  esistenti. 

II  bilancio  dell'azienda  ferroviaria  di  Stato  fu  allegato  al  bilancio  del 
Ministero  dei  lavori  pubblici. 

Promulgata  la  legge  e  nominato  il  direttore  generale,  scegliendo  l'in- 
gegnere Biccardo  Bianchi,  direttore  della  rete  sicula  e  valentissimo  come 
tecnico  e  come  amministratore,  si  procedette  rapidamente  (mancavano  appena 
due  mesi  e  pochi  giorni  al  cominciamento  del  nuovo  esercizio)  alla  forma- 
zione del  primo  nucleo  dell'amministrazione  centrale  e  locale  in  ordine  al 
personale  ed  agli  uffici. 

Fissata  questa  prima  base,  si  emanò,  da  me  promosso,  il  regio  decreto 
15  giugno  1905,  n.  259,  secondo  il  quale  l'Amministrazione  delle  ferrovie 
di  Stato  comprendeva: 

1^  La  Direzione  generale  con  sede  in  Roma,  insieme  con  il  Gomitato 
di  Amministrazione,  un  Ispettorato  centrale  e  tredici  Servizi  centrali  (uno 
dei  quali  però  a  Bologna); 

2®  Otto  Direzioni  compartimentali  di  esercizio,  con  sedi  a  Torino, 
Milano,  Genova,  Venezia,  Firenze,  Roma,  Napoli  e  Palermo,  più  una  Dire- 
zione speciale  a  Messina  per  l'esercizio  della  navigazione  dello  Stretto,  affidata 
pure  all'azienda  ferroviaria,  e  vari  uffici  di  controllo  dei  prodotti  e  per  gli 
approvvigionamenti  e  magazzini  in  diverse  sedi. 


16  CARLO   F.    FERRARIS 


Come  risulta  dai  dati  sopra  pubblicati,  la  rete  di  Stato  abbracciava 
10557  chilometri,  dei  quali  9868  di  proprietà  dello  Stato,  situati  sul  conti- 
nente e  in  Sicilia,  perchè  la  Sardegna  era  interamente  esclusa  dal  nuovo  regime. 

Si  era  lasciata  sussistere  la  Società  italiana  per  le  strade  ferrate  meri- 
dionali che  esercitava,  come  dissi,  2016  chilometri  di  sua  proprietà,  più  40 
chilometri  di  proprietà  dello  Stato.  Io  aveva,  il  17  maggio  1905,  proposto 
al  Consiglio  dei  Ministri  il  riscatto  di  quella  rete:  ma  in  parte  per  le  ec- 
cessive pretese  della  Società,  in  parte  per  una  certa  ostilità  al  provvedimento 
neiropinione  pubblica  e  nel  Parlamento,  in  parte  perchè  si  nutriva  ancora 
rillusione  che  la  concorrenza  di  quella  Società  potesse  stimolare  a  maggiore 
solerzia  ed  attività  l'azienda  di  Stato,  il  riscatto  non  fu  compiuto.  Si  sti- 
pulò invero  una  convenzione  colla  Società,  che  fu  presentata  al  Parlamento 
e  poi  modificata  e  ripresentata,  per  regolare  Tesercizio  della  sua  rete  e  i  suoi 
rapporti  coU'esercizio  di  Stato,  ma  non  si  potè  discutere,  perchè  destò  vivaci 
opposizioni  :  poco  appresso  le  difficoltà  divennero  insormontabili  ed  in  breve 
gli  inconvenienti  per  aver  voluto  mantenere  queiresercizio  sociale  furono  così 
perturbatori  che  si  addivenne  (avendo  anche  la  Società  moderate  le  sue  pre- 
tese finanziarie)  al  riscatto  della  rete  di  proprietà  della  Società  colla  legge 
15  luglio  1906,  n.  324,  mentre  già  colla  legge  28  giugno  1906,  n.  261, 
Bì  erano  incorporate  nella  rete  di  Stato  le  linee,  di  proprietà  di  questo,  state 
per  assai  tempo  concedute  in  esercizio  alla  Società  Veneta. 

Colla  legge  15  luglio  1906,  n.  325,  furono  approvate,  con  lievi  modi- 
ficazioni, le  proposte  già  da  me  presentate  ed  allora  osteggiate,  colle  quali 
si  transìgevano  le  controversie  e  si  liquidavano  le  contabilità  assai  compli- 
cate colla  ex-rete  Mediterranea:  colla  citata  legge  15  luglio  1906,  n.  324, 
furono  pure  regolate  le  liquidazioni  colla  ex-rete  Adriatica;  e  infine  colla 
legge  31  dicembre  1907,  n.  813,  quelle  colla  ex-rete  Sicula.  La  spesa  dello 
Stato  per  le  liquidazioni  delle  passate  gestioni  finora  (luglio  1910)  compiute 
ammonta  a  483  milioni. 

L'esercizio  di  Stato,  per  necessità  affrettatamente  organizzato,  trovò  sul 
principio  gravissimi  ostacoli,  da  una  parte  perchè  Tincremento  del  traffico  sia 
pei  viaggiatori  che  per  le  merci  fu  molto  rapido  e  tale  da  non  potersi  soddisfa- 
centemente dominare  coi  difettosi  impianti  e  lo  scarso  materiale  mobile  ereditato 
dair esercizio  privato,  e  d'altra  parte  per  gravi  disastri,  come  il  terremoto 
calabrese  del  settembre  1905,  e  via  dicendo.  Ma  con  energia  e  prudenza  anche 
la  crisi  fu  superata:  il  Parlamento  approvò  parecchie  nuove  leggi  sull'ordina- 
mento deiresercizio,  sulla  posizione  del  personale,  sulla  provvista  di  fondi,  e 
via  dicendo  ;  furono,  coi  fondi  votati  dal  Parlamento,  fatti  nuovi  impianti,  rin- 
novata parte  dell'armamento,  aumentati  il  materiale  rotabile  (ricorrendo  lar- 
gamente all'industria  nazionale,  che  ne  ebbe  impulso  a  perfezionarsi)  anche 
con  nuovi  tipi,  i  treni  e  il  personale,  migliorati  gli  oraii,  ribassate  le  tariffe  e 
create  nuove  agevolezze  pei  viaggiatori,  rivedute  molte  tariffe  per  merci,  ecc. 


FERROVIE  17 


Riservandomi  di  parlare  in  seguito  delle  nuove  leggi  e  degli  altri  prov- 
Tedimenti  rispetto  airordinamento  delFazienda,  al  suo  personale  ed  alla  sua 
gestione,  continuerò  ora  ad  esporre  la  formazione  della  rete  attuale. 

Col  riscatto  delle  linee  di  proprietà  della  Società  delle  Meridionali  :  colla 
restituzione,  da  parte  della  Società  Veneta,  delle  linee  di  proprietà  dello  Stato 
da  essa  esercitate,  e  per  nuove  costruzioni  compiute,  la  rete  di  Stato,  da  10,557 
chilometri  al  l""  luglio  1905,  saliva,  al  P  luglio  1907,  a  13,023  chilometri. 

Col  regio  decreto  12  marzo  1908,  divenuto  legge  il  9  luglio  1908, 
furono,  per  le  nuove  condizioni  determinate  dall' incorporazione  della  rete 
meridionale  nella  rete  di  Stato,  create  le  Direzioni  compartimentali  di  An- 
cona e  di  Reggio  Calabria,  dando  a  quest'ultima  anche  una  parte  della  rete 
già  assegnata  a  quella  di  Napoli,  ed  alla  prima  qualche  linea  già  assegnata 
ai  compartimenti  di  Roma  e  di  Venezia. 

Per  l'apertura  delle  linee  fra  Rivarolo  e  gli  scali  marittimi  di  Genova  ^ 
e  fra  Poggio  Rusco  e  Revere,  e  di  due  tratti  delle  complementari  Siculo, 
pel  passaggio  allo  Stato  delle  linee  Palermo-Marsala-Trapani,  Ofantino-Mar- 
gherìta  di  Savoia  e  Camposampiero-Montebelluna:  per  la  cessione  dell'eser- 
cizio della  linea  Brescia-Iseo  alla  Società  nazionale  delle  ferrovie  e  tramvie, 
e  per  altri  minori  mutamenti,  tenuto  conto  delle  rettifiche  di  misurazione 
fatte  dalla  nuova  gestione,  la  lunghezza  reale  per  tronchi  (^)  della  rete  dello 
Stato  risultò  progressivamente  la  seguente: 

al  lo  luglio  1908  Chilometri  13,221 
»   1«      1.       1909         ^  13,244 

1.   P      ^       1910         «  13,303 

dei  quali,  chilometri  2312  a  doppio  binario  (*)  e  24  a  scartamento  ridotto  (^). 
La  distribuzione  della  rete  fra  i  dieci  compartimenti,  sempre   secondo 
la  lunghezza  reale  per  tronchi,  è  la  seguente: 

1.  Torino Chilometri  1714.8 

2.  Milano n  1223.5 

3.  Venezia »  1207.7 

4.  Genova »  656.6 

5.  Firenze »  1406.5 

6.  Ancona «  1353.2 

7.  Roma »  1217.3 

8.  Napoli »  2267.3 

9.  Reggio  Calabria     ...  ^  955.9 
10.  Palermo »  1299.8 

(^)  La  Innghezza  reale  per  tronchi  ò  la  distanza  fra  gli  assi  dei  fabbricati  viaggia- 
tori delle  stazioni  estreme,  e  comprende  i  tratti  comuni  di  costruzione. 

(')  Il  8  luglio  1910  fu  aperta  e  compresa  neiresercizio  di  Stato  la  linea  a  doppio 
binario,  di  29  chilometri,  fra  Livorno  e  Vada. 

(')  L*asienda  ferroviaria  di  Stato  esercita  anche  la  navigazione  dello  stretto  di  Mes- 
sina coi  ferryòoati  (23  chilometri)  e,  come  vedremo  in   seguito,  la  navigazione  di  Stato 

Carlo  F.  Fkbbaris.  —  Ferrovù.  2 


18  CARLO    F.    FERRARIS 


II)  Ordinamento  attuale  dell'  esercizio  di  Stato.  —  Dopo  la  legge 
22  aprile  1905,  o.  137,  molte  leggi  regolarono  questa  materia.  Esse  debbono 
essere  coordinate  in  testo  unico;  ma  questo  finora  non  fu  pubblicato.  Data 
la  complessità  della  materia,  divìderemo  la  trattazione  in  due  parti:  la  prima, 
relativa  all'ordinamento  generale;  la  seconda,  relativa  al  personale. 

A)  Ordinamento  generale  dell'esercizio. 

Sono  specialmente  da  ricordarsi  in  proposito  la  ora  citata  legge  e  le  se- 
guenti: 80  giugno  1906,  n.  272;  12  luglio  1906,  n.  332;  7  luglio  1907, 
n.  429;  9  luglio  1908,  n.  405;  12  luglio  1908,  n.  444;  25  giugno  1909, 
n.  372. 

I.  L*Àmministrazione  delle  Ferrovie  di  Stato  è  dichiarata  autonoma. 

Ne  stanno  a  capo  il  Direttore  generale  e  un  Consiglio  di  amministra- 
zione: tanto  il  primo  quanto  i  membri  del  secondo  sono  nominati  con  B.  de- 
creto, su  proposta  del  ministro  dei  lavori  pubblici,  sentito  il  Consiglio  dei 
ministri;  e  non  possono  essere  rimossi  né  sospesi  dall'ufficio  che  con  lo  stesso 
procedimento. 

Il  Consiglio  di  amministrazione  è  composto  del  direttore  generale,  che 
lo  presiede,  e  di  otto  consiglieri,  dei  quali,  due  scelti  tra  i  funzionari  supe-* 
rieri  delle  ferrovie,  tre  fra  alti  funzionari  dello  Stato  e  tre  fra  cittadini  non 
funzionari,  che  abbiano  dato  prova  di  alta  capacità  tecnica  ed  amministrativa. 

Il  Consiglio  di  amministrazione  approva  le  norme  dei  singoli  servizi  e 
le  relative  modificazioni  :  delibera  sul  bilancio  preventivo,  su  quello  di  asse- 
stamento e  sul  conto  consuntivo  :  approva  la  ripartizione  dei  fondi  stanziati 
in  bilancio  e,  con  leggi  speciali,  i  progetti  per  lavori  sulle  linee  e  dipen- 
denze e  le  provviste  di  importo  superiore  alle  lire  cinquantamila,  i  contratti 
ad  asta  pubblica  e  a  licitazione  privata  di  importo  superiore  a  lire  venti- 
mila e  quelli  a  trattativa  privata  di  importo  superiore  a  lire  cinquemila: 
delibera  sulle  proposte  delle  piante  organiche  e  delle  norme  riguai-danti  il 
personale  e  sopra  le  nomine,  le  promozioni,  gli  aumenti  di  stipendio,  i  col- 
locamenti in  disponibilità  od  aspettativa  e  T esonero  definitivo,  nonché  la 
proroga  del  termine  per  Taumento  dello  stipendio  o  della  paga,  la  degra- 
dazione e  la  destituzione  del  personale  stabile,  i  ricorsi  del  personale,  ecc. 


fra  il  continente  e  le  isole:  inoltre  esercita  le  due  brevi  linee  Cerignola  stazione-Ceri-* 
gnola  città,  e  Desenzano  stazione-Desenzano  lago,  per  circa  11  chilometri.  Si  noti  pure 
che  Tazienda  nostra  esercita  25  chilometri  su  territorio  estero,  mentre  amministrazioni 
estere  esercitano  41  chilometri  su  territorio  italiano.  In  complesso,  se  si  tien  conto  della 
lunghezza  esercitata  assolata  per  linea  (cioè  della  distanza  fra  gli  assi  dei  fabbricati  viag- 
giatori delle  stazioni  estreme,  comprendendo  i  tratti  comuni  di  costruzione  e  di  esercizio) 
e  delle  circostanze  ora  notate,  la  rete  esercitata  ascese  a  chilometri  14,211  neiranna 
1909-1910. 


FERROVIE  I^ 


Il  Direttore  generale  propone  al  ministro  dei  lavori  pubblici,  su  con- 
forme deliberazione  del  Consiglio  di  amministrazione,  ii  progetto  del  bilancio 
di  previsione  deli* azienda,  le  successive  variazioni  e  il  conto  consuntivo,  le 
proposte  di  prelevamento  di  somme  dal  fondo  di  riserva  per  spese  impreviste, 
ì  provvedimenti  e  le  proposte  concernenti  modificazioni  alle  condizioni  dei 
trasporti  e  delle  tariffe,  i  precetti  dei  lavori,  pei  quali  occorre  la  dichia- 
razione di  pubblica  utilità.  Inoltre  ordina  le  spese  nei  limiti  del  bilancio 
approvato:  dà  esecuzione  alle  deliberazioni  del  Consiglio  di  amministrazione: 
rappresenta  l'Amministrazione  delle  ferrovie  dello  Stato  agli  effetti  giuri- 
dici, salvo  quanto  è  dalle  leggi  riservato  ad  altri  uffici  ferroviariì,  verso  i 
terzi:  approva  i  progetti  di  lavori  sulle  linee  e  dipendenze  di  importo  non 
superiore  alle  lire  cinquantamila  e  non  richiedenti  espropriazioni,  nonché  le 
provviste  fino  allo  stesso  limite:  autorizza Tesecuzione  dei  lavori,  delle  prov- 
viste e  delle  spese,  cui  si  riferiscono  le  assegnazioni  approvate  dal  Consiglio 
di  amministrazione  :  approva  i  contratti  ad  asta  pubblica  e  a  licitazione  privata 
di  importo  fino  a  lire  ventimila  e  quelli  a  trattativa  privata  di  importo  fino 
a  lire  cinquemila,  la  esecuzione  dei  lavori  in  economia  ed  a  cottimo  compresi 
nelle  assegnazioni,  le  proposte  per  il  conferimento  dei  premt  speciali,  e  le 
gratificazioni  e  i  sussidi  al  personale,  che  non  raggiungano  la  competenza  del 
Consiglio  di  amministrazione  :  prende,  salvo  a  chiedere  la  sanzione  di  questo, 
provvedimenti  di  urgenza  nelK  interesse  della  continuità  e  sicurezza  deireser- 
cizio  0  nelr  interesse  del  traffico,  ecc. 

I  consiglieri  di  amministrazione  e  il  direttore  generale  sono  responsabili 
verso  lo  Stato  delle  perdite  e  dei  danni  recati  allo  Stato  o  ai  terzi.  Terso  i 
quali  lo  Stato  debba  rispondere,  per  il  fatto  di  violazione  di  leggi  o  di  de- 
creti, 0  di  negligenza  grave,  o  di  abuso,  dei  quali  si  siano  resi  colpevoli  nel- 
Tesercizio  delle  loro  rispettive  attribuzioni. 

L'Amministrazione  autonoma  ha  cosi  la  diretta  gestione  di  tutti  gli  affari 
che  si  riferiscono  all'esercizio  della  rete  ferroviaria  e  della  navigazione  dello 
stretto  di  Messina,  la  quale,  coi  ferry-boats,  serve  di  congiungimento  fra  le 
linee  siculo  e  le  continentali  (*):  e  nello  svolgimento  di  queste  sue  funzioni 
impegna  il  bilancio  dell'azienda. 

Questa  però  rimane  sotto  l'alta  direzione  e  la  responsabilità  del  ministro 
dei  lavori  pubblici,  che  può  (come  quelle  del  Tesoro  per  la  parte  che  lo  ri- 
guarda) ordinare  ispezioni  per  accertarsi  della  regolarità  dei  servizi  e  della 
gestione. 

Non  piii  tardi  del  giorno  successivo  vengono  a  lui  comunicate  le  delibe- 
razioni prese  in  ogni  seduta  dal  Consiglio  di  amministrazione,  e  può  per  gravi 

(0  Colla  leg^e  5  aprile  1908,  n.  Ili,  farono  affidate  airazìenda  ferroviaria  di  Stato 
le  seguenti  linee  di  navigazione,  assunte  dal  1®  luglio  1910  dallo  Stato:  Napoli-Palermo, 
Napoli-Messina- Reggio  Calabria-Riposto-Catania-Siracusa,  Civitavecchia-Golfo  Aranci-Ter- 
lanova,  Qolfo-Aranci-Maddalena.  La  materia  non  è  compresa  nella  trattazione. 


20  CARLO   F.    FERRARIS 


motivi,  e  sentite  (a  meno  che  non  vi  sia  urgenza  assoluta)  le  osservazioni 
deirAmministrazione,  sospendere  momentaneamente  e  quindi,  con  decreto  mo- 
tivato e  in  seguito  a  deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri,  negare  la  ese- 
cutorietà alle  deliberazioni  del  Consiglio  di  amministrazione  o  ai  provvedi- 
menti della  Direzione  generale:  può  inoltre,  o  di  ufficio  o  su  ricorso,  con 
decreto  motivato,  dichiarare  la  illegittimità  di  ogni  atto  o  provvedimento 
dell* Amministrazione,  che  sia  contrario  alle  leggi  e  ai  regolamenti:  nel 
progetto  di  bilancio  preventivo  e  in  quello  dì  assestamento  della  spesa  può 
far  insei'ire,  in  speciale  colonna,  quelle  variazioni  che  ritenesse  opportuno 
apportarvi,  con  le  relative  note  giustificative  :  sono  soggette  alla  sua  appro- 
vazione le  deliberazioni  motivate  del  Consiglio  di  amministrazione  relative 
alle  nomine,  agli  avanzamenti,  ai  collocamenti  in  disponibilità,  alFeaonero 
ed  alla  destituzione  dei  funzionari  di  grado  uguale  e  superiore  al  primo  delle 
tabelle  graduatorie  esistenti  ;  gli  è  presentata  ogni  anno,  entro  il  mese  di  no- 
vembre, una  relazione  sulVandamento  dell* azienda  durante  il  precedente  anno 
finanziario,  ecc. 

Quanto  ai  particolari  sulVordinamento  dell'amministrazione  genemle  della 
azienda,  noteremo  i  seguenti: 

P)  La  Direzione  generale  ha  sede  in  Roma,  ove  pure  si  aduna  il  Con- 
siglio di  amministrazione.  Il  direttore  generale  è  coadiuvato  da  due  vicedi- 
rettori generali,  da  lui  proposti,  scegliendoli  tra  i  funzionar!,  al  ministro  dei 
lavori  pubblici,  con  parere  favorevole  del  Consiglio  di  amministrazione,  e  no- 
minati con  regio  decreto  promosso  dal  ministro  stesso,  sentito  il  Consiglio  dei 
ministri. 

I  vicedirettori  generali,  olti-e  al  coadiuvarlo,  sostituiscono  (secondo  l'or- 
dine di  precedenza  da  stabilirsi  dal  Consiglio  di  amministrazione)  il  direttore 
generale  in  caso  di  assenza  od  impedimento. 

2^)  Presso  la  direzione  generale  è  istituito  T  Ispettorato  centrale  con 
funzioni  di  vigilanza  e  di  consulenza  amministrativa  e  tecnica.  Esso  si  occupa 
specialmente  dello  studio  e  della  compilazione  dei  maggiori  progetti  per  nuovi 
impianti,  dello  studio  dei  tipi  del  materiale  mobile,  e  simili  :  ai  suoi  membri 
sono  affidate  inchieste,  missioni,  e  altri  incarichi  dal  direttore  generale. 

3^)  I  servizi  centrali,  nei  quali  la  Direzione  generale  si  ripartisce,  sono 
i  seguenti: 

I.  Segretariato  (affari  generali,  contratti,  e  V  istituto  sperimentale  per 
lo  studio  dei  terreni  e  dei  materiali,  per  le  analisi  chimiche,  ecc.); 

II.  Ragioneria  e  cassa; 

III.  Legale; 

IV.  Pedonale  e  servizio  delle  pensioni  e  delle  indennità  per  infor- 
tuni sul  lavoro; 

y.  Sanitario; 

VI.  Approvvigionamenti  e  magazzini; 


FERROVIE  21 


VII.  Movimento  e  traffico  (stazioni,  treni,  orari,  circolazione,  veicoli)  ; 
Vili.  Commerciale  e  controllo  prodotti; 

IX.  Navigazione; 

X.  Trazione  (a  vapore  ed  elettrica),  materiale  rotabile  ed  officine 
(con  sede  a  Firenze)  ; 

XI.  Mantenimento,  sorveglianza  e  lavori  (con  sede  a  Bologna)  ; 

XII.  Costruzioni  (studi  e  costruzioni  di  nuove  linee,  grandi  lavori  indi- 
pendenti dairesercizio). 

Vi  ò  pure  un  Ufficio  di  stralcio  per  le  liquidazioni  delle  contabilità 
con  le  cessate  Società. 

I  servizi  VII  ed  Vili  formano  il  gruppo  eseroiiio;  il  IX  e  il  X  il 
gruppo  locomoiione\  TXI,  il  XII  e  lo  stralcio,  il  gruppo  lavori. 

Presso  la  Direzione  generale  sono  pure  costituiti  : 
P)  Il  Consiglio  generale  del  traffico,  presieduto  dal  ministro  dei  la- 
vori pubblici,  il  quale  sceglie  nel  seno  di  esso,  ogni  anno,  il  vice-presidente, 
e  composto  di  alcuni  funzionari  dei  vaii  ministeri  e  deiramministrazione  fer- 
roviaria, di  otto  membri  scelti  dal  ministro  fra  persone  che  abbiano  spe- 
ciale competenza  tecnica  o  legale  in  materia  ferroviaria,  e  di  un  gran  nu- 
mero di  delegati  di  Consigli  supeiìori,  delle  Commissioni  compartimentali 
del  traffico  (delle  quali  dirò  più  oltre),  di  Società  ferroviarie,  di  Compagnie  di 
navigazione,  delle  Camere  di  commercio,  dei  Comizi  agrari,  dei  sodalizi 
della  stampa,  del  personale  ferroviario. 

Esso  dà  parere  specialmente  in  materia  di  tariffe,  di  nomenclatura  e 
classificazione  di  merci,  sulla  interpretazione  delle  condizioni  dei  trasporti, 
su  le  concessioni  speciali,  e  via  dicendo. 

2^)  La  Commissione  parlamentare  di  vigilanza,  composta  di  sei  sena- 
tori e  sei  deputati,  delegati  dalla  rispettiva  Camem  in  ciascuna  sessione. 
Deve  vigilare  sulVandamento  deirazienda,  segnalarne  al  Parlamento  e  al  Oo- 
verno  i  bisogni  e  le  eventuali  deficienze,  e  presentare  al  Parlamento  una 
relazione  annuale. 

II.  L* Amministrazione  locale,  o  disccntrata,  si  distribuisce  in  dieci  dire- 
zioni compartimentali,  aventi  sede  a  Torino,  Milano,  Venezia,  Genova,  Fi- 
renze, Ancona,  Soma,  Napoli,  Reggio  Calabria,  Palermo. 

Ogni  direzione  compartimentale  ha  tre  divisioni:  1)  movimento  e  traf- 
fico; 2)  trazione  e  materiale  rotabile;  3)  mantenimento  e  sorveglianza,  più 
un  ufficio  di  ragioneria,  un  ufficio  legale  ed  un  ufficio  sanitario. 

Ciascuna  divisione  ha  quattro  uffici,  di  cui  due  designati  uniformemente 
in  ogni  divisione  come  ufficio  del  personale  ed  affari  generali  ed  ufficio  della 
contabilità  ed  economato  e  che  si  occupano  della  parte  amministrativa,  mentre 
gli  altri  due,  che  attendono  alla  parte  tecnica,  si  denominano  :  a)  nella  di- 
visione movimento  e  traffico,  ufficio  movimento  ed  ufficio  commerciale  e  del 
traffico;    b)  nella  divisione   mantenimento   e   sorveglianza,  ufficio  lavori  ed 


22  CARLO   F.   FERRARIS 


ufficio  armamento,  materiale  fisso  e  sorveglianza  ;  e)  nella  divisione  materiale 
e  trazione,  ufficio  locomotive  e  ufficio  veicoli  (con  aggiunta  di  un  ufficio  tra- 
zione elettrica,  nei  compartimenti  dove  questa  è  applicata). 

Sono  pure  state  istituite,  alla  dipendenza  di  ciascuna  delle  divisioni, 
le  sezioni,  dalle  quali  dipendono  gli  ispettori  di  riparto,  cosi  discentrandosi 
ancora  la  funzione  direttiva.  Per  ora  le  sezioni  furono  create  nei  compar- 
timenti ove  più  intenso  è  il  lavoro  ferroviario,  continuando  a  sussistere  negli 
altri  i  riparti. 

I  capi  delle  divisioni  nelle  direzioni  compartimentali  dipendono  diret- 
mente  dai  servizi  centrali,  mentre  il  capo  del  compartimento,  preposto  alla 
direzione  compartimentale,  è  alla  immediata  dipendenza  del  direttore  generale. 

Al  capo  del  compartimento  spetta  di  vigilare  sul  funzionamento  delle 
divisioni  e  degli  uffici  compartimentali  e  di  coordinarne  le  iniziative.  Per 
meglio  regolare  tale  compito  suo  e  i  rapporti  suoi  coi  capi  delle  divisioni, 
si  è  costituito  il  comitato  di  esercizio,  del  quale  fanno  parte  permanente  i 
capi  delle  tre  divisioni,  col  concorso  eventuale,  ove  occorra  a  giudizio  del  capo 
del  compartimento,  dei  capi  degli  altri  uffici  compartimentali:  egli  inoltre, 
0  personalmente  o  a  mezzo  del  comitato  di  esercizio,  esercita  alcune  facoltà 
che  sono  affidate  alle  direzioni  compartimentali  ed  interessano  più  rami  del 
servizio. 

In  generale,  le  direzioni  compartimentali  rappresentano,  nei  limiti  della 
loro  circoscrizione,  Tamministrazione  verso  i  terzi:  provvedono  all'andamento 
dei  servizi  attivi  deiresercizio,  approvano  lavori  di  ripristino  e  di  manuten- 
zione straordinaria  e  le  provviste  pei  lavori,  fanno  i  contratti  (nei  limiti  fis- 
sati dalle  norme  emanate  dall'autorità  competente),  approvano  la  esecuzione 
ad  economia  od  a  cottimo  dei  lavori  e  delle  provviste,  studiano  e  presentano 
i  progetti  di  lavori  e  le  proposte  di  provviste  eccedenti  i  limiti  della  loro 
ordinaria  competenza,  le  proposte  di  provvedimenti  per  lo  sviluppo  del  traf- 
fico, pel  miglioramento  della  circolazione  dei  treni,  e  in  genere  del  servizio, 
del  quale  espongono  anche  le  condizioni  alla  direzione  generale  :  autorizzano 
corse  speciali,  a  tariffa  normale,  in  occasione  di  fiere,  feste,  pellegrinaggi, 
congressi  e  simili  :  prendono,  nei  casi  di  urgenza,  i  provvedimenti  necessail 
per  la  continuità  e  sicurezza  dell'esercizio,  informandone  immediatamente  il 
direttore  generale,  ecc. 

Per  dar  parere,  esprimere  voti  e  fare  studi  sulle  tariffe,  su  gli  orari  locali 
e  su  i  bisogni  del  traffico  del  compartimento,  è  costituita  in  ciascuno  di  questi 
la  Commissione  compartimentale  del  traffico,  presieduta  dal  capo  del  com- 
partimento e  composta  di  due  funzionar!  della  direzione  compartimentale,  di 
quattro  rappresentanti  locali  dell'industria,  del  commercio  e  dell'agricoltura 
(due  eletti  dalle  camere  di  commercio  e  due  dai  comizi  agrari  esistenti  nel 
compartimento),  e  di  due  membri  scelti  dal  ministro  dei  lavori  pubblici  tra 
persone  estranee  al  servizio  ferroviario,  ma  versate  in  materia. 


I 


FERROVIE  23 


Ricorderò  infine  le  grandi  officine,  le  officine  annesse  ai  depositi,  e  le 
squadre  di  rialzo  dipendenti  dall'amministrazione  ferroviaria. 

III.  Rispetto  ai  particolari  della  gestione  sono  da  notarsi  i  seguenti  : 

a)  le  riduzioni  delle  tariffe  sono  approvate  con  decreto  reale,  il  quale, 
dopo  un  anno  di  esperimento,  viene  presentato  al  Parlamento  per  essere 
convertito  in  legge; 

b)  quando  saranno  compiute  (lo  devono  essere  entro  il  28  giugno  1912) 
la  revisione  delle  condizioni  dei  trasporti  e  la  semplificazione  delle  tariffe, 
nessuna  tariffa  potrà  essere  aumentata  e  nessuna  condizione  di  trasporto  ag- 
gravata se  non  per  legge,  così  come  pure  è  ordinata  la  revisione  quinquen- 
nale della  nomenclatura  e  classificazione  delle  merci  ; 

e)  Tesercizio  di  una  linea  si  fa  con  tre  coppie  giornaliere  di  treni 
viaggiatori:  quando  il  prodotto  lordo  superi  le  lire  novemila  a  chilometro, 
si  deve  istituire  una  quarta  coppia,  e  si  possono  istituire  altre  coppie  quando 
il  prodotto  lordo  dei  viaggiatori  e  delle  merci  superi  le  lire  dodicimila,  ecc.; 

d)  sono  stabilite  speciali  facilitazioni  pei  servizi  suburbani,  pei  ser- 
vizi dei  centri  agricoli,  pei  servizi  locali,  pei  trasporti  di  operai,  pei  servizi 
economici,  ecc. 

B)  Personale. 

Oltre  alle  leggi,  sopra  citate,  parlando  dell'ordinamento  generale  dello 
esercizio,  sono  da  notarsi  le  leggi  24  marzo  1907,  n.  182;  14  luglio  1907, 
n.  553;  9  luglio  1908,  n.  418;  il  testo  unico  per  le  pensioni,  del  22 
aprile  1909,  n.  229;  il  regolamento  (modificato  in  alcune  parti  dalle  accennate 
leggi)  pel  personale,  approvato  con  regio  decreto  22  luglio  1906,  n.  417,  e 
il  regio  decreto  22  novembre  1908,  n.  688. 

Il  personale  si  distingue  in  stabile  o  di  ruolo,  in  prova,  avventizio,  e, 
rispetto  alla  rimunerazione,  in  agenti  a  stipendio  e  agenti  a  paga. 

Le  assunzioni,  le  nomine,  gli  stipendi  o  le  paghe,  gli  avanzamenti,  la 
disciplina,  Tesonero,  le  condizioni  di  servizio  in  genere  e  le  competenze  ac- 
cessorie del  personale,  sono  regolate  in  base  a  norme  approvate  con  decreto 
reale,  udito  il  Consiglio  dei  ministri.  Però,  eccettuato  il  personale  di  fatica 
ed  avventizio  e  salvi  i  diritti  riservati  ai  sottufficiali  del  regio  esercito  e 
della  regia  marina,  le  assunzioni  di  nuovo  personale  sono  fatte  per  pubblico 
concorso  ;  ma  qualora  si  richiedano  peculiari  requisiti  indispensabili  per  spe- 
ciali lavori  od  offici,  si  può  assumere  nuovo  personale  senza  concorso,  ma 
soltanto  su  proposta  del  direttore  generale  accompagnata  dal  parere  motivato 
del  Consiglio  di  amministrazione  e  con  deliberazione  del  Consiglio  dei  mi- 
nistri. Le  promozioni  hanno  luogo  per  merito,  tenuto  conto  anche  dell'an- 
zianità  di  servizio  od  in  quanto  vi  siano  posti  che  le  esigenze  del  servizio 
richiedano  di  coprire. 


24  CARLO  F.   FERRARIS 


Per  alcuni  gradi,  pei  quali  è  necessario  avere  speciali  abilitazioni  o  co- 
noscere determinati  servizi,  la  destinazione  alle  funzioni  del  grado  superiore 
ha  luogo  previo  esame  e  in  base  alla  graduatoria  conseguita. 

Tutti  gli  addetti  alle  ferrovie  esercitate  dallo  Stato,  qualunque  sia  il 
loro  grado  ed  ufficio,  sono  considerati  pubblici  ufficiali.  Senza  pregiudizio 
deirazione  penale  secondo  le  vigenti  leggi,  coloro  che  volontariamente  abban- 
donano 0  non  assumono  Tufficio  o  prestano  Topera  propria  in  modo  da  inter- 
rompere 0  perturbare  la  continuità  o  regolarità  del  servizio,  sono  considerati 
come  dimissionari  e  sono  surrogati.  Può  però  il  direttore  generale,  su  parere 
fiivorevole  del  Consiglio  di  amministrazione,  considerate  le  condizioni  indivi- 
duali e  le  personali  responsabilità,  applicare  invece  la  sospensione  dal  ser- 
vizio, la  proroga  del  termine  per  l'aumento  dello  stipendio  o  della  paga,  o 
la  degradazione. 

Le  pene  disciplinari  sono,  secondo  i  casi,  inflitte  dai  capi  degli  uffici 
locali,  dai  capi  dei  compartimenti,  dai  capi  dei  servizi  centrali,  dal  diret- 
tore generale,  e,  per  le  mancanze  più  gravi,  le  quali  importino  come  pena 
la  proroga  del  termine  normale  per  l'aumento  dello  stipendio  o  della  pi^a, 
la  degradazione  e  la  destituzione,  dal  Consiglio  di  amministrazione  su  pro- 
posta di  Consigli  di  disciplina.  Le  relazioni,  che  riassumono  gli  accertamenti 
fatti  e  chiudono  Tistruttoria,  vengono  comunicate  agli  incolpati  per  le  loro 
contestazioni  ed  osservazioni:  questi  possono  anche  essere  interrogati  dai 
consigli  di  disciplina.  Si  richiede  Tapprovazione  del  ministro  dei  lavori  pub- 
blici, come  sopra  dicemmo,  per  alcuni  provvedimenti  a  carico  di  alti  fun- 
zionari, e  sono  regolati  i  ricorsi  in  via  gerarchica  e  in  giustizia  ammini- 
strativa contro  le  punizioni  inflitte. 

Sono  già  approvate  le  piante  organiche  e  il  ruolo  di  anzianità  di  gran 
parte  del  personale,  ed  in  breve  sarà  provveduto  a  tutti  i  gradi  di  questo. 

Per  le  pensioni  e  i  sussidi  esistevano: 

a)  la  cassa  pensioni,  alla  quale  appartenevano  gli  agenti  a  stipendio, 
nominati  a  tutto  il  31  dicembre  1896; 

b)  il  consorzio  di  mutuo  soccorso  per  gli  agenti  a  paga  nominati  pure 
fino  a  quella  data  ; 

e)  ristituto  di  previdenza  per  tutti  gli  agenti  nominati  dopo  quella  data. 
Gli  agenti  appartenenti  alla  cassa-pensioni  liquidavano  la  pensione  in 
base  ai  Vio  ^^^  ^^'^  P^^'  cento  della  somma  degli  stipendi  percepiti  e  dei  do- 
dicesimi degli  aumenti  di  stipendio.  Quelli  appartenenti  al  consorzio  di 
mutuo  soccorso  liquidavano  un  sussidio  continuativo  sulla  base  della  paga 
deir ultimo  triennio  in  misura  limitata,  che  in  ogni  caso  non  poteva  supe- 
rare lire  2,50  al  giorno.  Gli  appartenenti  airistituto  di  previdenza  si  divi- 
devano in  due  sezioni:  la  prima  comprendeva  gli  agenti  a  stipendio,  e  la 
seconda  quelli  a  paga  ;  la  liquidazione  della  pensione  era  basata  sul  sistema 
del  conto  individuale,  dimostratosi,  all'atto  pratico,  ben  poco  rimunerativo  per 
gli  inscritti. 


FERROVIE  25 


Qneste  yarie  gestioni  furono  dichiarate  cessate  col  31  dicembre  1908  ;  e 
il  servizio  delle  pensioni  e  dei  sussidt  già  liquidati  e  da  liquidare  in  avve- 
nire, fu  assunto  da  un*unioa  apposita  gestione  deirAmminìstrazione  delle  fer- 
rovie dello  Stato.  Fu  così  unificato  il  trattamento  di  riposo  (salvo  qualche 
eccezione  già  garantita  dalle  leggi  precedenti  e  conservata),  estendendo  a 
tutto  indistintamente  il  personale  il  trattamento  fatto  dalla  cassa  pensioni, 
senza  sopprimere  per  gli  agenti  a  paga  le  agevolazioni  che  a  loro  proveni- 
vano dal  consorzio  di  mutuo  soccorso  e  dalla  seconda  sezione  dell'istituto  di 
previdenza,  cioè  la  cura  medico-chinirgìca,  la  fornitura  dei  medicinali,  il 
ricovero  negli  ospedali,  il  rimborso  delle  spese  per  le  cure  balnearie  e  per 
altre  cure  speciali  giudicate  necessarie,  pel  trasporto  dei  malati  e  dei 
feriti  alle  loro  abitazioni  ed  agli  ospedali,  e  per  funerali,  per  fornitura  degli 
apparecchi  ortopedici,  arti  artificiali  e  simili.  Si  adottò  inoltre  per  gli  agenti 
a  paga  la  disposizione  di  conferire  loro,  dopo  i  primi  tre  giorni  di  malattia 
ordinaria,  la  paga  intera  per  180  giorni,  mentre  prima  non  percepivano  che 
un  sussidio  di  malattia  pari  a  '/$  della  paga. 

Così  si  ottennero  notevoli  semplificazioni  amministrative  e  contabili  nella 
gestione  delle  pensioni  e  nel  servizio  degli  uffict,  alleggeriti  di  molto  lavoro. 

Alla  detta  gestione  furono  consegnati  i  patrimoni  dei  preesistenti  isti- 
tuti. Gli  introiti  principali,  dei  quali  essa  dispone,  sono,  oltre  agli  interessi 
dei  patrimoni  ora  accennati,  i  seguenti:  a)  le  ritenute  ordiuarie  sugli  sti- 
pendi e  sulle  paghe  n^guagliate  ad  anno,  sugli  assegni  e  sulle  competenze 
accessorie  degli  agenti  (ad  esempio,  per  gli  agenti  in  prova  e  stabili  la  rite- 
nuta è  del  5,50  per  cento  sullo  stipendio  lordo  o  sulla  paga  ragguagliata 
ad  anno);  b)  le  ritenute  straordinarie  in  occasione  di  assunzioni  in  servizio 
io  prova  e  stabile,  o  di  aumento  di  stipendio  o  paga  degli  agenti  (per  gli 
agenti  in  prova  e  stabili  la  ritenuta  è  del  decimo  dello  stipendio,  o  della  paga 
ragg«agliata  ad  anno,  alVatto  di  nomina,  e  del  dodicesimo  di  ogni  aumento 
della  retribuzione  annua);  e)  dei  contributi  dell* Amministrazione  delle  fer- 
rovie dello  Stato  (ora  dell*8,50,  e  dal  P  gennaio  1911  del  9  per  cento  degli 
stipendi,  paghe,  assegni  e  competenze  accessorie  sottoposte  alla  ritenuta  ordi- 
naria, e  di  una  somma  uguale  all'ammontare  delle  ritenute  straordinarie); 

d)  del  due  per  cento  dei  prodotti  lordi  del  traffico  delle  ferrovie  dello  Stato  ; 

e)  dell'importo  delle  multe  inflitte  in  via  disciplinare  al  personale,  e  via  dicendo. 

Non  potendo  entrare  in  molti  particolari,  è  opportuno  accennare  la  dis- 
posizione fondamentale,  cioè  che  il  diritto  di  conseguire  la  pensione  matura 
quando  si  siano  compiuti  60  anni  di  età  e  30  di  servizio  utile  se  si  tratti 
di  agenti  addetti  a  servizi  sedentari,  quando  si  siano  compiuti  55  anni  di  età 
e  25  di  servizio  utile  se  si  tratti  di  scrivani  e  di  agenti  addetti  ad  un 
servìzio  attivo,  e  quando  si  sia  divenuti  inabili  a  continuare  o  a  riprendere 
il  servizio  per  ragioni  di  infermità,  semprechè  si  siano  compiuti  10  anni  di 
servizio  utile  per  la  pensione. 


26  CARLO   F.    FERRARIS 


Si  riformò  in  pari  tempo  la  materia  degli  infortuni  degli  operai  sul 
lavoro.  Dal  V  gennaio  1909  T Amministrazione  provvede  direttamente  alla 
liquidazione  ed  al  pagamento  delle  indennità,  che,  a  termini  di  legge,  sono 
a  suo  carico:  inoltre  si  dispose  che,  nei  casi  di  esonero  o  di  morte  per 
infortunio  sul  lavoro,  all'agente  od  alla  famiglia  spetti  la  pensione  corri- 
spondente agli  anni  di  effettivo  servizio  e  la  indennità  di  legge,  mentre 
prima  si  concedeva,  al  personale  colpito,  il  migliore  fra  i  due  trattamenti, 
il  che  dava  argomento  a  continue  controversie.  Di  più,  quando  l'effettivo 
servizio  sia  minore  di  25  anni  e  il  supplemento  occorrente  per  raggiungere 
la  pensione  eccezionale,  in  base  a  25  anni  di  servizio,  sia  maggiore  della 
rendita  vitalizia  costituita  con  Tindennità  di  legge,  spetta  altresì  un  ulte- 
riore maggiore  assegno  di  pensione,  pari  alla  differenza  fra  il  supplemento 
e  la  rendita  suddetta.  Nei  casi  poi  di  inabilità  temporanea  dipendente  da 
infortunio  sul  lavoro,  l'indennità  è  integrata,  dopo  i  primi  tre  giorni,  con 
un  eventuale  supplemento,  fino  a  raggiungere  la  paga  giornaliera. 

Il  personale  appartenente  alle  ferrovie  distato,  al  30  giugno  1910  no- 
verava 148.727  agenti,  dei  quali,  109.716  erano  stabili  ed  in  prova,  e  39.011 
erano  avventizi.  Alcune  migliaia  di  essi  (cioè  6789)  erano  però  addetti,  non 
all'esercizio,  ma  al  servizio  delle  costruzioni,  delle  quali  fra  poco  parleremo. 

Non  è  da  tacersi  che  una  parte  dei  capitali  appartenenti  alla  gestione 
delle  pensioni  viene  impiegata  nella  costruzione,  ora  in  corso,  di  case  econo- 
miche pei  ferrovieri,  e  che  determinate  somme  vennero  a  tale  scopo  assegnate 
ai  vari  compartimenti,  per  l'ammontare  di  lire  21.475.000.  La  somma  totale 
non  potrà  superare  i  30  milioni  e  verrà  gradualmente  restituita  al  fondo 
pensioni  dall'Amministrazione  ferroviaria. 

III).  Le  costruzioni  ferroviarie  di  Stato.  —  L'art.  78  della  legge 
7  luglio  1907,  n.  429,  dispone  che  all'Amministrazione  delle  ferrovie  dello 
Stato,  sotto  la  diretta  dipendenza  del  ministro  dei  lavori  pubblici,  sono 
affidati  gli  studii,  la  direzione  e  la  sorveglianza  dei  lavori  per  nuove  fer- 
rovie da  costruirsi  per  conto  diretto  dello  Stato:  le  spese  all'uopo  occorrenti 
sono  fatte  coi  fondi  stanziati  nel  bilancio  del  ministero  dei  lavori  pub- 
blici. Cosi  venne  nuovamente  sancita  e  precisata  una  disposizione  già  con- 
tenuta nell'art.  23  della  legge  22  aprile  1905,  n.  137. 

Oltre  a  tali  leggi,  gioverà  ricordare  di  nuovo  quelle  già  citate  del  9 
luglio  1905,  n.  413,  e  del  12  luglio  1906,  n.  341  (sulle  ferrovie  complemen- 
tari della  Sicilia),  e  quella  del  12  luglio  1908,  n.  444. 

Le  costruzioni  più  importanti  attualmente  (luglio  1910)  in  corso,  sono  : 

1)  Linea  Cuneo- Ventimìglia; 

2)  Linea  Spilimbergo-Gemona  ; 

3)  Linea  Bologna- Verona  ; 

4)  Linea  Sant* Arcangelo-Urbino; 

5)  Allacciamento  Boma  Trastevere  -  Boma  Termini; 


FERROVIE  27 


6)  Linea  direttissima  Boma-Napoli; 

7)  Linee  delle  Calabrie  (Paola-Cosenza,  Spezzano-Castrovillari,  Pie- 
trafitta- Rogliano); 

8)  La  linea  complementare  della  Basilicata  Altamura-Matera  ; 

9)  Bete  complementare  della  Sicilia. 

Speciali  ufBci  istituiti  dall'azienda  di  Stato  attendono  agli  studi,  già 
assai  progrediti,  per  le  due  linee  direttissime  Genova-Tortona  e  Bologna-Fi- 
renze, come  si  compiono  stud!  per  la  linea  a  doppio  binario  Fossano-Mondovi- 
Ceva.  Essa  azienda  sorveglia  pure  la  costruzione,  concessa  all'industria  privata, 
delle  linee  AuUa-Lucca  e  Bagni  di  Lucca  -  Castelnuovo  di  Oarfagnana. 

IV).  La  finanxa  dell'azienda  ferroviaria  di  Stato.  —  1)  Il  bilancio 
preventivo  delle  entrate  e  delle  spese  delVazienda  ferroviaria  ò  presentato 
air  approvazione  del  Parlamento  in  allegato  allo  stato  di  previsione  della 
spesa  del  Ministero  dei  lavori  pubblici. 

Colla  legge  di  assestamento  del  bilancio  si  approvano  le  variazioni  che 
si  rendono  necessarie  nel  preventivo.  Il  conto  consuntivo,  colla  relativa  de- 
liberazione della  Corte  dei  conti,  è  allegato  in  appendice  a.1  rendiconto  ge- 
nerale dello  Stato  e  deve  contenere,  ogni  triennio,  anche  la  dimostrazione 
sintetica  dei  prodotti  lordi  per  linea. 

Alle  spese  di  esercizio  si  provvede  prelevando  le  occorrenti  somme  dai 
prodotti. 

Le  entrate  si  dividono  in  ordinarie  e  straordinarie.  Fra  le  entrate  ordi- 
narie si  iscrivono  i  prodotti  del  traffico,  i  proventi  dell'uso  delle  proprietà 
immobiliari,  e  quelli  dell'uso  e  della  vendita  di  materiali  provenienti  dal- 
l'armamento, dai  rotabili  e  dai  lavori  in  conto  esercizio  :  i  rimborsi  e  con- 
corsi di  Società  concessionarie  di  ferrovie,  di  altre  amministrazioni  pubbliche 
e  di  terzi  nelle  spese  per  lavorì  di  ripristino  o  per  altre  prestazioni  :  i  noli 
attivi  di  materiale  rotabile,  e  qualunque  altro  introito  riguardante  l'esercizio. 
Fra  le  entrate  straordinarie  si  iscrivono  le  somme  fornite  dal  Tesoro  per  le 
spese  straordinarie,  i  rimborsi  e  concorsi  di  Società  concessionarie  di  ferrovie, 
di  altre  amministrazioni  pubbliche  per  lavori  e  provviste  in  aumento  del 
patrimonio  ferroviario,  il  ricavo  della  vendita  di  beni  immobili  e  di  mate- 
riali di  dis&cimento  pertinenti  al  patrimonio  ferroviario  ed  ai  servizi  di  na- 
vigazione. 

Lo  spese  si  dividono  in  ordinarie  di  esercizio,  complementari,  accessorie 
e  straordinarie:  le  tre  prime  si  iscrivono  nella  parte  ordinaria;  le  ultime, 
nella  parte  straordinaria  del  bilancio. 

Spese  ordinarie  di  esercizio  sono  quelle  di  personale,  combustibili,  ma- 
natenzione  ordinaria  della  ferrovia  e  sue  dipendenze,  manutenzione  del  ma- 
teriale rotabile  e  di  esercizio,  ed  in  genere  tutte  le  spese  riguardanti  l'eser- 
cizio proprìamente  detto. 


28  CARLO   F.   FERRARIS 


Spese  complementarì  sono  quelle  di  manutenzione  straordinaria  occorrente 
per  riparare  e  prevenire  danni  di  forza  maggiore  alle  linee  e  loro  dipendenze, 
pel  rinnovamento  e  rifacimento  in  acciaio  della  parte  metallica  delV armamento, 
pel  rinnovamento  del  materiale  rotabile,  per  migliorìe  ed  aumenti  di  carat- 
tere patrimoniale  alle  linee  e  loro  dipendenze  e  al  materiale  rotabile  quando 
Taumento  di  prodotto  non  superi  i  5  milioni  in  confronto  dell'anno  precedente. 

Le  spese  accessorie  comprendono  gli  interessi  del  materiale  rotabile  e 
di  esercizio,  gli  interessi  sulVimporto  degli  approvvigionamenti  e  delle  somme 
fornite  dal  Tesoro  per  completamento  del  fondo  di  magazzino,  gli  interessi 
e  le  quote  di  ammortamento  delle  somme  erogate  per  aumenti  patrimoniali, 
le  somme  assegnate  a  fondo  di  riserva  per  spese  impreviste,  le  quote  di 
ammortamento  delle  somme  pagate  dal  Tesoro  per  liquidare  le  gestioni  ces- 
sate e  le  somme  anticipate  per  le  spese  accessorie  di  materiale  rotabile  e 
di  esercizio  e  per  approvvigionamenti  facenti  carico  al  bilancio  ferroviario,  le 
spese  per  noleggi  temporanei  di  materiale  mobile,  gli  interessi  e  le  quote 
di  ammortamento  delle  somme  fornite  per  la  costruzione  e  Tacquisto  del 
materiale  di  navigazione,  ed  altre  minori  spese. 

Le  spese  straordinarie  comprendono  quelle  per  lavori,  forniture  e  simili, 
occorrenti  per  rimpianto  della  nuova  amministrazione,  quelle  occorrenti  per 
continuare  e  a  saldo  di  lavori  e  delle  forniture  ereditate  dalle  passate  ge- 
stioni, quelle  occorrenti  per  reintegrare  la  nuova  azienda  delle  deficienze  di 
manutenzione  delle  linee  e  del  materiale  rotabile  riscontrate  alVinizio  della 
sua  gestione,  quelle  per  forniture  di  nuovo  materiale  rotabile  e  di  esercizio, 
anche  pei  servizi  di  navigazione,  e  quelle  per  miglioramenti  al  materiale, 
quelle  per  provviste,  in  aumento  del  patrimonio,  di  materiale  fisso  e  di  ma- 
teriale metallico  di  armamento  per  nuovi  binarii,  per  nuovi  impianti  ed  am- 
pliamento degli  esistenti,  compresi  quelli  di  trazione  elettrica. 

2).  Le  leggi  regolano  minutamente  tutta  la  mateiia  dei  contratti.  Per 
la  sua  importanza,  noteremo  soltanto  la  prescrizione  per  cui  le  provviste  del 
materiale  fisso  e  mobile  e  di  quello  metallico  di  armamento  sono  di  regola 
appaltate  all'  industria  nazionale,  secondo  i  casi  col  sistema  delle  pubbliche 
gare  o  della  licitazione  o  trattativa  privata:  ove  queste  dimostrino  che  le 
condizioni  dell'industria  nazionale  non  permettono  di  ottenere  prezzi  conve- 
nienti, la  Direzione  generale  delle  ferrovie,  su  conforme  deliberazione  del 
Consiglio  di  amministrazione,  ed  in  seguito  ad  autorizzazione  del  Consiglio 
dei  ministri,  procede  a  gare  internazionali,  alle  quali  sono  invitate  anche 
ditte  nazionali.  Anche  nelle  gare  internazionali,  a  parità  di  condizioni,  è  data 
la  preferenza  all'industria  nazionale,  tenendo  conto  di  una  congrua  prote- 
zione a  questa,  che  non  può  però  mai  eccedere  il  cinque  per  cento  sulFof- 
ferta  deirindustria  estera,  accresciuta  delle  spese  di  dogana  e  di  trasporto 
al  luogo  di  consegna.  In  casi  di  urgente  bisogno  di  materiale  può  essere 
eccezionalmente  autorizzata,  previa  deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri, 
la  licitazione  o  la  trattativa  privata  con  ditte  estere. 


FERROriB  29 


3).  Le  condizioni  assai  cattive  rispetto  alle  linee,  agli  impianti,  al  ma- 
teriale, nelle  quali  lo  Stato  dovette  assumere  Tesercizio,  lo  obbligarono  a 
stanziare  65  milioni  per  nuove  spese  colla  legge  22  aprile  1905,  n.  187; 
se  ne  aggiunsero  altri  205  colla  legge  19  aprile  1906,  n.  127,  e  infine 
altri  610  colla  legge  23  dicembre  1906,  n.  638,  da  erogarsi  a  tutto  l'eser- 
cizio 1910-1911.  Per  provvedere  tali  somme  e  per  quelle  occorrenti  per  le 
liquidazioni  delle  passate  gestioni,  oltre  che  alle  risorse  ordinarie  del  Te- 
soro e  a  quanto  poteva  essere  fornito  dalla  Cassa  dei  depositi  e  prestiti, 
si  ricorse  al  credito,  emettendo  in  base  alla  legge  25  giugno  1905,  n.  261, 
certificati  ferroviari!  ammortizzabili  in  40  anni,  fruttanti  Tinteresse  di  lire  3.50 
netto:  si  ordinò  io  stanziamento,  nella  parte  ordinaria  del  bilancio  delle 
ferrovie  di  Stato,  della  spesa  occorrente  per  il  servizio  di  interessi  e  di  am- 
mortamento. Inoltre,  sia  per  tali  spese,  sia  per  quelle  derivanti  dalle  nuove 
costruzioni  di  strade  ferrate  e  dai  servizi  di  navigazione  di  Stato,  si  autorizzò 
colla  legge  24  dicembre  1908,  n.  731,  anche  l'emissione  di  un  titolo  di 
debito  ammortizzabile  in  50  anni,  fruttante  T  interesse  annuo  del  3.50  netto: 
tali  rendite  dovevano  essere  inscritte  nel  Gran  Libro  del  debito  pubblico 
per  categorie  di  valor  capitale,  ciascuna  di  150  milioni  di  lire  (l'emissione 
annua  non  poteva  eccedere  tale  valore),  componendosi  ciascuna  categoria  di 
titoli  unìtarii  del  valore  di  lire  500.  e  di  titoli  multipli  da  2500,  5000, 
10.000  e  20.000  lire.  Con  questo  nuovo  titolo  dovevano  anche  essere  riscat- 
tati i  predetti  certificati  ferroviarii  ed  altri  titoli  di  debito  redimibile,  in  parte 
precedentemente  emessi  per  cause  ferroviarie. 

Colla  legge  25  giugno  1909,  n.  372,  per  le  spese  straordinarie  del- 
l'azienda ferroviaria  e  in  aumento  dei  fondi  stanziati  colle  preaccennate 
l^Sgii  Tamministrazìone  delle  ferrovie  di  Stato  fu  autorizzata  ad  assumere 
impegni  nel  sessennio  1909-910  al  1914-915  fino  al  limite  del  quintuplo 
dell'eccedenza  raggiunta  col  prodotto  del  trafiico  su  quello  di  410  milioni 
di  lire  preso  per  base  (non  però  oltre  150  milioni  alFanno),  come  pure  fu 
autorizzato  il  Tesoro  a  fornirle  nel  sessennio  10  milioni  per  l'acquisto  di 
nuovo  materiale  rotabile  da  destinarsi  ai  trasporti  in  servizio  dei  ministeri 
delle  poste  e  dei  telegrafi  e  dell' interno.  Tali  fondi  dovevano  essere  prov- 
visti coi  titoli  autorizzati  dalle  precedenti  leggi. 

Ma  non  essendo  ben  riuscita  la  emissione  del  titolo  3,50  per  cento, 
colla  legge  15  maggio  1910,  n.  228,  si  autorizzò,  per  la  provvista  dei  fondi 
(compresi  quelli  occorrenti  per  la  spesa  di  25  milioni  prevista  dalla  poste- 
riore legge  13  luglio  1910,  n.  466,  art.  62,  per  strade,  impianti  ed  edifici 
occorrenti  alle  ferrovie  di  Stato  in  seguito  ai  danni  prodotti  dal  terremoto 
del  dicembre  1908)  e  il  riscatto  dei  certificati  ferroyiarìi,  la  emissione  di  un 
nuovo  titolo  redimibile  fruttante  Y  interesse  del  3  per  cento  netto,  da  iscri- 
Tersi  nel  Qran  Libro  del  debito  pubblico  per  categorie,  ciascuna  del  valore 
capitale  nominale  di  175  milioni:  per  ogni  esercizio  finanziario  però  Temis- 


30  CARLO   F.    FERRARIS 


sione  non  può  eccedere  il  valore  capitale  occorrente  per  ricavare  la  somma 
di  150  milioni.  Ciascuna  categoria  deve  essere  composta  di  titoli  unitarii  del 
valore  di  lire  500,  con  facoltà  al  ministro  del  Tesoro  di  emettere  titoli  sot- 
tomultipli, che  potranno  essere  da  lire  2500,  5000,  10.000  e  20.000. 

Vedremo  i  risaltati  di  questo  espediente  di  Tesoro,  invece  del  quale 
sarebbe  stato  conveniente  ricorrere  all'emissione  di  rendita  consolidata,  se  non 
lo  impedisse  la  circostanza  che  è  ancora  in  essere  la  conversione  di  questa, 
riducendosene,  com'è  noto,  a  cominciare  del  1912,  Tinteresse,  al  3,50  per  cento. 

4).  Gioverà,  per  conchiudere  su  tale  materia,  porre  sottocchio  al  lettore, 
fornendogli  cosi  anche  un  concetto  sommario  della  grandezza  dell'azienda  in 
quanto  si  riflette  nella  sua  finanza,  il  riassunto  del  bilancio  preventivo  di 
essa  per  l'esercizio  1910-911. 


EN  TJRATA. 

Entrate  di  esercizio  e  fondi  per  aumenti  patrimoniali. 

Titolo  I.  Parte  ordinaria: 

§  1.  Prodotti  del  traffico L.  476.100.000 

§  2.  Introiti  indiretti  deireBercizio »  1U.224.400 

§  3.  Entrate  eventuali »  6.121.000 

§  4.  Introiti  per  rimborsi  di  spese »  44.820.000 

Totale  titolo  I.  -  Parte  ordinaria     .     .  L.  546.265.400 

Titolo  II.  —  Parte  straordinaria »  148.800.000 

Totale  delle  entrate  ordinarie  e  straordinarie  L.  -— ^— — ■        695.065.400 

Gestioni  speciali  ed  autonome. 

Titolo  III.  ~  Magazzini  ed  officine: 

§  1.  Gestione  autonoma  dei  magazzini L.  165.653.500 

§  2.  Officine »  86.670.000 

Titolo  IV.  —  Gestione  del  fondo  pensioni  e  sussidi!     .      »  42.283.000 

Titolo  V.  —  Gestione  delle  case  economiche  dei  ferro- 

vicrii »  6.000.000 

Titolo  VI.  —  Operazioni  per  conto  di  terzi: 

§  1.  Operazioni  attinenti  ai  trasporti »  382.450.000 

§  2.  Operazioni  attinenti  al  personale »  10.000.000 

§  3.  Lavori,  forniture  e  prestazioni  per  conto  di  pub- 
bliche amministrazioni  e  di  privati »  5.000.000 

Totale  delle  gestioni  speciali  ed  autonome .    .    .  L.  — — — —        698.056.500 

Titolo  VII. —  Partite  di  giro L.  50.082.000 


TOTALR  GENERALE   DELL*  ENTRATA      .      .      .      L.      1.443.203.900 


FERROVIE  31 


Spese  di  esercizio  e  per  aumenti  patrimoniali. 

Titolo  I.  —  Parte  ordinaria 

Sezione  I.   Spese  di  esercizio  : 
§  1.  Direzione  generale,  servizi  centrali  I,  II,  III,  IV, 

V  e  ufficio  stralcio L.  7.800.000 

§  2.    Approvvigionamenti  e  magazzini »  6.800.000 

§  8.    Servizio  del  movimento  e  del  traffico    ...»  121.850.000 

§  4.     Servizio  commerciale  e  controllo  prodotti .     .     »>  5.600.000 

§  5.     Servizio  della  navigazione »  4.735.000 

§6.    Servizio  della  trazione  e  del  materiale  rotabile.     »  157.000.000 

§7.     Servizio  del  mantenimento  e  della  sorveglianza      »  58.718.000 

§  8.     Navigazione  dello  stretto  di  Messina     ...»  600.000 

§  9.     Spese  generali   deiramministrazione ....     »  38.014.440 

10.  Servizi  secondarli »  4.600.000 


Totale  sezione  I    .     .     .  L.  404.717.440 

Sezione  II.   Spese  complementari  ....  »  22.990.000 
Sezione  III.  Spese  accessorie: 

§  1.  Spese  accessorie  attinenti  alFazienda  ferroviaria  »  67.907.960 

§  2.  Spese  accessorie  estranee  airazienda  ferroviaria, 

e  avanzo  di  gestione »  50.650.000  (^} 

Totale  del  titolo  I.  —  Parte  ordinaria    .     .     .  L.  546.265.400 

TiTOU)  II.  —  Parte  straordinaria »  148.800.000 

Totale  delle  spese  ordinarie  e  straordinarie     .  L.  ■            ■'    ■             695.065.400 

Gestioni  speciali  ed  autonome, 

m 

Titolo  III.  —  Magazzini  ed  officine 

§  1.  Gestione  autonoma  dei  magazzini L.  165.658.500 

§  2.  Officine n  86.670.000 

Titolo  IV.  —  Gestione  del  fondo  pensioni  e  sussidii   .  »  42.283.000 

Titolo  V.  —  Gestione  delle  case  economiche  pei  ferro- 
vieri       »  6.000.000 

Titolo  VI,  —  Operazioni  per  conto  di  terzi: 

§  1.  Operazioni  attinenti  ai  trasporti »  882.450.000 

§  2.  Operazioni  attinenti  al  personale »  10.000.000 

§  8.  Lavori,  fornitore  e  prestazioni  per  conto  di  pub- 
bliche amministrazioni  e  di  privati    ....  »  5.000.000 

Totale  delle  gestioni  speciali  ed  autonome    .     .    .  L.  ^^^m^^^^mmm       698.056.500 

Titolo  VII.  —  Partite  di  giro L.  50.082.000 

Totale  obnbiule  della  Spesa    .    .    .    L.    1.448.208.900 


(I)  Pìn  esattamente,  tale  cifra  di  lire  50.650.000  dovrebbe  essere  distinta  nel  modo 
seguente  : 

Spese  accessorie  estranee  alPazienda  ferroviaria     »  1.850.000 

Avanzo  di  gestione  da  versarsi  al  Tesoro    .    .     »         48.800.000 


32 


CARLO   F.   FERRARIS 


V).  Alcuni  dati  statistici  stdl' azienda  ferroviaria  di  Stato, 


A)  Trasporti  e  prodott[  nbll^esercizio  dal  \^  luglio  1909  al  30  oiuono  1910. 


Introiti 


Viaggiatori   .     .    .    N®. 
Bagagli     ....     Tono. 
Merci  e  bestiame  .    Tonn. 


QnantlU 
trasportate 

Prodotti  ordinari! 
Lire 

Introiti  dirersi 
Lire 

ToUli 
Lire 

81.423.389 

181.126.428 

223.750 

181.350.178 

141.235 

8.693.681 

70.615 

8.764.296 

35  724.866 

284.504.933 

6.625.784 

291.130.717 

Totali  Lire    474.325.042        6.920.149        481.245.191 


B)  Materiale  rotabile. 
Quantità  al  30  giugno  1910: 

in  in 
Berrizio      cottrazione 

(  Locomotive  a  vapore 4.675  343 

(  Locomotori  elettrici 37  13 

j.    (  Automotrici  a  vapore 103  — 

(  Automotrici  elettriche  (escluse  quelle  ad  accumulatori)  51  — 

8.  Canozze  (comprese  le  automotrici  elettriche   ad  accumu- 
latori)    9.896  387 

4.  Bagagliai  (compresi  i  bagagliai-posta) 3.061  361 

_    ^     ,  {  per  merci  e  bestiame 86.514  )  ^..^ 

5.  Cam  i         .      .       ,    .  |.       ,.  -ioaoi  S^^l 

(  per  treni  matenali  e  di  servizio 1.863  ) 

6.  Carri  noleggiati 2.159  — 

Per  le  ferrovie  complementari   a  scartamento   ridotto   della  Sicilia   si   provvidero 
inoltre  18  locomotive,  24  carrozze  e  105  carri. 

La  percorrenza  in  treni-chilometro  neiresercizio  1909-910  fu  di  107.905.222. 


IV. 

Le  ferrovie,  le  tramvie  e  le  lìnee  di  automobili 
concesse  air  industria  privata  dal  1*  luglio  190S. 


Abbiamo  già  esposto  sommariamente  lo  svolgimento  della  legislazione 
sulle  ferrovie  concesse  all'industria  privata  fino  airinizio  dell'esercizio  ferro- 
viario di  Stato.  Sia  per  causa  di  questo  fatto,  sia  per  nuovi  bisogni  rivela- 
tisi, il  lavoro  legislativo  continuò,  e  si  ebbero  (ricordo  soltanto  le  principali) 
le  leggi  9  luglio  1905,  n.  418;  30  giugno  1906,  n.  272;  15  luglio  1906, 
n.  383;  16  giugno  1907,  n.  540;  7  luglio  1907,  n.  429;  14  luglio  1907, 
n.  562;  12  luglio  1908,  n.  444;  25  giugno  1909,  n.  372;  15  luglio  1909, 


FERROVIE  33 


n.  524,  contenenti  disposizioni  anche  per  le  tramvie,  le  automobili  e  gli 
altri  veicoli  a  trazione  meccanica.  Tutte  le  leggi  antiche  e  recenti  devono 
essere  ridotte  a  testo  unico,  e  ad  esse  sono  da  aggiungersi  le  leggi  sul  per- 
sonale del  ministero  dei  lavori  pubblici  e  il  Genio  civile,  del  3  settembre  1906, 
n.  522,  e  9  luglio  1908,  n.  403:  la  legge  speciale  ferroviaria  per  la  Basili- 
cata e  le  Calabrie,  del  21  luglio  1910,  n.  580:  i  regolamenti  29  luglio  1909, 
n.  710,  e  24  aprile  1910,  n.  719,  sui  veicoli  a  trazione  meccanica  senza 
guida  di  rotaie,  e  il  regio  decreto  7  agosto  1909,  n.  711,  sull'Ufficio  speciale 
delle  ferrovie  presso  il  ministero  dei  lavori  pubblici. 

1.  Classificazione  delle  ferrovie  e  modalità  delle  concessioni,  —  Se- 
condo il  diritto  vigente,  le  ferrovie  si  distinguono  in  pubbliche  e  private. 

Le  pubbliche  sono  destinate  al  servizio  pubblico  pel  trasporto  delle 
persone,  merci  e  cose  di  qualsiasi  genere. 

Le  private  sono  quelle  che  un  privato  od  una  Società  costruisce  esclu- 
sivamente per  1  esercizio  permanente  o  temporaneo  di  un  commercio,  di  una 
industria,  di  un  uso  qualunque  suo  proprio. 

Le  ferrovie  pubbliche  si  distinguono  in  principali  e  secondarie. 

Le  principali  sono  quelle  che  risultano  di  speciale  importanza  in  base 
ai  seguenti  criterii  :  la  estensione  attraverso  il  Regno,  l'entità  del  traffico,  il 
congiungimento  di  centri  notevoli  di  popolazione  fra  loro,  ovvero  con  porti 
marittimi,  lacuali  o  fluviali;  Vallacciamento  a  ferrovie  estere,  le  considera- 
zioni di  indole  militare.  Secondai'ie  sono  tutte  le  altre,  e  si  suddistinguono 
in  due  classi  :  secondarie  propriamente  dette  e  locali,  in  correlazione  alla  loro 
importanza  ed  alle  loro  condizioni  particolari. 

Le  ferrovie  principali  hanno  sede  propria;  le  secondarie  possono  essere 
stabilite  anche  su  strade  ordinarie,  a  condizione  che  si  lasci  una  zona  suf- 
ficiente per  il  carreggio  ed  abbiano  sede  separata  dal  carreggio  stesso. 

Le  ferrovie  private  si  dividono  in  due  categorie. 

La  prima  comprende  quelle  che  corrono  esclusivamente  su  terreni  ap- 
partenenti a  chi  le  costruisce,  senza  intersecare  od  in  alcun  modo  interes- 
sare alcuna  proprietà  pubblica  o  privata:  la  seconda  comprende  quelle  che 
toccano  in  qualsivoglia  modo  le  proprietà  altrai,  le  pubbliche  vie  di  comu- 
nicazione, i  corsi  di  acqua  pubblici,  gli  abitati  ed  ogni  altro  sito  ed  opera 
pubblica.  Le  ferrovie  private  della  seconda  categoria  sono  parificate,  per  le 
norme  di  costruzione  e  di  esercizio,  alle  ferrovie  locali,  in  quanto  concernono 
la  sicurezza  delle  persone  e  delle  cose  e  la  pubblica  igiene:  le  proprietà 
private  da  intersecarsi  con  esse  squo  soggette  alla  servi  tti  del  passaggio  coatto, 
e  i  costruttori  debbono  adempiere  a  tutti  gli  obblighi  imposti  dalla  legge  per 
Tacquisto  della  servitù  coattiva  di  acquedotto. 

Il  Governo  può  dare  annue  sovvenzioni  chilometriche  fino  a  lire  1200,  e 
per  un  periodo  non  superiore  a  20  anni,  per  l'esercizio  di  ferrovie  private 
da  autorizzare  al  servizio  pubblico. 

Caelo  F.  Fkbhaus.  —  FuTovie.  8 


31  CARLO   F.   FERRARIS 


Il  Governo  è  autorizzato  ad  accordare,  per  decreto  reale,  airindustrìa 
privata,  a  provincie  e  comuni,  isolatamente  o  riuniti  in  consomo,  conces- 
sioni per  la  costruzione  e  l'esercizio  di  strade  feixate  pubbliche;  alla  ces* 
sione  deir  esercizio  di  linee  secondarie  appartenenti  allo  Stato  si  provvede 
con  legge.  Le  provinole,  i  comuni  ed  i  consorzi  sono  autorizzati  a  costruire 
ed  esercitare  le  ferrovie  loro  concesse,  o  a  loro  cura  diretta  o  per  mezzo  di 
società  e  di  imprese  subconcessionarie.  La  legge  regola  le  modalità  per  la 
formazione  dei  consorzi. 

Le  domande  di  concessione  della  costruzione  e  deiresercizio  di  una  fer- 
rovia pubblica  debbono  essere  accompagnate  dalla  dimostrazione  della  sua 
pubblica  utilità,  e  del  piano  finanziario  e  tecnico:  la  concessione  è  fatta 
per  decreto  reale  promosso  dal  ministro  dei  lavori  pubblici,  per  un  perìodo 
che  non  può  eccedere  i  70  anni,  con  determinazione  del  tipo  di  costruzione 
e  delle  modalità  così  di  costruzione  come  di  esercizio. 

Si  può  accordare  una  sovvenzione  chilometrica  tanto  se  la  costruzione  sia 
a  sezione  normale,  quanto  se  sia  a  sezione  ridotta,  e  qualunque  sia  il  sistema 
di  trazione,  in  una  somma  che  normalmente,  per  un  periodo  da  35  a  70  anni, 
non  deve  superare  le  lire  5000  annue,  ma  che  può  arrivare  a  7500  a  favore 
delle  ferrovie  che  o  attraversino  regioni  montuose  e  richiedano  notevoli  spese 
di  costruzione,  ovvero  richiedano  una  spesa  debitamente  accertata  di  costru- 
zione superiore  a  lire  150.000  per  chilometro,  e  inoltre  siano  destinate  a 
congiungere  i  capoluoghi  di  provincia,  i  capoluoghi  di  circondario  o  impor- 
tanti capoluoghi  di  distretto  fra  loro  o  con  quelli  di  provincia,  o  a  collegare 
comuni  la  cui  complessiva  popolazione  superi  i  100.000  abitanti,  o  ad  unire 
due  linee  litoranee  del  Regno  o  linee  importanti  internazionali.  Il  Governo 
è  però  autorizzato  a  ridurre  a  50  anni  la  durata  massima  delle  sovvenzioni 
chilometriche,  aumentando  però  rispettivamente  i  limiti  massimi  preaccennatif 
da  lire  5000  a  5700  e  da  lire  7500  a  8500.  Per  le  linee  complementari, 
in  generale  il  sussidio  può  essere  elevato  fino  a  lire  8000  per  chilometro  ;  e, 
riducendo  a  50  anni  la  durata  massima,  si  può  arrivare  al  limite  massimo  di 
lire  9100.  Per  le  linee  complementarì  sarde  si  può  in  generale  arrivare  a  lire 
7500  per  70  anni,  e,  riducendo  la  durata  a  50  anni,  a  lire  8500.  Per  al- 
cune ferrovie  a  scartamento  ridotto  della  Basilicata  e  delle  Calabrie,  la  sov- 
venzione fu  portata  a  lire  14.300  dall'apertura  dei  tronchi  airesercizio  fino 
allapertura  dell'intera  rete,  e  poi  a  lire  12.000  dall'apertura  airesercìzio 
dell'intera  rete  fino  a  70  anni  compiuti  dall*apertura  del  primo  tronco. 

La  misura  concreta  della  sovvenzione  è  accordata  nei  limiti  preaccen- 
nati di  somma  e  di  tempo  tenendo  conto  dell'ammontare  dei  concerai  legal- 
mente offerti  dagli  enti  interessati,  delle  difficoltà  e  spese  di  esercizio,  della 
presunta  quantità  ed  estensione  del  traffico,  della  popolazione  e  superficie 
della  zona  servita,  del  vantaggio  che  ne  avranno  i  servizi  pubblici  ^ 
Terario,  ecc.  Nella  concessione  deve  dichiararsi  quale   parte   della  sovven- 


FERROVIE  35 


zione  Bia  attribuita  alla  costruzione  e  quale  alVesercizio  :  e  si  possono  auto- 
rizzare le  società  per  azioni  concessionarie  ad  emettere  obbligazioni  garantite 
sulle  sovvenzioni  chilometriche  per  la  parte  attribuita  alla  costruzione,  me- 
diante Tadempimento  di  cautele  specificate  nella  legge. 

Oli  enti  interessati  devono  fare  offerte  legali,  senza  delle  quali  non  si 
dà  la  sovvenzione:  si  fa  eccezione  quando  le  loro  finanze  siano  molto  obe- 
rate e  per  le  linee  a  scartamento  ridotto  della  Sicilia,  della  Basilicata  e 
delle  Calabrie. 

La  sovvenzione  può  essere  suddivisa  per  tronchi,  e  allora  la  sovvenzione 
decorre  per  ogni  tronco  dal  giorno  in  cui  ha  luogo  l'apertura  allo  esercizio. 

La  concessione  può  comprendere  la  costnizione  e  Tesercizio,  ma  può 
essere  fatta  anche  per  la  sola  costrazione,  limitatamente  però  alle  ferrovie 
principali  necessarie  al  completamento  della  rete  di  Stato  :  ed  è  con  legge  che 
si  fa  la  determinazione  di  tali  linee  e  della  misura  massima  delle  rispettive 
sovvenzioni  chilometriche. 

Scaduti  quindici  anni  dal*  giorno  dell'apertura  della  ferrovia  al  perma- 
nente esercizio  snir  intera  linea  (salvo  che  nelFatto  di  concesaione  sia  fis- 
sata epoca  più  lontana),  ove  risulti  che  Tannuo  prodotto  netto  di  ima  fer- 
rovia sovvenzionata,  ragguagliato  suUultimo  scorso  quinquennio,  eccede  il 
dieci  per  cento,  se  altro  minor  limite  non  sia  stato  stabilito  nelVatto  di 
concessione,  lo  Stato  ha  diritto  ad  una  partecipazione  negli  utili  uguale 
alla  metà  del  sovrappiù.  Lo  Stato  può  rinunciare  alla  compartecipazione, 
imponendo  al  concessionario  un  corrispondente    abbassamento   delle   tariffe. 

Per  le  feiTovie  concesse  all'industria  privata  senza  sovvenzione  gover- 
nativa dopo  la  legge  16  giugno  1907,  n.  540,  il  diritto  di  compartecipa- 
zione dello  Stato  resta  regolato  dalla  stessa  norma,  ma  si  esercita  sul  pro- 
dotto netto  eccedente  V  interesse  legale  commerciale  computato  sul  capitale 
azionario  e  su  quello  di  primo  impianto  e  prima  dotazione  di  materiale  mo- 
bile e  di  esercizio. 

Lo  Stato  ha  pure  diritto  di  compartecipare  ai  prodotti  lordi  ultrainì- 
ziali  di  ferrovie  sovvenzionate,  concesse  posterioimente  alla  citata  legge  16 
giugno  1907,  nella  misura  stabilita  negli  atti  di  concessione,  tenuto  conto 
delle  speciali  condizioni  di  esercizio  di  ciascuna  ferrovia,  quando  la  media 
dei  prodotti  lordi  deirultimo  quadriennio  abbia  raggiunto  il  prodotto  lordo 
chilometrico  indicato  negli  atti  di  concessione.  Lo  Stato  ha  infine  diritto 
alla  compartecipazione  ai  prodotti  netti  in  misura  non  minore  della  metà 
dell* eccedenza  dell*  interesse  legale  commerciale  computato  sul  capitale  azio- 
nario approvato  dal  Governo,  quando  sia  concessionaria  una  Società  per 
azioni,  0  sul  capitale  di  primo  impianto  e  prima  dotazione  di  materiale  mo- 
bile e  di  esercizio,  negli  altri  casi. 

2.  Diritti  ed  obblighi  del  concessionario.  —  Il  concessionario  di  una 
ferrovia  pubblica  ha  il  privilegio  esclusivo  di  qualsivoglia  altra  concessione 


86  CARLO   F.    FERRARIS 


di  ferrovia  parimenti  pubblica  che  congianga  due  punti  della  sua  linea,  o 
che  corra  lateralmente,  entro  quel  limite  di  distanza  che  verrà  determinato 
nell'atto  di  concessione. 

Resta  però  in  facoltà  deiramministrazìone  dello  Stato,  ove  nulla  sia 
statuito  in  contrario  nell'atto  di  concessione,  di  costruire  ed  esercitare  essa 
stessa  ferrovie,  che  dalle  concesse  si  diramino  o  le  intersechino  o  ne  costi- 
tuiscano il  prolungamento,  e  di  accordarne  ad  altri  la  concessione,  salva  la 
preferenza  al  primo  concessionario,  a  parità  di  condizioni. 

L'uso  promiscuo  di  tratti  di  linea,  gli  attraversamenti  a  livello,  gli 
allacciamenti,  le  diramazioni,  i  raccordi  anche  con  tramvie  a  trazione  mec- 
canica e  con  stabilimenti  commerciali  ed  industriali,  l'uso  delle  stazioni  in 
comune,  sono  regolati  dalla  legge  in  modo  particolareggiato,  come  tutta  la 
materia  delle  espropriazioni,  della  tutela  delle  comunicazioni  pubbliche  e  private 
e  dei  corsi  di  acque,  che  dalle  opere  del  concessionario  rimanessero  interrotte. 

Gli  enti  proprietari  di  una  strada  ordinaria,  sulla  quale  lo  Stato  con- 
ceda di  stabilire  una  ferrovia,  non  possono  opporsi  alla  imposizione  di  questa 
servitù  passiva,  ma  è  necessario  il  loro  consenso  per  le  strade  o  i  tratti  di 
strada,  nei  quali  la  ferrovìa  deve  aver  sede  separata  dal  carreggio;  essi 
hanno  pure  diritto  al  rimborso  delle  maggiori  eventuali  spese  di  manuten- 
zione dei  rispettivi  tratti  di  strada  ordinaria. 

3  Costruzione  ed  esercizio;  fine  della  concessione  per  decadenza^ 
scadenza  o  riscatto.  —  La  vigente  legislazione  regola  tutta  questa  materia 
con  norme  minutissime  e  che  non  si  possono  riassumere,  trattandosi  di  molti 
particolari  di  carattere  tecnico,  amministrativo  e  finanziario.  Giova  avvertire 
che  Tassunzione  dell'esercizio  di  ferrovie  da  parte  dello  Stato,  che  avvenga 
per  decadenza  di  una  concessione  o  di  una  coDvenzione  di  esercizio  a  ter- 
mini di  legge  0  di  contratto,  è  autorizzata  con  regio  decreto,  promosso  dal 
ministro  dei  lavori  pubblici  di  accordo  col  ministro  del  Tesoro,  previa  deli- 
berazione del  Consiglio  dei  ministri,  e  presentato  al  Parlamento  per  essere 
convertito  in  legge.  Si  provvede  pure  con  legge: 

a)  all'assunzione  dell'esercizio  da  parte  dello  Stato,  di  linee  con- 
cesse all'industria  privata; 

b)  alla  proroga  dell'esercizio,  privato  se  dipendente  da  concessione  o 
convenzione  ; 

e)  all'approvazione  della  diffida,  che  deve  precedere  di  almeno  un 
anno  la  data  indicata  per  la  effettuazione  del  riscatto  di  una  linea. 

4.  Personale.  —  Le  ferrovie  debbono  essere  provvedute  del  personale 
necessario  per  assicurare  un  regolare  servizio  ;  e  quello,  le  cui  funzioni  inte- 
ressano la  sicurezza  dell'esercìzio,  dev'essere  riconosciuto  idoneo  secondo  le 
norme  di  speciale  regolamento. 

Ogni  amministrazione  deve  stabilire  e  sottoporre  all'approvazione  del 
ministro  dei  lavori  pubblici  le  norme  per  un  equo  trattamento    del   perso- 


FERROVIE  37 


naie,  nonché  le  pene  disciplinari  e  le  formalità  per  la  loro  applicazione,  con 
disposizioni  analoghe  a  quelle  che  valgono  per  l'amministrazione  delle  fer- 
rovie dello  Stato. 

Tutti  gli  addetti  alle  ferrovie,  qualunque  sia  il  loro  grado  ed  ufficio, 
sono  considerati  pubblici  ufficiali.  Qualora  nei  rispettivi  regolamenti  manchino 
prescrizioni  analoghe,  e  gli  ordinamenti  delle  imprese  assicurino  al  personale 
un  equo  trattamento,  coloro  che  volontariamente  abbandonano  o  non  assu- 
mono r ufficio,  0  prestano  l'opera  loro  in  modo  da  interrompere  o  perturbare 
la  continuità  e  regolarità  del  servizio,  sono  considerati  come  dimissionar!  e 
quindi  surrogati:  può  però  T esercente,  considerate  le  condizioni  individuali 
e  le  speciali  responsabilità,  applicare  invece  un  provvedimento  disciplinare. 

Al  personale  si  applicano  le  leggi  per  l'assicurazione  per  gli  infortuni 
sul  lavoro,  e,  quanto  alle  pensioni,  le  amministrazioni  ferroviarie  devono  o 
iscriverlo  alla  Cassa  nazionale  di  previdenza  per  la  invalidità  e  vecchiaia 
(sezione  operai  o  sezione  assicurazione  popolari,  secondo  la  qualità),  o  costi- 
tuire casse  proprie  di  invalidità  e  vecchiaia,  con  statuti  formulati  dalle  stesse 
amministrazioni  e  approvati  dal  Governo.  In  entrambi  i  casi  il  contributo 
delle  amministrazioni  non  può  essere  inferiore  al  4  per  cento  delle  paghe,  se 
si  tratti  di  operai,  e  al  6  per  cento  degli  stipendi,  assegni  ed  indennità,  per 
l'altro  personale:  le  ritenute  a  carico  degli  iscritti  non  possono  essere  ri- 
spettivamente superiori  alle  percentuali  predette.  Nel  secondo  caso  si  deve 
formare,  almeno  ogni  quinquennio,  un  bilancio  tecnico  della  cassa,  e  modificare, 
se  e  in  quanto  appaia  necessario  in  base  al  risultato  di  quello,  gli  impegni 
0  le  entrate. 

5.  Tranvie,  automobili  ed  altri  veicoli  a  trazione  meccanica  senza 
rotaie.  —  Costituendo  le  tramvie  e  gli  altri  veicoli  a  trazione  meccanica 
mezzi  molto  diffusi  di  trasporto^  e  completando  così  il  sistema  ferroviario,  la 
legge  ha  regolata  anche  tale  materia. 

Caratteristiche  delle  tramvie  sono  l'aver  sede  sul  suolo  delle  strade 
ordinarie  e  il  poter  essere  concedute  anche  dagli  enti  locali  proprietari  della 
strada  (provincie  e  comuni),  singoli  o  riuniti  in  consorzio,  secondo  i  casi.  Vi 
è  però  questa  differenza:  che  per  le  tmmvie  urbane  la  concessione  della  co- 
struzione e  dell'esercizio  è  fatta  dall'ente  locale,  e  il  Governo  con  decreto 
reale  autorizza  all'esercizio,  mentre  per  le  tramvie  extraurbane  la  concessione 
di  costruzione  ed  esercizio  è  fatta  dal  Governo  per  decreto  reale,  previo  il 
consenso  degli  enti  locali  proprietari  della  strada,  che  devono  concedere  il 
snolo  stradale.  La  durata  della  concessione  è  fissata  dagli  enti  locali,  ma 
non  può  mai  eccedere  in  entrambi  i  casi  gli  anni  sessanta. 

Per  la  costruzione  e  l'esercizio  di  tramvie  extraurbane  a  trazione  mecca- 
nica in  servizio  pubblico  il  Governo  è  autorizzato  a  concedere  sovvenzioni 
annue  fino  a  lire  1500  a  chilometro  e  per  un  termine  non  maggiore  di  50 
anni,  semprechè  le  nuove  tramvie  non  facciano  concorrenza  diretta,  o  in  no- 


38  CARLO   F.   FERRARIS 


tevole  parte  del  loro  percorso,  ad  una  lìnea  ferroviaria  delle  reti  principali. 
Le  sovvenzioni  possono  essere  elevate  a  lire  2000  a  chilometro  quando  le 
tramvie  attraversino  regioni  montuose  e  richiedano  notevoli  spese  di  costm-  ] 
zione,  oppure  siano  destinate  a  congiungere  capoluoghi  di  circondario  od 
importanti  capoluoghi  di  distretto  ad  una  stazione  ferroviaria  prossima  o  di 
più  conveniente  accesso,  o  ad  un  approdo  marittimo,  lacuale  o  fluviale,  e  ri* 
chiedano  una  spesa  d'impianto  non  inferiore  a  lire  45.000  a  chilometro, 
compresa  la  prima  dotazione  di  materiale  mobile.  Perchè  si  concedano  tali 
sovvenzioni,  devono  intervenire  offerte  legali  degli  enti  interessati,  colle  stesse 
nonne  ed  eccezioni  che  per  le  ferrovie:  essi  possono  pure  accordare  sussidi, 
preferibilmente  in  forma  di  sovvenzione  chilometrica  (è  proibito  il  darli  sotto 
forma  di  garanzia  di  reddito  chilometrico),  salve  certe  limitazioni  derivanti 
dal  loro  stato  finanziario.  Nel  decreto  reale  di  concessione  sono  stabi- 
lite, nel  caso  di  tramvie  sovvenzionate,  la  misura  della  compartecipazione 
dello  Stato  ai  prodotti  lordi  e  la  durata  della  concessione  stessa,  al  termine 
della  quale  le  opere  costituenti  la  tramvia  e  sue  dipendenze  divengono  pro- 
prietà 0  degli  enti,  ai  quali  appartiene  la  strada,  se  la  linea  è  impiantata 
in  tutto  0  in  parte  su  strade  provinciali  o  comunali,  oppure  del  comune  o 
dei  comuni  interessati  riuniti  in  consorzio,  se  in  sede  propria  o  su  strade 
nazionali. 

Al  personale  delle  tramvie  sovvenzionate  dallo  Stato,  si  applicano  le  ] 
norme  relative  alla  previdenza,  che  abbiamo  esposte  parlando  del  personale 
delle  ferrovie  concesse  all'industria  privata. 

Per  rimpianto  e  T esercizio  di  linee  di  automobili,  ed  anche  di  altre 
forme  di  trazione  meccanica  senza  rotaie,  in  servizio  pubblico  ira  località 
non  congiunte  da  ferrovie  o  da  tiumvie,  io  Stato  può  accordare  sussidi  alle 
Provincie,  ai  comuni  ed  ai  privati  concessionari.  Le  norme  sono  fissate  da 
regolamento  speciale.  I  sussidi  possono  ammontare  ad  annue  lire  600  a  chi- 
lometro e  per  un  termine  non  maggiore  di  9  anni  salvo  riconferma,  la  quale 
è  di  diritto,  quando  le  località  servite  non  vengano  congiunte  da  ferrovie  o 
tramvie  ed  il  servizio  sia  stato  regolare  neirultimo  triennio.  I  sussidi  possono 
essere  elevati  ad  annue  lire  800  al  chilometro  quando  occorrano  notevoli 
spese  di  esercizio,  e  sino  ad  annue  lire  1000  quando  si  tratti  di  filovìe,  ed 
essere  concessi  anche  per  servizi  pubblici  di  trasporto  stabiliti  in  via  di 
esperimento  o  per  determinati  periodi  deiranno. 

6.  Vigilanza  e  sindacato.  —  Il  Governo,  per  mezzo  dei  funzionari,  che 
indicheremo  più  oltre,  esercita  la  vigilanza  sulla  costruzione  e  suiresercizio 
delle  ferrovie  e  delle  tramvie  e  sull'esercizio  delle  automobili  in  servizio 
pubblico,  e  in  genere  sui  veicoli  a  trazione  meccanica  senza  guida  di  rotaie, 
secondo  le  norme  e  nei  limiti  che  sono  determinati  dalle  leggi  e  dai  rego- 
lamenti. Esercita  pure  il  sindacato  sui  concessionari  di  ferrovie  e  delle  tramvie 
extraurbane  sovvenzionate,  i  quali  devono  ogni  anno  comunicare  al  ministero 


FERROVIE  39 


dei  lavori  pubblici  la  situazione  patrimoniale  e  il  conto  speciale  deireser- 
cizio  redatto  secondo  le  norme  stabilite  dallo  stesso  ministero  d'accordo  con 
quello  del  Tesoro.  Il  ministero  dei  lavori  pubblici  ha  pure  diritto  di  far 
ispezionare  tutti  gli  atti,  registri  e  documenti  contabili  ed  amministrativi 
deirazienda  ferroviaria  e  tramviaria,  ed  i  concessionari  debbono  fornire  tutti 
i  dati,  notizie  e  chiarimenti  anche  relativi  alla  loro  azienda  generale,  che  il 
ministero  ritenga  opportuno  conoscere  per  le  sue  funzioni  di  vigilanza  e  sin- 
dacato. 

Per  l'esercizio  di  tali  funzioni  di  yjgilanza  e  sindacato  fu  costituito  fin 
dal  1905  (col  regio  decreto  del  25  giugno,  n.  275,  da  me  promosso),  presso 
il  ministero  dei  lavori  pubblici,  l'Ufficio  speciale  delle  ferrovie,  che  sul 
principio  fu  osteggiato  come  un  nuovo  ed  inutile  congegno  burocratico,  e  che 
tuttavia  fu  non  solo  mantenuto  ma  notevolmente  accresciuto  di  attribuzioni 
negli  anni  successivi. 

L'Ufficio  speciale  è  ora  costituito  con  a  capo  un  direttore  generale 
che  ha  titolo  di  ispettore  generale,  e  si  compone  di  ispettori  generali  e  su- 
periori, di  tre  divisioni,  e  di  nove  circoli  di  ispezione  aventi  sede  a  Bologna, 
Cagliari,  Firenze,  Milano,  Napoli,  Palermo,  Roma,  Torino,  Verona,  e  di  una 
sezione  di  circolo  con  sede  a  Bari.  La  istituzione  di  altri  circoli  e  sezioni 
di  circoli  può  aver  luogo  soltanto  con  decreto  reale,  mentre  con  decreto  mi- 
nisteriale sono  determinate  le  rispettive  circoscrizioni,  variate  le  sedi  dei 
circoli  di  ispezione  e  delle  sezioni  di  circolo,  e  istituiti  uffici  temporanei  per 
la  sorveglianza  delle  linee  concesse  all'  industria  privata.  AUa  direzione  dei 
circoli  di  ispezione  sono  preposti  ispettori-capi  forniti  della  lam'ea  d'inge- 
gnere, e  alle  sezioni  di  circolo  ispettori  principali  tecnici. 

Per  le  questioni  ferroviarie  e  tramviarie  è  pure  stata  istituita  nel  Con- 
siglio superiore  dei  lavori  pubblici  una  speciale  sezione  (la  terza).  Questa 
(a  norma  del  regolamento  16  novembre  1906,  n.  541),  oltre  al  dar  parere 
come  le  altre  sezioni,  nei  limiti  della  sua  competenza,  su  questioni  ammi- 
nistrative e  tecniche  concernenti  pubblici  lavori,  ha,  come  incarichi  speciali, 
l'esame  preliminare  delle  domande  di  concessione  di  ferrovie,  previo  parere 
della  direzione  generale  delle  ferrovie  dello  Stato,  e  di  tramvie,  l'istruttoria 
di  tali  domande  sotto  il  triplice  aspetto  tecnico,  economico  e  finanziario  (il 
parere  sulla  convenienza  economica  e  finanziaria  deve  precedere  quello  sul- 
l'approvazione tecnica  del  progetto),  l'esame  delle  convenzioni  e  dei  capito- 
lati per  le  concessioni  ammesse  dal  Consiglio  generale  in  adunanza  plenaria 
quando  questo  siasi  già  pronunziato,  e  in  ogni  caso  secondo  ì  criteri  stabiliti 
dal  Consiglio  stesso. 

7.  Dati  siatisticL  —  Nel  1910  (luglio): 

V.  Ferrovie  concesse  air  industria  privata: 
a)  trovavansi  aperti  al  pubblico  esercizio  4372  chilometri,  ai  quali 
sono  da  aggiungersi  i  24  chilometri  della  linea  Brescia-Iseo,  di  proprietà  dello 
Stato,  ma  esercitata  da  Società  privata  dall'agosto  1907; 


40 


CARLO   F.    FERRARIS   -    FERROVIE 


b)  erano  in  corso  di  costruzione  525  chilometri  (dei  quali  128  con- 
cessi per  sola  costruzione); 

e)  erano  concessi,  ma  non  ancora  in  costruzione,  378  chilometri  (dei 
quali  41  concessi  per  sola  costruzione). 

Le   domande   di   concessione   in   corso  di  istruttoria  erano  molto  nu- 
merose. 

2®.  Tramvie  id.  —  Erano  in  esercizio  4652  chilometri,  e  in  corso  di 
concessione  55. 

3*.  Linee  di  automobili  in  servigio  pubblico  sussidiate  dallo  Stato.  — 
Erano  aperti  airesercizio  chilometri  2.915.502,  così  ripartiti  per  comparti- 
menti : 

Piemonte   ......      Chilometri 

Liguria " 

Lombardia     .     ,    .     .    . 

Veneto 

Emilia 

Toscana 

Marche 

Umbria 

Lazio 

Abruzzi  e  Molise    .     .    . 

Campania 

Basilicata 

Calabrie    ...... 

Sicilia 

Sardegna 


89.450 

104.000 

76.940 

87.900 

511  166 

182.200 

185.866 

147.000 

378.800 

61.000 

104.879 
375.968 
224.883 
205.500 
230.000 


Domande  di  sussidii  per  altre  linee  erano  pervenute  al  ministero  dei 
lavori  pubblici  :  la  spesa  pel  sussidio  dello  Stato  alle  indicate  linee  già  in 
esercizio,  ammontava  a  lire  1.505.600. 


r  agosto  1910. 


Prof.  Carlo  F.  Ferraris 

Deputato  al  ParUntiito. 


POSTA,  TELEGRAFO,  TELEFONO 


Niuno  può  disconoscere  come  il  progresso  meraviglioso  delle  attività 
umane  compiutosi  negli  ultimi  cento  anni,  sia  legato  alla  facilità  sempre 
crescente  con  cui  si  sono  ideati  e  tradotti  in  atto,  in  scala  sempre  maggiore, 
mezzi  di  comunicazione  fra  paesi  lontani.  Non  è  compito  mio  di  occuparmi 
dei  mezzi  che  permettono  il  trasporto  delle  persone  o  delle  merci;  certa- 
mente, anche  alle  strade  ferrate,  ai  servizi  marittimi,  si  deve  gran  parte 
della  moderna  civiltà  ;  ma  altresì  è  indice  spiccato  di  questa,  la  facilità  con 
cui  oggi  si  scambiano  i  pensieri  o  le  notizie  attraverso  centinaia  e  migliaia 
di  chilometri:  il  che  oggi  può  avvenire  mediante  la  posta,  il  telegrafo,  il 
telefono.  Di  questi  tre  mezzi  di  telecomunieasione,  si  può  dire  che  il  primo 
non  si  appoggi  a  specialissimi  ritrovati  della  tecnica  moderna  ;  esso  trae  bensì 
profitto  da  applicazioni  che  già  per  altra  ragione  si  sono  andate  man  mano 
sviluppando,  come  le  ferrovie,  i  piroscafi,  le  automobili  ecc. ;  mentre  gli  altii 
due,  il  telegrafo  e  il  telefono,  sono  oggi  diventati  congegni  indispensabili 
della  nostra  vita  quotidiana,  in  virtù  del  meraviglioso  sviluppo  di  scoperte, 
teorie  ed  invenzioni  nel  campo  inesauribile  del  più  importante  capitolo  della 
fisica:  l'elettricità. 

Nel  regno  d'Italia,  come  in  altre  nazioni,  i  tre  servizi  pubblici  di  cui 
ora  è  parola,  sono  affidati  ad  un'unica  Amministrazione:  ciò  forse  a  causa 
dello  scopo  quasi  comune  di  essi;  ma,  pur  non  potendosi  asserire  quale  dei 
^^9  oggi,  sia  di  maggiore  importanza,  quale  differenza  non  v*ha  fra  i  mezzi 
occorrenti  alla  attuazione  pratica  dell'uno  o  dell'altro!  Eppure  fra  noi,  per 
forza  di  cose,  le  persone  che  si  occupano  di  materia  postale,  possono  essere 
destinate  ai  servizi  telegrafici,  e  viceversa;  mentre  vi  è  separazione  abba- 
stanza netta  fra  il  personale  telegrafico  e  quello  telefonico,  i  cui  servizi,  per 
la  speciale  indole  tecnica,  hanno  grande  affinità. 

Nelle  pagine  che  seguono,  passerò  rapidamente  in  esame  lo  svolgersi 
progressivo,  nei  50  anni  del  Regno  d'Italia,  di  tutti  e  tre  i  servizi  suddetti  ; 
per  poi  fermarmi  più  specialmente  a  dire  degli  impianti  tecnici  relativi,  che 
si  hanno  oggi.  In  tale  lavoro  mi  saranno  di  guida  sicura  le  pubblicazioni 
dell'Amministrazione  nostra,  fatte  anno  per  anno,  e  quelle  riassuntive  di 
qualcuno  dei  tecnici  valenti,  che  furono  vanto  del  nostro  paese. 

Qt'iRiNO  Kajoraha.  ~~  Posta,  ttUgrufo,  telefono.  1 


QUIRINO    MAJORANA 


PARTE  PRIMA 
Cenni  storici  sol  graduale  sviluppo  degli  impianti  in  Italia. 


Posta.  —  La  posta,  pur  essendo  fattore  importantissimo  di  progresso,  e 
pur  avendo  di  bisogno,  per  il  suo  funzionamento,  di  personale  assai  nume- 
roso, ricorre,  come  ho  già  detto,  a  mezzi  tecnici,  per  lo  più  assai  semplici. 
Nei  riguardi,  quindi,  ditale  servizio,  sarà  breve  il  compito  dello  scrivente; 
giacché,  non  volendo  entrare  nella  esposizione  e  nella  discussione  di  regO' 
lamenti  o  di  questioni  di  personale,  basterà,  dopo  aver  dato  uno  sguardo 
generale  alla  storia  del  servizio  postale  in  Italia,  accennare  a  qualche  dato 
statistico.  Le  attribuzioni  della  posta,  che  una  volta  erano  limitate  al  sem- 
plice recapito  della  corrispondenza  con  le  diligenze^  sono  oggi  assai  nume- 
rose ;  fra  esse  sono  principali  :  la  raccolta,  il  trasporto  e  la  distribuzione  della 
corrispondenza,  il  servizio  dei  pacchi  postali,  e  i  servizi  a  danaro  (vaglia, 
riscossioni,  risparmii  ecc.).  Vedremo  nelle  pagine  seguenti  come,  man  mano, 
in  Italia,  un  servizio  cosi  complesso  si  sia  andato  organizzando. 

Il  servizio  postale  in  Italia^  prima  del  1862,  era  regolato  da  norme 
assai  disparate.  Nelle  antiche  Provincie  subalpine,  la  tarilFa  delle  lettere  per 
il  Regno  era  regolata  dalla  legge  18  novembre  1850  ed  era  fissata  a  20  cent., 
fino  al  porto  di  10  gr.  ;  il  Governo  della  Toscana,  con  legge  del  1859,  ri- 
formò la  vecchia  tariffa,  riducendo  a  10  cent,  la  tassa  delle  lettere  fran- 
cate, e  a  20  cent,  quella  delle  non  francate  ;  nelle  provincie  napoletane,  si 
pagava  sempre  Tantica  tassa  di  2  grani  (cent.  8,5)  per  le  lettere  francate, 
e  di  3  grani  (cent.  13,5)  per  quelle  non  francate.  Non  ostante  la  mitezza 
delle  tariffe,  e  forse  in  causa  della  mancanza  di  istruzione  delle  popolazioni, 
il  movimento  della  corrispondenza  in  queste  ultime  provincie  era  assai  mo- 
derato; tanto  che,  mentre  nelle  provincie  subalpine,  nel  1859,  si  ebbero  circa 
18,000,000  di  lettere,  nelle  provincie  meridionali,  con  una  popolazione  doppia 
(ed  esigendosi  tassa  metà),  se  ne  ebbero  solo  8,000,000. 

Un  Decreto  organico  del  1860,  fissò  un  ruolo  unico  di  personale,  com- 
posto di  circa  1000  impiegati,  per  il  servizio  postale;  e  tale  servizio  fu 
messo  alla  dipendenza  del  Ministero  dei  Lavori  Pubblici,  costituendo  una 
Direzione  Oenerale  a  sé.  Solo  nel  1862  si  ebbe  la  prima  legge  postale,  che 
ridusse  ad  unico  ed  uniforme  sistema  le  norme  disparate  che  sino  allora  avevano 
regolato  il  servizio.  Con  tale  legge  veniva  fissata  per  tutto  il  Regno  la  tassa 
delle  lettere  semplici  di  grammi  10,  a  cent.  15  se  francate,  e  a  cent.  30 


POSTA,  TELEGRAFO,  TELEFONO 


se  non  francate  ;  e  fu  disciplinato  il  servizio  delle  raccomandate,  delle  assi- 
carato,  dei  manoscritti  e  campioni,  delle  stampe,  dei  vaglia  ecc.  Quasi  con- 
temporaneamente fu  introdotto  il  servizio  dei  vaglia  telegrafici. 

Prima  del  1860,  non  esisteva  in  Italia  marina  mercantile  ;  pochi  piro- 
scafi genovesi,  napoletani  e  siciliani,  fiicevano  rari  cabottaggi  sulle  coste  ita- 
liane, sfruttate  per  lo  più  da  Compagnie  estere.  Subito  dopo  la  costituzione 
del  Regno,  sia  per  i  bisogni  militari,  sia  per  rendere  più  agevoli  i  mezzi 
di  comunicazioni  interne,  che,  in  mancanza  di  estese  ferrovie,  erano  difScili 
e  pericolose,  l'Italia  si  arricchì  di  un  discreto  servizio  di  piroscafi,  in  guisa 
che  nel  1863  il  numero  di  questi  era  di  50.  La  Posta  concorse  a  questo 
servizio  con  una  spesa  annua  di  lire  8,000,000.  E  sul  finire  di  queiranno, 
erano  attive  venti  linee  di  servizi  marittimi  postali. 

Nello  stesso  anno  1863,  ebbe  luogo  a  Parigi  il  primo  Congresso  Po- 
stale, promosso  dagli  Stati  Uniti,  e  al  quale  presero  parte  anche  delegati 
italiani.  In  tale  Congresso  si  iniziarono  gli  accordi  internazionali  per  il  sor- 
vizio  postale,  tra  un  forte  nucleo  di  Potenze,  accordi  che  dovevano  portare,  più 
tardi,  in  occasione  della  Conferenza  di  Berna  del  1874,  alla  costituzione 
della  Unione  Postale  Universale.  Intanto  in  Italia,  poco  prima  che  avvenisse 
l'annessione  del  Veneto  al  Regno,  la  tariffii  postale  per  le  lettere  era  stata 
rialzata  da  15  a  20  cent.,  provvedimento  che  dipese  dal  modesto  sviluppo 
che  i  servizi  postali  allora  avevano,  e  dalla  deficienza  dei  mezzi  di  comu- 
nicazione ferrovia!!,  che  solo  in  quel  tempo  andavano  sviluppandosi. 

Ma  rnnificazione  del  Regno  doveva  necessariamente  portare  allo  svol- 
gersi delle  attività  del  paese,  sicché  in  pochi  anni  si  accrebbe  notevolmente, 
insieme  con  tutte  le  altre  manifestazioni,  il  movimento  della  corrispondenza 
postale;  e  ciò,  tanto  per  Tintemo  quanto  per  l'estero.  E  così  pure,  nel  1871 
si  sviluppò  notevolmente  la  marina  mercantile  :  il  che  fu  favorito  anche  da 
opportuni  provvedimenti  adottati,  come  Tistituzione  di  servizi  postali  r^olari 
per  le  Indie,  la  Grecia,  la  Turchia  e  TAmerica  del  Nord,  e  di  servizi 
giornalieri  fra  il  continente  e  le  isole  ;  tali  provvedimenti  servirono  di  base 
alla  stipulazione  delle  Convenzioni  marittime  con  quattro  Società.  I  ser- 
vizi postali,  che  nell'anno  1862  avevano  dato  un  deficit  di  circa  10,000,000 
di  lire,  erano  diventati  per  lo  Stato  sempre  meno  onerosi,  tanto  che  già  nel 
1872  si  ebbe  un  profitto  di  più  che  3,000,000  di  lire,  profitto  che  poi  ò 
andato  sempre  gradatamente  crescendo. 

Nel  1875  un  altro  servizio  importante  fu  affidato  agli  uffici  postali: 
le  Casse  postali  di  risparmio;  con  il  che  non  si  volle  costituire  un  ente 
nuovo,  ma  dipendente  od  accessorio  della  Cassa  di  depositi  e  prestiti. 

Nel  1878,  in  una  delle  sedute  del  Congresso  Postale  che  ebbe  luogo  a 
Parigi,  Stephau,  direttore  generale  delle  poste  in  Germania,  e  a  cui  si  deve 
anche  la  prima  idea  della  costituzione  della  Unione  Postale,  propose  di  con- 
sentire fra  Stato  e  Stato  rinvio  di  piccoli  pacchi  ;  ma  tale  proposta  non  venne 


QUIRINO    MAJORANA 


allora  accolta  per  vari  motivi,  e  principalmente  per  la  sua  novità,  giacché 
sembrava  tale  servizio  differir  troppo  da  quello  del  trasporto  della  corrispon- 
denza. Fa  solo  sul  finire  del  1880  che  il  servizio  dei  pacchi  potè'  essere  isti- 
tuito in  seguito  ad  ulteriori  studi  dell* Ufficio  internazionale  di  Berna;  in 
Italia  il  servizio  dei  pacchi  incominciò  per  la  legge  del  luglio  1881. 

Nella  stessa  epoca  fu  autorizzata  la  fusione  delle  due  maggiori  Com- 
pagnie di  navigazione,  Florio  e  Kubattino,  che  assunsero  il  nome  di  Navi- 
gazione Generale  Italiana  ;  a  tale  Compagnia  furono  affidati  i  principali  ser- 
vizi postali  all'interno  e  con  Testerò. 

Senza  che  all'ordinamento  dei  servizi  fossero  state  introdotte  mutazioni 
notevoli,  essi  si  andavano  gradatamente  e  sicuramente  sviluppando  ;  vediamo 
solo  nel  1889  apportare,  per  parte  dell'Amministrazione,  talune  modificazioni 
nell'ordinamento  dei  servizi  marittimi,  specialmente  per  quanto  concerneva 
le  tariffe,  e  nello  stesso  anno  l'istituzione  delle  cartoline-vaglia. 

Sempre  nello  stesso  anno  1889,  avvenne  la  fusione  dei  servizi  postali 
e  telegrafici  e  la  conseguente  costituzione  del  Ministero  ;  da  quell'anno,  quindi, 
non  è  più  possibile  dire  con  sicurezza  quali  siano  stati  i  proventi  netti  della 
Amministrazione  postale,  giacché  le  spese  per  i  due  servizi  sono  state,  da 
allora  in  poi,  sostenute  in  comune. 

Procedendo  nell'esame  dei  fatti  salienti  verificatisi  nel  servizio  postale, 
si  arriva  all'anno  1906,  nel  quale  la  tariffa  postale  delle  lettere,  da  noi  più 
grave  che  altrove,  venne  ridotta,  da  20,  a  15  cent.;  riduzione  che  fu  com- 
pensata in  parte  mediante  un  aumento  di  tassa  imposto  alla  circolazione 
delle  cartoline  illustrate  e  delle  semplici  carte  da  visita. 

Infine,  in  epoca  recentissima,  va  notato  il  distacco  dei  servizi  marittimi 
dal  Ministero  delle  Poste  per  passare  a  quello  della  Marina  ;  di  tale  Catto 
dura  ancora  l'eco  per  le  laboriose  crisi  ministeriali  a  cui  esso  diede  luogo. 

Ad  onta  che,  come  si  é  già  avuto  occasione  di  dire,  il  servizio  postale  sia 
caratterizzato  da  una  grande  semplicità  di  mezzi,  pur  tuttavia  si  vanno  og^i 
applicando  ad  esso  taluni  ritrovati  che  traggono  la  loro  origine  dal  meravi- 
glioso sviluppo  della  tecnica  moderna.  Prescindendo  dai  servizi  automobili- 
stici che  già  si  vedono  anche  da  noi,  é  da  notare  lo  sviluppo  continuo,  nelle 
grandi  metropoli  estere,  della  posta  pneumatica.  Mediante  tale  sistema,  un 
gruppo  elettro-aspiratore  provoca,  nell'interno  di  una  rete  di  tubi  di  linea, 
una  corrente  d'aria  di  potenza  tale,  da  costringere  degli  astucci  metallici,  fo- 
derati per  solito  in  cuoio,  a  scorrere,  a  guisa  di  stantuffi,  dentro  di  essi;  gli 
astucci  sono  destinati  a  ricevere  la  corrispondenza  che  così,  con  rapidità  su- 
periore a  quella  che  con  qualsiasi  altro  mezzo  meccanico  si  può  ottenere, 
vien  trasportata  da  un  ufficio  all'altro  della  città,  e  quindi  recapitata.  Tale 
metodo,  che  é  stato  perfezionalo  di  molto  negli  ultimi  anni,  offre  allo  stu- 
dioso di  cose  meccanico-elettriche,  una  quantità  di  problemi,  cbe  sono  però 
stati  risoluti  felicemente  dalle  Case  costruttrici.  Non  insisterò  qni  sui  par- 


POSTA,    TELEGRAFO,   TELEFONO 


ticolarì  di  tale  sistema,  giacché  la  posta  pneumatica  non  è  ancora  impian- 
tata in  Italia.  Solo  alcuni  uffici  hanno  oggi  adottato  nel  loro  intemo  il  ser- 
vizio pneumatico;  ma  sono  però  in  costruzione  impianti  pneumatici  esterni 
nelle  città  di  Roma,  Napoli  e  Milano.  Essi  saranno  pronti  probabilmente  nel 
prossimo  anno  1911,  e,  per  quanto  non  sviluppati  in  proporzione  a  quelli  di 
Parigi  0  di  Berlino,  segneranno  pur  tuttavia  un  notevole  progresso  nei  nostri 
servizi  postali. 

Telegrafo,  Telefono.  —  Il  primo  impianto  telegrafico  fu  es^uito  in 
Italia  prima  ancora  della  costituzione  del  Regno,  per  iniziativa  del  Matteucci, 
fra  Livorno  e  Pisa,  sul  finire  delVanno  1847.  A  questo  impianto  ne  seguirono 
presto  altri:  nel  1850  in  Lombardia;  nel  1851  in  Piemonte;  nel  1852  nel 
Veneto,  nel  Ducato  di  Parma  e  nel  Napoletano;  nel  1858  nello  Stato  Pon- 
tificio; nel  1857  in  Sicilia. 

Svarìatissimi  erano  i  criteri  tecnici  con  cui  siffatte  installazioni  erano 
state  realizzate;  l'apparato  Morse  era  già  usato  quasi  da  per  tutto,  ma  si 
usava  anche  l'apparato  Wheatstone  ad  aghi,  la  Bréguet,  la  Henley;  grande 
promiscuità  vi  era  in  fatto  di  elettromotori,  e  già  in  Sicilia  adoperavasi  la 
pila  Danieli  con  diaframma,  dal  che  ebbe  origine  la  pila  italiana,  usata  anche 
oggidì.  Quanto  alle  linee,  queste  erano  già  in  ferro  zincato,  ma  nessuna  uni- 
formità vi  era  fra  i  tipi  di  pali  e  di  isolatori. 

Nel  1854  furono  immersi  i  primi  cavi  sottomarini  nel  Mediterraneo, 
collegando  la  Sardegna  con  la  Corsica,  e  questa  con  Spezia.  Questi  cavi  la- 
vorarono discretamente  per  circa  10  anni.  Intanto  furono  ìnunersi  due  cavi 
fra  il  continente  e  la  Sicilia  nello  stretto  di  Messina:  ma  tali  cavi  fecero 
cattiva  prova,  rompendosi  e  perdendosi  presto. 

Questi  primi  impianti,  come  si  è  visto,  erano  stati  eseguiti  prima  del 
1860;  e  alla  vigilia  della  costituzione  del  Regno  di  Italia,  gli  otto  Stati 
parziali  (esclusa  la  Sardegna)  possedevano  complessivamente  circa  12,000 
chilometri  di  filo  telegrafico  posato  ;  il  numero  degli  uffici  telegrafici  era  di 
248  ;  la  spesa  annua  di  esercizio  era  di  circa  2,000,000  di  lire  ;  l'utile  lordo 
annuo  di  circa  lire  1,500,000,  con  un  passivo  annuo  di  circa  500,000  lire. 
Non  è  però  inutile  ricordare  quanto  fossero  allora  elevate  le  tariffe  telegra- 
fiche: occorrevano  infatti  lire  20  per  inviare  un  telegramma  da  Torino  a 
Napoli. 

Il  servizio  telegrafico,  prima  della  costituzione  del  Regno  d'Italia,  tro- 
vava ragion  d'essere,  più  che  nei  vari  bisogni  del  pubblico,  negli  interessi 
politici.  Subito  dopo  la  proclamazione  del  R^o,  detto  servizio  fu  affidato 
ad  un'unica  Direzione  Generale,  di  cui  era  capo  Bartolomeo  Bona,  e  da  cui 
dipendevano  anche  le  Ferrovie  ;  tale  Direzione  Oenerale  formava  parte  inte- 
grante del  Ministero  dei  Lavori  Pubblici,  e  compito  di  essa  fu  quello  di  dar 
nuovo  impulso  agli  impianti,  in  guisa  che,  nel  suo  insieme,  l'organismo  te- 
legrafico in  Italia  rispondesse  meglio  ai  bisogni  del  paese. 


QUIRINO    MAJORANA 


Si  incomÌDciò  quindi  col  rendere  unifornie,  per  quanto  era  possibile,  il 
materiale  :  furono  da  per  tutto  adottati  gli  apparecchi  Morse  ;  fu  unificato 
il  tipo  di  pila;  e  cosi  pure  per  le  linee  (pali,  fili,  isolatori)  furono  stabilite 
norme  atte  a  rendere  più  razionale  la  loro  costruzione. 

Per  quanto  riguarda  le  comunicazioni  con  le  grandi  isole,  funzionava 
ancora,  ai  primi  anni  della  costituzione  del  Regno,  la  comunicazione  già  sta- 
bilita con  la  Sardegna,  e  nel  1861  si  tentò  di  collegare  nuovamenente  la 
Sicilia  col  continente,  posando  altri  due  nuovi  cavi,  che  alla  lor  volta  si 
ruppero  quasi  subito.  Fu  ancora  nel  1862  posato  un  quinto  cavo  nello  stretto 
di  Messina:  ma  con  esso,  benché  costruito  con  pesante  e  robusta  armatura, 
non  si  ebbe  maggior  fortuna,  giacché  nel  1863,  dopo  una  prima  interruzione 
successivamente  riparata,  rimase  definitivamente  interrotto. 

Nel  1863,  fu  corretto  il  tracciato  di  molte  linee  telegrafiche,  e  fu- 
rono posati  molti  cavi  sottomarini,  e  cioò  fra  la  Sardegna  e  la  Sicilia, 
nello  stretto  di  Messina,  ed  altri  minori.  Contemporaneamente  si  curava 
la  apertura  di  nuovi  ufiict  telegrafici,  e  si  pensò  alla  istituzione  di  osser- 
vatorii  meteorologici  nelle  principali  stazioni  telegrafiche  del  Regno;  una 
commissione,  di  cui  &cevano  parte  Matteucci  e  Oovi,  fu  incaricata  di  for- 
mular le  proposte  relative  a  questa  istituzione. 

Nel  1864  al  Bona  subentrò  Ernesto  d* Amico,  che  successivamente  di- 
resse i  servizi  telegrafici  u  i  telefonici  per  più  di  un  ventennio.  Al  d* Amico 
si  devono  importanti  e  numerose  riforme  in  materia  telegrafica  ;  da  una  pub- 
blicazione fatta  da  lui  nel  1885,  nel  25^  anno  della  costituzione  del  Regno 
dltalia,  ho  ricavato  talune  delle  notizie  che  ora  riporto. 

Gli  inconvenienti  derivanti  dalla  fusione  dei  ruoli  della  Direzione 
Generale  dei  Telegrafi  con  le  altre  del  Ministero  dei  Lavori  Pubblici, 
furono  presto  riconosciuti,  e,  con  Decreto  del  18  settembre  1865,  quella 
Direzione  fu  distaccata  dal  resto  dell*  amministrazione.  Già  allora,  gli 
uomini  di  mente  e  di  a/ione  erano  preoccupati  dell* intralcio  che  poteva  o 
doveva  derivare  dall*  eccessivo  accentramento  di  servizi  disparati  e  dalla 
burocrazia  in  genere  nell*  esercizio  di  amministrazione  con  carattere  preva- 
lentemente tecnico.  A  tal  proposito,  così  si  esprimeva  il  d* Amico:  «  Finché 
«  non  ci  persuaderemo  che  le  formalità  sono  spesso  una  salvaguardia  H- 
«  lusorìa  contro  la  malversazione  ;  che  esse  costano  spesso  più  di  quanto 
'  «  fruttano  ;  che  la  responsabilità  più  si  attenua  quanto  più  si  fraziona  tra 
«  parecchi;  che  le  facoltà  devono  essere  pari  alle  responsabilità;  che  é  da 
«  contare  più  sui  funzionari  che  sui  regolamenti  :  non  avremo  mai  ammi- 
»  nistrazioni,  e  meno  ancora  amministrazioni  industriali,  ben  condotte  » . 

Quanta  verità  in  queste  parole  !  e  come  esse,  pur  essendo  passati  cinquanta 
anni  dalla  costituzione  del  Regno,  rispondono  ancora  ad  inconvenienti  che 
tntt*ora  si  segnalano  nelle  Amministrazioni  nostre  ! 


POSTA,   TELEORAFO,   TELEFONO 


Già  nei  primi  anni  della  AmministrazionB  D* Amico,  furono  meglio  rior- 
dinate le  comunicazioni  allora  esistenti,  e  ne  furono  stabilite  delle  nuove.  Così 
un  nuovo  cavo  di  grande  importanza  fu  posato  fra  Otranto  e  Yallona  nel  1864, 
collegando  direttamente  l'Italia  con  TOriente.  La  posa  di  tale  cavo  fii  fatta 
dalla  Casa  inglese  Henley  in  condizioni  piuttosto  difficili,  giacché  le  opera- 
zioni dovettero  più  volte  essere  interrotte  e  riprese  ;  ciò  non  ostante,  tale  cavo, 
debitamente  riparato,  rende  buoni  servizi  anche  oggi.  Complessivamente^  i 
fili  telegrafici  terrestri  che  si  avevano  nel  1865  ammontavano  a  circa 
80.000.000  di  chilometri,  ed  i  cavi  sottomarini  a  607  km. 

In  quell'anno,  alla  Direzione  generale  dei  Telegrafi  fu  aggregato  in 
qualità  di  consulente  scientifico  il  Matteucci,  ad  iniziativa  del  quale  furono 
banditi  concorsi  a  premi  per  Memorie  scientifiche  e  si  fecero  importanti  pro- 
poste pel  miglioramento  dei  servizi.  In  queir  anno  ancora  si  provvide  a  che 
la  telegrafia  formasse  parte  dei  programmi  di  insegnamento  delle  pubbliche 
scuole,  alcune  delle  quali  furono  fornito  di  macchine  telegrafiche. 

L* Amministrazione  pose  inoltre  ogni  sua  cura  per  migliorare  le  condizioni 
degli  uffici,  tanto  per  la  distribuzione  dei  locali  quanto  per  rassetto  tecnico 
dei  medesimi.  Si  adoperavano  allora  frequentemente  macchine  Morse,  i  cui 
segni  sulla  strìscia  di  carta  venivano  dati  da  una  panta  incidente,  senza 
inchiostro  ;  tali  macchine  furono  in  gran  parte  soppresse  e  sostituite  con  mac- 
chine scriventi,  realizzando  così  una  ben  maggiore  sensibilità  degli  ap- 
parecchi. 

Oià  da  un  paio  d*anni  si  era  pensato  alla  introduzione  di  apparati  più 
celeri,  e  quindi  di  rendimento  maggiore  che  non  fosse  la  Morse;  e  nel  1865 
otto  apparati  Hughes  facevano  servizio  sulle  nostre  linee  più  importanti.  A 
nostro  vanto  va  ricordato  come,  in  queir  anno,  una  invenzione  fatta  da  un  ita- 
liano, dopo  essere  stata  sperimentata  a  Firenze,  trovasse  pratica  ed  estesa 
applicazione  airestero.  Il  pantelegrafo  Caselli  fu  infatti  inaugurato  al  ser- 
vizio pubblico  fra  Parigi  e  Lione,  con  la  tassa  di  ceni  20  al  centimetro  qua- 
drato. Pochi  mesi  dopo,  il  Governo  Busso  decise  di  introdurre  lo  stesso  appa- 
rato in  tutto  l'Impero;  e  il  17  aprile  1866  un  impianto  del  genere  fu  inau- 
gurato sulla  linea  Mosca-Pietroburgo. 

Per  quanto  riguarda  le  linee,  fu  quasi  da  per  tutto  generalizzato  Tuso 
dei  pali  di  castagno,  abolendo  il  pino  od  il  pino  iniettato  ;  fu  modificato  il 
tracciato  delle  linee  litorali,  specialmente  di  quella  Adriatica,  e  ciò  al  fine 
di  evitare  le  dispersioni  dovute  alle  esalazioni  marine;  fu  infine  esteso  Fuso 
dei  fili  di  rame  rivestiti  di  guttaperca  e  protetti  di  piombo  per  il  passaggio 
delle  linee  attraverso  le  gallerie,  sistema  che  si  adopera  ancora  oggi  su 
vasta  scala. 

Nei  rapporti  col  pubblico,  va  notato  che  nel  1865  fu  inaugurato  il 
sistema  dei  vaglia  telegi'afici;  e  a  ttftti  è  nota  l'utilità  di  si  fatta  istituzione. 


8  QUIRINO    MAJORANA 


Nel  1866  ì)  servizio  telegrafico  italiano  fu  esteso  alle  proviocie  Venete, 
allora  aggregate  al  Begno.  Nello  stesso  anno  erano  stati  posati,  a  spese  della 
Francia,  tre  nuovi  cordoni  sottomarini:  uno  fra  Livorno  e  Capo  Corso;  un 
secondo  nello  Stretto  di  Bonifacio,  ed  un  terzo  fra  Marsala  e  la  Costa 
Africana. 

Sono  notevoli  i  miglioramenti  introdotti  nel  servizio  telegrafico  nel  suc- 
cessivo anno  1867:  perfezionato  il  sistema  del  taglio  dei  pali,  resa  più  ra- 
zionale la  forma  e  la  costruzione  delle  mensole  di  sostegno  dei  fili,  adottati 
accorgimenti  speciali  per  la  sospensione  dei  cordoni  nelle  gallerie,  si  ebbe 
il  benefico  effetto  di  ridurre  sensibilmente  la  media  dei  guasti  su  linea.  Fu 
altresì  accresciuto  il  numero  delle  comunicazioni,  posando  nuovi  fili  fra  Na- 
poli e  B^gio  Calabria,  fra  Napoli  e  Foggia,  tra  Firenze  e  Livorno,  fra  Pi- 
stoia e  Bologna,  con  che  si  ottenne  mi^gior  celerità  nell'istradamento  della 
coiTispondenza.  Malauguratamente,  in  quel  periodo  di  tempo  molti  guasti  si 
ebbero  nei  cordoni  sottomarini,  e  parecchi  di  questi  rimasero,  così,  inuti- 
lizzati. 

L'Amministrazione  si  preoccupò  ancora  una  volta  del  grave  problema 
di  assicurare  in  guisa  stabile  le  comunicazioni  con  la  Sicilia  :  si  è  detto  in- 
fatti che  i  cavi  sottomarini  là  posati,  si  erano  successivamente  rotti  e  per- 
duti, e  ciò  in  causa  delle  correnti  marine  dello  Stretto  e  della  natura  roc- 
ciosa del  fondo.  Fu  perciò  stabilito  con  la  Società  Telegraph  Construction 
and  Maintenanee,  un  accordo  per  la  posa  e  manutenzione  di  tre  cordoni 
della  complessiva  lunghezza  di  circa  16  chilometri.  Nel  successivo  anno  1868 
fu  posato  un  quarto  cordone  sottomarino  nello  Stretto,  destinato  a  comple- 
tare il  circuito  di  grande  lunghezza  Torino-Modica-Malta. 

In  queiranno  si  tentò  altresì  la  riparazione  del  cavo  Sardo-Siculo,  già 
interrotto  da  tempo  :  ma,  non  ostante  che  1*  Amministrazione  avesse  ottenuto 
dal  Parhimento  T  autorizzazione  dell*  acquisto  di  12  km.  di  cavo  nuovo  per 
detta  riparazione,  si  dovette  rinunziare  airimpresa,  per  le  difficoltà  incontrate; 
mediante  il  cavo  nuovo  ed  i  tratti  vecchi  ripescati  nella  tentata  riparazione, 
si  decise  invece  di  riparare  le  altre  linee  sottomarine  secondarie,  interrotte 
da  tempo.  Va  altresì  notato  che,  nello  stesso  anno  1868,  fu  notevolmente 
esteso  il  servizio  con  apparato  celere  Hughes,  stabilendo  comunicazioni  tra 
Firenze  e  Parigi,  fra  Bologna  e  Napoli,  tra  Venezia  e  Trieste  e  tra  Palermo 
e  Napoli.  Ancora  in  quell'anno  fu  poi  generalizzato  a  tutte  le  provinole  Tuso 
della  pila  italiana. 

Lo  svilupparsi  degli  impianti  in  corrispondenza  dell' accrescersi  continuo 
dei  bisogni  del  telegrafo,  indussero  l'Amministrazione  ad  istituire  nel  1869 
un  Gabinetto  di  esperimenti,  chiamato  in  appresso  Ufiicio  Tecnico  dei 
Telegrafi,  destinato  ad  eseguire  i  saggi  più  importanti  da  cui  dovevansi 
trarre  le  norme  tecniche  dei  servizi.  Tade  istituzione,  creata  in  guisa  assai 
embrionale,  doveva  poi,  col  volger  degli  anni  e  coU'estendersi  continuo  della 


POSTA,    TELEORAFO,    TELEFONO 


tecnica  telegrafica,  perfezionarsi;  ma  allora  essa  rispondeva  sufficientemente 
allo  scopo,  tanto  che  il  Consiglio  Tecnico  potè',  in  base  alle  risultanze  delle 
prove  e  degli  esperimenti  eseguiti  in  detto  Ufficio,  formulare  giudizi  molto 
accurati  sulle  questioni  di  carattere  tecnico. 

La  riattivazione  di  alcune  linee  sottomarine,  ebbe  luogo  nello  stesso 
anno  1869;  furono  indi  felicemente  immersi  cordoni  sottomarini  fra  Piom- 
bino e  risola  d*£lba,  fra  la  Sardegna  e  la  Maddalena,  fra  il  Continente  e 
risola  di  Precida,  ripescando  in  gran  parte  le  antiche  linee  interrotte.  In 
quell'anno  ancora,  la  Extemion  Company^  proprietaria  del  cordone  che  con- 
giungeva risola  di  Malta  con  la  Sicilia,  immergeva  un  secondo  cordone  fra 
le  due  isole;  tale  cordone  era  destinato  ad  essere  esclusivamente  collegato 
col  filo  speciale  congiungente  l'Europa  con  Malta  e  l'Egitto. 

I  mezzi  ordinar!  di  cui  disponeva  TAmministiiizione,  pi&  non  erano 
in  queirepoca  sufficienti  a  far  fronte  alle  esigenze  del  servizio  telegrafico 
che  si  era  intensificato  dì  molto  in  conseguenza  del  nuovo  assetto  politico 
ed  economico  assunto  dal  paese. 

Prima  del  1870,  solo  una  volta  era  stata  consentita  una  spesa  straor- 
dinaria di  notevole  entità;  ma  in  queiranno  si  riconobbe  Topportunità  di 
dare  un  migliore  assetto  alla  rete  telegrafica:  infatti,  sino  ad  allora,  solo  14 
capiluogo  di  provincia  erano  collegati  direttamente  con  la  Capitale,  e,  per  21, 
la  corrispondenza  con  questa  non  si  scambiava  se  non  mediante  riproduzione 
in  più  Uffici  di  deposito.  Per  questi  motivi  il  Parlamento  votò  uno  stanzia- 
mento di  una  somma  che  allora  veniva  considerata  di  notevole  entità,  e  cioè 
di  L.  1.800.000.  E  mentre  con  essa  si  provvedeva  alla  esecuzione  dei  lavori 
previsti,  venne  ridotta  altresì  la  tariffa  telegrafica,  portandola  ad  una  lira 
ogni  quindici  parole  ;  rìduzione  che  determinò  un  aumento  enorme  di  lavoro, 
al  quale  si  potè*  appena  far  fronte  mediante  l'ampliamento  d^li  impianti. 

L'il  ottobre  1870,  in  seguito  alla  annessione  di  Roma  e  Provincia  al 
Regno  d'Italia,  fu  decretato  il  definitivo  assetto  della  Direzione  Generale 
dei  Telegrafi,  come  amministrazione  autonoma.  Alla  Direzione  furono  ag- 
gregati, oltre  che  il  Gabinetto  di  esperimenti,  l'Officina  centrale,  il  Ma- 
gazzino centrale,  ed  il  Gabinetto  di  disegni.  Queste  istituzioni,  di  cui  si 
comprende  bene  lo  scopo,  furono  provvedute  dei  mezzi  necessari  al  loro  fun- 
zionamento. 

La  costituzione  definitiva  del  Regno  dltalia,  impose  all'Amministra- 
zione, non  solamente  il  compito  di  spostare  da  Firenze  a  Roma  il  centro  te- 
legrafico, ma  quello  eziandio  di  studiare  in  qual  modo,  nell'ordinamento  com- 
partimentale d'Italia,  si  potessero  includere  le  linee  e  gli  Uffici  del  territorio 
acquistato.  Una  delegazione  speciale  fu  quindi  istituita  in  Roma,  col  man- 
dato di  introdurre  nella  provincia  Romana  le  norme  comuni  di  servizio,  e 
di  proporre  il  miglior  modo  di  aggregazione  degli  impiegati  già  pontifici 
alla  famiglia  telegrafica  del  Regno. 


1^  QUIRINO    MAJORANA 


In  conseguenza  di  tali  necessità,  i  fondi  votati  poco  prima  dell'annes- 
sione di  Roma,  furono  destinati  a  lavori  alquanto  diversi  dal  previsto.  Il 
servizio  telegrafico  di  Roma  era  allora  affidato  a  pochi  fili;  per  cui,  mentre 
era  intenzione  dei  tecnici  accrescere  le  comunicazioni  con  Firenze,  il  piano 
primitivo  dove'  essere  modificato  per  poter  rispondere  alle  necessità  derivanti 
dair  ubicazione  della  nuova  Capitale. 

In  conseguenza  di  tutto  ciò,  si  rese  necessaria,  da  parte  deirAmmini- 
strazione  telegrafica,  una  nuova  domanda  di  credito  al  Parlamento,  che  fu 
concessa  nel  1873,  nella  misura  di  lire  1.920.000.  Con  questi  fondi  furono 
ampliate  le  comunicazioni  con  gli  Stati  esteri  e  quelle  fra  la  Capitale  ed  i 
capiluogo  di  provincia;  molte  centinaja  di  chilometri  di  linee  telegrafiche 
furono  trasportate  dalle  strade  ordinarie  sulle  ferrovie,  realizzando  cosi  note- 
vole economia  annua  di  manutenzione;  e,  per  quanto  r^uarda  gli  UfiBcì, 
fu  accresciuto  il  numero  degli  apparati  telegrafici,  sia  Morse  che  Hughes. 

In  complesso,  si  aveva  nel  1878  uno  sviluppo  totale  di  fili  telegrafici 
di  circa  70.000  chilometri,  con  circa  1500  Ufiicì  in  funzione:  il  che  corri- 
spondeva al  doppio  circa  di  quanto  si  aveva  nell'anno  1865. 

Il  numero  annuo  dei  telegrammi,  intanto,  andava  crescendo  continua- 
mente :  e  se  gli  impianti  terrestri  allora  esistenti  erano  capaci  di  far  fronte 
a  tale  aumento,  non  altrettanto  poteva  dirsi  per  quanto  riguardava  le  comu- 
nicazioni sottomarine.  Assai  difettose  erano  in  ispecie  quelle  con  la  Sardegna; 
quest'isola,  neiranno  1864  corrispondeva  con  il  Continente  attraverso  due 
cavi:  uno  collegato  con  la  Corsica,  la  quale  a  sua  volta  era  collegata  con 
Spezia,  e  l'altro  fra  Cagliari  e  Trapani.  Nello  stesso  anno  però  si  ruppe  il 
primo  di  tali  cavi,  e  l'altro,  dopo  che  più  volte  fu  tentato  di  ripararlo,  venne, 
come  già  si  disse,  nel  1868  definitivamente  abbandonato.  Intanto  erano  già 
intervenuti  accordi  con  l'Amministrazione  francese  per  la  posa  di  due  nuovi 
cavi,  di  cui  uno  fra  Livorno  e  la  Corsica,  e  l'altro  fra  la  Corsica  e  la  Sar- 
degna ;  con  il  che  si  poterono  assicurare  le  comunicazioni  con  quest'isola. 

Le  cose  erano  a  questo  punto,  quando  nel  1875  fu  conchiuso  un  con- 
tratto fra  il  Governo  Italiano  e  la  Casa  E.  Erlanger  per  la  costruzione,  la 
posa,  ed  il  mantenimento  di  un  nuovo  cavo  che  unisse  direttamente,  senza 
cioè  il  tramite  di  terra  straniera,  il  nostro  Continente  con  la  Sardegna:  l'op- 
portunità di  tale  soluzione  è  assai  palese,  principalmente  sotto  il  riguardo 
politico.  Tale  cavo  fu  posato  nello  stesso  anno  1875,  fra  Orbetello  e  Ter- 
ranova in  Sardegna;  e  successivamente,  la  Compagnia  Eastern  Telegraph 
subentrò  alla  Casa  Erlanger. 

Sempre  nel  1875  fu  introdotto  nei  nostri  uffici  il  telegrafo  stampante 
Meyer^  e  indi,  in  via  di  esperimento,  la  Wheatstone* 

Intanto  avveniva  in  America  la  scoperta  del  telefono,  e  nel  1878  ebbe 
luogo  per  la  prima  volta  in  Italia  un  esperimento  a  notevole  distanza  con 
tale  apparecchio,  fra  Roma  e  Tivoli  (80  km.).  Tale  esperimento  riuscì  bene, 


POSTA,   TELEGRAFO,   TELEFONO  H 

non  ostante  che  si  adoperassero  semplici  telefoni  Bell  senza  microfono  e  pila, 
e  fili  di  ferro.  Successivamente,  a  cura  dell' Amministrazione,  furono  fatte 
altre  esperienze,  anche  servendosi  del  microfono  Hughes.  In  seguito  a  ciò,  fu 
stabilito,  nel  successivo  1879,  un  servizio  permanente  telefonico  in  Roma  fra 
i  varii  Uffici  telegrafici  della  città. 

Già  in  occasione  dei  primi  esperimenti  telefonici  si  presentò  spontanea 
la  domanda  se  il  telefono  dovesse  formare  oggetto  di  monopolio.  E  sembrò 
logico  estendere  anche  a  tale  sistema  di  telecomunicazione,  il  disposto  della 
legge  del  1858,  affermando  cosi  monopolio  di  Stato  non  solamente  il  telefono 
propriamente  detto,  ma  qualsiasi  altra  combinazione  atta  a  trasmettere  se- 
gnali per  mezzo  di  fili;  così  che,  neiranno  1881,  il  servizio  telefonico  pub- 
blico fu  aflBdato  in  taluni  casi  all'industria  privata,  solo  a  titolo  di  conces- 
sione governativa.  Di  tali  concessioni  se  ne  diedero  immediatamente  ben  37  : 
e  alla  fine  di  quell'anno,  gli  utenti  del  telefono  erano  circa  900,  sparsi  nel- 
ritalia  Continentale.  L'inizio,  dunque,  del  servizio  telefonico  da  noi,  non  fu 
meschino;  e,  già  nel  1882  si  avevano  1900  utenti,  mentre  in  Francia  ve 
ne  erano  2700,  in  Inghilterra  2900,  in  Austria  400,  in  Isvizzera  800,  nel 
Belgio  2000,  in  Germania  2000.  Nel  1888  poi,  le  cinque  importanti  Società 
concessionarie  contavano  in  Italia  ben  6500  abbonati. 

Il  servizio  telegrafico  intanto  progrediva  regolarmente:  e  così  vediamo 
nel  1881  estendersi  il  sistema  Meyer  ed  istallare  varie  trasmissioni  Morse 
ed  Hughes  duplici  ;  estendersi  sempre  più  Tuso  dell* apparato  Wheatstone  e 
del  sistema  a  corrente  continua  per  apparati  Morse.  Nel  1882,  il  primo  di 
questi  apparati  fu  impiegato  per  la  prima  volta  per  la  diramazione  contem- 
poranea, dairUfiBcio  di  Boma  a  25  capiluoghi  di  provincia,  dei  resoconti 
parlamentari:  tale  servizio,  convenientemente  perfezionato,  si  compie  an- 
cora oggi. 

Il  1884  segna  Vabolizione  degli  apparati  Meyer,  che  di  fronte  ai  Wheat- 
stone non  presentavano  notevoli  vantaggi;  così  fu  esteso  ancor  più  l'uso  di 
quest'ultimo  sistema.  Nello  stesso  anno,  poi,  furono  posati  alcuni  nuovi  cavi 
sottomarini  di  minore  importanza,  e  la  Eastern,  che  aveva  la  manutenzione 
dei  cavi  dello  Stretto  di  Messina,  ne  posò  ancor  uno  di  scorta  fra  Bagnara 
e  Torre  di  Faro. 

Nell'anno  1886  cessò  nella  nostra  Amministrazione  la  gestione  del 
D'Amico,  il  quale,  dopo  aver  retto  TAmministrazione  per  21  anni,  fu,  in 
seguito  a  sua  domanda,  collocato  a  riposo.  Gli  successe  il  Salvatori  ;  e  l'atto 
più  importante  che  subito  si  compì  sotto  l'Amministrazione  di  questi,  fu  la 
Convenzione  con  la  Ditta  Pirelli  per  la  posa  di  altri  12  cavi  sottomarini  e 
la  manutenzione  di  essi  insieme  con  l'Otranto-Vallona,  già  esistente.  Con  suc- 
cessiva convenzione  del  1887  la  Ditta  Pirelli  assunse  altresì  l'obbligo  della 
costruzione  e  della  posa  e  manutenzione  di  altri  due  cavi  ad  un  conduttore, 
l'uno  fra  Massaua  ed  Assab  (515  km.),  e  l'altro  fra  Assab  e  Perim  (101  km.). 


12  QUIRINO    MAJORANA 


Tale  posa  fn  felicemente  eseguita  sul  finire  del  marzo  1887,  nella  quale 
epoca  fu  inaugurato  il  servizio  telegrafico  con  gli  uffici  della  nostra  Colonia. 

Al  30  giugno  1888  la  rete  telegrafica  sottomarina  orasi,  in  virtù  delle 
convenzioni  stipulate  con  la  Ditta  Pirelli,  estesa  notevolmente;  le  12  comu- 
nicazioni che  tale  Ditta  aveva  l'obbligo  di  posare,  erano  state  felicemente 
stabilite,  e  tra  esse  va  notata  la  più  lunga,  cioè  il  cavo  Napoli-Palermo. 
In  complesso  si  avevano  allora  146  km.  di  cavi  di  proprietà  dello  Stato 
e  1732  km.  immersi  per  conto  di  esso.  Di  fronte  a  tale  notevole  sviluppo, 
opportunamente  sopravvenne  neiraprile  1888  la  stipulazione  della  Conven- 
zione internazionale  per  la  protezione  dei  cavi  sottomarini. 

Nello  stesso  anno  1888  un  fatto  importante  va  notato  negli  annali  del 
nostro  servizio  telegrafico:  e  cioè  l'acquisto,  da  parte  della  nostra  Ammini- 
strazione, del  diritto  di  seiTÌrsi  in  perpetuo  dell'apparato  Baudot.  Tale  appa- 
rato, che  rende  ancor  oggi  tanti  e  tanto  utili  servizi,  era  stato  sin  dal  no* 
vembre  1887  sperimentato  tra  Soma  e  Parigi,  con  traslazione  a  Torino;  ed 
in  virtù  dei  buoni  risultati,  fu  poscia  attivato  tra  Boma  e  Torino,  Boma  e 
Milano,  Boma  e  Napoli.  In  materia  di  apparati  vanno  ancora  notati  in  quel- 
l'epoca i  perfezionamenti  introdotti  nella  duplice  Hughes,  il  cui  funziona- 
mento fu,  così,  reso  più  sicuro. 

I  servizi  telegrafici  e  telefonici  erano  al  punto  che  si  è  visto,  quando 
nel  marzo  1889  fu  istituito  il  ministero  delle  poste  e  dei  telegrafi,  con  la 
conseguente  fusione  dei  servizi  telegrafici  con  i  postali. 

Tra  i  fatti  tecnici  più  importanti,  che  si  svolsero  successivamente,  va 
notata  la  creazione  di  una  nuova  comunicazione  diretta  Boma-Berlino,  facendo 
uso  per  la  prima  volta  in  Italia  del  filo  di  bronzo  fosforoso;  così  pure, 
furono  stabilite  linee  dirette  fra  Boma  e  Vienna,  Boma  e  Marsiglia.  Nel- 
r ufficio  di  Milano  fu  introdotto  l'uso  di  accumulatori  elettrici  in  sostitu- 
zione della  pila  ordinaria  ;  ecc. 

L'Ufficio  tecnico  dei  telegrafi  di  allora,  risiedeva  in  Firenze;  ne  fu 
quindi  stabilito  il  trasporto  in  Boma,  e  all'  uopo  fu  approvata  nel  1890  una 
spesa  di  lire  392,000  per  la  costruzione  di  un  edificio,  che  è  quello  che 
recentemente  è  divenuto  sede  dell'  Istituto  superiore  del  Ministero  delle  poste 
e  dei  telegrafi. 

Nel  1891  va  notata  la  eseguita  riparazione  del  cavo  Massaua-Assab, 
che  fu  trovato  corroso  da  un  microrganismo:  la  teredo.  Sembra  che  tale 
malattia  della  guttaperca,  che  allora  si  conosceva  solo  nel  mar  Bosso,  si  ri- 
trovi  oggi  anche  nel  Mediterraneo. 

Sino  al  1894  non  si  ebbe  a  notare  progresso  sensibile  nei  servizi  tele- 
grafici e  telefonici;  in  quell'anno  però  si  ebbe  un  leggero  risveglio,  per  cui 
furono  attuate  nuove  comunicazioni  dirette,  quali  la  Milano-Bari  ed  altre 
minori.  In  tale  anno  avvenne  poi  il  trasferimento  dell'Ufficio  tecnico  dei 
telegrafi,  da  Firenze  a  Boma. 


POSTA,    TELEORAFO,   TELEFONO  ^8 

Nel  successivo  esercizio  1894-95,  va  segnalato  un  vero  progresso  nel- 
r  impianto  dei  sistemi  celeri  :  fu  attivato  il  secondo  gruppo  di  diramazione, 
collocato  nell'ufiBcio  telegi-afico  della  Camera  dei  Deputati,  ottenendo  cosila 
massima  celerità  di  trasmissione  dei  resocoati  parlamentari  a  tutti  i  68  ca- 
poluoghi di  provincia,  e  alle  redazioni  dei  più  importanti  giornali  d*  Italia. 
Un^altra  migliorìa  si  ottenne  nell'andamento  tecnico  dei  servizi,  mediante  la 
sostituzione  degli  accumulatori  elettrici  alle  pile  primarie  negli  Uffici  prin- 
cipali e  con  rimpianto  di  stazioni  auto-generatrici  della  corrente  di  carica 
delle  batterie. 

Nel  1896,  a  simiglianza  di  quanto  già  da  tempo  si  faceva  in  altri  Stati, 
fu  introdotto  l'uso  dei  Sounders  in  sostituzione  di  molte  macchine  Morse, 
realizzando  così  economia  di  spesa  di  impianto,  di  spazio,  e  guadagnando 
sicurezza  maggiore  nel  ricevimento. 

Nello  stesso  anno,  pur  non  essendosi  verificato  notevole  aumento  nel 
numero  degli  abbonati  telefonici,  si  fecero  i  primi  impianti  di  linee  inter- 
comunali. Ma,  purtroppo,  la  telefonìa  in  Italia,  che,  come  si  disse,  nei  primis- 
simi anni  aveva  trovato  numerose  applicazioni,  e  ciò  in  misura  non  inferiore 
a  quella  degli  altri  Stati,  in  quell'epoca  era  rimasta  stazionaria.  Si  può  dire 
che  per  circa  10  anni,  dal  1887  al  1897,  il  numero  degli  utenti  telefonici 
si  sia  aggirato  costantemente  intomo  a  12.000.  Solo  nel  1898  questo  nu- 
mero si  elevò  a  16.000,  e  in  quell'anno  si  costruirono  le  prime  linee  tele- 
foniche governative  :  Torino-Novara,  Milano-Bergamo,  Bergamo-Cazzaniga, 
per  una  lunghezza  complessiva  di  km.  178.  Forse  era  causa  della  lentezza 
dello  sviluppo  degli  impianti  telefoDici  il  sistema  adottato  dal  Ooverno,  delle 
concessioni:  secondo  cui  queste  venivano  date  con  il  diritto,  da  parte  del 
Governo,  di  riscatto  dopo  12  anni;  in  ogni  caso  vi  era  l'obbligatorietà  da 
parte  dell* ente  concessionario,  di  cedere  dopo  25  anni  gli  impianti  eseguiti. 

Il  Governo  curò  finalmente  l' impianto  di  altre  comunicazioni  telefoniche 
interurbane  nel  1900,  nel  quale  anno  spese  L.  700.000  per  una  linea  tele- 
fonica fra  l'Italia  e  la  Francia,  da  Roma  a  Parigi,  e  furono  complessiva- 
mente portate  da  10  a  26  le  linee  interurbane.  Intanto  il  numero  di  abbo- 
nati era  cresciuto  sino  a  19.000. 

Tra  i  fatti  dolorosi  per  la  storia  dell'Amministrazione  telegi*aflca  va  ri- 
cordato r  incendio  della  Esposizione  di  Como,  che  distrusse  nel  1899  ricordi 
assai  cari  della  telegrafia  italiana,  accumulati  in  un  secolo  di  glorioso  suc- 
cedersi di  scoperte. 

Ma  nuovo  lustro  in  quell'epoca  veniva  dato  air  Italia  dai  successi 
sempre  più  grandi,  che  un  grande  inventore  italiano,  il  Marconi,  otteneva 
nel  nuovo  campo  della  radiotelegrafia.  Questi,  che  già  dal  1897  aveva  an- 
nunziato la  sua  scoperta,  mostrando  in  Italia,  a  Spezia  e  a  Roma,  come  fos- 
sero possibili  comunicazioni  a  distanze  notevoli,  mediante  l'uso  di  pertur- 
bazioni elettro-magnetiche,  era  riuscito  nel  1901  a  trasmettere  i  suoi  segnali 


1^  QUIRINO   MAJORANA 


attraverso  rAtlantico.  Intanto,  per  conto  della  nostra  Amministrazione  della 
Marina,  furono  impiantate  in  Italia  parecchie  stazioni  radiotelegrafiche  co- 
stiere, destinate  al  servizio  semaforico  e  a  scopi  di  carattere  militare. 

I  servizi  telegrafici,  in  quel  mentre,  si  sviluppavano  sempre  più:  altri 
fili  di  bronzo  venivano  posati,  fra  cui  due  da  Genova  e  da  Milano  al  con- 
fine francese,  destinati  a  stabilire  nuove  comunicazioni  con  1* Inghilterra;  il 
movimento  telegrafico  si  era  notevolmente  accresciuto,  sia  per  il  fatto  che 
numerosi  ufiBci  nuovi  erano  stati  man  mano  aperti,  sia  per  lo  sviluppo  gra- 
duale dei  bisogni  del  pubblico.  Per  quanto  concerne  il  telefono,  nello  stesso 
anno  1901  fu  costruita  una  linea  congiungente  la  Svizzera  e  1*  Italia,  fra 
Milano  e  Zurigo  (via  Chiasso),  e  molte  altre  linee  interne  si  ingiunsero  gra- 
datamente alle  preesistenti,  accrescendo  così  Testensione  della  nostra  rete. 

Fu  allora,  che  T  incremento  del  traffico,  così  nelle  linee  interurbane 
come  nelle  reti  urbane  governative  o  concesse,  e  Taccresciuto  reddito  degli 
impianti,  consigliarono  Tamministrazione  ad  occuparsi  con  maggiore  cura 
del  servizio  telefonico  ;  furono  così  proposti  opportuni  provvedimenti  di  carat- 
tere legislativo,  atti  a  disciplinare  impianti  e  servizio,  mediante  i  quali  si 
gettarono  le  basi  per  la  costruzione  della  rete  telefonica  nazionale  attual- 
mente esistente.  Questa  rete  si  sviluppò,  così,  prontamente  ;  tanto  che  il  nu- 
mero delle  linee  interurbane  divenne  di  48  nel  1904,  59  nel  1906,  125  nel 
1907,  138  nel  1908.  Va  notato  che  già  nel  febbraio  1904  il  Governo  aveva 
assunto  lo  esercizio  della  rete  telefonica  di  Venezia. 

Neil*  agosto  dello  stesso  anno,  cominciò  a  funzionare  col  Montenegro  la 
stazione  radiotelegrafica  di  San  Cataldo,  presso  Bari;  era  questa  la  prima 
stazione  impiantata  in  Italia,  con  carattere  esclusivamente  commerciale. 
L'esercizio  di  caga  fu  lasciato  allo  stesso  Marconi,  a  titolo  di  esperimento. 
Con  la  stessa  data,  ed  in  seguito  ad  accordi  fra  l'Amministrazione  delle 
poste  e  dei  telegrafi  e  quella  della  marina,  fu  iniziato  il  servizio  radio- 
telegrafico di  carattere  commerciale,  fra  la  terraferma  e  i  piroscafi  delle 
varie  Compagnie  di  navigazione,  forniti  di  apparati  Marconi;  tale  servizio 
era  disimpegnato  dalle  stazioni  della  marina.  Ancora  in  quell'epoca  fu  de- 
cretata la  costruzione  di  una  stazione  ultrapotente  radiotelegrafica,  che  do- 
veva sorgere  in  Coltane  presso  Pisa. 

L'amministrazione  dei  telegrafi  intanto,  preoccupata  dello  straordinario 
intensificarsi  del  servizio,  cercò,  negli  ultimi  anni,  di  agevolare  l'avviamento 
dei  telegrammi  nelle  grandi  arterie.  È  così  che  vediamo  nel  1904  inaugu- 
rare il  servizio  Rowland  nella  Boma-Napoli,  che  è  forse  il  più  celere  di 
tutti  gli  apparati  veramente  entrati  nella  pratica;  indi  nel  1905  il  Parla- 
mento votava  una  legge  per  Io  stanziamento  di  un  fondo  di  lire  2*500.000, 
allo  scopo  di  permettere  la  posa  di  nuovi  fili  di  bronzo  diretti^  destinati  a 
facilitare  di  molto  lo  scambio  della  corrispondenza  telegrafica;  vediamo 
ancora  in  epoca  assai  recente,  nel  1907,  presentare  al  Parlamento,  dai  mi- 


POSTA,   TELEGRAFO,   TELEFONO  1^ 


Distri  Schanzer  e  Majorana,  un  progetto  di  legge  snl  miglioramento  dei  ser- 
Tizi,  seeondo  coi  un  fondo  di  lire  25.000.000,  da  erogarsi  in  quattro  esercizi 
(di  cui  Tultimo  sta  ora  per  finire),  era  destinato  airampliamento  degli  im- 
pianti, e  alla  creazione  di  nuori  serrizt.  Mai  somma  così  ingente  era  stata 
votata  di  un  colpo  dal  Parlamento,  ed  essa  rispondeva  allora  appena  ai 
bisogni  uì^entissimi  sentiti  dairAmministrazione  nostra,  tanto  che  oggi,  per 
lo  sviluppo  degli  impianti  telefonici,  occorrono  stanziamenti  ben  maggiori. 
Con  la  somma  predetta,  si  doveva  provvedere  e  si  provvede  tuttora  alFac- 
quisto  di  materiali  per  la  posta,  all'impianto  e  al  miglioramento  della  rete 
e  d^li  ufScì  telegrafici  e  della  rete  telefonica,  alla  sistemazione  di  taluni 
edifici  postali,  airimpianto  di  stazioni  radiotelegrafiche,  e  finalmente  alla 
creazione  delllstituto  superiore  postale  telegrafico  e  telefonico,  con  la  di- 
pendente Scuola  superiore.  NelV  insieme  di  questi  provvedimenti  si  scorge 
rintenzione  del  legislatore,  sia  di  perfezionare  immediatamente  i  servizi,  sia 
ancora  di  fornire  i  mezzi  al  personale  delVamministrazione  di  acquistare  una 
istruzione  necessaria  per  il  disimpone  di  servizi,  il  cui  carattere  diventa,  di 
giorno  in  giorno,  sempre  più  spiccatamente  tecnico. 

Or  sono  quattro  anni,  terminava  il  periodo  di  20  anni  per  cui  erano  state 
stipulate  le  convenzioni  con  la  ditta  Pirelli,  per  la  posa  e  la  manutenzione 
dei  cavi  telegrafici  sottomarini,  che  già  dalla  Ditta  erano  stati  posati.  Tali 
cavi  erano,  per  contratto,  divenuti  proprietà  dell'Amministrazione  delle  poste 
e  dei  telegrafi;  così  pure  la  nave  posa-cavi  Città  di  Milano,  che  la  ditta 
stessa  aveva  costruito,  era  entrata  a  far  parte  delle  B.  navi  alla  di- 
pendenza del  ministero  della  marina.  Si  rendeva  quindi  necessario  adottare 
provvedimenti  urgenti  perchè  il  servizio  di  manutenzione  dei  cavi,  già  dive- 
nuto gravoso  per  Tetà  di  taluni  di  essi,  non  subisse  interruzioni.  Il  pro- 
blema non  potè*  essere  risoluto  immediatamente;  ma  dopo  un  anno  di  pro- 
roga delle  convenzioni  con  la  ditta  Pirelli,  queste  furono  rinnovate  definiti- 
vamente con  essa  ditta,  d*accordo  con  la  Amministrazione  della  marina,  che 
si  obbligò  a  prestare  ancora  Topera  della  B.  nave  Città  di  Milano.  Le 
nuove  convenzioni,  che  dureranno  sino  al  1928,  furono  stipulate  a  condizioni 
più  vantaggiose  per  Tamministrazione,  di  quel  che  non  fossero  quelle  del 
1886;  giacché,  pur  essendo  stato  accresciuto  solo  di  poco  il  canone  che 
questa  deve  pagare  alla  Ditta,  questa  si  obbligava  alla  manutenzione  di  una 
rete  di  cavi  notevolmente  più  estesa. 

Ancora  un  ultimo  fatto  importante  va  recentemente  notato  nella  storia 
della  Amministrazione  postale  e  telegrafica:  cioè  a  dire  il  riscatto  delle 
reti  telefoniche  maggiori,  avvenuto  nell'anno  1907  per  parte  dello  Stato. 
Come  è  noto,  sino  ad  allora  tutte  le  grandi  reti,  all' infuori  di  quello  di 
Venezia,  appartenevano  a  Società  private,  che  ne  curavano  l'esercizio.  In 
virtù  della  legge  15  luglio  1907,  le  reti  e  le  linee  interurbane  delle  più 
forti  Società  esercenti  l'industria  telefonica  (la  Società  generale  italiana  e  la 


16 


QUIRINO   MAJORANA 


Società  telefonica  delF  Alta  Italia)  passarono  allo  Stato  ;  furono  cosi  comples- 
sivamente 16  grandi  reti^  11  minori,  e  19  linee  interurbane  che  passarono 
airamministrazione  gorernatiTa,  per  un  valore  di  poco  più  che  10.000.000 
di  lire.  Ma  questi  impianti,  difettosi  in  parte,  e  sempre  più  deficienti  in 
causa  dello  sviluppo  continuo  dei  servizi  telefonici,  cui  non  si  può  far  fronte 
con  le  ordinarie  risorse,  hanno  oggi  bisogno  di  ampliamenti  e  perfeziona- 
menti notevoli;  della  qual  cosa  si  preoccupano  gli  attuali  amministratori. 
Dati  statisticL  —  Terminata  Tesposizione  storica  dello  sviluppo  dei 
servizi  postali,  telegrafici  e  telefonici,  sarà  bene  dare  qualche  notizia  stati- 
stica comparativa  su  tale  sviluppo.  Nella  tabella  numerica  seguente  sono 
riassunte  tali  notizie,  riportando  le  cifre  relative  a  ciascun  anno,  a  intervalli  di 
tempo  di  un  decennio,  distinguendole  per  ciascuno  dei  tre  servizi  predetti. 


isn 


1871 


ISSI 


198041 


IMMU 


1908-0» 


Lettere  e  cartoline     .    .    . 
Raccomandate  e  assicurate . 

Stampe 

Pacchi 


Valore  vaglia    .    . 
Importo  depos.  rìsp. 
Introiti  postali  .    . 


Introiti  telegrafici 


milioni 

71,6 

99,1 

168,9 

160,7 

259,4 

n 

1,2 

2,6 

7,6 

10,0 

17,1 

n 

40,2 

95,7 

150,6 

180,1 

383,2 

ti 

— 

— 

0,1 

6,1 

8,4 

milioni  di 
lire 

69,5 

288,0 

503,7 

638,4 

966,9 

n 

— 

— 

71,3 

204,1 

895,9 

n 

11,9 

19,8 

29,8 

46,6 

64.8 

384,3 

29.7 
684,1 

15,8 

1725,5 
714,8(4 
96,9 


Fili  telegrafici  .  .  . 
Cavi  sottomarini  .  . 
Apparati  Morse .    .    . 

n       Hughes   .     . 

»        Wheatstone . 

n       Baudot    .     . 

n  Rowland  .  . 
Telegrammi  .... 


migliaia 
di  km. 

12,0 

60.0 

89,1 

137,5 

171,6 

n 

... 

0.2 

0,2 

1.9 

1,9 

migliaia 

0.7 

1.8 

2,6 

4,2 

6,4 

centinaia 



0,4 

0,6 

1,1 

1,9 

unità 





88,0 

90 

ti 





— 

9 

24 

ti 
milioni 

2.8 

12,3 

27,7 

89,9 

64,5 

milioni  di 
lire 

7.5 

7.08 

9,2 

15,2 

15,0 

289,1 
2.0 

9.1 
4.5 
115 

78 
2 

73.7 

20,5 


Reti  urbane 


»    interurbane    . 
Abbonati  telefonici 


■     *     •     . 


unità 

^.^ 

^^^^ 

_^ 

72 

70 

centinaia 
di  km. 

_ 

_ 

-^ 

1— 

0,3 

migliaia 

— 

— 

4 

12 

18,4 

201 

400 
67,8 


(*)  Si  riferisce  all'anno  1908. 


POSTA,   TBLRORAFO,   TBLBFONO  ^7 


PARTE  SECONDA 

Stato  attuale  degli  impianti  telegrafici,  telefonici  e  radiotelegrafici 

in  Italia. 


Telegrafo.  —  Come  si  è  avuto  occasione  di  vedere  nell*  esame  storico 
dello  sviluppo  dei  servizi  telegrafici  in  Italia,  questi  si  svolgono  oggi  me- 
diante il  sussidio  di  vari  sistemi.  Dopo  che  fu  definitivamente  abbandonato 
r  uso  di  vecchi  tipi  di  apparati,  che  pur  resero,  per  qualche  tempo,  notevole 
servizio  —  quali  la  Wheatstone  ad  aghi,  la  Breguet  a  quadrante,  la  Henley  ad 
induzione,  e  più  recentemente  la  Meyer  —  l'amministrazione  ha  oggi  in  uso 
cinque  tipi  di  macchine:  la  Morse  (scrivente  o  ad  udito),  la  Hughes,  la  Wheat- 
stone, la  Baudot,  la  Bowland.  In  questi  cinque  differenti  sistemi,  si  ritrova 
l'applicazione  di  quasi  tutti  i  principi  su  cui  la  maggior  parte  degli  apparati 
telegrafici  moderni  si  fondano;  e  tale  varietà  di  sistemi,  anche  senza  tener 
conto  delle  minori  estensioni  dellltalia  di  fronte  alle  altre  grandi  nazioni, 
non  si  riscontra  forse  in  nessun  altro  Paese  ;  quanto  ciò  possa  essere  conve- 
niente, 0  meno,  per  la  sicurezza,  la  facilità  e  la  economia  del  servizio,  cer- 
cherò di  discutere  dopo  che  si  saranno  esaminati  da  vicino  e  sommariamente 
gli  accennati  tipi  di  macchine  telegrafiche  nei  nostri  uflBct,  esame  che 
farò  possibilmente  secondo  Tordine  con  cui  essi  man  mano  vennero  intro- 
dotti. 

Macchina  Morse.  —  L'apparato  Morse  ò  la  macchina  telegrafica  più 
semplice:  fondandosi  sulla  manuale  emissione  di  correnti,  che  quindi  si  suc- 
cedono con  relativa  lentezza,  esso  è  costituito  dall'insieme  di  pochi  organi 
il  cui  funzionamento  è  assai  sicuro.  Alle  emissioni  di  correnti  lunghe  o  brevi, 
corrispondono,  sulla  striscia  di  carta  dell'apparato  ricevente,  linee  o  punti 
che,  variamente  raggruppati,  vengono  letti  dal  telegrafista.  Questi,  se  ha  già 
una  certa  pratica,  comprende  spesso  ad  orecchio,  dal  i-umore  variamente 
cadenzato  dell'ancoretta  scrivente,  i  segnali,  senza  bisogno  di  guardare  la 
striscia.  Da  ciò  è  derivata  una  semplificazione  nello  impianto  degli  apparati, 
riducendo  la  macchina  scrivente  Morse  ad  un  semplice  Sounder,  apparecchio 
che  occupa  assai  meno  spazio,  che  non  ha  bisogno  di  speciale  regolaggio,  in- 
chiostratura  ecc.,  e  che  è  meno  soggetto  a  guastarsi. 

Il  Sounder  non  è  però  molto  adoperato  da  noi:  mentre  in  altri  Paesi, 
come  r  Inghilterra  e  gli  Stati  Uniti,  è  assai  diffuso.  Se  da  noi  non  si  segue 
l'esempio  degli  altri  Paesi,  ciò  dipende,  forse,  dal  timore  che  con  il  detto  appa- 

Q"iBi2«o  Majorana.  —  Posta,  telegrafo,  telefono.  2 


18 


QUIRINO   MAJORANA 


rato,  non  restando  prora  scritta  del  telegramma,  non  si  possa  esercitar  con- 
trollo sulla  recezione  di  questo. 

Il  sistema  Morse,  a  causa  della  lentezza  di  funzionamento,  è  impiegato 
attraverso  linee  telegrafiche  incapaci  di  trasmettere  le  rapide  yariazioni  di 
corrente  elettrica,  provenienti  dagli  apparati  celeri:  e  cioè  attraverso  le  linee 
eccessivamente  lunghe,  sia  pure  di  ferro  od  in  condizioni  altrimenti  difettose, 
od  ancora  attraverso  i  cavi  telegrafici. 

Da  noi  l'apparato  Morse  è  usato  su  larga  scala  in  tutti  quei  casi  in 
cai  non  si  ha  a  che  fare  con  servizio  intenso  ;  ciò  avviene,  sia  che  si  tratti 
di  servizio  pubblico  (corrispondenza  privata  od  ufficiale),  sia  ancora  per  i 
bisogni  delle  ferrovie  dello  Stato,  le  cui  linee  telegrafiche  si  svolgono  per 
lo  più  sulle  stesse  palificazioni  della  Amministrazione  dei  telegrafi.  Da  noi 
è  assai  sviluppato  il  sistema  cosiddetto  a  corrente  continua^  fondato  sulW 
considerazioni  seguenti:  Essendo  la  potenzialità  di  una  installazione  Morso 
talvolta  esuberante  per  i  bisogni  di  certi  piccoli  uffici  (vi  sono  uffici  che 
trasmettono  meno  di  10  telegrammi  al  giorno),  si  adopera  un  solo  filo  telegra- 
fico ed  an<Ae  una  sola  pila  per  riunire  parecchi  di  questi  ;  ciò,  per  molto  sem- 
plici ragioni,  porta  alla  conseguenza  di  dover  lasciar  circolare  continuamento 
una  corrente  elettrica  sulla  linea,  anche  quando  nessuno  dei  circuiti  inclusi 
lavora  :  corrente  che  viene  interrotta  da  qualsiasi  officio  che  desideri  trasmet- 
tere. In  tale  sistema,  il  maggior  dispendio  che  deriva  dal  continuo  lavorar  della 
pila,  è  compensato  dall'economia  di  filo  di  linea  e  di  spese  di  manutenzione. 
Il  rendimento  di  un  apparato  Morse  può  arrivare  a  circa  700  parole 
all'ora,  supponendo  le  parole  composte  di  7,5  lettere  (compreso  lo  spazio- 
di  separazione)  in  media;  e  tale  valore  rappresenta  veramente  il  rendimento- 
pratico  dell'apparecchio  che,  in  condizioni  di  lavoro  eccezionale,  potrebbe 
rendere  servizio  ancora  maggiore. 

Air  infuori  della  macchina  Morse  o  del  semplice  Sounder,  è  invalso  da 
noi  l'uso  di  chiamare  apparati  speciali  tutti  gli  altri,  volendo  forse  eoa 
ciò  indicare  che  questi  risultano  da  combinazioni  meccaniche  ed  elettriche 
più  complicate,  e  che  essi  non  possono  essere  serviti  se  non  da  operatori^  che 
abbiano  cognizioni  speciali.  È  cosi  che  nel  telegrafo  si  distinguono  i  sem- 
plici Mor sisti  dagli  Hughisti^  dai  Baudot tisti,  ecc.  ;  il  che  non  esclude  che: 
vi  siano  abili  funzionali,  i  quali  abbiano  buona  od  anche  profonda  cono- 
scenza di  più  di  uno,  o  di  tutti  gli  apparati  speciali. 

Macchina  Hughes.  —  Nell'apparato  Hughes,  che  per  importanza  vien. 
subito  dopo  la  semplice  Morse,  vediamo  un  interessante  principio,  che  ò^ 
stato  poi  introdotto  od  applicato  in  molti  degli  altri  tipi  di  macchine  tele- 
grafiche :  il  principio  del  sincronismo.  Lasciar  che  due  congegni,  situati  cia- 
scuno ad  una  delle  due  estremità  di  una  linea  telegrafica,  si  muovano  di 
moto  periodico  con  esatto  sincronismo,  ottenuto  mediante  speciali  accorgi- 
menti, più  0  meno  ingegnosi;  suddividere  il  periodo  di  quel  moto  in  inter- 


POSTA,   TBLBGRAFO,   TBLEFaNO  1^ 

Yalli  elementari  di  tempo  e  di  spazio,  ciascuno  dei  quali  serva  a  trasmet- 
tere un  segnale  speciale,  è  il  principio  su  cui  si  basano  molti  dei  congegni 
telegrafici  moderni.  Questi,  possedendo  rendimenti  diversissimi,  si  differen- 
ziano per  la  maggiore  o  minor  complicatezza  dei  loro  organi,  per  la  sicu- 
rezza del  loro  funzionamento,  per  il  loro  costo.  Elettricamente,  i  vart  appa- 
rati cimentano  la  linea  telegrafica  con  una  frequenza  dì  impulsi  assai 
variabile;  da  tale  frequenza,  che  può  andare  da  circa  7  a  1"  (Morse)  per 
arrivare  anche  a  più  di  100  (Bowland  o  Wheatstone),  dipende  fra  Taltro  il 
rendimento  della  macchina;  e  l'apparato  Hughes  di  cui  ora  diciamo,  può 
inviare  sulla  linea  segnali  che  distino  fra  loro  per  Vit  ^ì  !''•  Oon  la  mac- 
china flughes  si  possono  trasmettere  sino  a  1500  parole  all'ora,  cioè  il 
doppio  che  con  un  apparecchio  Morse  ;  ma  ciò  che  costituisce  una  bella  ca- 
ratteristica deirapparecchio,  è  il  fatto  che  i  segnali  trasmessi,  vengono  dal- 
l'apparato ricevente  tradotti  e  stampati  in  tutte  lettere.  Tale  fatto,  oltre  che 
importare  neirufBcio  telegrafico  facilità  di  lettura,  permette  maggior  cele- 
rità, poiché  la  stessa  striscia  stampata,  uscente  dalla  macchina,  viene  nq)i- 
damente  incollata  su  di  un  modulo  speciale,  e  subito  recapitata.  L'apparato 
Hughes  è  di  regolaggio  non  difiBcile,  di  funzionamento  sicuro,  e  può  essere 
adoperato  su  linee  anche  di  ferro,  lunghe  parecchie  centinaia  di  chilometri  : 
però,  perchè  il  suo  rendimento  si  manifesti  al  massimo  grado,  quella  mac- 
china deve  essere  adoperata  da  persona  di  speciale  perizia.  I  bravi  hughisti 
si  formano  lentamente,  e  solo  dopo  molti  anni:  la  difficoltà  sta  nel  saper 
trarre  il  massimo  profitto  da  ciascun  giro  del  congegno  rotante,  cercando  di 
trasmettere,  durante  esso,  un  conveniente  numero  di  lettere,  o,  come  si  dice 
in  linguaggio  telegrafico,  di  doppie. 

Macchina  Wheatstone.  —  Ma  la  ingegnosità  e  l'eleganza  costruttiva 
dell'apparato  Hughes,  se  a  questo  conferiscono  grande  sicurezza  di  funziona- 
mento, non  ne  fanno  ancora  un  apparato  che  possa  aver  rendimento  assai 
notevole.  La  linea  telegrafica  è,  per  solito,  ancora  capace,  dal  punto  di  vista 
elettrico,  di  sostenere  impulsi  ben  più  frequenti  di  ciò  che  non  fiEtccia  la 
macchina  Hughes,  permettendo  così  una  rapidità  di  trasmissione  delle  parole 
ben  maggiore. 

AU'infuori  del  sincronismo  —  il  quale  principio  si  è  visto  utilizzato  in 
questo  apparato  —  altri  due  principi  sono  stati  immaginati  per  aumentare  il 
rendimento  delle  linee  telegrafiche:  Y automaiidsmo  e  l'uso  delle  correnti 
invertite.  Con  il  primo,  taluni  apparecchi  sostituiscono  alla  mano  del  trasmit- 
tente taluni  congegni,  mediante  cui  si  ottiene  la  trasmissione  rapida  ed  auto- 
matica dei  telegrammi  convenientemente  e  precedentemente  preparati  su  ap- 
posita striscia  ;  con  l'altro  si  accresce  la  potenzialità  della  linea  in  fatto  di 
trasmissione  di  segnali,  mediante  il  continuo  rovesciamento,  fra  un  segnale  e 
l'altro,  della  corrente  elettrica  inviata.  I  benefici  effetti  di  quest'ultimo  arti- 
ficio sono  noti  in  telegrafia,  e  di  esso  fanno  uso  tutti  gli  apparati  a  trasmis- 


20  QUIRINO    MAJORANA 


sione  veramente  rapida.  L'apparato  automatico  Wheatstone,  che  fu  introdotto 
in  Italia  da  pib  di  un  trentennio,  utilizza  contemporaneamente  i  due  principi 
accennati.  Una  striscia  di  carta  vien  perforata  vanamente  in  guisa  che,  quando 
essa  scorre  nellapparato  automatico  trasmittente,  vengon  lanciate  correnti 
elettriche  positive^  lunghe  o  corte  (linee  o  punti),  e,  negli  intervalli  tra  un 
segnale  e  T  altro,  correnti  negative.  Poiché  la  striscia  di  carta  si  può 
muovere  con  rapidità  relativamente  grande,  le  emissioni  si  succedono  con 
grande  frequenza,  come  non  sarebbe  possibile  fare  con  diretta  operazione  ma- 
nuale; in  corrispondenza  l'apparato  ricevente,  che  è  costituito  (salvo  la  maggior 
delicatezza  costruttiva)  in  guisa  simile  ad  una  Morse,  ripete  i  segnali  con 
scrittura  a  linee  e  punti,  che  viene  poi  letta  e  tradotta  dal  telegrafista.  La 
velocità  di  funzionamento  dell'apparato  Wheatstone  è  limitata  dalle  costanti 
della  linea;  non  è  possibile  accrescerla  al  di  là  di  certi  limiti,  giacché  la 
remiema  e  la  capacità  di  quest'ultima  conferiscono  grande  lentezza  di  pro- 
pagazione alle  variazioni  di  potenziale  elettrico.  Un  apparato  Wheatstone  che 
potesse  funzionare  in  condizioni  di  linea  eccezionalmente  favorevoli,  potrebbe, 
secondo  Frecce,  trasmettere  sino  a  24,000  parole  all'ora  (parole  di  7,5  let- 
tere) ;  ma  tale  limite  elevatissimo,  che  é  fissato  principalmente  dalle  squisite 
qualità  meccaniche  dell'apparecchio,  non  é,  nella  pratica,  mai  raggiunto:  anzi 
da  esso  si  rimane  di  solito  assai  lontani.  Dipendentemente  dalla  lunghezza  e 
dalle  altre  qualità  elettriche  della  linea,  si  può  scendere  a  valori  assai  bassi  : 
così  é  interessante  citare  una  istallazione  Wheatstone  che  é  oggi  in  funzione 
direttamente  fra  Londra  e  Teheran,  nelle  Indie,  attraverso  una  distanza  cioè 
di  6,100  km.  Tale  impianto  lavora  mediante  dieci  traslazioni  (uffict  di  ripe- 
tizione automatica)  intermedie,  su  di  una  linea,  aerea  per  la  maggior  parte 
del  lungo  percorso,  ma  comprendente  un  cavo  di  circa  500  km.  di  lunghezza. 
La  velocità  di  trasmissione  è  però,  in  questo  caso,  di  sole  2500  parole  all'ora, 
che  rappresenta  circa  il  decimo  della  massima  potenzialità  dell'apparato. 

Una  caratteristica  interessante  dell'apparato  Wheatstone  è  quella  di 
poter  essere  adoperato  facilmente  per  diramare  su  parecchie  linee  contempo- 
raneamente gli  stessi  telegrammi  ;  e  da  noi,  infatti,  il  servizio  che  queir ap- 
Inarato  compie,  consiste  appunto  nella  trasmissione  dei  resoconti  parlamentari 
<l  delle  notizie  ufficiali  che  dalla  capitale  vengono  diramate  a  tutti  i  capo- 
luoghi di  provincia. 

L'apparato  Wheatstone  utilizza,  come  si  è  visto,  il  sistema  della  doppia 
corrente,  o  delle  correnti  invertite  :  cade  qui  acconcio  ricordare  che  uno  dei 
nostri  funzionali,  il  Battaglia,  ha  avuto  l'idea  di  applicare  tale  principio 
anche  al  sistema  Hughes,  che  cosi  può  funzionare  a  distanze  più  notevoli  o 
in  condizioni  di  linea  più  difficili.  Una  Hughes-Battaglia  lavora  infatti  fra 
Roma  e  Cagliari  attraverso  un  cavo  fra  il  Continente  e  la  Sardegna. 

Sistemi  multipli.  —  Il  rendimento  degli  apparati  sinora  descritti,  può 
essere  di  molto  accresciuto,  mediante  l'uso  dei  sistemi  duplex^  quadruplex  e 


POSTA,  TELEGRAFO,  TELEFONO  21 

ociuplex.  La  natura  riassuntiva  di  questa  esposizione  mi  vieta  dì  entrare  in 
particolari  su  questi  ingegnosi  e  ben  conosciuti  sistemi;  basterà  accennare  che 
si  possono  realizzare  contemporaneamente,  sulla  linea,  due  trasmissioni  simul- 
tanee, col  primo  dei  detti  sistemi,  quattro  col  secondo  e  otto  col  terzo.  La 
maggior  complicatezza  che  deriva  dairadozione  di  cotali  artifici,  non  consente 
però  sempre  esattamente  di  raddoppiare,  quadruplicare  ecc.,  il  rendimento  di 
una  linea  telegrafica;  così,  mentre  con  un  apparato  Hughes  in  semplice  si 
possono  trasmettere  sino  a  circa  1500  parole  all'ora,  in  duplice  non  se  ne 
trasmettono  che  2880.  Oltre  a  ciò,  il  funzionamento  dei  sistemi  multipli,  iu' 
tesi  nel  senso  predetto,  è  quasi  sempre  più  delicato,  e  soggetto  a  interrom- 
persi anche  per  lievi  squilibri  elettrici  di  linea,  che  possono  prodursi  in  con* 
seguenza  delle  vicende  atmosferiche. 

I  sistemi  fondati  sulla  semplice  trasmissione  manuale  hanno  per  so^ 
lito  una  limitazione  nella  loro  velocità,  nella  abilità  deiroperatore  :  mentre 
che  se  da  questa  si  vuol  prescindere,  con  il  preparare  preventivamente 
i  telegrammi  mediante  striscio  perforate,  si  incorre  nelValtro  inconveniente 
di  dover  adibire  del  personale  airinfnori  di  quello  destinato  alla  trasmis- 
sione. In  sostanza  si  vede  che  la  potenzialità  della  linea  è  esuberante 
di  fronte  alla  capacità  deirimpiegato  ;  e  ancora,  per  Tapparato  Wheatstone, 
è  da  osservare  che  esso,  pur  permettendo  grande  celerità  e  sicurezza  di  funzio- 
namento, non  consente  il  massimo  sfruttamento  della  linea.  In&tti,  i  segnali 
0  le  lettere  che  con  esso  si  trasmettono,  sono  dati  mediante  Tuso  delFal- 
fabeto  Morse,  e  con  ciò,  per  ogni  lettera,  si  vengono  ad  inviare  sulla  linea 
telegrafica  circa  9  impulsi  elettrici  per  lettera,  corrispondentemente  alle  ca- 
riche alternative  positive  e  negative,  necessarie  alla  formazione  delle  linee 
0  dei  punti.  Ciò,  comparato  con  quanto  avviene  negli  apparati  telegrafici  più 
complessi  e  di  cui  ora  dirò,  è  eccessivo. 

Macchina  Baudot.  —  Oli  apparati  celeri  più  moderni  utilizzano,  come 
l'apparato  Hughes,  il  principio  del  sincronismo,  e  con  essi  si  raggiunge  per 
solito  il  doppio  scopo  di  diminuire  il  numero  degli  impulsi,  impressi  alla 
linea  per  ogni  lettera  trasmessa,  e  dì  suddividere  la  potenzialità  della  linea 
stessa  fin  più  impiegati.  Questo  ultimo  risultato  importantissimo,  si  ottiene 
mediante  ingegnose  disposizioni  che  pongono  in  comunicazione  la  linea,  a  turno 
e  ad  intervalli  di  tempo  regolari  e  brevissimi,  con  organismi  trasmittenti 
molteplici  affidati  ciascuno  ad  un  impiegato.  È  così  che  Tapparato  Baudot 
consente,  in  certi  casi,  la  suddivisione  a  quattro  impiegati  della  potenzialità 
della  linea,  e  la  Bowland  a  otto;  naturalmente,  altrettanti  impiegati  si  tro- 
vano all'estremo  opposto  della  linea.  È  da  avvertire  che  questi  ultimi  apparati 
celeri  hanno  il  vantaggio,  che  già  era  offerto  dalla  macchina  Hughes,  di  dare 
all'ufficio  ricevente  i  segnali  tradotti  e  stampati  in  tutte  lettere  o  cifre. 

Anche  un  accenno  molto  sommario  del  modo  con  cui  son  costruiti  e 
funzionano  gli  apparati  Baudot  e  Bowland,  mi  porterebbe   fuori  dei  limiti 


22  QUIRINO   MAJORANA 


impostimi  in  questa  trattazione.  Dirò  quindi  solo  poche  parole  sui  concetti 
fondamentali  su  cui  essi  si  fondano. 

Neir apparato  Baudot  trasmittente,  un  organo  detto  distributore,  che^ 
ruota  con  la  velocità  di  circa  150  giri  al  minuto  primo,  stabilisce  la  con- 
nessione della  linea  successivamente  e  ripetutamente  con  un  certo  numero 
di  congegni  trasmittenti,  affidati  ciascuno  ad  un  operatore;  supponiamo  che 
di  tali  operatori  ve  ne  siano  quattro.  Ciascuno  di  essi  si  serve  quindi 
della  linea  per  breve  intervallo  di  tempo  (V12  di  T'),  e  ciò  una  volta  ogni 
Va  di  r^;  ed  usufruisce  di  quell'intervallo  per  lanciare  un  segnale  corrispon- 
dente ad  una  lettera  da  trasmettere.  Le  lettere  0  segnali  che  si  possono  inviare 
da  ciascuno  degli  impiegati,  sono  in  numero  di  circa  60,  e  risultano  ciascuna 
dalla  combinazione  di  cinque  emissioni  di  correnti,  che  possono  essere  positive 
0  negative.  Queste  emissioni  sono  preparate  dairimpiegato  durante  ciascun 
Va  di  1",  e  neirintervallo  più  breve  per  cui  la  linea  è  in  comunicazione 
con  l'apparato  trasmittente  a  lui  alBdato,  esse  emissioni  vengono  effettiva- 
mente eseguite.  L'apparato  ricevente  raccoglie  le  segnalazioni  cosi  complesse, 
inviate  dai  quattro  operatori  trasmittenti,  e  automaticamente  le  traduce  su 
quattro  congegni  riceventi.  Il  sistema  Baudot  che,  così  indicato,  è  quadrupleXy 
si  presta,  a  volontà  del  personale,  a  stabilire  due  trasmissioni  e  due  recezioni 
da  ciascun  lato,  0  a  distribuire  altrimenti  il  lavoro  telegrafico  tra  i  due 
uffici  ad  esso  collegati;  esso  inoltre  può,  a  seconda  dei  casi  e  dei  bisogni, 
essere  costruito  in  duplex^  in  triplex,  0  ancora  in  sextuplex. 

La  trasmissione  dei  segnali  Baudot  esige  da  parte  del  telegrafista  una 
lunga  pratica,  poiché  i  segnali  si  formano  mediante  l'abbassamento  contem- 
poraneo di  uno  0  pib  fi*a  cinque  tasti,  corrispondenti  alle  emissioni  di  corrente 
di  cui  più  sopra.  Tale  fatto  rende  non  troppo  facile  l'uso  dell'apparato  per 
gli  operatori  principianti,  e  fu  per  questa  ragione  che  molti  dei  nostri  impie- 
gati non  videro,  al  principio,  di  buon  occhio  Tintroduzione  dell'ingegnoso  ap- 
parato negli  uffici.  Oggi  però,  dopo  più  di  venti  anni  da  che  tale  congegno 
fimziona  da  noi,  l'Amministrazione  dei  telegrafi  possiede  una  numerosa  schiera 
di  bravi  specialisti  che  sono  in  grado  di  servirsi  di  quella  macchina. 

Macchina  Rowland.  —  Il  desiderio  di  perfezionare  e  di  intensificare 
i  nostri  servizi  telegrafici,  indusse  la  nostra  Amministrazione  ad  esperimen- 
tare ancora  un  nuovo  tipo  di  apparato  telegrafico,  che  sembrava  dovesse  of- 
frire un  assai  maggiore  rendimento  di  linea:  ]*apparato  Rowland.  Come 
l'apparato  Baudot,  questo  congegno  permette  di  lanciare  sulla  linea  quattro 
telegrammi  contemporaneamente  ;  ma  questa  operazione  può  nello  stesso  tempo 
farsi  anche  dall'altro  estremo  della  linea,  la  qual  cosa  non  sembra  possibile 
0  facilmente  realizzabile  col  primo  congegno.  L'apparato  Bowland  lancia  per- 
manentemente sulla  linea  una  corrente  nettamente  alternata,  della  frequenza 
di  91  periodi  completi  a  m''.  Un  distributore  gira  con  la  velocità  di  3,5  giri 
a  m^^*  sicché  per  ogni  giro  si  hanno  25  periodi  completi  0  52  mezzi  periodi. 


POSTA,  TELEGRAFO,  TELEFONO 


23 


La  linea  vien  data  a  ciascuno  dei  quattro  operatori  ti-asmittentì  in  corri- 
spondenza di  74  <li  gìi'O  ^^^  distributore,  e,  durante  questo  tempo  (Vh  di  1"), 
13  mezze  alternazioni  di  corrente  sono  inviate  sulla  linea.  Ciò  avviene  ve- 
ramente se  l'operatore  non  trasmette  :  ma  se  questi  trasmette  (mediante  una 
tastiera  su  cui  sono  segnate  direttamente  le  lettere  o  le  cifre),  viene  ro- 
vesciata ad  ogni  giro  del  distributore  qualcuna  delle  13  alternazioni,  e  pro- 
priamente due  non  consecutive  ;  il  posto  delle  altemazioni  rimanenti,  deter- 
mina lo  speciale  segnale  trasmesso,  che  l'apparato  ricevente  riceve  e  traduce 
a  stampa.  Ciò  che  si  è  detto  per  un  settore,  vale  per  gli  altri  tre  dello  stesso 
ufficio  e  per  i  quattro  deiraltro  ufficio  ;  sono  così  8  trasmissioni  che  si  pro- 
pagano contemporaneamente  sulla  linea.  Il  maneggio  deirapparato  Bowland 
è  assai  più  semplice  di  quello  della  Baudot  ;  ne  è  però  più  delicato  il  fun- 
zionamento: ma  ciò  riguarda  il  meccanico,  e  non  Toperatore.  Per  questa  ra- 
gione, tale  macchina  è  servita  per  solito  da  signorine  ;  le  quali,  se  si  tratta 
di  sistema  ottuplo,  sono  in  numero  di  otto  per  ufficio,  più  un  capo-gruppo. 
Quanto  al  rendimento  normale  della  Bowland,  esso  può,  in  buone  condizioni 
di  funzionamento,  aggirarsi  intomo  a  13,000  parole  alVora;  ma  tale  cifra 
potrebbe,  in  caso  di  esperimento  e  non  di  pratico  servizio  continuato,  essere 
anche  raddoppiata. 

* 

Tali  sono  i  vart  sistemi  telegrafici  usati  in  Italia  nella  misura  già  in- 
dicata nel  quadro  statistico.  Si  tratta  cioè  di  5  differenti  tipi  dì  apparati, 
che  a  seconda  dei  casi  si  impiegano.  Si  può  anche  ammettere  che  l'adozione 
di  tanti  sistemi  sia  stata  consigliata  da  ragioni  razionali  diservizio;  infatti 
la  Morse  a  corrente  continua  è  adoperata  in  tutti  quei  casi  in  cui  si  tratta 
di  servire  parecchi  uffici  (anche  una  quindicina)  di  una  data  regione  e  che 
abbiano  ciascuno  poco  lavoro;  la  Morse  a  corrente  intermittente  si  impiega 
per  servire  linee  con  traffico  alquanto  maggiore,  o  dove  non  è  possibile  al- 
lacciare più  uffici,  0  ancora  in  taluni  cavi  sottomarini  ;  il  ricevimento  Morse 
ad  udito  {sounder)  si  pratica  specialmente  per  eseguire  esperimenti  sulle  linee, 
0  per  trasmettere  notizie  o  comunicazioni  di  servizio.  I  detti  sistemi  sono 
in  uso  tanto  nelV Amministrazione  dei  Telegrafi,  quanto  in  quella  delle  Ferrovie 
di  Stato.  La  Hughes  semplice  ed  anche  in  duplice,  che,  oltre  al  maggiore  ren- 
dimento, ha  il  vantaggio  di  fornire  completamente  e  chiaramente  stampato  il 
telegramma,  si  impiega  nei  casi  in  cui  la  Morse  non  permette  un  servizio  suffi- 
cientemente rapido;  la  Wheatstone  è  impiegata  principalmente  per  le  dira- 
mazioni delle  stesse  notizie  a  più  uffici,  e  nessuna  altra  macchina  si  presta 
egualmente  bene  a  tale  scopo;  e  infine,  quando  il  servizio  telegrafico  su  di 
una  determinata  linea  diventa  veramente  notevole,  si  adopera  la  Baudot,  sia 
dupla  che  quadrnpla.  L'apparato  Bowland,  che,  come  si  è  visto,  può  dare  un 
grande  rendimento,  non  è  stato  introdotto  che  su  di  una  sola  linea;  ciò  fu  fatto 


24 


QUIRINO   MAJORANA 


quasi  a  titolo  di  esperimento,  or  sono  sei  anni  ;  sembra  però  che  presto  un 
nuovo  impianto  Bowland  sarà  eseguito  fra  Roma  e  Milano. 

Ma  se  si  possono  trovar  ragioni  per  giustificare  la  varietà  dei  sistemi  tele- 
grafici  usati  in  Italia,  non  vi  ha  dubbio  che  questo  fatto  debba  offrire  qualche 
inconveniente.  Confrontiamo,  anzi  tatto,  ciò  che  da  noi  si  fa,  con  quanto 
avviene  alV estero  :  là,  e  non  in  Paesi  di  secondaria  importanza,  vi  ha  per 
solito  uno  0  due  soli  sistemi  principali  su  cui  è  imperniato  tutto  il  servizio. 
E  così,  mentre  in  Inghilterra  e  negli  Stati  Uniti  si  adopera  quasi  general- 
mente la  trasmissione  Morse  con  ricevimento  a  udito  (non  parlo  dei  sistemi 
di  trasmissione  attraverso  i  cavi  transoceanici),  in  Francia  è  impilata  quasi 
generalmente  la  Baudot,  e  in  Germania  la  Morse  e  la  Hughes.  Si  comprende 
come  così  sia  assai  facile  formare  il  personale  telegrafico,  e  come  questo, 
acquistando  pratica  esclusivamente  in  pochissimi  sistemi,  possa  con  facilità 
venir  utilizzato  indifferentemente  in  qualsiasi  ufficio.  A  mio  avviso  sarebbe 
quindi  desiderabile,  da  noi,  una  maggiore  uniformità  di  apparati  ;  ma  debbo  ri- 
conoscere che,  oggi,  raggiunger  ciò  è  difficile,  in  considerazione  della  entità 
degli  impianti  compiuti  e  del  personale  specializzato  in  ciascuno  di  essi,  che 
possediamo. 

Quanto  al  rendimento  dei  vari  apparati,  ò  piuttosto  diffusa  una  credenza 
che  non  sembra  giustificata.  Si  ammette  cioè  che  sarebbe  bene,  in  gran 
numero  di  casi,  estendere  l'uso  degli  apparati  telegrafici  celerissimi:  volendo 
seguire  del  tutto  questo  modo  di  vedere,  occorrerebbe  introdurre  da  noi  l'uso 
di  apparati  ancora  più  rapidi  della  Bowland,  come  la  Murray  dupla  (15,000 
parole  di  7,5  lettere  alFora),  la  Siemens  ed  Halske  (16,000  parole),  e  la 
PoUak-Virag  (34,000  parole).  Ma  la  questione  è,  in  realtà,  assai  complessa, 
nò  può  risolversi  con  la  sola  considerazione  del  rendimento  deirapparato, 
rendimento  inteso  nel  senso  di  numero  di  parole  trasmesse  per  ora  di  lavoro. 
Ricorriamo,  per  comprendere  ciò,  alla  seguente  tabella  in  cui  sono  riportati 
alcuni  dati  che  si  riferiscono  ai  vari  sistemi  telegrafici  da  noi  usati:  in  essa 
si  vede  quali  siano  i  rendimenti  pratici  dei  sistemi  telegrafici  da  noi  adoperati 


Parola 
p«r  on 

lmpi«K. 

Parola 

par 
impiag. 

FreqnMua 

Io:I« 

Morse  semplice      .     . 
Morse  duulice   . 

» 

700 
1400 
1450 
2850 
8850 
10500 
18500 

2 
4 
2 
4 

8 
16 
16 

850 
850 
725    . 
715 

481 
650 
840 

7 

7 

11 
11 
88 
140 
91 

0.10 
0,10 

Hughes  semplice  .    . 
Hughes  duplice     .    .    . 
Baudot  quadrupla .    .    . 
Wheatstone 

>         1 

0,095 
0,095 
0.055 
0,010 

Rowland  ottupla    .     .    . 

1 

0,021 

POSTA,   TELEORAFO,   TELEFONO  25 

(parole  per  ora),  quanti  impiegati  occorrano  in  ciascun  caso,  e  quale  sia  il 
rendiaiento  di  ciascun  impiegato  (parole  per  impiegato).  E  si  vede  che,  mentre 
il  rendimento  dellapparato  nel  suo  complesso  va  crescendo  rapidamente  col 
Tariar  del  tipo,  oscillando  tra  i  limiti  estesi  di  700  e  13,500,  il  rendimento 
deir  impiegato  non  varia  che  da  350  a  840.  Le  ultime  due  colonne  della 
tabella  in  discorso  dicono  qualche  cosa  sul  comportamento  elettrico  della 
linea  destinata  ad  essere  traversata  dalla  corrente  variabile  delFapparato  te* 
legrafìco.  Questa  corrente  non  è  mai  assimilabile  ad  una  semplice  corrente 
alternata  sinusoidale,  anche  nel  caso  della  Bowland  (ali* infuori  dei  periodi 
di  riposo  delle  tastiere)  ;  pur  tuttavia,  con  una  certa  approssimazione  al  vero, 
si  può  parlare  di  frequenza  di  quella  corrente,  intendendo  con  ciò  riferirsi 
alla  frequenza  degli  impulsi  elettrici  di  egual  segno,  più  ravvicinati,  che  l'ap- 
parato imprime  alla  linea;  la  varia  frequenza  intesa  in  tale  senso  è  indi- 
cata nella  quarta  colonna.  Or  bene,  ò  noto  che,  in  causa  delle  costanti  della 
linea,  resistenza,  capacità,  autoinduzione  ed  isolamento,  una  corrente  pulsante 
si  smorza  più  o  meno  presto  a  partire  dairu£Bcio  trasmittente,  quanto  mag- 
giore 0  minore  è  la  frequenza.  Supponendo  quindi  nel  nostro  caso  che  si  tratti 
di  una  linea  aerea  a  doppio  filo  di  bronzo  di  3  mm.  di  diametro,  e  lunga 
100  chilometri,  si  è  calcolato  il  rapporto  lo^U»  fra  la  corrente  iniziale  e 
quella  di  arrivo  a  Taltro  estremo:  tale  rapporto  ci  dà  l'idea  dello  smorza- 
mento subito  da  la  corrente  telegrafica.  Dalla  tabella  si  rileva  che,  mentre 
per  la  Morse,  nelle  accennate  condizioni,  la  con*ente  in  arrivo  è  un  decimo 
della  partente,  con  la  Bowland  è  solo  di  due  centesimi,  e  nella  Wheatstone 
(che  laTori  a  10,500  pai-ole  all'ora)  è  solo  di  un  centesimo. 

Dovendo  procedere  alla  scelta  di  un  tipo  di  impianto  telegrafico,  de- 
stinato a  far  fronte  alle  esigenze  di  un  servizio  assai  modesto,  il  problema  non 
offre  serie  difficoltà:  l'impianto  di  una  semplice  Morse  o  di  un  Soiuder  è 
più  che  sufficiente;  ma  crescendo  notevolmente  il  traffico,  gli  elementi  di  cui 
si  deve  tener  calcolo  sono  numerosi,  e  la  soluzione  non  appare  evidente.  11 
rendimento  delle  macchine,  il  rendimento  di  ciascun  impiegato,  il  costo  della 
linea,  le  sue  costanti  elettriche,  il  costo  degli  appai*ati,  le  esigenze  di  spazio 
d^li  uffici,  ecc.,  sono  tutti  coefficienti  che  vanno  accuratamente  ragliati.  Il 
problema  si  appoggia,  per  sua  natura,  ad  elementi  così  variati,  die,  dimen- 
ticando di  tener  conto  di  qualcuno  di  essi,  si  rìschia  di  arrìvare  a  soluzioni 
assolutamente  erronee.  Così,  a  chi  consiglia  l'uso  di  macchine  ad  altissimo 
rendimento,  si  può  opporre  che  un  filo  od  un'arteria  servita  da  una  cotal 
macchina,  essendo  soggetta,  come  tutti  i  conduttori  aerei,  a  guastarsi,  può 
offrire  il  pericolo  di  prolungate  interruzioni  di  servizio:  interruzioni  che  sono 
tanto  più  gravi,  quanto  m^giore  è  il  rendimento  degli  apparati.  Ciò  dico 
senza  insistere  ulteriormente  sul  fatto,  già  rilevato,  che  per  solito,  col  cre- 
scere del  rendimento  dell'apparato,  cresce  lo  smorzamento  o  Tattenuazione 
della  corrente  tel^rafica  sulla  linea,  e  diminuisce  quindi  la  possibilità  di 
utilizzare  a  grande  distanza  l'apparato  stesso. 


26  QUIRINO   MAJORANA 


Con  queste  considerazioni,  non  voglio  arrivare  alla  conclusione  che  sia 
meglio  adoperare  apparati  semplici  e  lenti  insieme  con  molti  fili  formanti 
ima  fitta  rete  nel  nostro  paese,  rete  che  diiBcilmente  potrebbe  esser  soggetta 
a  guasti  di  notevole  entità  ;  questa  soluzione  offrirebbe  Tinconveniente  della 
spesa  eccessiva  per  Y  impianto  dei  fili,  eccessivo  numero  di  macchine  telegra- 
fiche e  di  impiegati,  ingombro  di  locali  degli  ufSct.  La  soluzione  più  oppor- 
tuna deve  essere  inteimedia,  ed  in  ogni  caso  occorre  tener  conto  delle  cir- 
costanze e  delle  esigenze  speciali.  La  distribuzione  del  servizio  telegrafico 
in  Italia,  non  può  forse  dirsi  che  sia  del  tutto  razionale  ;  certo,  essa  risponde 
bene  alle  esigenze  del  tra£Bco,  e,  con  la  recente  estensione  della  rete  tele- 
grafica, si  potrà  far  fronte,  con  preparazione,  alla  riduzione  della  vigente  ta- 
riffa telegrafica.  Ma  forse  una  organica  sistemazione  di  tutti  gli  ufiBct 
si  impone,  senza  che  si  sia  trattenuti,  nelF  innovare,  da  consuetudini  o  da  pre- 
giudizi. 

Telefono.  —  Si  è  già  visto  nella  parte  prima  di  queste  note,  come  Tnso 
e  le  applicazioni  del  telefono,  iniziatisi  quasi  subito  dopo  la  scoperta  del  ma- 
raviglioso  apparecchio,  siano  progrediti  assai  lentamente  per  più  di  un  de- 
cennio; così,  quando  nel  1902  fu  presentato  il  progetto  di  legge  perlaco- 
stmzione  della  rete  telefonica  nazionale,  lltalia,  fra  tutte  le  nazioni  europee 
più  importanti,  era  la  meno  progredita  in  fatto  di  telefonia:  per  esempio, 
mentre  si  aveva  in  Svezia  ed  in  Norvegia  una  media  di  un  apparecchio  te- 
lefonico ogni  70  abitanti,  e  tale  ultima  cifra  diveniva  alquanto  superiore  per 
la  Danimarca,  l'Inghilterra  ecc.,  in  Italia  si  aveva  soltanto  un  apparecchio 
ogni  2243  abitanti.  Fu  provvida  allora  la  decretazione  della  costruzione 
delle  84  linee  della  rete  telefonica  che  servirono  a  dare  notevole  sviluppo 
agli  impianti  moderni. 

Oggi,  dopo  8  anni  circa  e  dopo  avvenuto  il  riscatto  delle  principali  reti, 
quella  cifra  è  ridotta  a  circa  580.  In  Italia  quindi,  il  bisogno  del  telefono 
era,  si  può  dire,  latente,  e  ben  ci  possiamo  rallegrare  dei  provvedimenti  legis- 
lativi adottati  per  migliorare  questo  importante  servizio  di  comunicazione. 
Ma  quanto  ancora  non  si  deve  fare  perchè  i  nostri  impianti  siano  veramente 
paragonabili  a  quelli  di  altri  Stati  esteri  !  Ricordiamo  infatti  ancora  il  mera- 
viglioso sviluppo  del  telefono  negli  Stati  Uniti,  dove  solo  la  Compagnia 
Bell,  alla  fine  del  1909,  aveva  installato  più  di  5  milioni  di  apparecchi  te- 
lefonici. 

Esaminiamo  ora  da  vicino  su  quali  mezzi  tecnici  sia  fondato  il  seiTizio 
telefonico. 

Servizio  urbano.  —  In  tesi  generale,  il  problema  della  commutazione 
telefonica,  vale  a  dire  del  servizio  che  si  deve  compiere  in  un  ufficio  centrale 
al  quale  fanno  capo  molte  linee  di  abbonati,  può  essere  risoluto  in  diverse 
guise.  Anzitutto,  se  si  tratta  di  un  piccolo  numero  di  abbonati,  per  esempio 
un  centinaio,  si  adopera  la  semplice  tavola  telefonica.  Ad  essa  fanno  capo 


POSTA,   TELEORAFO,   TELEFONO  27 

tutte  le  linee  partenti  ciascuna  dall'apparecchio  di  un  abbonato,  e  terminano 
in  tanti  avvisatori  di  chiamata.  Questi  congegni,  di  cui  qualcuno  entra  in 
azione  tutte  le  volte  che  un  abbonato  chiama  Tufficio,  erano,  sino  a  qualche 
anno  addietro,  costituiti  da  semplici  cartellini  o  numeri^  i  quali,  cadendo^  da- 
vano alla  telefonista  l'avviso  della  avvenuta  chiamata.  Però,  con  lo  svilup- 
parsi della  tecnica  telefonica,  principalmente  per  opera  degli  americani,  gli 
avvisatori  a  cartellino,  comunque  perfezionati,  sono  andati  man  mano  scom- 
parendo, per  dar  luogo  agli  avvisatori  luminosi^  mediante  piccole  lampadine 
elettriche.  Tale  sistema,  che  non  trova  tanto  applicazioni  nelle  tavole  sem- 
plici quanto  nelle  grandi  tavole  o  multipli  telefonici,  di  cui  poi  diremo, 
presenta  grande  economia  di  operazioni  da  parte  della  telefonista,  e  di  spazio. 
Quando  ha  luogo  una  chiamata,  la  telefonista  che  è  preposta  al  servizio  di 
una  tavola,  mediante  uno  speciale  organo  di  collegamento  (cordoni,  spine, 
jack)  si  pone  in  comunicazione  con  l'abbonato  chiamante,  e  sente  con  quale 
altro  abbonato  egli  desideri  essere  collegato;  la  qual  cosa,  se  quest'ultimo 
non  è  occupato,  quella  immediatamente  eseguisce*  Vi  sono  poi  ancora,  in 
una  tavola  telefonica,  i  cosiddetti  avvisatori  di  fine  di  conversazione,  che 
entrano  in  funzione  quando  uno  degli  abbonati  che  parla,  girando  la  propria  ma- 
novella, lascia  intendere  che  la  comunicazione  è  finita,  dando  così  ravviso 
alla  telefonista,  perchè  questa  rimuova  la  connessione  già  eseguita  fra  i  due 
abbonati. 

Ora,  in  una  tavola  telefonica  semplice  che  da  ^oi  prende  il  nome  di 
centralino,  od  anche  di  tavola  Standard,  una  sola  operatrice  può  eseguire 
tutte  le  operazioni  necessarie  alla  commutazione.  Infatti  la  pratica  ha  dimo- 
strato che  circa  100  abbonati  possono  conversare  fra  di  loro  a  due  a  due, 
dando  una  media  di  conversazioni  abbastanza  piccola,  perchè  sia  sufficiente 
Topera  manuale  di  una  sola  persona  ad  eseguire  quelle  operazioni.  Se  anche 
il  numero  di  abbonati  va  verso  le  due  o  le  tre  centinaia,  l'uso  delle  tavole 
semplici  è  ancora  possibile,  disponendone  più  d'una,  in  vicinanza  l'una  del- 
l'altra, e  adibendo  ai  servizi  di  commutazione  più  di  una  telefonista.  Ma  tale 
soluzione  comincia  ad  aver  carattere  di  ripiego,  giacché,  crescendo  da  un  canto 
la  probabilità  di  richiesta  di  conversazione  in  ragione  del  quadrato  del  nu- 
mero di  abbonati,  e  potendo  tali  richieste  avvenire  fra  abbonati  che  fanno 
capo  a  tavole  diverse,  il  servizio  di  commutazione  diventa  penoso  fra  le  te- 
lefoniste,  deficiente  ed  imperfetto  per  il  pubblico.  Tale  stato  di  cose,  vediamo, 
si  è  realmente  presentato  da  noi,  in  talune  delle  nostre  pia  importanti  città, 
in  cui  il  servizio  telefonico  si  era  incominciato  a  svolgere  con  un  numero 
di  abbonati  relativamente  piccolo. 

Nel  caso,  quindi,  di  un  numero  notevole  di  abbonati,  si  ricorre  ai  così 
detti  sistemi  multipli^  che  sono  ormai  adoperati  anche  in  centrali  telefoniche 
con  solo  qualche  centinaio  di  abbonati.  In  una  centrale  telefonica  multipla, 
sono  parecchie  operatrici,  per  solito  una  per  ogni  1 20  abbonati  circa  ;  e  eia- 


28  QUIRINO   MAJORANA 


scuna  di  esse  è  destinata  al  serrizio  delle  linee  a  lei  affidate.  Essa  deve  cioè 
poter  stabilire  le  connessioni  fra  uno  qualsiasi  dei  propri  120  abbonati  e 
qualunque  altro  abbonato  della  rete.  Si  comprende  quindi  come  in  vicinanza 
di  ciascun  posto  di  lavoro  corrispondente  ad  ogni  telefonista,  debbansi  tro- 
vare tanti  organi  speciali  di  presa  {jhck.  generali)  quanti  sono  tutti  i  rima- 
nenti abbonati;  e  potendo  il  numero  delle  telefoniste  essere  notevole,  si 
viene  alla  necessità  di  dover  ripetere  quei  tali  organi  di  presa  molte  volte 
affinchè,  in  tutti  i  posti  di  lavoro,  possano  eseguirsi  le  operazioni  di  commu- 
tazione. Si  viene  così  alla  necessità  di  mtdtiplare  le  linee  dei  singoli  abbo- 
nati; e  propriamente,  la  pratica  ha  insegnato  che  basta  multiplare  com- 
pletamente tutte  le  linee  per  ogni  tre  posti  di  lavoro,  ossia  ogni  tre  te- 
lefoniste. Una  tavola  telefonica  così  costituita,  che  vien  denominata  piii 
semplicemente  multiplo^  possiede  poi  organi  analoghi  agli  altri  già  indicati 
per  il  caso  della  tavola  semplice,  e  cioè  avvisatori  di  chiamata,  di  fine  con- 
versazione, ecc.  Oltre  a  ciò,  disposizioni  speciali  debbono  lasciar  comprendere 
a  ciascuna  telefonista  se  un  abbonato  richiesto  da  uno  di  quelli  che  a  lei  sono 
affidati,  non  può  essere  collegato,  perchè  occupato  in  conversazione,  mediante 
collegamento  eseguito  su  altra  tavola  che  essa  non  vede. 

Una  centrale  telefonica  la  cui  costruzione  si  appoggi  alle  generalissimo 
notizie  sopra  date,  è  capace  di  poter  funzionare  bene  anche  quando  si  tratti 
di  rilevante  numero  di  abbonati,  per  esempio  10,000,  od  anche  20,000.  Al 
di  là  di  questo  limite,  la  pratica  ha  dimostrato  che  non  conviene  più  co- 
struire centrali  uniche:  Teccessivo  agglomeramento  di  fili  in  un  unico  punto 
della  città,  offre  molteplici  inconvenienti,  non  ultimo  quello  della  maggiore 
lunghezza  dei  collegamenti  fra  due  abbonati  della  città  topograficamente 
prossimi  ed  entrambi  lontani  dal  centro.  È  così  che  si  è  pensato,  nelle  grandi 
città,  a  decentraliziare  gli  uffici  di  commutazione,  costruendo  contempora- 
neamente diveree  centrali,  a  ciapcuna  delle  quali  fanno  capo  tutti  gli  abbo- 
nati di  una  determinata  zona  della  città  :  le  centrali  poi  sono  collegate  fra 
loro  mediante  linee  di  intercomunicazione,  che  servono  a  permettere  i  collega- 
menti fra  abbonati  non  facienti  capo  allo  stesso  ufficio.  Da  noi  vi  ha  un  pro- 
getto per  costruire  in  Roma  due  centrali  parziali  in  sostituzione  delVunica 
esistente,  che  si  addimostra  oggi  insufficiente  ;  ed  è  da  sperare  che  questo  pro- 
getto possa  presto  tradursi  in  atto. 

Non  voglio,  in  una  trattazione  tanto  sommaria,  avere  la  pretesa  di  de- 
scrivere e  spiegare  i  vari  sistemi  di  multiplo  telefonico,  che  anche  da  noi 
trovano  applicazioni.  Ma  non  è  fuor  di  luogo  dare  ancora  notizia  di  un  per- 
fezionamento notevolissimo,  che  si  è  introdotto  da  qualche  tempo,  e  va,  di 
giorno  in  giorno,  sempre  più  diffondendosi:  voglio  dire  della  batteria  cen- 
trale. La  necessità  dell*  introduzione  di  tale  sistema  si  è  fatta  sentire 
sempre  più,  con  l'estendersi  di  ciascuna  rete  telefonica;  e  oggi,  riconosciuti  i 
vantaggi  offerti  dal  sistema,  tutti  gli  impianti  vecchi  vànnosi  trasformando 


POSTA,    TELEGRAFO,   TELEFONO  29 

per  r introduzione  della  batteria  centrale,  ed  i  nuovi  si  costruiscono  con  tale 
perfezionamento.  I  vantaggi  offerti  da  questo  sistema  si  comprendono  assai 
facilmente  :  i  vecchi  impianti  sono  tutti  a  batteria  locale  ;  cioè,  ciascuno  ap- 
parecchio di  abbonato  è  fornito  della  sua  pila  locale,  capace  di  far  funzio- 
nare il  microfono  deirapparecchio.  Ora  la  pila  è  costituita  per  solito  da  due 
elementi  del  tipo  Leclanché,  e  la  sua  manutenzione  spetta,  per  obbligo  na- 
turale, air  ente  assuntore  dell'impianto  telefonico.  Se  si  nota  che  una  pila 
avrebbe  bisogno  di  essere  riguardata  almeno  ogni  due  o  tre  mesi  perchè  sia 
in  grado  di  fornir  sempre  la  dovuta  intensità  di  corrente  elettrica,  si  com- 
prende quanto  sia  dispendioso  queirobbligo  ;  e  se  la  manutenzione  non  è  fatta 
rigorosamente,  il  servizio  telefonico  diventa  cattivo.  Il  poter  sopprimere 
dunque  le  pile  air  abbonato,  sostituendole  tutte  con  una  unica  pila  posta 
presso  r ufficio  centrale,  era  cosa,  sotto  vari  aspetti,  conveniente;  e  tale  risul- 
tato è  stato  realmente  raggiunto  felicemente  negli  impianti  moderni.  Per 
citare  un  caso  interessante,  ricordo  che  1*  introduzione  del  sistema  a  batteria 
centrale  a  New-York,  fatto  intomo  al  1897,  segnò  una  nuova  èra  per  lo  svi- 
luppo della  telefonia  in  quella  città.  In  quell'anno  si  avevano  circa  25,000 
abbonati  al  telefono  :  e  la  più  forte  Compagnia  americana,  ben  prevedendo  lo 
sviluppo  che  in  avvenire  avrebbero  avuto  i  suoi  impianti,  non  esitò  a  cam- 
biare tutto  il  materiale  già  istallato  in  quella  città,  con  altro  nuovo  e  a 
batteria  centrale,  capace  di  far  fronte  al  collegamento  di  80,000  abbonati. 
Questa  cifra,  che  allora  sembrava  fantastica,  si  dimostrò  poi  insufficiente, 
giacché  New-York  conta  ora  400,000  abbonati  circa. 

Un'altra  modificazione  è  stata  da  parecchi  anni  ventilata  e  solo  in  certi 
casi  tradotta  in  atto  :  essa  è  quella  della  soppressione  delle  operazioni  ma- 
nuali nelle  centrali  telefoniche,  trasformando  queste  in  centrali  automatiche. 
Il  migliore  di  tali  sistemi  è  lo  Strowger,  che  sembra  funzioni  abbastanza 
bene  a  Chicago,  ed  anche  (benché  in  iscala  minore)  a  Berlino.  In  Italia  è  stato 
fatto  un  esperimento  in  piccolo,  di  telefono  automatico,  impiantando  una  rete 
di  100  numeri  al  servizio  interno  del  ministero  delle  poste  e  dei  telegrafi  in 
Roma.  Il  sistema  impiegato  porta  il  nome  del  Lorìmer;  ma  questo  tentativo 
non  ha  fatto  buona  prova.  L*  idea,  del  resto,  di  sostituire,  nella  commutazione 
telefonica,  alla  mano  dell'  uomo  qualche  congegno  automatico,  se  può  pre- 
sentarsi come  problema  interessante,  rimane  tradotta  in  atto  dalle  invenzioni 
sinora  fatte,  a  costo  di  una  notevole  complicazione  meccanica;  e  credo  che 
non  sia  giunto  il  momento  di  pensare  ad  una  larga  applicazione  di  un  si- 
stema che  solo  in  linea  di  prova  debba  essere  ancora  applicato. 

Esposto  così,  per  linea  assai  generale,  lo  stato  attuale  della  tecnica 
degli  uffici  telefonici,  vediamo  come  oggi,  in  Italia,  di  essa  si  è  saputo  trar 
profitto. 

Delle  200  reti  urbane  nostre,  che  hanno,  in  complesso,  un  numero  di 
abbonati  prossimo  a  60.000,  le  più  importanti  sono  oggi  di  proprietà  gover- 


30  QUIRINO  MAJORANA 


nativa.  Soltanto  le  centrali  di  Torino,  Milano,  Venezia,  Genova,  Bologna, 
Firenze,  Livorno,  Boma,  Napoli,  Palermo  e  Catania,  danno  un  contributo,  in 
quella  cifra,  di  circa  40,000  abbonati. 

Le  case  industriali  che  oggi  costruiscono  materiali  telefonici,  non  sono 
assai  numerose,  e  fioriscono  per  lo  più  nei  paesi  dove  m^giormente  ò  svi- 
luppato r  uso  del  telefono  :  cioè  a  dire  in  America.  In  Italia,  purtroppo,  non 
•abbiamo  una  vera  industria  di  materiale  telefonico;  e  d'altronde  ciò  ai  com- 
prende quando  si  pensi  che,  per  ragioni  di  privative  industriali,  e  in  consi- 
derazione del  modesto  smercio  che  avrebbe  da  noi  una  simile  produzione, 
non  è  possibile  far  concorrenza  alle  case  estere.  È  per  ciò  che  noi  siamo 
tributai!  esclusivamente  delle  case  straniere,  per  quanto  riguarda  gli  impianti 
tele^nici  interni.  Il  materiale  delle  grandi  centrali  nostre  è  oggi  per  lo  più 
in  condizioni  critiche:  così,  a  Milano,  a  Genova,  a  Firenze,  a  Boma  ecc., 
gli  impianti  esistenti  soddisfano  appena  ai  bisogni  del  servizio  ;  anzi  è  con 
stento  che  Tamministrazione  può  seguire  le  richieste  di  nuovi  collegamenti 
di  abbonati.  Per  Napoli,  Torino,  Bologna,  Palermo,  Catania,  si  è  provreduto 
ad  impianti  fatti  con  criteri  sufiScientemente  moderni:  assicurando  così  il 
facile  sviluppo  delle  reti  urbane  per  qualche  tempo;  ma  per  le  città  pre- 
dette occorrono  solleciti  e  radicali  provvedimenti,  ai  quali  non  si  sa  pur- 
troppo se  Tesercizio  di  Stato,  a  cui  manca  la  dovuta  elasticità,  possa  solle- 
citamente far  fronte. 

Linee  telefoniche.  —  Come  è  noto,  i  sistemi  telefonici  si  sono  oggi 
tanto  perfezionati,  da  rendere  possibile  la  trasmissione  della  parola  attra- 
verso distanze  che  possono  raggiungere  anche  i  2000  chilometri.  Ciò  ha  per- 
messo di  poter  collegare  città  assai  discoste  Tuna  dall'altra,  rendendo  così 
sempre  più  estesò  T  impiego  del  telefono.  Naturalmente,  si  è  cercato  di  trarre 
il  maggior  profitto  da  quanto  la  moderna  elettrotecnica  va  oggi  stabilendo, 
per  rendere  sempre  più  facili  i  sistemi  di  telefonia  a  grande  distanza.  Si  ò 
riconosciuto  anzitutto  essere  inopportuno  l'uso  dei  fili  di  ferro,  che  di  so- 
lito vengono  adoperati  nel  telegrafo,  giacché  essi,  in  conseguenza  delle  loro 
proprietà  magnetiche  e  della  loro  resistenza  elettrica,  smorzano  fortemente 
la  corrente  telefonica.  Questa  infatti  è  assimilabile  ad  una  corrente  ondulata 
risultante  da  diversissimi  periodi  vibratorii,  fra  cui  quelli  più  intensi  si 
aggirano  fra  le  cento  e  le  mille  vibrazioni  complete  a  minuto  secondo  ;  e  si 
è  visto  già  come  le  correnti  alternate  restino  per  solito  smorzate  dalla  linea 
di  trasmissione,  tanto  più  facilmente  quanto  maggiore  è  la  loro  frequenza. 
In  telefonia,  sarebbe  quindi  opportuno  adoperare  esclusivamente  fili  di  bronzo, 
che  smorzano  e  dÌ8tx)rcono  molto  meno  la  parola,  di  quel  che  non  facciano  i  fili 
di  ferro.  È  per  questa  ragione,  ed  anche  per  &r  fronte  alle  esigenze  tecniche  dei 
sistemi  a  batteria  centrale  che  vanno  sempre  più  diffondendosi,  che  oggi,  non 
solo  le  linee  interurbane,  ma  anche  le  reti  urbane  si  costruiscono  con  filo  di 
bronzo  di  vario  diametro.  Non  è  certo,  quindi,  da  lodarsi  la  pratica  di  alcune 


POSTA,   TELEORAFO,   TELEFONO  31 

Società  concessionarie  di  piccoli  impianti  interurbani,  di  impiegare  ancora  del 
filo  di  ferro. 

Una  volta  riconosciuta  la  convenienza  di  adottare  il  filo  di  bronzo,  i 
tecnici  hanno  man  mano  accresciuto  il  valore  del  diametro  di  esso,  a  se- 
conda della  importanza  delle  linee  da  costruirsi.  È  così  che  si  è  arrivati 
anche  da  noi  ad  adoperare  fili  di  bronzo  perfino  di  5  mm.  di  diametro,  e, 
in  America,  di  diametro  ancora  maggiore,  impiegando,  nella  trasmissione 
delle  debolissime  correnti  telefoniche,  quantità  di  rame,  che  a  prima  giunta 
possono  sembrare  esagerate. 

Ma  un  altro  progresso  meraviglioso,  frutto  delle  risultanze  di  ingegnose 
teorie,  era  riservato  alla  tecnica  telefonica:  voglio  dire  del  benefico  effetto 
che  l'aggiunta  di  rocchetti  di  auto-induzione,  disseminati  regolarmente  sulla 
linea,  ha  sulla  propagazione  della  corrente  telefonica.  Il  modo  di  distribuire 
tali  rocchetti,  e  le  dimensioni  di  questi,  costituiscono  il  brevetto  Pupin.  Le 
linee  telefoniche  pupinizzate  ostacolano  nei  primi  tratti  il  libero  propagarsi 
delle  correnti  alternate,  e  le  rinforzano  verso  la  opposta  estremità  della 
linea,  là  dove  cioè  essa  occorre  che  giunga  ancora  sufficientemente  intensa. 
Ed  inoltre,  poiché  era  già  noto  il  fatto  che  la  attenuazione  delle  correnti 
alternate  elementari,  che  nel  loro  insieme  costituiscono  la  corrente  telefo- 
nica, è  maggiore  per  le  alte  frequenze,  producendo  quindi  alternazione  nel 
timbro  della  voce  trasmessa,  le  stesse  bobine  Pupin  soddisfano  alla  condizione 
di  rendere  quasi  costante  l'attenuazione  per  le  varie  frequenze,  eliminando 
tale  alterazione  o  distorsione  della  parola.  Praticamente,  se  una  linea  aerea 
telefonica  è  tanto  lunga  da  dover  esser  costruita  con  filo  di  bronzo  di  5  mm. 
(perchè  la  intensità  di  recezione  all'altro  estremo  sia  sufficiente),  la  inclu- 
sione delle  bobine  Pupin  può  consentire,  a  parità  di  intensità  fonica  di  rece- 
zione, una  riduzione,  nel  diametro  del  filo,  da  5  a  4  mm.  circa  ;  al  che  corri- 
sponde una  notevole  economia  nella  spesa  del  rame  (circa  Vs)*  ^^^^^  il 
beneficio  di  eliminare  la  distorsione  della  parola. 

Anche  per  quanto  riguarda  le  condutture  telefoniche  sotterranee  o  sub- 
acquee, la  tecnica  moderna  si  è  specializzata.  Cosi,  essendosi  riconosciuto 
esser  di  grave  ostacolo  alla  propagazione  della  corrente  telefonica  la  elevata 
capacità  elettrica  dei  tipi  di  cavo  che  già  si  usavano  in  telegrafia  (0,3  mi- 
crofarad per  chilometro),  si  sono  studiati  tipi  di  cavi  a  capacità  ridottis- 
sima. Si  è  arrivati  cosi  a  costruire  cavi  il  cui  isolante  è  principalmente 
costituito  da  aria,  ed  in  cui  le  anime  di  fili  conduttori  sono  mantenute 
scostate  l'una  dall'altra  da  avvolgimenti  di  carta  non  serrati.  La  capacità 
di  questi  cavi  può  scendere  sino  a  0,05  microfarad  per  km.  E  poiché  si 
preferisce,  per  ragioni  di  sicurezza  e  di  estetica,  canalizzare  nel  sottosuolo 
della  città  le  linee  telefoniche  delle  reti  urbane  più  perfezionate,  si  sono 
studiati  tipi  di  cavi  contenenti  parecchie  centinaia  di  linee  telefoniche,  co- 
stituite ciascuna  da  una  coppia  di  fili  di  rame  cordati  insieme.  Questi  cavi, 


32  QUIRINO   MAJORANA 


che  risultano  talvolta  di  diametro  notevole,  sono  sostenuti  e  protetti  nel 
sottosuolo  da  tubazioni  in  gréSy  di  forme  e  dimensioni  svariate. 

Occorre  spesso  anche  rinchiudere  in  cavi  taluni  tratti  delle  condutture 
interurbane  od  intemazionali,  e  ciò,  dipendentemente  dalla  necessità  di  attra- 
versare tratti  di  acqua  dolce  o  marina  più  o  meno  lunghi,  gallerie  ferroviarie, 
zone  soggette  a  perturbazioni  elettriche  o  pericolose,  ecc.  In  questi  casi  si  ri* 
corre  di  solito  a  cavi  il  cui  isolante  è  costituito  in  guttaperca,  a  simiglìanza  dei 
cavi  telegrafici,  o  in  carta  impregnata  di  sostanze  resinose.  Ma,  evidentemente, 
il  valore  della  capacità  elettrostatica  diventa  allora  rilevante,  e  si  ricorre,  po- 
tendo, a  cavi  con  autoinduzione  distribuita.  Ciò  può  ottenersi  o  con  le  bobine 
Pupin,  0  con  il  sistema  Krarup,  che  consiste  nell'avvolgere  fili  di  ferro  sopra 
ciascun  conduttore.  Adottando  il  primo  metodo,  si  hanno  i  migliori  risultati 
dal  punto  di  vista  elettrico  :  ma  difficoltà  meccaniche  notevoli  si  presentano 
nella  costruzione  di  quei  cavi,  se  sono  destinati  ad  esser  posati  in  mare. 
Infatti  le  bobine  Pupin  localizzate  su  ciascuna  coppia  del  cavo  a  distanze 
progressive  (deirordine  del  chilometro),  generano  discontinuità  nei  valori  della 
sezione  totale  del  cavo,  per  le  quali  questo  resiste  difScilmente  alle  enormi 
pressioni  dei  fondi  marini.  Pure,  per  esempio,  in  Europa,  il  problema  è  stato 
studiato  con  successo  dalla  casa  Siemens,  tanto  che  si  è  potuto  immergere 
da  qualche  anno  un  cavo  nel  lago  di  Costanza  e  recentemente  un  altro  nel 
canale  della  Manica.  Col  sistema  Erarup  non  si  incontrano  simili  difiicoltà  ; 
ma  il  metodo  —  del  resto,  meno  costoso  —  non  offre,  dal  punto  di  vista 
elettrico,  completamente  i  vantaggi  dei  cavi  Pupin. 

Per  quanto  riguarda  lo  sviluppo  delle  linee  telefoniche  in  Italia,  osser- 
veremo che  si  è  già  proceduto,  nelle  più  importanti  reti,  alla  sostituzione  del 
filo  di  ferro  col  filo  di  bronzo,  e  al  parziale  sotterramento  di  talune  partì 
delle  reti  stesse. 

Al  facile  sviluppo  delle  linee  interurbane  si  opponeva,  e  si  oppone  tut- 
tavia, la  forma  piuttosto  allungata  del  nostro  paese,  a  cagion  della  quale  oc- 
corre  talvolta  di  stendere  più  di  1500  km.  per  connettere  le  località  estreme. 
Questa  difficoltà,  unita  alFaltra  dell'elevato  costo  delle  linee  telefoniche  in 
bronzo,  giustifica  in  parte  il  fatto  che  oggi  ò  stentato  il  servizio  fra  Roma 
e  la  Sicilia,  e  ancor  più  quello  fra  Milano  e  Palermo.  Pur  nondimeno,  molto  si 
è  già  fatto,  giacché,  alle  numerose  linee  telefoniche  costruite  in  base  alla  legge 
del  1903,  altre  se  ne  sono  aggiunte,  e,  nel  loro  insieme,  tali  linee  formano  oggi 
una  rete  di  fili  di  bronzo  i  cui  diametri  variano  da  2  a  5  mm.,  assai  costosa. 
Di  tale  rete  fanno  anche  parte  cavi  con  autoinduzione  distribuita,  quale  quello 
italo-svizzero  del  Sempione,  quelli  dello  stretto  di  Messina  ed  altri  minori. 

Riassunte  così  le  condizioni  tecniche  della  telefonia  in  Italia,  si  rileva 
facilmente  che,  pur  essendo  il  nostro  paese  molto  progredito  rispetto  agli 
anni  decorsi,  molto  ancora  c'è  da  fare.  Riordinare  le  grandi  centrali;  pro- 
muovere nuovi  abbonamenti  col  migliorare  le   condizioni    degli    impianti  e 


POSTA,   TBLBORAFO,   TELEFONO  38 


ool  perfezionare  le  tariffe,  accrescendole  per  chi  fa  grande  uso  del  tetefono, 
diminnendole  per  gli  altri;  ridurre  la  tariffa  telegrafica  in  guisa  da  dare 
una  più  libera  via  con  questo  mezzo  al  servizio  di  stampa,  sfollando  così 
le  linee  telefoniche  che  resterebbero  quindi  più  facilmente  accessibili  al 
grosso  pubblico;  accrescere,  ore  occorra,  le  linee  interurbane,  raddoppiando 
e  triplicando  le  arterie  principali;  ingrossare  i  fili  lunghissimi  o  migliorarne 
le  condizioni  di  funzionamento  con  opportuni  artifizi:  ecco  il  programma 
che,  attuato  con  energia  e  prontezza  da  una  savia  amministrazione,  non  potrà 
che  riscuotere  approvazione  da  chi  è  amante  del  progresso. 

Badiotelegrafla.  —  Illustrare  una  volta  di  più  in  queste  pagine,  ed 
in  linea  assai  sommaria,  lo  sviluppo  della  radiotelegrafia,  credo  sia  cosa  quasi 
superflua;  non  v'è  italiano  infatti  che  non  vada  oggi  orgoglioso  dell'opera 
geniale  di  Guglielmo  Marconi,  e  che  non  conosca  le  fasi  di  una  invenzione 
che  ha  fornito  in  guisa  tanto  suggestiva  un  nuovo  mezzo  di  telecomunica- 
zione alFumanità.  Poche  righe,  in  ogni  modo,  bastano  a  ricordare  rorigine 
e  lo  sviluppo  che  oggi  hanno  assunto  gli  impianti  radiotelegrafici. 

Marconi  incominciò  i  suoi  primi  esperimenti  nel  1895  a  Bologna  e  li 
proseguì  suecessivameute  in  Inghilterra,  e  nel  1897  nel  porto  di  Spezia,  dove 
raggiunse  circa  15  km.  di  distanza.  Marconi,  sedotto  dalle  esperienze  suU* ot- 
tica delle  onde  elettriche,  fatte  dal  Kighi  a  Bologna,  mirava,  nelle  sue  ri- 
cerche, a  servirsi  degli  oscillatori  adoperati  da  questo  illustre  fisico,  per 
inviare  segnali  a  distanza.  E  avendo  constatato  la  debolissima  efficienza  di 
uno  di  quei  congegni  per  irradiare  energia  a  distanza  superiore  a  qualche 
metro  od  a  qualche  diecina  di  metri,  si  era  ingegnato  di  perfezionare  il  metodo, 
sia  servendosi  di  rifiettori,  sia  ancora  con  raggiunta  di  fili  o  code  metal- 
liche alle  sfere  deiroscillatore,  protendentisi  in  aria  o  in  comunicazione  col 
suolo.  E  quest'ultima  disposizione  costituisce  la  vera  scoperta  Marconiana; 
se  rinventore  avesse  sin  dal  principio  curato  di  rivendicare  completamente  a 
so  la  priorità  di  questa  disposizione,  molti  altri,  che  sùbito  dopo  Marconi  si 
atteggiarono  anch'essi  a  scopritori  della  radiotelegrafia,  non  ci  avrebbero  fatto 
assistere  a  polemiche  inopportune. 

Tutta  la  importanza  della  prima  disposizione  di  Marconi  non  fu  però 
compresa  nei  primi  tempi.  Si  adoperava  Toscillatore  a  quattro  sfere,  del 
Righi,  ammettendo  che  le  oscillazioni  proprie  di  esso  entrassero  in  qualche 
modo  nella  propagazione  dei  segnali  a  distanza;  si  costruivano  le  sfere 
grandi  deiroscillatore  con  metallo  massiccio,  perchè  si  credeva,  come  av- 
viene nelle  esperienze  del  Righi  con  onde  di  brevissima  lunghezza,  che 
con  ciò  le  oscillazioni  fossero  più  intense,  ma  non  si  rifletteva  troppo  alla 
natura  speciale  del  nuovo  sistema  oscillante  trovato  dal  Marconi.  Ancor 
oggi  si  fanno  teorie  precise  sul  modo  con  cui  oscillatori  lineari  costituiti 
da  due  fili  rettilinei  posti  l'uno  sul  prolungamento  del  l'altro,  oscillano 
quando  scintille  scoccano  fra  esse.  Or  bene,  la  sostituzione  virtuale  della 


34  QUIRINO  MAJORANA 


massa  terrestre  con  un  tratto  di  filo  simile  all'antenna  conduce  certamente 
a  risultati  attendibili  per  quanto  riguarda  Tirradiazione  dell'antenna  stessa, 
ma  non  per  ciò  che  riguarda  la  misura  dell' efQcienza  a  distanza  dei  si- 
stemi radiotelegrafici.  In  realtà,  a  voler  interpretare  esattamente  il  funzio- 
namento di  un'antenna  radiotelegrafica,  occorre  considerare  il  fenomeno  sotto 
il  doppio  punto  di  vista  della  irradiazione  nello  spazio  non  conduttore  (aria) 
di  onde  elettromagnetiche,  e  della  conduzione  di  una  certa  quantità  di  energia 
sotto  forma  di  oscillazioni  elettriche  nel  suolo  conduttore.  È  alla  somma  di 
questi  due  elementi  che  si  deve  l'azione  a  distanza  dei  sistemi  radiotelegra- 
fici; in  generale,  uno  solo  di  essi,  che  può  essere  anche  il  secondo,  può  esser 
predominaute.  La  esperienza  conferma,  del  resto,  questo  modo  di  vedere:  in- 
fatti, l'efficienza  di  una  stazione  radiotelegrafica  costituita  da  oscillatore 
isolato  dal  suolo,  e,  piti  propriamente,  che  non  dia  luogo  a  propagazione  di 
onde  nel  suolo,  è  enormemente  più  piccola  di  quella  di  una  stazione  Marconi. 

Non  insisto  però  ulteriormente  su  questioni  di  interpretazione,  e  litorno 
ad  esaminare  lo  sviluppo  progressivo  della  radiotelegrafia.  Negli  anni  suc- 
cessivi, Marconi  si  era  occupato  di  perfezionare  i  suoi  sistemi  principalmente 
dal  punto  di  vista  di  rendere  le  oscillazioni  persistenti,  accordando  così 
le  coppie  di  stazioni  corrispondenti,  ed  eliminando  così  un  grave  inconve- 
niente dei  sistemi  radiotelegrafici:  quello  della  interferenza  dei  segnali. 
Tale  inconveniente,  espresso  con  parola  fisicamente  impropria,  si  fa  sentire 
là  ove  piti  stazioni  lavorano  insieme;  e  purtroppo,  anche  al  giorno  d'oggi, 
non  ostante  gli  innegabili  progressi  dei  sistemi  sintonici  od  accordati,  non  è 
possibile  sempre  evitar  reciproche  perturbazioni  delle  varie  stazioni  radio- 
telegrafiche poste  in  vicinanza.  Comunque,  in  determinati  casi  e  con  speciali 
accorgimenti,  specie  poi  quando  si  tratti  di  stazioni  radiotelegrafiche  fisse, 
è  possibile  realizzare  sorprendenti  esperienze  di  sintonia. 

Dopo  che  Marconi  ebbe  mostrato  al  mondo  il  suo  sistema;  dopo  che, 
attraverso  una  serie  mirabile  e  crescente  di  successi,  il  giovane  inventore 
fu  giunto,  dalla  modesta  distanza  di  qualche  chilometro,  all'altra,  quasi  sba- 
lorditoria,  di  migliaia  di  chilometri,  e  ciò  mediante  le  sue  esperienze  trans- 
atlantiche: il  pubblico,  che  è  egualmente  pronto  a  meravigliarsi  di  una  nuova 
scoperta,  come  (dopo  qualche  tempo)  ad  assuefarsi  ad  essa  e  a  ritenerla 
quasi  come  cosa  ovvia  e  naturalissima,  il  pubblico,  dico,  e  specialmente  i 
profani,  pretese  e  pretende  molto  dalla  radiotelegrafia.  Questo  portato  stm- 
ordinario  dell'attività  umana  non  può,  per  quanto  meraviglioso  esso  sia,  venire 
utilizzato  dove  altri  mezzi  più  sicuri  e  più  antichi  possono  valevolmente 
essere  adoperati.  Parlare  di  radiotelegrafia  in  terra  ferma,  dove  un  semplice 
filo  di  ferro,  con  spesa  relativamente  piccola,  può  essere  posato,  è  un  non- 
senso. Solo,  quindi,  nei  casi  in  cui  la  telegrafia  ordinaria  non  è  possibile, 
occorre  servirsi  della  radiotelegrafia,  e  propriamente  per  le  comunicazioni  in 
mare  con  le  navi  in  movimento  e  con  le  aeronavi  (se  la  pratica  dimostrerà 
in  avvenire  ciò  sicuramente  possibile),  ed  in  caso  di  guerra.  Un  altro  caso 


POSTA,  TELEGRAFO,  TELEFONO  -^5 

in  cui  la  radiotelegrafia  può  trovare  utile  applicazione  è  quello  delle  comu- 
nicazioni fra  zone  terrestri  separate  da  mare  o  da  masse  di  acqua  in  cui 
non  è  possibile  o  sarebbe  troppo  costoso  posare  un  cavo.  Ma  non  odtante  le 
brillanti  esperienze  transatlantiche  di.  Marconi,  tenendo  conto  di  moltissimi 
elementi  tecnici,  pratici,  economici,  è,  per  ora,  difficile  pronunziarsi  sulla 
assoluta  convenienza  di  tale  applicazione.  Si  annunzia  da  poco  tempo  come 
definitivamente  stabilita,  sempre  per  opera  del  nostro  Marconi,  la  continua 
e  permanente  comunicazione  radiotelegrafica  fra  l'Inghilterra  e  la  America 
del  Nord  ;  ma  la  notizia  è  troppo  recente,  per  poter  essere  discussa.  Intanto, 
per  concludere,  occorre  pur  sempre  aver  fiducia  nei  sistemi  radiotelegrafici, 
e  su  di  essi  fare  assegnamento  anche  per  ragioni  umanitarie,  nel  caso  in  cui 
si  voglia  assicurare  la  costante  comunicazione  con  la  teiTa  ferma  e  fra  di 
loro  delle  navi  in  alto  mare. 

Non  mi  resta  ora  che  da  dire  qualcosa  sul  modo  con  cui  è  organizzato 
e  procede  il  servizio  radiotelegrafico  in  Italia.  Le  prime  installazioni  furono 
eseguite  dal  Ministero  della  Marina,  e  così  sulle  nostre  coste  si  trovano 
oggi  distribuite  13  stazioni,  le  quali  occupano  per  solito  gli  antichi  posti 
semaforici.  Tali  stazioni  portano  i  nomi  seguenti,  che,  senz'altro,  definiscono 
la  località  in  cui  si  trovano  :  Asinara,  Gapomele,  Capo  Sperone.  Cozzo  Spa- 
daro,  Forte  Spuria,  Monte  Cappuccini,  Monte  Mario,  Monte  S.  Giuliano, 
Palmaria,  Ponza,  Venezia,  Viesti.  A  queste  stazioni  va  aggiunta  l'altra  di 
S.  Cataldo  (Bari),  la  quale,  costruita  a  cura  del  Ministero  delle  Poste  e  dei 
Telegrafi,  è  destinata  alla  corrispondenza  internazionale  col  Montenegro.  La 
portata  di  tutte  le  stazioni  citate  si  aggira  intorno  ai  300  km.,  ed  esse  fanno 
servizio  militare  e  commerciale  promiscuamente;  naturalmente,  ciascuna  di 
esse  è  collegata,  col  filo,  alla  rete  telegrafica  nazionale. 

Per  completare  la  statistica  delle  nostre  stazioni  radiotelegrafiche,  si  deb- 
bono ancora  citare  quelle  impiantate,  a  cura  del  nostro  governo,  nel  Benadir  : 
sono  6  stazioni,  e  cioè  Breva,  Oiumbo,  Itala,  Lugh,  Merka,  Mogadiscio.  La 
loro  portata  varia  da  300  a  750  km.,  ed  esse,  in  vista  delle  difficoltà,  che  vi 
sono  in  quei  luoghi,  di  posare  fili  telegrafici,  rendono  ottimi  servizi  alle  Co- 
lonie e  alle  popolazioni  indigene. 

Infine  ricordo  che  l'Italia  manca  ancora  di  una  stazione  radiotelegrafica 
a  grandissima  potenza,  paragonabile  a  quella  che  già  la  Compagnia  Mar- 
coni ha  costruito  all'estero;  ma  tale  stazione,  che  sarà  certamente  la  più 
potente  che  siasi  mai  costruita,  e  nella  quale  Marconi  apporterà  tutti  i 
perfezionamenti  che  le  lunghe  sue  esperienze  gli  hanno  ormai  consigliato, 
è  già  in  costruzione  in  Coltane  presso  Pisa,  e  si  spera  che  nel  prossimo 
anno  1911  essa  possa  essere  aperta  al  pubblico  esercizio. 

Roma,  luglio  1910. 

Quirino  Majorana 

Direttore  dell' Istituto  Saperiore  Poetale  Telefnfieo  Telefonleo. 


TRASPORTO  DELL'ENERGIA 


I. 

Preliminari  storici  e  tecnici. 

La  storia  dell'applicazione  dell' elettricità  al  trasporto  dell'energia  data 
dal  giorno  in  cui  il  prof.  Pacinotti  ebbe  l'idea  della  macchina  che  fa  og- 
getto di  una  sna  comunicazione  nel  Nuovo  Cimento  nel  1864:  idea,  che, 
riprodotta  da  Gramme  nel  1869,  fu  l'origine  del  merariglioso  sviluppo  del- 
Telettrotecnica  moderna. 

Quando  fu  fatta  questa  invenzione,  il  terreno  era  già  preparato  da  lungo 
tempo  per  opera  di  scienziati  eminenti  che  si  occuparono  dì  perfezionare  là 
scoperta  di  Volta,  e  sopra  tutti  del  tìsico  Faraday,  al  quale  è  dovuta  la 
scoperta  delle  correnti  indotte,  da  lui  annunciata  nel  1831.  Il  17  ottobre 
di  quell'anno  egli  provò  ad  inserire  un  magnete  entro  un  cilindro  formato 
da  un  filo  di  rame  avvolto  ad  elica,  e  notò  che  nel  filo  si  induceva  una  cor- 
rente elettrica  al  momento  dell'entrata,  e  una  corrente  opposta,  air  uscita. 
Questo  esperimento  primordiale,  fondamento  delle  dinamo  moderne,  fu  da  lui 
descritto,  insieme  ad  altri  esperimenti  della  stessa  natura,  in  una  Memoria  ce- 
lebre {Experimental  Besearches  in  Blectricity)  che  fu  letta  il  24  novembre 
successivo  alla  Koyal  Society  e  pubblicata  nel  gennaio  dell'anno  successivo  (^). 

(^)  Fu  a  proposito  di  questo  esperimento  che  si  improvvisò  la  seguente  strofa,  la 
quale  collega  la  scoperta  di  Faraday  a  quella  di  Volta: 

▲round  the  in«giMt  Faraday 

Waa  Bare  that  Volta's  lightnSngs  plaj: 

Bat  how  to  draw  th«m  from  the  wire? 
He  took  a  leaton  firom  the  heart: 
*TU  when  we  meet,  'tis  when  wa  part, 

Breakf  forth  the  electric  fire. 

Giuseppe  Colombo.  —  Trasporto  dell'energia.  X 


GIUSEPPE   COLOMBO 


Fu  però  molto  più  tardi  che  questo  principio  delle  correnti  indotte,  cosi 
fecondo  nel  campo  scientifico,  trovò  applicazione  nel  campo  industriale. 
Cosi  fu  solo  nel  1849  che  il  prof.  NoUet  di  Bruxelles  propose  la  costru- 
zione di  una  macchina  nella  quale  le  correnti  indotte  in  un  rocchetto  di 
filo  da  una  forte  calamita  si  mostrarono  capaci  di  produrre  effetti  luminosi 
pari  a  quelli  delle  più  potenti  pile  voltaiche;  e  non  fu  che  dodici  anni 
più  tardi  che  la  Compagnie  de  TAUiance  ne  trasse  partito  per  T  illumina- 
zione dei  fari  coir  arco  elettrico,  gik  ottenuto  da  Davy  nel  1813  con  una 
pila.  Il  faro  di  La  Hòve  fu  il  primo  così  illuminato  nel  1863,  con  un  arco 
di  150  a  200  Carcel,  quale  non  si  sarebbe  potuto  ottenere  che  con  una  pila 
di  250  a  300  elementi  Buusen;  e  molti  altri  fari  consimili  figurarono  al- 
l'Esposizione di  Parigi  del  1867.  Non  ostante  questi  risultati,  le  calamite  in- 
ducenti della  macchina  NoUet  non  avrebbero  potuto  prestarsi  ad  effetti  mag- 
giori di  quelli  raggiunti,  a  causa  della  impossibilità  pratica  di  valersi  di 
calamite  abbastanza  potenti.  Ma  si  possono  formare  calamite  indefinita- 
mente potenti,  avvolgendo  intorno  a  nuclei  di  ferro  numerose  spire  di  filo 
di  rame  percorse  da  una  corrente  elettrica;  si  ha  cosi  un  eleUro-magnete 
la  cui  potenza  è  proporzionata  a  quella  della  corrente  eccitante  ed  è  quindi 
praticamente  indefinita.  Simili  elettro-calamite  sarebbero  dunque  capaci  di 
indurre  nel  rocchetto  di  filo  effetti  di  indefinita  potenza.  Un  rocchetto,  il 
così  detto  indotto^  costituito  da  un  filo  di  rame  opportunamente  avvolto 
attorno  a  un  nucleo  di  ferro,  può  girare  su  un  asse  fra  i  poli  di  un 
elettro-calamita,  che  è  T  induttore^  nel  cui  filo  circola  una  corrente  prodotta 
con  una  piccola  eccitatrice,  o  una  frazione  di  quella  generata  dalla  macchina 
stessa.  Mettendo  in  moto  con  una  forza  opportuna  l'indotto  (o  facendo  gi- 
rare l 'induttore  attorno  all'  indotto,  ciò  che  è  lo  stesso),  si  genera  una  cor- 
rente, che  è  raccolta  ai  morsetti  di  un  commutatore  e  di  là  lanciata  nella 
linea  come  corrente  continua,  ì  cui  elementi,  cioè  quantità  e  tensione,  va- 
riano secondo  la  forza  applicata  e  le  disposizioni  della  macchina.  Tale  è  in 
sostanza  la  macchina  dinamo- elettrica,  o  semplicemente  la  dinamo  a  cor- 
rente continua  di  Pacinotti,  che  Grammo  riprodusse  nel  1869,  e  che  fii 
il  punto  di  partenza  di  tutte  le  applicazioni  fatte  sino  ad  oggi  nel  campo 
elettrotecnico. 

Spettò  a  Grammo  di  mostrare  quali  fossero  queste  applicazioni;  e  fu 
questo  il  suo  merito  e  la  ragione  del  suo  diritto  di  dividere  con  Pacinotti 
gli  onori  dell'  invenzione.  Egli  infatti  comprese  tutta  la  portata  del  trovato, 
e  lo  utilizzò  immediatamente  in  tutte  le  industrie  richiedenti  l'impiego  di 
correnti  elettriche,  per  la  medicina,  le  miniere,  la  galvano-plastica  e  Y  illu- 
minazione. L'applicazione  ali*  illuminazione,  non  solo  colla  dinamo  Grammo, 
ma  con  altre  dinamo  identiche  nel  principio,  sebbene  diverse  nei  particolari, 
rimase  la  più  importante  e  fece  rapidamente  cammino,  appunto  per  la  pos^ 


TRASPORTO    dell'energia  3 

sibilità  di  produrre  correnti  di  qualunque  intensità  con  qualunque  tensione^ 
permessa  da  questo  nuovo  generatore  (^). 

A  queir  epoca  non  c*era  ancora  che  l'arco  roltaico,  prodotto  da  Davy 
nel  1813  fra  due  bacchette  di  carbone  accostate  per  la  punta,  che  fosse  ca- 
pace di  fornire  luce  per  mezzo  della  corrente  elettrica;  quindi  già  nel  1876 
Jablochkoff  tentò,  colla  sua  lampada  a  carboni  paralleli,  di  risolvere  il  pro- 
blema dell*  illuminazione  pubblica,  riportando  brillanti  ma  non  duraturi  suc- 
cessi durante  l'esposizione  di  Parigi  del  1878  e  nella  pubblica  illuminazione 
a  Parigi,  a  Londra  e  altrove;  nel  1879  se  ne  erano  già  installate  circa  1500. 
Ma  il  sistema  non  era  pratico  per  se  stesso;  e  d'altronde  la  lampada  ad 
arco  non  si  prestava,  come  non  si  presta  neppur  oggi,  alla  minuta  suddivi- 
sione della  luce  richiesta  dalla  illuminazione  pubblica  e  molto  più  ancora 
dalla  privata.  Bisognava  trovare  un  altro  sistema  di  illuminazione  elettrica, 
e  fu  l'incandescenza:  sistema  introdotto  per  la  prima  volta  da  T.  A.  Edison, 
e  che  costituisce  ancora  per  quest'ultimo  il  più  gran  titolo  di  gloria,  mal- 
grado le  altre  singolari  invenzioni  del  suo  genio  straordinario. 

L'idea  di  ottenere  la  luce  portando  all' incandescenza  un  corpo  senza 
permettergli  di  consumarsi,  era  già  stata  messa  avanti  prima  dell'  invenzione 
di  Edison,  fra  gli  altri  da  Lediguine  a  Pietroburgo  nel  1877;  ma  spetta  a 
Edison  Tonore  di  aver  dato,  nel  1878,  la  prima  lampada  a  incandescenza 
pratica.  Fu  lui  che  additò  il  materiale  più  adatto  e  i  processi  delicatissimi 
per  assicurare  nelle  lampade  un  vuoto  estremo  e  ritardarne  il  più  possibile 
Testinzione.  Così,  circa  25  anni  sono  passati,  durante  i  quali,  non  ostante 
la  concorrenza  di  altre  lampade  analoghe,  come  la  Swan,  la  lampada  Edison 
a  filamento  di  bambù  carbonizzato  rimase  senza  concorrenti,  sinché,  per 
l'iniziativa  di  Nernst  dapprima,  e  poi  per  opera  di  altri  inventori,  venne 


Q)  Le  unità  per  la  misura  delle  grandezze  elettromagnetiche  adottate  nel  Congresso 
di  Chicago  del  1898  e  confermate  dappoi,  sono  diverse  ;  ma  qui  gioverà  rammentare  sol- 
tanto le  principali. 

Ciò  che  misura  una  corrente  elettrica  è  la  sua  intensità,  ed  ha  per  unità  V Am- 
père, che  è  la  corrente  capace  di  precipitare  0,001118  grammi  d*argeiito  al  secondo  in 
una  soluzione  di  nitrato  d*argento.  La  quantità,  poi,  è  la  corrente  che  passa  al  secondo 
quando  ha  T  intensità  di  1  Ampère. 

Un  conduttore  offire,  al  passaggio  della  corrente,  una  resistenza,  la  cui  unità,  detta 
Ohm,  è  la  resistenza  che  offrìrehhe  al  passaggio  della  corrente  una  colonna  di  mercuri'> 
a  0**,  alta  1,068  m.  e  di  1  mm*  di  sezione. 

La  fona  elettromotrice  (corrispondente  a  ciò  che  spesso  si  esprime  anche  con  la 
parola  tensione)  ha  per  unità  il  Volt,  cioè  la  forza  elettromotrice  che,  agendo  in  un  condut- 
tore di  1  Ohm  di  resistenza,  produce  la  corrente  dì  I  Ampère. 

La  potenza,  infine,  di  una  corrente,  si  esprime  in  Watt  (w),  che  è  il  lavoro  corri- 
spondente al  passaggio  di  1  Ampère  al  V  in  un  filo  che  abbia  la  resistenza  di  1  Ohm;  ed 
è  eguale  a  circa  0,00136  cavalli-vapore  (|-P):  per  cui  1  |-p  ^  735  w —=  7,35  hw  (ettowatt) 
—  0,785  kw  (chilowatt). 


GIUSEPPE    COLOMBO 


a  poco  a  poco  sostituita  dalle  nuove  lampade  a  filamento  metallico,  altrettanto 
durevoli,  ma  due  o  tre  volte  più  economiche;  il  tantalio,  Tosmio,  lo  zirconio, 
sono  ora  i  materiali  preferibilmente  adoperati,  e  costituiscono  il  mezzo 
di  illuminazione  più  economico  per  Y  uso  privato.  L'arco,  aperto  o  racchiuso 
0  metallizzato,  è  riservato  all'  illuminazione  pubblica,  all'aperto  e  pei  grandi 
ambienti.  È  a  queste  brillanti  applicazioni  della  corrente  fornita  dalle  dinamo 
che  dobbiamo  lo  straordinario  progresso  conseguito  nell'illuminazione  pubblica 
e  privata  ;  ma  altri  e  ben  più  significanti  progressi  si  stavano  maturando  nel- 
r  istesso  periodo  di  tempo  in  cui  si  assicurava  l'avvenire  della  luce  elettrica. 

È  noto  che  un  felice  azzardo,  che  si  verificò  nei  locali  dell'Esposizione  di 
Vienna  del  1873,  lo  sbaglio  di  un  meccanico,  il  quale,  invece  di  collegare 
una  dinamo  a  un  circuito  da  attivare,  Tunì  ad  un  circuito  in  cui  già  circolava 
una  corrente,  rese  manifesta  la  reversibilità  della  macchina,  cioè  la  possibilità 
di  mettere  in  moto  una  dinamo  mediante  una  corrente  collegata  ai  suoi  poli: 
in  una  parola,  la  possibilità  di  trasmettere  l'energia  elettrica  circolante  in  un 
filo  a  una  dinamo,  diventata  un  motore,  o  a  un  numero  qualsiasi  di  motori 
consimili  distribuiti  lungo  il  circuito  del  filo.  Da  quel  momento  data  la  grande 
evoluzione  industriale  ed  economica  che  caratterizza  la  fine  del  secolo  decimo- 
nono :  la  soluzione  del  problema,  tanto  vanamente  cercata  da  più  di  mezzo 
secolo,  di  trasmettere  a  grande  distanza  le  forze  naturali  delle  acque  cadenti 
dalle  loro  sorgenti  al  mare.  Dovunque  queste  forze  si  possono  raccogliere  e 
concentrare,  il  movimento  dei  motori  idraulici  che  le  utilizzano  si  trasmette 
alle  dinamo  generatrici,  nelle  quali  l'energia  dell'acqua  cadente  si  converte 
in  energia  elettrica  ;  e  questa,  lanciata  nei  fili,  è  distribuita  a  grandi  distanze 
ai  motori  elettrici  che  l' utilizzano  negli  opifici  industriali,  o  agli  apparecchi 
che  l'impiegano  direttamente  per  i  processi  chimici,  T illuminazione  e  il 
riscaldamento. 

Dimostrata  la  reversibilità  della  dinamo,  H.  Fontaine  ne  tentò  subito 
l'applicazione  alla  trasmissione  dell'energia  a  distanza;  ma  chi  dimostrò 
più  evidentemente  la  portata  della  scoperta,  fu  Marcel  Deprez,  dal  1881  al 
1884,  coi  suoi  celebri  esperimenti  e  soprattutto  con  quello  tentato  nel  1884, 
trasmettendo  una  forza  di  alcune  decine  di  cavalli  fra  Creil  e  La  Chapelle, 
alla  distanza  di  56  chilometri.  Benché  sussidiato  da  potenti  finanzieri,  il 
tentativo  non  ebbe  sèguito,  soprattutto  per  la  difficoltà,  che  allora  si  era  incon- 
trata, di  generare  e  isolare  sulla  dinamo  una  corrente  continua  ad  alta  ten- 
sione. Non  ostante  questa  difficoltà,  però,  Thury  di  Ginevra  potè*  più  tardi, 
nel  1889,  fare  il  grande  impianto  di  trasmissione  di  Isoverde  per  la  Società 
Deferrari-Oalliera  di  Genova,  colla  corrente  continua  ;  impianto,  che  venne, 
del  resto,  trasformato  più  tardi,  come  si  vedrà  più  avanti  {^). 

(M  Le  difficoltà  principali  degli  impianti  a  corrente  continua  dipendono  dalla  neces- 
sità di  mettere  in  serie  le  dinamo  per  raggiungere  le  alte  tensioni  indispensabili  per  la 
economia  delle  condutture,  ma  difficilmente  applicabili  alle  macchine.  Il  trasporto,  in  tal 


TRASPORTO   dell'energia 


Gli  ostacoli  airimpiego  dì  alte  tensioni  nelle  dinamo  e  anche,  ma  meno 
gravi,  nelle  condutture  aeree,  dipendono  dalla  tendenza  ai  disperdimenti  e 
alle  scariche  di  corrente,  tanto  piil  forte  e  pericolosa  quanto  più  la  tensione 
è  elevata.  Ora,  l'energia  trasmessa  è  proporzionale  contemporaneamente  alla 
quantità  e  alla  tensione  della  corrente,  cosicché  una  determinata  energia 
può  essei  trasmessa  con  grandi  intensità  di  corrente  e  piccole  tensioni,  o 
viceversa;  ma  è  chiaro,  che  quanto  più  alta  è  la  tensione  e  più  piccola  la 
quantità  della  corrente,  tanto  minore  diventa  la  sezione  necessaria  dei  con- 
duttori destinati  a  portarla,  o,  per  dir  meglio,  a  guidarla.  C*ò  adunque,  dal 
punto  di  vista  delVeconomia  del  peso  di  rame  richiesto  per  trasmettere  la 
energia  a  una  data  distanza,  un  grandissimo  interesse  a  trasmettere  le  cor- 
renti alla  più  alta  tensione  possibile.  Ora  alle  difficoltà  accennate  delle  alte 
tensioni,  si  è  andato  provvedendo  sempre  meglio  con  più  accurati  isolamenti 
dei  fili,  tanto  sulle  macchine,  quanto  sulle  linee,  con  opportuni  rivestimenti 
per  le  prime  e  con  isolatori  più  perfezionati  sulle  seconde:  quindi  le  ten- 
sioni ammissibili  nelle  macchine  e  nelle  condutture  sono  andate  continua- 
mente aumentando,  sempre,  però,  in  misura  notevolmente  minore  per  le  mac- 
chine, in  causa  della  contiguità  dei  fili  in  cui  circola  la  corrente,  che  non 
sulle  condutture  aeree.  Data  questa  diversità  di  condizioni  fra  macchine  e 
condutture,  si  comprende  come  il  problema  di  trasmettere  a  distanza  una 
data  energia  in  condizioni  economicamente  convenienti  appariva  di  difficile 
soluzione  usando  le  correnti  continue,  non  potendo  elevare  la  tensione  nelle 
dinamo  a  quel  grado  al  quale,  per  l'economia  nel  costo  del  rame  e  quindi 
in  quello  deirimpianto,  sarebbe  giovato  di  elevarla  nella  conduttura  ;  a  meno 
di  non  metterle  in  serie,  complicando  impianto  ed  esercizio,  come  si  è  ac- 
cennato nella  nota  precedente. 

Tale  era,  dopo  la  fortunata  scoperta  dell'invertibilità  della  dinamo,  lo 
stato  della  questione  della  trasmissione  a  distanza  dell'energia,  quando  una 


caso,  si  fa  a  intensità  costante  di  corrente  e  tensione  variabile  secondo  il  C(»nsanio:  ciò  che 
importa  nn  modo  speciale  di  regolazione  dell'impianto,  meno  pratico  di  quello  degli  im- 
pianti a  corrente  alternata.  Nondimeno  Thnry  fa  ancora  impianti  di  questo  tipo,  con  tensioni 
altrettanto  alte  quanto  quelle  usate  perle  correnti  alternate;  così  sono  quattro  anni  che 
funziona  rimpianto  da  lui  fatto  pel  trasporto  di  4300  kw  da  Moutier  a  Lione,  a  180  km. 
di  distanza,  alla  tensione  di  57.600  volt,  con  due  fili  di  9  mm.  di  diametro;  ed  ora  si 
tratta  di  ampliarlo,  elevando  la  tensione  sino  a  100.000  volt,  con  due  nuove  stazioni  messe 
in  serie  coU'esistente,  trasportando  10.000  kw. 

Per  le  suesposte  difficoltà  si  preferisce  l'impiego  delle  correnti  alternate  per  i  grandi 
trasporti;  ma  siccome  i  motori  a  corrente  continua  sono  i  migliori  che  si  conoscano, 
cosi  può  convenire  di  adottare  la  corrente  continua  per  la  distribuzione,  mantenendo  la 
corrente  alternata  per  il  trasporto  e  poi  convertendola  in  continua  per  distribuirla,  in 
causa  della  semplicità  del  sistema  e  delle  eccellenti  qualità  dei  motori.  Ciò  si  fa  normal- 
mente negli  impianti  americani,  e  si  fa  anche,  benché  più  di  rado,  in  Europa,  come  fra 
noi  a  Milano  e  Torino. 


GIUSEPPE   COLOMBO 


nuova  scoperta  diede  il  mezzo  di  risolYere  il  problema  nel  modo  più  com- 
pleto, compatibilmente  coi  limiti  sino  ai  quali  è  stato  permesso  finora  di 
elevare  la  tensione  nelle  condutture  aeree. 

Qià  sino  dal  1883  si  era  dimostrata  la  possibilità  di  trasmettere  le 
correnti  alternate,  in  luogo  delle  continue:  correnti,  cioè,  alternativamente 
positive  e  negative,  con  periodo  comunque  variabile;  e  di  queste  coiTcnti, 
prodotte  con  macchine  dinamo-elettriche  fondate  sullo  stesso  principio  di 
quelle  per  correnti  continue,  e  chiamate  più  propriamente  alternatori,  si 
fece  uso,  in  quel  tórno  di  tempo,  per  la  trasmissione,  come  colle  correnti 
continue.  Si  aprì  in  quello  stesso  tempo  TEsposizione  di  Torino  del  1884; 
e  in  essa  apparve  una  mirabile  invenzione,  affatto  paragonabile,  per  impor- 
tanza, air  invenzione  stessa  della  dinamo:  quella,  cioè,  dei  trasformatori 
presentati  dal  francese  Oaulard.  Il  principio  di  questi  trasformatori  è  il  se- 
guente: se  attorno  a  un  circuito  (detto  primario)  in  cui  circola  una  corrente 
alternata,  si  dispone  un  altro  circuito  di  filo  di  diverso  diametro  (circuito 
secondario),  in  questo  si  indurrà  una  corrente  alternata  equivalente,  i  cui 
fattori,  cioè  quantità  e  tensione,  diversificano  da  quelli  della  corrente  in- 
duttrice,  nel  senso  che  la  tensione  è  tanto  piil  alta,  e  la  quantità,  per  con- 
seguenza, tanto  minore,  quanto  più  il  filo  ^secondario  è  sottile  rispetto  al 
primario;  e  viceversa.  Il  fenomeno  è  analogo  a  quello  che  si  verìfica  nel 
vecchio  rocchetto  di  Ruhmkorff;  ma  sino  al  1884,  a  nessuno  era  venuto  in 
mente  di  riprodurlo  per  lo  scopo  di  trasmettere  a  distanza  una  corrente 
elettrica. 

Immediatamente  si  comprese  Tìmportanza  deirinvenzione.  Poiché  per 
ridurre  al  minimo  il  costo  delle  condutture  di  trasporto  e  di  distribuzione  del- 
Tenei'gia  elettrica,  è  necessario  di  adottare  per  queste  linee  le  più  alte  ten- 
sioni ammissibili,  e  d  altra  parte  queste  altissime  tensioni  non  è  sempre  possi- 
bile né  conveniente  di  raggiungerle  nelle  dinamo  generatrici  della  corrente,  uè, 
sopra  tutto,  nei  così  detti  quadri  di  distribuzione,  cos'i  il  problema  poteva  venir 
risolto  coi  trasformatori  Gaulard:  generando,  cioè,  la  corrente  alle  tensioni  per- 
messe 0  convenienti  per  le  dinamo,  poi  ti-asformandola  in  corrente  alla  più 
alta  tensione  compatibile  colla  sicurezza  e  coir  economia,  e  lanciandola  nella 
linea  (^).  Tale  è  il  sistema  adottato  nella  generalità  dei  grandi  impianti 
moderni  per  trasmettere  a  distanza  Tenergia  elettrica:  una  stazione  centrale 
generatrice  con  motori,  idraulici  o  termici,  e  alternatori,  con  trasformatori, 

(*)  Ci  sonu  impianti,  nei  quali  non  si  trasforma  la  tensione,  ma  si  adotta  per  la 
linea  la  stessa  tensione  alla  qnale  la  corrente  è  generata;  in  questo  caso  non  si  può  oltre- 
passare un  certo  limite  di  tensione.  Da  noi,  per  esempio,  ci  sono  impianti  senza  trasfor- 
mazione, da  20,000  sino  a  30,000  volt  (a  30,000  volt  funzionano  dal  1906  gli  alternatori 
trifasi  deirimpianto  di  Sabiaco  della  Società  anglo-romana  di  Koma,  cosicché  la  corrente 
si  trasmette  con  questa  elevata  tensione  da  Subiaco  a  Roma,  senza  trasformatori  ;  eguale 
sistema  fu  seguito  nelVimpianto  successivo  di  Arci  del  1910). 


TRASPORTO    dell'energia 


ove  occorrano,  dalla  tensione  delle  macchine  a  quella  della  linea,  e  una 
linea  ad  alta  tensione;  salvo  ritrasformare  Talta  tensione  della  linea  in  una 
tensione  più  bassa  per  le  linee  di  distribuzione  nelle  strade  e  nei  fabbricati. 

Quanto  Tinvenzione  valesse,  fu  subito  dimostrato  durante  la  stessa  Espo- 
sizione colla  memorabile  trasmissione  fra  Torino  e  Lanzo,  fatta  e  controllata 
col  concorso  dei  più  celebri  elettricisti  del  tempo.  Una  prima  applicazione 
ne  fu  fatta  da  Gaulard  stesso  a  Tivoli  neiranno  successivo;  ma  il  vero  e 
grande  svolgimento  pratico  del  principio  di  Gaulard  cominciò  a  manifestarsi 
dalla  data  dell'Esposizione  di  Buda-Fest  del  1885,  dove  per  opera  della 
nota  ditta  Ganz  fu  fatta  la  prova  dei  nuovi  trasformatori  dovuti  a  Ziper- 
noskv,  Dery  e  Blathv,  che  al  sistema  di  trasformazione  ideato  da  Gaulard 
diedero  un  tipo  pratico  e  definitivo.  Quosti  trasformatori  servono,  come  si 
disse,  solamente  per  le  correnti  alternate,  tanto  per  elevare  quanto  per  ab- 
bassare la  tensione  della  corrente  primaria  in  essi  introdotta.  La  loro  teoria 
fu  svolta  in  un  classico  lavoro  di  Galileo  Ferraris. 

Ormai  lo  schema  della  trasmissione  a  distanza  dell'energia  elettrica  tro- 
vavasi  nettamento  disegnato.  I  diversi  particolari  che  si  vennero  mano  mano 
svolgendo,  non  fecero  che  perfezionarlo  ed  estenderne  la  portata.  Agli  alter- 
natori  a  corrente  alternata  semplice  si  sono  sostituiti  gli  alternatori  polifasi  : 
vale  a  dire  alternatori  nei  qnali  due  o  tre  correnti  alternate  monofasi  si 
sovrappongono  a  intervalli  regolari  in  un  medesimo  periodo.  Gli  alternatori 
trifasi  sono  quelli  generalmente  usati  oggi,  e  forniscono  una  corrente  che 
viene  portata  a  distanza  e  distribuita  per  mezzo  di  tre  fili  conduttori,  tras- 
formata, ove  occorra,  da  bassa  ad  alta  tensione,  mediante  trasformatori  cor- 
rispondenti (0*  La  prova  definitiva  di  questo  tipo  di  alternatori  fu  fatta  nel 
celebre  esperimento  fra  Laufen  e  Francoforte  del  1891,  quando  con  tre  fili  di 
4  mm.  di  diametro  si  trasmisero,  fra  le  due  stazioni,  300  cavalli  di  forza  a 
175  chilometri  di  distanza,  con  un  rendimento  di  72  a  75  Vo-  Fu  in  quella 
circostanza  che  si  dimostrò  la  grande  utilità  pratica  dei  motori  così  detti  asin- 
croni (che  ancora  oggi  costituiscono  da  noi  la  grande  maggioranza  dei  mo- 
tori in  uso  nei  trasporti  di  forza),  basati  sul  principio  del  campo  magnetico 
rotante,  detto  campo  Ferraris  dal  nome  del  nostro  illustre  scienziato  che  ne 
aveva  trovato  e  dimostrato  il  principio  qualche  anno  prima,  nel  1885.  È 
quindi  dal  1891,  si  può  dire,  che  data  il  tipo  più  generalmente  adottato 
per  la  trasmissione  elettrica  dell'energia  nei  grandi  impianti  moderni.  Esso 
possiede  qqasi  tutti  i  requisiti  che  l'industria  può  richiedere;  ma  dove  non 
soddisfa,  si  può  sempre  ricorrere  all'eccellente  motore  a  corrente  continua. 
A  tal  uopo,  basta  trasformare  la  corrente  alternata  in  corrente  continua  :  ciò  che 


(*j  II  sistema  bifase  fa  provato  da  Ferraris  nel  1886;  quanto  al  sistema  trifase,  non 
si  sa  con  certezza  se  fosse  proposto  prima  da  Dobrowolsky,  come  generalmente  si  ritiene, 
oppure  dairamericano  Tesla. 


8  GIUSEPPE   COLOMBO 


si  fa  per  mezzo  di  macchine  conyertitrìci  {convertitori)  dell'una  nell'altra 
corrente.  Questo  metodo  è  adottato  in  parecchi  casi  anche  in  Italia,  e  trova 
un  largo  impiego  specialmente  negli  impianti  americani  (^). 

La  regolazione  delle  reti  di  distribuzione  di  correnti  alternato,  si  fa 
mantenendo  costante  la  tensione  della  corrente  distribuita  e  yarìando  oppor- 
tunamente l'intensità  della  medesima  secondo  il  consumo.  Dalla  così  detta 
Centrale,  che  è  l'oficina  generatrice  della  corrente  distribuita,  si  sorveglia 
tutto  l'andamento  della  rete  mediante  i  quadri,  contenenti  gli  strumenti  in- 
dicatori e  gli  organi  di  regolazione,  a  seconda  delle  indicazioni  che  dai  punti 
principali  della  rete  vengono  trasmesse  alla  Centrale.  La  rete  stessa  è  in 
generale  alimentata  dalla  Centrale  per  mezzo  di  conduttori  o  fili  alimen- 
tatori che  portano  la  coiTente  in  punti  opportunamente  scelti  della  rete,  sulle 
indicazioni  dei  quali  è  regolata  la  distribuzione.  I  sistemi  di  distribuzione 
e  regolazione  possono  del  resto  modificarsi  secondo  i  casi. 

Siccome  il  così  detto  carico  della  rete  varia  ordinariamente  più  o  meno 
secondo  le  ore  della  giornata,  così,  per  utilizzare  più  che  è  possibile  l'energia 
disponibile,  la  quale  deve  provvedere  anche  ai  massimi  carichi  della  gior- 
nata, talvolta  molto  superiori  al  carico  medio,  giova  qualche  volta  intro- 
durre nella  rete  una  o  più  batterie  di  accumulatori.  Questi,  come  è  noto, 
constano  di  pile  secondarie  a  base  di  lastre  di  piombo,  le  quali  sono  veri 
serbatoi  d'elettricità,  immagazinandola  quando  la  fornitura  di  corrente  è  in 
eccesso  sul  consumo,  e  versandola  nella  rete  quando  il  consumo  diventa  su- 
periore alla  quantità  fornita  dalla  Centrale. 

Infiniti  piccoli  perfezionamenti  contribuirono  a  facilitare  sempre  più  le 
applicazioni  della  trasmissione  elettrica  dell'energia  ;  ma  fu  soprattutto  l'ele- 
vazione progressiva  della  tensione  sulle  dinamo  e  sulle  linee,  quella  che  per- 
mise di  trasmettere  l'energia  a  distanze  dapprima  ritenute  irraggiungibili,  in 
condizioni  economiche  sèmpre  migliori.  Nei  primi  tempi  di  queste  applica- 
zioni, 3000  a  4000  volt  sulle  dinamo  e  5000  a  6000  sulle  linee  sembra- 
vano i  massimi  limiti  possibili.  L'installazione  di  Tivoli,  aperta  all'esercizio 
nel  1892,  funzionava  a  5000  volt;  in  quella  di  Paderno,  del  1898,  che  fu 
la  più  grande  installazione  del  tempo,  la  tensione  sulle  macchine  e  sulla 
linea  veniva  stabilita  a  14,000  volt,  e  parve  im  grande  ardimento;  in  Cali- 
fornia si  tentarono  dappoi  le  prime  linee  a  tensioni  maggiori,  sino  a  30  o 
40  mila  volt  (•),  e  si  descrissero  i  fenomeni   impressionanti  (stridore,   visibi- 

(^)  Non  ostante  la  generale  diffusione  del  sistema  trifase,  esistono  ancora  impianti  a 
corrente  alternata  semplice  o  monofase.  I  primi  impianti  di  trasmissione  in  Italia  furono 
fatti  con  correnti  monofasi  a  Roma,  a  Milano,  a  Venezia,  a  Palermo  e  altrove;  ma  furono 
bentosto  surrogati  da  impianti  trifasi  dappertutto,  salvo  in  qualche  caso  speciale,  come  a 
Palermo  per  la  Società  sicula  Imprese  elettriche, 

(')  Si  assicura  però  che  la  tensione  di  30.000  volt  sia  stata  adottata  per  la  prima 
volta  io  Italia  sulla  linea  elettrica  Cenisio-T orino  nel  1902. 


TRASPORTO   dell'energia 


lità  notturna  dei  fili  nella  linea  di  Telluride  a  59  mila  yolt)  che  si  mani- 
festavano per  le  fughe  di  corrente  dai  fili  aerei  alla  terra;  oggi,  grazie  so- 
prattutto al  perfezionamento  degli  isolatori  sostenenti  i  fili,  si  può  andare 
normalmente  a  65-75  mila  volt  (impianto  deirAdamello)  e  anche  a  80,000 
(nuovo  impianto  sul  Pescara),  e  persino  a  135,000  volt  (Oook  Falls,  Michigan). 
Corrispondentemente  all'aumento  del  voltaggio,  le  distanze  alle  quali  si  può 
economicamente  trasmettere  l'energia  elettrica  sono  andate  aumentando,  dai 
primi  35  o  40  chilometri  che  apparivano  un  ardimento  all'epoca  dell'im- 
pianto di  Paderno,  ai  150  chilometri  dell'impianto  comunale  milanese,  ai 
160  chilometri  di  quello  del  Toce,  ai  180  km.  del  trasporto  di  Brusio  della 
Società  lombarda,  e  alle  300  miglia  della  linea  americana  dell'Ontario,  con 
tesate  dapprima  di  50  e  60  m.,  poi  sino  a  180  e  280  m.,  come  da  noi  sulle 
linee  dell' Adamello  e  del  Brembo  (^).  Ed  è  probabile  che  questi  limiti  sa- 
ranno superati. 


IL 
Forze  idrauliche  italiane. 

L'Italia,  circondata  dalle  Alpi  e  percorsa  nella  sua  lunghezza  dall'Ap- 
pennino, è  uno  dei  paesi  più  ricchi  d'acqua  e  di  alte  cadute.  La  regione  più 
ricca  è  la  valle  del  Po,  i  cui  confluenti  provenienti  dalle  Alpi  hanno  una 
abbondanza  d'acqua  e  una  regolarità  di  regime  assai  maggiori  di  quelli  pro- 
venienti dall'Appennino;  ma  non  mancano  d'importanza  anche  i  corsi  d'acqua 
che  scendono  dall'Appennino  verso  TAdriatico  da  una  parte  e  il  Tirreno  dal- 

(')  Potrà  riuscire  interessante  di  conoscere  i  dati  più  importanti  nel  rigaardo  della 
distanza  di  trasmissione,  degli  alti  voltaggi  adottati  e  delle  proporzioni  delle  dinamo 
usate  nei  più  recenti  impianti  per  trasporto  di  energia. 

La  più  alta  tensione  adottata  sinora  ò  quella  del  trasporto  d^energia  dalle  Cook 
Falls  (Michigan)  a  Battio  Creek:  si  trasportano  9000  kw.  alla  tensione  di  135,000  volt  su 
una  linea  di  190  miglia  (più  di  800  km.).  —  A  110,000  volt  funzionano  le  linee  delPOntario 
River  (30,000  kw.  trasportati  a  800  miglia),  della  Grand  Rapids  Muskegon  Power  Co. 
(10,000  kw.  a  50  miglia),  delle  De  Moines  Rapids  of  Mississipi  River  aS.t  Louis  (75,000  kw. 
a  140  miglia)  e  dell'Ohio  Brass  Co.  —  A  100,000  volt  sono  le  linee  della  Southern 
Power  Co.  (65,000  kw.)  e  della  Central  Colorado  Co.  (10,000  kw.  a  153  miglia).  -  Tutte 
queste  linee  di  altissima  tensione  sono  fornite  di  piitenti  isolatori  a  sospensione,  di  nuovo 
modello,  con  alti  pali  e  lunghe  tesate  da  160  sino  a  370  m.  Questi  impianti  trovansi 
nel  Nord* America. 

La  potenza  delle  così  dette  uniti,  ossia  dei  singoli  alternatori  colle  rispettive  tur- 
hine  motrici,  è  anche  andata  sempre  aumentando,  sino  a  più  di  10,000  e  anche  sino  a 
15,000  l-p  (Centrale  di  Rjukan,  Svezia),  con  cadute  che  vanno  fino  a  500  m.  e  anche  molto 
di  più  (impianto  italiano  deirAdamello,  900  e  470  m). 


10  GIUSEPPE    COLOMBO 


Taltra:  il  Keno,  il  Pescara,  rOfì&nto,  TArno,  il  Volturno.  Meno  importanti 
sono  i  corsi  d  acqua  delle  isole,  salvo  quelli  della  regione  Etnea  e  pochi 
altri  corsi  minori. 

L'ammontare  totale  della  forza  praticamente  ricavabile  da  questi  corsi 
d'acqua,  è  stato  diversamente  valutato. 

Tenendo  conto  soltanto  delle  cadute  effettivamente  utilizzabili,  l'autore 
di  queste  note  lo  ha  calcolato  e  lo  calcola  tuttora  nella  misura  approssimata 
di  3  milioni  di  cavalli;  questa  valutazione  non  si  discosta  molto  da  quelle 
ottenute  con  diversi  criteri  da  altri.  Infatti  risulta  dagli  studi  fatti  da  una 
Commissione  nominata  nel  1898  presso  il  Ministero  delle  Finanze,  che  la  totale 
forza  idraulica  italiana  si  riteneva  ammontasse  a  2,642,000  cavalli,  tenendo 
conto  delle  sole  cadute  montane  ;  e  che  tenendo  conto  anche  delle  altre  cadute 
possibili,  si  arrivava  ad  oltre  5  milioni  di  cavalli.  Alla  cifra  di  2,642,000  YP 
contribuirebbero  il  Piemonte  eia  Liguria  per  il  24 Voi  il  Lombardo- Veneto 
per  circa  15  Voi  l'Italia  centrale  pel  25  Voi  l'Italia  meridionale  e  le  isole 
per  il  resto  ;  ma  su  questa  ripartizione  si  possono  fare  delle  riserve.  Un^altra 
valutazione  fu  annunciata  nel  1900  nella  Esposizione  finanziaria  dal  mini- 
stro del  Tesoro,  on.  Rubini;  essa  dà  un  totale  di  2,162,764  cavalli  dispo- 
nibili, tenendo  conto  dei  salti  che  si  possono  utilizzare,  mentre  la  forza  ef- 
tivamente  utilizzata  fino  a  queiranno  ammonterebbe  soltanto  a  491,203 
cavalli.  Vi  contribuirebbero,  in  cifre  tonde,  l'Italia  settentrionale  pel  37,1  Vo 
della  forza  utilizzata  e  pel  38  V«  ^/o  ^^^^^  f<>i*za  utilizzabile,  l'Italia  centrale 
rispettivamente  per  42,3  e  22,5  Vo  i  l'Italia  meridionale  pel  19,1  e  ^2,5  Vo  i 
le  isole  per  1,5  e  6,5  Vo* 

Cifre  degne  di  osservazione  sono  pur  quelle  pubblicate  dall'  ìng.  Perdoni 
nel  1902,  che  son  frutto  di  una  diligente  indagine.  Esse  si  riferiscono  solo  all'Italia 
continentale,  e  comprendono  744  corsi  d'acqua  colle  loro  portate  in  magra 
ordinaria  e  massima,  e  le  loro  cadute  utilizzabili.  L'elenco  dà  una  portata 
complessiva  di  3300 m^  al  V  in  magra  ordinaria,  e  750 m^  in  massima  magra; 
e  una  forza  complessiva  disponibile,  in  cifre  tonde,  di  19,700,000  hP  nel 
primo  caso  e  di  4,650,000  FP  nel  secondo,  ritenendo  che  le  cadute  utiliz- 
zabili, assegnate  per  cadaun  corso  d'acqua,  sieno  fra  200  e  900  m.  Questa 
valutazione  pècca  probabilmente  in  eccesso,  soprattutto  neirapprezzamento 
delle  cadute  disponibili,  cosicché  essa  può  valere  come  un  limite  massimo, 
mentre  gli  apprezzamenti  ufficiali  del  1898  e  del  1900  possono  rappresen- 
tare un  limite  minimo.  Chi  scrive  è  quindi  tanto  più  proclive  a  ritenere 
attendibile  la  cifra  di  3  milioni  di  cavalli  disponibili  per  tutto  Tanno,  de- 
tcrminata con  criteri  più  ristretti  di  quelli  adottati  dall'  ing.  Perdoni  quanto 
alle  cadute  disponibili.  In  questo  apprezzamento  concorda  anche  Ton.  Nitti 
nel  suo  rimarchevole  lavoro  su  Le  forze  idrauliche  dell'Italia.  Quanto  ad 
altri  apprezzamenti  sommari,  che  farebbero  salire  la  forza  disponibile  in  Italia 
a  6  e  persino  a  10  milioni  di  cavalli,  non  pare  sia  il  caso  di  prenderli  in 


TRASPORTO   dell'energia  11 


considerazione,  a  meno  che  non  incladano  anche  le  forze  di  problematica 
utilizzazione. 

So  calcolazioni  di  questa  natura  sono  incerte  fra  noi,  non  lo  sono  meno 
presso  le  nazioni  vicine.  Così  in  Francia,  per  esempio,  che  ha  nella  regione 
alpina  grandi  riserve  di  forza  idraulica,  regnano  dispareri  suirapprezzamento 
delle  forze  disponibili;  Ting.  Bene  Tavernier  le  valuta  a  5  milioni  di  ca- 
valli per  la  regione  alpina,  e  a  10  milioni  per  tutta  la  Francia:  ma  questa 
ultima  cifra  è  stata  contestata  e  ridotta  a  6  milioni  e  anche  meno.  Nella  Sviz- 
zera la  forza  disponibile  fu  valutata  a  circa  580.000  KP  in  acque  medie  e  a 
circa  250.000  in  magra,  e  non  è  improbabile  che  la  valutazione  sia  piuttosto 
inferiore  che  superiore  al  vero. 

Per  farsi  un  concetto  esatto  della  forza  totale  idraulica  disponibile  in 
Italia,  bisogna  tener  conto  di  un*  importante  considerazione.  È  prudente  di 
basarsi  sulle  minime  magre  :  ma  ciò  non  è  né  esatto,  nò  praticamente  sempre 
rispondente  al  vero. 

Quando  le  magre  minime  hanno  un  periodo  breve  di  durata  nell'anno, 
è  evidente  che  converrà  sempre  contare  sulle  magre  ordinarie  ed  anche  su 
un  regime  superiore  alla  magra  ordinaria,  salvo  supplire  alle  deficienze  con 
un  motore  sussidiario  termico,  a  vapore  o  ad  essenza  ;  e  ciò  tanto  più  in  quanto 
in  parecchi  casi,  come  per  esempio  negli  impianti  di  illuminazione  pubblica, 
una  Centrale  è  di  regola  provveduta  di  una  o  più  macchine  termiche  di  scorta. 
Il  motore  termico  serve  cosi  da  integratore  della  forza  idraulica,  specialmente 
quando  il  consumo  di  forza  è  molto  variabile  durante  la  giornata.  Conviene 
allora  figurarsi  il  diagramma  del  consumo,  ed  eliminarne  le  punte,  cioè  i  pe- 
riodi di  eccesso  di  consumo  in  confronto  alla  media  normale,  coir  introduzione 
della  forza  motrice  sussidiaria  termica  e  anche,  se  occorre,  di  batterie  di 
accumulatori.  Questa  forza  sussidiaria  può  quindi  permettere  di  basarsi  su 
un  regime  superiore  a  quello  delle  massime  magre. 

Ma  v*ha  di  più.  Se  le  condizioni  delle  valli  dove  fluisce  il  corso  d'acqua 
lo  permettono,  si  possono  utilizzare  come  serbatoj  i  laghi  montani  esistenti 
nella  località  della  presa  d'acqua,  oppure  sbarrare  e  convertire  in  serbatoio  o 
lago  artificiale  un  tmtto  della  valle,  per  accumulare  le  acque  eccedenti  l'eroga- 
zione in  tempi  di  morbida  e  di  piena,  e  lasciarle  effluire  nei  periodi  di  magra. 

Così,  secondo  la  capacità  del  serbatoio,  il  regime  del  fiume,  e  il  regime 
della  Centrale,  può  esser  possibile  di  utilizzare  un  corso  d'acqua  con  una  portata 
costante,  più  o  meno  superiore  alla  minima.  Di  questi  serbatoj  gli  impianti 
elettrici  italiani  hanno,  come  si  vedrà  in  seguito,  interessanti  esempi.  Natu- 
ralmente, la  creazione  di  simili  serbatoj  non  si  fa,  se  non  quando  le  ingenti 
spese  che  essa  esige  trovino  un  compenso  adeguato  nella  maggior  ener- 
gia idraulica  continua,  della  quale  si  può,  grazie  a  loro,  disporre. 

È  certo  dunque,  che,  tenendo  conto  delle  suesposte  circostanze,  Y  indu- 
stria nazionale  potrà  trarre  dai  corsi  d'acqua  un'energia  notevolmente  mag- 


12  GIUSEPPE   COLOMBO 


giore  dei  tre  milioni  di  cavalli  che  probabilmente  rappresentano  la  forza 
disponibile  nel  regime  di  magra. 

Coir  abbondanza  di  forze  idrauliche  che  il  nostro  paese  possiede,  è  na- 
turale che  gli  impianti  di  trasmissione  d'energia  mossi  dal  vapore,  o  in  ge- 
nerale da  motori  termici,  debbano  formare  minoranza;  e  infatti,  mentre  il 
primo  impianto  elettrico  fatto  in  Italia  nel  1882  a  Milano  fu  a  vapore,  alla 
fine  del  1898,  sopra  2264  impianti,  ce  n'erano  1121  a  vapore  o  a  gas,  e 
1143  idraulici  o  misti,  con  65.000  cavalli  idraulici  e  52.000  termici;  e  alla 
fine  del  1908  si  riteneva  che  sopra  un  totale  di  circa  760.000  cavalli,  ce  ne 
fossero  610.000  idraulici  contro  150.000  termici  (*).  Per  quanto  si  dirà  in 
seguito,  questa  proporzione  dovrebbe  essere  alquanto  modificata;  ma  in 
ogni  modo,  tenendo  conto  della  circostanza  che  oggi  i  motori  termici  si  usano 
nella  maggior  parte  dei  casi  come  riserva,  o  come  complemento  alla  deficienza 
eventuale  delVacqua,  si  vede  l'aumento  continuo  deir utilizzazione  delle  forze 
idrauliche  disponibili,  in  confronto  air  impiego  diretto  dei  motori  termici  ('). 

In  queste  circostanze,  la  migliore  utilizzazione  dell'acqua  per  animare  i 
generatori  elettrici  doveva  apparire,  come  apparve,  una  questione  di  primaria 
importanza.  Ora,  al  principio  di  questo  fecondo  periodo  1888-1909,  erano  in 
uso  eccellenti  motori  idraulici  che  utilizzavano  le  moderate  cadute,  dalle 
quali  bastava  trarre  partito,  poiché,  non  essendoci  mezzi  pratici  per  portare 
e  distribuire  l'energia  a  distanza,  ogni  opificio  doveva  avere  il  proprio 
motore.  Ma,  risolto  il  problema  di  trasportare  Tenergia  a  considerevoli  di- 
stanze, la  questione  tecnica  cambiò  radicalmente  d'aspetto;  non  più  singoli 
impianti  disseminati  lungo  un  corso  d'acqua,  cadauno  utilizzando  la  propria 
frazione  di  caduta,  ma  grandi  impianti  centrali,  utilizzanti  la  massima  forza 
disponibile  dell'acqua  lungo  il  suo  corso  o  lungo  la  parte  più  importante  del 
suo  corso,  e  quindi  con  la  più  grande  caduta  possibile,  per  distribuirla  su  una 
intera  regione. 

Dell'antica  ruota  idraulica,  il  primo  motore  ad  acqua  conosciuto, 
cantato  da  Antiparo  non  si  parla  ormai  più;  e  i  motori  più  moderni,  le 

(*J  Queste  cifre  della  fine  del  1908  sono  state  date  dalTing.  Semenza  in  una  rimar- 
chevole lettura  fatta  al  Congresso  degli  ingegneri  e  architetti  italiani  a  Firenze  nel  1909. 

(*)  I  motori  termici  applicati  negli  impianti  elettrici,  sono  per  ora,  in  maggioranza, 
motori  a  vapore:  a  cilindro  sino  ad  alcuni  anni  fa,  poi  a  turbina  dopo  il  successo  di  questi 
nuovi  motori,  che  si  prestano  mirabilmente  all'applicazione  alle  macchine  dinamo-elet- 
triche; tanto  che,  dairunione  sullo  stess'o  asse  di  una  turbina  a  vapore  e  di  un  alterna- 
tore, è  nato  il  turbo-alternatore ^  ormai  esclusivamente  adottato  nei  grandi  impianti,  co- 
stituendo MxCunità  che  può  raggiungere  parecchie  migliaia  di  cavalli.  Per  gli  impianti 
minori  si  usano  frequentemente  i  motori  a  combustione  interna,  tipo  Langen-Wolf;  ma 
ora,  in  seguito  al  successo  dei  motori  Diesel,  che,  per  il  buon  mercato  degli  idrocarburi 
impiegati,  danno  il  cavallo  a  un  prezzo  molto  ridotto,  non  è  improbabile  che  questi  motori 
trovino  larga  applicazione  anche  in  impianti  di  assai  mag^giore  potenza  di  quelli  cui  si 
applicavano  i  motori  Langen-Wolf. 


TRASPORTO    dell'energia  18 

turbine  Fontaine  e  Jonval  e  le  stesse  turbine  Girard,  non  essendo  più  adatti 
alle  nuove  condizioni  del  problema,  son  pressoché  caduti  in  disuso  ;  e  il  loro 
posto  è  stato  preso  dalle  turbine  Francis  e  dalle  ruote  Pelton,  atte  a  smal- 
tire grandi  volumi  d'acqua,  con  cadute  comunque  elevate  (sino  a  900  m.  nel 
primo  salto  dell'Adamello).  La  ditta  Biva  di  Milano  si  è  fatta  una  distinta 
specialità  di  questi  nuovi  motori  (^).  Cosi  la  meccanica  idraulica  ha  seguito 
di  pari  passo  il  progresso  dell'elettrotecnica.  E  anche  la  scienza  delle  cosb'u- 
zioni,  messa  a  fronte  dei  nuovi  problemi  che  esigono  grandi  sbarramenti, 
canali  e  condotti  di  dimensioni  più  che  ordinarie  (*),  e  disposizioni  speciali 
per  convogliare  e  regolare  Tacqua  motrice,  ha  sviluppato  nuove  e  poderose 
risorse  ;  fi-a  queste  bisogna  annoverare  V  impiego  dei  serbatoj  naturali  e  ar- 
tificiali, ai  quali  si  è  accennato  poc'anzi,  che  ha  avuto,  in  molti  casi  in  cui 
era  possibile,  ingegnose  applicazioni,  con  risultati  economici  considerevoli  (^). 


ILI. 
Primi  impianti  italiani. 

Prima  di  conoscere  lo  stato  attuale  delle  applicazioni  elettriche  in  Italia, 
può  apparire  interessante  di  seguirne  i  primi  passi  in  ordine  storico. 

Fu  nel  1882  che  Edison  attivò  la  prima  Centrale  elettrica  a  New  York 
nella  Pearl  Street,  dopo  una  prima  prova  di  Centrale  installata  provvisoria- 
mente per  breve  tempo  alVHolborn  Viaduct  di  Londra.  In  quell'anno  si  era 
costituito  a  Milano  un  Comitato  promotore,  per  incarico  del  quale,  chi  scrive, 
potè'  studiare  sul  luogo  V  impianto  di  New  York  e  riprodurlo  poi  in  più  larga 
scala  a  Milano  nell'area  dell'antico  teatro  di  S.  Badegonda.  Queir  impianto, 
primo  in  Italia  ed  anche  in  Europa,  non  essendo  stato  quello  deirHolborn 
Viaduct  che  una  piccola  installazione  d'esperimento,  cominciò  a  funzionare 
nel  1883  e  inaugurò  la  sua  attività  coli' illuminazione  elettrica  del  centro 
della  città  e,  subito  dopo,  coU'illuminazione  del  teatro  Manzoni,  e  più  tardi 

('}  Questa  ditta,  già  Riva  e  Monneret,  ha  costrutto,  sino  ad  oggi,  circa  1700  motori, 
fra  turbine  e  ruote  Pelton,  per  una  forza  complessiva  di  600  mila  cavalli  (con  diversa 
potenza,  sino  ai  12.000  cavalli  di  cadauna  delle  ruote  Pelton  per  la  Centrale  di  Grossotto 
del  municipio  di  Milano).  Essa  ha  fornito  due  turbine  di  3000  cavalli  Tuna,  anche  per  un 
impianto  sul  Niagara. 

(*)  Il  nuovo  impianto  sul  Pescara  ha  tubi  di  2100  e  2800  mm.  di  diametro  ;  quello 
già  Crespi,  a  Verona,  tubi  di  2400,  e  di  2500  quello  della  Società  bergamasca. 

(*)  Yedansi  più  avanti,  a  questo  proposito,  i  serbatoj  degli  impianti  dell'Acquedotto 
De  Ferrari  Galliera,  delPAdamello,  di  Brusio,  dellldro-elettrica  ligure  e  di  altri.  Quello 
deIÌ*Idro*elettrica  ligure  si  distingue  dagli  altri,  se  non  per  le  proporzioni,  per  T  inge- 
gnosità delle  sue  disposizioni. 


14  GIUSEPPE   COLOMBO 


con  quella  del  teatro  della  Scala.  Esso  aveva  nove  dinamo  Edison  a  corrente 
continua,  dello  stesso  tipo  Jumbo  che  contemporaneamente  funzionava  a  New 
York,  e  restò  in  attività  per  alcuni  anni  con  caldaie  americane  Babcock- 
Wilcox  e  motrici  a  vapore  Armington-Sims  e  Porter-AUen,  direttamente 
accoppiate  alle  dinamo. 

Il  Comitato  promotore  milanese  si  trasformò  più  tardi  nell* attuale 
Società  Edison,  ma  di  quel  primitivo  impianto  non  ci  è  ora  più  traccia  ;  il 
nuovo  impianto  fu  fatto  a  Porta  Volta,  e  S.  Badegonda  non  accoglie  più 
che  i  convertitori  e  le  batterie  di  accumulatori.  Prima  ancora  della  costru- 
zione della  Centrale  di  S.  Radegonda  colle  macchine  Jumbo,  un  minuscolo 
servizio  d' illuminazione  era  stato  fatto  nel  vecchio  locale  del  teatro  con  una 
piccola  dinamo  Edison,  che  la  Società  tuttora  conserva  come  ricordo  storico  (0. 

Dopo  questa  prima  applicazione  in  Italia  della  trasmissione  di  enei^ia 
a  scopo  d'illuminazione  col  mezzo  di  una  corrente  continua,  e  in  seguito 
all'Esposizione  di  Torino  del  1884,  come  fu  detto  avanti,  comparvero  i  primi 
trasformatori  Gaulard.  Una  prima  applicazione  di  questi  fu  fatta  in  un  pic- 
colo impianto  d' illuminazione  elettrica  a  Tivoli  nel  1885.  Un  anno  più  tardi, 
nel  1886,  fu  inaugurata  a  Roma  T  illuminazione  elettrica  con  corrente  alter- 
nata e  trasformatori  Ganz  all'ofiScina  dei  Cerchi  della  Società  anglo-romana 
d' illuminazione.  Nel  1887  un  simile  impianto  fu  fatto  a  Palermo,  a  Treviso 
e  a  Terni;  nel  1888  e  nel  1889  a  Livorno,  Torino  ed  altre  città  minori,  e  si 
cominciò  anche  a  trasformare  in  parte  l'antica  Centrale  Edison  di  Milano  con  la 
corrente  alternata  e  coi  trasformatori.  Nel  1890,  per  iniziativa  di  una  Società 
locale,  fu  attivata  la  Centrale  a  corrente  alternata  per  l' illuminazione  elet- 
trica del  centro  di  Venezia,  che  riuscì  a  meraviglia  anche  dal  punto  di  rista 
finanziario  enduro  sino  a  che  fu  assorbita  dalla  Società  del  Cellina  nel  1905. 
In  quel  tórno  di  tempo,  anche  Napoli  ebbe  un  impianto  d*  illuminazione  elet- 
trica. Tutti  questi  impianti,  fatti  dopo  il  1885,  furono  a  corrente  alternata, 
e  quindi  fu  e  rimase  un'eccezione  la  rimarchevolissima  installazione  fatta  a 
Isoverde  presso  Genova,  nel  1889,  dal  ginevrino  Thury,  con  corrente  continua, 
della  quale  già  fu  tenuta  parola,  per  la  Società  De  Feri-ari-GalIiera. 

Fino  al  1891  le  applicazioni  deirelettricità  si  erano  limitate  alla  pub- 
blica e  privata  illuminazione;  quanto  al  trasporto  di  energia  con  corrente 
alternata,  questo  non  fu  inaugurato  in  Italia  che  nel  1892,  nel  quale  anno 
cominciò  a  funzionare  il  trasporto  da  Tivoli  a  Roma,  a  25  chilometri  di 
distanza,  di  2000  cavalli  derivati  da  quelle  celebri  cascate,  coir  impiego  della 
corrente  alternata  semplice,  sistema  Ganz,  per  opera  della  Società  anglo-ro- 
mana per  l'illuminazione  di  Roma. 


C)  Fu  in  quel  tórno  di  tempo  che  la  Società  Edison  fece  le  prime  applicazi<ìni  della 
luce  elettrica  a  bordo  di  tre  grandi  piroscafi  della  Società  Ragtpo:  il  Sirio,  TOrione  e  il 
Perseo. 


TRASPORTO   dell'energia  15 

Fu  il  primo  trasporto  di  energia  a  notevole  distanza  fatto  colla  corrente 
alternata  ;  cosicché  quest'  impianto  e  quello  a  corrente  continua  di  Isoverde, 
del  1889,  furono  le  prime  grandi  manifestazioni  nel  mondo,  dopo  gli  esperimenti 
più  scientifici  che  pratici  di  Creil  e  di  Laufen,  del  nuovo  progresso,  che 
doveva  cambiare  radicalmente  indirizzo  ali*  industria  moderna.  Non  è  un 
piccolo  merito  dello  spirito  d'intrapresa  dell'industria  italiana. 

Dopo  questi  impianti,  un  altro  venne  a  completare  la  serie  dei  pro- 
gressi compiuti  in  Italia  nel  traspoi-to  deirenergia:  e  fu  quello  di  Pa- 
derno,  aperto  airesercizio  dalla  Società  Edison  di  Milano  nel  1898,  con 
corrente  trifase  alla  tensione  di  14.000  volt,  trasportando  a  Milano,  a  35  chi- 
lometri di  distanza,  13.000  cavalli  di  forza  idraulica  attinti  alle  rapide  del- 
l'Adda in  quella  località.  Fu  e  rimase  per  qualche  tempo  il  più  importante 
trasporto  di  energia  in  Italia  e  fuori.  Così,  con  questo  e  coi  due  trasporti  di 
Isoverde  e  di  Tivoli,  si  compì  in  Italia  il  ciclo  delle  applicazioni  delle  me- 
ravigliose scoperte  fatte  in  questo  campo  da  Pacinotti,  da  Ferraris  e  da  tanti 
altri  illustri  inventori  stranieri. 

Dopo  l'applicazione  di  Paderno,  la  corrente  trifase  dominò  esclusivamente 
n^li  impianti  che  successivamente  si  fecero  in  Italia  ;  anzi,  gli  stessi  im- 
pianti di  Isoverde  e  di  Tivoli,  furono,  pochi  anni  dopo  la  loro  attuazione,  in- 
teramente trasformati  a  corrente  trifase. 

È  venuto  quindi  il  momento  di  esporre  coi  necessari  particolari  le  principali 
installazioni  elettriche  italiane.  Esse  consistono,  per  la  maggior  parte,  in  tras- 
porti di  energia  per  distribuzione  di  forza  agli  stabilimenti  industriali  e 
per  servizi  cittadini  di  illuminazione  e  tramvie;  per  una  pai-te  minore,  ma 
pur  notevole,  per  la  locomozione  sulle  ferrovie  e  sulle  linee  tramviarie  e 
Buburbane;  e  infine,  per  una  parte  molto  più  ristretta,  alle  industrie  chimi- 
che e  metallurgiche  che  Tutilizzano  direttamente  senza  intermediari  di  mo- 
tori. È  di  queste  diverse  categorie  di  applicazioni  che  tratteranno  i  seguenti 
capitoli,  nei  quali,  piuttosto  che  seguire  l'ordine  d'importanza  dei  relativi 
impianti,  si  è  creduto  più  opportuno  seguire  l'ordine  per  regioni:  ciò  che 
corrisponde  anche  a  un  concetto  geografico  in  quanto  riguarda  la  ripartizione 
naturale  delle  forze  idrauliche  utilizzate  dalla  maggior  parte  degli  impianti 
italiani  (^). 


(*)  Nella  seguente  rassegna  degli  impianti  elettrici  italiani,  furono  consultati  con 
frutto:  innanzi  tutto,  la  prima  Statistica  degli  impianti  elettrici  in  Italia  alla  fine  del 
1898,  pubblicata  dal  Ministero  di  agricoltura  industria  e  commercio  ;  poi  le  Sotiiie  sugli 
impianti  elettrici  autorizzati  nel  1906,  1907,  1908,  1909,  pubblicate  dallo  stesso  Mini- 
stero per  cura  deirispettorato  generale  dell* industria  e  del  commercio;  e  infine  numerose 
pubblicazioni  primate,  e,  prime  fra  tutte,  le  quasi  complete  e  interessantissime  Notizie  sui 
principali  impianti  elettrici  d'Italia,  pubblicate  nel  1910  dairAssociazione  fra  esercenti 
imprese  elettriche  in  Italia,  e  le  recenti  monografie  della  Direzione  generale  delle  Fer- 
rovie dello  Stato  sulla  Trasione  elettrica  sopra  le  ferrovie  italiane. 


16  GIUSEPPE    COLOMBO 


IV. 

Principali  impianti  attaali. 

Gli  impianti  elettrici  attuali  8i  dividono  in  diverse  categorie.  I  più 
grandi  sono  quelli  che  hanno  per  scopo  la  distribuzione  deirenergia  nelle 
città  principali  e  in  regioni  più  o  meno  estese  ;  essi  rappresentano  probabil- 
mente i  quattro  quinti  circa  della  totalità  deirenergia  elettrica  prodotta  in 
Italia.  Poi  vengono,  in  ordine  di  importanza,  le  installazioni  elettriche  an- 
nesse agli  opifici  industriali,  i  quali  hanno  per  iscopo  principale  il  servizio 
degli  opifici  stessi,  e,  in  via  di  eccezione,  quelle  della  distribuzione  nelle  lo- 
calità immediatamente  contigue;  e  infine  le  installazioni  municipali,  fatte 
per  servire  alla  distribuzione  dell'energia  per  illuminazione  in  servizio  del- 
l'industria nei  centri  minori,  per  opera  dei  Comuni  o  di  privati  intrapren- 
ditori. 

Dei  primi  non  è  difficile  di  fare  una  statistica  approssimata  ;  degli  altri 
non  è  possibile,  essendovi  una  lacuna  di  sette  anni,  nelle  statistiche  ufficiali, 
sopra  un  periodo  di  28  anni.  Perciò  nelle  note  che  seguono  si  terrà  conto 
soltanto  della  prima  categoria,  limitandoci  a  pochi  cenni  sulle  altre  due, 
salvo  valutarne  l'importanza  complessiva  nel  riassunto  del  Capo  Vili. 

1.  Alta  Italia. 

Il  più  importante  gruppo  degli  impianti  idro-elettrici  italiani  appartiene 
naturalmente  alla  valle  del  Po.  A  questa  regione  conviene  però  annettere 
anche  la  Liguria,  benché  idrograficamente  non  abbia  rapporti  con  essa; 
perchè  non  solo  le  Alpi  liguri  lungo  la  Riviera  di  Ponente  si  connettono 
al  sistema  alpino  d'onde  la  valle  del  Po  trae  le  sue  principali  risorse,  ma 
alcuni  dei  principali  impianti  liguri  utilizzano  acque  appartenenti  al  versante 
settentrionale  dell'Appennino  e  quindi  tributarie  del  Po.  Per  ragioni  d' indole 
diversa  dalle  ragioni  idrografiche,  la  valle  del  Po  e  la  Liguria  sono  anche 
le  regioni  italiane  dove  l' industria  è  più  attiva  ;  per  cui  esse  rappresentano 
pure  in  Italia  la  parte  più  importante  anche  negli  impianti  termoelettrici. 

Il  Piemonte,  circondato  come  è  dalle  più  elevate  cime  delle  Alpi,  è  evi- 
dentemente una  delle  regioni  italiane  più  ricche  d'acqua;  e  di&tti  dalle 
Alpi  Graie,  Cozie  e  Pennino  trae  le  forze  motrici  dei  suoi  principali  impianti, 
utilizzando  le  acque  del  Po,  della  Dora^  della  Stura,  del  Tanaro  e  di  altri 
corsi  minori. 


TRASPORNO   dell'energia  17 

La  Società  anonima  Elettricità  Alta  Italia,  fondata  nel  1896,  ha 
attualmente  sei  Centrali  idro-elettriche:  una  sul  torrente  Chiusella  (Ivrea), 
una  sulla  Dora  Riparia  a  Bussoleno,  due  a  Pian  Funghera  in  Valle  di  Lanzo 
e  tre  a  Ceres  sulla  Stura.  In  totale,  l'energia  prodotta  da  queste  Centrali 
ammonta  a  circa  1 5,000  t-P  (11,000  kw).  Ha  due  impianti  termoelettrici  a 
Torino,  per  circa  10,000  hP,  con  batterie  di  accumulatori;  e  un  altro  pic- 
colo impianto  termoelettrico  a  Biella.  La  Società  prende  anche  4800  KP 
dalla  Società  per  le  forze  idrauliche  del  Moncenisio,  della  quale  si  dirà 
in  appresso.  Tutta  questa  energia  è  distribuita  nel  Biellese,  nel  Canavese  e 
a  Torino,  dove  una  parte  della  corrente  tri&se  fornita  dalie  Centrali  è  con- 
vertita in  corrente  continua  per  V  illuminazione  e  per  le  tramvie  municipali 
e  delle  Società  belga  e  torinese. 

h* Azienda  elettrica  municipale  della  città  di  Torino  ha  iniziato  in 
Italia  la  municipalizzazione  del  servizio  elettrico  nelle  grandi  città  :  impresa 
che  fu  vivamente  dibattuta,  ma  che,  in  omaggio  alle  tendenze  municipaliz- 
zatrici  moderne  e  non  ostante  la  poco  felice  esperienza  fatta  in  altri  paesi 
pur  meglio  adatti  del  nostro  a  simili  esperienze,  come  gli  Stati  Uniti  e 
r  Inghilterra,  fu  accolta  dalla  maggioranza  e  diede  la  spinta  a  simili  inizia- 
tive in  altri  grandi  Comuni.  La  Centrale  dell' impianto  è  a  Chiomonte  sulla 
strada  del  Cenisio,  e  utilizzerà  per  circa  14,000  t-P  l'acqua  della  Doria  Ri- 
paria. La  corrente  sarà  prodotta  a  8000  volt  ed  elevata  a  50,000  per  man- 
darla a  Torino  a  55  km.  di  distanza  ;  a  Torino  sarà  ritrasformata  a  6600  volt. 
Nella  Centrale  di  Torino  è  installato  un  impianto  a  vapore  di  circa  10,000  KP 
con  turbo-alternatori;  è  questo  l'impianto  ora  in  esercizio,  mentre  quello 
idraulico  è  ancora  in  costruzione  (^).  Da  questa  Centrale  partono  due  con- 
dutture, una  per  la  forza  ed  una  per  la  luce  con  una  rete  di  160  km.,  dalla 
quale  la  corrente  è  attinta  dai  consumatori  con  linee  aeree  dopo  ritrasforma- 
zione da  6600  volt  a  tensioni  più  basse. 

Un  importante  impianto  è  quello  della  Società  delle  forze  idrauliche 
del  Moncenisio^  che  ha  due  Centrali  idro-elettriche,  a  Saluraglio  (messa  in 
opera  nel  1906)  e  a  Novalcsa  (1902)  nella  valle  della  Cenischia,  raccogliendo 
Vacqua  del  bacino  del  Moncenisio,  con  una  forza  di  circa  9000  t-P  alle  tur- 
bine, pari  a  7300  utilizzati.  La  caratteristica  di  questo  impianto  è  T  utiliz- 
zazione dei  due  laghi  del  Moncenisio,  riuniti  in  un  solo  serbatoio  di  6  mi- 
lioni di  m^,  alla  quota  media  di  1910  m.  La  corrente  è  trasformata  da  3000 
a  30,000  volt,  e  portata,  con  una  linea  di  60  km.,  a  Torino,  dove  è  ritrasfor- 
mata a  3200  volt  per  la  distribuzione.  L'energia  di  questo  impianto  è  di- 
stribuita in  piccola  parte  a  Susa,  e  nel  resto  a  Torino. 


(*)  È  bene  tener  presente  che  i  dati  statistici  riportati  nei  Capi  IV,  V  e  VI,  si  ri- 
feriscono alla  data  alla  quale  furono  scritte  queste  note,  cioè  alla  fine  del  1910. 


GirsEPPR  Colombo.  —  Trasporto  dell' €ntr*jia. 


18  GIUSEPPE    COLOMBO 


La  Società  per  le  forze  motrici  dell' Anza  ha  una  Centrale  idro-elet- 
trica a  Piedimulera  in  Valle  Anzasca,  messa  in  esercizio  nel  1907,  con  circa 
11,000  hP  attinti  dalFAnza,  e  una  Centrale  termica  a  Novara  per  int^rare 
le  magre  deir  impianto  idraulico.  La  Società  distribuisce,  oltre-  alle  sue, 
altre  forze  prese  da  altre  Società.  La  linea  principale  misura  81  km.,  è  a 
45,000  volt  e  porta  la  più  gran  parte  della  corrente  a  Novara,  dove  è  dis- 
tribuita dalla  società  Conti;  il  resto  è  distribuito  sul  lago  Maggiore. 

La  Società  per  le  forze  idrauliche  dell* Alto  Po  (1903)  trae  l'acqua 
motrice  dal  Po  con  due  Centrali  in  provincia  di  Cuneo  e  di  Saluzzo,  rin- 
forzate da  due  Centrali  termiche  a  Pinerolo  e  Carignano.  Dispone,  in  tutto, 
di  circa  4000  KP  idraulici  e  2000  termici,  distribuiti  nei  territorii  di  Saluzzo 
e  Pinerolo. 

Notevoli  sono  pure  le  due  installazioni  sul  torrente  Avesa  in  Val  d*Os- 
sola,  e  sul  Tanaro  a  Cherasco.  La  prima  appartiene  alla  Società  Ossolana, 
e  distribuisce  fra  Domodossola,  Pallanza  ed  Intra  da  una  parie,  e  Gravel- 
lona,  Borgomanero  e  Arona  dall'altra,  una  forza  di  8800  KP.  La  seconda 
appartiene  alla  Società  per  lo  sviluppo  delle  imprese  elettriche  in  Italia, 
la  quale  ha  la  Centrale  a  Cherasco,  in  parte  idro-elettrica  e  in  parte  a 
vapore  per  8000  KP  circa,  che  distribuisce  nella  regione  fra  Cherasco,  Possano, 
Saluzzo  ed  Asti. 

Altre  imprese  di  minori  proporzioni  sono  sparse  in  Piemonte,  come 
quelle  della  Società  Casalese,  della  Dora,  che  ha  un  impianto  sulla  Dora 
Riparia,  della  Società  elettrica  del  Pellino^  che  utilizza  Tacqua  del  torrente 
Pollino  con  due  Centrali;  e  altre  che  si  limitano  a  prender  la  corrente  da 
altre  Società,  come  la  Società  delle  Imprese  elettriche  del  Piemonte  orien- 
tale e  V Anonima  di  elettricità  del  Ticino,  che  prendono  energia  dalla  rete 
della  società  Conti,  della  quale  si  dirà  fra  breve,  e  la  distribuiscono  nelle 
rispettive  regioni. 

Tutti  i  summenzionati  impianti  sono  di  vera  e  propria  distribuzione  di 
energia  in  regioni  piìi  o  meno  estese  e  nelle  città  più  importanti.  Ma  bi- 
sogna ricordare,  senza  la  possibilità  di  entrare  in  maggiori  particolari,  le 
numerose  installazioni  municipali,  prima  fra  le  quali,  in  ordine  di  data, 
quella  di  Cuneo,  fatta  e  gestita  sino  a  questi  ultimi  anni  dalla  società  Edison, 
e  moltissimi  impianti  per  uso  esclusivo  di  opifict,  specialmente  di  quelli 
destinati  alle  industrie  del  cotone  e  della  lana,  così  largamente  coltivata  in 
Piemonte. 

La  Lombardia  è,  di  tutte  le  regioni  italiane,  la  più  ricca  di  impianti 
idro-elettrici  ;  e  ciò  si  comprende  facilmente,  dato  il  numero  e  la  portata  rag- 
guardevole dei  corsi  d'acqua  che  la  limitano  e  la  percorrono  da  nord  a  sud  : 
il  Ticino,  l'Adda,  il  Brembo,  VOglio.  Non  solo  furono  utilizzate  le  acque 
scorrenti  sul  suo  territorio,  ma  se  ne  importarono  anche  da  territorii  limi- 


TRASPORTO    dell'energia  lÒ 


trofi,  come  avvenne  per  le  derivazioni  alla  destra  del  Ticino,  e  perfino  dal- 
Testero,  come  si  è  fatto  colla  presa  in  territorio  svizzero  dell'acqua  motrice 
deir  impianto  detto  di  Brusio.  Il  primo  grande  impianto  di  Pademo  del 
1898  fu  quello  che  promosse  T iniziativa  di  altre  imprese;  queste  imprese 
stesse  dettero  luogo  ad  altre  imprese  secondarie,  che  si  incaricano  di  pren- 
dere e  distribuire  in  determinate  regioni  o  zone  Tenergia  prodotta  dalle  so- 
cietà maggiori,  con  una  specie  di  suddivisione  di  lavoro  grandemente  favo- 
revole alla  più  rapida  estensione  delle  reti  elettriche;  cosicché  oggigiorno 
la  pianura  lombarda  è  attraversata  da  numerose  linee  che  si  incrociano  in 
tutti  i  sensi,  dando  al  monotono  paesaggio  un  insolito  movimento  e  un  ca- 
rattere industriale  singolarmente  suggestivo. 

La  Società  Edison,  che  inaugurò  nel  1898  la  trasmissione  con  correnti 
trifasi  fra  Paderno  e  Milano,  ha  allargato  con  nuovi  impianti  proprii  e  con 
opportuni  accordi  con  altre  Società  la  propria  attività,  cosicché  é  oggi  una 
delle  più  grandi  aziende  elettriche  italiane,  mentre  fu  la  prima,  che  col- 
r  impianto  di  Milano  del  1882-83  iniziò  TSra  delle  applicazioni  elettriche  io 
Italia.  Il  primitivo  impianto  di  illuminazione  elettrica  di  Milano  si  ò  esteso 
dalle  700  lampade  che  alimentava  la  sua  prima  installazione  del  1882, 
alle  460,000  lampade  d*oggi.  Venendo  subito  dopo  il  primo  tentativo  di 
trazione  elettrica  di  Firenze,  la  Edison  iniziò  nel  novembre  1893  il  servizio 
tram  viario  elettrico,  poi  esteso  anche  a  tre  linee  esterne,  che  oggi  (nel  1910) 
conta  185  chilometri .  di  binazio  in  esercizio,  con  551  vetture  motrici  e  298 
rimorchiate.  Infine,  coir  impianto  di  Paderno,  ampliato  ora  con  quello  supe-^ 
rìore  di  Rebbiate  sulVAdda,  e  colle  installazioni  sussidiarie  termo-elettriche 
in  Milano,  dispone  di  più  di  55,000  t-P  proprii  e  di  13,500  KP  provenienti 
da  altri  impianti  (Adamello  e  Conti)  per  il  servizio  delle  tramvie  e  la  di- 
stribuzione di  energia  alle  industrie  della  città  e  della  zona  suburbana  per 
mezzo  di  500  chilometri  di  cavi  sotterranei  e  790  di  fili  aerei. 

La  Centrale  di  Paderno  sulFAdda  ha  la  potenza  di  14,000  KP;  ma  ora, 
col  nuovo  impianto  di  Rebbiate  più  a  monte  di  Pademo,  si  ottei^ono  altri 
24,000  l-P,  che  si  aggiungeranno  in  parallelo  ai  14,000  di  Paderno,  in  modo 
da  utilizzare  per  la  maggior  parte  delFanno  una  portata  media  del  fiume 
più  che  doppia  di  quella  utilizzata  da  Paderno.  Tutta  questa  forza  idi-aulica 
ò  integrata  da  una  foi*za  termica  di  21,000  KP  per  mezzo  di  turbo-alternatori 
alla  Centrale  di  Porta  Volta  in  Milano.  Delle  sottostazioni  in  diversi  punti, 
dentro  e  fuori  di  Milano,  ricevono  Tenergia  presa  dalla  Società  deirAdamello 
e  dalla  Società  Conti,  trasformano  una  parte  della  corrente  trifase  in  cor- 
rente continua  pel  servizio  tramviario  e  per  T  illuminazione  di  parte  del 
centro  di  Milano,  che  ancora  si  fa  colle  primitive  condutture  Edison,  e  con- 
tengono batterie  di  accumulatori  per  assicurare  la  continuità  del  servizio 
d'illuminazione  e  tramviario.  L'energia  é  distribuita  in  Milano  con  due 
reti,  una  a  corrente  continua  e  l'altra  a  corrente   trifase,  e  fuori  di  Mi- 


20  GIUSEPPE    COLOMBO 


lano  coD  una  rete  trifase  siiburbana  che  alimenta  i  quartieri  industriali  al 
nord  della  città  e  fornisce  la  corrente  a  tre  società  le  quali  la  distribuiscono 
per  loro  conto,  con  reti  proprie,  da  Sesto  S.  Giovanni  e  da  Paderno  nelle  zone 
circostanti. 

La  Società  lombarda  per  distribuzione  di  energia  elettrica^  la  cui 
iniziativa  è  dovuta  alla  Società  italiana  di  condutture  d'acqua,  ha  attuato 
un  concetto  enunciato  nel  1886,  prima  ancora  che  si  avesse  un'  idea  concreta 
dell'applicazione  dell'elettricità  al  trasporto  dell'energia,  dal  compianto  inge- 
gnere Cipolletta  Nel  1886  l'Istituto  lombardo  di  scienze  lettere  ed  arti 
di  Milano  aveva  proposto  come  tema,  pel  concorso  Eramer,  un  progetto 
per  fornire  Milano  di  una  forza  motrice  proporzionale  al  suo  sviluppo  indu- 
striale. L'ing.  CipoUetti,  nella  Memoria  che  presentò  e  che  fu  premiata, 
studiò  le  derivazioni  possibili  ed  ebbe  la  visione  completa  del  profitto  che  poteva 
trarsi  dal  Ticino  e  dall' Adda  in  quelle  località  appunto,  nelle  quali  furono 
fatti  i  grandi  impianti  di  Vizzola  e  di  Paderno  (0-  Lo  studio  dell'impianto  di 
Paderno  fu  ripreso,  per  la  parte  idraulica,  dall'  ing.  Carli,  che  sventuratamente 
non  potè'  vedere  il  compimento  dell'opera,  e  fu  attuato  dalla  Società  Edison  ; 
quello  sul  Ticino  fu  studiato  dall' ing.  Cipolletti  per  la  Società  delle  con- 
dutture e  fu  attuato  dalla  Società  lombarda  nel  1900. 

Questo  della  Società  lombarda  è  un  impianto  grandioso,  il  quale  deriva 
da  55  a  75  m^  d'acqua  del  Ticino  presso  la  presa  del  Canale  Yilloresi,  e 
ne  trae  una  forza  di  20,000  t-P  nella  Centrale  di  Vizzola.  Un'altra  Centrale 
utilizza  a  Turbigo  la  forza  disponibile  di  altri  8500  KP  sulla  prima  tratta 
del  Naviglio  grande.  Una  Centrale  termica  di  circa  25,000  hP,  a  Castellanza, 
serve  di  scorta. 

La  stessa  Società  lombarda  ha  fatto  anche  nel  1905  l' impianto  di  Brusio 
nel  Cantone  svizzero  dei  Prigioni.  Quest'impianto  utilizza  l'acqua  del  tor- 
rente Poschiavino,  emissario  del  lago  di  Poschiavo,  il  quale  funziona  da 
serbatoio  con  una  capacità  di  20  milioni  di  metri  cubi  ;  e  insieme  con  altri 
due  impianti  in  corso  di  esecuzione,  utilizzanti  i  due  laghi  engadinesi  Bianco 
e  Nero  come  serbatoj,  avrà  ima  potenzialità  complessiva  di  piii  di  40,000  KP. 
In  previsione  di  un  maggior  sviluppo  della  propria  azienda,  la  Società  ha 
anche  acquistato  altri  16,000  hP  dalla  Società  idro-elettrica  italiana,  della 
quale  si  dirà  qui  appresso. 

(*)  Nella  sua  Memoria:  Sulle  forze  idrauliche  che  postano  crearsi  neWalto  Afila- 
ne»e  e  condursi  a  Milano,  Tiiig.  Cipolletti  calcolava  disponibili  5000  cavalli  a  Paderno 
suirAdda  e  24,000  a  Nosate  presso  il  Ticino.  Chi  scrive,  propose  il  tema  e  fu  relatore 
della  Commissione,  la  quale  concludeva  col  voto  che  il  Comune  di  Milano  prendesse  in 
considerazione  lo  studio  Cipolletti  nell'interesse  delle  industrie  cittadine.  Questo  prova 
la  gran  fede  che  il  premiato  e  la  Commissione  giudicatrice  avevano  nel  successo  del 
trasporto  deirenergia  a  distanza,  malgrado  che  nel  188G  non  fosse  ancora  provata  in 
modo  assoluto  la  possibilità  di  ottenerlo  per  mezzo  deirelettricità. 


TRASPORTO   DEI.L*ENERG1A  21 

Tutta  questa  energia  idraulica  e  a  vapore,  posseduta  o  acquistata  dalla 
Società  lombarda  e  ammontante  a  77,000  kw,  pari  a  circa  100,000  KP,  viene 
distribuita  in  tutta  la  regione  intensamente  industriale,  compresa  fra  Galla- 
rate,  Varese,  Busto  Arsizio,  Legnano,  Saronno  e  Como,  dell' estensione  di 
1500  km',  dando  Tenergia  a  circa  600  opitic!  industriali,  con  una  rete  di 
600  km.  La  Società  distribuisce  l'energia  ancba  a  molte  Società  rivenditrici 
nei  diversi  centrì  di  distribuzione. 

La  Società  idro-elettrica  italiana,  alla  quale  si  è  accennato  testé,  ha 
per  scopo  di  utilizzare  le  acque  provenienti  dal  gruppo  alpino  del  monte 
Disgrazia  in  Valtellina,  con  quattro  impianti  sui  torrenti  Masino  e  Mallero. 
Questi  impianti,  che  darebbero  insieme  40,000  t-P,  non  sono  ancora  completi 
e  si  ritiene  lo  saranno  fra  qualche  anno.  Una  notevole  patte  di  questa 
energia  è  impegnata,  come  si  è  visto,  colla  Società  lombarda;  l'altra  è  de- 
stinata alla  regione  industriale  bergamasca.  In  Valtellina,  e  precisamente  a 
llorbegno,  trovasi  anche  la  Centrale  idro-elettrica  dello  Stato  per  la  trazione 
sulle  linee  valtellinesi  ;  ma  di  questa  si  parlerà  al  Capo  V. 

Fra  tutte  le  imprese  elettriche  italiane,  una  delle  più  notevoli  per  nn^ 
mero  d*  impianti  e  altresì  per  Tammirabile  organizzazione  delFazienda  tecnica 
e  amministrativa,  è  la  Società  per  imprese  elettriche  Conti.  È  una  società 
che  lavora  parallelamente  e  d'accordo  con  la  Società  Edison,  con  mutui  allac- 
ciamenti di  impianti,  in  guisa  che  ambedue  servono  quasi  interamente  tutta 
la  regione  compresa  fra  la  riva  destra  del  Ticino  sino  a  Novara,  Asti  e 
Vercelli,  e  la  riva  destra  dell'Adda,  scendendo  da  Paderno  sino  a  Pavia  e 
all'Oltrepò,  con  Voghera  e  Novi.  La  Società  Conti  ha  eretto  ft-a  il  1900  e 
il  1910  sei  impianti  idro-elettrici,  cinque  dei  quali  sulla  destra  del  Ticino, 
a  Cerano  e  a  Trecate  colle  acque  del  Naviglio  sforzesco,  a  Vigevano  con 
una  derivazione  dal  Ticino  presso  Boffalora,  a  Foppiano  con  una  derivazione 
dal  fiume  Toce  in  Val  Formazza,  a  Goglio  nel  Novarese  con  acqua  del  tor- 
rente Devero;  tutti  questi  impianti  sono  in  territorio  piemontese,  ma  fanno 
parte  di  una  rete  che  comprende  le  due  rive  del  Ticino,  e  specialmente 
la  sinistra.  Essi  hanno  la  potenzialità  complessiva  di  circa  37,000  KP.  Il 
sesto  impianto  è  a  Zegno  sul  fiume  Brembo  con  7700  KP.  Un  altro  impianto 
idro-elettrico  per  20,000  hP  è  in  costruzione  a  Verampio  sul  Devero,  sotto  la 
presa  di  quello  di  Goglio;  esso  si  varrà  del  lago  di  Codelago  come  serba- 
toio, capace  di  10  milioni  di  me,  alla  quota  di  1850  m.,  il  quale  servirà 
a  compensare  le  deficienze  delle  magre  del  fiume  per  ambedue  le  Centrali 
sovrapposte  di  Goglio  e  di  Verampio.  Finalmente,  a  Magenta,  a  Novara  e  a 
Monza  trovansi  tre  Centrali  termoelettriche  con  circa  12,000  hP  di  potenza,  a 
sussidio  degli  impianti  idroelettrici. 

Colla  corrente  delle  Centrali  situate  alla  destra  del  Ticino,  opportuna- 
mente trasformata  a  Novara  per  quella  proveniente  dal  Toce,  e  coirenergìa 
presa,  come  già  si  è  detto,  dalla  Società  piemontese  dell'Anza,  la  Società 


22  GIUSEPPE   COLOMBO 


Conti  alimenta  di  forza  motrice  una  vasta  regione  sulla  riva  destra  del  Ti- 
cino fra  Novara,  Mortara,  Vigevano,  Vercelli,  Casale,  Valenza,  Alessandria, 
e  salla  riva  sinistra  fra  Pavia  e  Magenta  ;  con  la  stazione  di  trasformazione  al 
Molinetto  presso  Monza,  e  colle  Centrali  del  Brembo  e  di  Monza,  distribuisce 
con  una  rete  di  circa  400  km.,  in  una  vasta  zona  attorno  a  Monza,  non  solo 
Tenergia  di  queste  Centrali,  ma  anche  quella  acquistata  dalle  Società  di 
Trezzo  e  dell'Àdamello.  Tutta  questa  energia,  ad  eccezione  di  quella  di  Bof- 
falora,  integralmente  ceduta  alla  Edison,  è  distribuita  ai  consumatori  col- 
r  intermediario  di  numerose  Società  di  distribuzione,  ciascuna  delle  quali  ha 
un  proprio  circondario  speciale  da  servire.  Questo  è  il  sistema  adottato  da  si- 
mili grandi  aziende,  come  già  si  vide  per  la  Edison  e  per  la  Lombarda,  ed 
è  mirabilmente  adatto  a  diffondere  V  impiego  dell'energia,  senza  caricare  di 
soverchi  dettagli  Tamministrazione  delle  società  madri  e  interessando  nel 
medesimo  tempo  le  iniziative  e  le  energie  locali. 

Benché  non  sia  ancora  in  regolare  esercizio  all'epoca  della  compilazione 
di  queste  note  (fine  1910),  è  qui  il  luogo  di  menzionare  il  grandioso  impianto 
idro-elettrico  del  municipio  di  Milano,  il  quale,  del  resto,  già  da  alcuni  anni 
ha  costnitto  ed  esercita,  come  il  municipio  di  Torino,  un  impianto  elettrico 
a  vapore  in  città  per  distribuzione  di  luce  e  di  energia  nel  Comune,  che  può 
distribuire  ora  16,000  KP  e  si  intende  possa  salire  a  più  di  30,000.  L'impianto 
idre -elettrico,  ora  quasi  compiuto,  è  stato  progettato  in  proporzioni  assai  vaste, 
che  comprenderebbero  cinque  Centrali  con  una  potenzialità  di  32,000  KP; 
però  per  ora  si  limita  alla  più  importante,  che  è  quella  di  Grossotto  con 
16,000  hP.  L'acqua  per  questi  impianti  è  derivata  dall'alta  Adda  in  Valtellina 
e  da  un  suo  affluente,  il  Boasco.  La  corrente  è  prodotta  a  Grossotto  a 
10,000  volt,  e  verrà  elevata,  con  trasformatori,  a  65,000  volt-tensione  sulla 
lìnea;  la  quale,  a  impianto  finito,  avrà  la  lunghezza  di  150  km.,  percor- 
rendo la  Valcamonica  per  finire  alla  stazione  ricevente  a  Milano.  La  di* 
stribuzione  si  fa  ora  con  una  rete  sotterranea  di  80  km.  con  120  stazioni 
di  trasformazione  della  tensione,  già  ridotta  a  8650  volt,  a  quella  di  160  volt 
necessaria  per  la  distribuzione.  Con  un'officina  speciale  si  fa  a  corrente  con* 
tinua  r  illuminazione  pubblica  ad  arco  con  1200  lampade. 

L'impianto  più  recente  in  Lombardia  è  quello  detto  ieìY Adamello, 
che  rappresenterà,  a  lavoro  compiuto,  circa  35,000  hP,  ottenuti  con  due 
Centrali.  La  prima,  a  Isola  nell'alta  Valle  Camonica,  si  vale  dell'acqua 
del  Foglia,  che  discende  dai  ghiacciaj  dell'Àdamello,  su  una  caduta  di 
900  m.,  che  sarà  la  più  alta  utilizzata  sinora  da  ruote  Pelton  {^).  Il  lago 
d'Arno,  situato  a  1800  m.  sul  livello  del  mare,  serve  da  serbatoio  e  per- 

(*)  Una  caduta  di  poco  minore  è  stata  applicata  per  la  prima  volta  in  Svizzera 
neir impianto  di  Vouvry,  Lac  de  Tauay  (Vallese).  È  ai  nuovi  tipi  di  motori  idraulici  e 
allo  studio  accurato  delle  forme  e  dei  materiali  che  si  deve  questo  straordinario  aumento 
delle  cadute  utilizzabili. 


TRASPORTO   dell'energia  28 


mette  di  disporre  normalmente  di  un  volume  d'acqua  superiore  a  quello 
disponibile  in  magra.  La  seconda,  a  Cedegolo,  è  posta  immediatamente  al 
disotto,  e  fu  la  prima  ad  entrare  in  funzione  nel  1909.  L'altra  sarà  aperta 
air  oserei  zio  fra  breve. 

Un  altro  impianto  non  ancora  attuato,  ma  in  corso  avanzato  di  esecuzione, 
è  quello  della  Uocietà  Dinamo,  costituita  nel  1907,  la  quale  si  è  proposta  di 
utilizzare  le  acque  del  torrente  Diveria,  proveniente  dal  Sempione,  fra  Bal- 
monalesca  e  Y  imbocco  inferiore  della  galleria  di  Varzo,  e  quelle  del  torrente 
Cairasca.  Sono  dunque  due  impianti  con  una  sola  Centrale  a  Varzo  :  il  primo 
è  un  rifacimento  deirantico  impianto  della  Società  Mediterranea  per  la  gal* 
leria  di  Varzo;  il  secondo  è  un  impianto  nuovo,  con  serbatoio  regolatore 
(lago  d*Avino).  Essi  avranno  la  potenza  complessiva  di  circa  25,000  hP,  e 
saranno  in  parte  destinati,  quando  T  impianto  sarà  compiuto,  a  surrogare  la 
trazione  ferroviaria  sulle  linee  varesine  e  sulla  linea  del  Sempione,  della 
quale  si  dirà  nel  capitolo  seguente. 

Al  di  sotto  della  presa  della  Società  Edison  sull'Adda,  è  sórto,  pochi 
anni  dopo  l'impianto  di  Paderno,  quello  attuato  nel  1906  dalla  Società  per 
le  forze  idrauliche  di  Trezzo  stUl'Adda,  con  una  grande  Centrale,  capace 
di  utilizzare  una  forza  idraulica  variabile  secondo  lo  stato  del  fiume,  e  con  un 
impianto  sussidiario  a  vapore,  in  guisa  da  poter  disporr^  di  una  potenza  com- 
plessiva di  più  di  9000  hP.  Una  sottostazione  a  Pandino  (Cremona),  raccoglie 
altri  1600  KP  acquistati  dall*  impianto  dell' Adamello.  Ambedue  servono  parte 
delle  Provincie  di  Bergamo  e  di  Cremona,  e,  legandosi  alla  rete  Conti,  si 
spingono  fino  alle  vicinanze  di  Milano.  Una  società  succursale,  la  Martesana, 
distribuisce  l'energia  di  Trezzo  in  altre  provincie  limitrofe. 

Molte  altre  società,  con  impianti  di  parecchie  migliaia  dì  cavalli,  con- 
tribuiscono colle  precedenti  a  fornire  energia  all'intensa  industria  della  regione 
lombarda.  Tali  sono: 

La  Società  elettrica  Bresciana,  la  quale  utilizzò  dapprima  l'acqua  del 
fiume  Chiese  per  un  impianto,  fatto  nel  1902,  che  poi  cedette  al  Comune  di 
Brescia  per  la  sua  municipalizzazione,  poi  installò  o  acquistò,  tra  il  1902 
e  il  1908,  numerose  Centrali  sul  Chiese,  suirOglio  e  sui  loro  affluenti, 
per  una  forza  complessiva  di  22,500  hP,  assorbendo  parecchie  Società  esistenti 
e  integrando  i  suoi  impianti  con  una  Centrale  a  vapore  di  9000  KP.  Essa 
prende  anche  2000  hP  dalla  Società  del  Cafiaro,  e  sta  per  assicurarsi  altri 
50,000  yP  con  derivazioni  in  Valsabbia  e  Valcamonica.  Serve  la  regione  bre- 
sciana, con  diramazioni  verso  Cremona  e  Mantova,  per  uno  sviluppo  di  linee 
di  circa  800  km.,  ed  ha  anche  una  rete  tramwiaria,  iniziata  nel  1906,  in  parte 
già  elettrificata,  e  in  parte  in  via  di  elettrificazione. 

L'impianto  detto  del  Cafaro^  colla  Centrale  a  Ponte  Caffaro,  utilizza 
l'acqua  di  questo  fiume,  che  nasce  nel  gruppo  montano  dell'Adamello,  e  dispone 
di  circa  10,000  KP,  che  sono  ricevuti  e  distribuiti  a  Brescia  e  nei  dintorni. 


24  GIUSEPPE    COLOMBO 


La  Società  Orobia  distribuisce  la  forza  nel  territorio  di  Lecco  e  nella 
Brianza  con  quattro  Centrali  idrauliche  a  S.  Pellegrino,  Roncaglia,  Serrati 
e  Forcola  (1902-1908),  animate  dal  Brembo,  dalFEnna  e  dal  Forcola,  e  ca- 
paci di  una  forza  massima  di  8000  KP;  oltre  a  una  Centrale  termica  a  Lecco, 
di  2600  hP.  Biceye  energia  anche  dalla  Società  Edison  e  da  altre  società  mi- 
nori, e  spinge  le  sue  linee  sin  quasi  a  Monza  e  Como,  sulla  destra  dell'Adda, 
e  sino  a  Zogno  nella  Valle  Brembana. 

La  Società  Bergamasca  utilizza  l'acqua  del  Brembo  nella  Centrale  di 
Clayezzo  e  distribuisce  circa  3500  hP  proprii,  e  altrettanti  presi  dalla  Società 
di  Trezzo  e  deirAdamello  nella  città  di  Bergamo  e  nella  maggior  parte  della 
sua  provincia.  La  Società  Varesina  distribuisce  luce  e  forza  al  circondario 
di  Varese,  e  dà  Tenergia  per  una  estesa  rete  di  ferrovie  e  di  tramwie  locali, 
con  due  Centrali  idroelettriche  a  Cunardo  e  Maccaguo  (1902-1908),  capaci  di 
circa  3000  hP,  e  una  Centrale  termoelettrica  di  1000  hP  presso  Varese.  Essa 
sta  preparando  a  Maccagno  un  nuovo  e  più  grande  impianto  idroelettrico, 
sbarrando  il  lago  di  Delio.  La  Società  Comense  A.  Volta,  alimenta  Como, 
il  suo  Iago  e  i  suoi  dintorni,  colla  Centrale  di  Corride  in  Val  Cavargna  e 
coir  acqua  del  torrente  Cuccio  che  vi  scorre.  La  forza  disponibile  alla  Cen- 
trale è  di  2800  hP,  ai  quali  si  aggiungono  altri  2000  t-P  a  vapore  nella  Cen- 
trale termica  di  Como.  La  tensione  di  20,000  volt  adottata  per  la  linea,  era 
ancora,  a  quell'epoca  (1900-1902),  la  più  alta  che  si  tentasse  in  Italia.  La 
Società  distribuisce,  oltre  alla  propria  foi*za,  altra  forza  presa  dalla  Società 
Lombarda,  e  serve  non  solo  le  industrie  locali,  ma  anche  alcune  importanti 
linee  tramwiarie  partenti  da  Como.  Pure  sul  lago  di  Como,  a  Taceno,  la 
Società  idroelettrica  Briantea  attinge  la  forza  dal  torrente  Pioverna,  circa 
3000  hP,  che  distribuisce  nel  territorio  di  Lecco.  Altre  imprese  minori, 
VAgognetta  in  Lomellina,  la  Società  di  Cerro  sul  Lambro,  la  Società  Pa- 
vese  A.  Volta,  e  parecchie  altre,  distribuiscono  energia  nelle  rispettive  zone 
di  influenza. 

C'è  anche  una  Società  che  ha  sede  a  Milano,  la  Unione  esercizi  elet- 
trici, la  quale  non  si  è  localizzata  in  una  data  regione,  ma  eseguisce  impianti 
in  tutta  Italia.  Essa  ne  conta  ormai  17,  dei  quali,  due  piccoli  in  Piemonte 
(a  Ceva  sul  Tanaro,  e  a  Stresa  sullAirola),  parecchi  nell'Italia  centrale  e 
molti  in  Liguria  e  nell'Italia  meridionale.  Di  questi  si  parlerà  a  suo  tempo. 

Infine,  numerose  società  minori,  alcune  delie  quali  di  notevole  importanza 
(come  quelle  dell'Oltrepò  Pavese;  dell'Alto  Milanese;  dell'Isola;  la  Banfi;  la 
Suburbana  Milanese;  l'Anonima  luce  e  forza;  la  Ragazzoni,  ed  altre),  pren- 
dono dalle  Società  maggiori,  e  specialmente  dalla  Edison  e  dalla  Conti, 
l'energia,  che  trasformano  secondo  i  bisogni  e  distribuiscono  nei  rispettivi 
circondari:  divisione  di  lavoro,  della  quale  si  è  già  notata  l'importanza. 

Venendo  ora  agli  impianti  municipali  e  privati,  si  pnò  dire,  quanto  ai 
primi,    che,  salvo  qualche  caso,   in   generale  il  servizio  di  illuminazione  e 


TRASPORTO   dell'energia  25 

anche  di  distribuzione  di  energia  nei  centri  abitati  è  fatto  dalle  società  in- 
traprenditrici  delle  quali  si  è  parlato  sinora,  o  da  piccole  imprese  locali  ;  e 
quanto  ai  secondi,  non  è  facile  farsene  un'idea  precisa,  essendo  numerosissimi 
e  di  varia  importanza.  Certo  rappresentano  molte  migliaia  di  cavalli,  anche 
solo  contando  gli  opifict  di  notevole  importanza.  Basterà  citare,  senza  tentare 
di  includerli  tutti  e  neppure  i  più  notevoli,  gli  opifict  del  gruppo  side- 
rurgico: Ferriera  GregorinU  Lovere,  3700  KP  con  Centrale  a  Poltragno; 
Siderurgica  Glisenti,  Carcina,  800  hP  ;  Ferriera  1/ Amico,  Vobarno,  450  KP  ; 
quelli  del  gruppo  cotoniero:  Cotonificio  di  Ponte  di  Nossa,  1800  KP;  Crespi, 
Nembro,  1500;  ffeftij  Roè,  1300;  Schiannini,  Ponte  S.  Marco,  850,  e 
molti  altri;  le  Cartiere  Maffizsoli,  Toscolano,  2150  KP;  il  Consorzio  del 
Bezzo,  Barzesto,  con  piti  di  6000  KP  ;  la  Società  calci  e  cementi,  Palazzolo, 
560  l-P;  ecc.  ecc. 

Nella  regione  veneta,  il  più  grande  impianto  è  quello  del  Collina, 
dovuto  alla  Società  Italiana  per  Vutilizzcuùone  delle  forze  idrauliche 
del  Veneto,  Esso  ò  anche  uno  dei  principali  impianti  italiani.  Seguono,  in 
ordine  d'importanza,  quelli  della  Società  Milani  e  del  Cismon,  che  col  pre- 
cedente suppliscono  nella  massima  parte  alle  richieste  d'energia  dell'intera 
regione. 

L'impianto  fatto  sul  torrente  Collina  funziona  dal  1905.  È  un'ardita 
opera  idraulica,  che  raccoglie  l'acqua  delle  Prealpi  friulane  per  alimentare 
per  ora  due  grandi  Centrali  :  la  prima  capace  di  7000  hP  ;  la  seconda  di 
4300  hP  ;  la  terza  darà  2000  hP,  con  una  Centrale  non  ancora  installata. 
La  corrente,  prodotta  a  4000  volt  ed  elevata  a  30,000  sulla  linea,  è  portata 
a  Venezia,  dopo  un  percorso  di  87  km.,  per  esservi  trasformata  a  più  bassa 
tensione  e  poi,  col  sussidio  dato  da  una  potente  riserva  a  vapore,  distribuita 
in  città,  dove  si  è  sostituita  a  quella  ottenuta  dall'antica  Centrale  a  vapore 
impiantata  dalla  Edison.  Altre  tre  Centrali  sono  in  progetto,  con  derivazione 
dal  Piave  e  dal  lago  di  Santa  Croce,  capaci  di  circa  12,000  t-P,  ed  una  di 
9000  t-P  a  Perarolo,  sopra  un  affluente  del  Piave. 

La  Società  elettrica  Milani  ha  messo  in  esercizio  nel  1907  una  Cen- 
trale sull'Adige  presso  Verona,  della  forza  di  circa  8000  KP.  A  compensare 
le  eventuali  deficienze  dell'Adige,  fu  installata  l'anno  successivo  una  Cen- 
trale termo-elettrica  a  vapore,  di  3000  KP.  Altri  impianti,  pure  sull'Adige, 
sono  in  progetto.  La  forza  è  e  sarà  distribuita  nella  regione,  fra  Verona, 
Legnago  e  Ostiglia;  e  in  seguito  si  intende  portarla  sulla  direzione  Mantova- 
Modena-Bologna. 

Più  recente  ancora  è  l'impianto  della  Società  forze  motrici  Cismon 
Brenta,  Essa  deriva  l'acqua  dal  Cismon,  affluente  del  Brenta,  con  un  ardito 
sbarramento.  La  Centrale  è  a  Pedesalto,  e  fornisce  circa  10,000  hP  alla  So- 
cietà Adriatica  di  elettricità,  che  ne  fa  la  distribuzione  nella  Venezia  cen- 


2*3  GIUSEPPE   COLOMBO 


(l'ale,  da  Schio  e  Vicenza  fino  a  Padova,  Rovigo  e  Adria,  e  persino  a  Ferrara. 
L'impianto  fu  inaugurato  nel  1910. 

Molte  Società  minori:  Società  elettrica  del  Barman  (Alto  Friuli); 
Società  elettrica  Barnaba- Giacobbi.  con  Centrale  a  Vallesella  (Pieve  di 
Cadore)  sul  torrente  Molina;  Società  FritUana^  con  Centrale  a  Vedronza 
sul  torrente  Torre,  nel  Friuli;  Società  elettrica  provinciale,  con  due  Cen- 
trali, idraulica  e  termica,  in  territorio  di  Verona,  fanno  distribuzioni  locali 
di  energia.  La  Società  Veronese  non  produce  energia,  ma  prende  una  parte 
di  quella  della  Società  Milani,  per  distribuirla,  dopo  trasformata,  a  Verona 
e  nei  dintorni,  come  fanno  le  società   distributrici  nella  regione  lombarda. 

Nel  Veneto  funziona  pure  la  Società  Adriatica  di  elettricità,  testé 
menzionata,  la  quale,  pur  avendo  per  principale  obbiettivo  il  collocamento 
deirenergia  dell'impianto  del  Cismon,  utilizza  anche  delle  riserve  termiche 
proprie  di  4000  hP  e  due  impianti  idraulici  di  900  hP;  e  nel  medesimo  tempo 
lavora  neirEmilia  con  un  proprio  impianto  idro-elettrico  sul  Lamone  a  Faenza, 
e  in  Puglia  con  impianti  termo-elettrici.  Giova  anche  rammentare  che  qui, 
come  in  Lombardia,  sono  numerosi  gli  impianti  industriali  privati,  spesso 
molto  importanti,  come  quelli  degli  stabilimenti  lanieri  di  Schio,  e  dei  co- 
tonificii  di  Verona. 

Molto  interessanti  e  importanti  sono  gli  impianti  liguri,  i  quali  derivano 
la  forza,  in  parte  dal  versante  meridionale,  e  in  parte  dal  versante  setten- 
trionale della  catena  di  monti  che  separa  la  Liguria  dal  Piemonte  e  dalla 
Valle  del  Po. 

Primo,  per  data,  fra  tutti  gli  impianti,  non  solo  italiani,  ma  del  mondo, 
di  trasmissione  d'energia,  come  già  fu  detto  precedentemente,  è  quello  della 
Società  Acquedotto  De  Ferrari- Galliera.  Bisogna  ritornare  col  pensiero  al- 
l'epoca in  cui  non  si  aveva  ancora  un'idea  delle  correnti  alternate  e  della 
loro  trasformazione  da  una  tensione  ad  un  altra  ;  quando  non  si  conoscevano 
che  i  geniali  tentativi  di  Marcel  Deprez  del  1884,  e  il  celebre  trasporto  di 
Creil  faceva  intravvedere,  ma  non  dava  ancora  la  soluzione  del  problema  di 
trasmettere  a  distanza  l'energia.  Fu  allora  che  il  ginevrino  Thury  intraprese 
pel  primo  un  trasporto  di  energia,  quello  per  la  Società  De  Ferrari-Galliera, 
compiuto  nel  1889.  La  forza  era  attinta  dal  torrente  Gorzente  sul  versante 
nord  dell'Appennino;  l'acqua  traversava  l'Appenino  in  galleria,  e  a  Isoverde, 
sul  versante  genovese,  metteva  in  moto  le  dinamo  a  corrente  continua,  che  ser- 
vivano a  trasportare  l'energia  in  Val  Polcevera  sino  a  Sampierdarena  e  Genova. 

Quel  primo  impianto,  per  le  difiBcoltà  delle  quali  si  è  fatto  cenno  nella 
prima  parte  di  questo  scritto,  relative  all'impiego  della  corrente  continua, 
fu  poi  sostituito,  da  qualche  tempo,  da  una  installazione  a  corrente  alternata 
trifase.  Due  laghi  artificiali,  sul  versante  nord  della  montagna,  ai  quali  si 
sta  per  aggiungerne  un  terzo,  servono  contemporaneamente  da  serbatoio  per 


TRASPORTO    DELL  ENERGIA 


» 27 


la  distribuzione  di  acqua  potabile  a  Genova  e  dintorni,  e  per  la  distribu- 
zione di  energia.  L'acqua,  dopo  aver  lavorato  sulle  turbine  a  Isoverde,  si 
raccoglie  in  un  cisternone  per  Talimentazione  delle  condutture  d* acqua  pota* 
bile.  L'energìa  distribuita  è  di  circa  2700  hP. 

Dopo  questo  impianto,  il  quale  ha  ora  più  importanza  storica  che  tecnica, 
conviene  citare  tra  le  più  interessanti  installazioni  elettriche  italiane,  quelle 
della  Società  Negri  e  della  Idroelettrica  Ligure. 

La  Società  elettrica  Riviera  di  Ponente  (Società  Negri),  costituita  nel 
1905,  ha  tre  Centrali  idrauliche  e  una  termo-elettrica,  installate  nella  Ri- 
viera di  Ponente.  Le  prime  utilizzano  Vacqua  del  fium^  Boia  presso  Venti- 
miglia,  e  del  fiume  Argentina  presso  Taggia:  la  termo-elettrica  trovasi  a 
Savona;  e  tutte  insieme  hanno  una  potenza  di  circa  22,000  hP,  che  si  distri- 
buisce con  linee  a  25,000  e  74,000  volt  su  tutta  la  Riviera  di  Ponente, 
da  Yallauria  di  Tenda  sino  a  Genova.  Due  nuove  Centrali  sono  in  progetto: 
una  di  40,000  hP  a  S.  Dalmazzo  di  Tenda,  e  una  di  20,000  sulValto  Roia. 

La  Società  idroelettrica  ligure  trae  Tacqua  dall'alto  Appennino  parmense 
sul  versante  nord,  per  distribuirne  la  forza  in  parte  sul  versante  stesso  e 
nella  parte  maggiore  sul  versante  sud  sino  al  Golfo  di  Spezia.  Essa  ha  utiliz- 
zato l'acqua  di  un  piccolo  bacino  idrografico  al  Lagastiello  presso  la  cresta 
dell'Appennino  fra  Parma  e  Spezia,  con  un  ingegnoso  sistema  di  serbatoj,  in 
parte  artificiali  fatti  con  alte  dighe,  in  parte  ti-aendo  profitto  di  piccoli  laghi 
naturali,  in  guisa  da  cavarne  tutta  la  potenza  disponibile,  la  cui  media  è 
di  4750  hP;  ma  il  macchinario  è  tale  da  permettere,  quando  occorra,  di  uti- 
lizzarne al  massimo  sino  a  12,000.  Le  Centrali  sono  due:  una  a  Isola,  che 
è  in  azione  dal  1907;  laltra  a  Rims^na,  non  ancora  aperta.  Le  linee  alimen- 
tano di  energia  la  regione  Emiliana,  fi-a  Parma  e  Borgo  S.  Donnino,  coli'  in- 
termediario della  Società  emiliana  di  servisi  elettrici^  e  sull'altro  versante 
l'Arsenale  di  Spezia,  e,  per  mezzo  della  Società  apuana  di  distribuzione,  la 
regione  Carrarese. 

A  Genova  sono  installate  le  Officine  elettriche  genovesi^  le  quali  fanno 
dal  1897  il  servizio  d'illuminazione  e  poi  il  servizio  tramviario,  con  una  Cen- 
trale di  circa  10,000  hP,  e  un'altra  a  Sampierdarena  di  1500  hP,  tutte  con 
motrici  a  vapore.  La  Società  serve  Genova,  Sampierdarena  e  le  due  Riviere 
sino  a  Veltri  e  a  S.  Margherita,  distribuendo  luce  (circa  260,000  lampade), 
energia  (sino  a  circa  8000  hP),  e  facendo  il  servizio  tranviario  in  Genova  e 
fuori,  con  circa  300  vetture  motrici  e  150  rimorchiate.  Un'altra  Società 
{Unione  italiana  tramways  elettrici)  esercita  a  Genova  altre  linee  urbane 
e  suburbane  con  corrente  fornita  dalla  Società  precedente.  A  Spezia  ha  sede 
una  Società  consimile,  per  illuminazione,  tranvie  e  distribuzione  d'energia: 
la  Società  tramicie  elettriche  della  Spezia,  con  circa  1000  hP  di  forza  a 
vapore.  Essa  farà  anche  il  servìzio  di  distribuzione,  nella  regione  circostante 
alla  Spezia,  dell'energia  prodotta  dalla  Società  idro-elettrica  ligure. 


28  GIUSEPPE    COLOMBO 


2.  Italia  Centrale. 

Nell'Emilia,  la  sola  impresa  elettrica  di  qualche  importanza  è  quella 
della  Società  bolognese  di  elettricità^  che  ha  due  officiue  sul  Beno  e  un 
impianto  termo-elettrico,  per  una  forza  complessiva  di  circa  2500  hP.  Questa 
forzale  utilizzata  a  Bologna  e  nei  dintorni.  Si  ha  in  vista  un  nuovo  impianto 
idro-elettrico  di  4000  hP  a  Casfciglione  dei  Popoli.  Altre  imprese  minori 
fanno  piccole  distribuzioni,  anche  prendendo  l'energia  da  impianti  veneti; 
fra  queste,  la  più  importante  è  la  Società  adriatica  di  elettricità,  già  men- 
zionata, che  distribuisce  1500  hP   idraulici  e  termici  a  Ravenna  e  Faenza. 

In  Toscana  si  trovano  parecchie  Centrali  termo-elettriche  :.  a  Livorno, 
quella  della  Società  iigure-toscana,  la  quale  Società  però  sta  preparandosi 
à  impiantare  due  Centrali  idro-elettriche  sul  Serchio  e  sulla  Lima,  per  circa 
8000  hP,  destinate  a  distribuire  energia  nella  zona  compresa  fra  Pistoia, 
Viareggio  e  il  Tirreno  ;  a  Castelnuovo  di  Yaldarno  la  Centrale  termica  della 
Società  del  Valdarno^  con  10000  hP,  per  distribuzione  a  Firenze,  Prato  e 
nel  Yaldarno;  ad  Arezzo  l'impianto  Reinacher;  a  Firenze  le  due  Centrali 
della  Società  toscana,  pure  termica,  con  6500  hP;  a  Poscia  le  Officine 
elettriche  Sainati.  Un  piccolo  impianto  idro-elettrico  ha  la  Società  delle 
miniere  di  mercurio  di  Monte  Amiata.  L' Unione  esercizi  elettrici,  della 
quale  si  è  già  parlato  a  proposito  degli  impianti  nell'Alta  Italia,  ha  una 
Centrale  termica  a  Pontedera,  di  circa  1000  hP,  e  una  termica  e  due  idrau- 
liche per  quasi  altrettanta  forza,  fra  Viareggio  e  Serravezza. 

Le  risorse  idrauliche  di  queste  due  regioni  non  sono  ancora,  come  si 
vede,  convenientemente  sfruttate;  forse  la  vicinanza  degli  impianti  veneti 
e  liguri,  che  vanno  estendendo  sempre  più  le  loro  linee  verso  Bologna,  la 
Spezia  e  Carrara  (dove  la  Società  apuana  distribuisce,  come  si  vide,  l'ener- 
gia àéiV Idro-elettrica  ligure),  può  spiegare  questa  deficienza  d'iniziativa 
locale. 

Maggiore  iniziativa  hanno  finora  dimostrato  le  Marche  e  l'Umbria. 
Nell'Umbria,  la  Società  marchigiana  ha  una  Centrale  idro-elettrica  sul 
fiume  Esino  in  territorio  di  Serra  Sanquirico,  dì  1500  hP,  che  distribuisce 
energia  a  Jesi,  Falconara  e  Ancona;  a  Mozzano,  la  Società  elettrica  del 
Tronto  utilizza  1800  hP  attinti  al  Tronto,  e  sta  preparando  un  secondo  im- 
pianto sullo  stesso  fiume;  più  piccoli  impianti  sono  quelli  di  S.  Severino 
Marche  e  di  Montelupone.  Nell'Umbria  sono  notevoli  gli  impianti  munici- 
pali di  Spoleto,  che  ha  una  Centrale  ìdi'o-elettrica  di  2300  hP  con  acqua 
derivata  dal  Velino  a  monte  della  celebre  cascata  delle  Marmore,  e  di  Narni, 
con  due  Centrali  animate  da  sorgenti  a  poca  distanza  dalla  città;  e  altret- 
tanto notevoli  quelli  dell' ing.  Netti,  a  Orvieto,  Todi,  Viterbo,  Acquapen- 
dente,  Vetralla   e  Civitavecchia,  con  un  totale  di  2  a  3  mila  hP,  attinti  a 


TRASPORTO    DELI/eNERGIA  *^ 

diversi  corsi  d'acqua.  Ma  gli  impianti  più  grandiosi  dell'Umbria  sono  quelli 
che  utilizzano  le  acque  dei  Velino  e  del  Nera  a  Terni. 

A  Terni,  la  Società  italiana  pel  carburo  di  calcio  deriva  25.000  hP 
dal  Velino  per  la  fabbricazione  del  carburo;  e  si  sta  per  derivarne  altret- 
tanti e  aggiungervi  altri  16,000  hP  presi  dal  Nera.  Tutta  questa  forza  futura 
servirà  in  parte  pel  carburo  e  per  la  calcio-cianamide,  e  pel  resto  si  tras- 
porterà a  Roma  con  una  linea  a  75,000  volt,  e  a  Perugia  con  40,000  volt, 
servendo  con  ambedue  le  linee  anche  i  Comuni  interposti.  La  Società  vai- 
nerina  ha  derivato  12,000  hP  dal  Nera,  sotto  la  cascata  delle  Marmore,  per 
la  Centrale  della  Cervara,  d'onde  sono  trasportati  a  Narni.  Questi  due  im- 
pianti sul  Velino  e  sul  Nera  sono  fra  i  più  importanti  d'Italia,  e  restano 
d'ora  innanzi  concentrati  in  una  sola  azienda,  cioè  nella  Società  pel  carburo 
di  calcio, 

Roma  è  stata  fra  le  prime  città  italiane  ad  applicare  la  corrente  elet- 
trica, e  la  prima  a  fare  im  trasporto  di  forza  con  correnti  alternate,  colle 
acque  delle  celebri  cascate  deU'Àniene  a  Tivoli,  come  si  disse  nel  cap.  III. 

Il  primitivo  impianto  portava  a  Roma  2000  hP,  dapprima  con  corrente 
alternata  semplice,  poi  con  corrente  trifase  e  con  maggiore  potenza.  Nel  1906 
si  aggiunse  la  nuova  Centrale  di  Subiaco,  e  nel  1910  quella  di  Arci,  am- 
bedue ancora  suU'Aniene.  La  forza  minima  utilizzata  è  di  16,000  hP,  dei 
quali  8000  a  Tivoli,  4000  a  Subiaco  e  4000  ad  Arci:  alla  qual  forza  la 
Società  anglo-romana  proprietaria  degli  impianti,  aggiungerà  altri  30,000  hP, 
acquistati  dalla  Società  del  carburo  di  calcio  di  Terni.  In  Roma  c'è  una 
Centrale  termo-elettrica  di  sussidio,  come  in  tutti  i  grandi  impianti,  capace 
di  26,500  H>. 

Quest'azienda,  che  è  senza  dubbio  una  delle  più  grandi  in  Italia,  poiché 
dispone,  tra  forze  proprie  e  acquistate,  di  più  di  70,000  hP,  provvede  a  tutti 
i  servizi  elettrici  e  distribuisce  energia  in  Roma  e  nelle  adiacenze. 

Il  servizio  elettrico  nella  regione  dei  Castelli  romani  è  fatto  dalla  So^ 
cietà  laziale,  che  ha  una  Centrale  a  Bagni,  utilizzando  la  forza  delle  rino- 
mate Acque  albule,  un'altra  a  Tivoli  suU'Aniene  e  una  terza  a  Vallepietra 
presso  Subiaco:  in  tutto  un'energia  di  più  di  1000  hP,  alla  quale  la  Società 
ne  aggiunge  dell'altra,  presa  dall' Anglo-romana,  per  distribuirla  ai  Castelli  per 
ora,  e  in  tutti  i  paesi  fra  Monterotondo,  Palestrina,  Zagarolo  e  Velletri  poi. 

Due  Società  per  imprese  elettriche  fanno  il  servizio,  la  prima  dei  paesi 
tra  Fresinone  e  Roccasecca,  col  proposito  di  spingersi  sino  a  Gaeta,  per  ora 
colle  due  Centrali  idro-elettriche  di  Anitrella  in  provincia  di  Roma,  e  Isola 
Liri  in  provincia  di  Caserta,  della  potenza  di  circa  2000  hP  ;  una  terza  Cen- 
trale, di  altri  1000  hP,  è  in  preparazione  a  S.  Giovanni  Incarico  (Caserta). 
La  seconda  ha  una  Centrale  termo-elettrica  a  Tor  di  Quinto,  della  forza  di 
2500  a  3000  H',  da  potersi  in  seguito  raddoppiare  ;  essa  serve  i  dintorni  di 
Roma  ed  è  collegata  coli' Anglo-romana  per  l'uso  reciproco  delle  rispettive  forze. 


30  GIUSEPPE    COLOMBO 


La  Società  per  industrie  elettriche  nel  Lazio^  ha  quattro  Centrali 
idro-elettriche,  a  S.  Agnello,  Bracciano,  Ouarcino  e  Subiaco,  sopra  piccoli 
eorai  d'acqua  locali,  con  una  forza  complessiva  di  circa  500  hP,  pel  servizio 
dei  Comuni  adiacenti;  e  così  fa  Y Impresa  Frigo  con  una  Centrale  idro- 
elettrica di  poco  minor»  poianza,  pei  Comuni  di  Toscanella  e  Montefìascone 
e  i  Comuni  adiacenti. 

3.  Italia  meridionale. 

Il  Mezzogiorno  continentale  italiano  possiede,  perora,  soltanto  duegnuidi 
Società  idro-elettriche,  paragonabili  a  quelle  dell'Alta  Italia  e  del  Lazio  :  la 
prima  cogli  impianti  sul  Pescara  e  sul  Tirino  nell'Abruzzo,  la  seconda  con 
quelli  del  Tusciano  e  del  Lete  nelle  Provincie  di  Salerno  e  di  Caserta. 

La  Società  italiana  di  elettrochimica  fu  la  promotrìce  dell'impianto 
abi-uzzese,  che  possiede  due  Centrali  presso  Popoli  (una  sul  Tirino,  l'altra 
sul  Pescara),  e  ha  una  seconda  Centrale  sul  Pescara,  in  costruzione.  La  Cen- 
trale sul  Tirino  ha  una  potenza  di  6300  hP,  e  quella  sul  Pescara  di  8400  ; 
il  secondo  salto  sul  Pescara  ne  darà  24,000,  trasportati  alla  tensione  di 
80,000  a  88,000  volt,  la  più  alta  in  Italia,  tìnora.  L'energia  è  ora  intie- 
ramente impiegata  per  la  fabbricazione  dell'alluminio  a  Bussi,  per  quella 
dei  prodotti  azotati  a  Piano  d'Orte,  e  per  fornitura  di  enei'gia  alla  Società 
imprese  elettriche  abruzzesi  e  bìY  Unione  esercizi  elettrici  ad  Aquila.  La 
prima  di  queste  due  Società  distribuisce  l'energia  della  Società  di  elettro- 
chimica alle  città  di  Chieti,  Pescara,  Castellamare  e  Francavilla,  e  ad  altri 
Comuni  minori;  la  seconda  è  quella  stessa  della  quale  si  è  già  parlato  a 
proposito  degli  impianti  nell'Alta  e  nella  Media  Italia.  Essa  ha,  nell'Italia 
meridionale,  un  impianto  idraulico  e  termico  sul  fiume  Aterno  ad  Aquila, 
un  altro  a  Campobasso  sul  fiume  Biferno,  uno  termico  a  Manduria  (Taranto) 
e  un  altro  a  Matera  (Potenza),  uno  idraulico  a  Solmona  sui  fiumi  Aterno  e 
Sagittario,  e  uno  a  Valle  di  Diano  (Salerno)  sul  fiume  Tanagro,  con  un  to« 
tale  di  quasi  2000  hP. 

L'altra  grande  installazione  idro-elettrica  nel  Mezzogiorno  è  quella  della 
Società  meridionale  di  elettricità,  di  Napoli,  che  ha  per  scopo  di  fornire 
energia  specialmente  nelle  Provincie  di  Napoli  e  Salerno.  Oli  impianti  sono 
due  :  uno  sul  Tusciano  (Salerno),  capace  di  7200  hP  ;  l'altro  sul  Lete  (Caserta), 
di  circa  4800  hP,  con  una  caduta  di  580  m.  e  un  lago  artificiale  di  un  mi- 
lione di  metri  cubi  per  supplire  all'estrema  yariabilità  del  eorso  d'acqua. 
Questo  impianto  fu  concepito,  insieme  con  quello  del  Volturno  del  quale  si  parla 
più  avanti,  per  venire  in  aiuto  all'industria  napoletana.  Una  parte  dell'energia 
è  distribuita  a  Torre  Annunziata  da  una  Società  speciale  di  distribuzione. 

Un  impianto  napoletano  notevole  è  pure  quello,  interamente  termico, 
della  Società  generale  per  l'illuminazione.   Ha  una  Centrale  di  6550  hP, 


TRASPORTO   dell'energia  31 

che  &  il  servizio  di  ilInnriHsrione  con  cinque  sottostazioni  provviste  di  bat- 
terie di  accumulatori  nei  diversi  quartieri  della  città.  È  anche  importante 
quello  della  Società  napoletana  per  imprese  elettriche,  egualmente  ter- 
mico, con  macchine  a  vapore  della  forza  complessiva  di  circa  10,000  hP; 
esso  distribuisce  luce  ed  ernegia  a  Napoli  e  nei  Comuni  circostanti. 

Aziende  minori  nel  Mezzogiorno  continentale  sono  :  la  Società  adriatica 
di  Elettricità,  già  menzionata  piti  di  una  volta,  che  distribuisce  in  Puglia 
circa  1750  hP  con  motori  a  gas;  la  Società  idro-elettrica  del  medio  Calore^ 
che  distribuisce  400  H'  derivati  dal  Calore  fra  Luogosano  e  Ariano  ;  le  So- 
cietà riunite  di  Reggio  Calabria^  con  Centrale  idro-elettrica  di  500  hP  ;  la 
Società  elettrica  di  Benevento ^  con  Centrale  di  200  hP  sul  fiume  Sabato;  la 
Società  elettrotecnica,  con  dna  piccole  Centrali  idro-elettriche  di  350  hP  a 
Sulmona  e  Pratola;  Y Impresa  Zehender,  che  distribuisce  energia  idro-elet- 
trica a  Bagnara,  Palmi  e  Scilla. 

Alili  due  impianti  di  assai  maggiori  proporzioni  si  stanno  preparando,  e 
sarebbero  pronti  nel  1911  e  nel  1912:  quello  della  Società  elettrica  della 
Campania,  con  due  derivazioni  dal  Lete,  per  servire  la  zona  fra  Capua  e 
Napoli,  e  il  grande  impianto  à^WEnte  autonomo  Volturno,  a  Bocchetta  Vol- 
turno in  provincia  di  Campobasso,  che  dovrà  trasportare  a  Napoli  da  12.000 
a  14.000  hP  con  una  linea  di  90  km.,  e  che  fu  deliberato  per  formar  parte 
dei  provvedimenti  a  favore  di  Napoli. 

La  Sicilia  è  stata  una  delle  prime  regioni  a  profittare  del  progresso 
deir elettrotecnica.  Fu  infatti  a  Palermo  che  nel  1900  la  Società  sicula  di 
imprese  elettriche  cominciò  a  distribuire  luce  ed  energia  nella  città  e  nei 
dintorni,  e  poi  costrusse  la  funicolare  Palermo-Monreale  e  le  tranvie  citta- 
dine, tutte  a  trazione  elettrica.  La  Centrale  è  termica,  con  4650  hP.  Impianti 
simili,  benché  in  minori  proporzioni,  furono  fatti  a  Messina  e  Catania,  con 
1000  hP  cadauno.  Ma  V  impresa  più  importante  è  quella  della  Società  elei- 
trica  della  Sicilia  orientale,  perchè,  oltre  a  un  impianto  termico,  analogo 
ai  due  precedenti,  a  Siracusa,  ha  saputo  utilizzare  le  risorse  idrauliche  offerte 
dai  corsi  d*acqua  della  costa  orientale  della  Sicilia. 

Oli  impianti  idro-elettrici  della  Società  sono  duo  :  quello  sul  fiume  Cas- 
sibile  in  provincia  di  Siracusa,  che  ha  una  portata  di  magra  di  800  litri  e 
permette  quindi  di  utilizzare  con  275  m.  di  caduta  la  forza  minina  di  2800  hP, 
e,  con  un  serbatoio  di  11.000  m^,  una  fona  notevolmente  maggiore;  e  quello 
sul  fiume  Alcantara  scendente  dalFEtna,  con  un  forza  di  7000  hP  in  magra. 
Attualmente  non  si  utilizzano  sull'Alcantara  che  3000  hP,  con  un  serbatoio 
che  permetterà  di  elevare,  in  caso  di  necessità,  la  potenza,  sino  a  4000  KP. 
Questo  impianto,  affatto  recente  e  non  ancora  completo,  fornirà  energia  a  le 
città  della  costa  orientale  ;  e  su  questo  si  basano  ulteriori  studi  per  Tutiliz- 
zazione  delle  forze  idrauliche  della  Sicilia,  che  permetterebbero  di  contare 


32  GIUSEPPE   COLOMBO 


SU  circa  50,000  hP  ottenuti  in  diversi  punti  delFisola,  distribuibili,  con  una 
rete  di  880  km.,  nei  principali  centri  di  consumo. 

In  tutta  l'esposizione  di  questo  Capo  IV,  giova  ripeterlo,  non  si  è  fatto 
che  dare  un'idea  dei  più  importanti  impianti  di  trasmissione  di  energia  in 
Italia,  omettendo  gli  impianti  minori  e  quelli  fatti  dalle  aziende  industriali 
per  i  proprii  opifìci;  è  certo  però  che  quelli  dei  quali  si  è  fatta  menzione, 
rappresentano  la  parte  maggiore  dell'energia  elettrica  consumata  in  Italia, 
0  almeno  di  quella  attinta  ai  corsi  d'acqua.  Più  tardi,  nel  Capo  VIII,  si  rias* 
sumeranno  le  cifre  dei  Capi  IV,  V  e  VI  per  darne  un'  idea  complessiva,  te- 
nendo un  conto  approssimato  di  quanto  si  è  dovuto  omettere. 


V. 
Ferrovie  e  tramvie  elettriche. 

Ferrovie  e  tramvie  elettriche  diversificano  fra  loro  per  i  diversi  scopi 
cui  mirano  e  per  differenze  di  proporzione  e  di  organizzazione:  ma  dal  punto 
di  vista  meccanico  ed  elettrico  si  possono  considerare  come  eguali  ;  e  infatti  la 
loro  storia  è  comune.  Furono  primi  i  noti  costruttori  berlinesi  Siemens  e  Halske 
a  fare  dei  tentativi  di  trazione  elettrica  nel  1879  nel  recinto  dì  una  espo- 
sizione a  Berlino  e  sulla  linea  Zossen-Berlino,  poi  nel  1881  sulla  linea  di 
Orosslichterfeld  e  con  una  linea  interna  nell'Esposizione  di  Parigi  dove  si  co- 
minciò ad  usare  di  un  filo  aereo  per  trasmettere  la  corrente  ai  veicoli.  In 
quell'anno  fu  fatto  anche  il  primo  esperimento  di  trazione  con  accumulatori. 
Nel  1884  comparve  a  Kansas  City  il  primo  trolley ^  che  è  l'organo  raccoglitore 
della  corrente  generalmente  in  uso  sulle  tramvie  (^).  Da  quell'epoca  al  1888, 
specialmente  per  opera  di  Sprague,  la  trazione  elettrica  si  diffonde  rapida- 
mente in  America  ;  ed  è  appunto  col  sistema  Sprague  che  si  fece  per  la  prima 
volta  l'introduzione  della  trazione  elettrica  in  Italia  nel  1890,  tra  Firenze  e 
Fiesole,  funestata,  poco  dopo  la  sua  attuazione,  da  un  grave  disastro.  Tre  anni 
dopo  cominciò  l'esercizio  della  j)rima  linea  tramviaria  genovese,  e  la  Edison 
inaugurava  a  Milano  la  sua  rete  tramviaria  cittadina.  Nel  1895  si  inaugu- 
rava la  rete  di  Roma,  alla  quale  seguirono  tosto  quelle  di  altre  città,  esten- 
dendosi temporaneamente  nei  suburbi,  e  oltre  i  suburbi. 

Il  passaggio  dal  servizio  tramviario  urbano  e  suburbano  a  un  vero  e 
proprio  servizio  ferroviario,  non  poteva  che  tener  dietro  al  successo  delle 
tramvie.  Infatti,  le  due  Società  che  a  quei  tempi  esercitavano  le  linee  fer- 
roviarie dello  Stato,  ebbero  quest'ardita  iniziativa,  dapprima  in  piccola  scala 

(*)  A  Budapest  fu  fatta  su  larga  scala  anche  l'applicazione  del  conduttore  sotter- 
raneo, ma  con  poco  successo. 


TRASPORTO   dell'energia  33 


6  con  sistemi  differenti:  la  Mediterranea  coiresperimento  Milano-Monza 
(1899),  con  caiTozze  caricate  di  accumulatori,  poi  sulla  linea  Milano-Oallarate 
col  sistema  della  terza  rotaia;  la  Adriatica,  prima  con  una  linea  ad  accu- 
mulatori (Bologua-San  Felice),  poi,  sulle  ferrovie  valtellinesi,  con  linea  aerea. 
Fallito  l'esperimento  cogli  accumulatori  (sistema  che  si  era  tentato,  senza 
buon  esito,  anche  sulle  tramyie  di  Roma),  il  successo  degli  altri  due  sistemi 
fu  completo,  tanto  che  esse  costituiscono  due  esempi  classici  di  ferrovie 
elettriche.  Lo  Stato  le  esercita  ora,  e  sta  per  aprire  il  servizio  elettrico  anche 
suiraggravatissima  linea  dei  Giovi  per  aumentarne  la  potenzialità. 

Le  due  linee  della  Mediterranea  e  dell'Adriatica  hanno  anche  avuto 
questo  merito,  di  aver  messo  in  rilievo  i  pregi  e  i  difetti  di  due  sistemi 
diversi  di  trazione.  Infatti,  abbandonati  gli  accumulatori,  abbandonato  il 
conduttore  sotterraneo,  non  resta  ora,  sanzionato  dall'esperienza,  che  il  si- 
stema di  prendere  la  corrente  da  un  conduttore  esterno,  posto  lungo  la  linea, 
che  la  riceve  da  opportune  stazioni  e  sotto-stazioni  elettriche  per  mandarla 
nei  motori  collocati  sia  sulle  carrozze  stesse  (carrozze  automoiriei),  sia  sopra 
locomotori  che  servono,  come  le  locomotive,  per  rimorchiare  i  treni.  Ma 
questa  presa  di  corrente  si  può  fare  in  due  modi:  da  un  tilo  o  da  fili  aerei, 
come  si  usa  generalmente  sulle  tramvie,  mediante  una  pertica  chiamata 
trolley  \  oppure  da  una  terza  rotaia  laterale,  mediante  strisciatoj.  Nell'uno 
e  neiraltro  caso  la  corrente  ritorna  lungo  le  rotaie  del  binario,  metallica- 
mente congiunte  fra  loro.  Diversa  può  essere  anche  la  natura  della  corrente 
utilizzata:  corrente  continua,  come  è  generalmente  adoperata  nelle  tram  vie 
e  sulla  linea  Milano- Varese  ;  corrente  trifase,  come  sulle  linee  valtellinesi. 
Si  è  proposta  anche  la  corrente  alternata  monofase,  la  quale  trovasi  però 
applicata  in  Italia,  almeno  sino  ad  oggi,  soltanto  sulla  Boma-Civita  Castel- 
lana-Viterbo, sulla  Padova-Fusina,  e  sulla  Bergamo  -  San  Pellegrino. 

La  linea  varesina  Milano- Varese  -  Porto  Geresio  (sul  lago  di  Lugano), 
lunga  73  km.,  fu  aperta  nel  1901  sino  a  Varese  e  nel  1902  da  Varese  a 
Porto  Ceresio.  La  Centrale  è  a  Tornavento,  con  una  forza  disponibile  di 
4000-6000  hP  con  macchine  a  vapore  (fu  però  già  impegnata  l'energia  idroelet- 
trica della  Società  Dinamo  appena  sarà  disponibile,  come  fu  già  accennato 
al  Capo  IV).  La  linea  di  distribuzione  funziona  a  1200-1300  volt  e  viene 
convertita,  nelle  sotto-stazioni  di  trasformazione,  in  corrente  continua  a  650 
volt,  per  mandarla  alla  terza  rotaia.  Le  sotto-stazioni  hanno  anche  batterie 
di  accumulatori.  Il  materiale  mobile  si  compone  di  carrozze  automotrici  e 
di  locomotive  (^). 

(*)  Vedansi,  a  proposito  di  queste  linee,  le  interessantissime  notizie  date  dair Ammi- 
nistrazione delle  Ferrovie  dello  Stato:  Cenni  intorno  alV applicazione  della  trazione 
pleurica  sulle  ferrovie  italiane;  La  trazione  elettrica  sulla  linea  Milano*  Varese- Porto 
Ceresio:  La  trazione  elettrica  sulla  vecchia  linea  dei  Giovi,  1909-1910. 

OiusKppK  Colombo.  —  Trasporto  dtWentrgia,  S 


34  GIUSEPPE   COLOMBO 


Le  linee  della  YaltelliDa  (Lecco-Colico,  Oolico-Sondrio,  Colìco-Chiavenna) 
hanao  la  lunghezza  complessiva  di  105  km.  e  sono  esercitate  con  corrente 
trifase  (').  La  corrente  è  prodotta  da  alternatori  a  20,000  volt  ed  è  tras- 
messa ali  sotto-stazioni  lungo  la  linea,  nelle  quali  è  ridotta  a  8000  volt 
e  mandata  ai  motori  del  treno.  L'energia  è  presa  dairalta  Adda  in  Valtel- 
lina, donde  si  traggono  5300  hP  per  Tesercizio  delle  linee;  la  Centrale  è 
a  Morbegno,  ed  è  fatta  per  utilizzare,  per  ora,  18  m^  d'acqua  al  T',  con 
una  caduta  di  80  m.  L'esercizio  fu  aperto  nel  1902. 

Ai  Giovi,  presso  Genova,  l'esercizio  della  ferrovia  Genova-Novi  è  pesan- 
tissimo in  causa  della  forte  pendenza  (35  per  1000)  e  del  cresciuto  traffico, 
non  ostante  la  linea  succursale  di  Mignanego.  Si  pensò  dunque  di  elettrificarla 
in  quel  tronco  fra  Genova  e  Busalla,  risolvendo  questo  problema  :  rimorchiare 
treni  di  380  tonn.  che  si  susseguano  di  15  in  15,  e  anche,  occorrendo, 
dì  10  in  10  minuti,  in  un  periodo  di  18-20  ore  al  giorno,  unico  modo  di 
dare  al  passaggio  la  voluta  potenzialità  di  1000  a  1700  carri  al  giorno.  Il 
problema  fu  risolto  con  lo  stesso  sistema  delle  linee  valtellinesi.  La  Centrale 
è  alla  Chiapella  presso  Genova,  ed  ha  ora  una  potenza  elettrica  di  18,500  a 
16,000  KP,  ottenuta  con  turbo-alternatori  a  vapore,  salvo  raddoppiarla  se 
sarà  necessario.  L'energia  è  prodotta  a  13,000  volt,  ridotta  a  3000  nelle 
stazioni  di  trasformazione.  Il  servizio  si  fa  con  locomotori  di  60  tonn. 

In  territorio  italiano  fu  chiesta  pure  la  concessione  di  un  impianto  elet- 
trico dalle  Ferrovie  federali  svizzerCy  dipartimento  di  Losanna,  per  la  tra- 
zione fra  Iselle  e  Briga,  con  la  Centrale  a  IscUe,  utilizzando  una  forza  idraulica 
di  3000  hP,  per  fare  l'esercizio  con  corrente  alternata  trifase  nella  gran  gal- 
leria del  Sempione. 

A  tutte  queste  linee  bisogna  aggiungere  quelle  concesse  sino  alla  fine 
del  1909  come  linee  propriamente  ferroviarie,  appartenenti  a  società  private. 
Tali  sono  la  Yarese-Luino,  la  Bergamo -S.  Giovanni  Bianco,  la  Napoli-Valle 
Pompei-Scafati,  la  Castel  Raimondo  -  Camerino,  la  Chieti  città  -  Stazione,  la 
Vesuviana,  e  tutte  le  Funicolari  (Genova,  Capri,  Lanzo  d'Intelvi,  S.  Pelle- 
grino, S.  Vincent,  Biella);  tutte  queute  linee  danno  un  totale  di  poco  piii 
di  118  km.  Fi-a  breve,  altre  nuove  linee  si  aggiungeranno  alle  precedenti, 
e  fra  le  altre  la  Roma-Ostia-Mare,  la  Roma-Anzio-Nettuno,  la  Roma-Frosinone. 

Riassumendo,  le  linee  ferroviarie  propriamente  dette,  esercitate  colla  tra- 
zione elettrica,  rappresentavano  alla  fine  del  1909  un  percoi*so  totale  di  300  km. 
in  cifra  tonda;  e  potranno  elevarsi,  in  un  prossimo  avvenire,  a  circa  400  km. 

Le  tramvie,  urbane  e  interurbane,  hanno  avuto  un  grande  sviluppo  dal 
1890  in  poi.  Il  sistema  generalmente  seguito  è  quello  della  corrente  continua 

(^)  Le  prime  prove  deirapplicazione  della  corrente  trifase  alla  trazione  furono  fatto 
nel  1896  da  Brow  Boyeri  a  Lugano,  e  da  Ganz  (che  poi  fece  rimpianto  della  YaltcllinaX 
a  Evian. 


TRASPORTO   dell'energia  o5 


attinta  da  conduttori  aerei  colla  pertica  {trolley),  salvo  i  casi,  già  citati,  di 
impiego  della  corrente  alternata  monofase.  In  ordine  d'importanza  conviene 
menzionare  anzitutto,  benché  cronologicamente  siano  venute  più  tardi,  le 
tramvie  interurbane,  cioè  quelle  che  collegano  due  o  più  centri  e  non  sono 
semplici  diramazioni  suburbane. 

Queste  linee  interurbane  rappresentavano  in  tutto,  alla  fine  del  1909, 
circa  570  chilometri  di  percorso.  Fra  le  linee  più  lunghe,  sono  le  tramvie  fio- 
rentine, quelle  delle  riviere  di  Napoli  e  di  Genova,  quella  dei  Castelli  ro- 
mani, la  Roma -Civita  Castellana-Viterbo. 

La  più  recente  (fu  aperta  nel  1910),  ed  anche  una  delle  più  interes- 
santi, perchè  segue  per  36  km.  il  Canale  di  Brenta  sulla  strada  dove  i  pa- 
trizi veneziani  avevano  le  loro  ville  (quella  di  Strà  è  monumento  nazionale), 
è  la  linea  fra  Padova  e  Fusina  sulla  Laguna,  donde  un  servizio  speciale 
di  vapori  la  riunisce  a  Venezia.  Essa  è  fra  le  poche  esercitate  col  sistema 
della  corrente  alternata  mono&se,  che  però  accenna  a  diffondersi.  La  linea 
di  alimentazione  è  ad  alta  tensione,  e  da  essa  la  corrente  passa  a  quella 
a  bassa  tensione  per  la  linea.  La  Centrale  è  termica,  presso  Padova,  e  dis- 
pone di  1250  hP,  senza  però  impiegarli  tutti,  perora.  Un' altra  linea,  egual- 
mente a  sistema  monofase,  è  stata  inaugurata  nell'ottobre  1910  e  serve  a 
collegare  Fondo  Toce  con  Pallanza  ed  Intra  sul  Lago  Maggiore. 

Quanto  alle  tramvie  urbane  e  suburbane,  esse  hanno  raggiunto  una 
notevole  estensione,  essendo  oimai  applicate  in  28  città.  Alla  fine  del  1909 
la  lunghezza  del  percorso  di  queste  linee  era  di  510  km.  in  cifra  tonda, 
mentre  la  lunghezza  dei  binar!  installati  è  di  poco 'minore  del  doppio  del 
percorso,  essendo  d'ordinario  queste  linee,  salvo  in  tratti  specialmente  ri- 
stretti, a  doppio  binario. 

Fra  gli  impianti  più  grandi  si  contano  quelli  di  Milano,  Torino,  Boma, 
Napoli,  Palermo,  Bologna  e  Genova.  À  Milano,  per  esempio,  sono  installati  in 
città  80  km.  di  linee  a  doppio  binario,  che  son  percorse  da  800  vetture  e  hanno 
trasportato,  nel  1909,  circa  134  milioni  di  passaggeri,  raggiungendo  in  un 
giorno  il  massimo  di  520,000;  e  a  questi  80  km.  di  linee  interne  bisogna 
aggiungerne  altri  28  di  diramazioni  suburbane,  che  dovi*anno  fra  breve  ar- 
rivare a  75. 

In  complesso,  adunque,  le  tramvie  elettriche  italiane,  urbane,  suburbane 
e  interurbane,  avevano,  a  tutto  Tanno  1909,  uno  sviluppo  di  1080  km. 
di  linee,  sia  a  semplice  che  a  doppio  binario  (').  £  siccome  le  ferrovie  elet- 
triche propriamente  dette  rappresentavano,  alla  fine  del  1909,  un  percorso  di 

{})  Questi  dati  sono  stati  comaiiicati  airaatore  dal  Ministero  dei  lavori  pubblici. 

L^ing.  Semenza,  riferendosi  alla  fine  del  1908,  calcolava  che  a  qneirepoca  esistes- 
sero più  di  1500  km.  di  binario  semplice  (non  di  linee):  il  che,  tenendo  conto  del  fatto 
che  le  tramvie  orbane  sono  per  lo  più  a  doppio  binario,  corrisponde  assai  bene,  in  ra- 
gione d*epoca,  ai  dati  sa  riferiti. 


36  GIUSEPPE   COLOMBO 


300  km.,  come  si  è  visto,  e  ne  rappresenteranno  fra  breve  400  colla  elettri- 
ficazione della  linea  dei  Giovi  e  le  altre  linee  dì  prossima  costruzione  ('),  così 
si  può  ritenere  che,  nel  1911,  la  lunghezza  totale  di  percorso  delle  linee 
elettriche  ferroviarie  e  tramviarie  italiane  sarà  di  circa  1500  km. 

Quanto  all'energia  elettrica  che  queste  linee  consumano,  essa  è  in  gran 
parte  compenetrata  in  quelle  degli  impianti  elettrici  dei  quali  si  è  parlato 
nel  capo  lY  (linee  genovesi,  napoletane,  milanesi,  romane,  palermitane,  to- 
rinesi«  bresciane,  comensi,  varesine,  ecc.).  Le  ferrovie  elettriche  dello  Stato, 
in  esercizio,  e  quella  dei  Giovi  prossima  ad  aprirsi,  rappresentano  un'energia 
totale,  installata  se  non  interamente  utilizzata,  di  15,000  a  20,000  hP  a  va- 
pore (linee  varesine  e  linea  dei  Giovi)  e  5000  hP  idraulici  (linee  valtellinesi). 
Per  gli  altri  esercìzi  di  linee  elettriche  non  compresi  negli  impianti  del 
capo  IV  (come,  per  citarne  una,  la  Padova-Fusina)  sarebbe  diflScile  di  esporre 
dati  precisi  e  neppure  approssimati;  probabilmente  però  Tenergia  che  con* 
sumano  non  sorpasserà  3  a  4  migliaia  di  cavalli. 

Non  sono  ancora  grandi  cifre  quelle  che  rappresentano  le  applicazioni 
deir  energia  elettrica  alla  trazione  in  Italia;  ma  è  bene  notare  che,  salvo  forse  in 
America,  ciò  si  verifica  anche  altrove;  anzi,  per  quanto  riguarda  Tapplicazione 
alle  ferrovie  presso  altre  nazioni,  Vltalia  non  è  certo  fra  le  ultime.  Bisogna  però 
riflettere,  che  è  bensì  vero  che  da  molte  parti  si  preconizza  l'estensione  del 
servizio  elettrico  alle  grandi  linee  ferroviarie;  ma  il  problema  è  tutt'altro 
che  facile  a  risolversi.  L* esercizio  elettrico  fa  di  tutta  la  linea,  si  può  dire, 
un  impianto  elettrico  unico,  una  macchina  sola,  cosicché  la  continuità  del- 
l'esercizio dipende  dall'impianto  centralo;  coll'esercizio  a  vapore  e  le  loco- 
motive, invece,  ciascun  treno  è  indipendente.  Non  v'ha  dunque  dubbio  che, 
da  questo  punto  di  vista,  la  trazione  a  vapore  sia  ancora  preferibile  per  le 
grandi  linee  nazionali  e  internazionali,  che  richiedono  l'impiego  di  grossi 
treni  da  passeggeri  o  da  merci,  a  intervalli  più  o  meno  lunghi.  Ma  se  si 
tratta  di  linee  brevi  di  trafiìco  intenso,  tali  che  i  treni  grandi  o  piccoli  si 
succedano  a  brevi  intervalli  (come  ai  Giovi,  dove  i  pesanti  treni  merci  pos- 
sono succedersi  persino  con  10  minuti  d'intervallo;  o  come  sulla  linea  Mi- 
lano-Varese, sulla  quale  i  treni  merci  e  viaggiatori  si  succedono  a  pochi 
minuti  d'intervallo,  con  circa  50  treni  di  andata  e  altrettanti  di  ritorno 
Della  giornata  e  più  ancora  nei  giorni  festivi),  allora  si  raggiunge  ii  massimo 
utile  colla  trazione  elettrica.  Perciò  è  possibile  che  la  frequenza  del  movi- 
mento e  del  trafSco,  soprattutto  in  vicinanza  ai  grandi  centri,  promuova 
Telettrilicazione  di  talune  linee  o  tronchi  di  linea,  almeno  parzialmente, 
come  appunto  avviene  sulla  Milano- Varese,  la  quale  nel  tronco  Milano-Gal- 
larate  è  anche  aperta  al  passaggio  dei  treni  internazionali  del  Sempione, 
trainati  da  locomotive.  Così  è  probabile   che   avvenga  a  poco  a  poco  da  sé 

Ci  Già  nel  corso  del  1910  le  reti  tramyiarle  suburbane  sono  aumentate  di  parecchie 
decine  di  chilometri. 


TRASPORTO   DELL  ENERGL\ 


lo  smistamento  dei  sistemi  di  trazione  secondo  Tentità  e  la  natura  del  traf- 
fico, ammettendo  la  trazione  elettrica  o?e  si  verificano  le  condizioni  più  fa- 
vorevoli per  questo  sistema,  come  è  avvenuto  per  le  summenzionate  tre  linee 
dello  Stato. 


VI. 
Applicazioni  elettro-chimiche  ed  elettro-metallurgiche. 

L'energia  elettrica  può  essere  applicata  alla  produzione  industriale  di- 
rettamente, senza  passare  attraverso  ad  un  motore;  la  galvanoplastica  ne  è 
il  più  antico  e  volgare  esempio.  Queste  applicazioni  dirette  dell'energia  elet- 
trica sono  numerose,  ma  ancora  non  hanno  preso  nell'industria  italiana  quel 
largo  posto  che  sembrava  spettar  loro.  L'elettrolisi  dell'acqua,  più  volte  pre^ 
conizzata  per  la  produzione  dell'ossigeno  e  dell'idrogeno  :  la  fabbricazione  della 
soda  caustica,  dei  clorati  e  degli  ipocloriti  :  Testrazìone  del  ferro,  del  rame  e 
deiralluminio  dai  loro  composti:  la  fabbricazione  del  carburo  di  silicio  e 
del  carburo  di  calcio,  sono  tutte  operazioni  che  si  possono  fare  con  l'ap^ 
plicazione  diretta  della  corrente. 

In  fatto,  però,  le  applicazioni  riuscite  in  Italia  sono  assai  scarse.  Un^ 
certa  quantità  di  energia  elettrica  è  utilizzata,  più  che  per  l'afSnamento  del 
rame,  per  operazioni  galvaniche,  nichelatura,  argentatura,  doratura  (secondo 
le  pubblicazioni  del  Ministero  di  agricoltura  industria  e  commercio,  vi  sa- 
rebbe stata  già  adibita,  alla  data  del  1899,  un'energia  di  900  hP);  ma,  in 
ogni  modo,  non  si  tratta  di  una  grande  industria,  o  almeno  è  i*aramente  trat- 
tata in  Italia  come  tale. 

L'elettrolisi  dell'acqua  ha  dato  risultati  industriali  di  poca  importanza, 
e  non  serve,  al  più,  che  alla  produzione  industriale  dell'idrogeno  per  l'aero- 
statica. Più  avanzata  invece  è  la  fabbricazione  della  soda,  che  è  prodotta 
specialmente  a  Bussi  dalla  Società  italiana  di  elettrodinamica,  traendo  pro- 
fitto dalle  forze  del  Tirino  e  del  Pescara.  Colle  stesse  forze  lavora  a  Bussi 
la  Società  italiana  per  l'estrazione  dell'alluminio  ;  questo  viene  estratto 
dalla  bauxite  ricavata  dai  giacimenti  della  montagna  di  Lecce  dei  Marsi 
presso  il  lago  Fucino,  coU'impiego  di  un'energia  di  5000  hP,  trasformando  la 
corrente  alternata  in  corrente  continua  a  bassa  tensione.  Un'altra  parte  di 
queste  forze  è  adoperata  dalla  Società  italiana  di  prodotti  asolati^  creata 
per  la  fabbricazione  dei  prodotti  destinati  all'industria  dei  concimi  artificiali, 
cioè  della  calciocianamide  e  dell'azoto  combinato  per  via  elettrica  coli'ossi- 
geno  dell'atmosfera;  la  fabbrica  è  impiantata  a  Piano  d'Orte  e  deriva  la  sua 
forza,  come  la  Società  precedente,  dal  primo  salto  del  Pescara  (*). 

(*)  A  questi  impianti  si  è  già  accennato  al  Capo  IV,  3. 


33  GIUSEPPE   COLOMBO 


La  fabbricazione  del  carburo  di  calcio  ha  avuto  un  periodo  di  grande 
prosperità  ed  è  stata  intrapresa  su  di  una  scala  larghissima,  sin  troppo  larga, 
perchè  il  prezzo  di  questo  prodotto  è  andato  via  via  scemando,  talché  vi  fa 
un  momento  in  cui  qualche  fabbrica  di  carburo  si  è  dovuta  chiudere.  Al 
presente,  la  maggior  produzione  è  fatta  dalla  fabbrica  di  Terni  {Società  ita- 
liana pel  carburo  di  calcio)^  che  vi  adibisce  la  forza  considerevole  derivata 
dal  Velino  e  dal  Nera,  producendo  anche  la  calciocianamide  e  prodotti  secon- 
dar!. Si  fabbrica  pure  carburo  a  Narni  dalla  Società  della  Valnerina,  che 
prende  Tenergia  dal  Nera  alla  cascata  delle  Marmore  e  che  ora  ha  cessato 
il  suo  esercizio,  il  quale  è  passato  alla  Società  del  carburo,  essendo  la  «  Val- 
nerina  t  in  liquidazione  Q).  Se  ne  fabbricava  in  minori  proporzioni  anche  a 
Darfo  (Val  Canionica),  a  Pont  S*.  Marcel  e  a  Pont  S*.  Martin  (Val  d'Aosta) 
dove  la  Società  elettro-chimica  dispone  di  4000  a  5000  hP. 

La  metallurgia  del  ferro  ha  tentato  di  servirsi  deirenergia  elettrica 
sino  dai  primordi  delle  sue  applicazioni  in  Italia;  e  il  primo  impianto  col 
sistema  Stassano,  eretto  a  Darfo  in  Val  Gamonica,  rimane,  colle  sue  varie 
e  non  sempre  prospere  vicende,  Tunico  che  si  possa  menzionare.  La  riduzione 
del  minerale  da  convertirai  in  acciaio  si  ottiene  direttamente  nel  forno  elet- 
trico sotto  razione  di  un  potente  arco  voltaico,  impiegandovi  un'energia  di 
qualche  migliaio  di  cavalli. 

La  metallurgia  del  rame,  per  l'estrazione  del  metallo  dal  minerale  e 
la  sua  affinazione,  è  stata  oggetto  di  studi  a  Livorno  e  a  Pont  S^  Martin, 
ma  sinora  non  costituisce  un'impresa  industrialmente  avviata. 

Su  piccola  scala  la  Società  elettrotecnica  monzese,  prendendo  energia 
elettrica  dalle  reti  esistenti,  ha  tentato  da  alcuni  anni  di  utilizzarla  per  la 
fabbricazione  di  alcuni  prodotti  chimici,  con  mediocre  successo. 

In  complesso,  le  applicazioni  dirette  dell'energia  elettrica  alle  operazioni 
chimiche  e  metallurgiche,  né  sono  numerose,  uè,  malgrado  Tabbondanza  della 
forza  idraulica  e  gli  ingenti  capitali  consacrativi  in  Italia,  sono  molto  pro- 
mettenti. Le  sole  industrie  che  realmente  meritino  questo  nome  per  la  scala 
nella  quale  sono  esercitate,  sono  quelle  animate  dalle  forze  del  Pescara  e 
del  Tirino,  per  le  quali  non  sono  ancora  scomparse  tutte  le  difRcoltà  che 
vi  si  opposero,  e  la  fabbricazione  del  carburo  di  calcio.  Si  sono  nutrite  forse 
in  proposito  troppe  illusioni.  Certo  è  che  questa  scarsezza  di  attività  nel 
campo  elettrochimico  ed  elettrometallurgico  segue  ed  eguaglia  quella,  che 
da  tanti  anni  si  va  inutilmente  deplorando  in  Italia  nel  campo  chimico- 
industriale.  Le  ragioni  di  questo  fenomeno  sono  varie  e  complesse;  ma  non  è 
questa  la  sede  opportuna  per  discorrerne. 


(*)  Vedasi  ancora  al  Capo  IV,  2. 


TRASPORTO   dell'energia  39 


VII. 
Indastrie  accessorie. 

Le  applicazioni  dell'elettricità  al  trasporto  e  airimpiego  dellenergia  in 
diverse  indastrie,  hanno  favorito  la  creazione  di  nuove  fabbricazioni  per  for- 
nire tutto  il  materiale  necessario.  Qaeste  fabbricazioni  si  sono  andate  esten- 
dendo, al  punto  che  oggidì  noi  non  abbiamo  più  alcuna  necessità  di  ricor- 
rere all'estero  nò  pei  motori  idraulici  e  termici,  né  per  il  materiale  delle 
condotture  idrauliche  ed  elettriche,  né  per  quasi  tutti  gli  apparecchi  necessari 
agli  impianti  elettrici  di  qualsiasi  natura.  Sventuratamente,  in  una  cosa  sola,  che 
pure  sarebbe  tra  le  più  importanti,  l'industria  italiana  non  ha  fatto  nessun 
cammino  :  la  fabbricazione,  infatti,  dei  potenti  alternatori  necessari  ai  grandi 
impianti  moderni,  e  in  generale  anche  di  tutto  quanto  è  grosso  macchinario 
elettrico  propriamente  detto,  macchine  dinamo-elettriche,  trasformatori,  con- 
vertitori e  simili  apparecchi,  non  si  può  dire  che  manchi  del  tutto  in  Italia  ; 
ma  certo  ò  intrapresa  su  di  una  scala  notevolmente  piccola  rispetto  ai  bi- 
sogni, talché  in  tutti  i  grandi  impianti  italiani,  con  poche  eccezioni  (0,  il 
grosso  materiale  elettrico  è  fornito  da  case  estere,  e  specialmente  svizzere, 
tedesche  e  americane  (^). 

È  una  deficienza  penosa,  della  quale  é  difficile  dare  una  ragione  ;  poiché 
la  stessa  attitudine  dimostrata  in  tante  altre  costruzioni  elettriche  da  ditte 
italiaue  che  hanno  saputo  assicurarsi  il  mercato  nazionale,  poteva  essere  im- 
piegata anche  nella  costruzione  dei  grandi  alternatori  e  delle  altre  grosse 
macchine  per  le  Centrali  elettriche.  Si  tratterebbe  di  una  produzione  di  in- 
gente valore,  la  cui  ricerca,  almeno  sino  ad  oggi,  é  ancora  assai  grande.  Non 
potendo  ammettere  la  mancanza  di  attitudine,  bisogna  cercare  le  ragioni  di 
questo  fatto  in  cause  di  ordine  finanziario;  per  cui  é  permesso  di  espri- 
mere l'augurio  che  fi-a  breve  i  nostri  costruttori  possano  tentare  con  suc- 
cesso anche  la  fornitura  di  questo  materiale. 


(')  Fra  queste  eccezioni  si  devono  citare  gli  impianti  fatti  dalla  ditta  Gadda  e  C. 
ora  in  liquidaziene,  per  la  Società  elettrochimica  sul  Pescara,  per  la  Società  idroelettrica 
ligare,  per  quella  del  Moncenisio  e  della  Riviera  di  Ponente,  e  per  le  Imprese  elettriche 
in  Koma,  dove  sono  anche  installati  due  turbo-alternatori  di  2000  kw.  con  turbine  a  va- 
pore del  tipo  ideato  dairiog.  Bellnzzo. 

(*)  Le  principali  ditte  estere  costruttrici  di  questo  materiale,  sono  parecchie.  Una 
fra  queste,  la  ditta  Brown  Boveri  di  Baden  (Svizzera),  ha  impiantato  la  fabbricazione 
anche  a  Milano  nei  locali  delle  cessate  fabbriche  Gadda  e  Tecnomasio,  e,  sotto  la  ditta 
Tecnomasio  italiano  Brown  Boveri,  fornisce  ora  molta  parte  del  grosso  materiale  elet- 
trico delle  Centrali  italiane. 


40  GIUSEPPE    COLOMBO 


Nelle  altre  costi'azioni  per  impianti  elettrici,  in  parte  Temancipazione  è 
già  avvenuta,  in  parte  possiamo  dire  di  competere  in  buone  condizioni  con 
l'estero.  Così  nei  motori  idi*aulici,  come  già  si  è  detto  al  capo  II,  la  fab- 
brica A.  Riva  e  C.  di  Milano  ha  saputo  non  solo  conquistarsi  il  mercato 
italiano,  ma  mettersi  in  misura  di  concorrere,  in  qualche  caso,  con  Testerò. 
La  sua  produzione  si  può  veramente  dire  perfetta.  Un  buon  nome,  per  co- 
struzioni di  minore  importanza,  ha  pure  la  ditta  Calzoni  di   Bologna. 

Nei  motori  a  vapore,  o,  per  dire  più  preciso,  nelle  turbine  a  vapore 
da  accoppiare  cogli  alternatori,  sono  generalmente  i  tipi  stranieri  che  preval- 
gono, poiché  la  turbina  a  vapore  non  è  nata  in  Italia;  ma  la  loro  costru- 
zione è  già  avviata  da  noi,  specialmente  per  opera  della  nota  ditta  Tosi  di 
L^oano.  Conviene  anche  aggiungere  che  un  tipo  italiano  di  turbine  a  vapore, 
il  tipo  Belluzzo,  comincia  non  solo  a  farsi  conoscere  favorevolmente,  per  T ap- 
plicazione ai  turbo-alternatori,  ma  lascia  anche  spei-ar  possibile  Tapplica- 
zione  diretta  alle  locomotive  (').  Quanto  ai  motori  a  essenza  e  ad  olii  pesanti, 
se  ne  son  fatta  una  specialità  la  ditta  Tosi  di  Legnano  e  la  Langen  e  Wolf 
di  Milano. 

Nella  costruzione  delle  macchine  dinamo-elettriche  di  minore  portata, 
ci  sono  valenti  costruttori  in  Italia,  come  la  Società  officine  di  Saviglia?io, 
la  dilla  Ansaldo  e  poche  altre  fabbriche  minori.  La  costruzione  dei  motori 
elettrici  è  anche  fatta  dai  costruttori  stessi  delle  macchine  dinamo-elettriche; 
ma  ci  sono  anche  fabbrìcanti  speciali  di  motori,  come  la  ditta  Marcili  di 
Sesto  S.  Giovanni. 

Molti  eccellenti  costruttori  abbiamo  in  Italia  per  il  materiale  accessorio 
delle  Centrali  e  degli  impianti  elettrici  in  genere,  misuratori,  interruttori,  sca- 
ricatori di  corrente,  strumenti  di  precisione  e  altri  apparecchi  consimili.  Lo 
ingegnere  Magrini  a  Bergamo,  le  ditte  Grimaldi  e  C.  e  Olivetti  e  C.  di 
Milano,  provvedono  una  gran  parte  delle  ofiicine  elettriche  italiane.  Le  fab- 
biiche  di  apparecchi  per  servire  alla  illuminazione  elettrica  sono  pure  nu- 
merose. 

Le  linee  elettriche  pel  trasporto  e  la  distribuzione  della  corrente  dalle 
Centrali  di  produzione  dell'energia  ai  consumatori,  hanno  ormai  in  Italia 
uno  sviluppo  di  molte  migliaia  di  chilometri,  e  costituiscono  una  delle  parti  più 
importanti  di  un  impianto,  molto  più  colFadozione  di  tensioni  sempre  più 
alte,  che  richiedono  isolamenti  perfetti.  Oggetto  di  studi  continui  sono  quindi 
la  costruzione  dei  pali  (che  ormai,  dall'epoca  dell'impianto  di  Paderno  in 
poi,  si  fanno  metallici)  e  quella  degli  isolatori.  Per  questi  ultimi  lltalia  ha 
fortunatamente  un'antica  e  rinomata  ditta  nazionale,  anzi  la  riunione  di  due 
ditte,  la  Società  ceramica  Richard- Ginori  di  Milano  e  Doccia  (Firenze), 

(^)  Esperimenti  su  questa  nuova  applicazione  delle  turbine  a  vapore  sono  stati  fatti 
dalle  0/ficine  meccaniche  di  Milano^  sotto  la  direzione  dell'ing.  Alzona. 


TRASPORTO   dell'energia  41 

che  non  solo  fornisce  tatto  il  paese,  ma  esporta  pure  alVestero,  in  Francia 
e  in  America,  i  suoi  isolatori,  il  cui  tipo  principale  è  quello  intitolato  tipo 
Paderno^  perchè  è  nell'impianto  di  Paderno  che  fu  per  la  prima  volta  ap- 
plicato. Essa  ha  fabbricato  isolatori  per  tensioni  fino  a  72.000  volt  per  la 
linea  municipale  milanese,  e  sta  per  fornirne  alla  Società  del  carburo  per 
la  tensione  di  80.000  volt.  E  per  le  linee  sotterranee,  una  sola  ditta  serve 
la  maggior  parte  delle  installazioni  elettriche  italiane,  e  molte  installazioni 
airestero:  la  nota  ditta  Pirelli  e  C.  di  Milano  e  Sesto,  una  delle  più  grandi 
ditte  fabbricatrici  di  cavi  e  conduttori  elettrici  di  qualsiasi  tipo. 

Le  Centrali  elettriche  hanno  bisogno  di  tubi  metallici  di  grande  dia- 
metro per  le  altissime  cadute  che  ora  si  tratta  di  utilizzare.  Si  è  già  citato 
al  capo  II  il  caso  di  tubi  fino  a  m.  2,50  di  diametro.  Essi  son  tutti  fabbri- 
cati in  Italia,  e  i  più  grandi  specialmente  dalla  fabbrica  dell'ingegnere  For- 
lauini  di  Forlì,  e  dalle  Officine  Togni  di  Brescia. 

Lampade  a  incandescenza  e  ad  arco  son  fabbricate  pure  in  Italia.  Le 
nuove  lampade  a  filamento  metallico  sono  prodotte  dalla  Società  italiaìia 
per  le  lampade  elettriche  Z  (a  filamento  metallico)  che  riunisce  due  antiche 
fabbriche  di  lampade  a  incandescenza,  la  Edison  di  Milano  e  la  Cruto  di 
Alpignano  (Torino). 

Se  si  aggiunge  che  gli  accumulatori,  i  quadri  e  tutto  il  coiTedo  me- 
tallico delle  Centrali  elettriche  si  fabbricano  in  paese,  e  anche  le  carrozze 
per  le  tramvie  e  in  generale  quanto  occorre  per  le  installazioni  elettriche, 
si  vedrà  qual  somma  di  attività  abbia  creato  in  Italia  il  trasporto  elettrico 
dell'energia. 


Vili. 
Conclusione. 

È  giunto  ora  il  momento  di  raccogliere  i  dati  sparsi  nei  capi  lY  a  VI, 
per  farsi  un*  idea  la  più  approssimata  possibile  dello  stato  attuale  delle  ap- 
plicazioni dell'energia  elettrica  in  Italia.  Una  statistica  è  per  ora  sventura- 
tamente impossibile;  perchè,  mentre  l'importante  monografìa  del  Ministero 
di  agricoltura,  industria  e  commercio,  pubblicata  nel  1901,  sugli  impianti 
elettrici  esistenti  in  Italia  alla  fine  del  1898  (^),  dà  la  loro  statistica  completa 
sino  a  tutto  il  1898,  da  quest'epoca  sino  al  1905  non  si  pubblicò  nulla; 
e  la  pnbblicazioneu  rimasta  così  sospesa  per  sette  anni,  non  fu  ripresa  che 

(*)  Qaesta  eccellente  pubblicazione  è  dovuta  a  una  Commissione  della  quale  fu  re- 
latore competentissimo  e  diligente  rin<i^.  Mengarini.  Un'appendice  della  medesima,  che 
la  completa  e  la  estende  in  parte  a  tatto  il  1900,  è  dovuta  alPing.  Belloc  del  Ministero 
di  agricoltura,  industria  e  commercio. 


42  GIUSEPPE   COLOMBO 


nel  1906,  e  si  pubblicò  annualmente,  a  cura  dell*  Ispettorato  generale  del- 
l' industria  e  del  commercio,  diretto  dall'  ing.  Belloc,  per  tutti  i  quattro  anni 
dal  1906  al  1909,  per  essere  proseguita  regolarmente  ogni  anno.  È  dunque 
solamente  in  modo  approssimativo  che  si  può  dare  un'idea  del  numero  e 
delle  proporzioni  attuali   degli  impianti  elettrici  in  Italia. 

Sino  a  tutto  il  1898,  secondo  Taccennata  pubblicazione,  si  erano  fatti 
2264  impianti  elettrici  per  un  totale  di  86,175  kw  (circa  117,000  KP),  dei 
quali,  1143  erano  idraulici  e  1121  termici  (a  vapore  o  a  gas)  ;  le  così  dette 
Centrali  erano,  allora,  soltanto  qualche  centinaio,  con  una  potenza  totale  di 
9000  kw  circa:  gli  altri  erano  impianti  privati.  Dalle  notizie  statistiche 
pubblicate  dal  Ministero  per  gli  anni  1896,  1897,  1898  e  1899,  si  rileva 
che  la  media  degli  impianti  nuovi  (cioè  esclusi  gli  aumenti  dei  già  esistenti) 
fu  rispettivamente  di  125,  88,  94  e  74  nei  quattro  anni,  quindi  con  una 
media  di  95  air  anno.  La  media  dalla  fine  del  1882  (che  si  può  rite- 
nere come  Tepoca  in  cui  cominciarono  a  introdursi  le  nuove  applicazioni 
elettriche  in  Italia)  alla  fine  del  1898,  è  di  140  impianti  all'anno.  Ora  si  può 
supporre  che,  nei  sette  anni  privi  di  statistiche,  la  creazione  di  nuovi  im- 
pianti sia  fatta  in  ragione  di  una  media  annuale  fra  i  140  impianti  annui 
del  periodo  1882-1898  e  i  125  del  primo  anno  del  periodo  1906-1909,  cioè 
in  ragione  di  132  all'anno.  Ciò  darebbe  la  cifra  di  8567,  o,  in  numero 
tondo,  3600  impianti  esistenti,  o  almeno  autorizzati  dal  Ministero,  alla  fine 
del  1909. 

Ma  non  è  tanto  il  numero  degli  impianti,  quanto  la  potenza  totale  uti- 
lizzata che  importerebbe  di  conoscere,  almeno  approssimatamente. 

Ora,  tenendo  conto  di  tutti  gli  impianti  registrati  nella  già  citata  pub- 
blicazione della  Associoiione  fra  esercenti  imprese  elettriche  in  Italia,  che 
non  solo  dà  lo  stato  presente,  ma  dà  anche  notizia  dei  progetti,  e  sono 
parecchi  e  considerevoli,  in  corao  di  esecuzione  così  che  potrebbero  esser 
pronti  entro  la  fine  del  1910  e  la  fine  del  1911  (0,  e  desumendo  dalla  stati- 
stica del  Ministero  di  agricoltura,  industria  e  commercio  la  nota  degli  im- 
pianti nuovi  dei  quali  fu  chiesta  la  concessione  nel  1909,  si  rileva  che  alla 
fine  del  1911  si  avrebbero,  installati  e  in  esercizio,  impianti  per  un  totale 
approssimato  di  820,000  cavalli:  cioè  610,000  cavalli,  o  circa  450,000 kw 
idraulici,  e  210,000  cavalli,  o  circa  150,000  kw  termici,  comprendendo  in 
queste  cifre  non  solo  tutte  le  istallazioni  fisse,  ma  anche  quelle  per  le  fer- 
rovie e  le  tramvie.  Volendo  poi  farsi  un*  idea  degli  impianti  progettati  per 
maggior  utilizzazione  di  corsi  d'acqua  già  in-  parte  sfruttati,  o  di  nuovi  cerai, 
si  potrebbe  fare  assegnamento,  oltre  il  1911,  su  una  probabile  creazione  di 
altri  250,000  cavalli,  o,  in  cifra  tonda,  di  altri  180,000  kw  idraulici. 


0)  Si  osservi,  a  questo  proposito,  che  molti  grossi  impianti,  fra  gli  altri  quelli  dei 
muiiicipii  di  Milano  e  Torino,  non  entreranno  in  attività  se  non  nel  1911. 


TRASPORTO   DELL*ENERGIA  43 


L' ing.  Semenza,  nella  Memoria  già  citata  (^),  ha  ritenuto  che  gli  impianti 
minori,  non  compresi  nel  suo  computo,  i  quali  sono  piccoli  bensì,  ma  assai 
numerosi,  ammontassero  a  60,000  kw.  Ora,  dalle  poche  notizie  date  sugli  im- 
pianti minori,  privati  o  municipali,  nel  Capo  IV,  e  da  altre  relative  a  quelli 
delle  amministrazioni  dello  Stato,  si  può  arguire  che  probabilmente  la  loro 
potenza  complessiva  oltrepassi  la  cifi-a  supposta  dairing.  Semenza,  e  si 
possa  valutare  a  circa  90,006  kw.  Ciò  premesso,  si  avrebbe,  a  tutto  il  1911, 
un  totale  approssimativo  di  540,000  kw  (735,000  KP)  idraulici,  rimanendo 
press*a  poco  costante  la  cifra  di  150,000  kw  degli  impianti  termici,  poiché 
la  scorta  termica  di  taluni  grossi  impianti  prossimi  ad  essere  aperti  è  ge- 
neralmente già  in  esercizio,  per  fruirne  durante  la  costruzione  delle  opere 
idrauliche,  come  avviene,  per  esempio,  per  gli  impianti  municipali  di  Mi- 
lano e  Torino.  Questo  apprezzamento  corrisponde  abbastanza  bene  a  quello 
ieìV Associazione  Esercenti  imprese  elettriche  in  Italia^  la  quale  calcola 
nel  1910  un  energia  idro-elettrica  complessiva  di  700,000  KP. 

In  confronto  alla  statistica  deir  ing.  Semenza,  si  avrebbe  un  aumento, 
dal  1908  al  1911,  da  560,000  a  690,000  kw  fra  idraulici  e  termici:  ciò 
che  non  deve  aGfatto  sorprendere.  Può  sorprendere  invece  la  circostanza  che 
nella  cifra  dei  690,000  kw  a  fine  1911  entrino  150,000  kw  termici,  vale 
a  dire  che  gli  impianti  termici  rappresentino  quasi  il  22  Vo  del  totale, 
mentre  nella  statistica  Semenza  non  rappresenterebbero  che  il  20  Vo  •  Ma 
questa  differenza  si  spiega  facilmente.  Non  si  fa  un  grande  impianto 
senza  una  corrispondente  riserva  termica;  e  spesso  la  riserva  è  piti  potente 
di  quella  che  a  rigore  sarebbe  necessaria,  prima  di  tutto  per  poter  superare 
le  punte  dei  diagrammi  di  erogazione  (massimi  di  consumo  nella  giornata), 
in  guisa  di  avere  per  la  maggior  parte  del  servizio  una  disponibilità  di 
forza,  maggiore  di  quella  consentita  dall'acqua  disponibile;  e  poi  anche  perchè 
in  parecchi  casi  la  riserva  termica,  il  cui  impianto  è  assai  più  facile  e  più 
breve  di  quello  idraulico,  essendo  pronta  prima,  si  può  avere  interesse  ad 
esagerarla  per  soddisfare  al  crescente  consumo  durante  la  costruzione  del- 
l'impianto  idraulico,  come  è  avvenuto  appimto  per  gli  impianti  municipali  di 
Milano  e  Torino. 

Ritenuto,  come  si  disse  al  Capo  II,  che  la  forza  idraulica  disponibile 
in  Italia  ammonti  a  3  milioni  di  cavalli,  ossia  a  circa  2,200,000  kw,  le 
forze  utilizzate  sarebbero  al  disotto  di  un  quaito  di  questa  cifra;  ma  non  bi- 
sogna farsi  troppe  illusioni  sulla  possibilità  di  sfruttai'e  in  breve  tempo 
tutta  la  grande  riserva  ancora  disponibile.  Innanzi  tutto  è  d*  uopo  osservare 

(*)  LMn^.  Semenza  ha  valutato,  alla  fine  del  1908,  un*energia  installata  di  500,000  kw; 
aggiungendo,  a  questi.  60,000  kw  pei  piccoli  impianti  non  contemplati,  si  ha  un  totale 
di  560,000  kw  installati.  Di  questi,  egli  ritiene  che  circa  450,000  siano  idraulici,  e  110,000 
termici,  con  un  rapporto  di  80®/»  ^^^  i  primi  e  il  totale. 


44  GIUSEPPE   COLOMBO 


che  le  cadute  sinora  utilizzate  sono  quelle  che  si  presentavano  più  facili, 
e  che  per  utilizzare  le  altre  bisognerebbe  cercarle  in  località  meno  adatte 
per  distanza  o  per  altitudine,  e  quindi  tali  da  rendere  più  costosa  l'energia 
con  esse  ottenuta.  Ora  bisogna  ricordarsi  che  attualmente  si  può  ritenere 
che  il  kw  installato  e  distribuito  con  un  impianto  idraulico  costi  in  inedia, 
tutto  compreso,  da  L.  1000  a  L.  1200  secondo  i  casi,  e  che  calcolando  14 
a  15  7o  1^  spesa  d'esercizio,  compresi  interessi  e  ammortamento  del  capi- 
tale, si  arriva  al  costo  annuo  di  140  a  180  lire  per  kw,  ossia  da  100  a 
130  lire  per  cavallo.  Ora,  colle  macchine  termiche  e  col  carbone  o  coll'olio 
pesante  ai  prezzi  odierni,  la  forza  di  un  cavallo  si  può  avere,  per  macchine 
grandi,  di  almeno  500  KP,  press* a  poco  allo  stesso  prezzo  o  poco  più,  sempre 
ritenuto  che  tanto  colla  forza  idraulica,  quanto  colle  macchine  termiche,  si 
lavori  10  ore  al  giorno.  Evidentemente,  crescendo  le  ore  di  lavoro  al  giorno, 
la  forza  idraulico-elettrica  diventa  sempre  più  conveniente  della  forza  ot- 
tenuta coi  combustibili  ;  questo  si  verifica,  in  fatto,  nelle  applicazioni  air  il- 
luminazione: ma  nelle  industrie,  la  legge  sul  lavoro  notturno  non  permette 
di  tenerne  alcun  conto. 

Bisogna  poi  considerare  lo  stato  delle  nostre  industrie,  la  scarsità  del 
capitale  italiano  e  la  fiscalità  del  nostro  sistema  tributario,  che  colpisce  in 
tanti  modi,  colla  ricchezza  mobile,  colla  imposta  fabbricati  e  con  numerosi 
altri  aggravii  minori,  T  industria  nazionale,  sino  a  tassare  come  reddito  il 
capitale  che  si  mette  in  riserva  col  sovrapprezzo  delle  azioni  quando  la 
prosperità  di  un'azienda  elettrica  permette  di  far  pagare  un  premio  agli 
azionisti  nuovi,  e  a  tassare  come  un  immobile  Tacqua  motrice  degli  impianti 
industriali;  che  non  vede  neppure  il  tornaconto  stesso  della  finanza,  né  si 
informa  delle  vere  condizioni  dell'  industria  elettrica,  come  quando  continua 
ad  esigere  sull'energia  elettrica  impiegata  nel  riscaldamento  degli  ambienti 
una  tassa  che  supera  il  valore  dell'energia  stessa,  cosicché  la  tassa  diventa 
proibitiva  e  rende  affatto  impossibile  una  delle  più  facili  e  lucrose  appli- 
cazioni dell'elettricità,  cioè  quella  del  riscaldamento  domestico,  pel  quale  di- 
venta inevitabile  di  continuare  a  servirsi  del  coke  e  del  carbon  fossile;  o  come 
quando  colpisce  l'elettricità  a  scopo  di  illuminazione,  ottenuta  colla  forza 
delle  nostre  cadute,  più  di  quanto  non  colpisca  il  gas  illuminante  ottenuto 
col  carbone  inglese.  Simili  appunti  sono  stati  fatti  e  rifatti,  ma  senza  alena 
risultato.  É  adunque  naturale  che,  ostando  il  fisco  a  queste  nuove  applica- 
zioni deirenergia  elettrica  che  ne  allargherebbero  il  campo  d'azione  e  inco- 
raggerebbero il  capitale  a  tentare  nuovi  impianti  elettrici  o  ad  ingrandire 
gli  esistenti,  l'industria  elettrica  cominci  a  temere,  se  non  esaurita,  certo- 
prossima  ad  esaurirsi  la  ricerca  d'energia,  e  stia  attualmente  studiando 
per  vedere  sino  a  quali  limiti  possa  spingere  la  ricerca  di  nuove  forze 
idrauliche  senza  compromettere  l' ingente  capitale  già  impiegato  in  queste 
imprese. 


TRASPORTO   dell'energia  ^5 

Sono  considerazioni  piuttosto  dolorose,  dato  lo  slancio  col  quale  V  indu- 
stria nazionale  aveva  saputo,  fra  le  prime  nel  mondo,  valei'si  delle  nuove 
scoperte  alle  quali  tanto  hanno  contribuito  gli  scienziati  italiani;  ma  giova 
sperare  che  il  Governo,  meglio  informato  delle  vere  condizioni  dell'  industria, 
e  più  persuaso  che  la  prosperità  della  nostra  fiuanza  sia  connessa  soprattutto 
colla  prosperità  e  col  progresso  delle  industrie,  sappia  contemperare  con 
maggiore  saggezza  le  esigenze  del  fisco  con  quelle  dei  più  vitali  interessi 
della  produzione  nazionale. 


Milano,  dicembre  1910. 


Giuseppe  Colombo 

Senatore  del  Regno 
Direttore  del  B.  Ist.  Tecnico  Superiore  di  Milano. 


K  INDUSTRIA  CHIMICA  IN  ITALIA 

NEL  CINQUANTENNIO  (1861-1910)  {') 


Lo  sviluppo  di  qualsiasi  grande  e  tiorente  ÌDdnstria,  ai  nostri  giorni 
è  indubbiamente  assai  difficile  in  piccoli  Stati,  quand'anche  i  cittadini  di  essi 
appartengano  alla  stessa  nazionalità,  salvo  i  casi  in  cui  concorrano  circostanze 
e  condizioni  speciali,  come,  per  esempio,  nel  Belgio  colla  sua  densissima  popola- 
zione, la  fitta  rete  ferroviaria,  la  navigazione  interna,  paese  quasi  per  tutta  la  sua 
estensione  posto  sul  carbone  fossile,  su  giacimenti  quasi  inesauribili  di  mine- 
rali di  ferro,  zinco,  ecc.,  coi  suoi  abbondanti  prodotti  agrarii  di  ogni  genere, 
fra  cui  lana,  lino,  barbabietole  da  zucchero  ecc.,  e  più  ancora  nella  Svizzera, 
la  quale,  a  causa  della  configurazione  del  suo  suolo  e  delle  condizioni  idro- 
grafiche dello  stesso,  non  potendo  dedicare  molta  parte  della  propria  atti- 
vità all'agricol tuia,  per  necessità  delle  cose  ha  dovuto  darsi  tutta  all'indu- 
stria. E  questa  nazione  vi  è  meravigliosamente  riescita,  avendo  dato,  da 
quasi  un  secolo,  grande  sviluppo  ali*  insegnamento  tecnico  professionale,  e 
non  essendo  gravata,  come  Stato  neutro,  da  spese  militari.  La  storia  delle 
industrie  in  Francia  e  in  Germania  costituisce  la  diretta  dimostrazione 
di  questo  fatto.  L*  eliminazione  delle  barriere  doganali  in  Francia,  colla 
rivoluzione;  la  riunione  delle  diverse   stirpi   tedesche  nella  lega   doganale 


(*)  Nel  raccogliere  i  dati  e  tutte  le  notizie  statistiche  occorrenti  per  la  presente 
broYe  relazione,  sMncontrarono  non  lieri  difficoltà  d*  indole  diversa  :  molti  industriali  si 
mostrarono  restii  nel  far  conoscere  il  vero  stato  della  loro  industria  e  Torganizzazion  e 
dei  loro  stabilimenti,  e  massimamente  pei  dati  economici,  nel  timore  di  eventuali  aggravii 
fiscali;  qualcuno  mi  fornì  persino  dei  dati  evidentemente  errati,  che  non  potei  usare.  Soli 
pochi,  al  pari  dei  miei  colleghi,  ai  quali  mi  rivolsi  per  averne,  me  ne  fornirono  esattib- 
sirai,  colla  massima  liheralità.  Così,  per  quanto  riguarda  la  parte  mineraria,  devo  airegregio 
ingegnere  delle  miniere,  il  comm.  Zezi,  tutte  le  notizie  precise  qui  esposte.  Per  tutti  gli 
altri  dati  svino  stato  coadiuvato  dalPopera  competente  delPing.  Combi,  già  mio  allievo, 
e  dal  dott.  Contardi,  uno  dei  valorosi  assistenti  del  mio  laboratorio.  À  tutti  rendo  vive 
grazie  per  Taiuto  prestatomi! 

OooLiELHO  KoBRNBB.  —  L'induttfia  chimica  ecc.  1 


GUGLIELMO   KOERNBR 


e  più  tardi  nel  nuovo  regno  germanico,  ebbe  per  conseguenza  un  imme- 
diato e  potente  sviluppo  industriale. 

E  perciò,  colla  fondazione  del  Regno  d' Italia  era  da  aspettarsi  con  sicu- 
rezza un  grande  progresso  industriale  nel  nostro  paese.  E  lo  scopo  dì  questo 
lavoro  è  appunto  quello  di  dimostrare,  per  le  industrie  chimiche^  in  qual 
modo  ed  ordine  e  sino  a  qual  punto  questo  progresso  si  è  effettivamente 
avverato  in  tutti  quei  rami  di  tali  industrie,  pei  quali  in  Italia  esistevano 
già,  0  vennero  create  per  effetto  di  nuovi  trattati  di  commercio  e  per  dazt 
di  protezione,  le  condizioni  favorevoli. 

L*esposizione  italiana  dì  Londra  nel  1862  dimostrò  con  quale  rapidità 
era  avvenuto  tale  progresso  per  le  nostre  industrie  manifatturiere  ;  quivi  la 
ricostituita  nazione  potè  meravigliosamente  gareggiare  con  le  industrie  an- 
tiche e  fiorenti  degli  altri  paesi,  ottenendo  pel  numero  dei  premiati  —  sia 
in  senso  assoluto,  sia  relativamente  alla  quantità  numerica  della  popolazione  — 
il  posto  subito  dopo  Tlnghilterra,  la  Francia  e  la  Germania,  dimostrando  agli 
stranieri  quanti  elementi  di  ricchezza  possedesse  Y  Italia  ('). 

Non  fu  così,  però,  —  né  poteva  essere  altrimenti,  —  per  le  industrie  chir 
miche,  per  lo  sviluppo  delle  quali  richiedonsi  altre  e  speciali  condizioni.  A 
Londra  erano  ben  rappresentati  tre  soli  rami,  dei  quali,  due  in  modo  emer- 
gente a  causa  delle  materie  prime:  solfo  e  acido  borico,  di  cui  allora  1* Italia 
possedeva  quasi  il  monopolio;  il  terzo,  quello  della  tintoria,  sebbene  meno 
distintamente,  pur  tuttavia,  per  ragioni  analoghe,  sostenne  degnamente  l'antica 
fama  della  tintoria  italiana,  per  il  nero  applicato  alla  seta,  e  specialmente 
per  il  rosso  turco  applicato  al  cotone,  colore  pel  quale  Y  Italia  meridionale 
era  rinomata,  possedendo  eccellenti  qualità  di  radici  di  robbia. 

I  prodotti  chimici,  nella  maggior  parte,  sono  consumati  da  altre  indur 
strie,  e  molti  di  essi  non  possono  essere  fabbricati  che  in  grandi  quantità; 
perchè  solo  in  questo  modo  diventa  possibile  introdurre  quei  perfezionamenti 
che  permettono  una  conveniente  utilizzazione  dei  così  detti  capi  morti,  e  ne 
rendono  proficua  la  lavorazione.  E  perciò,  soltanto  con  un  esteso  sviluppo 
industriale,  che  assicuri  un  congruo  e  certo  consumo  dei  prodotti,  Y  industria 
chimica  può  vivere  e  fiorire. 

Questa,  a  differenza  delle  altre  industrie,  nella  sua  forma  più  perfetta 
non  ha  per  principale  oggetto  la  fabbricazione  di  un  dato  prodotto,  ma  ha 
invece  per  iscopo  la  più  completa  e  razionale  utilizzazione  di  tutte  le  parti 
di  una  data  materia  prima. 

Un  ostacolo  grave,  che  anche  attualmente  pone  T  industria  chimica  in 
Italia  in  condizioni  di  inferiorità  in  confronto  a  quella  degli  altri  paesi,  sta 


(')  Colombo  prof.  Giuseppe,  Discorso  in  occasione  della  consegna  delle  medaglie  e 
dei  diplomi  agli  industriali  della  provincia  di  Milano,  premiati  airEsposizione  anirersale 
di  Londra  del  1862. 


l'industria    chimica    in    ITALIA    NEL    CINQUANTENNIO  3 

nella  mancanza  del  carbone,  la  quale  rende  assolutamente  impossibile,  per 
alcuni  prodotti,  ogni  concorrenza  non  solo  con  V  Inghilterra  ma  anche  colla 
Francia  e  colla  Germania.  La  fabbricazione  della  soda,  p.  e.,  che  costituisce 
una  delle  basì  della  così  detta  grande  industria  chimica,  da  noi  non  è  possi- 
bile, nò  col  processo  Leblanc  col  solfato,  né  con  quello  Solvay  con  Tammo- 
niaca.  Ed  anche  col  processo  elettrolitico,  difScilmente  si  potrà  ottenere  la 
soda  caustica  ad  un  prezzo  inferiore  a  quello  del  prodotto  inglese  ;  essendo, 
per  tale  uso,  troppo  elevato  il  costo  delFenergia  elettrica,  la  quale  trova  più 
&cilmente  impiego  come  forza  motrice  e  come  mezzo  di  illuminazione. 

Tale  ostacolo,  però,  non  è  assolutamente  insormontabile  ;  e,  certo,  potrà 
essere  assai  diminuito,  se  non  tolto  del  tutto.  Infatti  noi  possediamo  grandi  de- 
positi di  torbe  e  di  ligniti,  che,  usati  in  modo  più  razionale,  potrebbero  facili- 
tare di  molto  la  industria  chimica.  Basti  ricordare  a  questo  riguardo  l'esempio 
di  uno  dei  più  grandi  industriali  dei  nostri  tempi,  il  Mond,  il  quale  sino 
dal  1890  studiò  la  utilizzazione  sistematica  dei  combustibili  fossili  di  minor 
pregio,  per  produrre  con  la  distillazione,  oltre  al  gas  da  bruciare,  anche 
l'ammoniaca;  ed  istituì  nell' Inghilterra,  paese  del  carbon  fossile  per  eccel- 
lenza, l'industria  del  «  gas  Mond  » ,  impiantando  la  grande  officina  di  Dudlej 
Port  nella  Contea  di  Staiford,  che  fabbrica  solfato  ammonico,  e  distribuisce 
a  più  che  cento  stabilimenti  industriali  di  ogni  genere,  sparsi  su  un  este- 
sissimo territorio,  tutto  il  gas,  sia  per  forza  motrice,  sia  per  il  riscaldamento 
di  forni  di  ogni  specie.  E  se  un  tal  impianto  può  vittoriosamente  sostenere 
la  concorrenza  col  carbon  fossile  nella  stessa  Inghilterra,  facilmente  si  com- 
prenderà di  quanta  utilità  potrebbe  essere  in  un  paese  come  il  nostro,  dove, 
come  ho  già  detto,  vi  è  abbondanza  di  lignite  e  di  torbe,  alcune  delle  quali 
sono  anche  assai  ricche  di  azoto. 

Oltre  a  ciò,  è  prevedibile  che,  in  tempo  non  lontano,  un  potente  nuovo 
mezzo  ci  liberi  completamente  da  ogni  difficoltà.  In  questi  ultimi  anni,  nella 
provincia  emiliana  è  incominciata,  su  scala  relativamente  larga,  l'estrazione 
del  petrolio  (pel  1909  la  quantità  estratta  era  di  quintali  58.950,  per  un 
valore  di  L.  1,178,660);  e  quantunque  gli  idrocarburi  finora  ottenuti  non 
possano  essere  utilizzati  se  non  in  date  industrie,  pure,  a  parer  mio,  essi  costi- 
tuiscono l'avanguardia  di  altri  giacimenti  assai  più  ricchi  e  molto  più  pro- 
fondi. In  altre  parole,  i  petrolii  di  oggi,  per  le  loro  proprietà  fisiche,  sareb- 
bero gli  idrocarburi  più  volatili  che  nel  corso  dei  secoli  riescirono  a  pas- 
sare allo  stato  di  vapore  attraverso  le  screpolature  della  crosta  terrestre, 
portandosi  più  vicini  alla  superficie  ;  mentre  la  grande  massa  di  essi,  che 
derivano,  secondo  l' ipotesi  più  verosimile,  dalla  scomposizione  dei  grassi  di 
faune  marittime  di  altre  epoche  geologiche,  ancora  non  è  stata  accessibile. 
Qualora  coi  pozzi  si  riescirà  a  raggiungerla,  questa  costituirà  una  fonte 
grandissima  di  energia,  che  potrà  essere  utilizzata  nei  modi  più  svariati, 
come  già  è  avvenuto  nell'America  in  modo  ammirevole. 


GUGLIELMO   KOERNER 


Neil*  industria  chimica,  assai  più  che  in  altri  rami,  il  primo  e  più  im- 
portante fattore  è  la  mente  direttiva  fornita  di  iniziativa  avveduta,  sussi- 
diata dall'esperienza  e  soprattutto  dal  completo  possesso  della  relativa  teoria 
scientifica.  Il  capitale  ed  il  lavoro,  che  generalmente  sono  considerati  come 
fattori  principali,  vengono  invece  solo  in  seconda  linea.  Ma  ciò  che,  prima 
di  tutto,  occorre,  è  l'illuminato  spirito  dell'  intrapresa,  che  sappia  ci-eare  un 
perfetto  organismo  industriale,  non  solo  dal  punto  di  vista  teorico,  ma  anche, 
e  più,  dal  punto  di  vista  amministrativo,  e  che  sappia  subito  adottare  ogni 
miglioramento  tecnico  atto  a  produrre  una  diminuzione  anche  minima  nelle 
spese  di  produzione.  Mancando  questo,  nessuna  azienda,  anche  se  tecnica- 
mente perfetta,  può  reggersi.  A  prova  di  ciò,  ricordo  quanto  è  avvenuto,  pur 
troppo,  nel  1885,  colla  fabbrica  Lombarda  per  la  produzione  della  chinina. 
Questa  fabbrica,  che  per  la  sua  potenzialità,  per  il  proprio  impianto,  per 
i  metodi  d  analisi  e  di  fabbricazione,  come  per  la  purezza  dei  suoi  prodotti, 
era  considerata  la  prima  del  mondo,  dovette  perire  per  la  mancanza  di  un 
perfetto  concetto  amministrativo. 

Nell'epoca  presente,  poi,  per  il  continuo  aumento  delle  spese  di  mano  d'opera 
e  per  tutto  ciò  che  riguarda  il  trattamento  degli  operai  (Vassicurazione  contro 
gli  infortuni,  quella  per  la  vecchiaia,  maggiori  esigenze  igieniche,  ecc.  ecc.), 
mentre  gli  operai  producono  meno  e  i  prezzi  dei  prodotti  diminuiscono  con- 
tinuamente, le  suddette  condizioni  diventano  indispensabili  perchè  queste 
maggiori  spese  possano  essere  distribuite  sopra  una  maggiore  produzione  e 
pareggiate  dalle  piccolissime  economie,  e,  così  suddivise,  possano  più  facil- 
mente essere  compensate. 

Ogni. ramo  deir industria  chimica  deve  mirare  necessariamente  ad  un 
continuo  e  sempre  crescente  sviluppo  nel  proprio  campo  di  azione;  senza  di 
ciò,  la  sua  esistenza  sarebbe  certamente  minacciata  per  il  progressivo  evol- 
versi di  tutte  le  altre  industrie  affini,  con  le  quali  deve  aver  continui  rapporti, 
e  con  le  quali  è  necessariamente  collegata.  Ormai  non  è  più  possibile,  come 
nei  tempi  passati,  impiantare  una  fabbrica  chimica  per  far  dei  prodotti 
secondo  alcune  ricette  provate,  e  di  continuare  ad  esercitarla  con  profitto 
per  una  lunga  durata,  senza  alcuna  fondamentale  modificazione.  Gran  parte 
del  capitale  investito  oggi  nell'industria  chimica,  ha  indubitatamente  avuto 
questa  origine  ;  ma  il  progresso  scientifico  e  l'aumento  continuo  delle  fab- 
briche chimiche  e  l'ininterrotto  accrescimento  delle  conoscenze  chimiche  hanno 
moltiplicato  i  nostri  mezzi,  in  modo  che  quasi  sempre  diventa  possibile  di 
raggiungere  il  medesimo  scopo  per  vie  tra  loro  assolutamente  diverse,  e  con 
l'impiegare  materie  prime,  del  tutto  differenti.  Ed  inoltre,  molte  volte  avviene 
che  si  trov&  la  possibilità  di  sostituire  un  prodotto  monopolizzato  con  altri 
prodotti  che  possono  farne  le  veci  ;  e  quasi  sempre  si  trova  subito  ad  esso 
un  surrogato  equivalente  nelle  proprietà  e  nell'azione. 

È  ormai  universalmente  riconosciuto  come  lo  sviluppo  delle  industrie 
chimiche  vada  di  pari  passo  coli' intensità  e  coU'altezza   dell'insegnamento 


l'industria    chimica   in    ITALIA    NEL   CINQUANTENNIO 


della  chimica  pura;  senza  di  che  non  sì  possono  avere  persone  ben  preparate 
a  dirigerle. 

Questo  fatto,  che  si  può  osservare  presso  varie  nazioni,  e  pel  quale 
oggi  r  industria  chimica  tedesca  trovasi  al  primo  posto  in  tutto  il  mondo, 
è  generalmente  ammesso  senza  restrizione.  E  da  tutti  si  opina  che  le  somme 
spese  in  Germania  dai  tempi  del  Liebig  sino  ad  oggi  per  T  insegnamento 
dell'alta  chimica,  e  per  rimpianto  e  le  dotazioni  dei  relativi  laboratorii, 
sono  da  annoverarsi  fra  le  spese  più  proficue  ed  utili  alla  nazione  che  il 
Governo  abbia  fatte.  Ciò  è  dimostrato  da  piti  che  5000  chimici  laureati,  che 
oggi  sono  impiegati  neirindustria  e  sono  fattori  del  sempre  crescente  suo 
sviluppo. 

Anche  da  noi  si  osserva  già  in  modo  evidente  un  grande  e  continuo 
progresso  industriale,  avvenuto  dopo  che  maggiori  cure  furono  portate  in 
questi  ultimi  decennt,  ai  nostri  laboratorii  universitarii  ed  a  quelli  degli 
istituti  di  istruzione  superiore;  quantunque  i  mezzi  siano  tuttora,  salvo 
qualche  eccezione,  ancora  di  gran  lunga  inferiori  ai  bisogni  e  non  si  possano 
paragonare  con  quelli  di  cui  sono  dotati  i  laboratorii  esteri. 

E  qui  parmi  opportuno  ripetere  le  parole  con  le  quali  l'autore  del  pro- 
gramma per  la  sezione  chimica  dell* Esposizione  Nazionale  tenutasi  a  Milano 
nel  1881,  incominciava  la  sua  relazione: 

«  Avuto  riguardo  ai  tesori  minerarii,  di  cui  l'Italia  abbonda,  e  tenuto 
conto  delle  quantità  enormi  di  materie  prime  vegetali  che  essa  produce,  le 
industrie  chimiche,  in  complesso,  in  oggi  sono  ben  lontane  dal  potersi  dire 
proporzionatamente  e  bene  sviluppate  ;  salvo  pochi  casi  affatto  eccezionali,  la 
produzione  non  basta  a  coprire  il  consumo;  interi  rami  non  furono  mai  ten- 
tati; altri  non  possono  ancora  considerarsi  come  regolarmente  impiantati.  La 
grande  difficoltà,  per  non  dire  Timpossibilità,  di  trovare  in  paese  oggidì  chi, 
ad  una  sufficiente  coltura  scientifica,  accoppii  la  voluta  speciale  abilità  profes- 
sionale, costituisce,  a  parer  mio,  la  principale  causa  di  questo  stato  di  cose, 
inquantochè  nessuna  savia  iniziativa  né  alcun  notevole  progresso  sono  possibili 
senza  un  idoneo  personale  dirigente,  il  quale  per  le  arti  chimiche,  e  forse 
per  esse  sole,  non  si  volle,  se  non  eccezionalmente,  domandare  all'estero  ». 

Av?i  però  un  mezzo  solo  per  uscire  da  questa  sfavorevole  condizione, 
e  cioè  di  perfezionare  l'istruzione  chimica  professionale,  col  fornire  mezzi 
molto  maggiori  ai  laboratorii  di  chimica  e  con  l'estendere  di  molto  l'obbligo 
e  la  durata  di  esercitazioni  pratiche,  in  modo  da  mettere  il  laureando  in 
grado  di  risolvere  da  sé  un  problema  chimico.  Oltre  a  ciò,  si  dovrebbe 
facilitare  in  ogni  modo  agli  stranieri  l'impianto  e  l'esercizio  di  nuovi  rami 
dell'industria  chimica.  Questi  stabilimenti,  in  pochi  anni,  diventerebbero  na- 
zionali ;  e  poco  dopo,  formata  una  maestranza  del  paese,  il  personale  forestiero 
sarebbe  totalmente  sostituito  da  italiani. 

Questo  fatto  si  è  già  verificato  in  modo  evidente  nelle  fabbriche  di  zuc- 
chero, rimpianto  delle  quali,  come  verrà  dimostrato  in  seguito,  ha  reso  van- 


GUGLIELMO   KOBRNfiR 


taggi  immensi  al  paese,  ed  è  stato  uno  dei  maggiori  fattori  che  fecero  progre- 
dire rapidissimamente,  e  in  modo  non  sperato,  la  nostra  agricoltura. 

E  vi  sarebbe  da  studiare  anche  un  modo  per  garantire,  per  un  certo  nu- 
mero di  anni  per  lo  meno,  la  stabilità  delle  tariffe  doganali  e  delle  tasse  di 
fabbricazione,  inquantochè  l'ostacolo  maggiore  che  si  frappone  alVimpianto 
di  nuovi  rami  dindustrìa  chimica  è  precisamente  costituito  dalla  straordi- 
naria e  continua  variazione  delle  tariffe,  sia  per  leggi,  sia  per  decreti  reali. 
È  chiaro,  e  non  richiede  ulteriore  dimostrazione,  che  nessuno  può  arrischiare 
capitali  e  lavoro  senza  aver  la  sicurezza  che  tali  condizioni,  che  formano  la 
prima  base  di  ogni  calcolo  di  rendimento  economico,  non  siano  variate  di 
punto  in  bianco,  sia  per  le  materie  prime  da  lavorare,  sia  in  riguardo  ai  pro- 
dotti da  fabbricare. 

Dai  rapporti  dei  giurati  delle  esposizioni  mondiali  di  Londra  (1862), 
Parigi  (1867)  e  Vienna  (1873),  risulta  la  quasi  completa  assenza  di  espo- 
sitori italiani  nel  campo  delle  varie  industrie  chimiche:  accanto  ad  alcuni 
prodotti  farmaceutici  senza  speciale  importanza,  figurava  in  prima  linea  il 
solfo  della  Sicilia  e  della  Romagna;  l'acido  borico  della  Toscana  e  Tallumite 
di  Tolfa,  assieme  coU'allume  da  esso  ottenuto.  Le  industrie  chimiche  che  da 
queste  materie  prime  traevano  origine,  pareva  allora  dovessero  essere  per 
sempre,  come  lo  erano  in  quel  tempo,  un  monopolio  sicuro  della  nostra  Italia, 
sia  per  l'abbondanza  in  cui  questi  minerali  si  trovavano,  sia  perchè  erano 
ancora  ignoti  gli  altri  giacimenti,  assai  più  importanti,  della  Luisiana  per  il 
solfo,  i  laghi  boracici  della  California,  i  depositi  di  boronatrocalcite  del  Chili 
e  del  Perù,  di  boracite  nei  sali  di  Stassfurt  per  l'acido  borico;  e  prima  che  Tal- 
lume  si  sapesse  preparare  da  altri  materiali,  come  si  usa  attualmente,  o  fosse 
sostituito  dal  solfato  di  alluminio.  Cosicché  oggi,  se  per  Tacido  borico,  merco 
i  miglioramenti  introdotti  nella  sua  fabbricazione,  e  ancora  più  per  l'enorme 
e  sempre  crescente  sviluppo  del  consumo  di  esso  e  dei  suoi  derivati,  l'industria 
è  ancora  rimunerativa,  non  si  può  dire  altrettanto  per  quella  del  solfo.  Questa, 
forse,  è  destinata  a  sparire  se  non  si  riesce  a  trovare  un  nuovo  e  assai  più 
esteso  consumo  del  solfo,  o  non  si  perviene  a  scoprire  nuovi  e  più  econo- 
mici metodi  per  la  estrazione  di  questa  sostanza. 

Solfo.  —  Allo  stato  libero  si  riscontra  in  natui*a  in  grandi  giacimenti, 
chiamati  rispettivamente  solfatare  se  il  minerale  si  trova  alla  superficie  del 
suolo  in  strati  di  spessore  variabile  dai  6  ai  10  centimetri,  oppure  solfare, 
se  il  minerale  si  trova  a  profondità  assai  maggiori. 

Questi  ultimi  giacimenti  sono  i  più  produttivi  ;  e  quelli  della  Sicilia  in 
primo  luogo,  e  quelli  della  Romagna  in  secondo,  fino  al  1873  erano  indiscu- 
tibilmente i  più  estesi  ed  importanti"  che  sì  conoscessero. 

Essi  occupano,  nella  Sicilia,  un  territorio  estesissimo,  quasi  tutta,  cioè, 
la  provincia  di  Caltanissetta  e  Girgenti,  buona  parte  della  provincia  di  Ca- 


l'industria   chimica   in   ITALIA   NEL   CINQUANTENNIO 


tania  sino  a  Caltagìrone;  poi  appariscono  anche  isolatamente  nei  dintorni  di 
Palermo  e  di  Trapani. 

Il  minerale  che  vi  si  riscontra  e  che  viene  utilizzato  per  la  estrazione 
del  solfo,  non  è  affatto  omogeneo:  in  esso,  il  contenuto  in  solfo  varia  dal 
20  al  40  Vo . 

Un  minerale  con  un  tenore  in  solfo  inferiore  al  15  Vo  non  è  economi- 
camente lavorabile.  L^estrazione  del  solfo,  per  il  75  Vo  della  produzione  totale 
nostra,  si  eseguisce  mediante  i  così  detti  calcaroni.  Essi  sono  escavazioni  se- 
micircolari, praticate  nel  terreno,  del  diametro  di  10  a  20  metri  e  profonde 
2  0  3  metri,  con  un  piano  inferiore  inclinato.  Il  minerale  viene  in  queste 
buche  accumulato,  circondato  da  un  muro  a  secco  formato  di  blocchi  di 
gesso,  ricoperto  poi  con  pezzi  di  minerale  povero  o  già  esaurito  in  una  pre- 
cedente operazione.  Esso  è  poi  acceso  mediante  batuffoli  di  paglia  inzuppati 
di  solfo,  introdotti  nella  massa  del  minerale  ;  e  si  scalda  lentamente  sino  a  fa- 
sione  del  solfo*  che  contiene,  consumandosi  come  combustibile  una  parte  del  solfo 
4el  minerale  medesimo.  Ad  operazione  finita  con  questo  metodo,  si  ricava 
circa  dal  65  al  70  Vo  ^^^  solfo  contenutovi.  Il  processo  primitivo  delle  calca- 
relle^  simili  in  tutto  ai  calcaroni  ma  di  dimensioni  assai  più  piccole,  è  oggi 
totalmente  abbandonato;  poiché,  oltre  al  rendimento  assai  più  basso,  spande- 
vano nell'atmosfera  una  quantità  enorme  di  anidride  solforosa  che  distruggeva 
tutta  la  vegetazione  circostante.  Oggi,  con  qualche  forno  rigeneratore,  co- 
struito in  muratura,  si  lavora  più  convenientemente  il  minerale,  ottenendo 
fino  al  75  Vo  del  solfo  dosato  nel  minerale  impiegato. 

Il  processo  di  estrazione  del  solfo  col  vapore  acqueo  soprariscaldato, 
non  diede  economicamente  buoni  risultati,  specialmente  nella  Sicilia,  per  il 
prezzo  elevato  del  combustibile  che  si  deve  usare,  e  che  neirinterno  della 
Sicilia  raggiunge  facilmente  il  prezzo  di  60  lire  per  tonnellata.  Teoricamente 
occorrerebbe  vapore  di  due  atmosfere  di  pressione,  per  ottenere  la  fusione  del 
solfo  ;  resperimento  ha  però  dimostrato  che  non  si  riesce  a  liberare  il  mine- 
rale del  solfo  senza  portare  la  pressione  del  vapore  a  3  atmosfere. 

Parimenti  sono  rimasti  senza  successo  i  tentativi,  eseguiti  in  grande,  di 
estrarre  il  solfo  dai  minerali  a  mezzo  del  solfuro  di  carbonio. 

Il  solfo  trovava  nei  tempi  passati  una  estesa  applicazione  nella  fabbrica- 
zione dell'acido  solforico,  nella  preparazione  delle  polveri  piriche,  del  solfuro 
di  carbonio,  e  soprattutto  della  soda.  E  basta  ricordare,  a  proposito  di  questo 
ultimo  prodotto,  che  per  ogni  100  chilogr.  di  carbonato  sodico  occorrevano 
367  chilogr.  di  solfo,  il  quale  andava  totalmente  perduto  nei  capimorti 
della  lavorazione,  costituendo  un  materiale  ingombrante,  e  nocivo  alla  salute 
pubblica  ed  airagricoltura. 

Dopo  il  1860  si  aprì  una  nuova  via  insperata  per  Vimpiego  del  solfo, 
e  cioè  esso  fu  riconosciuto  rimedio  specifico  contro  T  Oidium  Tuccheri^  allora 
comparso  in  Italia  in  modo  allarmante.  Oggi  si  può  dire  che  quest'ultima  sia 


S  GUGLIELMO   KOERNER 


Tunica  applicazione  del  solfo  che  ne  consumi  quantità  realmente  considere- 
voli, poiché  l'acido  solforico  oggigiorno  si  prepara,  salvo  piccolissime  quan- 
tità che  servono  per  uso  scientifico,  quasi  esclusivamente  dalle  piriti  e  dal- 
Tanidride  solforosa,  che  costituisce  un  capo  morto  nella  fabbricazione  dello 
zinco  dalla  blenda. 

Le  polveri  piriche  a  base  di  solfo  sono  state  in  questi  ultimi  anni  rim- 
piazzate per  la  maggior  parte  da  altri  esplosivi  più  potenti  e  privi  di 
solfo.  La  soda  oggi  è  preparata  con  altro  processo,  impiegando  cioè  ammo- 
niaca anziché  solfo.  Di  più,  i  residui  della  preparazione  della  soda,  più  sopra 
ricordati,  e  che  contengono  tutto  il  solfo  della  lavorazione  di  tanti  anni,  e 
per  mezzo  secolo  circa  si  accumularono  come  materiale  ingombrante,  ven- 
gono di  nuovo  utilizzati,  e  il  solfo  in  essi  contenuto  vien  rimesso  in  circo- 
lazione. Ed  altre  quantità  considerevoli  si  ottengono  dai  residui  della  purifi- 
cazione del  gas  illuminante. 

Un  impiego  del  solfo  che  non  ha  subito  diminuzione  ma  che  è  di  poca 
importanza  in  confronto  alle  quantità  consumate  nelV agricoltura,  è  quello  per 
la  preparazione  del  solfuro  di  carbonio.  Tale  prodotto,  fin  dal  1850  era 
adoperato  per  disciogliere  e  vulcanizzare  la  gomma  elastica;  in  seguito,  il 
suo  uso  come  solvente  si  estese,  e,  come  tra  poco  vedremo,  il  solfuro  trovò 
impoi*tante  applicazione  neirindustria  dei  grassi,  e  neir  agricoltura  come 
mezzo  per  distruggere  gli  insetti  nocivi.  La  sua  produzione,  nel  1905,  era  di 
2806  tonn.,  delle  quali,  317  furono  esportate;  nel  1909  se  ne  produssero 
2050  tonn.,  delle  quali  se  ne  esportarono  1257  quintali. 

Da  quanto  ho  sopra  esposto  rimane  in  modo  evidente  dimostrata  anche 
la  mia  asserzione  fatta  da  principio:  cioè  che,  mentre  le  sorgenti  naturali  ed 
artificiali,  dalle  quali  il  solfo  può  essere  estratto,  considerevolmente  aumentano, 
diminuiscono  in  modo  inquietante  le  sue  applicazioni;  e  che  unico  e  solo 
riparo  ad  un^industria  tanto  minacciata,  non  può  essere  che  una  nuova  estesa 
e  diretta  utilizzazione  della  sostanza,  od  un'estrazione  assai  meno  costosa. 

Acido  borico.  —  Tn  quanto  vlW acido  borico,  quantunque  le  sue  sorgenti 
siano  in  questi  ultimi  anni  notevolmente  aumentate,  e  parte  degli  Stati  che 
largamente  consumavano  tale  prodotto  si  provvedano  del  materiale  primo 
da  altre  fonti,  pure,  essendosi,  per  tale  acido  e  per  i  suoi  derivati,  estesi 
i  modi  di  utilizzazione,  vi  è  da  sperare  che  la  sua  produzione  e  la  sua  pre- 
parazione abbiano  un  avvenire  migliore  di  quello  che  oggi  si  prevede  per 
l'industria  del  solfo. 

L'acido  borico  ed  il  borace  si  usano  largamente  come  leggeri  antisettici  : 
sono  impiegati  per  Y apprettatura  nelle  industrie  tessili  e  per  la  stiratura 
della  biancherìa:  ed  anche  nell'industria  vetraria,  specialmente  per  la  pro- 
duzione dei  vetri  che  servono  nella  chimica,  nella  fìsica  e  nella  medicina; 
perchè  danno  al  prodotto,  così  preparato,  limpidezza,  facile  fusibilità,  e  man- 


L  INDUSTRIA   CHIMICA   I>^    ITALIA   NEL    CINQUANTENNIO  ^ 

tengono  altissima  la  resistenza   dei   vetri   airattacco  dei  reagenti  chimici. 

L*acido  borico  si  usa  ancora  per  la  preparazione  di  alcuni  colori,  e  serve  in 

tali  casi  per  orientare  i  gruppi   solfonici  o  nitrici  in  alcuni   posti  speciali 
della  catena  delVantracene  o  di  altri  idrocarburi. 

Aliarne.  —  L'importanza  dell'industria  dell'allume  in  questi  ultimi  anni 
è  assai  diminuita,  poiché  oggi  si  usa  più  convenientemente  e  più  economi- 
camente il  solfato  di  alluminio,  che  si  ottiene  da  altri  materiali.  Oltre  a  ciò, 
non  essendo  più  tale  produzione  privativa  dello  Stato  pontifìcio,  —  il  quale  un 
tempo  costrìngeva  i  cattolici  a  servirsi  del  prodotto  della  sua  privativa,  pena 
la  scomunica,  —  ed  essendo  diminuito  il  prezzo,  grazie  alla  concorrenza  pro- 
dotta dal  solfato  di  alluminio,  la  fabbricazione  di  questo  prodotto,  che  oggi 
si  eseguisce  a  Civitavecchia,  offre,  economicamente,  un  ben  tenue  profitto. 

Prodotti  minerarii  e  metallurgici.  —  Nell'anno  1860,  il  valore 
della  produzione  mineraria  e  metallurgica  d*Italìa,  calcolata  allo  stato  greggio 
e  sul  luogOf  era  inferiore  a  60  milioni  di  lire,  metà  del  quale  valore  era  rap- 
presentata dal  solfo  di  Sicilia  e  della  Romagna.  In  ordine  di  importanza 
seguivano  poscia  il  mercurio,  il  rame,  il  piombo,  oltre  ai  prodotti  dell'indu- 
stria siderurgica.  Verso  il  1860,  dopo  un  periodo  di  sospensione  della  estra- 
zione del  mercurio,  causata  dal  basso  prezzo  al  quale  questo  metallo  era  di- 
sceso, la  sua  preparazione  e  lavorazione  dai  minerali  della  Toscana  gradata- 
mente aumentò,  cosicché,  dalle  tre  tonnellate  annue  che  costituivano  la  pro- 
duzione italiana  nel  1860,  si  arrivò  a  produrne  770;  di  modo  che  l'Italia 
occupa  oggi  il  secondo  posto  tra  i  paesi  produttori  di  mercurio.  Anzi,  questa 
è  Tunica  industria  metallurgica  che  sìa  assolutamente  indipendente  dall'estero, 
e  di  cui  si  faccia  larga  esportazione. 

Grande  fu  l'attività  dal  nostro  paese  spiegata  nel  campo  metallurgico  ; 
ne  fanno  fede  i  molteplici  perfezionamenti  introdotti  nella  lavorazione  delle 
materie  prime,  cosicché  si  rese  economicamente  possibile  la  lavorazione  di 
minerali  relativamente  poveri. 

Le  statistiche  dimostrano  inoltre  che  in  questi  ultimi  anni  la  produ- 
duzione  di  tutti  i  metalli  ebbe  un  notevole  incremento. 

Così,  per  es.,  da  600  tonn.  annue,  la  produzione  del  rame  e  delle  sue 
leghe  salì  a  20.000  tonn.  Il  quantitativo  raggiunto  di  solfato  di  rame,  che 
con  la  produzione  precedentemente  citata  è  strettamente  collegato,  iniziatosi 
nel  1885  con  poche  tonnellate,  raggiunse  le  45.000  nel  1907,  per  rimanere  in 
questi  ultimi  anni  stazionario,  essendo  state  distrutte,  dalle  intemperie,  con- 
siderevoli estensioni  di  vigneti,  nei  quali  si  impiegava  questo  sale. 

Piombo.  —  Il  piombo,  nel  1860,  veniva  estratto  dai  suoi  minerali  in 
quantità  insignificante  ;  oggi,  invece,  la  produzione  del  metallo  raggiunge  le 


1^  GUGLIELMO   KOERNER 


25.000  tonnellate;  e  perciò,  la  esportazione  del  minerale  è  quasi  scomparsa. 
Il  che  dimostra  il  progresso  di  questa  industria. 

Diminuì  notevolmente  invece  la  fabbricazione  della  biacca.  Questo  fatto 
ò  dovuto  alle  leggi  proibitive  e  restrittive  venute  in  vigore  negli  Stati  esteri,  i 

leggi  che  vietano  Tuso  di  questa  sostanza  velenosa  e  conducono  alla  sua  gra-  i 

duale  sostituzione  con  altri  prodotti  meno  nocivi;  ciò  che  naturalmente  ne 
diminuì  l' esportazione. 

Industria  siderurgica.  —  La  mancanza  di  combustibile  limitò  e  ri- 
tardò fortemente  lo  svolgersi  deirindustria  siderurgica.  Nel  1860,  la  ghisa  pro- 
dotta saliva  appena  a  40.000  tonnellate  ;  la  massima  parte  di  essa  poi,  con 
mezzi  assai  primitivi,  che  erano  ancor  quelli  lasciatici  in  eredità  dai  Romani, 
veniva  trasformata  in  feiTO.  I  tentativi  fatti  in  seguito,  fino  a  circa  venticinque 
anni  fa,  per  produrre  in  grande  Tacciaio,  non  diedero  risultati  economica- 
mente soddisfacenti.  Solo  col  sorgere,  nel  1884,  delle  officine  di  Temi,  pas- 
sato il  periodo  burrascoso  dovuto  specialmente  a  condizioni  difficili  del  mer- 
cato, a  poco  a  poco  siamo  riusciti  a  liberarci  daironeroso  tributo  airestero,  e 
possiamo  far  sicuro  affidamento  per  l'avvenire.  Nel  1903  poi,  le  azioni  delle 
società  minerarie  dell'Elba,  che  si  trovavano  allora  in  possesso  di  capita- 
listi esteri,  furono  riscattate  da  industriali  italiani;  e,  dopo  l'intervenuto 
accordo  fra  le  nostre  officine  siderurgiche  da  una  parte  ed  i  cantieri  di  Oderò 
di  Genova  e  dei  fratelli  Orlando  di  Livorno  dall'altra,  tutto  il  prodotto  delle 
miniere  di  quest'isola  si  sfrutta  pei  bisogni  della  nostm  industria. 

Dai  nostri  alti  forni  annualmente  esce  mezzo  milione  di  tonnellate  di 
metallo.  Tale  produzione  è  in  continuo,  progressivo  aumento;  infatti,  nel  1908, 
il  valore  del  materiale  era  di  32  milioni  di  lire  inferiore  a  quello  del  1909. 
La  produzione  dell'acciaio,  da  500  tonnellate  prodotte  nell'anno  1860,  sali 
a  600.000. 

L'industria  siderurgica  italiana  vive  in  gran  parte,  come  in  un  giornale 
tedesco  (^)  ha  esposto  un  tecnico  straniero  molto  competente,  per  le  forni- 
ture che  essa  fa  alla  marina,  all'esercito  e  soprattutto  alle  ferrovie  dello 
Stato,  le  quali,  dopo  aver  difettato  di  materiale  per  oltre  venti  anni  sotto 
l'amministrazione  delle  Compagnie  private,  passando  allo  Stato,  stanno  rinno- 
vando quasi  completamente  il  materiale  rotabile  e  il  materiale  fisso. 

Per  fare  ciò,  lo  Stato  ha  speso,  in  pochi  anni,  oltre  1500  milioni  di  lire; 
le  ordinazioni,  naturalmente,  vanno,  almeno  in  gran  parte,  all'industria  ita- 
liana, per  proteggerla  dalla  concorrenza  straniera  e  per  assicurarle  lavoro. 
Lo  Stato  ha  anche  favorito  altrimenti  l'industria  siderurgica  nazionale,  col 
porre  forti  dazi  e  con  lo  stabilire  premi  di  navigazione  per  le  navi  costruite 
in  Italia. 

(*)  Frankfurter  Zeitung,  e  da  questa  riprodotto  neH*** Industria»,  voi.  XXII,  pag.  161. 


l'industria   chimica   in    ITALIA   NEL   CINQUANTENNIO  H 

Le  compagnie  di  Davìgazione  hanno  in  questi  ultimi  anni  aumentato  il 
numero  dei  loro  vapori  per  migliorare  le  condizioni  della  loro  flotta,  dando 
così  lavoro  alle  of&cine  siderurgiche  nazionali.  Le  favorevoli  condizioni  ge- 
nerali, alla  loro  volta,  resero  facile  di  ottenere  il  capitale  necessario  per  mi- 
gliorare ed  allargare  le  officine  ed  il  loro  macchinario.  Il  centro  dell'industria 
del  ferro  in  Italia  si  ritrova  nella  Liguria  (la  quale  produce  il  62  Vo  del  ferro 
omogeneo  e  il  16  Vo  del  ferro  fucinato  di  produzione  italiana)  e  nella  vicina 
costa  Toscana.  Queste  regioni  hanno  il  vantaggio  di  poter  ricevere  con 
minor  spesa  e  maggior  comodità  le  materie  prime  che  vengono  per  mare 
dall'estero.  Colà  il  carbone  costa,  per  tonnellate,  8  o  10  lire  meno  che  nel- 
Tinterno  della  Lombardia.  L'introduzione  di  ferro  vecchio,  che  ammonta  ad 
oltre  3  milioni  e  mezzo  di  tonnellate,  è  anche  agevolata  dal  fatto  che  gli 
industiiali  genovesi  comprano,  specialmente  in  Inghilterra,  vecchie  navi,  che 
vengono  demolito  ;  il  ferro  usato  viene  rilavorato. 

Nelle  vicinanze  di  Genova  si  trovano  le  acciaierìe  e  le  ferriere  di  Sestri 
Ponente,  Veltri,  Bolzaneto,  Savona.  Quando  saranno  terminate,  le  officine  di 
Savona,  che  già  oggi  sono  le  più  importanti  d'Italia,  potranno  produrre 
150.000  tonnellate  di  acciaio  all'anno:  delle  quali,  più  della  metà  servirà  a 
fare  rotaie,  ed  il  resto  per  essere  laminato  e  trasformato  in  alberi  o  lamiere. 

Le  navi  da  guerra  costruite  a  Sestri  Ponente  vengono  armate  con  can- 
noni fabbricati  dallo  stabilimento  Armstrong  di  Pozzuoli.  La  fabbricazione 
delle  motrici  a  vapore  per  navi  è  fatta  a  Sampierdarena,  da  uno  degli  sta- 
bilimenti Ansaldo-Armstrong,  ove  esiste  anche  un  riparto  per  la  costruzione 
delle  locomotive.  Come  cantiere,  il  più  antico  è  quello  dei  fratelli  Orlando  di 
Livorno,  il  quale  in  17  mesi  e  mezzo  fabbricò  Tincrociatore  «  Varese  «  di 
7500  tonn.,  battendo  il  record  della  velocità  costruttiva;  esso  dà  lavoro  a 
2800  operai,  e  il  suo  capo  è  ritenuto  la  prima  autorità  italiana  in  fatto  di 
costruzioni  di  navi. 

I  due  su  ricordati  cantieri  hanno  costruito  numerose  navi  da  guerra  per 
marine  estere,  come  per  es.  per  l'Argentina,  il  Brasile,  la  Spagna,  il  Por- 
togallo, la  Bumenia,  il  Giappone.  L'abilità  ed  il  buon  mercato  dei  fucina- 
tori italiani  li  fanno  concorrenti  temibili. 

L'isola  d'Elba  fornisce  in  grande  quantità  il  minerale  di  ferro,  che 
mentre  è  molto  ricco  di  ferro,  contenendone  in  media  il  55  ^/o,  è  quasi  privo 
di  solfo  e  fosforo.  Le  miniere  cibane  erano  sfruttate  anche  dagli  antichi 
etruschi,  i  quali  avevano  i  forni  di  estrazione  del  metallo  a  Populonium,  la 
odierna  Populonia.  Presso  Rio  dell'Elba  e  Rio  Marina  sorgono  rosse  colline 
di  ematite.  Le  miniere  appartengono  allo  Stato  italiano,  il  quale  ne  ha  con- 
cesso lo  sfruttamento  fino  al  1917  alla  società  «Elba*.  Annualmente  si 
devono  estrarre  450.000  tonn.  di  minerale,  di  cui  200.000  sono,  per  legge, 
destinate  al  sud  d'Italia.  Le  miniere  d'Elba  sono  lavorate  a  giorno,  a  gra- 
dini. A  Portoferraio  sorgono  i  due  alti  forni  della  società  Elba,  dei  quali 
uno  produce  250  tonn.,  e  l'altro  150  tonn.  al  giorno. 


12  OUGLIEI.MO   KOERNER 


La  ricchezza  mineraria  deirisola  d*Elba  ha  fatto  rifiorire  anche  la  cit- 
tadella di  Piombino,  ove  è  sórto  da  modesti  inizi,  in  qaesti  anni,  un  gran- 
dioso impianto,  nel  quale  aono  impiegati  5000  operai,  e  che  occupa  un'area 
di  750.000  m.  q.  La  Società  si  è  assicui*ato  un  quantitativo  annuale  di  mi- 
nerale di  100.000  tonn.  Ha  un  forno  Martin  per  Taccialo  e  lavora  imme- 
diatamente la  ghisa  ancor  liquida  proveniente  dagli  alti  forni.  Dalle  scorie 
si  fabbrica  cemento. 

Anche  Telettricità  porterà  forse  il  suo  contributo  allo  svolgersi  di  questa 
industria.  Già  oggi  qualche  fabbrica  di  acciaio  lavora  coi  forni  elettrici  bre- 
vettati dallo  Stassano;  così  alla  povertà  del  combustibile  potrà  supplire  la 
ricchezza  in  energia  idraulica. 

Coke  metallurgico.  —  Collegata  direttamente  ed  intimamente  con  la 
industria  siderurgica  è  quella  del  coke  metallurgico.  Fino  a  pochi  anni  fa, 
questo  prodotto  era  esclusivamente  importato;  oggi,  a  Savona,  esso  si  pro- 
duce in  grande  copia  da  carboni  fossili  inglesi,  e  viene  somministrato  a 
tutte  le  acciaierìe  italiane,  eccezion  fatta  per  quella  di  Piombino,  dove  nella 
stessa  acciaierìa  si  prepara  il  coke  occorrente,  rinunciando  a  qualcuno  dei 
sottoprodotti  della  cokificazione,  che,  pev  Tofficina  di  Savona,  costituiscono 
uno  dei  fattori  di  maggior  utile. 

I  forni  impiegati  in  questa  ultima  fabbrica  sono  del  sistema  Semet- 
Solvay:  hanno  la  capacità  di  50  quintali  cadauno,  e  sono  in  numero  di  50. 
Il  processo  di  cokificazione,  che  dura  24  ore,  è  veramente  ingegnoso  ed  è, 
in  questa  officina,  applicato  in  modo  tale,  da  utilizzare  tutti  i  sottoprodotti 
della  lavorazione.  Così,  il  gas  che  si  svolge  nella  distillazione,  sepai-ato  dal 
catrame,  dai  benzoli,  dall'ammoniaca,  serve  al  riscaldamento  dei  forni  stessi;  i 
catrami  vengono  venduti  come  tali  e  servono  per  Timpregnazione  del  legno  allo 
scopo  di  aumentarne  la  resistenza  contro  gli  agenti  atmosferici.  I  benzoli  si  im- 
piegano quasi  totalmente  nell'industria  della  gomma;  il  toluene  passa  nelle 
fabbriche  degli  esplosivi;  l'ammoniaca,  trasformata  in  solfato  ammonico,  trova 
la  sua  utilizzazione  come  concime  nell'agricoltura. 

Questa  industria,  già  ottimamente  oggi  condotta,  sai*à  tra  qualche  tempo 
ancor  più  perfezionata,  quando,  ultimato  a  Vado  lo  stabilimento  ora  in  co- 
struzione, assai  più  vasto  di  quello  ora  esistente  a  Savona,  questa  tftessa 
società  sottoponga  anche  i  catrami  ad  una  sistematica  lavorazione  per  pò* 
torli  vendere  sotto  forma  di  prodotti  di  maggior  valore.  E  così  potrà  prepa- 
rare sul  luogo  stesso  gli  olii  pesanti  per  assorbire  e  separare  i  benzoli,  in- 
vece di  comprarli,  come  è  costretta  oggi,  dalle  ben  avviate  distillerie  di  pe- 
trolio e  di  catrame  di  Fiorenzuola  e  di  Borgo  San  Donnino. 

Esplosivi.  —  Il  progredire  dell'industria  mineraria,  ì  lavori  portuali, 
quelli  ferroviari,  il  perfezionarsi  della  pirotecnica,  aumentarono  il  consumo 


l'industria   chimica   in    ITALIA    NEL   CINQUANTENNIO  13 

degli  esplosivi,  e  la  loro  ind astria  crebbe  di  importanza  e  si  perfezionò. 
All'incremento  di  questa  industria  contribuì  anche  grandemente  l'abolizione, 
nel  1869,  del  monopolio  delle  pol?eri  piriche  vigente  in  molte  regioni  ita- 
liane. Oggi,  tutti  gli  esplosivi  impiegati  nel  nostro  paese  sono  di  fabbrica- 
zione nazionale,  se  si  eccettuino  piccole  quantità  di  polvere  da  caccia. 

Tra  le  fabbriche  italiane  primeggia  quella  della  Società  •  Dinamiti- 
Nobel  *  di  Avigliana;  essa  è  capace  di  produrre  annualmente  oltre  3000 
quintali  di  dinamite  e  7000  di  balistite  ed  altri  esplodenti,  e  prepara  sul 
posto  tutti  gli  acidi  occorrenti. 

La  dinamite  che  servì  ultimamente  per  il  traforo  del  Sempione,  venne, 
per  la  quasi  totalità,  preparata  a  Villafranca  Bagnone.  La  polvere  senza 
fumo  si  fabbricò  in  Italia  per  la  prima  volta  nel  1890:  a  tale  scopo  il  Mi- 
nistero della  Guerra  costruì  il  polverificio  di  Fontana  Liri.  È  anche  in  co- 
struzione a  Roma  un  istituto  speciale  governativo,  che,  dotato  di  ricchi  mezzi 
scientifici  e  di  personale  appositamente  scelto,  dovrà  analizzare,  controllare, 
studiare  gli  esplosivi  italiani. 

Accanto  airindustria  delle  polveri  a  base  di  nitroglicerina  e  coton  ful- 
minante, nel  nostro  paese  si  sviluppò  anche  la  fabbricazione  delle  polveri 
al  clorato  e  perclorato  potassico:  come  la  Cheddite,  il  Prométhée  ecc. 

Annualmente  si  producono  24.000  quintali  di  polveri  piriche  (fuochi 
artificiali  compresi),  11.000  quintali  tra  balistite,  cheddite,  selenite,  silurite, 
Prométhée,  fulmicotone,  e  8500  di  dinamite.  La  quantità  di  fulminato  di 
mercurio  preparata  nel  1909,  è  stata  di  68  quintali;  quella  del  cotone- 
collodio,  di  2828  quintali. 

Fiammiferi.  In  Italia,  la  fabbricazione  dei  fiammiferi  fosforici  era  lar- 
gamente esercitata,  fin  dalla  loro  scoperta  (1830);  solo  in  questi  ultimi  anni, 
però,  essa  assurse  ad  una  notevole  importanza.  Tutti  i  tipi  di  fiammiferi 
sono  da  noi  ottimamente  fabbricati.  Annualmente  si  producono  42.000  quin- 
tali di  fiammiferi  di  legno,  e  la  loro  produzione  in  questi  ultimi  tempi  rimase 
stazionaria;  crebbe  invece  notevolmente  quella  dei  fiammiferi  di  legno  pa- 
raffinato e  quella  dei  così  detti  fiammiferi  di  cera,  dei  quali  ultimi  due  pro- 
dotti si  fa  anche  larghissima  esportazione.  Se  ne  esportarono  infatti,  nel  1909, 
circa  36.700  quintali;  l'importazione  invece  fu  di  appena  45  quintali. 


L'industria  chimica  italiana,  per  la  natura  e  fertilità  del  nostro  suolo, 
pel  nostro  clima,  oltre  che  nel  ramo  minerario  doveva  svilupparsi  e  fiorire 
in  quei  rami  di  produzione  che  traggono  la  loro  materia  prima  dai  frutti 
della  coltivazione  del  suolo,  o  che  nella  lavorazione  dei  campi  sono  larga- 
mente impiegati.  Tale  fu  appunto  il  senso  in  cui  crebbe  e  prosperò  anche 
Vindustria  chimica  nostra  neirultimo  cinquantennio. 


14  GUGLIELMO   KOERNBR  I 

Concimi  artificiali.  —  Il  Liebig,  nell'anDo  1840,  come  del  resto  ò 
universalmente  noto,  pose  Tagrìcoltura  su  una  nuova  base,  dando  ad  essa 
l'indirizzo  odierno.  Nella  sua  celeberrima  opera:  Die  Chemie  in  ihrer 
Antoendung  auf  Agricultur  u,  Physiologie,  egli  emise  la  massima  :  •  La 
pianta  verde  vive  esclusivamente  di  sostanze  inorganiche^  e  cioè  di  acido 
carbonico,  ammoniaca  (acido  nitrico),  acqua,  acido  fosforico,  solforico,  sili- 
cico, calce,  magnesia,  potassa,  ferro;  alcune  abbisognano  anche  del  cloruro  di 
sodio.  Lo  stallatico  e  gli  escrementi  animali  hanno  azione  nutritiva  in  virtù 
delle  sostanze  inorganiche  che  contengono,  e  possono  essere  rimpiazzati  dalle 
sostanze  inorganiche  stesse  nelle  quali  essi  si  scompongono  nel  terreno  »• 
Da  ciò  deriva  la  massima  che  è  assolutamente  necessario  di  restituire  al 
terreno,  per  conservargli  la  fertilità,  tutte  le  sostanze  inorganiche  che  ad  esso 
vennero  tolte  coi  diversi  raccolti.  Liebig  dimostrò,  in  base  a  numerose  ana- 
lisi, quanto  sia  piccolo  il  contenuto  in  potassa  ed  in  anidride  fosforica  del 
suolo  coltivabile;  mentre,  per  es.,  con  ogni  raccolto  di  patate  si  asportano 
circa  100  kg.  di  potassa  per  ettaro,  e  con  un  raccolto  di  barbabietole  se 
ne  asportano  non  meno  di  166  kg.  per  la  stessa  area,  contemporaneamente  il 
suolo  si  impoverisce  di  quantità  considerevoli  di  anidride  fosforica.  Ma 
quanto  difficilmente  si  è  fatta  strada  questa  dottrina  nuova,  e  quanto  è 
stato  combattuto  il  suo  autore,  e  quanto  lentamente  è  stato  compreso  ! 

Una  volta  ammessa  l'esattezza  delle  vedute  del  Liebig  intomo  alla  nu- 
trizione delle  piante,  veniva  da  se  Y  indeclinabile  necessità  di  provvedere  al 
compenso  e  di  rifornire  al  terreno  quanto  da  esso  si  era  tolto.  Eppure  i  profes- 
sori di  agricoltura  e  la  grande  massa  degli  agricoltori,  forse  per  dimostrare 
vero  ancor  oggi  quanto  fu  detto  dal  profeta  Jesus  Sirach  (^),  si  dimostrarono 
refrattari  a  questa  nuova  dottrina,  considerando  il  chimico  come  un  incompe- 
tente intruso,  e  trovando  questa  teoria  in  assoluta  opposizione  a  quanto  era 
allora  generalmente  praticato.  Tuttavia  nel  1841  la  casa  Gibbs  e  Sons  iniziò 
la  importazione  del  guano  come  materiale  fosfatico  :  importazione  che,  in  se- 
guito ai  buoni  risultati  pratici  ottenuti,  prese  subito  un  grande  sviluppo. 
Neiranno  1842  furono  importati  1,820  quintali;  nell'anno  successivo,  l'impor- 
tazione in  Europa  fu  di  46,670  quintali,  per  raggiungere  nel  1862  i  4,350,000 
quintali. 

Dal  Liebig,  oltre  il  guano,  era  stato  indicato  l' uso  delle  ossa  per  lo 
stesso  scopo,  raccomandando  già  fin  da  allora  il  trattamento  delle  mede- 
sime con  acido  solforico  per  render  facile  la  diifusione  dell'acido  fosforico  nel 
terreno.  L*  industriale  inglese  Lawes,  per  il  primo  sostituì  le  ossa  coi  fosfati 
minerali,  e  fondò  nel  1843  la  fabbrica  a  Detford.  Da  allora  data  l' industria 
dei  concimi  chimici;  neiringhilterra  essa  fu  così  ben  accolta  che  già  nel  1862 
se  ne  consumarono  2  milioni  di  quintali.  Dall'Inghilterra,  questa  industria 


(*)  Bibbia,  libro  di  Jesus  Sirach,  cap.  39,  versi  26  e  27. 


l'industria    chimica   in    ITALIA    NEL    CINQUANTENNIO  15 

passò  in  Gennania  ed  in  Francia,  dove,  grazie  alle  numerose  scuole  di  agri- 
coltura, rapidamente  si  sviluppò. 

Il  conte  di  Cavour  per  il  primo,  in.  questa  parte  come  in  tante  altre 
pratiche  agricole,  dopo  aver  per  parecchi  anni  consecutivi  favorito  l'uso  in 
Piemonte  di  quantità  considerevoli  di  guano,  cercò  di  provocare  la  fabbri- 
cazione dei  concimi  chimici  in  Italia,  e  spinse  V  industiale  Fino  di  Torino  a 
fabbricarne  coir  impiego  delle  ossa,  dei  sali  di  ammoniaca  e  di  potassa. 
L'industria  non  ebbe  però  lo  spei-ato  successo,  non  essendo  il  paese  a  ciò 
ancor  preparato  a  causa  della  insufflcienie  istruzione  agraria  di  allora.  Pari- 
menti, r  industriale  Curletti  di  Milano,  che  impiantò  nel  1867  la  prìma  fab- 
brica di  perfosfati  di  ossa  in  Lombardia,  non  trovò  in  Italia  compratori  del 
suo  prodotto,  e  dovette  trasportarlo  a  Marsiglia  per  poterlo  vendere.  La  Scuola 
superiore  di  agricoltura  di  Milano,  nel  cui  programma  quella  mente  organiz- 
zatrice d' istruzione  superiore,  che  fu  il  senatore  Brioschi,  fece  prendere  largo 
posto  air  insegnamento  della  chimica,  diffuse  rapidamente  il  sofSo  delle  nuove 
dottrine  in  paese,  facendo  un  vero  apostolato  pei  concimi  chimici,  in  modo 
che,  col  1883  circa,  si  impiantarono  divei*se  fabbriche  ove  si  preparavano 
perfosfati,  sia  dalle  ossa  sia  dalle  fosforiti.  Da  allora  in  poi,  questa  industrìa 
assurse  a  grandissimo  sviluppo,  cosicché  oggi  lavorano  117  fabbriche:  delle 
quali,  100  hanno  fabbricazione  propria  di  acido  solforico;  le  altre  acquistano 
l'acido  da  altri  stabilimenti.  Sette  fabbriche,  poi,  sono  cooperative  fra  agri- 
coltori. 

La  produzione  dei  perfosfati  è  oggi  dai  9  ai  10  milioni  di  quintali.  Di 
questi,  509,000  derivano  dalle  ossa  :  il  resto  da  fosfati  minerali,  importati  dal 
nord  dell'Africa  e  in  parte  anche  dall'America.  Si  può  avere  un  coacetto 
della  rapidità  con  la  quale  si  sono  sviluppati  la  produzione  ed  il  coasumo 
di  questi  concimi,  ricordando  che  nel  1885  se  ne  produceva  un  milione  e 
mezzo  di  quintali;  nel  1892  si  arrivava  a  due  milioni  e  mezzo;  nel  1896 
a  cinque  milioni  e  mezzo  ;  oggi  a  circa  dieci  milioni  di  quintali.  Le  fabbriche 
sono  molto  diversamente  distribuite  uella  penisola;  numerosissime  nell'Italia 
del  nord,  limitate  nella  centrale,  pochissime  nella  meridionale  e  nelle  isole. 
Delle  117  fabbriche,  più  di  80  si  trovano  nella  valle  del  Po. 

Colla.  —  Intimamente  collegata  alla  produzione  dei  concimi  dalle  ossa, 
e  da  questa  industria  direttamente  dipendente,  è  la  fabbricazione  della  colla. 
Questa  si  prepara  dalla  parte  organica  delle  ossa,  detta  osseina,  per  mezzo 
di  una  prolungata  ebollizione  con  acqua  alla  temperatura  di  130^  C,  in  au- 
toclavi. L'osseina,  con  questo  trattamento,  subisce  una  trasformazione  e  diventa 
solubile  nell'acqua  calda,  dando  una  soluzione  che,  a  freddo,  si  rapprende  in 
una  massa  gelatinosa.  Questa,  con  apposite  macchine,  è  tagliata  in  tavolette 
che  si  distribuiscono  su  reti  di  corda,  sulle  quali  si  asciugano,  il  più  rapida- 
mente possibile,  per  mezzo  dell'aria  corrente,  ad  una  temperatura  di  poco 
superiore  ai  20®  C. 


1<^  GUOLIBLMO   KOBRNER 


Essendo  la  colla,  nelle  sue  forme  più  comuni,  un  prodotto  di  bassis- 
simo prezzo,  la  sua  fabbricazione,  perchè  possa  diventare  rimunerativa,  non 
solo  richiede  una  lavorazione  assai  perfetta,  in  cui  la  materia  prima  in  tutte 
le  sue  parti  sia  utilizzata,  ma  inoltre  e  soprattutto  la  possibilità  di  procu- 
rare le  ossa  a  buon  mercato.  E  perciò  la  vitalità  della  maggior  parte  delle 
fabbriche  di  colla  è  fortemente  dipendente  dal  luogo  ove  esse  si  impiantano  ('). 

La  colla  comune,  come  abbiamo  detto,  si  prepara  dalle  ossa,  liberando 
queste,  per  mezzo  di  solventi  adatti  (solfuro  di  carbonio  o  benzina),  dal  grasso 
contenutovi,  e  sciogliendo  la  parte  minerale  (fosfato  di  calcio  e  di  magnesio)  in 
acido  clorìdrico,  il  quale  lascia  come  residuo  indisciolto  la  osseina,  che  col- 
Tacqua  bollente  lentamente  si  scioglie  e  si  trasforma  in  colla.  L'aggiunta  di 
acido  solforoso  conduce  ad  un  prodotto  meno  colorato,  e  ne  impedisce  e  ri- 
spettivamente ne  ritarda  la  putrefazione.  Dalla  soluzione  cloridrica  si  pre- 
para, con  raggiunta  di  latte  di  calce,  il  fosfato  di  calcio  precipitato  del 
commercio,  che  costituisce  un  prodotto  accessorio  assai  ricercato. 

Questo  modo  di  preparare  la  colla  non  è  sempre  economicamente  con- 
veniente, e  perciò  non  di  rado  il  processo  si  inveire,  nel  senso  di  sciogliere 
col  vapor  acqueo  a  130^  0.  dalle  ossa  (previamente  sgrassate  con  solventi 
adatti,  od  anche  mercè  la  semplice  ebollizione  con  acqua)  la  osseina,  la 
quale  così  è  trasformata  in  colla,  mentre  rimane  indisciolta  la  parte  mine- 
rale delle  ossa,  frammista  a  piccole  quantità  di  sostanze  azotate,  che  viene 
destinata  a  concime. 

Questa  industria  però,  che  era  ancor  fiorente  in  Italia  alla  fine  del  se- 
colo scorso,  man  mano    perdette  di  importanza,  e  ciò   specialmente  perchè, 

(*)  Oggi,  sem prò  più,  per  il  successo  doiresercizio  di  ogni  ramo  deUMndastria  chi- 
mica,  uno  dei  principali  fattori  si  ha  nella  scelta  della  località  più  favorevole  air  instal- 
lazione degli  stabilimenti  :  oggi  che,  per  la  sempre  crescente  concorrenza,  i  prezzi  dei  pro- 
dotti diminui^icono  continuamente,  mentre  nei  processi  di  fabbricazione  molte  volte  non 
è  più  possibile  raggiungere  ulteriori  economie,  la  riescila  di  un*  industria  dipende  essen- 
zialmente dalla  riduzione  delle  spese  di  trasporto,  sia  delle  materie  prime,  sia  dei  pro- 
dotti lavorati;  ed  anche  dalla  possibilità  di  avere  a  minor  prezzo  Tenergia  occorrente: 
prezzo  costituito  dal  costo  del  combustibile  o  della  forza  idraulica  e  mano  dVpcra.  Così, 
avviene  assai  di  frequente,  in  Germania,  che  grandiosi  impianti,  per  tali  necessità,  cam- 
biano di  luogo  e  si  trasportano  in  immediate  vicinanze  della  materia  prima  da  lavorare, 
quando  ivi  si  trovano  a  buon  mercato  anche  i  mezzi  per  il  trasporto  dei  prodotti  lavorati 
verso  le  località  di  maggior  consumo. 

Da  ciò  senz^iltro  si  comprende  come  la  proposta  fatta  dal  prof.  Oddo,  per  venir  in 
aiuto  air  industria  del  zolfo  in  Sicilia,  di  trasformare  il  minerale  in  acido  solforico,  non 
possa  ra^cgiungere  lo  scopo;  appunto  per  le  ragioni  sopra  esposte,  relative  al  costo  del 
trasporto,  sia  della  materia  prima,  sia  del  prodotto  risultante.  Infatti,  o  si  trasporta  la 
materia  prima  al  litorale,  anziché  il  solfo  di  essa,  e  la  spesa  di  trasporto  notevolmente 
aumenta;  o  si  trasporta  Taci  do  solforico,  e  allora,  rappresentando  esso  il  triplo  del  peso 
dello  zolfo,  si  richiedono  molto  maggiori  spese  per  T  imballaggio  :  senza  parlare,  pui, 
delle  difficoltà  inerenti  al  trasporto. 


l'industria   chimica   in    ITALIA   NBL    CINQUANTENNIO  17 

yigendo  io  Austria  un  dazio  di  importazione  di  L.  10,  mentre  l'Italia  non 
ha  che  an  dazio  generale  di  L.  4  ed  uno  convenzionale  di  L.  1,  quel  paese 
fa  incetta,  specialmente  in  Italia,  di  ossa;  da  cui  prepara  la  colla,  facendo 
concorrenza  alla  stessa  Germania. 

Dal  1908  al  1905  l'Austria  esportò  dalVItalia,  rispettivamente,  16,000, 
24,400  e  50,900  quintali  di  ossa.  In  oggi,  l'importazione  e  l'esportazione 
della  colla  comune  in  Italia  sono  pressoché  uguali,  e  sommano,  in  cifre  tonde, 
a  11,000  quintali. 

Gelatìne.  —  Colle  di  qualità  migliori  si  ottengono  per  l'azione  del- 
l'acqua calda  sul  carniccio  sgrassato,  decolorando  la  risultante  soluzione  con 
acido  solforoso  e  concentrandola  nel  vuoto.  Esse  portano  il  nome  di  gelatine, 
ed  hanno  molteplici  applicazioni;  p.  es.,  per  preparare  le  capsule  in  cui  si 
somministrano  medicamenti  di  gusto  ingrato.  La  più  fina  qualità  di  gelatina 
è  destinata  alla  fotografia,  per  le  lastre  dette  a  secco;  essa  si  ottiene  col- 
r  impiego  esclusivo  di  pelle  freschissima  proveniente  da  animali  giovani,  spe* 
cialmente  vitelli,  e  richiede  una  preparazione  molto  accurata  e  precisa  per 
esclndere  ogni  principio  di  decomposizione  putrida,  durante  la  lavorazione. 
I  requisiti  che  questo  prodotto  richiede  perchè  possa  essere  utilizzato,  ne  ele- 
vano grandemente  il  prezzo  :  ma,  per  converso,  ne  rendono  molto  proficua  la 
industria. 

Nel  mentre  la  produzione  delle  colle  comuni  diminuisce  in  Italia,  la 
fabbricazione  delle  gelatine  è  stata,  negli  ultimi  anni,  assai  bene  avviata,  e 
quella  del  prodetto  per  uso  fotografico  ò  divenuta  oggetto  di  industria  gran- 
diosa, e  si  trova  in  continuo  aumento. 

Concimi  azotati. —  Accanto  ai  concimi  fosfatici,  grande  impiego  tro- 
varono nella  agricoltura  i  concimi  azotati.  Nel  1830  si  scoperse  nel  Chili  la 
più  grande  sorgente  di  azoto  nitrico;  ma,  pur  troppo,  tale  giacimento,  per- 
durando l'intenso  sfruttamento  odierno,  in  una  ventina  di  anni  circa  sarà 
esaurito  :  come  già,  del  resto,  fu  esaurito  il  giacimento  di  guano  del  Perù, 
che  forniva  uno  dei  più  pregiati  concimi.  Le  fabbriche  del  gas,  del  coke 
metallurgico,  dell'acido  borico,  con  la  produzione  del  solfato  ammonico  come 
prodotto  accessorio  della  loro  industria,  costituiscono  una  nuova  solvente  per 
l'azoto,  da  utilizzare  come  concime  nella  agricoltura.  La  fabbricazione  del 
solfato  ammonico  è,  per  l'Italia,  di  data  relativamente  recente.  Se  fin  dal 
1870  le  acque  ammoniacali  del  gaz  di  Milano  erano  impiegate  per  avere 
solfato  ammonico,  la  sua  produzione  era  tuttavia  insignificante;  nel  1893 
essa  raggiunse  le  320  tonnellate;  oggi  l'Italia  fabbrica, di  questo  sale,  6,800 
tonnellate.  Quantità,  codesta,  assai  inferiore  a  quella  richiesta  pel  consumo 
interno.  Infatti  in  Italia,  nel  1909,  si  impiegarono  circa  25  mila  tonnellate 
di  solfato  ammonico  per  l'agricoltura. 

Guglielmo  KoKRNnn.  —  L'industria  chimica  ecc.  2 


Id  GUGLIELMO   KOERNER 


Calciocianauiide.  —  Non  bastando  adunque  la  pioduziooe  pel  consumo, 
e  non  potendo  essa  essere  aumentata,  la  chimica  dovette  allora  ricercare 
nuove  fonti  che  potessero  sopperire  al  bisogno. 

Tentata  nel  1894,  ma  senza  ottenere  alcun  pratico  risultamento,  la 
trasformazione  delV azoto  atmosferico  in  azoto  nitrico  per  mezzo  dei  bacterii 
nitrificanti;  abbandonata  per  ragioni  economiche  la  fabbricazione  dei  ni- 
trati mediante  le  scariche  elettriche,  venne  riconosciuta  di  grande  impor- 
tanza per  r  Italia  la  fabbricazione  della  calciocianamide,  fissando  così  Tazoto 
atmosferico  sopra  il  carburo  di  calcio.  L* esistere  in  Italia  già  da  tempo,  ben 
avviata  e  prosperosa,  l'industria  del  carburo  di  calcio,  fu  una  condizione 
assai  favorevole  per  lo  svolgersi  anche  di  quella  della  calciocianamide.  L'ab- 
bondanza di  ottimi  calcari,  la  potenza  dell'energia  idraulica,  fecero  si  che  il 
carburo  di  calcio  potesse  essere  prodotto  in  quantità  tali  ed  a  prezzi  così 
favorevoli  da  poter  essere  esportato  in  grandi  quantità.  La  statistica  infatti 
dimostra  che  nel  1899  se  ne  produssero  660  tonnellate;  nel  decennio 
successivo  se  ne  fabbricarono  4800  all'anno.  NelPanno  1906  un  terzo  della 
produzione  veniva  esportato;  in  seguito,  poi,  l'esportazione  subì  una  notevole 
diminuzione,  dovuta  in  parte  alla  maggior  richiesta  per  il  consumo  intemo 
come  mezzo  illuminante,  in  parte  anche  perchè  esso  direttamente  viene  tras- 
formato in  calciocianamide.  In  quelle  fabbriche  di  calciocianamide,  dove  si 
si  usa  l'azoto  proveniente  dalla  distillazione  frazionata  dell'aria  liquida,  si 
ottiene  come  capomorto  l'ossigeno;  il  quale  viene  compresso  in  bombe,  e 
venduto  per  uso  industriale  —  allo  scopo  di  ottenere,  con  una  combustione  più 
viva,  temperature  elevatissime  —  e  anche  per  uso  terapeutico. 

Gas  compressi.  —  Accennerò,  a  questo  proposito,  che  I*  industria  dei 
gas  compressi,  dal  1906,  incominciò  ad  avere  una  discreta  importanza  econo- 
mica. Oggi  si  preparano  in  Italia  quantità  considerevoli  di  idrogeno  e  di 
ossigeno  che  si  ottengono  per  via  elettrolitica,  e  si  produce  in  grande  anche 
l'anidride  carbonica;  e  una  discreta  quantità  (600  quintali  nel  1909)  di 
cloro  liquido.  Quest'  ultimo  risulta  come  prodotto  accessorio  nelV  indu- 
stria della 

Soda  elettrolitica.  —  Si  prepara  in  due  stabilimenti,  nella  quantità 
complessiva  di  82,000  quintali,  ottenendo  oltre  600  quintali  di  cloro  lique- 
fatto, 95,000  quintali  di  ipoclorito  di  calcio  come  prodotto  accessorio,  il 
quale  sopperisce  completamente  agli  odierni  bisogni  dell'industria  italiana. 
Il  possibile  consumo  di  questo  prodotto  regola  e  limita  la  produzione  della 
soda  elettrolitica,  la  quale  non  può  essere  aumentata  senza  che  si  trovi  un  uso 
per  il  cloro,  sia  libero,  sia  allo  stato  combinato. 

Clorato  potassico.  —  Se,  come  abbiamo  visto,  la  preparazione  dei 
nitrati  dall'azoto  atmosferico,  per  mezzo  delle  scariche  elettriche,  in  Italia 


l/lNDUSTRlA    CHIMICA    IN    ITALIA    NEL    CINQUANTENNIO  1^ 

non  potè  economicamente  essere  sfrattata,  oggi  la  preparazione  del  clorato 
potassico,  invece,  raggiunse  imo  sviluppo  importantisssimo,  ed  i  quattro 
quinti  del  consumo  italiano  sono  forniti  dalla  fabbrica  elettrolitica  di  Le- 
gnano, impiantata  qualche  anno  fa,  per  preparare  acido  nitrico  e  nitrati 
dair azoto  atmosferico. 

Zaccliero.  —  Un'altra  industria,  che,  dopo  molti  tentativi  falliti,  assunse 
in  questi  ultimi  tempi  un  inaspettato  e  grandioso  sviluppo,  tale  da  rendere 
il  paese  del  tutto  indipendente  dairestero,  è  la  fabbricazione  dello  zucchero 
di  barbabietola. 

È  noto  dagli  scritti  dell'Amari  {Storia  dei  Musulmani  in  Sicilia)  che 
sin  dal  nono  secolo  i  Saraceni  introdussero  nella  Sicilia  e  nella  Calabria  la 
fabbricazione  dello  zucchero  estratto  dalla  canna  da  zucchero.  Tale  industria 
si  mantenne  fiorente  sotto  i  Normanni,  sparendo  durante  il  dominio  degli 
Angioini,  per  risorgere  un'altra  volta  rigogliosa  sotto  gli  Spagnoli.  I  tentativi 
fatti  sul  principio  del  passato  secolo,  all'epoca  del  blocco  continentale,  di 
riprendere  la  coltivazione  della  canna  da  zucchero  in  Sicilia,  dimostrarono 
rìmpossibilità  di  tale  coltura  a  causa  delle  nuove  condizioni  climatiche  pro- 
dottesi in  seguito  al  disboscamento.  Similmente  non  diedero  il  desiderato 
rìsultamento  le  prove  per  estrarre  lo  zucchero  da  altri  materiali,  quali  l'uva, 
le  castagne,  i  fichi,  il  miele  e  altri  simili.  Circa  l'estrazione  dello  zucchero 
dalla  bietola  saccarifera,  sono  da  rammentare,  unicamente  per  la  storia,  i 
tentativi  fatti  a  Parma,  Piacenza  e  Lucca,  dal  1806  al  1812,  per  ordine 
del  Governo  Napoleonico;  e,  più  tardi,  i  tentativi  fatti  a  Bologna  ed  a  Massa- 
lombarda  per  opera  di  coltivatori  svizzeri.  E  così  pure  hanno  valore  solamente 
storico  gli  impianti  eseguiti  a  Samo  presso  Napoli  nel  1842,  a  Castellaccio 
presso  Roma  nel  1867,  a  Cesa  presso  Arezzo  nel  1872.  Né  toma  inutile, 
sempre  per  la  storia,  far  anche  cenno  dei  numerosi  progetti  di  Società  e  di 
impianti,  quasi  tutti  mancati  allo  scopo,  e  promossi  dal  1870  al  1890  in 
gran  numero  di  città  della  Media  e  dell'Alta  Italia,  e  in  qualche  città 
anche  dell'Italia  Meridionale. 

Il  conte  di  Cavour,  persuaso  dei  vantaggi  che  al  nostro  paese  sarebbero 
derivati  dalla  coltivazione  della  barbabietola,  tentò  di  introdurre  tale  colti- 
vazione nel  Piemonte. 

Successivamente  nel  1871,  il  Miraglia,  direttore  generale  dell'Agricol- 
tura, diede  alle  Stazioni  Agrarie^  allora  appena  fondate  in  Italia,  il  com- 
pito di  studiare  e  stabilire  coll'esperimento,  quali  fossero  le  località  più 
adatte  ad  una  coltivazione  economica  della  bietola  saccarifera. 

L'industria  fece  poi  un  primo  passo  importante  nell'anno  1881  colla 
costituzione  a  Milano  dell'Associazione  lombarda  per  la  coltivazione  della 
barbabietola  da  zucchero;  coli*  impianto,  fatto  nel  1882,  della  fabbrica  di 
San  Martino  Buonalbergo;  colla  costituzione  a  Londra,  nel  1888,  del  Comi- 


20  GUGLIELMO   KOERNER 


tato  Anglo-Italiano  per  1* industria  dello  zucchero  in  Italia;  e  finalmente 
nel  1885  coir  impianto  di  due  nuove  fabbriche  a  Bieti  e  a  Savigliano: 
delle  quali,  dal  1887  per  la  prima,  e  dal  1892  per  la  seconda,  prese  la 
direzione  amministratiya  Ton.  Maraini,  che  con  precise  cognizioni  tecniche 
seppe  ottenerti  migliori  risultati  economici  nell*  industria  dello  zucchero  dalle 
barbabietole. 

L*  industria  saccarifera  italiana  si  sviluppò  grandemente  solo  dopo  la 
legge  del  1888,  la  quale  fissava  in  L.  28,85  la  protezione  apparente  del- 
rindustria  italiana  per  il  rafiBnamento  e  la  fabbricazione  dello  zucchero,  ed 
aggiungeva  un  premio,  per  bilanciare  i  premii  dei  paesi  esteri,  consistente 
nella  determinazione  della  tassa  col  metodo  induttivo  dei  densimetri  ;  mercè 
il  quale  metodo,  una  parte  dello  zucchero  rimane  legalmente  esente  dalla 
tassa.  Tale  legge  fu  modificata  nel  dicembre  1809,  nel  luglio  1902  e  nel 
luglio  1910;  in  virtil  dell* ultima  modificazione,  oltre  la  già  effettuata  sop- 
pressione di  ogni  premio,  fra  sette  anui  la  protezione  verrà  ridotta,  nel  com- 
plesso deir industria,  a  L.  22,85. 

Fino  airanno  189G  esistevano  due  sole  fabbriche,  che  salirono  a  quattro 
nel  1897;  a  trenta  nel  1901,  e  a  trentatrò  nel  1902;  oggi  se  ne  contano 
trentacinque. 

La  produzione  dello  zucchero  indigeno,  calcolato  come  raflBnato,  nel  1896 
non  arrivava  a  20,000  quintali;  ora  invece,  secondo  ogni  probabilità,  rag- 
giungerà un  milione  e  mezzo  di  quintali. 

Per  tale  produzione  si  coltivano  circa  50,000  ettari  di  terreno,  dai  quali 
si  ricavano,  in  media,  circa  15  milioni  di  quintali  di  bietole,  conteneoti  il 
10-10,5  7o  di  zucchero  estraibile. 

11  numero  dei  lavoratori  occupati  nella  coltivazione  di  detta  super- 
ficie, nei  momenti  dei  più  intensi  lavori  (semina,  isolamento,  sarchiatura, 
e  raccolto  col  relativo  u-asporto),  varia  dai  50  ai  100  mila. 

Nelle  fabbriche  poi  può  calcolarsi  che  venga  impiegato  un  operaio 
per  ogni  tre  ettari  di  terreno  coltivato  a  bietole;  e  quindi  in  media  si 
hanno  18,000  operai  durante  la  campagna,  e  solo  circa  1200  nel  resto 
deiranno. 

Un  fatto,  assai  importante,  da  rilevare,  sta  in  questo:  che  il  personale 
tecnico  dirigente  era  in  origine  straniero  (per  ogni  fabbrica  si  avevano  al- 
meno :  il  direttore,  due  capi  fabbrica,  due  assistenti,  due  cuocitori,  un  capo 
meccanico  ;  e  perciò  da  sei  ad  otto  persone  straniere,  le  quali,  nel  complesso, 
salirono  in  certi  momenti,  presso  tutte  le  fabbriche,  ad  oltre  duecento  per- 
sone tecniche  straniere);  mentre  oggi  non  vi  sono  più  che  otto  direttori, 
qualche  capo  fabbrica,  capo-meccanico  o  cuocitore  stranieri.  In  tutto,  circa  15 
tecnici  ;  il  rimanente  è  stato  sostituito  da  personale  italiano. 

Coiraumento  della  produzione  nazionale  aumentò  pure  notevolmente  la 
relativa  raflinazione.   Fino  al  1900  essa  era  fatta  in  tre  sole  raffinerie  ed 


l'industria    chimica    in    ITALIA    NEL   CINQUANTENNIO  21 

io  lina  fabbrica-raffineria;  oggi  essa  si  compie  in  tre  raffinerie  e  cinque 
fabbriche-raffinerie,  capaci  complessivamente  di  raffinare  oltre  due  milioni  di 
quintali  di  zucchero,  impiegando  stabilmente  1800  operai  air  incirca. 

Coiraumentare  della  produzione  indigena  diminuì,  naturalmente,  e  quasi 
scomparve  1* importazione  dello  zucchero;  il  qnal  fatto,  tenuto  conto  della 
differenza  tra  la  tassa  di  fabbricazione  e  il  dazio  di  importazione,  ha  prodotto 
per  l'Erario  una  perdita  annuale  di  circa  quattordici  milioni  di  lire  negli 
ultimi  dieci  anni.  Ciò  nonostante,  si  deve  riconoscere  che  questa  industria 
ha  arrecato  al  paese  beneficii  incalcolabili  :  in  primo  luogo,  V  intero  valore 
del  prodotto  è  rimasto  nel  paese;  secondariamente,  un  numero  grandissimo 
di  lavoratori  sono  impiegati  ;  in  terzo  luogo,  —  e  questo  è  forse  il  vantaggio 
maggiore,  —  Tagricoltura,  in  seguito  airobbligo  assoluto,  fatto  ai  coltivatori,  di 
operare  in  dati  modi  prescritti  per  la  coltivazione,  impiegando  date  quan- 
tità e  qualità  di  concimi  e  date  varietà  di  semi,  ha  fatto  in  brevissimo 
tempo  progressi  straordinarìi,  che  non  sarebbero  stati  raggiunti  se  non  in 
molti  decennii. 

Lo  stesso  è  avvenuto,  come  giustamente  rileva  il  prof.  <3Ìglioli,  pre- 
cedentemente in  Germania  ed  in  Austria  ;  presso  le  quali  nazioni,  il  rapidissimo 
sviluppo  della  agricoltura,  raggiunto  dopo  il  1870,  viene  attribuito  sopra 
tutto  alla  razionale  coltivazione  delle  barbabietole  da  zucchero. 

Glucosio.  —  Rapidamente  si  diffuse  presso  noi  la  fabbricazione  di  questo 
prodotto,  che,  come  è  noto,  si  ottiene  dall'amido  e  da  materiali  amidacei  per 
Fazione  degli  acidi  diluiti  sotto  debole  pressione.  Quattordici  stabilimenti 
producono  oggi  questo  prodotto  nella  quantità  di  circa  55  mila  quin- 
tali, mentre  dal  1886  al  1890  la  produzione  annua  media  era  di  28.786 
quintali. 

Zucchero  di  latte,  acido  lattico,  caseina.  —  La  convenienza  di 
fabbricare  il  burro  su  vasta  scala  per  l'esportazione,  ha  condotto  da  parec- 
chio tempo  altri  paesi  —  per  esempio:  la  Danimarca,  TOlanda.  la  Germania  — 
air  istituzione  di  grandi  latterie,  nelle  quali  si  lavorano  centinaia  di  ettolitri 
di  latte  al  giorno. 

Di  queste  latterìe,  parecchie  sorsero  da  noi,  specialmente  in  Lombardia  ; 
ed  a  Lodi  ve  ne  ha  una,  la  piii  grande  forse  d'Europa,  che  lavora  giornal- 
mente pìd  di  500  ettolitri  di  latte,  estraendone  il  burro.  L*  impossibilità  di 
adibire  airalimentazione  del  bestiame  (maiali  e  vitelli)  tutto  il  latte  magro 
risultante,  ha  condotto  ad  una  migliore  utilizzazione  di  questo  latte  magro  : 
Si  estrae  da  esso  la  caseina  e  lo  zucchero  di  latte,  detto  lattosio  ;  e  la  me- 
lassa di  questo  ultimo  prodotto  si  trasforma  in  gran  parte  in  acido  lattico. 
Questo  è  oggi  richiesto  in  quantità  considerevoli  dalle  concerìe,  dove  viene 
impiegato  per  togliere  la  calce  alle  pelli  conciate,  e  viene  usato  anche  sotto 


I 


22  GUGLIELMO   KOEKNER 


forma  del  suo  sale  di  antimonio  come  mordente  in  tintorìa.  La  caseina,  a 
sua  volta,  è  impiegata  nella  fabbricazione  della  carta,  e  nella  patinatura  di 
questa  ;  è  altresì  adoperata  come  appretto  nei  tessuti,  nella  stamperia,  nella 
fabbricazione  e  lavorazione  dei  cartonaggi,  e  in  fine  nella  produzione  deiravorio 
artificiale.  Lo  zucchero  di  latte  poi,  un  tempo  assai  poco  usato,  oggi  è  este- 
samente impiegato  nella  farmacia  e  neiralimentazione  dei  bambini  ecc.  Per 
l'Italia,  però,  esso  è  principalmente  un  articolo  di  esportazione. 

Alcool.  —  Essendo  l'Italia  un  paese  eminentemente  vinicolo,  doveva 
in  esso  svilupparsi,  naturalmente,  l'industria  della  distillazione  del  vino.  Col 
sopraggiungere  della  crittogama,  che  infierì  nelle  nostre  campagne  dal  1850 
al  1860  circa,  Tindustria  dell'alcool  e  dell'acquavite  subì  un  notevole  ral- 
lentamento, tanto  che  per  sopperire,  in  questi  anni  di  carestia,  al  consumo 
interno,  si  ricorse  alla  produzione  francese  e  più  di  tutto  alla  Germania,  la 
quale,  non  essendo  separata  dairitalia  da  barriera  doganale,  aveva  mercato 
aperto  pel  suo  alcool  ricavato  dalla  patata.  Solo  nel  1850,  in  Milano,  sorse 
il  primo  stabilimento  per  la  produzione  deiralcool  dai  cereali,  sotto  la  ra- 
gione Carlo  Sessa  ;  stabilimento,  però,  che,  per  i  mezzi  primitivi  di  cui  era 
dotato,  poteva  sopperire  al  solo  consumo  locale, 

Costituitosi  il  Regno  dltalia,  l'industria  dell'alcool  potè'  progredire;  e 
quantunque  i  dazii  protettori  fossero  assai  esigui,  l'introduzione  dell'alcool 
germanico  si  ridusse  ai  quattro  quinti  del  totale  consumo. 

Nel  1879  sorse  la  prima  distilleria  per  lavorare  le  sostanze  amidacee 
con  la  diastasi,  e  si  ebbe  come  sottoprodotto  la  «  borlanda  « ,  che  serviva 
all'alimentazione  del  bestiame.  Il  maggior  impulso,  però,  all'industria  del- 
Talcool,  venne  dato  dall'applicazione  della  tassa  interna  di  fabbricazione  che, 
applicata  per  intera  al  confine,  veniva  riscossa  in  Italia  per  abbuoni.  Tale 
tassa,  nel  1880  era  di  30  lire,  e  salì  gradatamente  fino  a  270  lire  (tassa 
odierna). 

La  legge  che  regola  il  regime  fiscale,  dìstingne  le  fabbriche  di  alcool  in 
due  grandi  categorìe.  La  prima  comprende  quelle  fabbriche,  che  lavorano 
l'amido  e  le  sostanze  amidacee;  i  residui  della  fabbricazione  dello  zucchero 
dalle  barbabietole;  i  tartufi  di  canna;  Tuva  secca.  La  seconda  comprende 
le  distillerie  che  estraggono  l'alcool  dalla  frutta,  dal  vino,  dal  miele,  e  dalle 
vinaccie.  in  realtà,  questa  divisione  fiscale  corrisponde  anche  ad  una  netta 
divisione  industriale.  Oli  stabilimenti  che  appartengono  alla  prima  categoria, 
hanno  a  loro  disposizione  impianti  condotti  coi  più  rigorosi  criteri  tecnici,  e 
devono  essere  in  grado  di  adattarsi  agli  sbalzi,  ai  quali  vanno  soggette  le 
produzioni  vinicole,  determinati  dall'andamento  delle  campagne,  che  talvolta 
gravano  sul  mercato  con  pletore  enormi  di  vino,  come  appunto  avvenne  nel 
1910;  di  modo  che  esse  devono  esser  pronte  a  cambiare,  ad  ogni  evento,  il 
materiale  per    la   fabbricazione.  Inoltre   si   devono   assoggettare  al  continuo 


l'industria    chimica   in   ITALIA   NEL   CINQUANTENNIO  23 

mutamento  delle  norme  legislative,  che  si  succedono  con  una  rapidità  e  fre- 
quenza impressionanti.  Oggi,  infatti,  si  contano  più  di  duecento  tra  leggi, 
decreti,  regolamenti  ed  istruzioni,  che  disciplinano  l'industria  ed  il  com- 
mercio degli  spiriti. 

Alla  seconda  categoria  appartengono  invece  i  piccoli  e  numerosi  impianti 
di  carattere  eminentemente  agricolo,  e  massimamente  vinicolo,  che  preparano 
liquidi  alcoolici,  per  lo  più  destinati  al  consumo  diretto,  e  solo  in  piccola 
quantità  destinati  ad  ima  ulteriore  rettificazione. 

Se  però  i  sedici  grandi  stabilimenti,  che  appartengono  alla  prima  cate- 
goria, furono,  per  le  ragioni  citate,  sino  ad  ora  obbligati  ad  adattarsi  alle 
condizioni  di  vita  a  loro  imposte,  più  che  seguire  i  perfezionamenti  tecnici 
e  scientifici,  che  sono  i  principali  fattori  di  progresso  :  il  primo  consorzio  da 
pochi  anni  istituitosi  ha  migliorato  di  assai  le  loro  condizioni,  permettendo 
loro  di  dirigere  il  mercato  e  regolare  la  produzione. 

Mercè  l'introduzione  dell'alcool  denaturato,  iniziata  nell'anno  1903,  si 
consumano  in  Italia  800.000  ettolitri  di  alcool  anidro;  l'origine  del  quale,  nelle 
ordinarie  annate,  va  ricercata,  per  un  terzo,  nella  distillazione  dei  residui  delle 
melasse  di  barbabietole:  un  terzo  proviene  dalle  sostanze  amidacee:  il  resto, 
dal  vino  e  dalle  vinacce. 

L'importazione  dell'alcool  ò  oggi  quasi  nulla,  se  si  escludano  le  piccole 
quantità  di  alcool  assolutamente  puro  per  la  profumeria  e  pei  gabinetti  di 
chimica.  Dell'alcool  denaturato,  di  cui  si  fabbricano  95.000  ettolitri,  un 
terzo  si  impiega  per  preparare  etere  solforico,  e  per  la  fabbricazione  della 
seta  artificiale;  il  resto  per  riscaldamento  ed  illuminazione. 

Acido  tartarico.  —  Non  pochi  tentativi  furono  fatti  dall'anno  1870 
in  poi  per  fabbricare  in  Italia  l'acido  tartarico,  pel  quale  il  nostro  paese 
dispone  di  quantità  enormi  di  materie  prime  (tartaro  gre^io,  grumo  di  botte, 
feccie  di  vino),  sostanze  che  si  dovevano  esportare,  non  potendo,  fino  a  pochi 
anni  fa,  la  fabbricazione  indigena  sostenersi  di  fronte  alla  concorrenza  delle 
nazioni  inglese  e  tedesca,  ove  le  fabbriche  erano,  tecnicamente,  assai  meglio 
dirette . 

L'esito  sfavorevole  dei  tentativi  di  fabbricazione  fatti  per  molti  anni,  si 
volle  attribuire  alla  differenza  tra  i  prezzi  del  combustibile  praticati  da  noi 
e  quelli  correnti  in  altri  paesi;  ora  tale  differenza,  se  contribuì  certamente 
all'insuccesso,  non  ne  fu  la  causa  principale.  La  vera  e  precipua  ragione  si 
deve  invece  ricercare  neirinsufficiente  preparazione  del  personale  tecnico,  e 
soprattutto  dei  chimici  direttori,  perchè  si  tratta  di  un'industria  che  richiede 
un  continuo  controllo,  non  solo  per  le  materie  prime  e  per  quelle  che  occor- 
rono nel  processo  di  preparazione,  ma  principalmente  per  i  prodotti  nelle  varie 
fasi  della  lavorazione,  la  quale  si  deve,  a  seconda  dei  casi,  modificare.  Nelle 
Puglie,  oggi  abbiamo  la  più  grande  fabbrica  di  acido  tartarico  del  mondo,  la 


24  GUGLIELMO   KOERNKR 


quale,  benché  fosse  aperta  da  28  anDÌ,  soltanto  in  questi  ultimi  tempi  ha 
saputo  vincere  tutte  le  difficoltà,  sia  rispetto  all'acquisto  delle  materie  prime, 
sia,  e  soprattutto,  rispetto  alla  lavorazione.  Questa  fabbrica  ha  una  potenzialità 
di  30.000  quintali  di  acido  tartarico  (quantità,  però,  non  ancora  raggiunta  dalla 
produzione).  La  seconda  fabbrica  d'Italia  si  trova  a  Milano,  e  dà  prodotti 
superiori  a  quelli  della  prima  ed  anche  a  quelli  di  lavorazione  estera. 

Esistono  inoltre  due  o  tre  altre  fabbriche,  a  .Tatto  secondarie  in  confronto 
delle  precedenti.  La  produzione  italiana  di  acido  tartarico  nello  scorso  anno 
ha  superato  i  36.000  quintali;  ed  il  prodotto  è  stato  per  la  massima  parte 
esportato.  Esso  serve  in  tintoria  per  avvivare  i  colori  nella  tintura  delle  stoffe 
fini,  come  tartaro  emetico  e  come  mordente  nella  stamperia. 

Acido  citrico  ed  essenze  degli  agrami.  —  La  produzione  dell'acido 
citrico  in  Italia  è  tuttora  nulla,  quantunque  il  nostro  paese  fornisca  quasi 
per  intero  il  materiale  da  cui  viene  preparato  l'acido  citrico  per  il  consumo 
em'opeo.  In  fatto,  esso  è  contenuto  nel  succo  dei  limoni  nella  quantità  del 
5  Vs  &^  ^  Vt  por  cento  ;  e  questo  succo  risulta  come  prodotto  accessorio  nella 
fabbricazione  dell'essenza  di  limone,  la  quale  si  prepara  da  secoli  spremendo 
la  buccia  dei  limoni  e  costituisce  un  prodotto  di  grande  esportazione. 

Per  ottenere  questa  essenza,  si  tagliano  i  limoni  in  due,  si  sbucciano 
queste  due  parti,  e  si  spreme  la  buccia  fra  le  dita  raccogliendo  l'essenza  su 
spugne,  che,  alla  loro  volta  spremute,  la  forniscono  come  un  olio,  il  quale,  per 
poter  esser  messo  in  conmiercio,  non  ha  che  da  essere  filtrato  e  separato 
dalle  piccole  quantità  di  liquido  acquoso  che  l'accompagnano.  Dai  bergamotti 
e  dalle  arancie  si  ottengono  col  medesimo  procedimento  altre  essenze,  assai 
ricercate  in  commercio.  Nel  1907  si  esportarono  kgr.  476.842  di  essenze 
di  limone,  173.265  di  quelle  di  arancio  e  87.533  kgr.  di  essenza  di  ber- 
gamotto, che  complessivamente  rappresentarono  un  valore  di  oltre  10  milioni 
di  lire. 

Nei  frutti  sbucciati,  che  per  i  limoni  costituiscono  circa  ^U  dell'intero 
raccolto,  si  trova,  come  ho  già  detto,  l'acido  citrico,  in  quantità  del  6  Vs  por  cento 
circa  nel  succo  ottenuto  nei  mesi  di  dicembre  e  gennaio,  per  diminuire  poi  gra- 
datamente colla  maggiore  maturanza  del  frutto  stesso.  Questo  succo  si  ottiene 
per  torchiatura,  e  non  ha  altra  applicazione  che  come  materiale  per  la  pre- 
parazione dell'acido  citrico,  la  quale,  conseguentemente,  dovrebbe  avere  la 
naturale  sua  sede  nel  luogo  della  fabbricazione  delle  essenze.  Essa,  invece, 
oggi  ancora  si  eseguisce  in  Inghilterra  e  in  Francia  e,  sia  pure  in  piccola 
quantità,  anche  in  Germania.  Varii  tentativi  di  preparare  Tacido  citrico  in 
Sicilia  furono  fatti  nella  seconda  metà  del  secolo  scorso,  ed  una  fabbrica 
esisteva  da  una  ventina  di  anui  a  Messina;  fabbrica  che  a  mala  pena  trasci- 
navasi  avanti,  senza  poter  raggiungere  risultati  economici  favorevoli. 

Ciò  deve  attribuirai  in  primo  luogo  all'insufficiente  direzione  tecnica  di 


l'industria   chimica    in    ITALIA    NBL   CINQUANTENNIO  25 


quelle  imprese,  e,  secondariamente,  al  fatto  che  la  lotta  contro  la  concorrenza 
dell'estero,  dove  gli  stabilimenti  troravansi  da  molti  anni  ammortizzati,  si 
presentava  assai  ardua,  anche  pel  maggior  costo,  presso  di  noi,  del  combu- 
stibile che  entrava  allora  come  un  fattore  importante  nel  processo  di  fabbiica- 
zione.  Il  processo,  per  quanto  sia  ancor  oggi  sostanzialmente  quello  ideato  dallo 
Scheelenel  1784,  tuttavia,  negli  ultimi  decennii,  per  ciò  che  riguarda  la  parte 
meccanica,  coir  introduzione  dei  congegni  ed  apparecchi  della  tecnica  chimica 
moderna  (come  ftlterpresse,  centrifughe,  concentrazione  nel  vuoto  in  caldaje  a 
multiplo  effetto),  è  stato  migliorato  assai,  nel  senso  soprattutto  di  ridurre  di 
molto  la  quantità  di  combustibile.  Inoltre  si  deve  aggiungere  ancora  T  usura 
esercitata  dagli  incettatori  di  limoni  e  di  agro  cotto,  i  quali,  profittando  del 
bisogno  che  preme  ai  produttori,  si  accaparrano  a  prezzi  bassissimi  il  prodotto 
deirannata,  quando  i  limoni  sono  ancora  in  fiore. 

Essendo  in  oggi  riescita  splendidamente  l'industria  dell'acido  tartarico 
in  Italia,  non  vi  ha  più  ragione  di  dubitare  di  un  ugual  successo  per  quella 
dell'acido  citrico,  la  quale  richiede  identico  impianto  dell'altra,  ed  è  assai 
più  semplice  e  dà  sicuro  afBdamento,  se  esercitata  da  mani  esperte  e  unita- 
mente alla  fabbricazione  dell'acido  tartarico,  di  poter  lavorare  per  tutto  Tanno. 
Per  l'acido  citrico  poi,  esiste  il  grande  vantaggio  di  poter  aggiungere  le 
ultime  acque  madri  dei  cristalli,  senz'altro,  al  nuovo  succo  destinato  alla  lavo- 
razione; ciò  che  per  l'acido  tartarico  non  è  possibile,  o  lo  è  soltanto  dopo  averle 
sottoposte  a  complicati  e  costosi   processi  di  purificazione  e  trasformazione. 

A  causa  delle  non  lievi  difficoltà  precedentemente  incontrate  nei  tenta- 
tivi di  fabbricazione  dell'acido  citrico  sul  luogo  di  produzione  del  succo,  si 
è  continuato,  ed  in  parte  si  continua  tuttora,  u  concentrare  il  succo  avuto 
con  la  torchiatura  dei  frutti  sbucciati  (8000  frutti  danno  in  media  600  litri 
di  succo  al  5,6  sino  al  6,5  par  cento  di  acido  citrico)  ad  un  quinto  del 
proprio  volume,  e  spedire  questo  prodotto  —  che  contiene  in  media  25  Vo  di 
acido  citrico  e  prende  il  nome  di  agro  di  limone  —  all'estero,  come  materiale 
per  la  fabbricazione  dell'acido.  Nell'ultimo  decennio  però  si  è  incominciato  a 
trasformare  il  succo  piimitivo,  dopo  averlo  chiarificato  per  filtrazione  o  decan- 
tazione, nella  Sicilia  stessa,  in  citrato  di  calcio,  e  ad  esportare  questo  sale 
debitamente  lavato  e  perfettamente  essiccato,  invece  dell'agro  cotto;  fatto,  co- 
desto, che  costituisce  un  primo  ed  importante  progresso,  non  andando  più  perduta, 
come  prima,  la  spesa  per  la  concentrazione  dell'agro.  La  fabbricazione  del 
citrato  calcico,  eseguita  oggi  in  piti  di  150  stabilimenti  della  provincia  di 
Messina,  costituisce  un  notevole  progresso  e  segna  un  primo  passo  verso  la 
fabbricazione  deiracido  citrico  in  Italia:  fabbricazione,  la  quale,  indubbia- 
mente, è  oggi,  da  noi,  economicamente  possibile,  purché  venga  esercitata  da 
tecnico  competente. 

Il  Governo  dovrebbe  con  ogni  mezzo  &vorire  lo  svolgersi  di  tale  industria, 
escluso  però  quello  ultimamente  adottato,  cioè  del  forte  dazio  protettivo,  che 


26 


GUGLIELMO    KOKRNBR 


non  occoire  affatto  e  noo  ha  altra  conseguenza  che  qnella  di  far  pagare  assai 
di  più,  agli  italiani,  un  prodotto  italiano. 

La  produzione  europea  dell'acido  citrico  oltrepassa  assai  i  40.000  quia- 
tali,  nia  non  basta  ancora  al  consumo. 

Essenze  naturali.  —  Un'altra  industria  che  in  Italia  potrebbe  dive- 
nire assai  (iorente,  e  che,  data  la  natura  del  nostro  suolo  e  del  nostro  clima, 
potrebbe  essere  esercitata  con  sicuro  profitto  su  larga  scala,  è  la  produzione 
delle  essenze  e  dei  profumi  coU'estrazione  diretta  dai  fiori  freschi,  a  questo 
scopo  appositamente  coltivati. 

L'uso  dei  profumi  risale  alle  più  remote  antichità  ed  è  connesso,  come 
è  noto,  alle  tradizioni  ed  al  culto.  Sostanze  aromatiche,  come  resine,  balsami 
e  legni  bruciati,  costituivano  i  primi  profumi;  ed  anzi,  da  questo  modo  di 
preparare  l'aroma  ha  origine  la  parola  <«  profumo  ».  Poi  il  gusto,  raffinatosi, 
fece  scegliere  sostanze  di  altra  natura,  e  l'uso  si  allargò  fino  a  raggiungere, 
all'epoca  di  Luigi  XV,  addirittura  l'incredibile.  La  Pompadour  spendeva  an- 
nualmente oltre  mezzo  milione  di  franchi  per  profumi.  Però  la  scelta  di 
questi  nuovi  profumi  non  fu  sempre  felice,  almeno  pei  nostri  gusti  odierni. 
Infatti  si  usarono  in  altri  tempi  abbondantemente  il  muschio,  V ossa  fetida; 
e  come  profumo  assai  stimato,  un  tempo,  vi  era  quello  delle  mele  marcie, 
impastate,  miste  a  cannella  e  stecchetti  di  garofani,  con  grasso,  le  quali 
fornivano  le  così  dette  pomate  (pommades).  Ed  è  noto  come  il  poeta  Schiller 
tenesse  sempre  mele  putride  nella  propria  scrivania,  perchè  l'odore  dì  queste 
gli  serviva  come  eccitamento  al  lavoro  intellettuale. 

Oggi,  se  Tesagei-azione  a  cui  si  era  giunti  nel  secolo  XVII  non  esiste 
più,  l'uso,  sia  pure  parco,  dei  profumi,  si  è  esteso  anche  alle  classi  meno 
abbienti  ;  cosicché  il  consumo  ne  è  aumentato  assai,  come  risulta  da  recenti 
notizie.  Nella  sola  Europa  il  consumo  di  profumerìe  liquide  nello  scorso  anno 
raggiunse  la  cifra  di  un  milione  di  chilogrammi,  e  quello  di  pomate  ed 
essenze  800.000  chilogrammi,  senza  tener  conto  delle  enormi  quantità  di 
saponi  profumati  e  di  acque  per  toilette,  delle  quali  non  si  hanno  dati  pre- 
cisi, sebbane  si  sappia  con  certezza  che  il  consumo  fu  ingentissimo. 

Se  si  pensa  clie  la  Francia  esporta  annualmente  per  dodici  milioni  di 
lire  di  profumi  naturali,  e  la  Germania  per  otto  milioni  ed  un  quarto,  non 
ò  possibile  che  da  noi  l'industria  della  coltivazione  dei  fiori  per  la  fabbri- 
cazione dei  profumi  non  possa  prosperare.  La  casa  Schimmel  di  Miltiz,  presso 
Lipsia,  coltiva  da  10  anni,  su  35  ettari  di  terreno,  la  rosa  damascena  rossa, 
coltivata  anche  a  Kasanlik,  e  produce  in  media  260.000  chilogr.  di  fiori,  che 
danno  100  dbilogr.  di  essenza  assai  apprezzata.  Questa  casa  ha,  sul  luogo 
della  coltivazione,  un  impianto  colossale  per  l'estrazione  della  essenza,  tecni- 
camente perfettissimo.  Ora,  anche  nella  regione  litorale  dell'Italia  dovrebbe 
essere  possibile  la  coltivazione  dei  fiori  odorosi  in  genere,  ed  in  modo  spe- 


l/lNDUSTRIA    CHIMICA    IN    ITALIA    NEL    CINQUANTENNIO  27 

ciale  quella  delle  rose  di  Bulgaria  ;  e  vi  potrebbero  essere  impiantati  degli 
stabilimenti  informati  agli  stessi  criterii  tecnici  seguiti  dalla  su  nominata 
Casa  tedesca  e  dagli  industriali  di  Grasse,  Cannes  e  Nizza.  Tale  iniziatira 
dovrebbe  essere  incoraggiata  dall'esempio  di  Grasse,  ove  più  di  15.000  per- 
sone sono  stabilmente  occupate  in  tale  industria  che  produce  per  molti  mi- 
lioni di  lire  di  profumeria.  Né  dovrà  spaventare  il  dubbio  che  1  profumi 
sintetici  possano  un  giorno  o  l'altro  con  la  loro  concorrenza  economica  ab- 
battere l'industria  dei  profumi  naturali;  perchè  accadrà  quanto  si  è  avverato 
per  la  seta  naturale  e  la  artificiale:  vale  a  dire,  che  un  prodotto  non  esclude 
l'altro;  anzi,  qualche  volta  aumenta  il  consumo  del  naturale. 

La  Germania  produce  per  un  milione  di  marchi  di  vaniglia  artificiale, 
ed  a  tutta  prima  sembrava  che  la  produzione  della  vaniglia  naturale  dovesse 
essere  abbandonata;  invece,  Tanno  scorsovi  si  importarono  45.000  chilogr. 
di  baccelli  di  vaniglia  che  furono  totalmente  consumati  dalla  Germania 
stessa:  consumo  non  mai  raggiunto,  anche  prima  della  preparazione  artificiale 
del  prodotto. 

Olii  grassi.  —  L'industria  degli  olii  e  dei  grassi  nel  nostro  paese, 
benché  la  materia  prima,  ad  eccezione  delFolio  di  oliva,  venga  per  la  maggior 
parte  importata,  fece  notevoli  progressi  nello  scorso  cinquantennio.  Questo, 
vale  tanto  per  la  preparazione  dei  grassi  come  tali,  quanto  per  la  loro  lavo- 
razione e  trasformazione  in  altri  prodotti.  Non  pochi  stabilimenti  hanno 
decuplicato  la  loro  produzione;  molti  nuovi  ne  furono  impiantati,  introducen- 
dovi man  mano  tutti  quei  miglioramenti  che  sono  suggeriti  dalla  tecnica 
moderna.  Nell'industria  olearia  il  primo  posto  spetta  naturalmente  alla 
produzione  dell*  olio  dì  olivo,  che  costituisce  uno  dei  più  importanti  prodotti 
del  suolo  italiano.  Il  numero  dei  frantoj,  da  qualche  anno,  é  notevolmente 
aumentato,  ed  oggi  se  ne  contano  oltre  18.000,  di  cui  relativamente  assai 
pochi  son  mossi  ancora  da  forza  animale  e  sono  rimasti  di  modello  vecchio. 
Qna  gran  parte  invece  funziona  mediante  forza  idraulica  ;  altri  sono  a  vapore, 
altri  usano  l'energia  elettrica  od  i  motori  a  gas  povero. 

Fra  questi  ultimi  ve  ne  sono  di  assai  importanti,  specialmente  in  To- 
scana, nelle  Puglie  e  qualcuno  anche  nelle  Galabrie.  La  preparazione  del 
così  detto  olio  al  solfuro^  che  si  ottiene  per  estrazione  delle  sanse  mediante 
solventi  diversi  (solfuro  di  carbonio,  benzina  di  petrolio,  ecc.),  ha  pure  avuto 
in  questi  ultimi  anni  un  notevole  sviluppo;  ed  oggi  si  contano  oltre  50  olei- 
ficii  che  lavorano  in  questo  senso.  L' olio  al  solfuro  ha  la  sua  principale  uti- 
lizzazione nell'industria  dei  saponi.  1  tentativi  di  sostituire  il  solfuro  di 
carbonio  col  tetracloruro  di  carbonio  o  con  la  cosiddetta  trielina,  altro  solvente 
clorurato,  non  hanno  dato  risultati  favorevoli  accertati. 

Stearina,  saponi,  glicerina.  —  Per  industria  chimica 'dei  grassi  si 
intende  specialmente  la  lavorazione  dei   medesimi  per  la   produzione  delle 


28  GUGLIELMO    KOERNER 


candele  steariche,  dei  saponi,  della  glicerina:  la  quale  lavorazione,  nei  gran- 
diosi nostri  opifici  moderni,  viene  generalmente  preceduta  dalla  preparazione 
dei  grassi  di  origine  vegetale  da  semi  esotici,  mentre  i  grassi  animali  per 
la  maggior  parte  si  introducono  sotto  forma  di  sego. 

L' impiego  del  sego  per  le  candele  ò  di  uso  assai  antico,  ed  ognuno  co- 
nosce anche  i  difetti  di  questo  mezzo  di  illuminazione:  parimenti,  fin  da 
epoca  remota  si  trasformavano  i  grassi  in  sapone,  facendoli  bollire  con  lisci- 
via potassica,  sino  a  soluzione,  e  precipitando  con  cloruro  sodico  il  sapone 
dmu  Nel  1825  i  celebri  chimici  francesi  GayLussac  e  Chevreul,  assieme 
con  rindnstriale  Cambacères,  presero  un  brevetto,  secondo  il  quale,  dal  sapone 
potassico,  preparato  nel  modo  or  ora  indicato,  si  mettono  in  libertà  gli  acidi 
contenutivi,  e,  di  questi,  i  meno  facilmente  fusibili  si  impiegano  per  la  fab- 
bricazione delle  candele  (steariche),  mentre  quelli  a  punto  di  fusione  più 
basso  si  ritrasformano  in  sapone.  Si  ottennero  in  tal  modo  due  prodotti  assai 
superiori,  per  qualità,  a  quelli  fin  allora  avuti,  e  si  realizzò  il  concetto  di 
usare  una  materia  prima  nel  modo  più  razionale,  impiegandone  ogni  compo- 
nente per  fabbricare  il  prodotto  al  quale  meglio  si  adatta.  Da  quel  tempo 
r  industria  ha  fatto,  specialmente  per  opera  dell'  industriale  Millej,  molti  e 
svariati  progressi.  In  Italia,  nel  1860  era  ancora  assai  usata  la  candela  di 
sego,  quantunque  in  quell'epoca  esistessero  già  alcune  fabbriche  di  candele 
steariche  :  fabbriche  che  possedevano  soltanto  mezzi  rudimentali.  Oggi  ab- 
biamo una  serie  di  grandiosi  stabilimenti,  che  lavorano  i  grassi  in  modo 
razionale,  destinando  la  parte  migliore  di  essi,  debitamente  purificata,  alla 
alimentazione  (margarina);  e  trasformando  il  resto,  secondo  le  sue  speciali 
attitudini,  o  in  candele  od  in  sapone  ;  ricavando  nello  stesso  tempo  Y  altro 
componente  dei  grassi,  la  glicerina,  di  cui  una  parte  relativamente  piccola  (^) 
viene  purificata  da  noi  in  appositi  stabilimenti,  mentre  il  grosso  si  esporta. 

Il  Liebig,  nella  undicesima  delle  sue  lettere  chimiche,  parlando  dei  sa- 
poni, così  si  esprimeva: 

«  La  quantità  di  sapone  consumato  è  la  misura  del  benessere  e  della 
cultura  dei  vari  Stati.  Gli  economisti  certamente  non  vorranno  riconoscere 
al  sapone  questo  merito  ;  ma  si  prenda  la  cosa  per  burla  o  sul  serio,  questo 
è  certo,  che,  confrontando  il  consumo  di  sapone  di  due  Stati,  uguali  per  nu- 
mero di  abitanti,  il  più  ricco  e  progredito  è  quello  che  ne  consuma  di  più  ; 
inquantochè  la  vendita  ed  il  consumo  di  questo  prodotto  non  dipende  nò  dalla 
moda  nò  dal  gusto,  ma  soltanto  dal  sentimento  del  bello,  del  benessere,  del 
piacere  che  deriva  dalla  pulizia.  Ove  questo  sentimento  ò  ben  sviluppato  ed 
ò  in  grande  considerazione,  ivi  si  trovano  agiatezza  e  cultura  associate.  I  ricchi 
del  Medioevo,  che  usavano  con  essenze  e  profumerie  costose  soffocare  l'odore 

ingrato  che  esalava  dalla  loro  pelle  e  dai  loro  vestiti,  che  mai  venivano  a 

« 

C)  Nel  1909  si  propararono  2800  quintali  di  glicerina  distillata. 


l'industria   chimica    in    ITALIA   NEL    CINQUANTENNIO  ^ 

contatto  col  sapone,  usavano  nei  cibi  e  nelle  bevande,  nei  vestiti,  nei  cavalli,  ecc., 
un  lusso  assai  maggiore  del  nostro  ;  ma  quanta  distanza  li  separa  da  noi,  che 
consideriamo  sudiciume  e  immondezza  come  sinonimi  di  calamità  e  miseria  ! 

«  Il  sapone  appartiene  a  quella  categoria  di  prodotti,  il  valore  dei  quali 
sparisce  continuamente  dalla  circolazione  e  deve  essere  sempre  rinnovato  :  esso  è 
uno  di  quei  prodotti  deir  industria,  che  dopo  Tuso,  al  pari  del  sego  e  deirolio 
che  si  abbruciano  per  1*  illuminazione,  perde  ogni  suo  valore.  Con  vetro  rotto 
si  possono  acquistare  lastre  nuove  :  con  cenci  si  possono  ottenere  vestiti  nuovi  ; 
ma  r  acqua  di  sapone  non  si  può  mettere  un'  altra  volta  in  commercio.  Si  è 
tentato,  è  vero,  in  alcune  grandi  lavanderie,  di  raccogliere  l'acqua  di  sapone, 
di  separarne  gli  acidi  grassi  mediante  l'aggiunta  di  acido  solforico,  e  di  im- 
piegare questi,  dopo  un  prolungato  riscaldamento  inteso  a  liberarli  dalle  impu- 
rità frammiste,  a  produrre  saponi  di  qualità  inferiore;  ma  anche  se  si  riescisse  ad 
ottenere  così  ottimi  prodotti,  la  quantità  di  sapone  ricuperata  resterebbe  sempre 
minima  rispetto  a  quella  già  consumata,  ed  il  processo,  economicamente,  non 
sarebbe  conveniente  «. 

Il  nostro  paese  ha  un'  industria  saponiera  assai  ben  sviluppata  e  fiorente, 
tale  che  la  sua  produzione  non  solo  basta  al  nostro  consumo,  ma  conduce 
anche  all'esportazione  di  quantità  notevoli  di  certi  tipi  di  sapone.  Questo 
non  esclude  che  alcune  qualità  di  saponi  profumati  per  toilette^  a  causa  della 
moda,  più  che  per  la  reale  superiorità  del  prodotto,  vengano  importate  in 
quantità  abbastanza  notevole. 

Fra  grandi  e  piccole  fabbriche  di  saponi,  se  ne  contano  oggi,  in  Italia, 
circa  800;  le  quali  nell'anno  1905  produssero  complessivamente  1.500.000 
quintali  di  saponi  diversi,  di  cui  si  esportarono  30.650  quintali  per  un  va- 
lore di  2  milioni  di  lire,  oltre  a  1400  quintali  di  saponi  profumati,  del  valore 
di  280.000  lire.  L'industria  è  in  continuo  aumento,  e  si  raggiunse  nel  1908 
una  esportazione  di  quintali  61.817. 

Da  alcuni  anni,  per  iniziativa  dei  proprietaii  delle  fabbriche  saponifere, 
è  stata  istituita  presso  il  Politecnico  di  Milano  una  Scuola  per  le  industrie 
delle  materie  grasse,  dotata  di  laboratoil  scientifici  e  tecnici  per  lo  studio 
di  questa  industria  e  per  la  formazione  di  un  competente  ed  idoneo  personale 
tecnico,  così  dirigente  come  subalterno.  Questa  istituzione  dovrà  certamente 
arrecare  grande  giovamento  all'  industria  saponiera,  e  ne  favorirà  il  progresso. 

La  carta.  —  L' Italia  fu  uno  dei  primi  paesi  europei  che  esercit-arono 
r  industria  della  carta  fabbricata  dai  cenci.  Le  cartiere  di  Fabriano  lavora- 
vano fin  dal  dodicesimo  secolo,  ed  oggi  ancora  mantengono  la  secolare  fama 
per  la  carta  a  mano.  Da  questo  paese  si  diramarono  tutti  gli  artefici  che  in 
breve  diffusero  tale  industria  nelle  altre  regioni. 

Quantunque  la  scoperta  della  stampa  avesse  già  dato  notevole  impulso 
al  consumo  della  carta,  pur  tuttavia  nel  nostro  paese  l'industria  di  questa 
non  raggiunse  un  grande  sviluppo  se  non  dopo  \  unità  d*  Italia. 


30  GDGLIELMO   KOERNKU 


Iq  questi  ultimi  tempi  la  produzione  raggiunse  due  milioui  di  quintali 
annui,  dei  quali,  centocinquantamila  vengono  esportati.  Si  deve  peraltro  ricor- 
dare, ad  onore  dei  nostri  industriali  di  questo  ramo,  che  tutti  i  miglioramenti 
apportati  dalla  chimica  e  dalla  meccanica  furono  accuratamente  seguiti,  co- 
sicché oggi,  a  provare  quanto  cammino  si  sia  tecnicamente  fatto,  stanno  i  pro- 
dotti che  escono  da  queste  nostre  fabbriche,  i  quali  possono  gareggiare,  per 
bontà  e  perfesione,  con  tutti  quelli  delle  altre  nazioni.  Coltivandosi  nel  nostro 
paese  grandi  quantità  di  canape  e  di  lino,  finché  la  carta  veniva  preparata 
dai  cenci,  1*  Italia  aveva  a  sua  disposizione  la  materia  prima  in  abbondanza; 
ma  in  seguito,  il  consumo  sempre  crescente  di  essa,  fece  sì  che  tale  materia 
prima  non  bastasse  più.  e  la  chimica  suggerì  allora  Tuso  del  legno  ridotto 
in  pasta,  indicando  a  tale  scopo  il  pioppo  e  l'abete,  che  oggi  forniscono  la  ma- 
teria prima  per  la  produzione  della  massima  parte  della  carta  comune  con- 
sumata. Nasce  da  ciò,  come  conseguenza,  che  la  fabbricazione  della  carta 
è  strettamente  collegata  con  la  coltura  forestale:  anzi,  da  questa  direttamente 
dipende.  Purtroppo  oggi  il  disboscamento  e  il  consumo  poco  razionale  della 
legna  fan  sì,  che  il  nostro  paese  debba  essere  tributario  al  Testerò  per  la  ma- 
teria prima.  Se  però  Tesempio  dato  da  alcuni  valorosi  industriali,  che  con 
saggia  previdenza  si  dedicarono  alla  coltura  razionale  del  pioppo,  sarà,  come 
è  sperabile,  seguito  anche  da  altri,  il  nostro  paese  avrà  fatto  un  gi-ande 
passo  verso  la  sua  autonomia  in  questa  industria. 

Seta  artìflciale.  —  Anche  altre  applicazioni  della  cellulosa  furono  in- 
trodotte con  successo  in  Italia.  Fra  le  principali  va  ricordata  la  fabbrica- 
zione della  seta  artificiale.  Questa  fabbricazione,  intravista  dal  Réaumnr 
nel  1784,  fu  realizzata  solo  nel  1785  dallo  Cliardonnet,  il  quale  riusi  a  pro- 
durre della  seta  artificiale  per  mezzo  del  collodio  ;  e  superate  le  maggiori  diffi- 
coltà inerenti  al  metodo,  —  tra  le  quali  difficoltà  va  notata  quella  di  poter  to- 
gliere al  prodotto  la  facilità  di  incendiarsi,  —  nel  1900  incominciò  la  fabbrica- 
zione in  grande  di  questo  prodotto,  e,  cinque  anni  dopo,  soi-sero  in  Italia  le  prime 
fabbriche.  L'inizio  della  loro  vita  fu  assai  difficile;  il  dazio  aperto,  il 
maggior  costo  della  materia  prima  da  noi,  costituirono  condizioni  molto  bur- 
rascose per  la  loro  prosperità;  ora  però  T industria  si  sostiene.  Noi  contiamo 
in  Italia  tre  fabbriche  (Pavia.  Padova,  Venaria  Beale):  esse  producevano 
giornalmente,  nello  scorso  anno,  dai  quattrocento  ai  cinquecento  chilogrammi 
di  seta  al  giorno. 

Il  consumo  di  questo  prodotto  in  Italia  è  oggi  di  200.000  chilogrammi; 
esso  va  continuamente  aumentando.  Nel  nostro  paese  la  seta  artificiale  si 
tinge  anche  in  modo  perfetto;  cosicché  si  importa  della  seta  artificiale  bianca 
che  da  noi  viene  tinta  ed  ulteriormente  lavorata.  La  lotta  tra  la  seta  arti- 
ficiale ed  il  prodotto  naturale  é  oggi  al  suo  inizio  ;  né  è  prevedibile  in  quali 
limiti  r  una  sarà  vittoriosa  sull'altra. 


L  INDUSTRIA    CHIMICA    IN    ITALIA    NEL    CINQUANTENNIO 


31 


La  seta  artificiale  oggi  si  è  affermata  nell*  industria  di  alcuni  tessuti, 
che  prima  erano  di  esclusivo  dominio  della  seta  naturale  :  ma  siamo  tuttavia 
assai  lontani  da  un  temibile  sconvolgimento  agricolo-industriale  ;  e  la  clas- 
sica industria  italiana  non  ha  molto  da  temere  dal  nuovo  prodotto  chimico. 
Questo,  anzi,  servirà  a  migliorare  il  prodotto  naturale,  poiché  indurrà  i  pro- 
duttori di  seta  a  non  impiegare  piii  quelle  esorbitanti  cariche  di  composti 
metallici,  che  tolgono  al  prodotto  ogni  suo  pregio. 

Forse  un  giorno  la  seta  artificiale,  pel  suo  basso  prezzo,  diventerà  di 
uso  comune  ed  a  tutti  accessibile  ;  la  naturale  rimarrà  un  prodotto  fine,  ari- 
stocratico e  assai  ricercato. 

Coir  industria  della  seta  artificiale  ha  grande  attinenza  la  fabbricazione 
del  collodio,  che  costituisce  la  materia  prima  di  una  qualità  della  seta  ar- 
tificiale stessa,  come  pure  della  celluloide  e  delle  pellicole  cinematografiche. 
Anzi  in  Italia,  e  propriamente  a  Padova,  troviamo  Tesempio  di  una  fabbrica 
di  seta  artificiale,  che,  per  la  sua  potenzialità  troppo  grande  e  superiore  ai 
bisogni  deirattuale  sua  produzione,  ha  ceduto  una  parte  dello  stabilimento 
ad  una  società  romana  per  la  fabbricazione  delle  pellicole  cinematografiche. 

Anche  la  trasformazione  del  cotone  in  cotone  fulminante  per  esplosivi  si 
eseguisce  su  vastissima  scala,  specialmente  nei  due  grandi  stabilimenti  di 
Avigliana  e  di  Vìllafranca. 

Un'altra  applicazione  utile  della  cellulosa  si  ha  neir  industria  del  cuoio 
artificiale,  detto  pegamoide,  che  in  Italia  si  produce  su  vasta  scala  e  con 
molto  successo. 

Vanto  però  dell*  Italia,  fin  dai  tempi  più  antichi,  ed  ancor  oggi  di  gran- 
dissima importanza  commerciale,  è  Tindu^itria  del  vero  cuoio  e  delle  pelli 
conciate,  alla  quale  strettamente  si  collega  quella  degli  estratti  per  la  concia 
e  la  tintoria.  Le  circostanze  che  favorirono  lo  svolgersi  di  tale  industria  nel 
nostro  paese,  furono  la  quantità  delle  pelli  prodotte,  e  l'abbondanza  dei  ve- 
getali atti  ad  essere  usati  come  materie  concianti. 

Infatti,  fin  dal  1271  troviamo  in  Venezia  una  corporazione  di  concia- 
tori, retta  da  leggi  e  da  statuti  speciali,  e  godente  particolari  privilegii; 
ed  in  Firenze  la  corporazione  dei  tintori.  L'industria  del  cuojo  si  diffuse 
rapidamente  nelle  principali  città  di  Italia,  con  tanti  piccoli  stabilimenti. 
La  statistica  dimostra  una  notevole  diminuzione  nel  numero  degli  opifici,  in 
questi  ultimi  anni;  ma  fa  conoscere  che  il  numero  del  personale  lavorante 
e  la  forza  motrice  aumentarono  notevolmente.  Ciò  indica  un  reale  progresso 
nel  senso  industriale.  Infatti,  la  produzione  dei  cnoj  conciati,  che  nel  1868 
era  di  143,000  quintali,  nel  1900  era  già  salita  a  500,000  quintali,  per  un 
valore  di  350  milioni  di  lire. 

Le  pelli  italiane,  per  la  loro  ottima  qualità,  sono  quasi  totalmente  espor- 
tate, perchè  molto  ricercate  all'estero  ;  mentre  per  il  consumo  interno  noi 
lavoriamo  il  pellame  proveniente  dall'America  e  dalle  Indie,  dal  quale  si 
ottiene  nella  maggior  parte  un  prodotto  di  media  qualità. 


32  GUGLIELMO   KOERNER 


Estratti  concianti.  —  In  questo  ultimo  yentennio  V  industria  della 
concia  ha  subito  un  radicale  cambiamento,  dovuto  air  impiego  degli  estratti 
concianti.  La  fabbricazione  di  tali  estratti  è  un'industria  tutta  moderna  e 
ha  già  raggiunto  uno  sviluppo  tanto  esteso  che  non  solo  essa  basta  al  nostro 
paese,  ma  è  anche  arrivata  ad  esportare  una  grande  quantità  dei  suoi 
prodotti. 

Le  proprietà  concianti  deirestratto  dì  castagno  ei*ano  state  s^nalate 
fino  dal  1818,  e  da  principio  venivano  applicate  solo  come  sussidiarie  alla 
tintura  in  nero  della  seta;  ma  in  seguito,  a  cau^:a  della  carica  eccessiva  che 
esso  impartiva  al  filo,  fu  quasi  del  tutto  abbandonato.  Fu  solo  verso  il  1890 
che  la  fabbricazione  degli  estratti  da  concia  venne  ripresa  in  modo  razio- 
nale: e  cosi  la  quantità  dei  prodotti,  che  nel  1895  rappresentava  un  valore 
di  132,000  lire,  salì,  in  un  decennio,  a  circa  4  milioni  di  lire.  É  doveroso 
però  far  notare  che  Y  impulso  maggiore  a  questa  industria  fu  dato  dal  pro- 
cesso di  concia  rapida,  brevettato,  dei  fratelli  Durio  di  Torino  ;  processo  che 
peimette  di  ottenere  in  pochi  giorni,  ciò  che  prima  richiedeva  un  anno  e 
più.  La  pratica  attuazione  di  questo  metodo  fu  soprattutto  facilitata  mediante 
i  perfezionamenti  portati  nella  fabbricazione  degli  estratti  tannanti  stessi, 
per  merito  specialmente  della  casa  italiana  Lepetit,  Dolfus  e  C.^ 

Per  la  produzione  di  questi  estratti  si  usano  principalmente  le  piante 
di  castagno,  di  quercia,  di  qnebraco  e  di  sommaco. 

Il  sommaco  è  una  pianta  speciale  dell*  Italia  Meridionale,  e  del  suo 
prodotto,  di  gran  valore,  si  fa  una  larga  esportazione  che  rappresenta  pa- 
recchi milioni  di  lìrd;  però,  la  quantità,  che  oggi  si  consuma,  di  questo  pro- 
dotto, accenna  a  diminuire  in  causa  dell*  uso  del  nuovo  processo  di  concia, 
detta  al  cromo. 

In  Italia  si  fabbricano  estratti  anche  per  la  concia  al  cromo,  e  per  il 
processo  di  concia  e  tintura  simultanee;  e  di  questi  prodotti  si  fa  una  grande 
esportazione.  Anche  notevoli  quantità  di  estratti  coloranti  vengono  preparati 
nel  nostro  paese;  antichissima  è  tale  industria,  e  tutti  sanno  che  fin  dal 
secolo  decimo  quarto  con  la  robbia  siciliana  e  coll'oricella  di  Firenze  si  otte- 
nevano colori  assai  rinomati.  Oggi  però,  dopo  un  periodo  di  grandissima  at- 
tività, tale  industria  dovette  soccombere,  dopo  che  la  chimica  riuscì  a  pre- 
parare, sinteticamente  ed  a  prezzi  assai  piii  convenienti,  i  principii  coloranti 
della  robbia,  partendo  dal  catrame  di  carbon  fossile.  Cosicché,  mentre  la 
tintura  eseguita  col  processo  antico  —  servendosi,  cioè,  delle  radici  della 
robbia,  —  doveva  esser  fatta  da  mani  espertissime,  e  costituiva  una  vera  arte, 
oggi,  coi  colori  sintetici,  non  solo  si  ottengono  colla  massima  facilità,  e  da 
chiunque,  tutte  le  gamme  di  colori  possibili,  ma  anche  si  può  riprodurre 
una  data  tinta  quante  volte  occorre:  il  che  era  difiìcilìssimo  nel  passato. 

Se  neir  industria  della  produzione  diretta  dei  colori,  l' Italia,  per  ra- 
gioni  tecniche  ed  economiche,  non  assurse  a  grande  importanza,  in  quella 


l'industria   chimica   in    ITALIA   NEL   OINQUANTBNNIO  ^ 

degli  estratti  coloranti  invece  il  nostro  paese  fece  grandi  progressi  ;  cosicché 
oggi  i  nostri  estratti  sono  molto  apprezzati  sui  mercati  mondiali.  Le  indu- 
strie che  maggiormente  consumano  materie  coloranti,  sono  le  tintorie  e  le 
stamperie.  Dijficile  riesce  Tapprezzare  e  il  calcolare  quale  sia  il  movimento 
industriale  in  questo  ramo,  poiché  gli  industriali,  alle  nostre  più  discrete 
domande,  mantennero  il  più  rigoroso  silenzio.  Oggi  vi  sono  circa  cento  sta- 
bilimenti che  tingono,  venticinque  che  stampano;  fra  i  quali,  alcuni  hanno 
preso  grandioso  sviluppo,  sia  nel  senso  economico,  sia  nel  tecnico,  come  p.  e. 
la  stamperia  De  Angelis  a  Milano,  quella  Schuepfer  e  Wenner  a  Sca- 
fati ecc. 

La  stamperia,  che  un  tempo  si  eseguiva  solo  a  mano,  cominciò  a  ser- 
virsi delle  perrotine  verso  il  1873,  ed  ancora  oggi  ne  &  uso  in  numero  di 
circa  45  per  alcuni  tipi  di  stampati.  Si  introdussero  in  seguito  le  macchine 
a  cilindri,  che  oggi  salgono  a  circa  110.  Ora  la  stamperia  da  noi  ha  rag- 
giunto un  grande  sviluppo  e,  per  certi  suoi  prodotti,  ha  conquistato  in|breve 
tempo  molti  dei  più  importanti  mercati  esteri. 

Vetri  artistici.  —  Un'arte,  più  che  unlndustria,  di  cui  T Italia  van- 
tava da  tempo  antichissimo  una  rinomanza  indiscussa,  pari  a  quella  che 
ebbe  per  la  tintm*a  colla  robbia  e  con  Toricella,  é  costituita  dalla  fabbrica- 
zione dei  vetri  artistici.  Quest'arte  ora  é  divenuta  una  vera  industria;  e  seb- 
bene il  nostro  paese  non  possa  competere  con  le  altre  nazioni  per  certi  tipi 
speciali  di  vetri,  come  ad  esempio  (quelli  per  specchi  e  quelli  per  uso  chi- 
mico ecc.,  pur  tuttavia  si  può  annoverare  fra  le  prime  per  le  vetrerie  ar- 
tistiche, di  cui  abbiamo  un  secolare  esempio  nella  fabbrica  di  Murano  presso 
Venezia.  Solo  in  questi  ultimi  tempi  T  Italia  incominciò  anche  la  lavora- 
zione di  certi  vetri  di  uso  comune,  che  un  tempo  erano  totalmente  impor- 
tati; per  esempio:  i  vetri  da  finestra,  e  parte  di  quelli  di  uso  domestico  ed 
anche  dei  cristalli  da  specchio.  Ciò  non  ostante,  la  importazione  di  questi  oggetti 
é  solo  di  poco  diminuita  :  essa  perdura  tuttora,  ed  in  misura  assai  rilevante. 

Unitamente  alVantica  rinomanza  pei  suoi  vetri,  Tltalia  ha  sempre  avuto 
anche  quella  per  le  maioliche  artistiche  e  di  uso  comune;  della  grande  im- 
portanza di  questa  produzione  fanno  fede  i  numerosi  stabilimenti  che  pro- 
sperano e  si  trovano  in  continuo  aumento  dal  1860  in  poi,  anche  perché  le 
porcellane,  per  ragioni  non  ben  precisate,  forse  per  la  mancanca  di  caolino, 
0  per  il  caro  prezzo  del  combustibile,  non  potendo  sostenere  la  concorrenza 
con  quelle  estere,  vengono  in  gran  parte  sostituite  con  la  majolica  fina  negli 
oggetti  di  usi  comuni. 

Cementi.  ^  Sino  al  1853  eravamo  tributar!  air  estero  per  le  calci 
idrauliche,  quantunque  possedessimo  il  materiale  primo  eccellente  per  renderci 
indipendenti  da  questa  onerosa  importazione.  Solo  con  le  molteplici  costruzioni 

Guglielmo  Koi^rmer.  —  L'industria  chimica  ecc.  3 


34  GUGLIELMO   KOERNBR 


ferroviarie  neiritalia  centrale,  si  incominciarono  ad  aprire  le  prime  fabbriche. 
Il  buon  risultato  ottenuto  fu  di  incoraggiamento  alla  installazione  di  nuovi  opi- 
fici ed  alla  ricerca  del  materiale  necessario.  Però  la  grande  ricerca  di  marne 
calcari  fece  salire  notevolmente  i  prezzi  di  questa  materia  prima,  e  T  industria 
subì  un  notevole  ristagno,  finché  nel  1876,  nel  Casalese,  si  scoperse  che  le 
marne  più  argillose,  debitamente  trattate,  potevano  fornire  dei  cementi  eccel- 
lenti. Da  allora  incominciò  un  nuovo  periodo  floridissimo,  sì  che  la  produ- 
zione bastò  al  bisogno  interno.  La  produzione,  che  nel  1890  era  di  100.000 
tonnellate,  salì  fino  a  600.000,  quantità  prodotta  neirultimo  anno;  ed  il  con- 
sumo è  in  continuo  aumento. 

Prodotti  chimici  diversi.  —  Nel  1860  non  esisteva  ancora  una  vera 
industria  chimica;  bastarono  allora  ai  bisogni  dei  nostri  industriali  tre  fab- 
briche di  acido  solforico,  situate  a  Torino,  Milano  e  Palermo,  delle  quali 
le  due  prime  preparavano  inoltre  acido  cloridrico  e  nitrico,  solfato  di  soda, 
ferrugine  e  sali  di  alluminio  per  tintorie.  Vi  si  ricristallizzava  il  carbonato 
sodico,  e  si  iniziò  anche  la  produzione  del  vetro  solubile  per  saponerie.  Oltre 
a  ciò,  alcuni  laboratorii  farmaceutici  si  occupavano  della  preparazione  dei  pro- 
dotti galenici  e  di  estratti  diversi. 

Il  farmacista  Carlo  Erba,  per  il  primo  si  servì  di  estrattori  ad  azione 
continua,  ed  introdusse  da  noi  la  concentrazione  nel  vuoto,  specialmente  per 
la  produzione  del  suo  estratto  di  tamarindo.  Questo  industriale,  attivissimo, 
pieno  di  iniziativa,  e  dotato  di  grande  competenza  tecnica,  si  accinse  a  pre- 
parare anche  altri  prodotti  su  grande  scala,  come  mannite,  per  es.,  e  zucchero 
di  latte,  ecc.,  per  V esportazione;  e  soprattutto  numerose  e  svariate  specialità 
farmaceutiche,  che  forniva  a  quasi  tutte  le  farmacie  del  Regno  non  solo,  ma 
anche  a  non  poche  di  altri  paesi,  ed  in  ispecial  modo  delle  due  Americhe. 
Dair estensione  raggiunta  nella  vendita  di  questi  prodotti,  derivò  per  il  chimico 
milanese  la  necessità  di  ampliare  i  suoi  primitivi  stabilimenti;  non  solo, 
ma  di  trasformare,  nello  stesso  tempo,  gli  impianti,  nel  senso  più  moderno 
e  razionale,  e  di  introdurre  tutti  i  nuovi  mezzi  per  la  migliore  lavorazione 
dei  prodotti.  E  così  diede  ai  suoi  stabilimenti  il  vero  carattere  industriale, 
ed  oggi  prepara  prodotti  chimici  e  galenici  di  ogni  genere,  come,  ad  es.,  re- 
agenti purissimi  per  uso  scientifico,  sali  di  magnesio,  anidride  carbonica  li- 
quida, acido  solforico  purissimo  dal  zolfo  in  apposito  stabilimento,  gli  acidi 
cloridrico  e  nitrico,  il  lattico  ed  i  lattati  per  l'esportazione,  estratti,  pastiglie 
ed  olii   e  saponi  d*  uso  medicinale,  jodoformio,  joduri  e  bromuri,  ecc.  ecc. 

L'  Erba  ebbe  presto  altri  imitatori  negli  stabilimenti  impiantati  in  di- 
verse parti  della  Penisola,  fra  i  quali  sono  degni  di  speciale  menzione  quelli 
del  grossista  Imbert  a  Napoli;  quello  della  Società  Lombardo- Napoletana 
di  prodotti  farmaceutici  pure  a  Napoli;  di  C.  Pegna  e  tìgli  a  Firenze; 
quello  dell'  Istituto  Nazionale  di  prodotti  chimici  e  galenici  a  Roma,  ecc. 


l'industria    chimica    in    ITALIA    NEL   CINQUANTENNIO  35 

Oltre  a  questi  stabilimenti,  che  in  origine  ebbero  più  o  meno  per  iscopo 
la  produzione  di  sostanze  per  uso  terapeutico,  sorsero  in  quest'ultimo  de- 
cennio  non  poche  fabbriche  in  cui  si  producono  le  più  svariate  sostanze  ri- 
chieste dalle  arti  e  dalle  industrie.  Cosi  vediamo  in  attività  fabbriche  di 
cromati;  di  ferrocianuri  fatti  dai  residui  della  depurazione  del  gas  illumi- 
nante;  di  colori  minerali;  di  acido  acetico  preparato  dall'acetato  calcico 
greggio  importato  dalVAmerica;  di  solfiti  diversi  e  di  iposolfito  sodico;  e 
dei  molti  altri  prodotti  necessari!  alla  fotografia.  In  fine  meritano  menzione 
speciale  le  molte  e  svariate  fabbriche  di  profumeria  e  di  oggetti  per  l' igiene, 
le  quali  neirultimo  ventennio  hanno  preso  grandioso  sviluppo. 

Gomma  elastica.  —  L' industria  della  gomma  elastica  è  una  vera 
conquista  tecnica  ed  economica  del  nostro  paese  ;  col  sorgere  di  questa  in- 
dustria, r  Italia  si  è  resa  completamente  indipendente  dall'estero,  afferman- 
dosi gloriosamente  nel  mondo  intero  per  V  incontrastata  superiorità  di  alcuni 
suoi  prodotti. 

L'industria  della  gomma  elastica  consiste  in  una  serie  di  trattamenti 
e  di  processi  chimici,  ai  quali  si  sottopone  un  prodotto  vegetale,  il  «  caout- 
ciouc»,  contenuto  allo  stato  emulsivo  in  piante  di  paesi  esotici.  Tale  indu- 
stria si  sviluppò  da  principio  in  Inghilterra,  poi  in  Francia  e  in  Austria. 
In  Italia,  il  primo  stabilimento  sorse  nel  1872  sotto  la  ragione  0.  B.  Pirelli 
e  C,  ed  ebbe  per  suo  scopo  principale  la  produzione  dei  più  semplici  e 
correnti  articoli  di  gomma  elastica.  Nella  fabbrica  trovavano  allora  impiego 
poche  diecine  di  operai  soltanto;  e  questo  modesto  inizio  doveva  preludiare  al 
grande  e  meraviglioso  sviluppo  raggiunto  attualmente.  La  sua  attività,  di  anno 
in  anno,  si  estese  alla  lavorazione  di  nuovi  prodotti;  e  nel  1880  la  ditta  si  accinse 
anche  alla  lavorazione  dei  cavi  per  condutture  elettriche,  ed  a  quella  della 
guttaperca.  Nel  1882  iniziò  la  produzione  del  filo  elastico,  che  è  un  pro- 
dotto delicatissimo,  del  quale  in  quell'epoca  non  esistevano  altre  fabbriche 
in  Europa.  Così  pure  nel  1886,  prima  fra  le  fabbriche  continentali,  la 
ditta  Pirelli  iniziò  l'industria  dei  cavi  telegrafici  sottomarini,  per  la  posa 
e  prova  dei  quali  fece  costruire  la  nave  telegrafica  «  Città  di  Milano  «^ .  E 
mentre  la  gomma  elastica  estende  le  sue  applicazioni  e  si  rende  indispen- 
sabile in  ogni  specie  di  industria,  nell'igiene,  nella  chirurgia,  negli  usi  do- 
mestici, negli  sports,  ecc.,  la  Casa  milanese  dedica  la  sua  attività  subito 
e  con  ogni  sua  cura  a  questi  nuovi  rami  d'industria,  istituendo  per  ogni 
ramo  uffici  ed  impianti  speciali  porgli  studi  e  le  ricerche  di  carattere  scien- 
tifico, per  Tesame  chimico  delle  materie  prime  e  degli  ingredienti,  e  per 
lo  studio  dei  requisiti  fisici  e  meccanici  dei  prodotti.    ' 

Ma  dove  il  nome  della  Ditta  milanese  si  è  affermato  in  modo  mera- 
viglioso, è  nella  costruzione  dei  cavi  per  il  trasporto  dell'energia  elettrica. 
La  recente  teorìa  per  lo  studio  dei  cavi  elettrici  destinati  al  trasporto  del- 


36  GUOLIELMO    KOERNBR   -    L^INDUSTRIA   CHIMICA   IN   ITALIA   BCC. 

Tenergia  a  tensioni  elevatissime,  dovuta  air  ingegnere  E.  Jona,  capo  elettri- 
cista della  ditta  Pirelli,  permise  di  esperimentare  sii  cavi  alla  tensione 
enorme  di  150,000  volts.  Venne  così  risolto  in  un  modo  ingegnosissimo  un 
problema  di  straordinaria  importanza,  prima  giudicato  di  impossibile  attua- 
zione pratica. 

Esorbita  dal  nostro  campo  l'enumerare  qui  tutte  le  altre  geniali  appli- 
cazioni della  Casa  milanese;  applicazioni  tecniche  e  scientifiche  che  porta- 
rono grandissimi  vantaggi  alla  scienza  ed  all' industria. 

La  storia  di  questa  industria,  che  assurse  ad  una  importanza  grandis- 
sima fra  quelle  delle  altre  industrie  italiane,  dà  anche  la  più  evidente  di- 
mostrazione di  quello  che  io  asserii  fin  da  principio. 

Non  esìstevano  ragioni  speciali  per  le  quali  l'Italia  dovesse  essere  scelta 
come  paese  più  adatto  di  un  altro  per  una  simile  industria.  Il  prezzo  piut- 
tosto elevato  del  combustibile  e  dei  solventi  :  la  materia  prima  non  più  fa- 
cilmente accessibile  di  quello  che  non  lo  fosse  in  altri  paesi:  il  consumo 
interno  del  prodotto  lavorato,  almeno  all'inizio  dell'industria,  piccolo  e  di 
poco  conto,  lasciavano  tutt'al  più  prevedere  un  avvenire  piuttosto  modesto 
per  la  nostra  industria.  La  perfetta  conoscenza  tecnica  dell'articolo,  insieme 
con  una  direzione  amministrativa  accortissima  e  forte,  la  quale  seppe  adat- 
tarsi agli  eventi,  nei  bruschi  periodi  che  questa  industria  dovette  pur  troppo 
attraversare,  limitando  a  tempo  opportuno  le  spese  e  diminuendo  il  perso- 
nale, condusse  la  Casa  milanese  a  quell'importanza  e  perfezione  oggi  rag- 
giunta. 

Dalla  rapida  rassegna,  che  abbiamo  fatto,  delle  industrie  chimiche 
italiane,  appare  adunque  che  il  nostro  Paese  in  questi  ultimi  cinqnant'anni 
fece  dei  progressi  notevoli  ;  e  se  si  pensa  che  tali  progressi  andarono  affer- 
mandosi ed  accentuandosi  specialmente  in  questo  ultimo  decennio,  non  sem- 
brerà temerario  l'affermare  che  il  nostro  Paese  in  breve  volger  di  anni  potrà 
in  questo  ramo  dell'industria,  come  negli  altri,  competere  colle  maggiori 
nazioni  europee. 

Guglielmo  Kobrner 

Direttore  dalla  K.  Scuola  Supcriore  di  Àgricoltara  ecc. 


LA  CARTA  GEOLOGICA  D'ITALIA 


Alla  data  della  costituzione  del  nuovo  Regno  d'Italia  le  conoscenze  sulla 
struttura  geologica  del  nostro  Paese,  abbastanza  avanzate  per  poche  parti 
di  questo  —  dove,  sia  per  iniziativa  dei  governanti  sia  per  gli  stud!  di  sin- 
goli scienziati  italiani  e  stranieri,  già  si  possedevano  elementi  più  o  meno 
completi  —  si  dovevano  considerare  per  la  massima  parte  della  Penisola 
come  assolutamente  inadeguate  in  confronto  di  quelle  che  altri  paesi,  prima 
del  nostro  sOrti  alla  unità  e  alla  indipendenza  e  costituiti  in  nazione,  già 
da  lunghi  anni  conseguivano  per  i  rispettivi  territori. 

Così,  per  esempio,  già  fin  dal  1816  l'Inghilterra  possedeva  una  carta 
geologica  generale  in  piccola  scala,  e  fin  dal  1837  il  Governo  inglese  aveva, 
per  iniziativa  e  proposta  del  geologo  De  la  Bòche,  iniziato  studi  geolo- 
gici e  rilevamenti  regolari  del  territorio,  che  si  facevano  procedere  di  pari 
passo  con  quelli  topografici,  sotto  un'unica  direzione.  Inoltre  si  era  istituito 
un  «  Museo  di  geologia  economica  « ,  il  cui  nome  fu  poi  cambiato  in  quello 
di  «  Museum  of  Practical  Q-eology  » ,  annettendovi  un  laboratorio  di  saggi 
chimici  e  dei  corsi  speciali  di  metallurgia  e  di  chimica:  ciò  che  formò  il 
primo  nucleo  della  ora  fiorentissima  School  of  Mines  in  Jermyn  Street.  Nel 
1845  poi,  il  rilevamento  della  carta  geologica  fu,  con  atto  del  Parlamento, 
riconosciuto  come  istituzione  autonoma;  e  gli  stanziamenti  di  fondi  occorrenti 
per  lo  svolgimento  della  sua  missione,  i  quali  fino  a  quella  data  non  supe- 
ravano le  lire  50,000  annue,  furono  di  anno  in  anno  aumentati  in  modo  che 
già  nel  1861,  quando,  come  si  dirà  meglio  in  seguito,  il  Sella  ebbe  a  visi- 
tare ristituto  del  Geological  Survey,  la  spesa  annua  per  la  Carta  geologica 
e  per  la  Scuola  delle  Miniere  raggiungeva  le  lire  425,000,  oltre  a  circa 
100,000,  pure  annue,  per  la  stampa  delle  carte:  e  nel  1881  la  spesa  annua 
già  si  avvicinava  al  milione,  attorno  alla  quale  cifra  essa  si  mantiene  anche 
attualmente. 

In  Austria,  dove  fino  al  1844  non  esisteva  alcuna  istituzione  geologica, 
Teniva  pubblicata  nel  1847  da  Haidinger  una  prima  carta   geologica   som- 

Li'ioi  Baldacoi.  —  La  Carta  geologica  tTItalia.  1 


LUIGI   BALDACCI 


maria  deirimpero,  e  frattanto,  per  opera  di  privati  geologi  largamente  sus- 
sidiati dalle  accademie  scientifiche,  si  andavano  pubblicando  importanti  carte 
e  monografie  geologiche  ed  industriali,  riguardanti  specialmente  i  distretti 
più  ricchi  di  giacimenti  minerari.  Sulla  fine  del  1849  venne  istituita  la 
K.  E.  Geologische  Reichsanstalt,  istituto  destinato  alla  formazione  e  pubbli- 
cazione della  Carta  Geologica  dell'Impero,  con  una  dotazione  annua  dapprima 
modesta,  quantunque  gl'impianti  dei  laboratori  e  musei  venissero  fatti  con 
molta  larghezza,  e  la  quale  raggiunge  ora  circa  lire  140,000  air  anno. 

In  Prussia,  già  sin  dal  1856  era  in  gran  parte  pubblicata  la  carta  geo- 
logica in  35  fogli,  alla  scala  di  1 :  80,000,  delle  Provincie  Benane  e  di 
Westfalia,  rilevate  per  ordine  del  governo  da  S.  Dechen,  capitano  generale 
delle  Miniere,  residente  a  Bonn,  con  la  collaborazione  di  altri  ufSciali  del 
suo  Corpo  ;  tale  carta  presentava  un  grandissimo  interesse,  poiché  conteneva 
la  figurazione  geologica  dei  bacini  carboniferi  della  Buhr,  della  Sarre  e 
dell'Alta  Slesia. 

Contemporaneamente,  per  opera  di  liberi  studiosi,  si  compievano  studt  e 
rilevamenti  geologici  nel  Thnringer  Wald,  nello  Harz  e  nella  Germania  del 
Nord,  e  si  costituiva  la  benemerita  Società  Geologica  (Deutsche  geologische 
Gesellschaft)  con  Tìntendimento  d'imprimere  una  maggiore  unità  a  tutti  i 
lavori,  che  si  compievano,  con  metodi  l'uno  dall'altro  diversif  in  varie  parti 
del  territorio  tedesco. 

Dimostrata  con  questi  primi  tentativi  la  utilità  che  alla  prosperità  del 
paese  poteva  pervenire  dalla  cognizione  della  sua  struttura  geologica,  sor- 
sero rapidamente  in  Germania  l'Istituto  Geologico  Prussiano  (E.  Geologische 
Beichsanstalt),  quello  della  Sassonia,  quello  della  Baviera,  quelli  del  Wur- 
temberg,  del  Baden  ecc.,  tutti  dotati,  dai  loro  governi,  di  considerevoli  e 
talvolta  monumentali  impianti,  e  di  larghi  mezzi  di  studio.  A  questi  gran- 
diosi Istituti  si  devono  le  bellissime  carte  geologiche  a  1 :  25,000,  ed  a 
1 :  50,000,  di  quelli  Stati.' 

Fra  le  nazioni  che  assai  presto,  riconosciuta  la  utilità  degli  studi  geo- 
logici, istituirono  dei  servizi  di  Stato  bene  organizzati  per  il  rilevament<^ 
della  Carta  geologica,  vanno  ricordate  la  Baviera,  la  Francia,  e  non  ultima 
la  Spagna,  dove  fin  dal  1849  il  governo  rivolgeva  il  pensiero  alla  formazione 
della  Carta  geologica  con  la  nomina  di  una  apposita  commissione,  e  più  tardi 
(1873)  con  decreto  costitutivo  affidava  la  parte  principale  del  lavoro  per  la 
carta  geologica,  sia  della  Spagna  che  delle  sue  grandi  colonie,  a  quel  Corpo 
delle  Miniere. 

In  questi  brevissimi  cenni,  tratti  in  riassunto  da  un  importante  e  dili- 
gentissimo  lavoro  del  compianto  F.  Giordano  ('),  non  si  volle  ora  che  ram- 

(')  Cenni  suW  organiuoMione  e  sui  lavori  degli  hiituti  geologici  esistenti  nei 
varii  paesi,  per  F.  Giordano,  Ispettore  nel  R.  Corpo  delle  Miniere.  Roma,  1881. 


LA   CARTA   GBOLOGICA   d'iTALIA 


montare  i  governi  che  per  i  primi  indirizzarono  i  lavori  per  la  carta  geologica 
a  una  esecuzione  sistematica,  sotto  la  responsabilità  del  governo  stesso;  ma 
in  seguito  occorrerà  anche  dare  un  succinto  resoconto  di  quanto  altri  Stati 
fanno  ora  in  proposito,  ed  alcuni  di  essi  con  mezzi  veramente  grandiosi. 

Non  è  qui  il  caso  di  dimostrare  quali  e  quante  applicazioni  una  buona 
carta  geologica  in  scala  sufficientemente  gitinde  e  rilevata  con  unità  di  con- 
cetti e  con  uniformità  di  metodi,  possa  arrecare  per  la  economia  di  uno 
Stato.  Basti  dire  che  tutti  i  grandi  problemi  interessanti  lo  sviluppo  di 
un  paese,  da  quelli  del  più  alto  ordine  scientifico  sino  ai  più  umili,  pos- 
sono trovare,  nella  profonda  e  sicura  conoscenza  della  struttura  del  terri- 
torio nazionale,  elementi  essenziali  o  indiretti  per  la  loro  soluzione. 

Così,  per  esempio,  tutti  oramai  conoscono  quali  intime  relazioni  esi- 
stano fra  la  struttura  geologica,  la  composizione  dei  suoi  terreni  e  la  mor- 
fologia di  un  paese;  le  grandi  questioni  di  idrologia  sotterranea  e  di  bo- 
nificamento dei  terreni  sono  inaccessibili  a  chi  non  possiede  elementi  sicuri 
sulla  costituzione  geologica  dei  vari  bacini  idrografici  e  idrologici  :  le  grandi 
comunicazioni,  sia  di  ferrovie  che  di  vie  ordinarie,  hanno  bisogno,  per  riuscire 
convenientemente  e  con  sicurezza  e  stabilità  organizzate,  che  i  loro  tracciati 
siano  giudiziosamente  scelti,  tenendo  conto  della  maggiore  o  minore  solidità 
dei  terreni,  della  abbondanza  o  scarsità  dei  materiali  da  costruzione,  e  di 
tanti  altri  elementi  che  solo  possono  venire  forniti  da  una  buona  carta  geo- 
logica. E  per  il  nostro  paese  purtroppo  si  ebbe  più  volte  a  rimpiangere  ama- 
ramente il  fatto  che  non  venne  data  in  simili  casi  alcuna  importanza  a  tali 
studi,  e  che  molte  vie  di  grande  comunicazione,  non  solo  ferroviarie,  ma 
anche  semplicemente  carreggiabili,  ebbero  a  costare  enormemente  più  del  pre- 
visto, appunto  per  la  ignoranza  delle  condizioni  geologiche.  Eppure,  fra  i  paesi 
per  i  quali  la  necessità  di  molteplici  vie  di  comunicazione  è  più  sentita  e 
maggiore  la  difficoltà  della  loro  costruzione,  tiene  certamente  uno  dei  primi 
posti  il  nostro,  con  la  sua  singolare  conformazione  geografica  allungata  per 
più  di  1000  chilometri  fra  due  mari,  con  una  catena  montuosa  dorsale  che, 
distaccandosi  dalla  barriera  alpina,  lo  divide  in  due  sino  all'estrema  Calabria  ; 
e  il  nostro  Paese,  è  purtroppo,  anche  fra  quelli  per  i  quali  la  sicura  cono- 
scenza della  struttura  geologica  riesce,  in  questo  caso,  tanto  più  indispensa- 
bile, in  quanto  che  nella  composizione  del  suo  suolo  predominano  ovunque  i 
terreni  di  indole  malfida  e  franosa. 

È  poi  perfettamente  noto  quante  applicazioni  lo  studio  geologico  possa 
trovare  nelle  questioni  riguardanti  i  giacimenti  di  materie  utili,  quali  i  me- 
talli, le  pietre  da  costruzione,  i  combustibili  fossili,  i  metalloidi  ecc. 

Nò  si  deve  dimenticare,  quanto  la  conoscenza  della  struttura  geologica 
del  territorio  possa  concorrere  ad  alleviare  le  conseguenze  dei  dolorosi 
fenomeni  sismici,   che   con    frequenza   così  disastrosa   funestano   la  nostra 


LUIGI   BALDACGI 


patria.  Lo  studio  accurato  di  tutti  gli  ultimi  luttuosi  terremoti,  dai  quali 
nobilissime  Provincie  e  città  italiane  furono  devastate  e  distrutte  in  Sicilia 
e  in  Calabria,  provò  sino  all'evidenza  la  intima  connessione  fra  la  natura  del 
suolo  e  la  stabilità  dei  sovrastanti  abitati,  e  la  necessità  che  i  fabbricati  desti- 
nati ad  abitazioni  e  alle  altre  umane  contingenze  vengano  stabiliti  su  terreni 
rocciosi,  solidi  e  compatti,  traverso  i  quali  le  onde  sismiche  si  trasmettono 
in  modo  assai  più  regolare  che  non  nei  terreni  clastici  e  frammentari,  in  modo 
che,  per  la  stessa  intensità  di  scossa,  gli  effetti  rovinosi  sono  assai  meno 
sensibili  per  i  fabbricati  fondati  su  solidi  terreni.  Cosi,  la  questione  della  mi- 
gliore ubicazione  per  riedificare  gli  abitati  distrutti,  e  dei  migliori  metodi 
per  questa  ricostruzione,  è  puramente  una  questione  geologico-edilizia,  poiché, 
senza  dubbiò,  le  cause  di  quei  fenomeni  sono  tino  ad  ora  assai  oscure,  e  la 
scienza  non  può  attualmente  che  constatare  e  coordinare  i  fatti  avvenuti, 
senza  che  neppure  lontanamente  si  intraveda  la  possibilità  di  addivenire  a 
la  formulazione  di  leggi  o  di  previsioni  almeno  approssimate. 

Ed  ora,  prima  di  procedere  ad  una  succinta  esposizione  storica  di  quanto 
operò  il  nostro  Governo  per  la  formazione  della  Carta  geologica  d^Italia,  credo 
utile  accennare  sommariamente  anche  alle  ragioni  per  le  quali  Tesperienza 
ha  oramai  luminosamente  dimostrato  la  necessità  che  il  rilevamento  della 
Carta  geologica  venga  fatto  sistematicamente,  sotto  gli  auspici  e  la  di- 
rezione dello  Stato. 

Per  lo  scienziato  che  ebbe  campo  di  addentrarsi  profondamente  nello  studio 
di  questioni  riguardanti  la  geologia,  sia  che,  indagando  la  successione  e  la  sti-ut- 
tnra  degli  avanzi  di  esseri  organizzati,  racchiusi  nei  vari  terreni,  egli  risolva  ardui 
problemi  di  cronologia  geologica,  sia  che  in  regioni  particolarmente  adatte 
agli  scelga  il  suo  campo  per  indagini  sulla  disposizione,  più  o  meno  com- 
plessa, dei  terreni  e  sul  loro  assetto  tectonico,  potrà  talvolta  sembrare  super- 
fluo che  i  fatti  che  la  scienza  gli  rivela  vengano  rappresentati  in  forma  gra- 
fica ed  accessibile,  su  una  carta  geologica  ;  e,  tuttavia,  questa  rappresentazione 
è  necessaria,  non  tanto  perchè  da  essa  possono  più  fìtcilmente  trarre  utili  insegna- 
menti per  la  pratica  applicazione  una  quantità  di  persone  non  profondamente  ad- 
dentrate nelle  questioni  puramente  scientifiche,  quanto  perchè  da  tal  rappresen- 
tazione, convenientemente  estesa,  si  possono  dedurre  importanti  conseguenze 
anche  di  alto  ordine  scientifico,  sulla  disposizione  generale  delle  varie  forma- 
zioni costituenti  una  data  regione. 

La  prima  base  di  ogni  indagine  geologica,  per  ciò  che  riguarda  i  ter- 
reni stratificati,  i  quali  costituiscono  la  più  gran  parte  del  nostro  Paese,  è 
senza  dubbio  data  dalla  stratigrafia  cronologica,  essa  stessa  fondata  sulla 
paleontologia.  Solo  con  quella  si  stabiliscono  le  esatte  successioni  dei  ter- 
reni costituenti  una  data  regione,  mentre,  dal  loro  canto,  la  petrografia,  la 
mineralogia  e  le  indagini  chimiche  sulle  roccie  e  sui  minerali,  ci  fanno  pe- 


LA    CARTA   GEOLOGICA   D'iTALIA 


netrare  sempre  pid  addentro  nella  conoscenza  dei  terreni  ;  ma,  contempora- 
neamente, il  coordinamento  e  la  sintesi  di  tutti  questi  dati  raccolti,  con  me- 
todo scientifico,  costante  ed  uniforme,  integra  Topera  dei  benemeriti  singoli 
scienziati  :  e  solo  quando  le  due  forme  di  indagine  —  cioè  quella  puramente 
scientifica  e  quella  avente  in  mira  la  utilizzazione  delle  risorse  provenienti 
dalla  costituzione  geologica,  presentati  allocchio  ed  alla  mente  sotto  forma 
di  una  chiara  carta  geologica  corredata  da  spaccati  dimostranti  la  succes- 
sione dei  terreni  e  la  loro  disposizione  tettonica  —  si  accompagnano,  la  cono- 
scenza geologica  di  una  regione  può  dirsi  completa.  Ora,  se  per  la  indagine 
di  pura  scienza  non  sono  strettamente  necessari  metodi  uniformi  e  sistema- 
tici, e  se  la  iniziativa  individuale  può  esplicarsi  nel  modo  che  più  è  con- 
facente air  abito  mentale  dello  studioso,  o  in  quello  che  egli  giudica  più 
atto  allo  scopo  da  raggiungere,  non  altrettanto  può  dirsi  per  la  carta  geo- 
logica in  grande  scala,  per  la  quale  i  requisiti  della  uniformità  di  metodo 
e  della  precisione,  sia  nel  rilevamento  del  terreno,  sia  nella  rappresentazione 
grafica  e  nelle  illustrazioni,  sono  essenziali.  Di  qui  nacque,  e  fu  sin  da  prin- 
cipio compreso,  il  principio  della  necessità  di  affidare  a  speciali  istituti,  retti 
da  leggi  e  regolamenti  appropriati,  forniti  di  mezzi  di  studio  e  di  personale 
presentante  adatte  disposizioni  e  grado  di  istruzione,  il  rilevamento  e  la 
pubblicazione  della  Carta  geologica  in  grande  scala,  di  uno  Stato. 

Tali  istituti  sono  quindi  da  ogni  paese  civile  considerati  come  parte 
int^rante  degli  ordinamenti  di  Stato,  e  sorretti  e  forniti  di  mezzi  più  o 
meno  larghi,  ma  sempre  importanti,  nelle  nazioni  più  progredite. 

Per  il  nostro  Paese,  il  concetto  di  rilevare  una  carta  geologica  gene- 
rale è  antico,  e  in  ima  delle  ultime  sedute  del  Congresso  degli  scienziati 
italiani,  riunito  a  Firenze  nel  1841,  fu  stabilito  di  formare  presso  il  Museo 
di  Fisica  e  Storia  naturale  di  Firenze  una  raccolta  geologica  e  mineralogica 
delle  vane  regioni  d*  Italia.  Le  roccie  di  questa  raccolta  avrebbero  dovuto 
essere  disposte  geograficamente  secondo  i  vari  compartimenti  geologici  nei 
quali  può  esser  divisa  Tltalia,  e  classificate  per  formazioni,  dalla  più  antica 
alla  più  moderna;  si  erano  stabilite  disposizioni  per  il  collocamento  dei  fos- 
sili e  dei  minerali,  e  si  raccomandava  ai  geologi  disposti  a  mandare  le  roccie 
in  dono,  di  accompagnarle  possibilmente  con  spaccati  geologici,  ed  anche 
con  carte  geologiche,  o  per  lo  meno  con  carte  topografiche  contenenti  le  in- 
dicazioni geologiche  principali,  e  di  avere  speciale  cura  di  mandare  i  fossili 
di  terreni  secondari  d'Italia,  la  cui  conoscenza  era,  e  con  ragione,  ritenuta 
di  grande  importanza,  ma,  sino  allora,  assai  poco  avanzata. 

Fu  in  tale  memorabile  occasione  nominata  una  Commissione  composta 
dei  chiari  geologi  Pareto,  Savi,  Sismonda  e  Pasini,  incaricata  di  formare  una 
tabella  indicante  i  compartimenti  geologici  in  cui  può  essere  diviso  il  suolo 
italiano,  e  le  particolari  raccolte  che  si  desideravano  per  la  collezione  geolo- 
gica generale  dell'Italia. 


LUIGI   BALDACCI 


Si  era  quindi  deliberato  di  stabilire  un  archivio  geologico,  aoa  colle- 
zione generale  italiana  ed  un  ufiBcio,  in  una  città  centrale,  presso  un  museo 
id  grande  rinomanza;  e  in  questi  concetti  era  veramente  contenuto  il  primo 
germe  della  carta  geologica  dltalia.  Ma  disgraziatamente,  dopo  un  prin- 
cipio di  attuazione^  non  si  trovò  mezzo  di  proseguire  nelle  raccolte  e  nel 
loro  ordinamento;  e  d'altra  parte  gli  avvenimenti  politici  incalzavano,  e  le 
menti  dei  governi  e  delle  popolazioni  si  volgevano  principalmente  a  pensieri 
e  ideali  assai  lontani  da  quelli  delie  sfere  serene  della  scienza  e  delle  sue 
applicazioni. 

11  Piemonte  fu  il  primo  Stato  italiano  nel  quale  fu  compiuta  una  carta 
geologica  di  massima  del  territorio:  fino  dal  31  ottobre  1846  Carlo  Alberto 
affidava  al  Sismonda  la  formazione  di  una  carta  di  massima  degli  Stati  di 
Terraferma,  e  tale  carta,  alla  scala  di  1 :  50,000,  fu  compiuta  e  pubblicata 
solo  ai  primi  del  1867. 

Per  opera  del  Lamarmora  la  Sardegna  ebbe  fin  dal  1857  la  bellissima 
carta  a  1 :  500,000,  rilevata  dal  Lamarmora  stesso  con  pochissimi  collabora- 
tori, ed  illustrata,  per  la  parte  paleontologica,  dal  Meneghini.  Cosi  la  carta 
come  Tottimo  testo  che  Taccompagna,  formano  tuttora  la  base  principale  delle 
nostre  cognizioni  sulla  struttura  geologica  della  grande  isola. 

Nelle  Provincie  del  Lombardo-Veneto,  ancora  soggette  alVÀustria,  fino 
dal  1856  il  v.  Hauer  e  il  v.  Zepharowich,  fojrmanti  una  sezione  dell'Isti- 
tuto geologico  imperiale  di  Vienna,  compievano  il  rilevamento  geologico 
della  Lombardia;  e  in  pari  tempo  veniva  ultimato,  sotto  la  direzione  del 
Foetterle,  quello  della  Venezia,  e  veniva  pubblicata  la  carta  geologica  ge- 
nerale del  Lombardo-Veneto  alla  scala  di  1  :  288,800,  in  quattro   fogli. 

Tali  lavori  furono  naturalmente  compiuti  con  Taiuto  e  col  materiale  con- 
corso degli  studiosi  delle  provincie  percorse,  ed  ebbero  notevole  influenza 
col  richiamare  sugli  studi  geologici  Tattenzione  dei  migliori  scienziati,  in 
modo  che  fu  costituita  in  Milano  una  Società  geologica,  la  quale  allargò 
più  tardi  il  suo  campo  di  studi  e  prese  il  nome,  oramai  glorioso,  di  So- 
cietà italiana  di  Scienze  naturali. 

Anche  in  Toscana,  per  merito  di  Igino  Cocchi,  si  era,  sino  dal  1857, 
progettata  la  costituzione  di  una  Società,  la  quale,  col  sussidio  del  Governo, 
prendesse  di  mira  il  compimento  di  una  carta  geologica;  ma,  come  bene 
osserva  il  Cocchi  stesso,  quegli  anni  non  erano  propizi  allo  svolgimento  di 
questi  utili  studi,  in  un  paese  che  pure  ne  era  stato  sempre  la  favorita 
dimora. 

Cos),  alla  data  della  costituzione  del  Begno  d'Italia,  solo  i  pochi  ten- 
tativi di  cui  fu  fatto  cenno,  e  alcuni  importanti  studi  regionali  —  come  quelli 
dello  Scarabelli  per  le  Boms^ne,  di  Savi  e  Meneghini  per  la  Toscana,  dei 
Qemmellaro  per  la  Sicilia,  del  Ponzi  per  la  Provincia  romana,  ed  altri 
non  numerosi  —  mantenevano  viva  la  nobile  idea,  e  maturavano  a  poco  a  poco 


LA   CARTA   GEOLOGICA    D'ITALIA 


il  concetto  di  metter  mano  ad  imo  studio   geologico   generale    della    Peni- 
sola, affidato  allo  Stato. 

AlVillustre  ing.  Felice  Giordano,  allora  Ispettore  delle  Miniere  degli 
antichi  Stati  Sardi,  spetta  il  principale  merito  di  aver  mosso,  nell'ottobre 
1860,  la  questione  della  Carta  geologica  del  Regno  con  una  lettera  al  Cor- 
dova, allora  ministro  di  agricoltura,  nella  quale  lettera  si  conteneva  la  pro- 
posta di  far  compilare  la  carta  stessa  dagli  ingegneri  del  Corpo  Beale  delle 
Miniere,  sotto  l'alta  sorveglianza  del  Consiglio  di  questo  nome. 

Nel  luglio  dell'anno  successivo,  Filippo  Cordova,  uomo  di  vaste  vedute, 
presentava  al  Se  una  elaborata  relazione,  e  sottoponeva  alla  firma  reale  un 
decreto  che  istituiva  una  Giunta  consultiva  per  stabilire  le  norme  per  la 
formazione  di  una  carta  geologica,  chiamando  a  farne  parte,  con  altro  decreto, 
parecchi  cultori  delle  scienze  geologiche  (Oi  o  incaricando  contemporaneamente 
il  marchese  Strozzi,  il  conte  A.  Spada  ed  il  prof.  Cocchi  di  riunirsi  in  Co- 
mitato, con  rincarico  speciale  di  provvedere  agli  atti  preparatori  della  sessione 
della  Giunta,  e  con  facoltà  di  fare  le  spese  occorrenti,  senza  altra  preventiva 
autorizzazione. 

Questo  può  veramente  dirsi  il  passo  decisivo  mosso  dal  nostro  Governo 
per  la  formazione  della  Carta  geologica;  ma  benché  già  il  grande  evento 
della  costituzione  del  nuovo  Begno  fosse  oramai  compiuto  e  stabilito  su  basi 
incrollabili,  la  nobile  iniziativa  del  Giordano  e  del  ministro  Cordova  non 
ebbe  per  allora  grande  sèguito,  e  ciò  principalmente  per  le  difficoltà  finan- 
ziarie^nelle  cui  strette  si  dibatteva  il  nuovo  Stato,  e  per  altri  avvenimenti 
politici,  i  quali  richiesero,  fino  a  vari  anni  dopo,  tutta  l'attenzione  e  tutte  le 
cure  dei  governanti. 

La  giunta  costituita  dal  Cordova  si  riunì  per  la  prima  volta  a  Fi- 
renze lo  stesso  giorno  della  inaugurazione  della  prima  Esposizione  Italiana, 
sotto  la  presidenza  del  Pareto,  e  tenne  poi  altre  adunanze,  sulle  quali  ri- 
ferì il  Capellini  in  data  28  settembre  1861.  Quella  relazione  accennava  alla 
necessità  di  provvedere  le  basi  topografiche  per  il  grande  lavoro,  e  consi- 
gliava la  costituzione  di  una  Sezione  geologica  del  Consiglio  delle  Miniere» 
per  affidarle  la  direzione  dei  lavori  di  rilevamento,  e  di  un  corpo  speciale 
di  geologi  operatori,  da  aggregarsi  agli  ingegneri  del  Corpo  delle  Miniere,  i 
quali  avrebbero  avuto  il  compito  di  eseguire  il  rilevamento  stesso. 

In  conseguenza  di  queste  proposte  della  Commissione  il  ministro  Cor- 
dova incaricò  Quintino  Sella,  che  allora  faceva  parte  del  B.  Corpo  delle  Mi- 


(*)  Ne  facevano  parte  gli  iilustri  scienziati:  Capellini,  Cocchi,  Costa,  Carioni,  La- 
marmora,  Doderlein,  Gastaldi,  Gemmellaro  Carlo,  Gemmellaro  Gaetano,  Meneghini,  Om- 
boni,  Orsini,  Pareto,  Ricci,  Savi,  Scacchi,  Scarabelli,  Sella,  Spada,  Sismonda,  Stoppani, 
Strozzi,  De  Vecchi. 


S  LUIQI   BALDAGCl 


niere,  di  visitare  la  Francia,  ringhilteri*a,  il  Belgio  e  la  Germania,  per  stu- 
diare la  prova  che  vi  facevano  i  vari  metodi  colà  tenuti  nella  formazione 
delle  carte  geologiche,  e  di  riconoscere  i  migliori  oi^anamenti  degli  istituti 
incaricati  di  tali  lavori  ;  e  il  Sella  adempiè  da  pari  suo  e  in  breve  tempo  il 
difficile  incarico,  e  presentò  subito  una  succinta  ma  esauriente  relazione,  la 
quale  venne  più  tardi  pubblicata  negli  Atti  della  Società  Italiana  di  Scienze 
Naturali  (voi.  lY,  Milano,  1862).  La  relazione  del  Sella  descrive  a  fondo 
gli  ordinamenti  governativi  per  la  Carta  Geologica  della  Francia,  deirin- 
ghilterra,  dell'Austria,  del  Belgio,  della  Germania  e  della  Svizzera,  e  fornisce 
qualche  cenno,  ricavato  da  lettere  personali  alFautore,  sugli  istituti  geologici 
del  Canada  e  degli  Stati  Uniti  d'America. 

Le  conclusioni  della  relazione  Sella  erano  di  grande  importanza;  egli 
cominciava  con  l'affermare,  che  dair esempio  delle  principali  nazioni  civili, 
dalla  unanime  opinione  di  eminenti  persone  da  lui  in  proposito  consultate,  e 
da  quel  giudizio  personale  che  della  cosa  si  era  formato,  riteneva  essere  utile 
all'Italia  che  si  fosse  data  mano  senza  indugio  alla  formazione  della  carta  geo- 
logica a  grande  scala.  Egli  non  nascondeva  che  la  impresa  sarebbe  riuscita 
costosa;  e,  valutando,  sui  dati  che  allora  si  possedevano,  la  superficie  del  nuovo 
Begno  a  815.000  km.  quadrati  e  a  L.  40  la  spesa  del  rilevamento  per  km*, 
prevedeva  una  spesa  di  12  milioni.  Tuttavia  egli  insisteva  affinchè  si  pro- 
cedesse al  grande  lavoro,  non  solo  per  i  numerosi  vantaggi  pratici  che  questo 
avrebbe  arrecati,  ma  anche  perchè  l'Italia,  la  quale  aspirava  a  prendere  fra 
le  nazioni  civili  quell'alto  posto  che  le  compete,  non  può  esimersi  dal  por- 
tare alle  scienze,  e  tra  queste  ad  una  delle  più  progressive,  cioè  alla  geo- 
logia, quel  contributo,  che  le  altre  nazioni  consorelle  le  danno. 

Il  Sella  faceva  rilevare  anche  la  urgenza  di  dare  sollecito  principio 
all'impresa,  non  già  perchè  presto  se  ne  potesse  vedere  il  fine,  ma  perchè  giu- 
stamente poneva  a  calcolo  il  tempo  necessario  a  formare  il  personale,  che 
doveva  essere  costituito  da  abili  rilevatori,  da  buoni  disegnatori,  da  chimici 
provetti  nelle  analisi  minerali,  ecc. 

Alla  acuta  mente  del  Sella  non  sfuggiva  inoltre  la  necessità  che  lo 
Stato  sin  dal  principio  avocasse  a  sé  la  formazione  della  Carta  Geologica 
in  grande  scala  ;  egli  aggiungeva,  poi,  che  si  potrebbe  forse  credere  alla  con- 
venienza di  mettere  insieme  i  vari  lavori  fatti  dai  geologi  italiani  e  inca- 
ricare qualcuno  di  completare  le  parti  su  cui  si  hanno  insufficienti  nozioni, 
in  guisa  da  pubblicare  una  carta  in  piccola  scala,  per  es.  a  1/500.000,  e 
lasciare  poscia  ad  ingegneri  mineralogici,  a  professori  od  a  cultori  pri- 
vati di  geologia,  la  cura  di  fare  in  maggior  scala  le  parti  concementi  le  re- 
gioni da  loro  abitate.  Tale  sarebbe  a  un  di  presso  il  sistema  francese,  ma 
il  Sella  credeva  che  i  risultati,  quantunque  ritenuti  ottimi  in  Francia  per  ciò 
che  riguardava  la  carta  in  piccola  scala  affidata  a  due  valenti  geologi,  non 
potessero  dirsi  soddisfacenti  per  le  carte  dipartimentali;  egli  anzi  riteneva 


LA   CARTA    GEOLOGICA    D  ITALIA 


che,  a  poco  a  poco,  si  dovesse  finire  per  rifar  tutto  il  lavoro.  Un'altra  ragione 
scientifica  confermava  poi  l'illustre  uomo  nel  suo  concetto,  in  contrasto  col 
sistema  francese,  ed  era  quella  che  solo  un  rilevamento  particolareggiato  po- 
teva fornire  la  chiave  di  molte  parti  della  geologia  italiana,  sulle  quali  fer- 
vevano vive  contestazioni,  e  che  offrivano  difScoltà  grandissime,  a  causa  della 
scarsità  di  fossili. 

Biguardo  al  concetto  che  il  Governo  conferisse  direttamente  rincarico 
della  carta  in  grande  scala  a  professori  o  ad  ingegneri  per  le  Provincie  da  essi 
abitate,  invece  di  addossare  al  Governo  stesso  un  personale  apposito,  il  Sella 
dimostrava  che  il  lavoro,  in  tal  guisa  condotto,  avrebbe  mancato  di  unità;  che 
vi  sarebbero  sempre  delle  difficoltà  per  la  colorazione  e  le  pubblicazioni  dei 
lavori  di  ciascun  geologo,  che  non  può  lasciare  ad  altri  la  sorveglianza  della 
stampa  delle  cose  sue;  finalmente  che,  mancando  un  intimo  contatto  fra  questi 
geologi,  i  fatti  dall'uno  osservati  non  potrebbero  servire  di  norma  e  di  luce 
airaltro.  Egli  concordava  quindi,  anche  per  altre  ragioni,  pienamente  nel  pen- 
siero della  Giunta,  che  cotesti  geologi  dovessero  attendere  esclusivamente  al 
rilevamento  geologico,  fossero  impiegati  dello  Stato,  e  che  venissero  aggregati 
al  Corpo  degli  Ingegneri  delle  Miniere. 

Il  Sella  aggiungeva  molti  utili  suggerimenti  alle  precedenti  considera- 
zioni, che  qui  si  vollero  espoiTe  alquanto  per  disteso  poiché  in  esse  è  conte- 
nuto il  germe  di  tutto  l'organamento  del  servizio  della  Carta  geologica,  or- 
ganamento che  talvolta  fu  preso  di  mira  e  combattuto  da  valenti  avversarli, 
la  maggior  parte  dei  quali  poi  non  potè  faie  a  meno  di  riconoscere  la  giustezza 
e  la  profondità  dei  concetti  proposti  dalla  Giunta,  e  dal  Sella  propugnati. 

Questi  insisteva  ira  l'altro  sulla  necessità  che  il  personale  fosse  giovane  e 
si  dovesse  formare  al  rilevamento  particolareggiato,  facendolo  impratichire, 
dopo  superati  i  corsi  di  una  Scuola  Superiore  delle  miniere,  come,  p.  es.,  quella 
di  Parigi,  per  un  anno  in  Inghilterra  coi  geologi  del  Geological  Survey  ;  discu- 
teva poi  e  combatteva,  sia  con  ragioni  proprie  che  con  argomenti  tratti  da  con- 
versazioni da  lui  avute  coi  più  eminenti  geologi  d'Europa,  la  proposta  della 
Giunta,  di  affidare  l'incarico  della  formazione  della  Carta  geologica  ad  una 
nuova  sezione  del  Consiglio  delle  Miniere,  nella  quale  fossero  chiamati  geologi, 
paleontologi,  mineralisti  e  chimici  di  vaglia,  e  che  dovesse  dar  norma  ai  rileva- 
tori, curare  la  pubblicazione  di  un  periodico,  la  formazione  di  una  biblioteca 
e  di  raccolte,  avendo  poi  sotto  i  suoi  ordini  un  direttore  amministrativo  per  la 
diramazione  ed  esecuzione  delle  sue  prescrizioni  ;  egli  sosteneva  invece  che  la 
direzione  della  Carta  dovesse  affidai'si  ad  una  sola  persona,  direttamente  respon- 
sabile, davanti  al  Ministro,  di  quanto  si  sarebbe  operato,  e  che  dal  solo  Ministro 
prendesse  ordini,  nello  stesso  modo  che  il  Ministro  deve  rispondere  di  ogni 
cosa  davanti  al  Parlamento,  e  conformarsi  alle  disposizioni  di  questo  solo. 
Ma,  e  qui  ancora  è  da  ammirare  la  profondità  di  concetti  e  la  preveggenza  di 
quell'uomo  eminente,  egli  trova  che  sarebbe  molto  importante,  oltre  ad  avere 


10  LUIGI    BALDACCl 


ima  unica  direzione  seguendo  l'esempio  degli  altri  paesi,  che  il  Ministro  chia- 
masse ogni  anno  attorno  a  sé  i  geologi  eminenti  delle  varie  provinole  del 
Begno,  dando  loro  qualità  di  membri  straordinari  del  Consiglio  delle  Mi- 
niere, e  facesse  esporre  davanti  ad  essi  tutti  i  lavori  fatti  durante  Tannata, 
sentisse  le  loro  osservazioni,  le  loro  proposte,  e  li  incaiicasse  dell'esame  di 
questioni  che  crederà  opportuno  di  affidar  loro. 

Abbiamo  così  ben  delineato  le  attribuzioni  dei  due  Corpi,  consultivo  Tuno, 
esecutivo  Taltro,  ai  quali  si  doveva  affidare  l'esecuzione  del  grande  lavoro;  ed 
è  precisamente  in  tal  modo  che,  come  si  vedrà  in  seguito,  fu,  dopo  qualche 
prova  basata  su  concetti  alquanto  diversi,  instituito  il  servizio  della  nostra 
Carta  geologica  in  grande  scala. 

La  relazione  Sella  conteneva  in  ultimo  un  preventivo  particolareggiato 
delle  spese  e  uno  schema  di  decreto  per  la  istituzione  del  servizio  della  Carta 
geologica,  affidandone  la  esecuzione  al  Corpo  Reale  delle  Miniere  sotto  Talta 
sorveglianza  e  direzione  scientifica  di  un  Corpo  consultivo  costituito  dai  membri 
ordinarli  del  Consiglio  delle  Miniere  cui  il  Ministro  avrebbe  aggiunti  membri 
straordinari,  scelti  fra  i  geologi  eminenti  delle  varie  provincie  del  Regno.  La 
direzione  del  lavoro  doveva  affidarsi  ad  uno  degli  ispettori  delle  miniere. 

Il  Governo  accettava  interamente  le  proposte  del  Sella,  e  con  Decreto  del 
12  dicembre  1861  ordinava  la  formazione  della  Carta  geologica  del  Segno 
d'Italia  alla  scala  di  1 :  50.000,  affidandone  l'esecuzione  al  Corpo  Reale  delle 
Miniere,  al  quale  venivano  aggiunti  alcuni  fra  i  più  chiari  geologi  delle  varie 
Provincie,  e  stabilendo  le  norme  e  il  personale  per  la  direzione  ed  esecuzione 
del  lavoro  :  ma  tale  Decreto  non  ebbe  nemmeno  un  principio  di  applicazione, 
poiché,  sia  che  la  spesa  sembrasse  eccessiva,  sia  per  altre  cause,  la  relativa 
somma  non  venne  stanziata  in  bilancio. 

Il  prof.  Cocchi,  che  trovavasi  nel  1862  a  Londra  come  commissario  spe- 
ciale in  quella  Esposizione  internazionale,  si  dette  a  studiare  questo  stesso 
argomento  ;  e  qualche  tempo  dopo  il  suo  ritorno  in  patria,  trovandosi  d'accordo 
coi  concetti  e  provvedimenti  proposti  dal  Sella,  prese  a  cuore  specialmente 
di  raccomandare  che  qualche  cosa  si  facesse,  adottando  un  temperamento,  fosse 
pur  temporario,  per  guadagnar  tempo  e  cammino.  Nella  Esposizione  di  Londra 
egli  aveva  notato  la  grande  deficienza  della  sezione  italiana  in  fatto  di  Carte 
e  collezioni  geologiche,  e  riteneva  che,  quantunque  fosse  certo  che  l'Italia  po- 
teva essere  molto  più  rappresentata,  tuttavia  non  si  sarebbe  avuto  ancor  tanto 
da  tenere  una  posizione  degna  di  noi.  La  lacuna  inoltre  non  si  palesava 
solamente  nell'assenza  di  Carte  manoscritte  o  stampate,  ma  nella  mancanza 
di  unità  di  concetto  in  quelle  che  si  sarebbero  potute  produrre,  tanto 
per  le  scale,  quanto  per  le  distinzioni  dei  terreni  e  altre  particolarità  geolo- 
giche ;  e  il  Cocchi  si  domandava,  ben  a  ragione,  per  quanto  tempo  ancora  si 
dovesse  aspettare  l'inizio  di  questa  opera  riconosciuta  importante  e  utilissima, 


LA   CARTA   GEOLOGICA   d'iTALIA  H 

e  se  le  sole  considerazioni  delle  ristrettezze  del  bilancio  nazionale  dovessero 
tenersi  in  calcolo  per  ritardarla  indefinitamente,  attendendo  l'epoca  (che  allora 
sembrava,  pur  troppo,  remota)  delle  migliori  condizioni  erariali  dello  Stato 
per  dar  principio  a  un  lavoro  pel  quale  l'on.  Cordova  aveva  dichiarato  che 
«  fra  le  materie  confidate  alle  cure  del  Ministero  di  Agricoltura,  Industria  e 
<i  Commercio,  non  ve  n*è  alcuna  che  non  faccia  sentire  il  difetto,  in  cui  siamo, 
«  dì  una  buona  Carta  geologica  « . 

Nessun  pratico  effetto  ebbe  un  Decreto  Beale  del  febbraio  1866,  col  quale 
si  istituiva  nel  Consiglio  delle  Miniere  una  sezione  geologica  composta  dì 
tre  membri  del  Consiglio  stesso,  la  quale  doveva  sorvegliare  i  lavori  che  si 
sai'ebbero  eseguiti  per  la  Carta  geologica  del  Segno.  La  Commissione  era 
composta  dei  consiglieii  Cocchi,  Meneghini  e  Scarabelli,  e  alle  spese  per  la 
Carta  geologica  si  provvedeva  con  la  somma  di  L.  4000  per  indennità  ai 
geologi  operatoli  del  B.  Corpo  delle  Miniere. 

Nel  novembre  1866  la  Commissione  Beale  per  la  Esposizione  di  Parigi 
esortava  il  Ministro  dell'agricoltni-a  a  provvedere  afSnchè  coi  lavori  esistenti 
si  compilasse  una  Carta  geologica  d^Italia  nella  più  grande  scala  possibile  e 
con  sufficiente  prontezza,  in  modo  che  essa  potesse  venir  esposta  nella  Mostra 
internazionale  del  1867.  L'incarico  della  compilazione  di  tale  Carta  fu  dal 
ministero  affidata  al  Cocchi,  il  quale,  nello  stesso  tempo,  venne  nominato  pre- 
sidente della  Commissione  geologica  suddetta. 

La  Commissione  ritenne  possibile  la  formazione  di  una  simile  Carta  di 
compilazione  e  deliberò  di  riunire,  sia  per  acquisto,  sia  per  richieste  da  farsi 
dal  Ministro  e  per  cura  del  Corpo  delle  Miniere,  tutti  i  materiali  editi  e 
inediti,  geologici  e  minerari.  Come  Carta  topografica  di  base  fu  adottata 
quella  dello  Stato  Maggiore  alla  scala  di  1/600.000  per  Tltalia  settentrio- 
nale e  centrale,  e  di  1/680.000  per  l'Italia  meridionale.  Sulla  Carta  stessa 
non  dovevano  rappresentarsi  che  le  grandi  divisioni  dei  terreni,  limitandosi  le 
tinte  a  nove  per  i  terreni  stratificati  e  a  tre  per  quelli  eruttivi.  Le  regioni 
per  le  quali  non  si  potevano  allora  raccogliere  elementi  attendibili,  dovevano 
lasciarsi  in  bianco. 

Alle  richieste  del  ministero  indirizzate  alle  Prefetture,  ai  Corpi  scien- 
tifici e  ai  privati,  corrisposero,  in  vario  modo,  circa  la  metà  di  questi;  ma 
molte  Prefetture  non  dettero  che  notizie  insignificanti,  e  dair assieme  di  quelle 
risposte  si  poteva  s^e'volmente  dedurre  che  gli  studi  geologici  in  molte  re- 
gioni della  penisola  erano  in  uno  stato  affatto  embrionale.  In  fatto  di  rileva- 
menti sistematici  e  particolareggiati  non  si  poteva  allora  far  conto  che  su 
quelli  del  Lombardo-Veneto,  già  citati.  Tuttavia,  con  assai  scarsi  elementi 
il  Cocchi  compilò  una  Carta  geologica  alla  scala  di  1/600.000,  nella  quale 
però  ritalia  meridionale  era  appena  rappresentata  per  una  minima  parte, 
cioè  per  le  Provincie  di  Napoli  e  Salerno  ;  e  la  Carta  fu  inviata  alla  Esposi- 
zione di  Parigi  del  1867,  insieme  con  una  succinta  descrizione.  Le  principali 


12  LUIGI   BALDACCI 


fonti  perla  compilazione  furono:  per  la  Liguria  e  Piemonte  la  Carta  geolo- 
gica del  Sismonda,  quella  del  Pareto,  quella  classica  del  Golfo  della  Spezia  del 
Capellini  e  la  Carta  inedita  delle  Alpi  Pennino,  in  grande  scala,  del  Gerlach  con 
gli  studi  del  Gastaldi  e  del  Sella;  per  le  Provincie  Lombarde  e  Venete  la 
Carta  dell'Istituto  geologico  austriaco;  per  la  Toscana  le  Carte  geologiche 
delle  Provincie  di  Pisa,  Grosseto  e  Siena,  del  Savi,  del  Meneghini  e  del  Cam- 
pani; per  le  Bomagne,  le  Marche  e  T Umbria,  le  Carte  dello  Scarabelli  e  del 
Ponzi,  una  del  De  Bonis  per  la  provincia  di  Ancona  ed  una  deirOrsini  per 
quella  di  Ascoli  ;  per  la  provincia  romana  la  Carta  del  Ponzi  :  per  quella  di 
Caserta  e  di  Napoli,  una  del  Tenore  ;  per  gli  Abruzzi  e  Molise  servirono  gli 
studi  dello  Spada  e  quelli  dell'Orsini,  oltre  a  pochi  manoscritti  che  si  pote- 
rono raccogliere.  Molte  osservazioni  personali  del  Cocchi  fornirono  a  questi  ma- 
teriale per  la  Toscana  e  per  una  parte  dell'Umbria,  dell'Emilia  e  della  Liguria. 
Per  risola  di  Sardegna  poi  fu  integralmente  utilizzato  il  magistrale  lavoro  del 
Lamarmora,  conservandone  la  serie  dei  terreni,  diversa  e  più  particolareggiata 
in  confronto  di  quella  adottata  pel  resto  della  Carta.  Era  interessante  for- 
nire alcuni  particolari  su  questa  Carta  d'insieme  del  nostro  paese,  poiché 
dopo  la  Carta  geologica  d'Italia  alla  scala  di  1/200,000  del  Collegno,  pub- 
blicata nel  1846,  essa  costituiva  il  primo  tentativo  del  genere.  Essa  segna^ 
per  l'ampiezza  della  scala,  pel  numero  delle  suddivisioni  dei  terreni  e  per 
la  maggior  copia  e  bontà  dei  lavori  che  le  servirono  di  base,  un  grande 
progresso,  per  quanto  incompleta. 

Disgraziatamente,  per  mancanza  di  fondi,  la  Carta  non  venne  pubblicata, 
e  ne  esistono  solo  due  copie  manoscritte,  una  presso  il  Ministero  di  agri- 
coltura e   l'altra  presso  il  prof.  Cocchi. 

Frattanto,  l'idea  della  formazione  della  Carta  geologica  era  mantenuta 
viva,  e  con  Decreto  del  15  dicembre  1867  venne  definitivamente  istituito 
un  Comitato  geologico,  costituendo  sotto  questo  nome  la  Sezione  geologica 
del  R.  Corpo  delle  Miniere,  e  gli  fu  affidato  l'incarico  ufficiale  di  compilare 
e  pubblicare  la  grande  Carta  geologica  del  Regno  d'Italia,  di  dirigere  i 
lavori,  raccogliere  e  conservare  i  materiali  e  i  documenti  relativi.  Così  ve- 
niva stabilito  il  principio  che  lo  Stato  deve  direttamente  provvedere  alia 
formazione  della  Carta  geologica  ;  e  in  pari  tempo  il  Decreto  disponeva  che 
il  Comitato  direttivo  fosse  corredato  di  quanto  era  necessario  per  renderne 
l'opera  libera  ed  efficace,  con  la  possibilità  di  allargare  anno  per  anno  la 
sua  sfera  d'azione  a  misura  dei  fondi  che  verrebbero  a  tale  uopo  accordati 
dal  Parlamento.  Rispetto  alla  dotazione,  il  Decreto  stabiliva  che,  fino  a 
quando  non  fosse  altrimenti  deliberato,  ai  compensi  ai  geologi  operatori  e 
alle  spese  per  acquisto  di  libri,  carte,  strumenti  ed  altro,  si  sarebbe  prov- 
veduto con  le  economie  sul  bilancio  del  R.  Corpo  delle  Miniere.  Presidente 
del  Comitato  geologico  fu  nominato  il  prof.  Cocchi. 


LA   CARTA   GEOLOGICA   D*ITALIA  13 

Una  delle  prime  cure  del  Comitato  —  composto  di  cinque  membri,  di  cui 
tre  del  Consiglio  delle  Miniere  —  fu  quella  di  compilare  il  proprio  Begola- 
mento,  che  venne  approvato  dal  Ministero  il  30  agosto  1868,  essendo  al- 
lora ministro  Ton.  Broglio.  In  questo  Regolamento  si  stabiliva: 

1)  Cbe  la  Carta  geologica  fosse  formata  e  pubblicata  nella  scala 
di  1/50.000  0  nella  scala  a  questa  più  prossima,  se  essa  mancasse;  e  che  la 
medesima  fosse  corredata  da  un  numero  sufiBciente  di  profili,  da  un  testo 
descrittivo  e  da  tutti  quei  dati,  disegni  e  tavole,  che  valessero  a  renderla 
più  completa. 

2)  Che  il  Comitato  potesse  disporre  di  un  fondo  annuo  sul  bilancio 
del  Ministero  di  agricoltura,  ed  avesse  a  sua  disposizione  un  locale  adatto 
presso  il  Dicastero  stesso,  nel  quale  collocare  Taichivio  geologico  che  il  Comi- 
tato medesimo  avrebbe  dovuto  formare,  una  biblioteca  speciale  ed  un  sufBciente 
corredo  di  strumenti  per  le  operazioni  di  camp^a. 

3)  Che  il  Comitato  elaborasse  anzi  tutto  una  scala  di  colori  e  segni 
convenzionali  da  servire  di  norma  nelle  sue  pubblicazioni. 

4)  Che  per  l'eseguimento  dei  suoi  lavori  il  Comitato,  oltre  all'opera 
gratuita  dei  suoi  membri,  potesse  valersi  di  quella  di  alcuni  geologi  operatori, 
da  retribuirsi  sul  fondo  speciale  di  cui  sopra,  e  nominati  dal  Ministero  in 
seguito  a  proposta  del  Comitato  stesso. 

5)  Che  un  nfSciale  del  Corpo  Reale  delle  Miniere  fosse  applicato  al' 
Comitato  in  qualità  di  segretario  e  conservatore  dell'archivio. 

6)  Che  fi*a  le  attribuzioni  del  presidente  vi  fosse  quella  di  convocare 
il  Comitato,  di  eseguirne  le  deliberazioni,  di  fare  le  comunicazioni  d'ufiScio  e 
di  provvedere  direttamente  alle  spese  necessarie  al  servizio. 

Come  disposizione  transitoria  era  poi  stabilito  che  il  Comitato,  per  ac- 
celerare il  lavoro,  potesse  accettare  e  pubblicare  quelle  parti  di  Carta  geo- 
logica che  già  fossero  state  eseguite  da  abili  operatori,  sottoponendo  però  a 
certe  norme  l'accettazione  e  la  pubblicazione  di  tali  lavori. 

Per  l'applicazione  del  Regolamento  il  Comitato  non  poteva  in  quell'anno 
disporre  che  di  una  somma  di  L.  4000  inscritta  nel  bilancio  del  Ministero 
sotto  il  titolo  di  indennità  per  geologi-operatori.  Con  mezzi  tanto  ristretti 
era  certo  ardua  cosa  iniziare  operazioni  di  qualche  entità;  tuttavia  il  Co- 
mitato, nelle  sue  adunanze  del  20  e  21  agosto  1868,  deliberava  di  valersi 
di  detta  somma  per  affrettare  il  compimento  di  alcuni  lavori  di  molta  impor- 
tanza che  si  trovavano  già  avviati  in  diverse  parti  del  Regno,  e  particolar- 
mente ai  due  estremi  e  nelle  regioni  centi*ali.  Questi  lavori  erano:  1)  Il 
rilevamento  geologico  della  zona  solfifera  della  Sicilia,  per  opera  dell'ingegnere 
Mottura  del  R.  Corpo  delle  Miniere;  2)  la  Carta  geologica  delle  Alpi 
Graie,  lavoro  già  incominciato  dal  Gastaldi;  3)  il  rilevamento  geologico 
dell'isola  d'Elba,  da  affidarsi  al  prof.  Cocchi. 

Il  lavoro  dell'ing.  Mottura  doveva  estendersi  a  tutta  la  regione  solfifera 
della  Sicilia,  avendo  per  base  la  Carta  topografica  dell'isola  alla   scala  di 


14  LUIGI   BALDACCI 


1/50.000,  allora  appena  compiuta  per  opera  dello  Stato  Maggiore;  e  nelle 
istruzioni  date  a  quel  valente  ingegnere-geologo  si  contenevano  norme  serie 
ed  utilissime  affinchè  quel  rilevamento,  oltre  a  raggiungere  lo  scopo  ultimo  di 
delimitare  esattamente  i  confini  geologici  e  di  stabilire  la  serie  dei  terreni 
per  quelle  regioni  geologicamente  quasi  incognite  nonostante  la  loro  grande 
impoi*tanza  industriale,  fosse  appoggiato  a  sicura  base  scientifica  :  esso  doveva 
dapprima  limitarsi  alle  formazioni  terziarie  e  post- terziarie,  poi  che  i  terreni 
piii  antichi  dovevano  essere  riservati  ad  altro  rilevamento  da  farsi  in  seguito. 
Alla  fine  del  1868  il  Mottnra  riprese  il  rilevamento  di  quella  importante 
regione,  e  vi  attese  poi  per  qualche  anno. 

Nel  promuovere  quei  lavori  il  Gomitato  non  intendeva  di  pregiudicare 
il  lavoro  regolare  da  intraprendersi  in  seguito;  fu  quello  un  provvedimento 
temporaneo,  preso  avanti  che  il  Comitato  stesso  fosse  in  grado  di  funzionare 
regolarmente:  e  produsse  senza  dubbio  qualche  buon  risultato. 

Finalmente,  nel  bilancio  del  1869  potè  venire  stanziata  una  somma 
assai  modesta  e  inferiore  a  quella  che  era  stata  richiesta,  cioè  12.000  lire, 
ed  essa  permise  al  Comitato  di  proseguire  nella  sua  opera.  Il  titolo  dello 
stanziamento,  approvato  dal  Parlamento  il  12  marzo  1869,  fu:  Sussidio  al 
Comitato  incaricato  degli  studii  preparatorii  per  la  Carta  geologica  del 
Regno, 

In  una  seduta  del  Comitato  del  giorno  29  giugno  1869  veniva  delibe- 
rata la  pubblicazione  delle  «  Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta 
Geologica  d*ltalia«,  ed  a  questo  scopo  fu  sull'esiguo  fondo  di  12,000  lire 
impegnata  la  somma  di  lire  6000  per  la  stampa  del  1*^  volume,  che  non  potè 
poi  pubblicarsi  che  nel  1871,  erogando  la  rimanente  somma  in  aumento  della 
Biblioteca  e  dell' Archivio  e  in  varie  spese  indispensabili.  Il  Comitato  ritenne 
a  ragione  cosa  utilissima  sotto  diversi  aspetti  di  iniziare  prontamente  una 
simile  pubblicazione,  la  quale,  oltre  a  dimostrare  l'entità  del  lavoro  fatto 
con  soavissimi  mezzi,  avrebbe  servito  a  mettere  il  Comitato  geologico  in 
più  diretta  e  corrente  relazione  con  quelli  dell'Estero,  mediante  lo  scambio 
dei  rispettivi  lavori. 

Come  primo  risultato  dei  rilevamenti  geologici  già  intrapresi  dal  Co* 
mitato,  venivano  pubblicate  in  questo  P  volume  una  Memoria  del  prof.  Ga- 
staldi, Sulla  geologia  delle  Alpi  Occidentali  (con  una  appendice  mineralo- 
gica del  prof.  Strùver  Sui  graniti  massicci  delle  Alpi  piemontesi  e  sui 
minerali  della  Valle  di  Lanzo),  una  monografia  dell'ing.  Mottura  Sulla  for- 
mazione ttrziaria  della  zona  solflfera  della  Sicilia^  e  la  Descrizione  geolo- 
gica delusola  d^Elba^  del  prof.  Cocchi;  il  volume  conteneva  inoltre  il  1^  fa- 
scicolo di  un  vasto  studio  Sulla  Malacologia  pliocenica  italiana^  del 
prof.  C.  D'Ancona,  al  quale  era  stata  affidata  la  descrixione  dei  molluschi 
fossili  terziarii  italiani,  lasciandogli  piena  libertà  di  condurre  il  lavoro  nel 


LA   CARTA   GEOLOGICA   D*ITALIA  15 

modo  che  a  lui  sembrasse  più  conveniente.  Fu  adottato,  per  la  pubblica* 
zione,  il  formato  in  4°,  con  carta  e  caratteri  analoghi  a  quelli  dei  Matériaux 
pour  la  Carte  géologique  de  la  Suisse^  pubblicati  per  cura  della  Commissione 
geologica  svizzera. 

NelFanno  stesso  fu  aperto  il  primo  concorso  per  alcuni  posti  di  geo- 
logi-operatori fra  i  giovani  ingegneri  laureati  in  una  delle  Scuole  di  appli- 
cazione del  Regno,  e  fra  i  concorrenti  ne  furono  scelti  due  come  geologi  e 
uno  come  aspirante.  Si  riconosceva  fin  d'allora  che  un  giovane  dotato  di 
buona  mente  e  di  forti  studi,  neiruscire  da  una  Scuola  d'applicazione  richiede 
almeno  due  anni  di  tirocinio,  ossia  di  studi  pratici  di  laboratorio  e  di  cam- 
pagna, per  poter  essere  impiegato  utilmente  come  geologo  operatore  ;  si  rico- 
nosceva anche  che  parecchie  nozioni  tecnico-minerarie  sono  necessarie  a  chi 
debba  lavorare  a  carte  geologiche  precise  ed  utili  anche  per  le  occorrenze  in- 
dustriali, ciò  che  portava  la  necessità  di  istruire  i  geologi  stessi  anche  nella 
chimica  industriale,  arte  mineraria  e  metallurgica.  Con  un  buon  numero  di 
giovani  così  istruiti  e  addestrati,  ben  guidati  da  qualche  geologo  provetto, 
il  Gomitato  nutriva  fiducia  di  vedere,  in  un  avvenire  non  molto  lontano,  com- 
piuta la  grande  opera,  feconda  di  vantaggi  economici,  degna  della  patria 
comune,  e  tale  da  non  temere  il  confronto  con  ciò  che  si  fa  presso  le  più 
colte  nazioni  del  mondo. 

Oltre  la  pubblicazione  delle  Memorie  di  cui  fu  parlato,  era  stata  altresì 
intrapresa  quella  di  un  periodico  mensile,  il  quale,  ad  esperienza  fatta,  fu  reso 
dapprima  bimensile;  fu  questo  il  Bollettino  del  R.  Comitato  geologico,  inteso 
a  dar  conoscenza  degli  atti  del  Comitato,  a  promuovere  Tavanzamento  della 
geologia  in  Italia  e  a  far  conoscere  all'Estero  1  nostri  progressi  in  quel 
campo.  Questo  periodico,  il  quale  giunge  ora  in  ogni  angolo  del  mondo 
civile,  e  del  quale  si  è  continuata  senza  interruzione  la  pubblicazione 
dal  1870  fino  ad  oggi,  rs^giungendo  ormai  41  volumi,  ha  grandemente  con- 
tribuito a  fare  conoscere  la  istituzione  del  Servizio  per  la  Carta  geolo- 
gica d'Italia,  ed  è  assai  apprezzato  e  ricercato  dagli  studiosi.  Il  Comitato 
deliberava  pure  che  nello  stesso  anno  1870  venisse  stampato  il  Catalogo 
dei  libri  e  delle  Carte  appartenenti  alla  istituzione,  e  che,  anno  per  anno, 
Telenco  si  tenesse  al  completo  con  appositi  supplementi  contenenti  la  nota 
dei  libri  e  carte  acquistati  nell'annata. 

Nel  settembre  1869  veniva  definitivamente  incaricato  deiruflBcio  di  Se- 
gretario del  Comitato  l'ing.  P.  Zezi,  del  B.  Corpo  delle  Miniere,  il  quale 
ritornava  appunto  allora  dagli  studi  di  perfezionamento  alla  Scuola  Superiore 
delle  Miniere  di  Parigi  e  da  una  visita  ai  principali  istituti  geologici  di 
Europa,  dopo  essersi  in  modo  speciale  dedicato  allo  studio  della  geologia. 

Co8i  l'Ufficio  geologico  si  trovava  per  la  prima  volta,  sia  pur  modesta- 
mente, provveduto  di  un  personale  sufficiente  per  la  sistematica  esecuzione  dei 
lavori  affidatigli. 


16  LUIGI    BALDACCI 


Intanto,  col  regolare  avviamento  dello  scambio  delle  pubblicazioni,  cioè 
delle  Memorie  e  del  Bollettino,  la  biblioteca  del  Comitato  riceveva  un  grande 
incremento,  anche  mercè  le  somme  spese  per  acquisto  di  opere  speciali.  I  tre 
geologi  operatori  assunti  in  servizio  per  concorso,  seguivano  nel  primo  anno 
i  corsi  di  studio  nell'Istituto  superiore  di  perrezionamento,  e  facevano,  sotto 
la  guida  del  prof.  Cocchi,  escursioni  geologiche,  una  delle  quali  ebbe  per 
scopo  lo  studio  dell'Elba.  Essi  fecero  anche  un  accurato  rilievo  geologico 
dei  dintorni  di  Firenze  per  collaborare  agli  studi  per  la  fornitura  di  acqua 
potabile  per  questa  città,  e  dettero  conto  delle  loro  ricerche  con  qualche  im- 
portante Nota  pubblicata  nel  Bollettino. 

In  una  adunanza  del  15  aprile  1870  il  Comitato  stabiliva  in  massima 
di  pubblicare  la  Carta  geologica  dell'Italia  superiore  e  centrale  a  1 :  600.000, 
già  eseguita  dal  prof.  Cocchi  per  l'Esposizione  di  Paiigi,  introducendovi  i 
risultati  degli  studi  piti  recenti  e  corredandola  di  una  succinta  descrizione  e 
di  profili  geologici  ;  ma  a  tale  idea  si  dovè  rinunziare,  non  essendosi  potuti 
ottenere  i  necessari  aumenti  di  fondi. 

Nel  successivo  anno  1871  vennero  alacremente  spinti  i  lavori  di  pub- 
blicazione, e  particolarmente  quelli  relativi  al  1^  volume  delle  Memorie  di 
cui  venne  già  parlato;  fu  stampato  il  2^  volume  del  Bollettino,  il  quale 
era  stato  accolto  con  larga  simpatia  e  fu  sin  da  principio  assai  ricercato, 
tanto  che  furono  dovuti  ristampare  parecchi  fascicoli  del  P  volume,  che  erano 
interamente  esauriti  nonostante  la  copiosa  edizione  fattane.  I  geologi  operatori 
ripresero  in  primavera  le  loro  escursioni  ed  esercitazioni  nei  dintorni  di  Fi- 
renze; e  due  di  essi  (Alessandri  e  Momo)  lavorarono  poi  nell'estate  sulle  Alpi, 
coadiuvando  l'ing.  Giordano  nel  rilevamento  del  grappo  montuoso  del  S.  Got- 
tardo, rilevamento  di  cui  il  Giordano  era  stato  incaricato  per  gli  studi  della 
grande  galleria  che  avrebbe  dovuto  attraversare  il  gruppo  suddetto.  Questo 
impoiiiantissimo  lavoro  del  Giordano  venne  poi  pubblicato  nel  secondo  volume 
delle  Memorie:  esso  può  ben  considerarsi  come  un  vero  modello  di  uno 
studio  geologico  applicato  ad  una  grande  opera  di  comunicazione  ferroviaria  ; 
e  le  previsioni  ivi  contenute  riguardo  alla  respettiva  posizione  e  potenza 
delle  varie  roccie  da  attraversare,  furono  di  grande  aiuto  nella  esecuzione 
della  galleria,  che  era  a  quei  tempi  la  più  lunga  del  mondo. 

Nel  secondo  volume  delle  Memorie,  oltre  al  citato  studio  sullo  attra- 
versamento del  massiccio  del  S.  Gottardo,  si  conteneva  una  classica  mono- 
grafia del  prof.  C.  W.  G.  Fuchs  di  Heidelberg,  sull'isola  d'Ischia,  con  la  carta 
geologica  della  medesima  isola;  una  appendice  dell'ing.  Mottura  alla  sua 
precedente  Memoria  Sulla  formazione  terziaria  della  Sicilia,  e  la  continua- 
zione dello  studio  paleontologico  del  prof.  D'Ancona. 

Nelle  due  Memorie  del  Mottura,  oltre  ad  una  ingegnosa  teorìa  sulla 
origine  dello  zolfo  dei  grandi  giacimenti  siciliani,  a  un  particolareggiato 
studio  della  disposizione  minerale  rispetto  alle  roccie  che  lo  contengono  ed 


LA  CARTA  &B<H<OQICA  D*ITALIA  17 

alla  teotonica  degli  strati  costituenti  la  formazione  solfifera,  si  trovano  anche 
due  tentatìri  di  determinazione  cronologica  degli  strati  stessi,  i  quali  poi,  col 
progredire  dei  lavori  di  rilevamento  e  con  la  loro  estensione  a  tutta  risola, 
vennero  riconosciuti  esattissimi  per  ciò  che  riguarda  la  successione,  quan- 
tunque la  età  loro  assegnata  dal  Mottura  abbia  dovuto  essere  alquanto  rin- 
giovanita. 

Nel  1872  vennero  nominati  per  concorso  tre  nuovi  geologi  operatori, 
essendo  due  dei  primi  nominati  passati  ad  altri  ufficii  ;  e  più  tardi  fu  nomi- 
nato un  altro  geologo  operatore  nella  persona  del  prof.  Seguenza  di  Messina, 
che  da  tempo  andava  illustrando  la  sua  provincia  e  le  limitrofe  con  impor- 
tanti studi  paleontologici. 

La  carriera  offerta  a  questo  personale,  che  avrebbe  dovuto  formare  il 
primo  nucleo  per  il  rilevamento  della  Carta  del  B^no,  era  per  verità  assai 
meschina,  sia  perchè  priva  di  vantaggi  materiali,  sia  perchè  non  presentava 
alcuna  sicurezza  di  avvenire,  essendo  quei  posti  non  compresi  in  un  organico  re- 
golare. Così,  mentre  da  un  lato  si  poteva  ragionevolmente  supporre  che  i  po- 
chissimi che  si  presentavano  a  quei  concorsi  vi  fossero  attratti  da  forte  voca- 
zione per  le  discipline  geologiche,  era  dall'altro  da  lamentarsi  che  nei  concorsi 
stessi  non  si  potesse  fiire  più  ampia  scelta.  E  il  fatto  di  non  aver,  fin  dal  prin- 
cipio, saputo  provvedere  ad  attrarre  nell'orbita  di  questo  grande  lavoro  un  per- 
sonale giovane,  attivo  e  innamorato  della  geologia,  eonstituisce  forse  uno  dei 
principali  difetti  di  quella  organizzazione,  la  quale,  per  altra  parte,  tanti  buoni 
lati  conteneva  e  tante  probabilità  di  buona  riuscita.  Forse  anche  vi  fu  spropor- 
zione nella  distribuzione  delle  scarse  somme  assegnate  alla  istituzione,  attri- 
buendone una  troppo  lai^  parte  alle  pubblicazioni  in  confronto  di  quella 
che  sarebbe  occorsa  per  la  pratica  istruzione  dei  nuovi  geologi  ;  ma  d'altro 
lato  è  anche  da  riflettere  che  tutto  ciò  che  riguardava  grandi  pubblicazioni 
geologiche  con  carte  a  colori,  tavole  di  fossili  e  di  sezioni,  era  allora,  in 
Italia,  in  uno  stato  assolutamente  primordiale.  Tutto  era  da  organizzare  ;  in 
ogni  cosa  si  doveva  procedere  per  prove  e  riprove,  ed  è  veramente  ammire- 
vole che,  mercè  l'indefessa  opera  e  la  abnegazione  di  quello  scarso  personale  e 
con  mezzi  ristrettissimi,  fin  d'allora  il  Comitato  geologico  italiano  sia  riu- 
scito a  conquistare,  con  l'importanza  delle  sue  pubblicazioni,  un  posto  ono- 
revolissimo fra  i  congeneri  istituti,  di  tanto  più  antichi  e  tanto  più  larga- 
mente dotati. 

Mentre  si  provvedeva  per  la  pubblicazione  del  secondo  volume  delle 
Memorie,  il  Gastaldi  proseguiva  il  rilevamento  geologico  delle  Alpi  occiden- 
tali con  rintento  di  portarlo  a  termine  per  l'epoca  nella  quale  doveva  aprirsi 
l'Esposizione  internazionale  di  Vienna;  ed  afBnchè  anche  l'Italia  venisse  in 
quella  grande  mostra  rappresentata  con  un  certo  decoro  e  non  rimanesse  di 
troppo  indietro  alle  altre  nazioni  civili,  essendosi  anche  deliberato  dal  Mi- 

Luigi  Bal dacci.  ~  Ls  Caris  ff§ohffiea  éTIialia.  2 


18  LOIOl   BÀLDACCI 


nistero  di  pubblicare  i  lavori  geologici  del  prof.  Ponzi  sulla  provìncia  Ro- 
mana, la  dotazione  per  l'anno  1873  venne  per  la  prima  volta  elevata  a 
25.000  lire. 

Riassumendo,  in  quella  che  potremo  chiamare  la  prima  fase  della  co- 
stituzione definitiva  del  Comitato  geologico,  durante  la  quale  la  residenza 
fu  a  Firenze,  oltre  all'avere  intrapreso  importanti  pubblicazioni,  cominciato 
la  formazione  di  un  nucleo  di  adatto  personale  e  stabilito  scambi!  di  pub- 
blicazioni coi  più  importanti  istituti  congeneri  del  mondo,  in  modo  da  co- 
stituire una  biblioteca  la  quale  fin  da  allora  ebbe  considerevole  importanza, 
furono,  come  si  disse,  avviati  i  lavori  di  rilevamento  alla  scala  di  1 :  50.000 
della  zona  solfifera  di  Sicilia  coll'ing.  Mottura,  sussidiati  quelle  delle  Alpi 
occidentali  del  Gastaldi,  intrapresi  col  concorso  di  nuovi  geologi  operatori 
gli  studi  del  Cocchi  all'Elba,  nelle  Alpi  Apuane,  nei  dintorni  di  Firenze  e 
nella  Maremma  Toscana,  oltre  a  quelli  del  Giordano  per  l'attraversamento 
del  Gottardo;  furono  anche  sussidiati  gli  studi  del  prof.  Ponzi  per  la  pro- 
vincia di  Roma,  quelli  del  Seguenza  per  le  Provincie  di  Messina  e  Reggio, 
e  del  De  Giorgi  per  la  Basilicata  e  per  il  Leccese. 

Questa  prima  fase  di  regolare  attività  del  Comitato  si  chiuse  verso  la 
metà  del  1873,  quando  con  un  decreto  del  15  giugno  di  quell'anno,  contro- 
firmato Castagnola,  la  sede  del  Comitato  fu  trasferita  da  Firenze  a  Roma, 
il  Comitato  stesso  venne  riorganizzato  su  nuove  basi,  affidando  l'esecuzione 
effettiva  della  Carta  geologica  ad  una  sezione  del  Real  Corpo  delle  Miniere 
alla  dipendenza  dell'Ispettore  Capo  di  quel  Corpo,  e  furono  date  nuove  dispo- 
sizioni per  l'esecuzione  dei  lavori. 

Veniva  con  quel  decreto  fisitta  la  distinzione,  ancor  oggi  in  vigore,  fra 
Comitato  ed  Ufficio  geologico,  incaricato  il  primo  della  sorveglianza  ed  alta 
direzione  scientifica  del  lavoro  che  doveva  eseguirsi  dair  Ufficio.  Il  Comitato 
doveva  vigilare  il  buon  andamento  dei  lavori,  dare  i  consigli  necessari  per 
la  migliore  riuscita  dell'opera  e  deliberare  sulle  pubblicazioni,  tanto  di  carte 
che  di  scritti,  conservando  così  integra  la  funzione  direttiva  e  scientifica 
mentre  veniva  alleggerito  della  parte  più  gravosa  della  esecuzione. 

Per  l'Esposizione  internazionale  di  Vienna  del  1873  erano  stati  in  questa 
anno  prepai-ati  quattro  fogli  della  carta  geologica  delle  Alpi  Apuane,  rilevati 
dal  prof.  Cocchi,  altrettanti  della  Provincia  di  Firenze  e  un  foglio  dell'isola 
d'Elba.  Mancando  allora  una  buona  carta  topografica  italiana  che  potesse 
servire  di  base  al  lavoro,  furono  utilizzati  i  fogli  della  Carta  Austriaca  a 
1 :  86.400,  ricavandone  ingrandimenti  fotografici  a  1 :  50.000  ;  e  ai  sopra 
menzionati  rilevamenti  si  aggiunsero  quelli  delle  Alpi  occidentali,  abbrac- 
cianti  già  gran  parte  di  questa  catena,  eseguiti  per  opera  dei  prof.  Gastaldi 
e  Baretti  sulla  Carta  dello  Stato  Maggiore  a  1  :  50.000,  e  il  foglio  di  Cai- 
tanissetta,  alla  stessa  scala,  rilevato  dall'ing.  Mottnra.   La  mostra  si  com- 


LA   CARTA  GEOLOGICA   d'iTALIA  19 

pletò  con  le  carte  già  stampate  per  le  Memorie  e  con  tutte  le  pubblicazioni 
fino  allora  eseguite  dal  Comitato. 

Tali  lavori  furono  assai  apprezzati  dai  competenti,  e  ricompensati  in 
modo  lusinghiero  dalla  Giurìa  di  quella  Esposizione. 

Il  B.  Decreto  del  15  giugno  1873,  del  quale  fu  parlato,  stabiliva  che 
il  personale  operatore  fosse  costituito  da  ingegneri  e  da  aiutanti  del  B.  Corpo 
delle  Miniere,  i  quali  si  fossero  particolarmente  dedicati  alla  geologia  ed 
avessero  compiuto  un  tirocinio  pratico,  della  durata  di  un  anno,  nel  Geolo- 
gical  Survey  di  Londra  o  in  altro  Istituto  estero  designato  dal  Comitato. 
Bestava  però  (art.  10)  in  facoltà  del  Ministro  di  incaricare  geologi  estranei 
all'Ufficio,  del  rilevamento  di  speciali  regioni:  e  ciò  fu  fatto  pel  doppio  scopo 
di  non  disturbare  l'andamento  dei  lavori  in  corso  nelle  Alpi  occidentali  e 
in  Sicilia,  e  di  provvedere,  alla  occorrenza,  ad  altri  rilevamenti,  senza  aspet- 
tare che  rUfficio  potesse  disporre  direttamente  di  personale  pratico  ed  in  nu- 
mero sufficiente. 

Del  personale  operatore,  cui  fu  già  accennato,  solo  un  ingegnere  (Bal- 
dacci)  accettò  di  recarsi  all'Estero  a  compiere  i  voluti  studi  di  perfezio- 
namento per  essere  regolarmente  nominato  ingegnere  nel  B.  Corpo  delle 
Miniere;  gli  altri  vennero  provvisoriamente  conservati  in  servizio  presso 
l'Ufficio. 

Una  ricca  raccolta  di  materiali  italiani  da  costruzione  e  da  ornamento 
che  era  stata  fatta  dal  Ministero  in  occasione  dell'Esposizione  di  Vienna, 
passò,  per  effetto  del  suddetto  Decreto,  a  far  parte  delle  Collezioni  del  Co- 
mitato; essa  era  stata  messa  insieme  per  mezzo  di  Giunte  provinciali,  le 
quali  in  generale  gareggiarono  di  zelo  per  la  sua  buona  riuscita,  e  formò 
allora  la  base  delle  future  collezioni  del  Comitato,  che  ebbero  poi  rapi- 
dissimo incremento  col  progredire  dei  lavori  di  rilevamento  e  con  notevoli 
acquisti  di  preziose  raccolte  fatte  in  seguito  dal  Comitato. 

Il  più  volte  citato  Decreto  stabiliva  (art.  2)  che  le  riunioni  del  Comi- 
tato geologico  dovessero  tenersi  in  Boma  presso  il  Ministero  di  Agricoltura 
Ind.  e  Comm.,  e  che  il  Comitato  dovesse  venire  convocato  dal  Ministro  ;  in 
omaggio  a  tale  disposizione,  anche  la  sede  dell'Ufficio  geologico  fu  trasferita  ai 
primi  del  1874  a  Boma,  ed  ivi  furono  ripresi  con  attività  i  lavori  in  corso 
e,  fra  questi,  anche  la  pubblicazione  del  Bollettino  bimensile,  che  andava 
acquistando  sempre  maggiore  importanza  per  pregevoli  lavori  originali. 

Allo  scopo  di  porre  in  atto  il  nuovo  ordinamento,  il  Ministero  volle, 
come  già  era  stato  fatto  nel  1861,  sentire  in  proposito  il  parere  dei  più  re- 
putati geologi  italiani,  inviando  loro,  verso  la  fine  del  febbraio  1874,  una 
circolare  contenente  tre  quesiti  principali,  riguardanti  la  serie  generale  dei 
terreni  da  adottarsi,  i  colori  e  segni  convenzionali  per  rappresentarli  sulla 
Carta  topografica,  e  finalmente  le  norme  ed  istruzioni  da  impartirsi  ai  geologi- 


^  LUIGI   BALDACCI 


operatori  per  la  pratica  esecuzione  del  lav^oro  di  rilevamento  ;  ciò  allo  intento 
di  avviare  l'opera  con  unità  di  concetto  ed  uniformità  e  con  la  voluta  preci- 
sione, valore  scientifico  ed  utilità  pratica  del  risultato.  Le  risposte  a  tale 
questionario  furono  assai  istruttive  ed  adeguate  alla  importanza  dell* argo- 
mento :  ma  mostrarono  la  esistenza  di  notevoli  discrepanze.  La  oooperazione 
provvisoria  di  geologi  noti  per  i  loro  lavori  ed  estranei  airufScio,  fu  dai  più  \ 

riconosciuta  indispensabile  se  si  voleva  por  mano  sollecitamente  al  lavoro 
in  attesa  che  il  Comitato  potesse  disporre  del  proprio  personale  ;  tale  coope- 
razione poteva  riguardare  tanto  i  lavori  già  dai  medesimi  geologi  eseguiti  e 
tuttora  inediti,  quanto  i  nuovi  rilievi  dei  quali  essi  venissero  incaricati; 
ma  tali  lavori  staccati  avrebbero  dovuto  pur  sempre  uniformarsi  ad  un  solo 
concetto. 

In  alcune,  poi,  di  quelle  risposte,  si  cominciava  fin  d'allora  a  scorgere 
un  principio  di  opposizione  a  che  la  Carta  geologica  venisse  effettivamente 
rilevata  dagli  ingegneri  delle  Miniere,  ai  cui  lavori  sarebbe,  secondo  quelle 
obiezioni,  mancata  una  seria  base  scientifica  e  un  sufficiente  grado  di  atten- 
dibilità; tali  obiezioni  presero  poi  maggior  corpo  in  seguito,  quando  il  la- 
voro della  Carta  geologica  già  poteva  considerarsi  come  assai  ben  incam- 
minato, e  dettero  luogo  ad  amplissime  discussioni,  le  quali  portarono  final- 
mente a  un  soddisfacente  accordo,  in  modo  che  l'andamento  del  lavoro  non 
ne  rimase,  come  era  da  temersi,  compromesso.  Tuttavia,  già  sin  d'allora  era 
facile  rispondere  a  tali  obiezioni  con  la  considerazione  che  la  Carta  geolo- 
gica ufficiale  deve  presentare,  saldamente  posati  su  basi  scientifiche,  tutti 
quegli  elementi  di  indole  pratica  ed  utile  per  lo  sviluppo  di  molte  importan- 
tissime industrie  ;  e  che,  per  tale  scopo,  le  cognizioni  acquistate  con  studi  e 
tirocinio  speciale,  l'abitudine  della  precisione,  la  facilità  con  cui  si  possono 
affrontare  e  risolvere  i  più  astrusi  problemi  tettonici  e  quella  di  rappresentare 
fedelmente  sulla  carta  topografica  le  particolarità  della  struttura  geologica 
di  una  data  regione,  meglio  che  in  altri  studiosi  possono  trovarsi  in  un  in- 
gegnere del  Corpo  delle  Miniere. 

ÀI  primo  quesito  riguardante  la  serie  dei  terreni  da  adottarsi,  fu 
prevalentemente  risposto  che,  nello  stato  della  geologia  in  Italia,  non  si 
poteva  allora  stabilire  a  priori  una  serie  generale  italiana,  ed  i  più  si  limi* 
tarono  a  proporre  serie  locali  per  singole  regioni;  in  verità,  tali  risposte 
erano  da  aspettarsi  fin  dal  principio,  poiché  in  un  paese,  come  l'Italia  ricco 
di  formazioni,  di  orografìa  complicata,  come  ne  è  in  generale  complesso  l'as- 
setto tettonico,  la  serie  precisa  dei  terreni,  anziché  la  base  del  lavoro,  ne 
doveva  essere  la  conseguenza  e  come  la  sintesi  dei  rilievi  particolareggiati 
eseguiti  nelle  singole  regioni.  Fu  anche  opinione  di  qualcuno  di  adottare 
diverse  serie  regionali,  in  base  alle  quali  si  sarebbero  dovuti  eseguire  i  ri- 
lievi; tali  serie,  col  progredire  del  lavoro,  sì  semplificherebbero,  si  avvicine- 
rebbero fra  loro,  e  sparirebbero,  a  lavoro  compiuto,  per  fondersi  nella  serie 


LA   CARTA   GEOLOGICA   d'iTALIA  21 

m 

generale  italiana.  Dal  punto  di  vista  pratico  si  riconosceva  poi  evidente  la 
utilità  delle  serie  locali  molto  particolareggiate,  le  quali  permettono  anche 
la  rappresentazione  delle  particolarità  litologiche,  che  in  una  serie  generale 
andrebbero  sacrificate  al  concetto  cronologico. 

Tale  criterio  venne  sempre  seguito  nei  rilevamenti  geologici  eseguiti 
dagli  ingegneri  delle  Miniere  addetti  a  questo  servizio,  in  modo  che  sulle 
minute  di  campagna  che  si  rilevano  in  generale  alla  scala  di  1 :  50,000, 
spesso  a  1 :  25,000  e  talvolta  anche  in  scale  maggiori,  viene  accuratamente 
tenuto  conto  di  tutti  i  piani  in  cui  può  suddividersi  una  serie  anche  per  la 
varia  composizione  litologica.  Nella  pubblicazione  poi  della  Carta  del  Regno, 
che  si  fa  alla  scala  di  1 :  100,000,  molte  di  quelle  particolarità  devono, 
anche  per  ragioni  tipografiche,  essere  raggruppate  in  modo  da  uniformarsi  a 
una  serie  comprensiva,  la  quale  oramai  racchiude  tutti  i  terreni  che  costi- 
tuiscono la  nostra  penisola. 

Sul  quesito  riguardante  la  serie  dei  colori  e  dei  segni  convenzionali  per 
la  indicazione  dei  terreni  sulla  Carta,  alcuni  fecero  proposte  di  serie  croma- 
tiche speciali,  altri  proposero  di  seguire  Tesempio  delFEstero  e  particolar- 
mente della  Svizzera,  Francia  e  Inghilterra,  essendo  i  colori  adottati  da  questi 
Stati  per  la  loro  Carta  geologica  più  intonati  e  tali  da  permettere  molte 
modificazioni  senza  forti  contrasti,  in  confronto  di  quelli  austriaci  ed  inglesi  ; 
le  grandi  divisioni  cronologiche  avrebbero  dovuto  rappresentarsi  con  tinte 
caratteristiche  speciali,  e  le  loro  suddivisioni  con  gradazioni  delle  tinte  stesse^ 
escludendo  assolutamente  i  tratteggi. 

Alla  data,  infatti,  nella  quale  tali  opinioni  venivano  emesse,  la  tecnica 
della  stampa  di  carte  geologiche  a  colori  era  assai  lungi  dal  raggiungere  la 
perfezione  cui  si  è  giunti  oggidì,  in  modo  che  attualmente  si  possono  rap- 
presentare con  tratteggi  di  varia  natura  e  di  differenti  colori  una  quantità 
di  particolarità  e  di  suddivisioni  geologiche,  senza  nuocere  in  alcun  modo 
alla  chiarezza  delle  carte.  La  questione  della  coloritura  venne  poi  ripresa 
e  ampiamente  sviluppata  nel  Congresso  geologico  internazionale  di  Bologna, 
al  quale  si  accennerà  in  seguito.  Nella  nostra  Carta  geologica,  all'uso  dei 
tratteggi  si  è  dovuto  frequentemente  ricorrere,  essendo  quasi  impossibile  ot- 
tenere da  una  stessa  tinta  di  fondo  una  quantità  di  gradazioni  di  varia  in- 
tensità per  rappresentare  i  piani,  spesso  numerosi,  di  una  data  serie  geolo- 
gica, senza  incorrere  nel  pericolo  di  avere  tinte  troppo  somiglianti  e  irrico- 
noscibili runa  dall'altra  se  esse  non  sono  poste  fra  loro  in  immediata  vici- 
nanza. 

I  terreni  eruttivi  si  dovevano  rappresentare  con  tinte  speciali  più  vive 
di  quelle  dei  terreni  sedimentari,  e  finalmente  la  Carta  doveva  portare  la 
indicazione,  fatta  a  mezzo  di  segni  speciali,  di  tutti  i  giacimenti  di  minerali 
utili,  delle  sorgenti  minerali  e  termali,  località  fossilifere,  stazioni  preisto- 
riche, ecc. 


22  LUIGI  BALDACCI 


l 


Per  le  norme  da  prescri?ersi  agli  operatori,  tutti  si  accordarono  nel 
concetto  che  esse  dovessero  avere  Tintento  di  conseguire  il  massintio  di  uni- 
formità ed  il  maggior  grado  di  precisione  scientifica  e  di  utilità  pratica; 
quindi,  oltre  che  alla  somma  esattezza  dei  rilievi,  essi  dovevano  porre  mente  a 
tutte  le  particolarità  che  per  ogni  regione  venissero  loro  additate  volta  per 
volta  dalla  Direzione  centrale.  Gli  operatori   dovevano  altresì  presentare  le  ' 

raccolte  di  roccie  e  fossili  con  tutte  le  indicazioni,  oltre  a  descrizioni  orogra- 
fiche e  geologiche  corredate  da  profili,  possibilmente  accompagnate  dalle 
analisi  dei  materiali  utili  incontrati. 

Queste  norme,  dettate  dai  più  valenti  geologi  allora  viventi  in  Italia, 
vengono  per  la  massima  parte  tuttora  rigorosamente  seguite  nel  lavoro  della 
Carta  geologica  del  Beguo. 

In  considerazione  poi  delle  discrepanze  sórte  fra  i  geologi  interpellati  spe- 
cialmente sulla  questione  della  serie  dei  terreni  geologici,  il  ministero  deliberò 
saviamente  di  convocare  in  Roma  quegli  illustri  scienziati,  affinchè  discutes- 
sero liberamente  intorno  agli  argomenti  riguardo  ai  quali  erano  stati  interro- 
gati; eia  riunione  ebbe  luogo  presso  il  Ministero  di  agricoltura,  nell'aprile  1874. 
Vi  presero  parte  il  ministro  Finali,  rispetterò  delle  miniere  Axerio  ed  i 
geologi  Baretti,  Berruti,  Capellini,  Cocchi,  Curioni,  D'Achiardi,  Gastaldi, 
Gemmellaro,  Mantovani,  Meneghini,  Mottura,  Omboni,  Perazzi,  Pirona,  Ponzi, 
Scarabelli,  Sella,  Stoppani,  Strùver  e  Taramelli  ;  funzionò  da  segretario  Tin- 
gegnere  delle  miniere  Zezì,  e  le  sedute  furono  presiedute  dal  ministro  Finali 
e,  in  sua  assenza,  da  Quintino  Sella.  Dopo  animate  e  interessanti  discussioni, 
venne  fissata  una  serie  generale  per  i  terreni  italiani  nonché  le  norme  da 
seguirsi  per  stabilire  una  serie  di  colori  e  segni  convenzionali,  e  si  convenne 
nella  necessità  di  por  mano  sollecitamente  ai  lavori  di  rilevamento,  utiliz- 
zando a  tal  uopo  tutti  gli  elementi  adatti,  sia  di  personale  che  di  materiali, 
a  quella  data  disponibili  in  Italia.  La  serie  dei  terreni,  ordinata  nel  modo 
indicato  dal  Congresso,  fu  poi  comunicata  a  tutti  i  geologi  intervenuti,  affinchè 
potessero  farvi  le  osservazioni  ritenute  da  loro  opportune  e  introdurre,  airoccor- 
renza,  suddivisioni  nella  serie  stessa.  Delle  dotte  risposte  che  si  raccolsero 
anche  in  questo  appello,  fu  tenuto  conto  in  seguito  nel  redigere  le  istruzioni 
da  impartirsi  agli  operatori  geologi. 

Per  l'esecuzione  pratica  del  lavoro  fu  consigliato  di  affidare  a  geologi 
locali  il  rilevamento  di  determinate  regioni  nella  maggiore  scala  allora  dis- 
ponibile, rinviando  il  completamento  e  la  pubblicazione  della  Carta  alla 
scala  di  1 :  50,000  all'epoca  nella  quale  l'Istituto  Topografico  avrebbe  ultimati 
i  suoi  rilevamenti.  A  quella  data,  le  carte  cui  si  poteva  ricoiTere  erano: 
P,  l'antica  Carta  dello  Stato  sardo,  comprendente  il  Piemonte  e  la  Liguria, 
alla  scala  di  1 :  50,000  ;  2%  la  Carta  dello  Stato  Maggiore  austriaco,  com- 
prendente la  Lombardia,  il  Veneto,  gli  ex-Ducati  di  Parma  e  di  Modena,  la 
Toscana  e  l'ex-Stato  pontificio,  alla  scala  di  1:86,400;  3%  la  nuova  Carta 


LA   CARTA   GEOLOGICA   d'iTALIA  23 

dell'Istituto  Topografico  italiano  a  1 :  50,000,  ìd  corso  di  rilevamento.  Essa 
si  trovava  allora  già  ultimata  per  la  Sicilia  e  parte  delle  provincie  meri- 
dionali. Mancavano  allora  totalmente  Carte  in  grande  scala  per  parecchie 
Provincie  dell' ex-Regno  di  Napoli  e  per  la  Sardegna. 

Le  norme  pratiche  riguardanti  la  serie  dei  terreni  e  i  metodi  di  rap- 
presentazione stabilite  in  quel  Congresso,  furono  molto  particolareggiate  e 
non  è  qui  il  caso  di  esporle  minutamente,  tanto  più  che,  all'atto  pratico,  per 
qualcuna  di  esse  fu  riconosciuta  la  impossibilità  di  applicazione,  e  altre  fu- 
rono poi,  come  era  da  attendersi,  sostanzialmente  modificate. 

Frattanto,  allo  scopo  di  fornire  al  Comitato  il  personale  adatto,  si  era 
cominciato  fino  dal  1873  ad  inviare  all'estero  dei  giovani  ingegneri,  i  quali, 
ultimati  i  corsi  della  École  des  Mines  di  Parigi  o  di  altro  Istituto  superiore 
consimile,  e  fatto  un  periodo  di  esercitazioni  pratiche  presso  il  Geological 
Survey  inglese,  potevano  entrare,  dopo  circa  tre  anni,  a  far  parte  del  perso- 
nale suddetto. 

Nel  1874  il  prof.  Gastaldi,  coadiuvato  dal  Baretti,  attese  ai  suoi  lavori 
nelle  Alpi  occidentali,  rilevando  in  questo  periodo  di  tempo  vari  fogli  ex 
novo  e  completandone  altri  ;  egli  si  riprometteva,  approfittando  anche  degli 
studi  precedenti  del  Gerlach  sulle  Alpi  Pennine,  di  dare  entro  il  1875  il 
rilevamento  completo  delle  Alpi  occidentali  dal  confine  svizzero  del  Canton 
Ticino  sino  al  Monviso,  eccettuatone  il  gruppo  del  Monte  Bianco,  e  il  Co- 
mitato si  proponeva  di  pubblicare  nell'anno  successivo  quella  Cai*ta,  ridu- 
cendola dalla  scala  originaria  di  1 :  50,000  a  quella  di  1 :  250,000. 

L'ing.  Mottura  attendeva  contemporaneamente  alla  prosecuzione  dei  suoi 
rilevamenti  nella  zona  solfìfera  siciliana,  e  il  prof.  Seguenza  si  occupava  as- 
siduamente dei  lavori  geologici,  di  cui  era  stato  incaricato  per  le  provincie 
di  Messina  e  Reggio  Calabria,  valendosi  già  della  Carta  a  1 :  50,000  del- 
l'Istituto militare. 

Il  prof.  Cocchi  andava  completando  la  sua  Carta  geologica  dell'impor- 
tantissimo gruppo  delle  Alpi  Apuane,  che  egli  aveva  già  iniziata  ed  esposta 
a  Vienna  per  la  parte  meridionale  del  gruppo  stesso.  La  Carta  avrebbe  do- 
vuto esser  terminata  nel  successivo  anno,  ed  avrebbe  compresa  tutta  la  re- 
gione che  si  estende  dal  Mediterraneo  al  culmine  dell'Appennino  fra  la  Magra 
e  il  Serchio  :  essa  avrebbe  dovuto  essere  accompagnata  da  una  Memoria  de- 
scrittiva da  pubblicarsi  in  un  terzo  volume  di  Memorie. 

Le  raccolte  del  Comitato  aumentavano  intanto  notevolmente,  poiché  al 
materiale  raccolto  dai  singoli  operatori  venivano  aggiunte  altre  e  cospicue 
collezioni  donate  al  Comitato  da  studiosi  privati  ed  altre  acquistate,  come 
quella  ricchissima  del  Curioni,  comprendente  roccie,  fossili  e  minerali  della 
Lombardia,  che  costò  circa  5000  lire,  acquistando  il  Comitato,  insieme  con 
quella,  anche  la  proprietà  della  Carta  geologica  della  Lombardia,  dal  Curioni 
stesso  rilevata  alla  scala  di  1 :  86,400. 


24  LUIGI  BALDÀCCI 


Sin  dal  trasferimento  del  Comitato  a  Roma  ai  primi  del  1874,  era  stata 
riconosciuta  la  insofficienza  e  la  poca  idoneità  del  locale  che  gli  era  stato 
assegnato  nell* ex-convento  di  S.  Maria  della  Vittoria;  ma  solo  nei  primi 
mesi  del  1875  il  Ministero  di  agricoltura  potò  ottenere  da  quello  dell'Istru- 
zione Tuso  temporaneo  di  una  parte  dei  locali  occupati  dalla  B.  Scuola  di 
applicazione  per  gli  ingegneri,  e  neiraprile  di  quelFanno  vennero  ivi  trasfe- 
riti TufScio  e  le  collezioni. 

Per  ciò  che  concerne  i  lavori  per  la  Carta  geologica,  ai  primi  del  1875 
veniva  afBdato  al  geologo-operatore  Lotti  Tincarico  di  eseguire  il  rilevamento 
geologico  del  gruppo  montuoso  di  Massa  Marittima  nella  Maremma  Toscana, 
comprendente  le  quattro  vaste  comunità  di  Massa  Marittima,  di  Montieri, 
di  Gavorrano  e  di  Castiglione;  Talta  direzione  scientifica  di  questo  lavoro 
era  afBdata  al  prof.  Meneghini,  ed  esso  presentava  un  particolare  interesse 
non  solo  scientifico,  ma  altresì  industriale,  essendo  quella  regione  ricca  di 
giacimenti  metalliferi  e  di  altri  prodotti  minerari.  11  prof.  De  Stefani  veniva 
nello  stesso  anno  incaricato  del  rilevamento  del  Monte  Pisano,  della  Mon- 
tagnola Senese  e  delVinterposto  gruppo  di  Jano,  interessantissimo  per  gli 
afBoramenti  del  Carbonifero  e  per  la  presenza  di  giacimenti  di  cinabro. 

Già  fin  d'allora,  merco  gli  scambi  e  notevoli  acquisti,  la  biblioteca  del 
Comitato  aveva  acquistata  una  grande  importanza  ed  era  ricca  di  più  mi- 
gliaia di  volumi,  ed  anche  le  collezioni  costituivano  un  importante  patrimonio 
scientifico.  Erano  in  esse  comprese  :  la  raccolta  di  materiali  per  uso  edilizio 
e  decorativo,  comprendente  le  pietre  naturali  ed  i  prodotti  artificiali  :  essa  ò 
sempre  in  via  di  aumento,  e  la  somma  disponibile  per  il  suo  incremento  ve- 
niva, secondo  il  bisogno,  erogata  in  sussidi  alle  varie  Giunte  provinciali  ;  una 
raccolta  di  minerali,  roccie  e  prodotti  metallurgici  dell  Ungheria,  regalata 
dal  governo  austriaco  in  cambio  di  una  collezione  di  materiali  italiani  da 
costruzione,  che  aveva  figurato  alla  Esposizione  di  Vienna;  una  collezione  di 
minerali  e  roccie  del  Cile,  donata  dal  Ministero  di  agricoltura;  una  raccolta 
di  roccie  provenienti  dal  traforo  del  S.  Gottardo;  raccolte  di  fossili,  roccie 
e  minerali  di  località  diverse;  la  collezione  Curioni  già  rammentata;  una 
collezione  di  roccie  delle  Alpi  occidentali  e  una  raccolta  dei  prodotti  delle 
miniere  italiane,  allora  in  via  di  formazione  per  cura  degli  ingegneri  del 
Corpo  delle  Miniere. 

Dairepoca  della  costituzione  del  Comitato,  15  dicembre  1867,  sino  alla 
fine  del  1874,  erano  state  spese  all'incirca  L.  122,000,  delle  quali,  circa 
27,000  per  lavori  di  rilevamento  e  sussidi  a  geologi  privati,  circa  35,000 
per  il  personale,  26,000  per  le  pubblicazioni,  18,000  per  la  biblioteca,  e  il 
rimanente  per  spese  d'impianto,  posta  e  diverse.  Aggiungendo  a  questa  somma 
il  costo  della  Carta  geologica  della  Savoia,  Piemonte  e  Liguria,  in  L.  28,500, 
si  vede  che,  in  cifra  tonda,  la  spesa  feitta  dal  governo  per  la  Carta  geologica 
raggiungeva  appena  le  L.  150,000. 


LA   CARIA  OBOLOGICA   d'iTALIA  25 

Il  primo  efficace  principio  di  un  rilevamento  regolare  della  Carta  in 
grande  scala  non  potè  aversi  che  al  principio  del  1877,  quando,  essendo  già 
tornati  dalV estero  alcuni  dei  giovani  ingegneri  inviati  agli  studi  di  perfe- 
zionamento ed  al  tirocinio  pratico  di  geologia,  si  potè  costituire  un   primo 

nucleo  in  Sicilia,  ove  esisteva  già  la  carta  topografica  a  ^777^^  e  dove  già 

ring.  Mottura  aveva,  come  si  disse,  iniziati  i  rilevamenti  della  parte  cen- 
trale della  zona  solfifera.  Il  lavoro  così  avviato,  si  continuò  con  molta  attività 
negli  anni  successivi,  essendo  stato  possibile  di  assegnarvi  nuovo  personale, 
in  modo  che  già  nel  1880  si  era  ultimato  il  rilevamento  di  tutta  la  zona 
solfifera  e  si  possedevano  già  elementi  sufficienti  per  una  sommaria  valuta- 
zione dello  zolfo  esistente  in  quei  vasti  giacimenti. 

Nel  1878  si  iniziava  il  rilevamento  dei  dintorni  di  Roma  per  mezzo 
del  personale  residente  presso  l'Ufficio  geologico,  e  poco  dopo  si  intrapren- 
deva anche  quello  delle  Alpi  Apuane  e  delV  isola  d'Elba  per  mezzo  di  un 
nucleo  di  operatori  aventi  la  loro  sede  in  Pisa,  sotto  Talta  direzione  scienti- 
fica deir  illustre  Meneghini  di  quella  Università,  allora  presidente  del 
B.  Gomitato  geologico. 

Contemporaneamente  si  andava  facendo  una  ricognizione  generale  del- 
l'Italia, e  particolarmente  della  sua  parte  centrale  e  meridionale,  che  erano 
le  meno  conosciute  e,  in  talune  regioni,  anche  affatto  inc(^nite.  Da  tali  ri- 
cognizioni sommarie  e  dal  coordinamento  dei  lavori  preesistenti  risultò  la 
possibilità  di  compilare  una  Carta  generale  d'Italia  in  piccola  scala,  la 
quale  venne  poi  pubblicata  nel  1881  in  occasione  del  Congresso  geologico 
intemazionale  di  Bologna,  e  che  segnò  un  notevole  progresso  nella  conoscenza 
geologica  del  nostro  paese. 

Terminato,  come  fu  detto,  il  rilevamento  della  zona  solfifera  siciliana, 
veniva  nel  1880  deliberato  di  estendere  a  tutta  la  grande  isola  il  rileva- 
mento geologico,  con  l'aggiunta  di  nuovo  personale  allora  tornato  dall'Estero, 
il  quale  attese  a  questo  lavoro  difficile,  disagevole  e  faticoso,  con  grande 
zelo,  sotto  l'alta  direzione  scientifica  del  prof.  Gemmellaro  della  Università 
di  Palermo,  che,  in  ben  venti  anni  di  assidue  e  profonde  ricerche  pa- 
leontologiche, era  già  riuscito  a  stabilire  su  sicure  basi  la  complessa  serie 
dei  terreni  di  queir  isola.  Tale  complesso  incomincia  dal  basso  coi  terreni 
cristallini  della  parte  nord-orientale  dell'  isola,  presentanti  numerose  varietà 
di  roccia  cristalline  e  di  scisti  metamorfici  :  esso  presenta  un  rappresentante 
sicuro  del  Permocarbonifero  nel  classico  affioramento  fossilifero  della  valle 
del  Sosio  ;  è  poi  quasi  completo  per  i  terreni  secondari  dal  Trias  al  Cretaceo 
superiore,  e  comprende  al  completo  il  gruppo  dei  terreni  terziari,  fra  i  quali 
ha  grandissimo  interesse  la  serie  gessoso-solfifera,  e  di  quelli  quaternari  e 
recenti,  e  vulcanici.  L'assetto  tettonico  dei  vari  gruppi  di  terreni  è  spesso 
notevolmente  complicato,  e  non  sempre  ne  è  facile  una  sicura  interpretazione; 


26  LUIGI    BALDACCI 


cosi  che,  applicando  in  questi  ultimi  tempi  alla  Sicilia  le  moderne  ve- 
dute sulla  tectonica  e  in  particolar  modo  ani  grandi  carreggiamenti,  si  cre- 
dette di  riconoscere  nelle  superbe  catene  montuose  secondarie  facenti  corona 
attorno  alla  lussureggiante  Conca  d'Oro  di  Palermo  e  in  altri  monti  del- 
l'isola,  delle  grandi  falde  carreggiate  da  enormi  distanze,  galleggianti,  per 
così  dire,  sugli  scisti  argillosi  terziari  che  le  circondano  quasi  da  ogni 
parte. 

Ma  tale  interpretazione  tettonica  non  è  sussidiata  da  nessun  fatto 
convincente;  e  certamente,  fino  a  prova  contraria,  converrà  attenersi  alla 
interpretazione  assai  più  semplice,  la  quale  venne  data  per  la  presenza 
e  disposizione  di  quelle  masse  montuose  da  coloro  che  ne  eseguirono  il  rile- 
vamento geologico  particolareggiato,  e  che  si  formarono  le  loro  convinzioni 
non  con  semplici  escursioni  e  rapide  traversate  e  con  la  interpretazione  fatta 
a  tavolino  delle  Carte  geologiche,  ma  bensì  con  lunghi  e  faticosi  percorsi, 
nei  quali  il  territorio  venne  passo  a  passo  esplorato. 

Mentre  per  la  Sicilia  procedeva  alacremente  il  rilevamento  regolare, 
erano  stati  presi  accordi  con  alcuni  reputati  geologi  per  il  rilievo  sommario 
di  altre  località  geologicamente  pochissimo  note,  come  la  Basilicata,  che  fu 
affidata  al  prof.  De  Giorgi  di  Lecce,  e  la  Calabria,  che  si  affidò  al  prof.  Lo- 
visato. 

Nella  Esposizione  internazionale  del  1878  in  Parigi,  il  servizio  della 
Carta  geologica  aveva  figurato  con  molto  onore  e  vi  fu  presentata  anche  una 
gmn  parte  della  carta  regolare  a  1 :  50  000  della  zona  solfifera,  oltre  alla 
gran  carta  delle  Alpi  Occidentali,  del  Gastaldi,  che  si  meritò  la  medaglia 
d'oro. 

Nell'anno  seguente,  per  la  prima  volta,  l'assegno  per  la  Carta  geologica 
raggiunse  una  cifra  importante,  cioè  quasi  60.000  lire.  Il  Comitato  ebbe  a 
deplorare  la  perdita  del  Gastaldi  e  del  Curioni  e  venne  dal  Ministero  rico- 
stituito, portando  però  il  numero  dei  suoi  membri  a  sette,  i  quali  dovevano  es- 
sere scelti  dal  Ministero  stesso  fra  le  persone  più  versata  nelle  discipline  geo- 
logiche e  minerarie  ;  del  Comitato  doveva  far  parte  V  ispettore  capo  del  Corpo 
reale  delle  Miniere,  il  funzionario  dello  stesso  Coi*po,  specialmente  incaricato 
della  direzione  dei  lavori  geologici,  il  direttore  della  Stazione  agraria  e  U 
capo  dell'Istituto  geografico  militare.  Fu  inoltre  deliberato  che  il  Comitato 
fosse  retto  da  un^  presidente,  scelto  ogni  anno  dal  Ministero  fra  i  suoi 
componenti,  e  che  si  riunisse  in  sessione  ordinaria  il  primo  mese  di  ogni 
anno  per  la  relazione  dei  lavori  compiuti.  In  pari  tempo  l'Ufficio  geologico 
veniva  provveduto  con  sufficiente  numero  di  geologi  operatori,  di  aiutanti,  di 
ingegneri  temporaneamente  incaricati,  di  un  paleontologo  e  di  un  petrografo, 
e  il  lavoro  poteva  procedere  in  modo  regolare  e  con  la   voluta   continuità. 

Fu  in  queir  epoca  che  incominciarono  però  in  seno  al  Comitato  stesso 
vivacissime  discussioni  intorno  ai  modi  più  opportuni  per  spingere  più  effi- 


LA.   CARTA   GEOLOGICA   d'iTALIA  27 

cacemente  la  grande  impresa.  Nella  seduta  del  17  marzo  1879  V  ispettore 
Giordano  fece  una  minuta  relazione  sull'andamento  della  istituzione  dal  1877 
in  poi,  ed  espose  le  condizioni  dell' Ufficio  geologico  e  lo  stato  dei  lavori  per 
il  rilevamento  della  Carta  geologica. 

Il  prof.  Stoppani  si  dichiarò  allora  perfettamente  contrario  al  modo  con 
cui  funzionavano  il  Comitato  e  l'Ufficio  geologico,  presentando  come  precipua 
ragione  del  suo  modo  di  vedere  quella  che  il  Corpo  delle  Miniere,  costi- 
tuito da  ingegneri  la  cui  istruzione  era  a  base  piuttosto  utilitaria  che  scien- 
tifica, non  avrebbe  mai  saputo  dare  una  Carta  geologica  veramente  scienti- 
fica ;  egli  formulò  la  proposta  di  staccare  l' Ufficio  geologico  dal  Corpo 
delle  miniere,  facendone  un'istituzione  autonoma  che  si  doveva  porre  sotto 
la  direzione  di  un'alta  autorità  scientifica.  Questa  proposta  incontrò  na- 
turalmente viva  opposizione,  non  soltanto  da  paii;e  del  capo  del  B.  Corpo 
delle  miniere,  ma  altresì  da  parte  dei  professori  Meneghini  e  Capellini; 
e  dopo  ardente  discussione,  posta  a  partito  la  proposta  Stoppani,  questa  venne 
respinta. 

Il  prof.  Stoppani  ripresentò  poi  reiteratamente  le  sue  proposte,  e  nel 
1880  ebbe  occasione  favorevole  per  sostenere  vigorosamente  le  proprie  idee. 
In  quell'anno  era  stata  convocata  una  speciale  riunione,  alla  quale  parteci- 
parono altri  geologi  invitati  dal  Ministero,  allo  scopo  di  esaminare  un  disegno 
di  legge,  preparato  dall'Ispettore  delle  miniere,  in  seguito  ad  invito  del 
Ministero  stesso,  per  ottenere  dal  Parlamento  i  fondi  necessari  al  compi- 
mento e  alla  pubblicazione  della  Carta  geologica  in  grande  scala.  Il  primi- 
tivo progetto  Giordano  era  ancora  informato  ai  principi  generali  della  isti- 
tuzione in  vigore  e,  prendendo  per  base  la  pubblicazione  della  Caiia  alla 
scala  di  1:50.000  entro  un  periodo  di  26  anni,  richiedeva  una  spesa  media 
di  L.  200.000  all'anno,  ossia,  in  totalità,  L.  5.200.000.  Le  proposte  del  Gior- 
dano furono  vivacemente  combattute  dal  prof.  Taramelli,  appoggiato  dallo 
Stoppani,  nel  senso  già  svolto  dallo  Stoppani  stesso  nell'anno  precedente  ;  e, 
naturalmente,  ciò  provocò  una  discussione  non  lieve.  L'on.  Sella,  che  faceva 
parte  del  Comitato,  propose  allora,  per  metter  termine  alla  discussione  e  con- 
siderato che  la  questione  non  era  di  somma  urgenza  e  meritava  veramente 
una  speciale  ponderazione,  che  i  dissidenti  proff.  Stoppani  e  Taramelli  for- 
mulassero e  presentassero  un  contro-progetto. 

In  attesa  della  occasione  per  riprendere  la  importante  discussione,  il 
Comitato  e  T Ufficio  geologico  si  preparavano  con  grande  alacrità  a  fare  de- 
gnamente figurare  al  Congresso  geologico  internazionale,  che  doveva  radu- 
narsi a  Bologna  nel  settembre  1881,  i  lavori  fatti  per  la  grande  Carta. 
Per  tale  Congresso  il  Parlamento  votò,  in  seguito  a  relazione  del  Sella,  un 
concorso  di  L.  40.000.  Il  Congresso  di  Bologna,  sotto  la  presidenza  del  Ca- 
pellini, ebbe  una  riuscita  magnifica,  e  in  esso,  oltre  alla  trattazione,  fatta 
da  sommi  scienziati  di  ogni  parte  del  mondo,  dei  più  alti  argomenti  e  prò- 


28  LUIGI   BALDACCI 


blemi  geologici,  e  specialmente  di  molte  gravi  questioni  rignardanti  la  car- 
tografia geologica,  si  compiè  un  avvenimento  assai  importante  per  lo  svi- 
luppo e  l'incremento  delle  scienze  geologiche  in  Italia,  cioè  la  fondazione 
della  Società  geologica  italiana,  promossa  dagli  illustri  Sella.  Capellini  e 
Giordano.  La  Società  geologica  italiana  vive  da  allora,  sempre  in  ottimo 
accordo  e  in  comunanza  di  intendimenti  col  servizio  della  Carta  geologica, 
di  una  vita  rigogliosa  e  feconda  ;  e  nel  suo  ricercatissimo  Bollettino,  palestra 
scientifica  dei  provetti  e  dei  giovani  geologi,  videro  e  vedono  la  luce  Memorie 
di  grande  importanza  scientifica. 

Nel  Congresso  di  Bologna  era  anche  stata  deliberata  la  formazione  di 
una  grande  Carta  geologica  internazionale  delFEuropa  alla  scala  di  1:1.500.000; 
e  da  allora  in  poi,  fra  i  compiti  del  servizio  della  Carta  geologica,  vi  fu  quello 
di  preparare  gli  elementi  riguardanti  il  nostro  territorio,  ciò  che  dette  luogo 
a  numerose  escursioni  e  ricognizioni  nelle  regioni  geologicamente  meno  co- 
nosciute, in  modo  da  poter  mettere  al  coiTonte  o  migliorare  la  cartina  geo- 
logica alla  scala  di  1 : 1.000.000,  che  era  già  pubblicata  e  che  era  stata 
esposta  al  Congresso  del  1881. 

La  grave  questione  già  sollevata  dai  proff.  Stoppani  e  Taramelli  ri- 
guardo alla  nuova  sistemazione  del  servizio  geologico,  venne  rimessa  allo 
studio  e  in  discussione  nel  marzo  1882,  essendo  stata  portata  dal  Ministero 
davanti  a  una  autorevolissima  commissione  appositamente  convocata,  della 
quale  facevano  parte  naturalmente  i  due  professori  suddetti.  Il  progetto  Stop- 
pani-Taramelli  proponeva  essenzialmente  la  fondazione  di  un  Istituto  resi- 
dente in  Roma,  con  gli  stessi  oneri,  diritti  ed  attribuzioni  delVattuale  Co- 
mitato, ma  costituito  da  un  direttore  generale,  da  dieci  geologi  distinti  in 
tre  classi,  da  un  segretario,  due  disegnatori  e  un  custode,  e  retto  da  un 
Consiglio  formato  dal  direttore  e  dai  tre  geologi  di  prima  classe,  sotto  la 
presidenza  del  Ministro  di  agricoltura.  Il  progetto  venne  esaminato  e  anima- 
tamente discusso  articolo  per  articolo,  addivenendosi  poi,  dopo  tre  giorni  di 
sedute,  di  laboriose  riflessioni  e  di  mutue  concessioni,  a  concretare  il  prò- 
getto  definitivo  da  presentarsi  alla  Camera,  il  quale  venne  ad  essere  una 
fusione  fra  quello  primitivo  del  Giordano  e  quello  Stoppani-Taramelli.  Il 
progetto  redatto  dalla  Commissione,  portava  una  spesa  totale  annuale  di 
L.  212.300,  oltre  a  una  spesa  fissa  di  impianto  di  L.  120.000,  mentre  nel 
progetto  Giordano  primitivo  la  spesa  annua  raggiungeva  L.  240.000,  delle 
quali,  112.000  per  il  personale,  43.000  per  Vindennità  di  campagna  e  trasferte, 
45.000  per  spese  di  stampa,  e  il  rimanente  per  laboratorio  chimico,  colle* 
zioni,  biblioteca,  ecc.  Le  spese  d'impianto  erano  calcolate,  anche  nel  pro- 
getto Giordano,  in  L.  120.000.  Con  tale  sistemazione  la  grande  Carta  geo- 
logica del  Regno  si  sarebbe  potuta  compiere  e  pubblicare,  con  tutte  le  sue 
illustrazioni,  in  18  anni  circa  e  con  una  spesa  totale  di  4  milioni  e  mezzo. 
Le  gravi  condizioni    del  bilancio  dello   Stato   non   permisero   tuttavia  che 


LA    CARTA   GEOLOGICA    d'ITALIA  ^ 

tali  grandiosi  concetti  potessei-o  avere  esecuzione,  e  il  lavoro  continaò  col 
medesimo  sistema  e  con  gli  stessi  organamenti,  e  fortunatamente  con  una 
dotazione  annuale  sufficientemente  larga,  poichò  questa  già  raggiungeva,  nel 
1882,  quasi  92.000  lire. 

Nel  1883  e  nell'anno  successivo,  molto  del  lavoro  dell*  Ufficio  geologico 
fu  dedicato  al  miglioi-amento  della  cartina  d*  insieme,  cui  fu  già  accennato  ;  tiò 
che  portò  la  necessità  di  gran  numero  di  lontane  escursioni,  senza  che  il 
rilevamento  particolareggiato  in  grande  scala  se  ne  potesse  di  molto  avvan- 
taggiare. Ma  già  fin  da  allora  1*  Ufficio  possedeva  un  considerevole  numero  di 
carte  rilevate,  e  cioè  principalmente  la  Sicilia  al  completo  e  l'isola  d'Elba; 
e  si  pensò  ad  iniziare  la  pubblicazione  del  già  fatto,  e  venne  quindi  ini- 
ziata la  pubblicazione  di  alcuni  fogli  della  Sicilia  alla  scala  di  1 :  100.000, 
e  dell*  isola  d*£lba  a  1 :  25.000. 

Per  la  pubblicazione  della  Carta  geologica  della  Sicilia,  l'Ufficio  non 
potè  disporre,  come  carta  topografica  di  base,  che  della  Carta  dell'Istituto 
geografico  alla  scala  di  1:100.000,  la  quale,  per  scopo  di  rappresentazione 
geologica,  essendovi  la  orografia  figurata  con  fitto  tratteggio,  non  si  presta 
molto  felicemente  alla  chiarezza  delle  indicazioni  e  delle  diverse  tinte  geo- 
logiche, specialmente  per  le  parti  montuose  e  dove  la  struttura  geologica  è 
molto  complessa. 

Il  lavoro  di  pubblicazione  della  Carta  della  Sicilia  continuò  tuttavia 
ininterrotto  fino  al  1886,  e  la  Carta  stessa,  la  quale  comprende  28  fogli  e 
5  tavole  di  sezioni,  è  accompagnata  da  una  Memoria  descrittiva  dell'inge- 
gnere Baldacci,  con  la  quale  si  iniziò  una  nuova  serie  di  pubblicazioni  del 
B.  Ufficio  geologico,  e  cioè  la  serie  delle  Memorie  descrittive  della  Carta 
geologica  d'Italia,  serie  che  è  ora  al  suo  XIII  volume. 

Una  parte  speoiale  della  Memoria  descrittiva  della  Sicilia  si  riferisce 
allo  studio  particolareggiato  dei  giacimenti  solfiferi  ed  alle  teorie  sulla  ori- 
gine di  questi  depositi  i  quali  formano  certamente  la  più  importante  risor&a 
mineraria  del  nostro  paese  poiché  se  ne  estraggono  ogni  anno  fra  400.000 
e  500.000  tonnellate  di  solfo,  metalloide  che  costituiva,  sino  a  pochi  anni 
or  sono,  un  vero  monopolio  per  l'Italia  e  particolarmente  per  la  Sicilia.  In- 
fatti, fino  al  1904  circa,  la  produzione  solfifera  italiana  costituiva  circa  i  9 
decimi  di  quella  del  mondo  intero.  Disgraziatamente,  le  circostanze  sono  pro- 
fondamente mutate,  e  la  scoperta  e  la  applicazione  di  ingegnosissimi  metodi 
per  sfruttare  con  mezzi  grandiosi  i  colossali  depositi  di  solfo  della  Luigiana, 
han  fatto  sorgere  contro  la  nostra  industria  un  potentissimo  rivale,  che  già 
seppe  accaparrarsi  il  principale  sbocco  per  i  nostri  solfi,  cioè  quello  degli 
Stati  Uniti  d'America,  dove  si  mandavano  già  poco  meno  di  200.000  ton- 
nellate all'anno,  mentre  ora  la  nostra  esportazione  solfifera  per  quei  paesi 
è  ridotta  quasi  a  nulla. 


30  LUIGI   BALDACCI 


Mercè  il  particolareggiato  rilevamento  esterno  ed  interno  di  tutti  i  gia- 
cimenti solfiferì,  valendosi  anche  degli  elementi  forniti  dalle  lavorazioni  mi- 
nerarie, ring.  Baldacci  arrivò  a  valutare  la  quantità  di  solfo  esistente  in 
Sicilia  in  circa  54  milioni  di  tonnellate  :  e  calcolando  la  parte  già  estratta 
fino  al  1886,  egli  computava  che  vi  si  trovassero  ancora  disponibili  42  mi- 
lioni di  tonnellate  ;  ciò  che  porterebbe,  con  la  produzione  media  degli  ultimi 
decenni,  la  durata  delle  solfare  siciliane  a  una  ottantina  di  anni  da  allora. 
Secondo  altri,  la  valutazione  Baldacci  sarebbe  alquanto  al  di  sotto  del  vero  : 
ma  se  si  pone  mente  alle  difficoltà,  sempre  crescenti,  della  estrazione  del  mi- 
nerale a  misura  che  le  escavazioni  diventano  più  profonde,  è  assai  probabile 
che  la  durata  stabilita  dal  Baldacci  venga  di  pochissimi  anni  sorpassata,  e 
già  fin  d'ora  molti  dei  minori  giacimenti  siciliani  possono  considerarsi  in 
via  di  esaurimento,  mentre  altri,  che  ebbero  già  notevolissima  importanza, 
sono  totalmente  esauriti. 

La  Carta  geologica  dell'  isola  d'Elba  alla  scala  di  1 :  25.000  si  pubbli- 
cava, come  si  disse,  nel  1884,  e  nel  1885  se  ne  fece  una  nuova  edizione  a 
1:50.000;  nell'anno  successivo  venne,  per  cura  dell'Ufficio,  pubblicata  la 
Memoria  descrittiva,  formante  il  voi.  II  della  serie  suaccennata,  e  redatta 
dall'  ing.  Lotti  che  aveva  eseguito  la  maggior  parte  del  rilevamento  del- 
l'isola.  Questa  racchiude,  come  è  noto,  dei  classici  giacimenti  di  ferro,  la  cui 
lavorazione  si  fa  risalire  ad  oltre  tre  mila  anni  addietro,  e  che  fin  dall'epoca 
romana  erano  ritenuti  come  inesauribili;  inoltre,  la  varietà  delle  roccie  da 
cui  r  isola  è  costituita,  dai  principali  tipi  delle  roccie  massiccie  a  quelle 
stratificate,  e  la  abbondanza  di  importanti  minerali  ricercati  dai  musei  di 
tutto  il  mondo,  ne  facevano  un  ben  degno  oggetto  di  uno  studio  particola- 
reggiato. Ma  per  ciò  che  riguarda  l'estensione  e  la  potenzialità  dei  grandi 
giacimenti  ferriferi,  occorrevano  indagini  assai  più  spinte  e  più  minuziose  che 
quelle  ordinarie  geologiche,  e  il  compito  di  valutare  in  grande,  come  già 
era  stato  fatto  per  il  solfo  siciliano,  la  quantità  ancora  disponibile  dei  mine- 
rali di  ferro,  venne  poi  lodevolmente  adempiuto  dal  Fabri  il  quale,  con  una 
Memoria  (voi.  Ili)  pubblicata  dall'Ufficio  geologico  nel  1887,  offriva  un 
completo  studio  geognostico-minerario  di  quei  giacimenti,  che  erano  stati  al 
proposito  esplorati,  sia  con  esattissimi  rilievi  superficiali,  sia  con  una  serie 
di  trivellazioni  per  determinarne  la  potenza.  Dallo  studio  analitico  del  Fabri 
risultò  intanto  che  i  giacimenti  importanti  sono  superficiali  o  possono  riguar- 
darsi  come  tali  rispetto  alla  lavorazione,  la  quale  infatti  si  fa  a  cielo  sco- 
perto in  tutte  le  miniere;  e  la  quantità  esistente  al  1884  venne  valutata 
dal  Fabri  a  circa  8  milioni  di  tonnellate  di  minerale  ripartito  nei  giaci- 
menti di  Rio,  Vigneria,  Rio  Albano,  Terranova  e  Capobianco,  Calamita,  Gi- 
nevre. Si  ritiene  che  fino  a  quella  data  siano  state  estratte  da  quelle  mi- 
niere circa  12  milioni  di  tonnellate,  di  cui  4  milioni  sarebbero  stati  esca- 
vati nel  breve  periodo  di  33  anni  fra  111851  e  il  1884. 


LA   CARTA    GEOLOGICA   d'iTALIA  31 

Il  diligente  studio  del  Fabri  anaimziava  prossimo  resaurimento  delle 
miniere  Elbane  qualora  ne  venissero  estratte  annualmente  400.000  o  più  ton- 
nellate, in  conformità  dei  progetti  che  fin  da  allora  si  erano  ideati.  Era  tuttavia 
probabile  che,  considerata  la  irregolarità  del  fondo  sul  quale  i  minerali  di  ferro 
si  sono  deposti,  non  tutte  le  trivellazioni  fossero  eseguite  in  modo  da  costituire 
delle  serie  atte  a  fornire  una  buona  media  di  potenza  dei  giacimenti.  Se 
ciò  malauguratamente  non  fosse,  Tesaurimento  dei  classici  giacimenti  elbani 
dovrebbe  essere  oramai  non  lontano,  poiché  in  questi  ultimi  anni  Y  impianto 
dei  colossali  altiforni  della  Società  Elba  a  Portoferraio,  di  quelli  di  Piom- 
bino, di  quelli  della  Società  Uva  presso  Napoli,  ha  fatto  salire  Testra- 
zione  del  minerale  deirElba  a  quelle  cifre  già  così  temute  dal  Fabri,  cioè 
a  870.000  tonnellate  nel  1906,  450.000  nel  1907,  472.000  nel  1908;  e 
Taumento  non  accenna  a  fermarsi. 

Dopo  quelle  del  Fabri,  altre  indagini  Airone  fatte  sulla  potenzialità  dei 
giacimenti  ferriferi  elbani,  e  le  più  recenti  si  compierono  nel  1904.  A  quella 
data  si  calcolava,  con  criterii  prudenziali,  il  minerale  in  essi  ancora  racchiuso 
a  circa  7  milioni  e  mezzo  di  tonnellate  ;  detraendo  da  questa  quantità  quella 
estratta  fra  il  1904  e  il  1909  ed  altre  quantità  già  impegnate,  la  pai*te 
ancora  disponibile  sarebbe  stata,  ai  primi  del  1909,  non  molto  più  di  6  mi- 
lioni di  tonnellate. 

È  ancora  da  sperare,  per  l'avvenire  dell*  industria  siderurgica  in  Italia, 
che  qualche  altro  gran  giacimento  ferrifero  di  recente  scoperta,  come  quelli 
del  Messinese,  della  Maremma  Toscana  (Val  d^Àspra,  ecc.),  della  Nurra  in 
provincia  di  Sassari,  mantenga  le  promesse  di  poter  concorrere  ad  alimentare 
con  la  sua  produzione  la  nostra  industria,  alleviando  così  quelli  dell'Elba, 
i  quali  ora  vi  sopperiscono  quasi  per  intero;  anche  i  giacimenti  di  ottimi 
minerali  (magnetite  ed  oligìsto)  di  Gogne  in  Valle  d'Aosta  non  sembravano 
destinati,  almeno  fino  a  questi  ultimi  tempi,  ad  aiutare  in  modo  efBcace  la 
nostra  produzione  ferrifera.  Infatti,  indagini  esterne  appositamente  praticate 
dal  B.  UfScio  geologico  pochi  anni  addietro,  davano  come  massimo  della 
quantità  di  minerale  direttamente  visibile,  sempre  valutata  con  criterio  molto 
prudenziale,  un  milione  circa  di  tonnellate.  Fortunatamente  però,  nel  1904 
e  1905  il  concessionario  del  principal  giacimento  di  Liconi  a  Cogne,  per 
mezzo  di  ricerche  magnetometriche,  potè  riconoscere  che  il  giacimento  stesso 
conteneva  circa  cinque  milioni  di  tonno  di  roccia  mineralizzata.  Tale  cifra 
venne  poi  confeiiuata  con  indagini  dirette,  poiché  una  serie  di  perforazioni  al 
diamante,  appositamente  praticate  nel  1909  e  1910,  dà  come  certa  l'esistenza, 
nelle  viscere  del  monte,  di  quella  ingente  quantità  di  minerale. 

Nel  classico  giacimento  di  Traverselle  si  valuta  che  possa  esser  conte- 
nuto per  circa  un  milione  di  tonnellate  di  magnetite  ;  e  probabilmente  una 
quantità  non  molto  differente  potrà  venire  fornita  dai  filoni  e  banchi  di  si- 
derite, che  si  trovano  in  Lombardia  negli  scisti  permocarboniferi  e  nelle 
arenarie  della  base  del  Trias  (Servino). 


32  LUIGI   BALDACCI 


Dal  1879  in  poi,  e  per  alcuni  anni,  l'assegno  stanziato  annualmente  in 
bilancio  per  il  servizio  della  Carta  geologica  fu  adeguato  allo  scopo  poiché 
si  niantenne  per  un  certo  tempo  fra  80,000  e  circa  92,000  lire.  Nel  1885 
sorpassò  le  lire  100,000,  e  nel  1887  raggiunse  il  suo  massimo  in  lire  1(50,800. 
Da  quell'epoca  in  poi,  esso  fu  ogni  anno  fortemente  diminuito,  finché  nel  1891 
venne  ridotto  a  sole  lire  65,000,  a  55,000  e  50,000  negli  anni  seguenti,  e 
finalmente  a  45,000  nel  1894,  mantenendosi  d'allora  in  poi  sempre  attorno 
a  questa  cifra,  veramente  insufficiente  per  far  procedere,  con  sufficiente  atti- 
vità, di  pari  passo  il  lavoro  di  rile?amento  in  campagna,  con  quelli  di  labo- 
ratorio e  con  le  pubblicazioni. 

Fra  i  lavori  cartografici  di  notevole  importanza,  che  l'Ufficio  potò  produrre 
e  pubblicare  nel  periodo  prospero  delle  sue  finanze,  vi  è  la  carta  geologica 
delle  Alpi  Apuane,  lavoro  per  la  massima  parte  compiuto  dall'ing.  Zaccagna  e 
in  parte  dall'ing.  Lotti  e  A^.  Fossen,  alla  scala  di  1 :  25.000,  su  carta  topo- 
grafica a  curve  orizzontali,  per  quello  scopo  rilevata  dall'Istituto  geografico 
militare.  11  lavoro,  particolareggiatissimo  e  che  rappresenta  fedelmente  la 
complessa  serie  di  terreni  e  la  complicata  disposizione  tettonica  a  pieghe 
ripetute,  caratteristiche  di  quel  gruppo  montuoso,  venne  poi  pubblicato  in  4 
fogli,  alla  scala  di  1 :  50.000,  accompagnati  da  tre  tavole  di  sezioni  geolo- 
giche e  da  un  breve  cenno  riassuntivo  sulla  serie  dei  terreni  e  sui  dati  inte- 
ressanti Tindustria  marmifera.  È  ora  desiderabile  che  un  lavoro  di  così 
grande  mole,  che  occupò  il  suo  principale  autore  per  lunghi  anni  e  che 
presenta  co»l  alto  interesse  scientifico  e  industriale,  tanto  più  nell'attuale 
florido  periodo  dell'industria  marmifera,  possa  fra  breve  venire  illustrato  da 
una  Memoria  descrittiva,  che  tratti  a  fondo  tutte  le  questioni  geologiche  e 
pratiche  riguardanti  la  importante  regione. 

Fu  già  accennato  che  nel  1885  la  somma  per  la  Carta  geologica  sor- 
passò le  100,000  lire,  e  ciò  avvenne  grazie  all'interessamento  del  ministro 
Grimaldi  che  otteneva  in  quell'anno  di  elevare  nel  bilancio  la  somma  su 
detta  e  quella  per  il  B.  Corpo  delle  Miniere:  in  tale  anno  venne  pure  al- 
quanto modificato  l'ordinamento  del  Comitato,  portandone  a  dodici  i  membri 
eletti  e  a  tre  i  membri  dì  diritto,  e  stabilendo  che  i  membri  eletti  duras- 
sero in  carica  due  anni,  si  rinnovassero  per  un  terzo  ogni  anno  e  fossero 
sempre  rieleggibili. 

Nel  1885  stesso  fu  presentata  al  Congresso  geologico  intemazjonale  di 
Berlino  dal  Comitato  e  Ufficio  geologico  la  Carta  completa  d'Italia  allft  8<2ftlft 
di  1 : 1.500.000,  da  servire,  come  fu  detto,  per  la  carta  geologica  interna- 
zionale d'Europa.  Per  ciò  che  riguarda  le  pubblicazioni,  ò  da  squillare  per 
queir  anno  l'inizio,  nel  Bollettino,  della  Bibliografia  geologica  iti^liana,  la 
quale  è  stata  negli  anni  seguenti  proseguita  senza  interruzione,  e  toma  di 
grande  interesse  agli  studiosi.  Fu  anche  deliberato  in  quell'anno  che  il  Ser- 
vizio della  Carta  geologica  sussidiasse  sul   proprio  bilancio  la  Società  geo- 


LA   CARTA   GEOLOGICA   d'iTALIA  33 

logica  con  lire  1000  annue;  il  sussidio  fu  poi  portato  a  lire  1200,  e  poco 
dopo,  per  le  ristrettezze  del  bilancio  stesso,  fu  ridotto  a  lire  500,  e  tale  si 
mantiene  tuttora.  Venne  anche  ampliato  il  servizio  geodinamico  e  staccato  da 
quello  della  Carta  geologica,  istituendolo  a  parte  e  con  appositi  osservatorii, 
dei  quali  i  primi  tre  furono  impiantati  a  Bocca  di  Papa,  ad  Ischia  e 
suir  Etna. 

Già  da  qualche  anno,  un  altro  fatto  importante  si  era  veritìcato  nel- 
Tandamento  del  servizio  della  Carta  geologica,  e  cioè  le  continue  richieste 
che  del  personale  dei  geologi  operatori  —  ormai  provetto  e  addestrato  con 
lunghi  anni  di  osservazione  alla  risoluzione  di  difficili  problemi  di  tectonica,  di 
petrografia,  di  idrologia  —  venivano  fatte  da  vari  Dicasterii  e  particolarmente 
da  quelli  dell* Agricoltura  e  dei  Lavori  Pubblici  per  scopo  pratico  di  opere 
pubbliche  :  come  dire,  sbarramenti  di  corsi  d*acqua  per  la  creazione  di  laghi 
artificiali,  tracciati  di  ferrovie  e  di  strade  ordinarie,  consolidamenti  di  ter- 
reni franosi.  Lo  studio  del  primo  di  questi  problemi,  fatto  principalmente  nel- 
l'Emilia, in  Sicilia  e  in  parte  in  Calabria,  occupò,  durante  tutto  il  1886  e  sul 
principio  dell'anno  seguente,  gran  parte  del  personale  disponibile  dell'Ufficio. 
Lo  scopo  principale  di  tali  indagini  fu,  per  l'Emilia,  duplice:  e  cioè,  in  primo 
luogo,  vòlto  a  ricercare  se  con  lo  sbarramento  di  varii  fra  i  numerosi  torrenti 
che  scendono  dall'Appennino  settentrionale  verso  l'Adriatico,  sarebbe  stato 
possibile,  raccogliendo  e  immagazzinando  l'acqua  delle  forti  piene,  creare  delle 
riserve  capaci  di  alimentare  il  canale  Emiliano  grande  opera  in  progetto; 
in  secondo  luogo,  venire  in  aiuto  all'agricoltura,  trasformando  in  terre  irrigue, 
vaste  estensioni  di  territorio. 

Ma  lo  studio  accurato  di  questo  problema  complesso  dimostrò  che  ben 
poche  erano  le  località  le  quali,  per  ristrettezza  dell'alveo,  per  vicinanza  re- 
ciproca e  solidità  delle  sponde,  si  prestavano  con  sicurezza  alla  costruzione 
di  grandi  dighe  di  sbarramento,  e  che  inoltre  quelle  poche  località  si  trova- 
vano a  grandi  distanze  a  monte  dei  terreni  da  irrigare  o  del  presunto  per- 
corso del  canale  Emiliano  da  alimentare;  e  in  conseguenza,  dal  punto  di 
vista  economico,  essendo  anche  indispensabili  lunghi  canali  da  costiiiirsi  su 
sponde  in  gran  parte  franose,  due  o  tre  soltanto  di  tali  grandi  costruzioni 
avrebbero  potuto,  con  qualche  vantaggio,  essere  eseguite. 

È  tuttavia  assai  probabile,  oggidì  che  oltre  alla  utilizzazione  delle  acque 
per  scopo  agrìcolo  si  fa  grande  assegnamento  sulle  cadute  d'acqua  per  uso 
industriale,  che  qualcuna  di  quelle  grandi  opere  possa  riuscire  economica- 
mente proficua. 

La  ricerca  del  personale  dell'Ufficio  geologico  per  collaborare  nella  so- 
luzione di  grandi  problemi  stradali,  ferroviari  e  costruttivi,  continuò  sin  da 
allora  ininterrotta,  e  può  dirsi  che  non  vi  sia  nel  nostro  Paese  opera  ferro- 
viaria,   stradale  o  idraulica,  costruita  o  progettata   in  questi  ultimi  tempi. 

Luigi  Baldacoi.  ~  La  Carta  fftohp'ca  ttltalta,  3 


34  LUIGI   BALDACCI 


alla  quale  il  personale  della  Carta  geologica  non  abbia  portato  largo  con- 
tributo collo  studio  e  con  la  conoscenza  acquistata  sulle  condizioni  geogno- 
stiche del  territorio  del  Regno. 

Fra  le  questioni  in  particolar  modo  affidate  dal  Governo  al  perso- 
nale suddetto,  chiamato  a  far  parte  delle  apposite  commissioni,  sono  da 
ricordare  quelle  riguardanti  le  condizioni  geologiche  dei  tracciati  e  at- 
traversamento deir Appennino  per  il  gmnde  acquedotto  Pugliese,  e  quelle 
analoghe  per  le  ferrovie  complementari  del  Piemonte  (Cuneo- Ventimiglia), 
deiritalia  Centrale  (Aulla-Lucca,  S.  Arcangelo-Fabriano,  ecc.),  deiritalia  Me- 
ridionale (Lagonegro-Castrovillari,  Cosenza-Nocera,  Cosenza-Paola,  ecc.),  della 
Sicilia  (Castelvetrano-Sciacca-Girgenti,  Girgenti-Naro,  ecc.).  Funzionarii  dello 
stesso  ufficio  fecero  parte  delle  Commissioni  per  lo  studio  geologico  delle 
ferrovie  direttissime  Boma-Napoli,  Bologna-Firenze,  Genova-Milano. 

Per  il  territorio  della  nostra  Colonia  Eritrea  i  primi  rilevamenti  geolo- 
gici vennero  eseguiti  dal  personale  stesso;  e  anche  recentemente  un  funzio- 
nario dell'Ufficio  (Baldacci)  ebbe  incarico  dal  Ministero  degli  Affari  Esteri 
di  visitare  nuovamente  la  Colonia  per  riferire  sui  giacimenti  metalliferi  e 
specialmente  su  quelli  auriferi  ivi  esistenti. 

Dallo  stesso  ingegnere  dell'Ufficio  geologico  venne  visitato  e  studiato  il 
grandioso  giacimento  solfifero  della  Luigiana  (S.  U.  America)  che  ha  ora 
raggiunto  una  produzione  superiore  alla  metà  di  quella  della  Sicilia,  e  che  fa 
negli  Stati  Uniti  grande  concorrenza  ai  nostri  solfi,  in  modo  da  escluderli, 
come  fu  già  accennato,  quasi  completamente  da  queirimportantissimo  mercato. 

Sempre  a  funzionari  del  nostro  Ufficio  vennero  affidati,  sia  dal  Governo, 
sia  da  Comitati  speciali,  gli  studi  sulle  condizioni  geologiche  di  nuovi  pro- 
gettati valichi  attraverso  le  Alpi,  quali  il  Monte  Bianco  e  lo  Spinga.  In- 
carichi privati  poi,  debitamente  autorizzati  dal  governo,  vennero  allo  stesso 
personale  affidati  per  lo  studio  di  problemi  geologico-minerari  nel  Caucaso, 
nella  Russia  Meridionale,  nella  Repubblica  Argentina,  al  Madagascar,  ecc. 

Nel  1887  fu  intrapreso,  sotto  la  direzione  del  Taramelli,  lo  studio  geo- 
gnostico idrografico  della  grande  valle  del  Po,  secondo  un  progetto  presen- 
tato dal  Taramelli  stesso  e  approvato  dal  Comitato;  enei  1888  potendosi 
disporre  di  un  personale  alquanto  più  numeroso,  funzionarono  regolarmente 
cinque  centri  di  rilevamento  aventi  sede  a  Torino  per  le  Alpi  occidentali, 
a  Pisa  per  la  Toscana,  a  Roma  per  questa  provincia  e  limitrofe,  a  Salerno 
per  il  Salernitano  Lucania  e  Puglie,  a  Catanzaro  per  le  Calabrie. 

Nel  1888  venne  compiuto  il  rilevamento  della  Carta  geologico-mineraria 
deiriglesiente  per  opera  degli  ingegneri  del  distretto  minerario  di  Iglesias. 
La  carta,  redatta  sulla  base  di  una  carta  topografica  appositamente  rilevata 
dagli  ingegneri  stessi,  fu  pubblicata  lo  stesso  anno  con  una  importantissima 
Memoria  descrittiva  dovuta  al  compianto   ing.  Zoppi,  e  furono  altresì  pub- 


LA   CARTA   GEOLOGICA   d'iTALIA  35 

blìcati  sei  fogli  comprendenti  la  Campagna  Romana  e  regioni  limitrofe,  come 
continuazione  della  Carta  regolare  iniziata  con  quella  della  Sicilia.  Anche 
per  tale  carta  si  adottò  la  scala  di  1 :  100.000,  che  divenne  cosi  la  scala 
ufficiale  della  grande  Carta  d'Italia;  e  alla  scelta  di  questa  scala,  oltre  alla 
ragione  del  costo  più  proporzionato  ai  mezzi  disponibili  e  alla  maggiore  rapi- 
dità di  pubblicazione,  concorsero  anche  altre  importanti  ragioni,  e  cioè,  la 
possibilità  di  conservare  in  quella  scala  tutte  le  particolarità  della  serie 
dei  terreni,  le  indicazioni  tettoniche  e  tutte  le  altre  occorrenti,  la  maggiore 
comprensività,  e  la  quasi  uniformità  con  le  scale  adottate  da  altri  Stati, 
quali  la  Francia,  TAustria  e  la  Svizzera. 

Nel  1889  il  Servizio  della  Carta  geologica  ebbe  a  subire  la  grave  per- 
dita deirillustre  Meneghini,  che  per  ben  10  anni  era  stato  presidente  del 
Comitato;  e  a  sostituirlo  nella  presidenza  venne  scelto  dal  Ministero,  nel  feb- 
braio di  queir  anno,  il  prof.  Capellini,  che  da  quella  data  fino  ad  oggi  con- 
tinua a  dare  con  alta  intelligenza  e  con  grande  amore  la  sua  opera  preziosa  per 
il  buon  andamento  della  istituzione.  Avendo  in  quell'anno  il  paleontologo  del- 
r Ufficio  geologico,  il  prof.  Canavari,  ottenuto  il  posto  del  compianto  Meneghini 
quale  professore  nella  R.  Università  di  Pisa,  venne  chiamato  a  sostituirlo 
come  paleontologo  del  servizio  della  Carta  geologica  il  valente  dott.  Di  Ste- 
fano, che  tenne  degnamente  quel  posto  e  vi  rese  'eminenti  servigi  fino  a 
questi  ultimi  anni,  in  cui,  in  seguito  alla  mort^  deirillustre  Gemmellaro,  egli 
andò  a  occupare  la  cattedra  di  quest'ultimo  nella  Università  di  Palermo. 

Fra  le  pubblicazioni  di  queir  anno  merita  particolare  menzione  la  nuova 
edizione  della  Carta  geologica  d'Italia  alla  scala  di  1  milionesimo,  che 
rappresentava  e  riassumeva  lo  stato  generale  delle  nostre  conoscenze  sul- 
Targomento  a  qneirepoca;  queste  però,  da  allora  in  poi,  si  sono  grandemente 
estese  in  modo  da  far  sentire  vivamente  il  bisogno  di  una  nuova  Cartina 
generale,  alla  quale  si  potrà  procedere  quando  si  possieda  una  buona  carta 
topografica  di  base,  in  conveniente  scala. 

Nel  1890  i  lavori  proseguirono  regolarmente,  e  fu  terminato  il  rileva- 
mento della  Calabria;  e  fra  le  Memorie  descrittive  vide  la  luce  la  Descri- 
zione geologico-mineraria  della  zona  argentifera  del  Sarrabus  nella  Sar- 
degna orientale,  per  opera  dell'ing.  De  Castro.  Nell'anno  stesso  Ting.  Bal- 
dacci,  addetto  all'Ufficio,  ebbe  incarico  di  mettersi  a  disposizione  del  Co- 
mando militare  della  Colonia  Eritrea;  e  dopo  vari  mesi  trascorsi  in  quella 
regione,  dove  ebbe  campo  di  fare  numerose  escursioni,  pubblicò  nella  serie 
delle  Memorie  descrittive,  nell'anno  successivo,  le  sue  Osservazioni  fatte 
nella  Colonia  Eritrea. 

La  somma  stanziata  per  il  servizio  geologico  —  la  quale,  dalle  161,000 
lire  circa,  raggiunte  nel  1887,  era  dapprima  discesa  per  un  anno  a  140,000  e, 
per  i  due  anni  successivi,  a  120,000  — venne,  nel  Bilancio  del  1891,  d'un 


36  LUIGI    BALDACCl 


colpo,  quasi  dimezzata,  a  causa  delle  critiche  circostanze  in  cui  versava  allora 
la  finanza  italiana,  e  portata  a  65,000  lire;  neiranno  successivo  fu  ridotta  a 
55,000,  poi  a  50,000,  e  da  ultimo  a  45,000  dal  1894  in  avanti  e  fino 
airanno  decorso,  nel  quale  si  potè  ottenere  un  lieve  aumento  di  dotazione, 
da  destinarsi  specialmente  per  le  pubblicazioni. 

Ciò  nondimeno,  grazie  allo  zelo  del  personale  e  alla  circostanza  che  già 
si  erano  compiuti  gli  impianti  necessari  all'andamento  regolare  del  servizio 
(e  cioè  il  laboratorio  chimico-petrografico,  camere  di  studio  convenienti  per  il 
personale,  sistemazione  della  biblioteca  e  delle  collezioni,  le  quali  ora  com- 
prendono, oltre  a  una  vasta  raccolta  di  roccie  e  di  fossili  a  documentazione 
della  parte  finora  compiuta  della  Carta  geologica,  ed  a  una  buona  collezione 
di  minerali,  una  raccolta  di  materiali  italiani  edilizi  e  di  (ornamento  formata 
da  splendidi  campioni  squadrati  e  levigati  di  roccie  provenienti  da  monu- 
menti romani  e  da  ogni  parte  del  mondo),  i  lavori,  specialmente  quelli  di 
rilevamento,  continuaiono  sempre  in  modo  regolare.  La  ristrettezza  estrema 
del  bilancio  impedì,  tuttavia,  che  si  procedesse  di  pari  passo  con  le  pubbli- 
cazioni, in  modo  che  da  quegli  anni  fino  ad  oggi  si  andò  accumulando  negli 
archivii  dell'Ufficio  un  ingente  materiale  cartografico,  alla  cui  pubblicazione 
si  può  ora  soltanto  incominciare  ad  attendere  con  una  certa  attività. 

E  qui  verrebbe  opportuno  un  confronto  fra  le  somme  stanziate  dal  1891 
in  poi  per  il  nostro  servizio  geologico,  e  quelle  che  altri  Stati,  fra  cui  non 
ultimi  il  Giappone,  il  Messico,  le  Colonie  Australiane,  dedicano  a  questo 
lavoro  veramente  fondamentale  per  la  economia  di  un  paese.  Tale  confronto, 
che  fu  fatto  altre  volte,  sarebbe  tuttavia  doloroso,  ed  ora  giova  solo  sperare 
che  le  condizioni  finanziarie  dello  Stato  permettano  di  tornare  a  una  dotazione 
sufficiente  alla  regolare  continuazione  dei  rilevamenti  ed  alla  loro  pubblicazione. 

Gravissima  perdita  ebbe  a  soffrire  l'istituzione  della  Carta  geologica 
d'Italia  con  la  morte  deirispettore  Giordano,  avvenuta  nel  1892.  A  lui  suc- 
cesse l'ispettore  Pollati  il  quale  tenne  il  posto  di  direttore  del  servizio  geo- 
logico fino  alla  sua  morte,  avvenuta  nel  1907.  È  qui  doveroso  ricordare  che 
ambedue  consacrarono  per  lunghi  anni  tutte  le  forze  del  loro  ingegno  e  tutta 
la  tenacità  dei  loro  propositi  alla  direzione  e  alla  buona  riuscita  del  lavoro  ;  e 
tale  opera  deve  essere  oggi  in  modo  particolare  ricordata  ed  affermata,  mentre 
il  loro  degno  successore,  l'ispettore  superiore  Mazzuoli,  con  non  minore  serietà 
di  intenti  e  di  propositi  volge  i  suoi  sfoi-zi  alla  continuazione  del  lavoro,  che 
ormai  può  fortunatamente  dirsi  molto  avanzato.  Ed  è  giustizia  ricordare  ora 
anche  l'opera  indefessa  dell'ing.  Zezi,  egli  pure  Ispettore  superiore  del  R.  Corpo 
delle  Miniere,  il  quale  fino  dai  primordi  della  grande  intrapresa,  e  per  ben 
quaranta  anni  di  seguito,  ebbe  la  effettiva  direzione  dell'Ufficio  geologico, 
che,  dapprima,  come  si  vide,  assai  modesto,  è  assurto  in  questi  ultimi  tempi 
a  notevole  importanza,  sia  pel  numeroso  personale,  sia  per  la  molteplicità 


LA   CARTA   GEOLOGICA   d'iTALIA  37 

delle  pubblicazioni  e  delle  svariate  mansioni  cui  occorre  attendere.  A  questa 
opera  paziente,  costante,  e  spesso  di£Bcile  e  ingrata,  egli  dedicò  gran  parte 
della  sua  vita  di  funzionario,  trovando  tuttavia  un  valido  aiuto  nel  com- 
pianto ing.  Sormani,  il  quale  pure  aveva  consacrato  tutto  se  stesso  al  buon 
andamento  dei  diversi  servìzi  dell' UfBcio  geologico. 

Negli  anni  che  seguirono  il  1892,  ebbero  grande  impulso  i  lavori  di 
rilevamento  delle  Alpi  occidentali,  le  quali  sono  ora  in  modo  particolare  ri- 
levate per  tutta  la  cerchia  fra  il  mare  e  il  lago  Maggiore. 

Prima  di  incominciare  il  rilevamento  regolare  delle  Alpi  occidentali, 
queste  ultime  erano  state  lungamente  studiate  dal  Gastaldi,  dal  Baretti,  e  in 
parte  dal  Sella  e  dal  Berruti,  e  per  vari  anni  Ting.  Zaccagna  del  B.  Ufficio 
geologico  le  aveva  esplorate  a  fondo,  e,  attenendosi  alla  serie  dei  terreni  sta- 
bilita dal  Gastaldi,  ne  aveva  in  particolare  maniera  rilevate  varie  regioni,  in 
modo  da  poter  già  presentare  nel  1887  una  cartina  geologica  generale  eoa 
uimiierose  sezioni,  gettando  le  prime  basi  per  il  rilevamento  sistematico. 

Col  rilevamento  regolare  si  trovò  tuttavia  che,  in  seguito  a  scoperte  di 
fossili  secondari  (triasici  e  liasici)  fatte  dairing.  Franchi,  dapprima  in  Val 
Grana,  poi  dallo  stesso  ingegnere  e  dai  suoi  colleghi  in  altre  parti  delle  Alpi 
nella  grande  formazione  dei  calcescisti  con  pietre  verdi  {Zona  delle  Pietre 
Verdi  del  Gastaldi),  gran  parte  di  detta  formazione  doveva  considerai-si  noni 
più  come  arcaica  secondo  i  primi  autori  (Gastaldi,  Baretti,  Zaccagna),  ma. 
come  secondaria.  Questa  assegnazione  al  secondario  di  un  potente  terreno, 
che  occupa  tanta  parte  della  catena  Alpina,  non  è  tuttavia  ancora  accettata 
dello  Zaccagna,  ed  è  questo  uno  dei  grandi  problemi  per  i  quali,  dovendosi 
fra  breve  addivenire,  come  si  vedrà  in  seguito,  alla  pubblicazione  dei  fogli 
a  1 :  100.000  della  Carta  delle  Alpi,  il  B.  Comitato  geologico  ebbe  recente- 
mente a  pronunziarsi,  adottando  la  determinazione  del  Franchi. 

Fu  proseguito  e  condotto  a  termine  il  rilevamento  della  Basilicata* 
in  prosecuzione  a  quello  della  Calabria,  che  era  stato  pubblicato  in  20 
fogli  con  tre  tavole  di  sezioni  geologiche  e  che  venne  presto  seguito  da 
una  importantissima  Memoria  descrittiva,  opera  dell*  ing.  Cortese.  Proce-^ 
deva  pure  regolarmente  il  rilevamento  dellltalia  centrale  e  particolarmente' 
della  Toscana  e  regioni  limitrofe;  e  in  attesa  di  poter  pubblicare  una  Me:- 
moria  descrittiva  generale,  Ving.  Lotti  preparava  frattanto  una  descrizione 
geologico- mineraria  dei  dintorni  di  Massa  Marittima,  accompagnata  da  una 
particolareggiata  carta  geologica,  la  quale  forma  una  ottima  illustrazione  di 
queir  importante  campo  minerario,  già  celebre  fino  da  alta  antichità  per  la 
sua  produzione  metallifera  e  per  i  suoi  ordinamenti  di  diritto  minerario. 
Neiritalìa  meridionale  si  lavorava  intanto  con  attività  ai  rilevamenti  geolo- 
gici della. Lucania,  del  Salernitano,  deirAvellinese,  delle  provincie  di  Bene* 
vento  e  Campobasso  e  delle  Puglie.  Quei  rilevamenti  potevano  dirsi  termi- 
nati fino  dal  1893;  ma,  per  le  ristrettezze  finanziarie,  non  fu  possibile  pen- 


88  LUIGI   BALDACCI 


sare  subito  alla  loro  pubblicazione,  alla  quale  fu  proceduto  soltanto  in  questi 
ultimi  tempi. 

Neirinteressantissimo  e  classico  gruppo  vulcanico  laziale  fu  pure  ini- 
ziato un  particolareggiato  studio  e  rilevamento  geologico,  con  riguardo  alle 
importanti  varietà  di  roccie  vulcaniche,  per  opera  delVing.  Sabatini  ;  il  quale 
aveva  già  studiato  col  Cortese  le  Isole  Eolie,  su  cui  pubblicava  insieme 
con  ring,  suddetto  una  Memoria  descrittiva.  L*ing.  Sabatini  pubblicò  più  tardi 
la  descrizione  geologica  del  Vulcano  Laziale,  e  intraprese  quindi  lo  studio 
dei  non  meno  importanti  gruppi  vulcanici  dei  Gimini,  Sabatini  e  Vulsinii, 
del  quale  ultimo  gruppo  si  possedeva  già  una  buona  carta  geologica  con  rela- 
tivo testo  descrittivo,  per  opera  del  sig.  Moderni  del  R.  Ufficio  geologico. 

Una  questione  che  fu  più  volte  dibattuta  non  solo  in  seno  al  Comitato 
geologico  ma  anche  da  altre  istituzioni  e  dal  pubblico  stesso,  fu  quella  di 
iniziare  anche  nel  nostro  Paese  una  Carta  ufficiale  geognostico-agronomica,  a 
somiglianza  di  ciò  che  si  fa  da  altri  progrediti  Stati,  e  di  affidarne  la  ese- 
cuzione al  servizio  della  Carta  geologica.  Allo  scopo  di  farsi  un  concetto 
preciso  della  applicabilità  della  proposta  e  degli  ordinamenti  nuovi  ai  quali 
sarebbe  stato  necessario  ricorrere,  tanto  per  il  personale  quanto  per  i  laboratori 
«  altri  impianti,  venne  fatto  dal  Comitato  geologico  un  esperimento  diretto, 
affidando  all'ing.  Stella  deirUfficio  geologico  Tincarìco  di  compiere,  d'accordo 
con  l'Ispezione  forestale  e  con  la  Stazione  i^raria  di  Padova,  uno  zitudio  geo- 
gnostico*agrario  del  territorio  del  Montello  in  provincia  di  Treviso. 

Questo  studio  venne  lodevolmente  compiuto  dallo  Stella  e  reso  di  pub- 
blica ragione  in  un  volume  delle  Memorie  descrittive,  accompagnato  da  una 
Carta  geognostico-agraria.  Da  questo  esperimento  risultò  tuttavia  la  profonda 
differenza  neirindole  dei  lavori,  cioè  tra  la  preparazione  di  una  Carta  geologica 
generale  e  quella  di  una  Carta  agronomica,  e  la  necessità,  se  si  voglia  affidare 
al  servizio  della  Carta  geologica  anche  questo  altro  incarico,  di  ampliare  no- 
tevolmente il  personale,  aggiungendovi  funzionari  educati  a  speciali  ricerche 
chimico-agrarie  e  botaniche,  e  dotandolo  inoltre  di  un  laboratorio  per  le  ri- 
cerche fisico-chimiche,  analogo  a  quello  delllstituto  Pediologico  di  Berlino 
0  ad  altre  simili  istituzioni. 

Nò  conviene  nascondersi  quanto  naggiori  siano  le  difficoltà  della  forma- 
zione di  una  simile  carta,  la  quale  dovrebbe  essere  redatta  a  una  scala  non 
minore  di  1 :  25.000,  per  un  paese  quale  l'Italia,  in  gran  parte  montuoso, 
con  grandissima  varietà  di  terreni,  di  clima,  di  cultura,  in  confronto  di  ciò 
che  tale  lavoro  richiede  per  paesi  largamente  pianeggianti,  uniformi  per  com- 
posizione di  terreni  e  per  coltivazioni. 

La  Carta  geologica  in  grande  scala  può  tuttavia  servire  come  utilissima 
base  per  la  eventuale  formazione  di  carte  geognostico-agrarie  limitate  a  qualche 
regione,  alla  quale  si  riconosca  uno  speciale  interesse  agricolo:  e,  certo,  il 
problema,  posto  sotto  questa  forma,  presenta  dei  lati  di  più  fietcile  soluzione, 


LA   CARTA   GEOLOGICA   d'iTALIA  ^^ 

potendo  noi  valerci,  oltreché  eventualmente  dello  oramai  scarso  personale  del 
Servizio  geologico,  anche  deiraiuto  delle  stazioni  agrarie,  per  le  indispensabili 
analisi  dei  terreni. 

Dal  lato  finanziario  poi  è  evidente  che  alla  spesa  di  simili  lavori,  pos- 
sibili soltanto  per  certe  parti  speciali  delle  varie  Provincie  del  Regno,  do- 
vrebbero concorrere  le  Provincie  stesse,  i  Comizi  agrarii,  e  spesso  anche  i 
Comuni  e  le  grandi  aziende  agricole. 

Era  stata  già  compiuta,  come  più  sopra  fu  detto,  una  sommaria  valuta- 
zione della  quantità  ancora  disponibile  di  due  fra  i  principali  cespiti  della 
nostra  industria  mineraria,  cioè  del  solfo  siciliano  e  del  minerale  di  ferro 
dell'Elba,  e  si  erano  eseguiti  accurati  studi  geologico-minerari  su  altre  ma- 
terie estrattive,  quali  i  marmi  delle  Alpi  Apuane,  i  minerali  di  ferro  della 
Valle  d*Aosta,  i  minerali  di  rame,  di  mercurio  e  altri  della  Toscana,  e  quelli 
di  argento  piombo  e  zinco  della  Sardegna.  Fu  quindi  riconosciuta  la  neces- 
sità di  praticare  analoghe  indagini  sui  giacimenti  di  combustibili  fossili 
della  Valle  d* Aosta,  dai  quali  si  riteneva  potersi  ricavare  un  aiuto  per  le 
nostre  industrie,  assai  più  efficace  di  quello  che  sinora  se  ne  otteneva,  man- 
tenendosi le  escavazioni  di  quelle  antraciti  entro  ristrettissimi  limiti.  Non  è 
qui  il  caso  di  ripetere  come  gran  parte  della  inferiorità  del  nostro  Paese  nel 
campo  industriale,  sia  dovuta  alla  scarsità  di  combustibili  fossili  nel  nostro  sot- 
tosuolo. Come  è  noto,  i  principali  giacimenti  di  combustibili  fossili  in  Italia  sono 
oi-a  quelli  della  Toscana  e  dell'Umbria,  cioè  le  ligniti  picee  mioceniche  della 
Maremma  e  quelle  analoghe  del  territorio  di  Spoleto,  e  quelle  plioceniche, 
xiloidi,  del  Valdarno  Superiore,  oltre  a  qualche  giacimento  nel  Veneto  e  ad 
altri  in  Calabria  ;  questi  ultimi  attualmente  non  lavorati.  QuSiPtunque  da  tali 
giacimenti  si  estraggano  annualmente  qualche  centinaio  di  migliaia  di  ton- 
nellate di  combustibile,  tale  quantità  è  tuttavia  insignificantissima  di  fronte 
ai  sempre  crescenti  bisogni  delle  nostre  giovani  industrie  e  nonostante  la 
sempre  più  larga  utilizzazione  delle  energie  fornite  dalle  acque  dei  nostri 
fiumi  e  torrenti,  e  in  paragone  della  enorme  quantità  di  carbone  che  si  è  an- 
nualmente obbligati  ad  importare  dai  paesi  di  noi  più  fortunati. 

Le  più  insistenti  ricerche  praticate  in  ogni  angolo  del  nostro  territorio 
per  scoprire  qualche  giacimento  di  litantrace,  se  pure  hanno  provato  in  molte 
parti,  specialmente  nelle  Alpi,  la  esistenza  di  vari  estesi  affioramenti  di  ter- 
reno della  epoca  carbouifera,  fecero  tuttavia  constatare  che  solo  in  pochissimi 
di  essi  si  trovano  materie  carboniose  di  qualche  utilità  per  la  industria,  quali 
le  gratìti  delle  Alpi  occidentali  o  i  giacimenti  di  antracite  di  La  Thuile  e 
di  altre  non  lontane  località  nella  Valle  d'Aosta. 

Di  compiere  lo  studio  di  questi  ultimi  giacimenti  ebbero  incarico  gli 
ingegneri  occupati  nel  rilevamento  geologico  delle  Alpi,  e  i  risultati  delle  loro 
ricerche  sono  consegnati  nel  volume  XII  delle  Memorie  descrittive,  dal  titolo 
Studio  geologico-minerario  sui  giacimenti  di  antracite  delle  Alpi  occiden- 


40  _  LUIGI   BALDACCI 


tali  italiane.  In  tali  giacimenti  assolutamente  analoghi  a  quelli  della  Savoia 
e  del  Delfinato,  quantunque  di  questi  assai  meno  importanti,  si  calcola  che 
siano  racchiuse  poco  più  di  un  milione  di  tonnellate  di  mediocre  antracite. 
Pur  troppo,  gran  parte  di  questa  è  di  tale  qualità  da  non  poter  sopportare 
forti  spese  di  trasporto,  in  modo  che  sarà  solo  utilizzabile  per  piccole  in- 
dustrie locali. 

Finalmente,  essendo  ormai  già  pubblicata  per  la  massima  parte  la  Carta 
geologica  della  Toscana  (13  fogli  a  1 :  100.000),  1  ing.  Lotti,  che  ne  fu  il 
principale  autore,  la  accompagnò  recentemente  con  una  elaborata  descrizione 
geologica,  la  quale  forma  il  volume  XIII  (e  per  ora  Tultimo)  della  serie 
delle  Memorie  descrittive. 

Fra  le  pubblicazioni  cartografiche  di  questi  ultimi  tempi  merita  un 
cenno  particolare  quella,  avvenuta  nel  1908,  della  Carta  geologica  delle  Alpi 
occidentali  alla  scala  di  1 :  400.000.  Questa  carta,  ridotta  dalle  minute  di 
campagna  per  la  massima  parte  a  1 :  25.000,  presentò,  sia  per  il  disegno  ori- 
ginale che  per  la  riproduzione,  grandissime  difficoltà,  le  quali  vennero  molto 
abilmente  superate.  Essa  presenta,  sotto  forma  riassuntiva  e  sintetica,  i  risul- 
tati di  più  che  25  anni  di  assiduo  lavoro  per  parte  di  cinque  ingegneri  del- 
r Ufficio  geologico  (Zaccagna,  Mattìrolo,  Novarese,  Franchi,  Stella),  e  fornisce 
chiare  indicazioni  sulla  struttura  geologica  di  una  gran  parte  della  cerchia 
alpina,  cioè  di  quella  compresa  fra  le  Alpi  Liguri  e  il  Lago  Maggiore. 

L*  Ufficio  stesso  sta  ora  preparando,  come  già  fu  accennato,  la  pubblica- 
zione di  5  fogli  delle  Alpi  occidentali,  alla  scala  di  1 :  50.000,  mentre  della 
Carta  geologica  dell'Italia  meridionale,  in  prosecuzione  di  quella  della  Lu- 
cania, è  molto  avanzata  la  pubblicazione  e  si  sta  per  iniziare  quella  della 
Carta  dell'Umbria  rilevata  dalVing.  Lotti. 

Il  volume  XIV  delle  Memorie  descrittive,  esso  pure  in  corso  di  prepa- 
razione, conterrà  la  descrizione  dei  Vulcani  Cimini  ;  e  la  II*  parte  del  vo- 
lume V  delle  Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  geologica, 
conterrà  un  interessante  studio  del  dott.  Prever  sui  fossili  della  Valle  del- 
TAniene.  Del  Bollettino  del  R.  Comitato  geologico  si  è  frattanto  incomin- 
ciata la  pubblicazione  della  serie  V^  col  voi.  XLI. 

Airinizio  del  1911,  dei  286.682  chilometri  quadrati  costituenti  la  super- 
ficie del  Regno  d'Italia,  comprese  le  isole,  erano  interamente  rilevati,  alla 
scala  di  1 :  50,000  e  di  1 :  25,000  (su  carte  rilevate  direttamente  a  quest'ul- 
tima scala  0  ingrandite  con  la  fotografia),  circa  201.000  chilometri  qua- 
drati, nei  quali  si  comprendono  la  Sicilia,  la  Calabria,  la  Lucania,  le  Puglie 
(compreso  il  Gargano),  il  Salernitano  e  l'Avellinese,  la  Campania,  gran  parte 
dell'Abruzzo,  la  provincia  di  Roma,  gran  parte  dell'Umbria,  parte  delle 
Marche,  quasi  tutta  la  Toscana  (di  cui  manca  solo  la  parte  del  versante  orien- 
tale dell'Appennino),  l'isola  d'Elba  e  altre  isole  toscane  (meno  Montecristo), 
le  Alpi  Apuane,  parte  della  Liguria  orientale  e  per  intero  quella  occidentale, 


LA   CARTA    GEOLOGICA   d'ITALIA  41 

le  Alpi  occidentali  fino  al  Lago  Maggiore;  e,  infine,  tutta  la  parte  pianeggiante, 
colmata  da  depositi  quaternari  e  alluvionali,  della  grande  Vallata  del  Po  e 
suoi  affluenti. 

Di  questa  superficie  erano  già  pubblicati  a  queir  epoca  85.384  kmq.,  ed 
erano  in  corso  di  pubblicazione  circa  5000  kmq.,  mentre  altri  20.000  kmq. 
circa  si  trovavano  in  corso  di  rilevamento. 

Rimangono  ora  da  rìlevare  le  Alpi  centrali,  di  cui  fu  già  da  qualche  anno 
iniziato  lo  studio  ;  le  Alpi  Venete,  per  le  quali  da  due  anni  venne  affidato 
lo  studio  geologico,  avvalendosi  di  una  facoltà  data  dai  regolamenti  al  B.  Co- 
mitato e  alla  direzione  del  Servizio,  a  tre  valenti  geologi  (Dal  Piaz,  Vinassa 
e  Oortanì)  i  quali  già  da  tempo  andavano  illustrando  con  importanti  ricerche 
e  pubblicazioni  quelle  regioni  ;  parte  della  Liguria  orientale,  parte  dell*  Appen- 
nino settentrionale  e  centrale,  parte  delle  Marche  e  dell*  Umbria.  Nella  re- 
gione emiliana  dell* Appennino  settentrionale  venne,  inoltre,  testò  compiuto  un 
particolareggiato  studio  di  indole  tecnica,  per  opera  degli  ingegneri  del  Di- 
stretto minerario  di  Bologna,  specialmente  in  vista  di  indirizzare  razional- 
mente le  ricerche  per  i  petrolii,  dei  quali  quelle  regioni  contengono  nel  sotto- 
suolo profondo  importanti  giacimenti. 

Tutti  i  rilevamenti  vengono,  dalle  minute  di  campagna,  riportati  in  bella 
copia  nell'Ufficio  geologico  e  conseiTati  negli  archivi,  per  la  successiva  pub- 
blicazione, oppure  per  metterli  eventualmente  a  disposizione  di  uffici  pubblici 
e  talvolta  anche  di  privati  per  studi  che  abbiano  bisogno  di  basarsi  sulla  co- 
noscenza della  struttura  geologica  di  una  data  regione. 

Della  Carta  geologica  del  Begno  alla  scala  di  1 :  100.000  sono  ora 
pubblicate  le  seguenti  regioni  :  Sicilia  in  28  fogli  e  5  tavole  di  sezioni,  Ca- 
labria in  20  fogli  e  3  tavole  di  sezioni,  Puglie  in  16  fogli,  Lucania  e  Cam- 
pania in  12  fogli  con  3  tavole,  Campagna  romana  in  6  fogli  con  1  tavola, 
Toscana  in  1 5  fogli  con  due  tavole  di  sezioni  ;  oltre  a  queste,  si  pubblicò  la 
carta  dei  Vulcani  Vulsinii  alla  scala  di  1  IpIOO.OOO,  con  testo  illustrativo,  e 
quella  del  Vulcano  Laziale  a  1  ;  75.000  accompagnante  la  Memoria  descrit- 
tiva di  quel  gruppo. 

Di  carte  pubblicate  in  scale  differenti,  si  hanno:  quella  delle  Alpi  Apuane 
alla  scala  di  1 :  50.000  con  3  grandi  tavole  di  sezioni,  quelle  deirisola  d'Elba 
a  1 :  25.000  e  1 :  50.000,  la  Carta  geologico-mineraria  dell' Iglesiente  e  quella 
del  Sarrabus  a  1 :  50.000,  le  carte  geologiche  riassuntive  della  Calabria  e 
della  Sicilia  a  1 :  500.000,  la  Carta  geologica  delle  Alpi  occidentali  fra  il 
mar  Ligure  e  il  lago  Maggiore  a  1 :  400.000,  la  cartina  geologica  generale 
d'Italia  a  1  milionesimo. 

Il  Bollettino  del  R.  Comitato  geologico  ha  ora  iniziato,  come  fu  già 
detto,  col  voi.  XLI  la  sua  V  serie;  delle  Memorie  per  servire  alla  descri- 
zione della  Carta  geologica^  si  ò  pubblicato  testò  il  V  volume  (in  4"^  grande)  ; 
delle  Memorie  descrittioe  è  in  corso  di  stampa  il  XIV  volume  (in  8°  grande). 


^^  LUIGI  BALDAGCI 


Ed  om,  riassnmoDdo  in  brevi  parole  tutto  quanto  venne  sinora  esposto» 
e  riandando  con  la  mente  il  lavoro  compiuto,  che  può  considerarsi  come  assai 
vasto  in  proporzione  dei  mezzi  impiegati,  i  quali,  specialmente  airinizio  della 
istituzione  e  in  questi  ultimi  anni  (1891  e  segg.),  devono  riconoscersi  come 
appena  sufScienti  per  conservare  alla  istituzione  stessa  una  vita  stentata, 
vediamo  che  il  servizio  della  Carta  geologica  del  Begno  è  passato  per  le 
diverse  fasi  di  preparazione  generale,  di  istituzione  di  un  primo  Comitato 
geologico  in  Firenze,  di  inizio  delle  pubblicazioni  delle  Memorie  e  del  Bollet- 
tino, di  successive  modificazioni  negli  ordinamenti  del  B.  Comitato  geolo- 
gico, al  quale  viene  assegnata  una  funzione  consultiva  e  di  alta  direzione 
scientifica,  mentre  la  esecuzione  del  lavoro  effettivo  di  formazione  della  Carta 
geologica  viene  definitivamente  assegnata  al  B.  Corpo  delle  Miniere  ;  trasferi- 
mento del  Comitato  a  Boma,  preparazione  del  personale  operatore,  e,  finalmente, 
inizio  dei  lavori  regolari  di  rilevamento  neM877.  Da  queiranno  in  poi  si 
ebbero  solo  parziali  modificazioni  negli  ordinamenti  interni  del  Comitato  e 
quelle  indispensabili  variazioni  dipendenti  dalle  destinazioni  del  personale, 
che  non  tutto  si  trova  disposto  ad  accettare  i  disagi,  le  fatiche  e  anche  le 
maggiori  spese  della  vita  di  campagna  in  cambio  delle  attrattive  deirinse- 
gnamento  universitario  o  della  regolarità  e  comodità  di  mansioni  più  seden- 
tarie ;  ma  il  lavoro  continuò  ininterrottamente,  sia  per  i  rilevamenti  che  per 
le  pubblicazioni,  e  ne  fa  fede  la  ingente  opera  finora  compiuta,  nonostante 
le  varie  difBcoltà  spesso  assai  serie,  cui  fu  accennato,  e  che  non  è  ora  il 
caso  di  ripetere. 

Attualmente  l'UfScio  geologico  ancor  si  dibatte  fra  le  strettezze  dipendenti 
dalla  scarsità  in  cui  è  ormai  ridotto  il  suo  personale,  non  solo  per  il  numero, 
ma  anche  perchè  i  lunghi  anni  di  fatiche  e  disagi  non  indifferenti  vanno  sempre 
più  logorando  anche  i  meglio  dotati  da  natura  per  resistervi,  mentre  le  ristret- 
tezze di  bilancio  dal  1891  in  poi  impedirono  che  il  personale  stesso  venisse 
con  venientemente  rinsanguato  con  giovani  elementi. 

Biguardo  all'opera  del  Comitato  e  dell'UfScio  geologico,  della  quale  si 
è  dimostrata  finora  la  vastità  della  mole,  si  può  ben  affermare  che  essa, 
oltre  che  allo  sviluppo  di  un  servizio  di  Stato,  indispensabile  per  un  Governo 
bene  ordinato,  ha  portato  un  largo  contributo  allo  incremento  delle  nostre  co- 
gnizioni scientifiche  sulla  costituzione  geologica  del  nostro  Paese  e  alla 
geologia  in  generale.  Agli  albori  del  nuovo  Begno,  tolto,  come  si  vide,  qualche 
lodevole  tentativo  di  studio  geologico  di  poche  e  limitate  regioni  italiane, 
la  stnittura  geologica  generale  del  nostro  territorio  era  ancora  una  grande 
incognita,  mentre,  oggidì,  anche  le  parti  alle  quali  il  rilevamento  geologico 


LA  CARTA  GEOLOGICA   DÌTALIA  ^ 

dettagliato  non  venne  sinora  esteso,  sono  perfettamente  conosciute  nella  loro 
fondamentale  struttura. 

E  mi  sia  permesso  terminare  questo  imperfetto  cenno  sul  nostro  Servizio 
geologico,  col  fervido  augurio  che,  migliorando  sempre  più  le  condizioni  del  bi- 
lancio dello  Stato,  anche  questa  istituzione,  di  cui  fu  dimostrata  tutta  la  im- 
portanza per  la  economia  nazionale,  abbia  da  ricevere  un  novello  impulso  e  un 
conveniente  sviluppo,  in  modo  che  la  grande  Carta  geologica  d'Italia,  oramai 
così  avanzata,  possa  in  breve  vedersi  compiuta  e  contribuisca  per  la  sua 
parte  a  conservare  al  nostro  Paese  un  degno  posto  fra  le  più  progredite 
nazioni. 

Luigi  Baldacci 

Ispettore  laperiort  nel  Cerpo  Reale  delle  Miniere. 


44  LUIGI   BALDACCI 


APPENDICE 


PUBBLICAZIONI  RIGUARDANTI  L'ARGOMENTO. 

Atti  della  terza  riunione  degli  Scienziati  italiani,  tenuta  in  Firenze  nel  settembre  1841. 
Firenze,  tip.  Galileiana,  1841. 

Sella  Q.,  Sul  modo  di  fare  la  Carta  geologica  del  Regno  d'Italia,  Atti  della  Società 
italiana  di  Scienze  naturali.  Milano,  1862. 

Cocchi  I.,  Introduzione  al    Voi.  I  delle  u  Memorie  per  servire  alla  descrittone  della 

Carta  Geologica  d^ Italia  ».  Firenze,  1871. 
Id.,  Introduzione  al   Voi.  II  delle  vi  Memorie  e.  s.».  Firenze,  1878. 

Zezi  P.,  C$nn%  intomo  'ai  lavori  per  la  Carta  geologica  d'Italia  in  grande  scala, 
Roma,  1875. 

Giordano  F.,  Cenni  sulV organizzazione  e  sui  lavori  degli  Istituti  geologici  esistenti 

nei  vari  paesi»  Roma,  1881. 
Id.,  Appunti  sovra  un  progetto  di  legge  pel  compimento  della  Carta  geologica.  Roma,  1882. 

CoMMissioNB  per  il  progetto  di  legge  sulla  Carta  geologica.  Verbali  delle  sedute  6,  7, 
8  marzo  1882.  Bollettino  R.  Comitato  geologico,  anno  1882,  nn.  8-4.  Roma,  1882« 

Seduta  del  80  gennaio  1888  alla  Camera  dei  Deputati.  Gap.  88.  Carta  geologica  d'Italia, 
Gazzetta  Ufficiale.  Roma,  1888. 

Cermenati  M.,  //  R.  Comitato  geologico  d'Italia.  Brevi  cenni  di  cronaca.  Rassegna 
delle  Scienze  Geologiche  in  Italia,  anno  I,  yol.  I.  Roma,  1891. 

Zezi  P.,  Notizie  sul  Servizio  della  Carta  geologica  d'Italia,  compilate  per  cura  del 
R.  Ufficio  geologico.  Estratto  dal  Catalogo  della  Bfostra  fatta  dal  ministero  di 
agricoltura  alPEsposizione  Nazionale  di  Palermo  nel  1891-92.  Roma,  1892. 

De  Stefani  C.,  La  Carta  geologica  in  Italia,  e  lo  Stato.  Atti  della  R.  Accademia  dei 
Georgofili.  Firenze,  1898. 

Pellati  N.,  Sulla  formazione  e  pubblicazione  della  Carta  geologica  del  Regno.  Atti 
del  secondo  Congresso  geografico  italiano.  Roma,  1895. 

Baldacci  L.,  La  Carta  geologica  d'Italia.  Atti  della  Società  Ligustica  di  Scienze  natu<» 
rali.  Genova,  1907. 


LA   CABTA   GEOLOGICA   D*1TALIA  ^^ 


PUBBLICAZIONI  DEL  E.  UFFICIO  GEOLOGICO 

(Dicembre  1910) 


IL.IBRI 


Bollettino  del  R.  Comitato  geologico:  Voi.  I  a  XLI,  dal  1870  al  1910. 
Memorie  per  servire  alla  descricione  deUa  Carta  geologica  dltalia*. 

Voi.  L  Firenze,  1871.  —  Intiodasione.  —  B.  Gastaldi,  «S^ui^  geologici  sulle  Alpi 
Occidentali,  con  appendice  mineralogica  di  G.  Struever.  —  S.  Mottuba,  Sulla  fortna- 
sione  tersiaria  nella  sona  solfif&ra  della  Sicilia.  —  I.  Cocchi,  Descrisione  geologica 
deirisola  d*Slòa.  —  C.  D*Amcona,  Malacologia  pliocenica  italiana.  —  Un  voi.  in-4^  di 
pag.  364,  con  tavole  e  carte  geologiche. 

Voi.  n,  Parte  1*.  Firenze,  1878.  —  Introduzione.  —  C.  W.  C.  Fuchs,  Monografia 
geologica  delVhola  d'Ischia,  —  F.  Giordano,  Esame  geologico  della  catena  alpina  del 
San  Gottardo  che  deve  essere  attraversata  dalla  grande  galleria  della  ferrovia  italo- 
elvetica,  —  S.  Mottura,  Sulla  formasione  iersiatia  nella  Mona  solfi  fera  della  Sicilia; 
Appendice.  —  C.  D*Ancona,  Malacologia  pliocenica  italiana  (sègnito).  —  Un  voi.  in-4» 
di  pag.  264,  con  tavole  e  carte  geologiche. 

Voi.  II,  Parte  2*.  Firenze,  1874.  —  B.  Gastaldi,  Studi  geologici  sulle  Alpi  Occi- 
dentali; Parte  seconda.  —  Un  volarne  in-4*  di  pag.  64,  con  tavole. 

Voi.  Ili,  Parte  1*.  Firenze,  1876.  —  C.  Doelter,  R  gruppo  vulcanico  delle  Isole 
Ponza,  —  C.  De  Stefani,  Geologia  del  Monte  Pisano.  —  Un  volume  in-4®  di  pag.  174, 
con  tavole  e  carte  geologiche. 

Voi.  in.  Parte  2*.  Firenze,  1888.  —  G.  Menbohini,  Paleontologia  delVlglesiente  in 
Sardegna.  —  M.  Canavari,  Contribuzione  alla  fauna  del  Lias  inferiore  di  Spezia.  Un 
volume  in-4''  di  pag.  230,  con  tavole. 

Voi.  IV,  Parte  1*.  Firenze,  1891.  —  A.  Scacchi,  La  regione  vulcanica  fluori  fera 
della  Campania*  —  G.  Terrigi,  /  depositi  lacustri  e  marini  riscontrati  nella  trivella- 
zione presso  la  via  Appia  antica.  —  Un  volume  in-4^  di  pag.  186,  con  tavole. 

Voi.  IV,  Parte  2».  Firenze,  1893.  —  C.  A.  Weithofbr,  Proboscidiani  fossili  di 
Valdamo  in  Toscana.  —  M.  Canavari,  Idrozoi  titoniani  della  Regione  mediterranea, 
appartenenti  alla  famiglia  delle  Ellipsactinidi.  —  Un  volume  in-4®  di  pag.  214,  con 
tavole. 

Voi.  V,  Parte  1*.  Roma,  1909.  —  C.  F.  Parona  con  la  collaborazione  di  C.  Crema 
e  P.  L.  Prsver,  La  fauna  coralligena  del  Cretaceo  dei  monte  d'Ocre.  —  Un  volume 
in-4®  di  pag.  242,  con  28  tavole.  * 


46  LUIGI   BALDACCI 


Memorie  deflcrittiTe  della  Carta  geologica  dltalia: 

Voi.  I.  Roma,  1886.  —  L.  Baldagci,  Deseriùone  geologica  delV Itola  di  Sicilia.  — 
Un  Tolume  in-8**  di  pag.  486,  con  tavole  e  una  Carta  geologica. 

Voi.  II.  Roma,  1886.  —  B.  Lotti,  Descrisions  geologica  delV Itola  d'Elba.  —  Un 
volume  in-8®  di  pag.  266,  con  tavole  e  una  Carta  geologica. 

Voi.  IIL  Roma,  1887.  —  A.  Fabri,  Relatione  tulle  miniere  di  ferro  deWItola 
d'Elba,  —  Un  volume  in-8^  di  pag.  174»  con  un  atlante  di  carte  e  seiioni. 

Voi.  IV.  Roma,  1888.  —  6.  Zoppi,  Detcritìone  geologieo-mineraria  deWIgletiente 
(Sardegna),  —  Un  volume  in-8^  di  pag.  166,  con  tavole,  un  atlante  ed  una  Carta  geo- 
logica. 

Voi.  V.  Roma,  1890.  —  C.  De  Castro,  Detcritione  geologieo-mineraria  della  sona 
argentifera  del  S arr a but  {Sardegna). —  Un  volume  in-8°  di  pag.  78,  con  tavole  e  una 
Carta  geologico-mineraria. 

Voi.  VI.  Roma,  1891.  —  L.  Baldagci,  Ottervationi  fatte  nella  Colonia  Eritrea.  — 
Un  volume  in-8^  di  pag.  110,  con  Carta  geologica. 

Voi.  Vn.  Roma,  1892.  —  E.  Cortese  e  V.  Sabatini,  Detcriiione  geologicO'petrO' 
grafica  delle  Itole  Eolie.  —  Un  volume  in-8^  di  pag.  144,  con  incisioni,  tavole  e  Carte 
geologiche. 

Voi.  VIII.  Roma,  1893.  —  B.  Lotti,  Detcrisione  geologico-mineraria  dei  dintorni 
di  Matta  Marittima  in  Tatcana.  —  Un  volume  in-8^  di  pag.  172,  con  inciaioni,  tavole 
e  una  Carta  geologica. 

Voi.  IX.  Roma,  1895.  —  E.  Cortese,  Detcritione  geologica  della  [Calabria,  — 
Un  volume  di  pag.  388,  con  incisioni,  tavole  ed  una  Carta  geologica. 

Voi.  X.  Roma,  1900.  —  V.  Sabatini,  /  vulcani  delVItalia  centrale  e  i  loro  pro- 
dotti. Parte  1*^:  Vulcano  Lattale.  —  Un  volume  in-8®  di  pag.  392,  con  incieioni,  tavola 
ed  una  Carta  geologica. 

Voi.  XI.  Roma,  1902.  —  A.  Stella,  Descritione  geognottico^graria  del  Colle 
Montello  (provincia  di  Trevito).  —  Un  volume  in.8^  di  pag.  82,  con  tavole  ed  una  Carta 
geognostico-agraria. 

Voi.  XII.  Roma,  1908.  —  Autori  diversi:  Studio  geologico-minerario  tui  giaciménti 
di  antracite  delle  Alpi  occidentali  italiane,  —  Un  volume  in-8<»  di  pag.  232,  con  inci- 
sioni, tavole  e  Carte  geologiche. 

Appendice  al  vo).  IX.  Roma,  1904.  —  6.  Di-Stefano,  Ottervationi  geologiche  nella 
Calabria  tettentrionale  e  nel  Circondario  di  Rottane.  —  Un  volume  in-8^  di  pag.  120, 
con  tavola  di  sezioni. 

Voi.  Xin.  Roma,  1909.  —  B.  Lotti,  Otologia  della  Toscana,  —  Un  volume  in-8* 
di  pag.  484,  con  4  tavole. 

Voi.  XIV  (in  corso  di  stampa).  —  V.  Sabatini,  /  vulcani  delVItalia  centrale  e  i 
loro  prodotti.  Parte  2*:  Vulcani  Cimini.  —  Un  volume  in-8®,  con  Carta  geologica,  ta- 
vole e  figure. 

Carta  geologica  d^ Italia,  nella  tcala  di  1  a  1.000.000,  in  due  fogli:  2^  edizione.  ~ 
Roma,  1889. 


LA   CARTA   OBOLOOICA   D  ITALIA 


47 


n 


Carta  geologica  della  Sicilia,  nella  scala  di 
zioni,  con  quadro  d^anione  e  copertina.  — 

Foglio  N.  244  (Isole  Eolie) 
•         248  (Trapani) 
»         249  (Palermo) 
n         250  (Bagheria) 

251  (Cefalù) 

252  (Naso) 
258  (Castroreale) 
254  (Messina) 

256  (Isole  Egadi) 

257  fCastelyetrano) 

258  (Corleone) 

259  (Termini  Imerese) 

260  (Nicosia) 

261  (Bronte) 


n 


n 


1  a  100.000,  in  28  fogli  e  5  tavole  di  se- 
Koma,  1886. 

Foglio  N.  262  (Monte  Etna) 

n         265  (Mazzara  del  Vallo) 
n         266  (Sciacca) 
n         267  (Canicatti) 

268  (CalUnisetta) 

269  (Paterno) 

270  (Catania) 

271  (Girgenti) 

272  (Terranova) 
278  (Caltagirone) 

274  (Siracusa) 

275  (Scoglitti) 

276  (Modica) 

277  (Noto) 


n 
n 
n 


Tavola  di  sezioni  N. 

n  »          N. 

»  »        N. 

»  »        N. 

n  I»           N. 


I  (annessa 

II  (annessa 

in  (annessa 

IV  (annessa 

y  (annessa 


Carta  geologica  della  Calabria,  nella  scala 
sezioni,  con  copertina.  —  Roma,  1901. 

Foglio  N.  220  (Verbicaro) 
n         221  (Castrovillari) 
»         222  (Amendolara) 
n         228  (Cetraro) 
n  229  (Paola) 

280  (Rossano) 

281  (Ciro) 
236  (Cosenza) 
287  (S.  Giovanni  in  F.) 
238  (Cotrone) 

Tavola  di  sezioni  N.        I  (annessa 
n  »         N.      II  (annessa 

n  »        N.     Ili  (annessa 


n 

n 
n 


ai  fogli  249  e  258) 
ai  fogli  252,  260  e  261) 
ai  fogli  253,  254  e  262) 
ai  fogli  257  e  266) 
ai  fogli  278  e  274) 

di  1  a  100.000,  in  20  fogli  e  8  tavole  di 

Foglio  N.  241  (Nicastro) 

I»  242  (Catanzaro) 

n  243  (Isola  Capo  Rizzuto) 

245  (Palmi) 

n  246  (Cittanova) 

n  247  (Badolato) 

n  254  (Messina) 

n  255  (Gerace) 

n  268  (Bova) 

»  264  (Staiti) 

ai  fogli  286,  287,  238,  241  e  242) 
ai  fogli  245,  246,  247,  255  e  263) 
ai  fogli  220,  221,  229  e  230) 


Carta  geologica  delle  Paglie,  nella  scala  di  1  a  100.000. 
Ne  sono  pubblicati  i  fogli  seguenti: 


Foglio  N.  201  (Matera) 
«         202  (Taranto) 
n         208  (Brindisi) 
n         204  (Lecce) 

218  (Maruggio) 

214  (Gallipoli) 

215  (Otranto) 
228  (Tricase) 


n 


Foglio  N.  165  (Trinitapoli) 
«  176  (Barletta) 

n         177  (Bari) 

178  (Mola  di  Bari) 

188  rGravina) 

189  (Altamura) 

190  (Monopoli) 

191  (Ostuni) 


n 


n 


n 


48  LUIGI   BALDACCI   -   LA   CARTA   GEOLOGICA   d'iTALIA 


Carta  geolo^ca  d«lla  Lncauia  e  Campania,  nella  scala  di  l  a  100.000. 


Foglio  N.  198  (Campagna) 

I»  199  (Potenza) 

n  200  (Laurenzana) 

n  209  (Vallo  Lucania) 

n  210  (Lagonegro) 

»  211  (S.  Arcangelo) 

n  212  (Tursi; 


Foglio  N.  183  (Ischia) 
»         184  (Napoli) 
it         185  (Salerno) 
n         196  (Vico  Equense) 
Il         197  (Amalfi) 

Sezioni  geologiche.  Tav.    I 

n    n 
li  m 


Carta  geologica  della  Campagna  romana  e  regioni  limitrofe,  nella  scala  di  1  a 
100.000,  in  6  fogli  e  una  tavola  di  sezioni,  con  copertina.  —  Roma,  1888. 


Foglio  N.  142  (Civitavecchia) 
n         143  (Bracciano) 
n         144  (Palombara) 


Foglio  N.  149  (Cenreteri) 
n  150  (Roma) 

I»  158  vCori) 


Tavola  di  sezioni  (annessa  ai  fogli  142,  143,  144  e  150). 

Carta  geologica  delle  Alpi  Apuane,  nella  scala  di  1  a  50.000,  in  4  fogli  e  3  ta? ole 
di  sezioni,  con  copertina.  —  Roma,  1897. 


Foglio  Carrara 
»       Castelnuovo 


Foglio  Stazzema 
»       Seravezza 


Tavole  di  sezioni. 


Carta  geologica  della  Toscana  (in  corso  di  stampa),  nella  scala  di  1  a  100.000. 
Ne  sono  usciti  i  fogli:  Livorno;  Volterra;  San  Casciano  Val  di  Pesa;  Massa  Ma- 
rittima; Siena;  Piombino;  Grosseto;  Santa  Fiora;  Orbetello;  Toscanella;Pisa;  Lacca; 
Firenze;  Arezzo;  Montepulciano;  Tav.  I  e  II  di  sezioni. 

Carta  geologica  dell'Isola  d*£lba,  nella  scala  diì  a  25.000,  in  due  fogli  con  teiioni. 
Roma,  1884. 

Carta  geologico-mineraria  deiriglesiente  (Isola  di  Sardegna),  nella  scala  di  1  a 

50.000,  in  un  foglio.  —  Roma,  1888. 

Carta  geologico-mineraria  del  Sarrabns  (Isola  di  Sardegna),  nella  scala  di  1  a 

50.000,  in  un  foglio  con  sezioni.  —  Roma,  1889. 

Carta  geologica  della  Sicilia,  nella  scala  di  1  a  500.000,  in  un  foglio  con  sezioni.  — 

Roma,  1886. 

Carta  geologica  della  Calabria,  nella  scala  di  1  a  500.000,  in  un  foglio.  —  Roma, 
1894. 

Carta  geologica  dei  Vulcani  Vnlsinii,  nella  scala  di  1  a  100.000,  in  un  foglio,  con 

testo,  —  Roma,  1904. 

Carta  geologica  delle  Alpi  Occidentali,  nella  scala  di  1  a  400.000,  in  un  foglio.  — 
Roma,  1908. 

L.  B. 


ESERCITO  ITALIANO 

3UE  ORIGINI,  SUO  SUCCESSIVO  AMPLIAMENTO,  STATO  ATTUALE 


I. 

Cenno  sngli  ordinamenti  militari 
del  ducato  di  Savoia  e  del  regno  di  Sardegna,  dalle  origini  Ano  al  1814. 

Le  forze  militari  del  ducato  di  Savoia  sino  al  secolo  XV.  —  Emanuele  Filiberto  (1558-1580): 
riordinamento  della  milizia  paesana.  —  Carlo  Emanuele  I  (1580*1680):  perfeziona* 
mento  della  milizia  paesana;  creazione  della  fanteria  nazionale  permanente.  —  Yit* 
torio  Amedeo  I  (1630-1638).  —  Reggenza  di  Maria  Cristina  (1638-1648):  decad^iza 
della  milizia  paesana.  —  Carlo  Emanuele  II  (1648*1675):  formazione  dei  reggimenti 
di  fanteria  d^ordinanza;  riordinamento  della  milizia  paesana  col  nome  di  battaglione 
di  Piemonte;  reggimenti  piemontesi  militanti  in  Francia.  —  Eeggenza  di  Maria  Gio- 
vanna (1675-1684).  ^  Vittorio  Amedeo  II  (1684-1730):  istituzione  della  segreteria 
di  guerra  e  marina;  costituzione  dei  reggimenti  provinciali.  ^-*  Carlo  Emanuele  III 
(1730-1773):  perfezionamento  degli  ordinamenti  militari.  —  Vittorio  Amedeo  III 
(1773-1796):  accrescimento  dell'esercito;  le  guerre  dal  1792  ari796;  devozione  dei 
subalpini.  —  Carlo  Emanuele  IV  (1796-1802)  :  unione  del  Piemonte  con  la  Francia; 
rinunzia  del  Re  e  sua  partenza  per  la  Sardegna;  riorganizzazione  della  truppa  sub- 
alpina e  sua  riunione  con  Tarmata  francese;  campagna  del  1799;  il  Piemonte  in 
mano  agli  austro-russi.  —  Governo  repubblicano  restaurato  in  Piemonte  dopo  la 
battaglia  di  Marengo.  —  Abdicazione  del  Re  (1802).  —  Vittorio  Emanuele  I.  — 
In  Piemonte  si  costituisce  la  27*  divisiono  militare  francese. 

Airinizio  della  guerra  del  1859,  esistevano  in  Italia  due  nuclei  prin* 
«ipali  di  truppe  regolari:  Tesercito  sardo  e  il  napoletano.  1  piccoli  eserciti 
4ella  Toscana,  d^li  Stati  pontifici,  dei  ducati  di  Modena  e  di  Parma,  erano 
destinati  piuttosto  per  il  mantenimento  dell'ordine  interno,  anziché  per  imprese 
guerresche.  Dopo  la  pace  di  Villafranca,  Tesercito  sardo  si  accrebbe  via  via 
con  Tunione  dei  contingenti  lombardi,  colla  fusione  deiresercito  della  Lega 
46iritalia  centrale,  deiresercito  meridionale  del  generale  Garibaldi,  e  coi 
contingenti  del  disciolto  esercito  borbonico. 

Fiorenzo  Bava-Bbcoaris.  —  Etereiio  italiano  ecc.  1 


FIORENZO   BAVA-BECGARIS 


L'esercito  sardo,  o  piemontese,  fu  danqae  la  solida  e  robusta  base  del 
grande  edificio  militare,  che  in  poco  tempo  si  fortificò  mercè  Topera  di  sa- 
pienti organizzatori,  e  specialmente  per  il  sacrifizio  suiraltaie  della  patria  di 
tutte  le  suscettibilità  e  di  tutti  gli  interessi,  sia  regionali  che  particolari. 
Quindi  giova  accennare  sommariamente  alle  sue  ticende,  dalle  origini  fino 
al  1859,  prima  di  nan*are  quelle  dell*  esercito  italiano,  che  ne  ereditò  le 
caratteristiche,  e  che  è  custode  delle  sue  gloriose  ti*adixioni. 

Sino  al  secolo  XV,  essendo  il  ducato  di  Savoia  retto  a  sistema  feudale, 
le  milìzie  consistevano  in  raccolte  di  armati,  la  maggior  parte  a  cavallo, 
che  i  feudatari  conducevano  a  loro  spese  alla  chiamata  del  Duca;  poca  e 
mal  considerata  era  la  fanteria.  Ma,  coir  invenzione  della  polvere,  Tarma  da 
fuoco  rialzò  d*un  tratto  l'importanza  del  fante,  e,  quando  il  principe  iniziò 
la  lotta  per  disciplinare  l'individualismo  feudale,  si  valse  delle  milizie  che 
le  città  e  i  comuni  più  importanti  avevano  saputo  conservare  per  resistere  ai 
feudatari,  consolidando  la  propria  autorità  a  scapito  di  questi.  Gli  obblighi 
di  servizio  perdettero  quindi  il  carattere  di  contratto  fra  il  sovrano  e  il  feu* 
datario  o  il  comune,  per  assumere  quello  di  imposizione:  il  che  condusse 
alla  creazione  di  truppe  nazionali. 

Di  questa  evoluzione  rimane  traccia  nel  codice  di  leggi  o  statuti  com- 
pilato durante  il  principato  di  Amedeo  Vili  (1430),  codice  che  divenne  poi 
base  dell'assetto  politico,  civile  e  giudiziario  degli  Stati  sabaudi  (^).  Al  ca- 
pitolo De  Marescalù  et  eorum  officio^  nel  rendere  permanente  la  carica  di 
maresciallo,  e  nel  regolarne  le  funzioni  ed  il  potere,  prescrisse  che  nelle 
terre  sottoposte  al  suo  dominio  immediato  si  formassero  i  ruoli  delle  persone 
atte  a  portar  le  armi,  sottoponendole  ad  obblighi  di  servizio  per  la  difesa  dello 
Stato  e  della  persona  propria.  Esistono  documenti  che  accennano  al  sistema  di 
censimento  militare,  ed  all'esistenza  di  una  milizia  la  quale  si  mantenne  sino 
al  ritorno  di  Emanuele  Filiberto  (1560). 

Emanuele  Filiberto  (1553-1580),  vincitore  dei  Francesi  alla  battaglia 
di  S.  Quintino,  dopo  aver  liberato  con  accorta  politica  i  suoi  Stati  dai  Fran- 
cesi e  dagli  Spagnuoli,  sistemata  la  difesa  territoriale,  riattando  le  vecchie 
fortezze  e  creandone  di  nuove,  rassodato  l'ordinamento  politico  interno,  scon- 
volto dal  periodo  di  guerre  precedenti,  volle  mantenere  l'indipendenza  dello 
Stato  con  una  solida  forza  armata  Diede  perciò  nuova  vita  alla  milizia 
paesana,  e  creò  la  milizia  reale,  mediante  la  leva  fatta  per  comune,  assog-^ 
gettandovi  tutti  gli  uomini  validi  dai  18  ai  50  anni,  proibendo  loro  di  mili* 
tare  fuori  del  ducato,  e  obbligando  i  Comuni  a  fornir  le  armi.  Divise  la  mi- 


C)  Pubblicato  il  17  giugno  1486  sotto  il  titolo:  Decreta  seu  statuta  vetera  Sa* 
baudiae  Ducum  et  Pedemontii  Principum,  ristampato  sotto  lo  stesso  titolo  nell'anno  1589; 
Coiraggiunta  delle  leggi  posteriori,  sino  a  quelle  di  Carlo  UT  nell'anno  1517. 


ESERCITO    ITALIANO 


lizia  di  fanteria  in  colonnellati,  corrispondenti  alle  pr07incie  dalle  quali  si 
reclutayano  gli  uomini,  e  ogni  colonnellato  in  sei  compagnie  di  400  uomini 
cadauna;  la  milizia  di  cavallerìa  in  sette  compagnie,  che  contavano  50  gregarìi. 

Gli  arruolati  erano  chiamati  regolarmente  ogni  domenica  nei  comuni  e 
nei  borghi  per  Tistruzione  individuale,  e,  riuniti  periodicamente,  ogni  sessanta 
giorni  per  compagnie;  due  volte  alFanno  (Pasqua  e  S.  Martino)  per  colon* 
nellati,  e  talvolta  per  le  manovre  d^assieme  (^). 

Questa  milizia,  che  raggiunse  nel  1568  i  86,000  uomini,  sopra  una  po- 
polazione di  1,200,000,  sembra  non  riuscisse  molto  solida,  poiché  il  Duca, 
per  affrontare  le  brevi  spedizioni  militari  contro  i  Valdesi  e  contro  i  ribelli 
del  Delfinato,  assoldò  truppe  d* ordinanza,  formate  da  mercenari,  indigeni  e 
stranieri. 

Le  spese  per  la  gente  di  guerra,  durante  il  principato  di  Emanuele 
Filiberto  oscillarono  fra  un  minimo  di  66,000  ed  un  massimo  di  288,000 
lire  piemontesi,  circa  (*). 

Carlo  Emanuele  I  (1580-1630)  perfezionò  la  milizia  paesana  dìviden* 
dola  in  due  categorie:  Tuna  (scelta)  composta  dei  migliori  elementi,  che 
ordinò  in  cinque  colonnellati  di  1600  fanti  ciascuno,  ed  in  17  compagnie  di 
cavalieri  ;  Taltra  (ordinaria)  costituita  dai  rimanenti  atti  a  portare  le  armi, 
che  tenne  quale  riserva.  Ma  per  sostenere  le  numerose  guerre  si  servì  di 
truppe  assoldate,  parte  delle  quali  nazionali,  raggruppate  in  reggimenti  co* 
stituiti  di  10  compagnie,  chiamati  «  reggimenti  di  S.  A.  »,  che  tenne  quasi 
costantemente  in  servizio,  e  che  dettero  origine  alla  «  fanteria  nazionale  per- 
manente ".  Similmente  creò  compagnie  d*ordinanza  di  cavalleria,  e  nel  1625 
diede  impronta  militare  all'artigli eria,  formando  una  compagnia  di  bom- 
bardieri. 

Poco  sappiamo  circa  le  spese  per  l'esercito  in  questo  periodo:  si  rileva 
solamente  che  nel  1607  esse  ammontavano  a  lire  piemontesi  672,621. 

Carlo  Emanuele  I,  denominato  il  Gmnde,  sostenne  numerose  guerre  {% 
ed  ebbe  grandi  aspirazioni.  Di  lui,  così  scrive  Cesare  Balbo:  «  Prode 
guerriero,  buon  capitano  secondo  i  tempi,  ardito,  pronto,  bel  parlatore,  fu 
amato  dai  soldati  ch*ei  pi^va  male  ma  conduceva   bene,  adorato  dai  sud- 


(*)  Poiché  in  qaei  tempi  era  ritenuto  indecoroso  per  la  nobiltà  il  combattere  a 
piedi,  così  Emanuele  Filiberto  stentò  a  trovare  i  saoi  colonnelli  per  le  troppe  di  fanteria; 
i  primi  farono  Tommaso  di  Valperga,  Giorgio  Costa  di  Arignano,  Federico  Asinari  di  Carne- 
rano,  Tommaso  Isnardi  di  Sanfrè,  Leonardo  di  Roero,  Piossasco  di  Scalenghe,  Giuseppe 
di  Carezzana,  tutti  gentiluomini,  i  quali,  trascurando  i  pregiudizi  di  casta,  aiutarono 
il  Principe  a  far  sparire  uelFordinamento  nuovo  i  vizi  del  sistema  feudale. 

(')  La  lira  piemontese  equivaleva,  in  quell'epoca,  a  circa  lire  2,50  delle  attuali. 

(•)  Guerra  per  racquieto  di  Ginevra  e  del  marchesato  di  Salnzzo  (1581-1602);  guerra 
contro  la  Spagna  per  la  successione  del  Monferrato  (1618*1618);  guerra  contro  la  Spagna 
(1624-26);  guerra  contro  la  Francia  per  la  successione  di  Mantova  (1628-1630). 


FIORENZO    RAVA-BECCARIS 


diti  a  cui  procacciava  la  miseria,  ma  Tonor  della  guerra  ;  continuò,  compiè 
gli  ordinamenti  civili  del  padre  :  parlò,  operò  italiano...  «  (^). 

Vittorio  Amedeo  I  (1630-1638)  diede  vita  a  dieci  compagnie  di  caval- 
leria nazionale,  ma  diminuì  il  numero  dei  reggimenti  d*ordinanza;  ed  a 
causa  della  guerra  civile,  sotto  la  reggenza  della  vedova  Maria  Cristina  (1638- 
1648),  la  milizia  reale,  scelta  ed  ordinaria,  andò  in  isfaeelo. 

Carlo  Emanuele  II  (1648-1675)  lasciò  traccio  profonde  nelle  istituzioni 
militari.  Dal  principato  di  lui  data  la  creazione  dei  reggimenti  di  fanteria  di 
linea:  essi  furono,  in  ordine  di  anzianità:  Guardia,  Savoia,  Aosta,  Monferrato, 
Piemonte,  Nizza;  nel  1667  costituì  il  reggimento  di  Crocebianca,  così 
chiamato  perchè  il  colonnello  e  gli  ufficiali  erano  cavalieri  di  Malta,  e 
nel  1672  quello  di  Salnzzo.  La  repubblica  di  Venezia  ottenne  da  Carlo 
Emanuele  li,  per  la  difesa  di  Candia,  assediata  dai  turchi,  due  reggimenti 
appositamente  composti,  che  presero  denominazione,  dai  loro  comandanti,  di 
Ajassa  e  di  Mezera:  vi  figuravano  i  nomi  delle  principali  famiglie  deirari- 
stocrazia  piemontese,  e  la  maggior  parte  di  coloro  che  vi  militarono  lasciò 
la  vita  sul  campo  dell'onore. 

La  milizia  scelta,  divenuta  priva  di  consistenza,  fu  riorganizzata  nel  1669 
in  12  reggimenti,  e  formò  un  sol  corpo  denominato  «  battaglióne  di  Pie- 
monte • .  Le  truppe  di  Carlo  Emanuele  II  variarono  molto  di  numero  a  se- 
conda delle  necessità  della  guerra  (*):  da  18,000,  scesero  a  circa  5000 
nel  1670;  salirono  a  20,000  nel  1672,  per  ridiscendere  a  circa  6000  negli 
anni  seguenti.  Nel  1675  le  spese  militari  ammontavano  ad  un  milione  e 
mezzo  di  lire  piemontesi. 

È  notevole  come,  per  concessione  di  questo  principe,  vari  reggimenti 
militarono  al  servizio  di  potentati  stranieri;  oltre  ai  due  reggimenti  ceduti 
ai  Veneziani,  servì  in  Francia  un  reggimento  di  corazzieri,  denominato  Prin- 
cipe di  Piemonte,  che  combattè  in  Fiandra  colle  truppe  di  Luigi  XIV,  ri- 
manendovi poi  definitivamente  col  nome  di  Piemonte  cavalleria;  andò  pure 
in  Francia  un  reggimento  di  fanterìa  denominato  Carignano,  e  vi  militarono 
i  reggimenti  fanterìa  Marina,  Aosta,  Nizza. 

Durante  la  reggenza  di  Maria  Giovanna,  vedova  di  Carlo  Emanuele  li 
(1675-1684),  lo  Stato  gode'  di  perfetta  pace  :  questa  servì  di  preparazione  al 
glorioso  ma  tempestoso  regno  di  Vittorio  Amedeo  II  (1684-1780).  Questo 
principe  fu  soldato  austero  e  coraggioso,  abile  generale,  uomo  politico  di 
primo  ordine,  ottimo  amministratore,  così  che  potè  dirsi  di  lui  fosse  «  prin- 
cipe grande  di  un  piccolo  Stato  «.  Sotto  il  suo  regno  fu  istituita  la  segre- 


(M  C.  Balbo,  Sommario  della  Storia  d' Italia,  libro  VII,  n.  14. 

(■}  Le  guerre  combattute  durante  questo  periodo  (1648-1075)  furono:  cuiitro  la 
Spagna  (1642-59);  contro  i  Valdesi  (1615-64);  contro  Genova  (1672);  spedizione  d'Olanda 
(1674-76). 


ESBRCITO   ITALIANO 


teria  di  guerra  e  marina  per  la  sopraintendenza  di  tutto  quanto  riguardava 
le  genti  di  guerra,  la  loro  disciplina,  la  loro  istruzione.  Le  lunghe  guerre  (0 
da  lui  sostenute,  condussero  a  mutamenti  tanto  frequenti  nel  numero  dei  reg- 
gimenti d'ordinanza,  che  ò  diflScile  farne  anche  sommaria  menzione.  Fu- 
rono rioi^anizzate  pure  le  truppe  di  leva  :  ma  il  concetto  di  Vittorio  Amedeo  II 
rimase  quello  dei  predecessori,  di  formar  cioè  reparti  con  elementi  scelti 
sulla  totalità  degli  abili,  pronti  sempre  ad  accorrere  per  la  difesa  dello 
Stato.  Creò  quindi  i  reggimenti  provinciali,  perfezionamento  di  quelli  del 
battaglione  di  Piemonte,  e  li  radicò  nelle  provincie  di  cui  portarono  il 
nome  (*),  della  cui  gente  si  formarono,  delia  cui  vita  vissero,  sicché  diven- 
nero pei  cittadini  Temblema  visibile  del  loro  dovere  militare. 

Vittorio  Amedeo  II  scrisse  pagine  gloriose  nel  libro  della  storia  mili- 
tare del  Piemonte,  dividendone  or  le  sventure  (battaglia  di  Staifarda,  1690), 
or  la  gloria  (batb^lia  di  Torino,  1706),  col  cugino  prìncipe  Eugenio,  il 
grande  capitano,  e,  per  le  numerose  campagne  sostenute,  acquistò  celebrità 
per  sé  e  per  i  suoi  popoli,  talché,  coiraccrescimento  del  territorio,  venne  as* 
sunto  alla  dignità  regia. 

Le  spese  militari,  durante  questo  periodo,  salirono,  da  un  milione  e 
mezzo  circa,  a  cinque  milioni  annui  :  la  forza  bilanciata,  da  un  minimo  di 
5000  uomini  a  un  massimo  di  23,000. 

Le  floride  condizioni  in  cui  si  trovava  il  regno  alla  morte  di  Vittorio 
Amedeo  II,  furono  conservate  e  migliorate  da  Cai'lo  Emanuele  III  (1730- 
1773).  Gli  ordinamenti  milit«ri  prosperarono  mirabilmente:  amministrazione, 
disciplina,  istruzione  degli  uflBciali,  raggiunsero  un  alto  grado  di  perfezione. 
Si  crearono  pure  la  scuola  d'artiglieria,  il  corpo  degli  ingegneri,  l'arsenale  di 
Torino;  venne  perfezionatala  fabbricazione  della  polvere,  e  furon  spese  somme 
ingenti  per  sistemare  le  piazze  forti  di  frontiera  e  le  interne.  L'esercito,  così 
mirabilmente  costituito,  affrontò  e  sostenne  con  gloria  le  guerre  per  la  succes- 
sione di  Polonia  (1733-38)  e  per  la  successione  d'Austria.  Secondo  rafferma* 
zione  di  un  ambasciatore  veneto  del  tempo,  il  regno  di  Carlo  Emanuele  III  fu 
come  «  un  orologio,  del  quale  le  ore  suonano  regolarmente  senza  la  grazia  di 
un  minuto  ».  Il  bilancio  delle  spese  militari  salì,  nel  1745,  a  20,400,000  lire 
piemontesi,  e  negli  anni  successivi  scese  a  circa  8  milioni. 

Vittorio  Amedeo  III  (1773-1796)  introdusse  molte  modificazioni  nel- 
Tordinamento  generale  dell'esercito:  modificazioni,  le  quali  condussero  ad  un 
aumento  eccessivo  di  ufficiali  e  di  truppe,  con  un  aggravio  nelle  spese,  tanto 

(*)  Le  gaerre  combattate  durante  questo  perìodo  furono  le  seguenti  :  contro  la  Francia 
lG00-d5,  contro  l'Austria  e  la  Spagna  1696,  contro  l'Austria  (successione  di  Spagna) 
1701-02,  contro  la  Francia  e  la  Spagna  (successione  di  Spagna)  1703-12,  contro  la  Spagna 
in  Sicilia  1718-19. 

(■)  Tarantasia,  Chablais,  Nizza,  Aosta,  Torino,  Vercelli,  Asti,  Pinerolo,  Mondov^, 
Casale. 


FIORENZO   BAYA-BSCCARIS 


che  queste  si  resero  sproporaionate  alle  finanze  della  nazione.  Perciò, 
nel  1776,  il  Be  fo  costretto  a  demolire  Tedificio  costruito,  e  ad  adottare  un 
ordinamento  più  semplice,  e  meno  dispendioao.  Ma  poiché  questo  non  ebbe 
tempo  di  consolidarsi,  l'esercito  si  troTÒ  impreparato  a  resistere  alla  bufera 
della  rivoluzione  francese. 

Seguì  un  lungo  perìodo  di  guerre,  dal  1792  al  1815.  La  campagna  sulle 
Alpi,  tenacemente  combattuta  n^li  anni  1792-96,  in  unione  ad  un  contin- 
gente austriaco,  dimostrò  quanta  salda  fosse  la  fibra  del  soldato,  e  quanto 
intenso  il  sentimento  di  patriottismo  e  di  fedeltà  alla  casa  regnante.  Si  ri- 
tiene che  nel  1792  Tesercito  del  Re  ammontasse  a  34,000  fanti,  3,000  arti- 
glieri e  4,000  cavalli  :  ammirevole  fu  lo  slancio  della  popolazione  per  il  concorso 
prestato  sia  in  uomini  che  in  danaro:  in  ogni  provincia  o  città  si  costituirono 
le  milizie  urbane,  le  quali  raggiunsero  la  bella  cifra  di  35,662  uomini. 

Il  genio  di  Bonaparte  riusci  nel  1796  a  separare,  dopo  aspri  combat- 
timenti, il  corpo  austriaco  dalFesercito  del  Be.  Per  effetto  dell* armistizio  di 
€herasco,  che  precedette  la  conclusione  della  pace,  Tesercito  si  ridusse  ad  11 
reggimenti  di  fanteria  su  due  battaglioni  di  8  compagnie,  più  una  compagnia 
in  Sardegna  :  i  reggimenti  provinciali  ridotti  a  10  battaglioni  ;  la  cavalleria 
a  6  reggimenti  di  4  squadroni. 

In  mezzo  a  tali  rivolgimenti  morì  Vittorio  Amedeo  III  il  16  ottobre  1796, 
e  gli  successe  Carlo  Emanuele  IV  (1796-1802),  il  quale,  dopo  Tannessione 
del  Piemonte  alla  Francia  (dicembre  1798),  si  ritirò  in  Sardegna,  seguito 
da  poche  truppe.  Il  governo  provvisorio  che  ne  s^uì,  decretò  che  Tesercito 
piemontese  facesse  parte  di  quello  francese.  Passarono  così  al  servizio  della 
repubblica  tre  mezze  brigate  di  linea  e  una  mezza  brigata  leggera,  4  reggi- 
menti di  dragoni,  uno  d^artiglieria  e  i  corpi  del  genio  e  della  gendarmeria. 
Queste  truppe  seguirono  le  armate  francesi  nel  Veneto,  in  Romagna  e  in 
Toscana,  combattendo  ovnnque  con  valore.  Al  giungere  poi  degli  Austro- 
Bussi  nel  maggio  1799,  per  le  vicende  dei  combattimenti,  sfavorevoli  ai 
Francesi,  si  sciolsero,  e  parte  degli  uomini,  presa  prigioniera,  fu  mandata  in 
Boemia  ed  in  Ungheria,  parte  tornò  in  Piemonte,  parte  seguì  nella  ritirata 
i  Francesi,  formando  piccoli  reparti  autonomi  che  Tanno  seguente  servirono 
di  nocciuolo  ai  nuovi  battaglioni  che  allora  si  formarono. 

Il  generale  russo  Suvarow,  entrando  in  Piemonte  (giugno  1799),  dichiarò 
essere  intenzione  degli  alleati  rimettere  sul  trono  il  legittimo  sovrano, 
chiamò  alle  armi  nel  giugno  i  reggimenti  provinciali,  e  nel  contempo  ordinò 
fosse  posto  mano  a  riunire  soldati  d*ordinanza  per  formarne  reggimenti. 

Ma  l'Austria,  nella  speranza  di  annettere  il  Piemonte,  ostacolò  la  for- 
mazione di  queste  truppe,  ed  impedì  la  costituzione  di  un'amministrazione 
militare  piemontese  indipendente,  pretendendo  si  formassero  solo  corpi  franchi 
a  disposizione  dei  generali  imperiali.  Solo  nel  dicembre  1799  si  cominciò  a 
dare  un  indirizzo  al  riordinamento  delle  truppe  piemontesi  ;  ed  una  commis- 


ESERCITO   ITALIANO 


sione,  all'uopo  nominata,  si  pose  all'opera.  Essa,  però,  presieduta  com'era  da 
un  generale  austriaco,  non  ispirò  fiducia  agli  ufBciali  ed  ai  soldati  ;  e  d'altra 
parte,  essendo  priva  di  mezzi  finanziari  sufficienti,  non  potè  provvedere  agli 
assegni  ed  alla  sussistenza  delle  truppe.  Mentre  quindi  si  poteron  raggra- 
nellare soldati  a  stento,  abbondarono  le  diserzioni,  tanto  che  alla  fine  di  aprile 
del  1800  non  erano  costituiti  che  pochi  battaglioni  di  fanteria  d'ordinanza 
e  provinciali,  e  pochi  reparti  d'artiglierìa,  i  quali  furono  ripartiti  nell'armata 
austriaca. 

Dopo  la  battaglia  di  Marengo  (14  giugno)  i  Francesi  occupai'ono  nuova- 
mente il  Piemonte,  e  Carlo  Emanuele  abdicò,  il  4  giugno  1802,  a  favore  del 
fratello  duca  d'Aosta,  che  prese  il  nome  di  Vittorio  Emanuele  I. 


II. 
Le  miljzie  ilaliaiie  dorante  il  periodo  Napoleonico. 

Condizioni  militari  d'Italia  alla  fine  del  secolo  XVIII  e  al  principio  del  XIX.  —  Esercito 
cisalpino,  poi  italiano.  —  Esercito  napoletano.  —  I  corpi  piemontesi  e  di  altre  re- 
gioni dltalia,  nelle  armate  napoleoniche. 


Gli  altri  stati  d'Italia,  alla  fine  del  secolo  XVIII  e  sul  principio  del 
XIX,  non  avevano  vera  efficienza  militare.  Il  regno  delle  Due  Sicilie  dispo- 
neva, nominalmente,  di  circa  25.000  uomini  (*)  ;  scarse  per  numero  e  per  va- 
lore erano  le  milizie  di  Venezia  e  di  Genova;  nei  due  ducati  di  Milano  e  di 
Mantova,  direttamente  soggetti  all'Austria,  le  popolazioni  erano  tenute  lon- 
tane dall'esercizio  delle  armi,  ciò  che  consentiva  al  dominatore  di  tenerle  più 
agevolmente  soggette  ;  gli  Stati  minori  si  trovavano  quasi  sprovvisti  di  forze 
militari. 

In  tali  condizioni  la  penisola  giaceva  da  tre  secoli  all'incirca,  e,  tranne 
che  in  Piemonte,  le  armi  erano  cadute  di  mano  agli  Italiani,  e  lo  spirito  e 
l'attitudine  militari  s'erano  loro  affievoliti,  tanto  che  Buonaparte,  nel  1796, 
scriveva  al  Direttorio  (*):...  Ces  peuples  là  ne  sont  point  guerrieri,  et  il 
faut  quelques  années  d'un  bon  gouvernemenl  pour  changer  leurs  ine  li- 
naiions  ('). 

(')  Di  fattoi  nel  1790,  15.000  appena  erano  i  disponibili,  tra  cai  7000  svizzeri  o 
macedoni,  oltre  ad  ana  milizia  provinciale  di  15.000  nomini  non  istruiti  ne  educati  mi- 
litarmente. 

(')  Corretpondaneet  voi.  I,  pag.  1629. 

(')  Veggasi  in  Memorie  storiche  militari  del  Corpo  di  stato  maggiore  (voi.  I, 
pag.  118)  lo  studio  del  capitano  Brancaccio  e  del  tenente  Ragioni:  Oli  Italiani  nelle 
guerre  napoleoniche. 


8  FIORENZO   BAVA^BECCARIS 


Ma  nel  lungo  e  fortanoso  periodo  che  ne  seguì,  Italiani  (l*ogni  contrada, 
combattendo  con  le  schiere  francesi,  tennero  sempre  e  dovunque  alto  l'onore 
e  la  gloria  della  patria  :  onde,  sebbene  il  nostro  esercito  non  abbia  ereditato 
le  tradizioni  dei  corpi  in  cui  essi  militarono,  è  doveroso  rammentarli,  poichò 
ridestarono  la  coscienza  militare  delle  odierne  generazioni. 

Qui  di  seguito  si  ricorderanno  molto  brevemente  i  due  principali  nuclei 
che  guerreggiarono  nelle  armate  napoleoniche,  cioè  l'esercito  del  regno  di 
Italia  e  quello  del  regno  di  Napoli,  e  si  menzioneranno  pure  i  contingenti 
dati  dal  Piemonte  e  da  altre  regioni  d'Italia. 

Esercito  cisalpino,  poi  italiano.  —  Costituitasi,  nel  1796,  là  repub- 
blica cisalpina,  le  forze  militari  ch'essa  radunò  per  arruolamento  volontario  (^), 
sommarono  a  circa  15.000  uomini  e  furono  ripartite  in  8  legioni  di  fanterìa, 
un  battaglione  di  fanti  leggeri,  un  corpo  d'artiglieria  e  uno  del  genio  (*). 

In  seguito  all'occupazione  austro-russa  del  1799,  queste  truppe  si  sciol- 
sero, e  la  maggior  parte  riparò  in  Francia  dove,  nel  marzo  dell'anno  se- 
guente, il  primo  Console  le  riordinò  in  un  sol  corpo,  col  nome  di  «  legione 
italiana  «,  agli  ordini  del  generale  Giuseppe  Lochi.  Bioccupata  il  2  giugno 
Milano,  Buonaparte  incaricò  il  generale  Pino  di  formare  una  legione  cisal- 
pina la  quale,  nel  1801,  fu  riunita  alla  legione  italiana,  ed  entrambe,  rior- 
dinate in  due  divisioni,  annoverarono  complessivamente  cinque  mezze  brigate 
di  linea,  due  mezze  brigate  leggere,  un  battaglione  bersaglieri  bresciani,  un 
battaglione  cacciatori  cisalpini,  un  battaglione  guardia  del  goverao,  due  reg- 
gimenti di  usseri  ed  uno  di  cacciatori  a  cavallo,  un  reggimento  d'artiglieria 
a  piedi,  due  compagnie  d'artiglieria  a  cavallo,  due  battaglioni  zappatori  e  la 
gendarmeria  nazionale. 

Nel  1803  Tesercito  fu  ordinato  in  3  divisioni,  e,  contemporaneamente. 
Tenne  formato  il  corpo  della  guardia,  con  soldati  scelti  per  valore,  condotta 
e  bella  presenza,  ripartito  in  un  battaglione  cacciatori  (nel  quale  fu  incor- 
porata la  preesistente  guardia  del  governo),  un  battaglione  granatieri,  due 
squadroni  di  cavalleria  e  due  compagnie  d'artiglieria  (^). 

(*)  n  1**  decreto  che  aprì  rarmolamento  volontario  ad  una  legione  lombarda  è  del 
16  ottobre  1796,  e  le  prime  imprese  di  essa  furono  vòlte  contro  le  bande  incomposte  della 
reazione.  Alcnni  della  legione  parteciparono  al  combattimento  d*Arcole,  e  Baonaparte  détte 
loro  il  vessillo  tricolore.  Ma  il  fatto  d^arme  più  importante  al  quale  il  nuovo  nucleo  par- 
tecipò sul  principio  della  sua  formazione,  avvenne  il  2  febbraio  1797  al  ponte  del  Sennio 
presso  Faenza,  dove  sei  battaglioni,  dei  quali  tre  di  Cispadani  (legione  cispadana),  for* 
manti  la  brigata  italiana  del  Lahoz,  ed  alcuni  cavalli  lombardi,  affrontarono  6  o  7000  pon- 
tifici capitanati  dal  Colli. 

(■)  Soltanto  con  legge  del  1®  dicembre  1798  s'introdusse  la  legge  sulla  leva  che  ob- 
bligava i  cittadini  al  servizio  dai  20  ai  25  anni. 

(")  Nel  1803  fu  riordinata  pure  la  scuola  militare  di  Modena  già  istituita  nel  1798 
per  istruire  i  giovani  aspiranti  a   divenire    ufficiali   d'artiglieria  o   del   genio   (stabilita^ 


ESERCITO   ITALIANO 


Nel  1806,  dopo  la  costituzione  del  regno  d'Italia,  le  mezze  brigate  di 
fanteria  assunsero  la  denominazione  di  reggimenti;  il  P  e  il  2°  reggimento 
usseri,  mutati  in  dragoni,  presero  rispettivamente  il  nome  di  dragoni  della 
Regina  e  dragoni  Napoleone,  e  il  1^  reggimento  cacciatori  a  cavallo  quello 
di  cacciatori  reali.  La  guardia  venne  aumentata  del  corpo  della  guardia  di 
onore  (quattro  compagnie)  e  del  reggimento  veliti  reali  (dodici  compagnie), 
composti  tutti  del  fiore  della  gioventil  italiana,  destinata  a  servire  presso  la 
persona  del  re,  indi  a  somministrare  rispettivamente  ufficiali  e  sottufficiali 
scelti  ai  coi*pì  deiresercito.  Le  guardie  d*onore,  dopo  due  anni  di  servizio, 
avevano  grado  di  sottotenente,  i  veliti  di  sergente.  La  guardia  annoverò  così 
complessivamente  8000  uomini  e  800  cavalli  circa,  e  l'intero  esercito  24.000 
uomini  e  4200  cavalli. 

Nel  1806,  dopo  Tacquisto  della  Venezia  e  della  Dalmazia  al  regno 
d'Italia,  si  costituì  un  6^  reggimento  di  linea,  veneto,  un  3^  reggimento 
leggero,  una  legione  dalmata  e  un  battaglione  cacciatori  d'Istria;  le  guardie 
d'onore  vennero  aumentate  di  una  compagnia. 

Nel  1808  l'esercito  si  accrebbe  ancora  di  un  reggimento  di  fanteria, 
il  7^,  con  soldati  proyenienti  dal  reggimento  pontificio  della  marca  d^Ancona, 
del  reggimento  cacciatori  a  cavallo  Principe  Beale  (2^),  e  il  regno  fu  ripar- 
tito in  sei  divisioni  territoriali  (Milano,  Brescia,  Mantova,  Boli^na,  Ancona, 
Venezia).  Nel  1810  si  costituì  un  3**  reggimento  cacciatori  a  cavallo  ;  nel 
1811  fu  riordinata  l'artiglierìa  componendola  di  un  reggimento  a  piedi,  di 
due  battaglioni  di  10  compaguie  e  di  un  battaglione  di  3  compagnie  pon- 
tieri, di  una  d'armaiuoli  e  tre  d'operai,  e  si  costituirono  un  4°  reggimento 
cacciatori  a  cavallo  e  un  4^  di  fanteria  leggera.  Alla  fine  del  1811  l'eser- 
cito nazionale  annoverava  60.000  uomini  e  600  cavalli,  ed  era  composto  di 
69  battaglioni  e  42  squadroni. 

Nel  1812,  per  le  enormi  perdite  subite  in  Spagna  e  in  Bussia,  furono 
rinnovati  parecchi  battaglioni  dei  reggimenti  già  esistenti;  e,  nel  1813,  per 
la  richiesta  di  rinforzi  che  l'imperatore  mandava  dalla  Germania,  si  operò 
in  anticipazione  la  leva  di  30.000  coscritti  ;  si  arruolarono  volontari  per  for- 
mare altri  quattro  reggimenti  (8°,  9^  10'  11**),  e  il  corpo  coloniale  della 
isola  d'Elba,  costituito  Tanno  innanzi,  fu  numerato  12^  di  linea.  Contempo- 
raneamente ebbe  vita  un  nuovo  battaglione  bersaglieri  bresciani.  Alla  fine 
del  1813  l'esercito  ammontava  a  circa  90.000  uomini  e  15.000  cavalli. 


come  lo  è  o^gi,  nel  palazzo  dacale)  ;  nel  1805  fa  creata  la  scuola  militare  di  Pavia  per 
abilitare  quelli  aspiranti  alle  stnaì  ài  ]mesk,I)ìpìiiYenneTo  {ondate  xin&  scuola  d'equitazione 
(prima  a  Milano,  poi  a  Lodi)  per  perfezionare  gli  afficiali  e  i  sottaffieiali  di  cavalleria; 
la  scuola  teoretica  e-an  poligono  per  le  istruzioni  teorico-pratiche  dell'artiglieria,  una 
scuola  pei  sottuficiali  a  Cantù  e  un  collegio  degli  orfani  militari  a  Milano. 


10  FIORENZO  BAVA-BBCGARIS 


Caduto,  neiranno  successivo,  il  regno  italico,  le  schiere  italiane  furono 
sciolte  e  incorporate  in  reggimenti  austriaci.  Gli  ufficiali,  conseryando  il  loro 
grado,  vennero  accolti  o  nei  corpi  austriaci  medesimi  o  in  quelli  dei  rispet- 
tivi Stati  di  origine  (^). 

Così  ebbe  fine  quest'esercito,  il  quale,  dopo  molti  secoli,  fu,  il  primo 
ad  avere  nome,  capi  e  bandiere  italiane ,  e  che  nei  suoi  17  anni  di  vita  glo- 
riosa, arruolò  213,482  italiani,  cioè  165.432  coscritti,  44,000  volontari,  8000 
dalmati  o  istrioti,  e  perdette  in  guerra  o  per  malattia  124.759  uomini,  dei 
quali  26.000  nella  campagna  di  Russia  e  14.000  in  quella  di  Spagna.  Fu 
comandato  nel  1805,  durante  la  campagna  in  Italia,  dal  Massena;  e  quando 
questi  nel  1806  fu  posto  alla  testa  dell'esercito  destinato  alla  conquista  di 
Napoli,  dal  viceré  Eugenio  che  ne  conservò  il  comando  fino  al  1814. 

Sarebbe  lungo  e  difficile  il  voler  enumerare  tutte  le  battaglie  alle  quali  i 
corpi  deiresercito  italiano  presero  parte  ('),  e  i  grandi  servizi  da  essi  resi  alla 
Francia.  La  loro  storia  è  confusa  con  la  storia  militare  deiresercito  francese  di 
queirepoca  ;  la  loro  gloria,  con  la  gloria  della  grande  armata.  Basti  il  rammen- 
tare che  parteciparono  alle  operazioni  del  1801  a  Trento  e  contro  Tesercito 
del  Borbone;  alla  campagna  del  1805  in  Italia  e  in  Austria;  alla  campagna 
del  1807,  in  cui  la  divisione  Teuliò  si  coprì  di  gloria  nell'investimento  di 
Colberg;  alle  aspre  e  insidiose  campagne  di  Spagna  dal  1808  al  1818  (^); 


(^)  VeggaDsi  i  due  volami  dello  Zanoìi:  Sulla  miliiia  cisalpino*italiana. 

(')  Difficile,  poiché  troppo  di  frequente  i  corpi  non  combatterono  rianiti,  ma  i  bat- 
taglioni che  li  componevano  erano  staccati  in  teatri  di  guerra  diversi. 

(')  Sul  finire  deiranno  1807,  con  reparti  tornati  dalle  guerre  di  Napoli  e  di  Ger- 
mania, si  formò  una  divisione  italiana  destinata  ad  andare  in  Spagna.  Erano  6000  uomini 
ed  800  cavalli,  al  comando  del  generale  Giuseppe  Lochi:  2100  erano  del  regno  di  Napoli; 
il  rimanente,  del  regno  d^Italia.  Questa  divisione  passò  a  far  parte  delPesercito  di  osser- 
vazione dei  Pirenei  orientali  —  gen.  Duhesme  —  concentrato  a  Perpignan.  Al  prin- 
cipio del  1808  la  divisione  Lochi  entrò  in  Catalogna,  ed  andò  a  presidiare  Barcellona  ed 
i  forti  circonvicini.  Quivi  compì  un  servizio  di  colonne  mohili  dirette  contro  gli  insorti 
spagnuoli  che  infestavano  le  campagne.  Avvennero  così  parecchi  scontri.  Verso  la  metà 
deiranno  gli  insorti,  aumentati  di  numero  e  rinforzati  da  truppe  regolari,  investirono  com- 
pletamente la  divisione  in  Barcellona. 

In  settembre  dello  stesso  anno  si  organizzò  una  seconda  divisione  italiana,  agli 
ordini  del  gen.  Pino,  la  quale  fece  parte  del  VII  corpo  francese,  gen.  Gouvion  de  St.  Cjr. 
Questo  corpo,  dopo  prosa  la  piazza  di  Rosas,  ruppe  Tinvestimento  di  Barcellona,  ed  entrò 
in  quella  città. 

Nel  1809,  il  Vn  corpo,  rinforzato  dalla  divisione  Giuseppe  Lochi,  assediò  e  prese 
Gerona.  Durante  le  operazioni,  St.  Cyr  fn  sostituito  da  Augeran. 

Nel  1810,  le  due  divisioni  italiane,  molto  stremate  di  forze,  furono  fnae  in  una  sola 
divisione,  al  comando  del  gen.  Mazzucchelli»  poi  del  gen.  Severoli,  quindi  del  gen.  Pino 
ed  infine  del  gen*  Fontana.  La  divisione  assediò  e  prese  Hostalrich  e  compì  altre  opera- 
zioni minori.  NelPanno  stesso  Aagerau  fu  sostituito  da  Macdonald. 

Al  princìpio  del  1811  fu  tentata  la  presa  di  Tarragona,  e  quindi  la  divisione   ita* 


ESERCITO   ITALIANO  H 


a  quella  del  1809  (^),  dorante  la  quale,  a  Sacile  (16  aprile)  e  alla  Baab 
(14  giugno),  razione  fu  sostenuta  in  massima  parte  dagli  Italiani;  alla 
campagna  del  1812  in  Bussia,  dove,  appartenendo  al  4®  corpo,  gli  Ita- 
liani, con  energia  mirabile  e  a  prezzo  di  enormi  perdite,  cacciarono  i  Bussi 
dalle  posizioni  Malo-Jaro-Slawetz  (24  ottobre);  a  quella  del  1818,  e  final- 
mente alle  fazioni  di  guerra  del  1814  in  Italia. 

Esercito  napoletano.  —  Dopo  che  Giuseppe  Bonaparte,  il  30  marzo 
1806,  fu  creato,  dall'imperatore,  re  di  Napoli,  sua  prima  cura  fu  di  gettare 
le  basi  di  un  esercito.  Egli  formò,  da  prima,  due  reggimenti  di  fanteria,  di 
cui  aflSdò  il  comando  ai  colonnelli  Pignatelli  e  Caracciolo,  che  a?ean  già 
servito  nelle  milizie  del  regno  d'Italia;  e  poco  dopo,  due  altri  di  linea,  due 
di  cacciatori  a  cavallo  ed  una  compagnia  d* artiglierìa  montata.  Ma  non  po- 
tendo stabilir  subito  la  coscrizione  per  la  riluttanza  degli  abitanti  ad  as- 


liana,  al  comando  del  gen.  Peyri,  passò  a  far  parte  del  corpo  di  Aragona,  gen.  Suchet. 
Con  qaesto  investì  di  nuovo  Tarragona,  che  fa  presa.  La  divisione  ebbe  quindi  per  co- 
mandante il  generale  Palombini,  e  venne  ripartita  in  vari  presidii.  Si  formò  frattanto  in 
Italia  una  terza  divisione  agli  ordini  del  generale  Severoli,  la  qaale  raggiunse  Tarmata 
di  Navarra,  passò  in  Aragona  ove  combatta  le  truppe  di  Mina,  e  quindi  si  congiunse 
alla  1^  divisione  sotto  Valenza,  ove  Suchet  aveva  posto  Tassedio. 

Nel  1812,  dopo  la  presa  di  Valenza,  le  due  divisioni  italiane  vennero  inviate  in  Ara- 
gona a  proteggere  le  retrovie,  trovandosi  in  tal  modo  impigliate  in  continui  combatti- 
menti di  piccola  guerra.  La  divisione  Palombini  fu  poi  chiamata  a  Madrid  ed  inviata  in 
seguito  a  Segovia,  ove  ebbe  alcuni  scontri  con  gli  Inglesi:  fece  allora  parte  delTarmata 
del  centro. 

Nel  1813,  la  divisione  Severoli  si  riunì  a  Suchet,  e  rimase  intorno  a  Valenza;  la 
divisione  Palombini  combattè  in  Bìscaglia,  ed  intorno  a  Bilbao. 

Nel  dicembre  di  quelFanno  le  due  divisioni  rimpatriarono. 

Napoleone,  nel  26®  bollettino  dell'esercito  di  Spagna  fece  annunziare:  ^  L$  milizie 
del  Regno  d'Italia  $i  sono  coperte  di  gloria  \  la  loro  eccellente  condotta  ha  sensiòil' 
mente  commosso  il  mio  cuore.  Élleno  sono  composte  la  maggior  parte  di  corpi  formati 
da  me,  durante  la  campagna  deWanno  V,  I  veliti  italiani  sono  disciplinati  quanto 
prodi,  non  hanno  dato  motivo  ad  alcuna  lagnanza,  ed  hanno  mostrato  il  piU  grande  co^ 
raggio. 

«  Dopo  i  Romani,  i  popoli  d'Italia  non  avevano  mai  fatto  la  guerra  in  /spagna  ; 
dopo  i  Romani,  nessun^ epoca  è  stata  così  gloriosa  per  le  armi  italiane,  V esercito  del 
Regno  dltalia  avrà  80.000  soldati,  e  buoni  soldati.  Ecco  i  mallevadori  che  ha  questa 
bella  contrada,  per  non  essere  più  il  teatro  della  guerra!  n. 

(*)  L'esercito  italico  vi  partecipò  con  tre  divisioni  attive  comandate  rispettivamente 
da  Fontanelli,  Severoli  e  Lechi  Teodoro,  e  un  corpo  distaccato.  La  prima  contava  6300 
uomini,  600  cavalli  e  8  pezzi;  la  3^,  composta  della  Guardia  reale,  ascendeva  a  2600  uo- 
mini, 900  cavalli  e  8  pezzi,  Il  corpo  distaccato  era  di  3100  uomini  e  900  cavalli.  Inoltre 
una  divisione  di  riserva  (Fiorella)  formava  i  presidii  airintemo,  e  contava  3100  uomini, 
500  cavalli  e  8  pezzi.  In  tal  modo  l'esercito  annoverava  in  Italia  24.000  uomini,  3600 
cavalli  e  32  cannoni. 


12  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


soggettarvisi  e  per  la  facilità  cod  la  qaale  i  coscritti  refrattari  avrebbero 
potuto  riparare  in  Sicilia,  tenuta  dai  Borboni,  compose  questi  corpi  con  vo* 
lontari  e  con  antichi  soldati  reclutati  tra  i  prigionieri  di  guerra  napoletani 
che  domandarono  di  esservi  ammessi. 

Nell'agosto  del  1808  venne  formato,  sotto  il  nuovo  regno  di  Murat,  un 
corpo  di  veliti  della  guardia,  e  nel  1809  un  5®  reggimento  di  linea,  un  reg- 
gimento d'artiglieria  a  piedi,  due  compagnie  zappatori  del  genio;  l'artiglieria 
a  cavallo  venne  accresciuta  di  due  compagnie. 

Nello  stesso  anno  1809  fu  stabilita  la  legge  sulla  coscrizione,  per  la 
quale  ogni  napoletano  dai  17  ai  26  anni  era  soggetto  al  servizio  militare;  ne 
furono  esenti  soltanto  gli  ammogliati  o  i  figli  unici  e  i  sostegni  di  famiglia. 

L'anno  seguente,  cominciando  questa  legge  ad  avere  esecuzione,  si 
costituirono  altri  quattro  reggimenti  di  linea  (6**,  7®,  8**,  9®),  due  reggi- 
menti leggeri,  un  reggimento  granatieri,  due  di  cacciatori  veliti  e  uno  di 
cavai  leggeri  ;  ai  quali,  nel  1811,  si  aggiunsero  due  reggimenti  cacciatori  a 
cavallo.  Il  corpo  della  guardia  fu  trasformato  e  costituito  di  tre  reggimenti  : 
uno  di  usseri,  uno  di  lancieri  e  il  terzo  di  corazzieri. 

Nessun  altro  aumento  ebbe  l'esercito  fino  al  1815  ;  e  in  quest'anuo,  allo 
aprirsi  della  campagna  contro  gli  Austriaci,  esso  si  componeva  di  due  divisioni 
della  guardia  (una  di  fanteria,  l'altra  di  cavalleria),  di  4  divisioni  di  fan- 
teria e  una  di  cavalleria  di  linea  con  relativa  artiglierìa,  genio  e  treno,  con 
una  forza  complessiva  di  circa  52.000  uomini,  7000  cavalli  e  78  bocche  da 
fuoco  (*). 

alla  restaurazione  dei  Borboni,  le  milizie  furono  radunate  a  Salerno  e 
quivi  mescolate  con  quelle  che  aveva  condotte  Ferdinando  I  dalla  Sicilia. 

Le  truppe  napoletane,  come  le  piemontesi  e  le  cisalpine,  e  talvolta  in 
unione  con  esse,  guerreggiarono  nelle  armate  napoleoniche  in  Catalogna,  in 
Tirolo,  sulla  Vistola,  sul  Lobregat.  Il  P  di  linea  e  il  2^  cacciatori  a  ca- 
vallo operarono  nel  1808  in  Catalogna  assieme  con  la  divisione  italiana,  e  fu- 
rono poi  raggiunti  dal  2^  di  linea  venuto  coi  rinforzi  condotti  dal  Saint-Cyr. 
Nel  1809,  durante  l'assedio  di  Gerona  al  quale  parteciparono  tutti  i  corpi 
napoletani,  i  cacciatori  a  cavallo  acquistarono  reputazione  di  intrepidi. 

Nel  1810  giunsero  in  Spagna  due  battaglioni  del  P  leggero  e  parte 
del  P  cacciatori  a  cavallo  che  nel  1 809  avean  guerreggiato  contro  TAustrìa 
in  Tirolo.  Tutti  i  corpi  napoletani  formarono  allora  una  pìccola  divisione 
al  comando  del  generale  Francesco  Pignatelli,  divisione  che,  impiegata  alla 
difesa  della  linea  d'operazione  da  Qerona  alla  fortezza  di  Bellegarde,  contenne 
e  respinse  in  vari  scontri  gli  spagnuoli.  Nell'agosto,  facendo  parte,  con  la  divi- 
sione italica  Severoli,  del  corpo  di  Macdonald,  partecipò  ad  un  combattimento 

(^)  Entrarono  veramente  in  campagna  circa  34.000  aomini,  5000  cavalli  e  56  pezzi 
(Colletta,  Opere  inedite  e  rare,  voi.  I,  pag.  44). 


ESERCITO   ITALIANO  ^3 


tra  FoDcalda  e  Villaret,  ove  gareggiò  di  yalore  coi  Lombardi,  e  si  coprì 
di  gloria.  Durante  il  resto  deiranno  fu  impegnata  a  proteggere  le  retrovie. 
Nel  1811,  ridotta  ad  una  brigata,  della  quale  ebbe  il  comando  il  maresciallo 
di  campo  Ferrier,  prese  parte  all'assedio  di  Tarragona  ed  all'espugnazione  di 
Sagunto. 

Nel  1812  i  napoletani  continuarono  a  rendere  utili  ed  onorati  servizi, 
finché,  ridotti  alla  forza  di  un  battaglione,  si  trovarono  col  corpo  del  mare- 
sciallo Soult  nella  sorprendente  ritirata  che  continuò  dalla  fine  del  1813  al 
marzo  del  1814.  Ed  è  da  notare  che,  mentre  quel  battaglione  pugnava  ancora 
per  la  Francia,  ad  Ancona  i  Napoletani  combattevano  già  contro  la  bandiera 
di  Napoleone. 

Altre  truppe  napoletane  guerreggiarono  su  diversi  teatri  d'Europa:  il  P 
leggero  ed  il  1^  cacciatori  a  cavallo  nel  1809  in  Tirolo;  la  guardia  d'onore 
nel  1812  in  Russia,  ove  rimase  quasi  totalmente  distratta;  sei  battaglioni 
del  6*  e  del  7^  di  linea  ed  il  reggimento  granatieri,  assieme  col  113®  di 
toscani,  furono  alla  difesa  di  Danzica,  poi  alla  campagna  del  1813  nella 
quale  combatterono  a  Lutzen,  a  Bautzen,  a  Dresda,  a  Lipsia  (^).  Finalmente 
i  Napoletani  nel  1814  campeggiarono  sul  Po  contro  i  Franco-Italici  e,  nel  1815, 
si  batterono  contro  gli  Austriaci  sul  Panaro  e  a  Tolentino. 

Infine  occorre  rammentare  che  mentre  la  massima  parte  degli  Italiani 
combattevano  a  lato  delle  forze  napoleoniche,  o  fuse  con  esse,  una  legione 
siculo-calabrese  (3000  uomini),  costituita  a  cura  di  lord  Bentink  con  truppe 
del  re  Ferdinando  di  Napoli  ed  emigrati  calabresi  in  Sicilia,  sbarcò  a  Car- 
tagena  e  fu  quindi  avviata  in  Catalogna  per  operare  d'accodo  con  le  forze 
insurrezionali  britanniche. 

Contingenti  piemontesi  e  di  altre  regioni  italiane.  —  Come  si  è  detto 
alla  fine  del  precedente  capitolo,  il  26  agosto  1802  nel  Piemonte  si  costituì 
una  divisione  militare  francese  (la  27^),  e  l'esercito  piemontese  fu  definiti- 
vamente incorporato  in  quello  repubblicano.  Le  truppe  di  fanteria  formarono 
due  mezze  brigate  di  linea  (111*  e  112*),  una  mezza  brigata  Infera  (3P), 
la  1*  legione  piemontese  (detta  poi  Legione  del  mezzogiorno)  e  il  •  Bataillon 
expeditionnaire  piemontais  »  (denominato  in  seguito  battaglione  tiragliatori  del 
Po);  le  truppe  di  cavalleria  costituirono  un  reggimento  di  dragoni  (2P),  uno  di 
cacciatori  (26""),  una  compagnia  guardie  d'onore  a  cavallo  (1809),  e  più  tardi 
(1813)  uno  di  usseri  (14^);  l'artiglieria  formò  un  battaglione  incorporato  in 
nn  reggimento  francese  (P  d'artiglieria);  le  truppe  del  genio  vennero  ripar- 
tite nel  corrispondente  corpo  francese.  Nel  1803  le  mezze  brigate  si  dissero 
di  bel  nuovo  reggimenti;  il  112^  fu  sciolto  e  gli  uomini  ripartiti  fra  il  11 1° 
e  il  3P  leggero. 

(*)  Vcggasi  il  volume  Tre  capitoli  della  storia  del  reame  di  Napoli,  del  ten.  ge- 
nerale Franco&co  Pignatelli-Strongoli. 


1^  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

Queste  truppe  non  smentirono  Tantico  valore  durante  le  campagne  na- 
poleoniche. Il  lOP  di  linea  e  il  8P  leggero,  i  tiragliatori  del  Po,  il  26^ 
cacciatori  a  cavallo  e  il  2P  dragoni  parteciparono  alla  campagna  del  1805 
segnalandosi  nelle  giornate  di  Ulmae  di  Austerlitz;  alla  campagna  del  1806, 
nella  quale  dettero  prova  di  gagliardia  a  Jena  e  ad  Auerstaedt,  ed  i  tira- 
gliatori del  Po  a  Lubecca;  alla  campagna  del  1807,  durante  la  quale  il  21^ 
dragoni  si  trovò  in  testa  alla  famosa  carica  di  Murat  ad  Ejlau  e,  con  il  31® 
leggero,  al  fatto  d*arme  di  Friedland.  Questi  due  ultimi  corpi,  dal  1808  al 
1812,  guerreggiarono  nella  penisola  Iberica;  il  26^  cacciatori  li  raggiunse  pia 
tardi,  combattendo  gloriosamente  contro  gFinglesi  a  Rolica  (Portogallo),  ed 
a  Vimeiro,  ove  protesse  la  ritirata  di  Junot  battuto  da  Wellington. 

Il  IH*  di  linea  e  il  battaglione  tiragliatori  del  Po  presero  parte  alla 
campagna  del  1809,  partecipando  alla  battaglia  di  Wagram  ed  alle  cam- 
pagne del  1812,  del  1813  (a  cui  prese  anche  parte  il  31®  leggero,  reduce 
di  Spagna)  e  del  1814. 

Le  altre  regioni  italiane,  a  mano  a  mano  che  entravano  neirorbita 
della  dominazione  di  Napoleone,  contribuirono  pure  ad  accrescere  le  file  delle 
sue  armate. 

Nel  1805  i  Liguri,  pochi  Romani  e  Parmigiani  composero  il  32*  leg- 
gero che  militò  in  Spagna  e  partecipò  alla  campagna  del  1813;  i  Toscani, 
nel  1808,  costituirono  il  113*  di  linea  e  il  28*  dragoni,  i  quali  guerreggia- 
rono in  Spagna;  il  28*  dragoni  combattè  poi  alla  Moscowa,  e  il  118*  a 
Danzica;  entrambi  fecero  la  campagna  del  1813  alla  quale  si  trovò  pure  il 
13*  usseri  costituito  Tanno  medesimo  con  Romani. 

Le  lunghe  guerre  combattute  dagli  Italiani  sul  proprio  suolo,  in  Ger- 
mania, in  Spagna,  in  Russia,  per  oltre  un  ventennio  ;  il  sangue  versato  in 
più  che  cento  combattimenti,  ridestarono  il  loro  valore  sopito  da  tre  secoli  di 
servaggio.  Onde  si  può  con  sicurezza  affermare  che  il  risveglio  della  coscienaa 
politico-nazionale  fu  preceduto  da  quello  della  coscienza  militare:  e  ben  a 
ragione  Napoleone,  dimenticando  il  suo  primo  giudizio,  esule  a  sani*  Elena, 
scrisse:  La  bravoure  des  troupes  italiennes  ne  petU  étre  mise  en  doute  à 
aucune  epoque.  Il  suffit  de  nommer  Rome  et  tous  les  «  condottieri  »  du  moyen 
àge:  et  de  nosjours,  les  troupes  de  la  republtque  cisalpine,  et  du  royaume 
d* Italie  (*)  ;  e  dettò  la  profezia  che  l'Italia  avrebbe  un  giorno  formato  una 
grande  nazione  con     Roma  capitale. 


(0  Mémorial  de  Sainte-HéUne,  VI,  pag.  228. 


ESERCITO  ITALIANO  15 


III. 

Dal  1814  al  1859. 

Ritorno  del  Re  Vittorio  Emanuele  I  negli  Stati  di  terraferma.  —  Riordinamento  del- 
Tesercito.  —  La  breve  campagna  del  1815.  —  San  Marzano  ministro  della  guerra.  — 
La  rivoluzione  del  1821  e  le  sue  conseguenze  militari.  —  Abdicazione  del  Re  Vii* 
torio  Emanuele  L  —  Carlo  t'elice  (1821-1831).  —  Rivoluzione  francese  del  1830.  — 
Apparecchi  di  guerra.  —  Carlo  Alberto.  —  Nuovo  ordinamento  deiresercito  du- 
rante Tamministrazione  del  generale  Villamarina.  —  Organizzazione  dell^esercito  per 
le  campiigne  del  1848  e  del  1849.  —  Il  generale  Alfonso  La  Marmora  ministro  della 
guerra,  e  sue  cure  per  riordinare  l'esercito.  —  La  legge  sul  reclutamento,  del  1854.  — 
Sintesi  dell'opera  del  gen.  La  Marmora.  —  La  spedizione  in  Crimea.  —  Organizza- 
zione dell'esercito  per  la  campagna  del  1859.  —  Ampliamento  dell'esercito  dopo  la 
campagna. 

L*ll  aprile  1814  Napoleone  abdicava  a  Fontainebleau ;  il  20  mi^gio 
Vittorio  Emanuele  I  rientrava  in  Torino.  Quantunque  il  nuovo  Re  fosse  d-in- 
dole  buona,  ed  avesse  a  cuore  la  prosperità  dello  Stato,  pure,  giudicando 
erroneamente  i  tempi,  e  ritenendo  il  turbinoso  periodo  trascorso  cancellato 
dairanimo  dei  soggetti,  volle  che  1* amministrazione  generale  dello  Stato  si 
modellasse  suirantica,  e  che  Tesercito  fosse  ordinato  sulle  basi  medesime 
in  cui  si  trovava  prima  della  rivoluzione.  E  pose  mano  subito  a  tal  ricosti- 
tuzione per  liberarsi  dalla  soggezione  dair Austria,  che  con  le  sue  truppe 
occupava  tuttora  lo  Stato. 

Si  ripigliò  Tantico  sistema  per  la  nomina  dei  principali  funzionari!  ;  le 
provinole  furono  cioè  rette  da  governatori  militari  :  le  città  da  comandanti  di 
piazza.  Abolita  la  coscrizione  (0,  vennero  formati  i  reggimenti  d'ordinanza  (') 

(^)  La  coscrizione  era  stata  prescritta  in  Francia  nel  1798.  Ogni  francese  era  co- 
stretto a  servire  dai  20  ai  25  anni,  e  dei  coscritti  si  formavano  cinque  classi,  tra  le  quali 
il  governo  sceglieva  finché  ne  avesse  bisogno.  Napoleone  vi  unì  l'estrazione  a  sorte  ed 
il  cambio,  ma  poi  non  rispettò  nessuna  di  queste  clausole,  e,  specialmente  negli  ultimi  tempi, 
procedette  alle  leve  in  massa.  Uno  degli  impegni  dei  sovrani  restaurati  fu  appunto  l'abo- 
lizione della  coscrizione. 

(*)  Nella  fanteria  i  reggimenti  d'ordinanza  furono  i  seguenti  :  delle  Guardie,  di  Sar- 
degna (rimasto  sempre  in  armi  nell'isola),  di  Savoia,  di  Monferrato,  di  Piemonte,  di  Sa- 
luzzo,  d'Aosta,  della  Marina  (detto  poi  di  Cuneo),  della  Regina,  di  Alessandria  e,  dopo  l'an- 
nessione del  Genovesato,  quello  detto  di  Sarzana,  poi  di  Genova.  Furono  pure  istituite 
truppe  leggere  d'ordinanza,  le  quali  costituirono  soltanto  battaglioni:  due  di  cacciatori  pie- 
montesi, detti  poi  di  Nizza  (uno  dei  quali  proveniente  intero  dal  servizio  di  Francia,  dove 
aveva  militato  nel  81^  leggero),  due  della  u  legione  piemontese  n  (formati  in  Inghilterra 
con  prigionieri  piemontesi),  uno  dei  «cacciatori  della  Regina»,  due  di  cacciatori  italiani. 


16  FIORENZO    BAVA-BECCARIS 

con  volontari,  antichi  soldati  piemontesi,  o  reduci  dal  servizio  di  Francia  che 
si  dedicavano  alle  armi  come  ad  una  professione,  e  i  reggimenti  provinciali  (^) 
col  vecchio  sistema  dei  contingenti  di  levata,  imposto  ai  Comuni.  Quanto  agli 
ufficiali,  il  Be  accettò  prima  gli  appartenenti  alla  vecchia  aristocrazia  rimasta 
fedele  al  trono;  ma,  scarseggiando  questi  e  non  avendo  perizia  neiristruire 
la  milizia  secondo  le  regole  del  tempi  nuovi,  tollerò  a  malincuore  Tammissione 
di  coloro  che  avevano  già  servito  l'Impero  o  il  regno  d'Italia. 

Durante  la  breve  guerra  del  1815,  il  nuovo  esercito  piemontese  com- 
battè in  Savoia  accanto  all'austriaco,  ma  dimostrò  tali  manchevolezze  or- 
ganiche che,  terminatala  campagna,  il  Be  s'accinse  a  mutarne  gli  ordini 
dalle  basi.  Stabilì  la  soppressione  dei  reggimenti  provinciali,  e  Tincorpo- 
razione  del  loro  personale  in  quelli  d'ordinanza,  e  ciascuno  di  questi  divise 
in  nove  categorie  di  gregari  :  una  di  volontari,  obbligata  al  servizio  conti- 
nuativo per  otto  anni  ;  le  altre  di  contingenti  di  levata  vincolati  per  sedici, 
otto  dei  quali  nell'armata  attiva  e  otto  nella  riserva,  ma  chianuiti  alle  armi 
periodicamente,  due  alla  volta,  per  quattro  mesi. 

E  poiché  le  antiche  condizioni  per  le  levate  dei  provinciali  non  erano 
sufficienti  per  completare  i  corpi,  così  nel  febbraio  1816  ristabilì,  con 
qualche  mutamento,  la  legge  sulla  coscrizione  francese  che  fu  detta  «  legge 
sulla  leva  militare  «,  per  la  quale  tutti  i  cittadini  validi,  dai  18  ai  24 
anni,  furono  obbligati  al  servizio.  Ma  i  corpi  leggeri  e  quelli  di  cavalleria 
continuarono  ad  esser  composti  per  intero  di  truppe  d'ordinanza. 

In  questo  medesimo  periodo,  sempre  sotto  l'amministrazione  del  S.  Mar- 
zano,  che  fu  a  capo  della  segreteria  di  guerra  fino  al  1817,  si  instituì  il 
corpo  di  stato-maggiore  alla  dipendenza  d'un  «  quartiermastro  »,  ma  fin 
dal  principio  se  ne  alterò  il  fine,  il  quale,  anziché  a  funzioni  d'indole 
prettamente  militare,  fu  vòlto  a  studi  geodetici  e  topografici  ;  si  divise  il 
corpo  d'artiglieria  in  attivo  e  sedentario,  l'uno  costituito  dalle  truppe,  Taltro 
dagli  ufficiali  incaricati  degli  studi  tecnici  ;  ed  analoga  suddivisione  ebbe  il 
coi'po  del  genio  fra  il  personale  assegnato  ai  servizi  di  campagna  e  quello 
adoperato  per  i  servizi  d'ingegneria.  Nel  1816  fu  pure  istituita  l'accademia 
militare  per  abilitare  i  giovani,  in  specie  di  famiglie  nobili,  a  divenire  ufficiali. 

Nel  1817  si  può  dire  che  l'esercito  fosse  completamente  ricostituito  ('). 


Nella  cavallerìa  i  reggimenti  d^ordinanza  furono  :  dragoni  del  Re,  dragoni  della  Regina, 
caTalleggeri  del  Re,  cavalleggeri  di  Piemonte,  Piemonte  Reale  cavallerìa,  Savoia  cavalieri», 
cavalleggeri  di  Sardegna.  Il  corpo  reale  di  artiglieria  fa  diviso  in  artiglieria  «a  piedi», 
(dae  battaglioni},  e  in  artiglieria  u  volante  »  pel  servizio  celere  di  campagna.  Per  il  traino 
delle  batterie  si  formò  un  corpo  del  treno. 

(*)  I  reggimenti  provinciali  furono:  Ivrea,  Torino,  Nizza,  Asti,  Pinerolo,  Novara,  Tor- 
tona, Acqui,  Mondovì,  Vercelli,  Casale,  Snsa. 

(')  Comprendeva  nove  reggimenti  di  linea,  uno  di  granatieri,  uno  di  cacciatori,  la 
legione  reale  leggiera,  quattro  battaglioni  di  cacciatori,  due  compagnie  leggiere  in  Sar* 


ESERCITO   ITALIANO  17 


La  rivolazione  piemontese  del  marzo  1821,  ripercussione  di  quella  napo- 
letana del  luglio  avanti,  ebbe,  sventuratamente  come  questa,  carattere  mili- 
tare. L'esercito  si  divise  :  parteggiarono  gli  uni  pei  liberali,  gli  altri  pel  potere 
assoluto  ;  e  Vittorio  Emanuele  I,  ritenendosi  vincolato  ai  patti  con  le  potenze 
del  nord,  e  temendo,  se  avesse  dato  la  costituzione,  un  intervento  austriaco, 
abdicò  il  13  marzo,  ed  incaricò  della  reggenza  Carlo  Alberto  di  Carignano  sino 
all'arrivo  da  Modena  di  Carlo  Felice  al  quale,  per  successione  legittima, 
spettava  il  trono.  Carlo  Alberto  concesse  la  costituzione  spagnuola  ;  il  nuovo 
Be  ne  disapprovò  Tatto  invocando  soccorsi  dall'Austria,  ed  ingiungendo  alle 
truppe  fedeli  di  concentrarsi  a  Novara.  Quelle  costituzionali  si  raccolsero  in 
Alessandria,  e  di  qui  mossero  tosto  contro  le  prime,  ma,  dopo  breve  scaramuccia, 
si  dispersero,  sicché  gli  Austriaci,  valicando  il  Ticino,  rioccnparono  parte 
dello  Stato. 

Domata  la  sommossa,  si  pose  mano  ad  epurare  T esercito  sciogliendo  i 
4Ì0YPÌ  che  avevano  fatto  causa  comune  coi  liberali  ('),  annullando  le  dispo- 
sizioni emanate  nel  breve  periodo  della  reggenza,  destituendo  gran  numero 
di  ufficiali.  Ristabilito  poi  Tordine,  vennero  sancite  punizioni  severissime 
contro  i  sospetti  di  liberalismo,  e  fu  sottoposto  l'esercito  a  dura  disciplina, 
a  rigido  regolamentarismo. 

Carlo  Felice  —  il  quale,  come  Carlo  Emanuele  IV,  fu  tra  i  pochi  prin- 
cipi della  sua  stirpe  che  non  ebbero  gusti  militari  (*)  —  non  mutò  sostan- 
icialmente  gli  ordinamenti  delle  milizie  (^)  ;  accrebbe  soltanto  notevolmente 
la  flotta  per  i  risultati  fortunati    della  spedìsione  di  Tripoli  del  1825. 

Nel  1830  scoppiò  la  rìvoluzione  francese,  che  sembrò  foriera  di  guerra. 
Il  Be  chiamò  alle  armi  gradatamente  i  contingenti  provinciali,  e,  abbiso- 
gnando di  un  generale,  chiese  ed  ottenne  dalle  potenze  del  nord  il  mar- 
chese Filippo  Paolucci  che  aveva  militato  prima  nel  reggimento  piemontese 


degna,  dae  reggimenti  di  cavalleria,  due  di  dragoni  e  due  di  cavallcggeri  ;  i  cavalleggerì 
di  Sardegna;  an  reggimento  di  artiglierìa  a  piedi,  quattro  compagnie  d*artiglieria  volante, 
tre  compagnie  d*artiglieria  della  Sardegna,  sei  compagnie  di  zappatori  e  una  di  minatori 
del  genio,  e  il  corpo  del  treno.  I  reggimenti  di  linea,  airatto  della  guerra,  s^ingrossavano 
di  tutti  i  provinciali,  raddoppiavano  il  numero  dei  battaglioni  portandolo  a  4,  ed  assume- 
vano qualifica  di  brigata. 

(')  Cioè  le  brigate  di  Monferrato,  di  Saluzzo,  d^Alessnndrìa,  di  Genova,  alcuni  bat- 
taglioni cacciatori  e  i  reggimenti  dragoni  del  Re.  Le  fanterie  si  ricostituirono  poco  ap- 
presso, da  prima  in  battaglioni  provvisori,  poi,  in  novembre,  nelle  brigate  Casale,  Pine- 
rolo,  Savona  ed  Acqui,  nelle  quali  vennero  incorporati  pure  alcuni  battaglioni  cacciatori. 
Dei  reggimenti  di  cavalleria  sciolti  se  ne  costituì  uno  solo,  detto  dei  dragoni  del  Genevese. 

(')  Della  Rocca,  Autobiografia  di  un  veterano,  I,  57. 

(*)  Furono  oreati  soltanto:  un  battaglione  cacciatori  (1825),  ed  un  reggimento  di 
dragoni  (1829j,  ch'ubbero  entrambi  il  nome  d*Aosta;  e  vennero  aumentati  gli  squadroni 
•del  reggimento  Piemonte  Reale  (1827). 

Fiorenzo  Bava-Bbccams.  —  Esercito  it alimo  ecc.  2 


18  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

delle  Guardie  contro  T esercito  francese,  poi  in  Russia,  do?e  era  salito  in 
fama  di  valoroso  e  buon  condottiero.  Il  Paoluoci  ebbe  carica  d'ispettore  ge- 
nerale della  fanteria  e  della  cavalleria,  e  facoltà  di  matare  a  suo  arbitrio 
gli  ordinamenti  militari.  Ma,  in  questo  mezzo,  morì  Carlo  Felice  (27  aprile 
1831),  e  gli  successe  Cario  Alberto.  L'esercito  attrasse  le  cure  assidue  del 
nuovo  Se,  che  parve  sin  d* allora  aver  in  animo  di  esseme  il  comandanto,  poiché,  | 

con  decreto  del  6  agosto  1831,  abolì  la  carica  d'ispettore  generale  deirar- 
mata,  riguardato  come  Teventuale  capo  in  guerra.  Rimase  quindi  interrotto 
Tordinamento  del  Paolucci,  ed  altri  mutamenti  avvennero,  dei  quali  alcuni 
storicamente  importanti,  poiché  appariscono  come  base  degli  attuali.  Di  essi 
fu,  per  buona  parto,  autore  il  generale  di  Yillamarina,  chiamato  a  reggere 
il  posto  di  segretaiùo  di  Stato  di  guerra  e  marina  il  5  aprile  1832. 

Non  mutarono  i  concetti  fondamentali,  secondo  cui  era  tradizionalmento 
costituito  Tesercito  :  una  robusta  ossatura  di  nomini  d'ordinanza  (0,  completata 
coi  provinciali;  ma  fu  abolito  il  servizio  alternativo  di  costoro,  e  imposto 
invece  Tobbligo  di  servire  due  anni  in  modo  continuo.  Da  questo  tempo  si 
può  dire  che  abbia  principio  quella  che  in  seguito  si  disse  «feima». 

Per  inquadrare  in  guerra  il  massimo  dei  richiamati,  furono  costituito, 
come  lo  sono  tuttora,  al  comando  d*un  maggior  generale,  le  brigate  perma- 
nenti di  fanteria  di  due  reggimenti,  e  questi  vennero  ordinati  in  tre  batta* 
glioni,  dei  quali,  due  sempre  costituiti,  ed  il  terzo,  da  prima  lasciato  in  con- 
gedo, poi,  nel  1882,  mutato  in  batti^flione  di  deposito  per  servire,  in  guerra, 
di  nucleo  alle  truppe  di  riserva,  e  per  Tammaestramento  delle  reclute. 

I  reparti  cacciatori  furono  soppressi,  e  gli  uomini  vennero  incorporati 
nei  reggimenti  di  linea. 

Più  brigate  di  fanterìa  costituirono  una  divisione  territoriale  corrispon* 
dente  sempre  ad  un  governo,  e  comandata  da  un  luogotenente  generale,  il 
quale,  come  pel  passato,  al  comando  delle  truppe  univa  la  direzione  politica 
e  di  polizia  del  territorio. 

NelFanna  di  cavalleria  si  fusero  i  dragoni  coi  cavalleggeri;  si  muta- 
rono le  denominazioni  di  alcuni  reggimenti,  e  se  ne  costituì  uno  nuovo,  detto 
di  Aosta  (*). 

Data  pure  da  quest'epoca  la  suddivisione  dell* artiglieria  in  campale  (da 
posizione  da  battaglia,  a  cavallo)  e  d'assedio  o  da  difesa  (da  piazza),  e  per 


(')  La  categoria  d'ordinanza  fa,  come  in  passato,  composta  di  individui  di  recluta- 
mento volontario  e  di  surrogati  :  o  qualora  essi  non  fossero  bastati  a  mantenerla  a  numero, 
di  iscritti  di  leva  (R.  V.  31  dicembre  1881).  Gli  uomini  che  la  componevano  assumevano 
servizio  per  la  durata  di  otto  anni,  e  frequentemente  lo  riprendevano  per  guadagnare  il 
premio  di  surrogazione.  Da  questa  categoria  uscivano  i  graduati  e  i  sottufficiali. 

(*)  I  reggimenti  furono  i  seguenti  :  Piemonte  Reale,  Nizza  (antico  Piemonte),  Savoia» 
Genova  (antichi  dragoni  del  Genevese),  Novara  (antichi  dragoni  del  Piemonte),  Aosta. 


ESERCITO   ITALIANO  19 


la  prima  Tolta  fìiroDo  assegnati  alla  prima  i  cavalli  per  il  traino,  servizio 
disimpegnato  fino  allora  dal  treno  (^). 

Nel  1833  fu  prescritto  Tordinamento  deiresercito  in  guerra,  stabilendo 
si  dividesse  qnesfnltimo  in  corpi  d'armata  costituiti  da  più  divisioni;  vennero 
determinate  le  funzioni  del  quartiermastro  generale  (specie  di  capo  di  stato 
iMggiore  dell'esercito),  creata  la  carica  «  d'intendente  generale  «  e  definita  la 
composhfoM  del  quartier  generale  dell'esercito,  principalmente  con  tutti  i  capi 
dei  vari  servist;  mI  1836,  sulla  proposta  di  Alessandro  La  Marmora  si  co- 
stituì il  corpo  dei  bers^^iari  :  il  quale  acquistò  subito  una  gran  popolarità 
che  conserva  tuttora,  rappresentando  una  caratteristica  speciale  dell'esercito 
italiano;  nel  1887  il  Villamarina,  volendo  aumentare  il  numero  degli 
uomini  chiamati  annualmente,  e  pieno  di  lede  nelle  qualità  militari  delle 
forti  popolasioni  piemontesi,  ridusse  a  14  mesi  (*)  il  servizio  alle  armi  dei 
provinciali  di  fanteria,  lo  mantenne  di  due  anni  pei  bersaglieri,  e  prescrisse 
che  i  provinciali  medesimi  concorressero  alla  costituzione  della  cavalleria, 
fissando  per  essi  e  per  quelli  di  artiglieria  la  durata  del  servizio  alle 
armi  in  tre  anni  (').  Così  si  ebbero  ogni  anno  8500  uomini  da  aggiungere 
ai  soldati  di  ordinanza,  e,  con  un  bilancio  complessivo  di  75  e  80  milioni, 
dedicandone  da  27  a  80  all'esercito,  si  contò  di  aver  cinque  divisioni  dispo- 
nibili in  caso  di  guerra,  e  numerose  riserve  per  supplire  ai  vuoti  di  una 
lunga  e  difficile  campana  (^). 

Nello  stesso  anno  1837,  i  reggimenti  di  fanteria  furono  numerati  dall'I 
al  18,  e  si  ordinarono  in  4  battaglioni,  di  cui  8  attivi  e  1  di  deposito  (^). 

(')  Coirordinamento  del  1881  Tartiglieria  fa  composta  dì  una  brigata  di  dae  reggi- 
menti, ciascano  di  tre  battaglioni.  Ogni  battaglione  era  formato  promiscoamente  di  com- 
pagnie da  piazia,  da  posizione  e  da  battaglia  ;  inoltre  vi  erano  addette  tre  compagnie  di 
maestranza,  di  artificieri,  di  pontonieri.  Ma  Tordinaroento  del  1883  divise  nettamente 
le  specialità:  rartiglieria  da  piazza  fa  composta  di  dae  brigate  di  sei  compagnie  ciascana, 
qaella  campale  di  qaattro  brigate  di  tre  batterie  (e  qai  ricorre  per  la  prima  volta  la  de- 
nominazione di  batteria),  e  finalmente  gli  operai  vennero  divisi  in  compagnie,  maestranza, 
artificieri  e  pontonieri. 

(')  Cioè  un  anno  per  imparare  Tistrazione  e  due  mesi  di  più  per  disimpegnare  i 
servizi  territoriali  darante  Tistrazione  delle  reclute. 

(')  La  dorata  complessiva  deirobbligo  del  servizio  venne  fissata  a  16  anni  per  la 
fanterìa  di  linea,  otto  dei  quali  neirarmata  attiva  ed  otto  nella  riserva:  14  per  i  bersa- 
glieri, di  cui  6  nella  riserva;  13  per  quelli  di  artiglieria  e  cavalleria. 

{*)  Il  Piemonte  contava  4  368,972  abitanti,  senza  gl'isolani,  che  non  erano  tenuti 
alla  leva.  Nel  1847  il  bilancio  passivo  ordinario  ammontava  a  lire  84.020.373,89,  di  cui 
lire  13.591.047  per  pagamento  di  debiti  ;  alla  guerra  e  marina  erano  assegnate  lire  32.437.700, 
di  cui  28.864.600  cbe  permettevano  di  tenere  alle  armi  circa  43  mila  nomini  e  5000  ca- 
valli. 

(*)  Ogni  battaglione  attivo  contava  in  pace  320  uomini  circa  e  si  componeva  di  4 
compagnie;  il  1*  e  il  2*  battaglione  di  ciascun  reggimento  avevano  una  compagnia  di 
granatieri  e  tre  di  fucilieri  ;  il  S^  battaglione  era  formato  tutto  di  cacciatori.  Il  battaglione 


20  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


Tatte  le  successive  disposizioni,  e  non  furono  poche  dno  al  1847,  intesero 
a  migliorare  le  condizioni  dell'esercito,  ma  si  dedicarono  più  alla  parte  for- 
male che  alla  sostanziale. 

Per  la  campagna  del  1848,  l'esercito  fu  costituito  di  due  corpi  d'armata 
formati  di  due  divisioni  e  di  una  divisione  di  riserva.  Ciascuna  divisione  com- 
prendeva due  brigate  di  fanteria,  un  reggimento  di  cavalleria,  da  due  a 
quattro  batterie  d'artiglieria  e  un  distaccamento  del  genio.  Inoltre  al  P  corpo 
d'armata  vennero  assegnati  il  battaglione  Beai  Navi,  e  il  P  battaglione 
bersaglieri  ;  al  11^  corpo  il  2^  battaglione  bers^lieri.  I  reggimenti  di  fanteria 
costituiti  di  3  battaglioni,  entrarono  in  campagna  con  circa  2000  uomini  cia- 
scuno ;  quelli  dì  cavalleria  con  500  circa,  ed  altrettanti  cavalli  ;  le  batterie 
d'artiglieria,  su  8  pezzi,  contavano  140  uomini  e  130  cavalli  circa  (^).  Il  to- 
tale dell'esercito  attivo,  era  di  circa  52,000  uomini  e  5,000  cavalli. 

Nell'aprile,  con  le  classi  di  riserva  1819-18-17,  si  costituirono  19  bat- 
taglioni di  riserva  (*),  destinati  ad  essere  impiegati  a  presidio  delle  fortezze 
e  ad  alimentare  i  battaglioni  attivi;  nel  maggio,  i  battaglioni  di  deposito 
di  ciascun  reggimento,  con  la  denominazione  di  quarti  battaglioni,  vennero 
mobilizzati  e  mandati  a  presidiar  le  città  di  Lombardia  ed  i  Ducati  ;  il  29 
maggio,  12  di  questi  costituirono  una  seconda  divisione  di  riserva  f^  per  spal- 
leggiare, occorrendo.  Tarmata  » ,  e,  per  aumentarne  la  forza,  si  ordinò  che 
ognuno  di  essi  ricevesse  circa  600  reclute  lombarde.  Fu  questa  una  divi- 
sione difettosa,  priva  d'artiglieria,  deficiente,  per  numero  e  per  qualità  d'uf- 
ficiali. Andò  sul  Mincio,  ma  cooperò  poco  alle  operazioni;  nello  agosto  fu 
sciolta  ;  i  gregari  ripartiti  nei  battaglioni  attivi,  i  quadri  rimandati  ai  depo- 
siti per  formar  nuovi  battaglioni. 

Le  truppe  lombarde  costituirono  anch'esse  una  divisione  regolare  di  4 
reggimenti  (8000  uomini)  al  comando  del  generale  Perrone,  e  una  di  volon- 
tali  (3000  uomini)  al  comando  del  generale  Giacomo  Durando  (^)  succeduto 


di  deposito,  che  ammontava  in  pace  a  170  uomini  circa,  doveva,  alPatto  della  guerra,  ve- 
stire, armare  e  istruire  le  cla&si  in  congedo,  avviarle  ai  battaglioni,  così  da  portare  a 
200  nomini  la  for^a  delle  compagnie  attive,  ed  infine  trasformarsi  in  battaglione  di  guerra 
con  125  uomini  per  compagnia. 

(')  Le  batterie  erano  di  tre  specie:  a  cavallo,  da  battaglia,  da  posisione.  Quelle 
delle  prime  due  specie  erano  armate  di  6  cannoni  di  bronzo  da  8  (peso  approssimativo 
della  rispondente  palla  in  libbre  piemontesi,  cioè  8  kg.)  e  di  due  obici  da  15  centira.; 
le  ultime,  di  8  cannoni  di  bronzo  da  16  (6  k^.). 

(')  Ne  costituì  uno  ciascun  deposito  reggimentale.  La  brigata  Guardie  aveva  un  de- 
posito solo  per  entrambi  i  reggimenti. 

(^)  Riuscirebbe  lungo  enumerare  i  corpi  volontari  lombardi  che  si  organizzarono  du- 
rante la  campagna  e  ch<    ii    parte   operarono  agli  ordini  del  generale   AUemamdi  prima, 


ESERCITO   ITALIANO  21 


al  generale  Allemandi  che  n*ei-a  stato  il  primo  comandante  ;  le  parmensi,  due 
battaglioni  di  fanteria,  due  colonne  mobili,  ed  una  sezione  di  artiglieria  ;  le 
modenesi,  un  battaglione  di  lìnea,  uno  -squadrone  di  dragoni,  e  una  bat- 
teria; le  piacentine,  una  compagnia  di  crociati  ed  una  di  dragoni  ('). 

Il  22  luglio  le  forze  piemontesi,  lombarde  e  dei  ducati  sul  teatro  della 
guerra,  ammontavano  a  77.115  combattenti  (*)• 

Per  affrontare  la  campagna  di  guerra  del  1849,  furono  chiamate  sotto 
le  armi  anche  le  ultime  classi  della  riserva,  formandone  due  battaglioni  per 
ogni  reggimento  attivo  ;  ma  non  si  tardò  a  riconoscere  la  loro  poca  attitu- 
dine al  servizio,  sicché  si  licenziarono  le  due  classi  più  vecchie,  facendo  pas- 
sare al  loro  luogo,  dalVarmata  attiva,  quelle  dei  provinciali  più  anziani  e 
tutti  i  meno  abili  al  servizio. 

Poi  si  ricorse  a  nuove  leve,  anticipando  quella  del  1829;  e  si  ebbero 
35.000  reclute,  delle  quali  13.000  di  19  anni;  cosi  il  piccolo  esercito  piemon- 


del  generale  Giacomo  Durando  poi;  in  parte  agirono  indipendenti.  Citiamo  solamente  i 
principali:  Legioni  Jfanara,  Arcioni.  Longhena,  Tkannòerg;  compagnia  volontari  Vi- 
cari  Simonetta;  1^  reggimento  Cacciatori  bresciani,  volontari  cremonesi  Tibaldi^  com- 
pagnia guardia  nazionale  mobile  bergamasca  ecc.  Inoltre,  a  guardia  delle  vallate  alpine, 
vi  erano  altri  corpi:  al  Tonale  un  battaglione  volontari  di  Bergamo,  allo  Stelvio  un 
grappo  di  volontari  valtellinesù 

I  governi  provvisorii  del  Veneto  e  quelli  del  Friuli  costituirono  pure  varii  corpi 
franchi  o  di  Crociati,  tanto  nel  primo  periodo  della  guerra,  quanto  nel  secondo.  Ram- 
mentiamo fra  essi  il  corpo  dei  volontari  del  Cadore  ì  quali,  sotto  la  guida  di  Pier  For- 
tunato Calvi,  difesero  gloriosamente  qnelle  vallate. 

(')  Anche  dagli  altri  Stati  d*Italia  i  governi,  stimolati  dal  partito  allora  dominante, 
mandarono  sul  teatro  della  gnerra  tmppe,  le  quali  agirono  talune  al  comando  del  quar- 
tier  generale  sardo,  altre  indipendenti  da  esso. 

La  Toscana  inviò  una  divisione  (6000  uomini)  composta  in  parte  di  soldati  regolari, 
in  parte  di  volontari,  comandata  dal  generale  D*Àrco  Ferrari,  poi  dal  De  Laugier. 

II  governo  pontificio  contribuì  con  due  divisioni,  una  di  regolari  comandata  dal 
gen.  Giovanni  Durando  (6500  uomini),  Taltra  di  volontari  al  comando  del  gen.  Ferrari 
alla  quale  si  aggiunsero  parecchi  corpi  franchi  raccolti  neirEmilia,  in  Romagna,  nelle 
Marche  e  nell* Umbria. 

Il  Re  Ferdinando  di  Napoli  mandò,  a  malincuore,  sotto  gli  ordini  del  generale  Gu- 
glielmo Pepe,  14.000  uomini.  Parte  marciò  per  via  di  terra  verso  Ferrara,  parte  fu  diretta, 
per  TAdriatico,  ad  Ancona;  il  10^  di  linea  e  un  battaglione  volontari  andarono  invece, 
pel  Tirreno,  a  Livorno,  e  si  unirono  ai  Toscani.  Avvenuto  a  Napoli  Teccidio  del  15  maggio, 
il  Re  richiamò  sollecitamente  le  truppe.  Rimasero  soltanto  il  10*  di  linea,  che  rimpatriò 
alla  fine  di  giugno,  il  battaglione  volontari,  e  pochi  altri  i  quali  seguirono  il  gen.  Pepe 
a  Venezia. 

(•)  Fabris,  Avvenimenti  militari  del  1848,  IH,  386. 


22  FIOREf^ZO   BAVA-BBfCCARIS 


tese  crebbe  sino  a  140.000  uomini  (0-  La  fanteria,  che  in  tempo  di  pace 
contava  appena  20.000  uomini,  sali  a  96.000,  e  i  58  battaglioni  furono  por- 
tati al  numero  di  119,  di  cui  81  dell*  armata  attiva  e  38  della  riserva. 

Nel  febbraio  del  1849,  coi  battaglioni  di  riserva  si  costituirono  8  reggi- 
menti provvisorii  di  linea  (24^-81^)  ed  uno  di  cacciatori  guardie  (3^).  Vennero 
inoltre  di  nuovo  riuniti  i  quarti  battaglioni,  che  formarono  reggimenti  nu- 
merati dal  32^  al  37°.  Un  ordine  ministeriale  dell*  11  novembre  stabilì  che 
il  corpo  dei  bersaglieri  si  ordinasse  in  cinque  battaglioni.  Vennero  infatti 
formati,  il  P  gennaio  1849,  il  3°  ed  il  4°  battaglione,  in  parte  con  uomini 
alle  armi,  scelti  nei  corpi  di  linea,  ed  in  parte  con  iscritti  di  leva.  L*arti- 
glieria  e  la  cavalleria  non  subirono  variazioni  organiche  di  rilievo. 

Le  truppe  lombarde  e  quelle  dei  Ducati  furono  riunite  prima  a  Trecate, 
poi  a  Vercelli  e  quivi  riordinate  per  cura  del  generale  Olivieri  di  Vemier. 

I  corpi  e  reparti  di  fanteria  vennero  costituiti  in  10  battaglioni  prov- 
visorii, e  questi  raggruppati  in  quattro  reggimenti  con  numerazione  progres- 
siva a  seguito  dei  piemontesi  (19*^-20'*-21°-22®).  I  reparti  conservati  come  corpi 
distinti,  furono  :  il  battaglione  bersaglieri  {*)  Manara,  che  costituì  il  6°  batta- 
glione bersaglieri  ;  la  legione  tridentina,  che  formò,  con  due  compagnie,  il  noc- 
ciolo del  7°  battaglione;  il  battaglione  studenti,  i  voloutarii  valtellinesi  e 
bergamaschi  e  la  legione  polacca.  La  cavalleria  fu  ordinata  in  due  reggi- 
menti, UDO  di  cavalleggeri,  Taltro  di  dragoni;  Tartiglieria  in  3  batterie  di 
8  pezzi  ciascuna;  gli   zappatori    del   genio  in  una  compagnia.   La  maggior 

(')  La  forza  deiresercito  risultò  di  144.071  nomini.  Ma  su  tale  cifra  occorre  fare 
le  riduzioni  seguenti  : 

Assenti  per  disposizione  del  ministero  della  guerra  per  il  con- 
gedo dato  alle  due  classi  di  riserva  più  attempate,  nonché 
a  tutti  quelli  che  furono  riconosciuti  meno  atti  al  servizio 
militare 34.779 

Malati 10.583 

Truppa  di  riserva  lasciata  nei  presidi  .    .    .     , 11.000 

K.  8  quarti  battaglioni  lasciati  parte  a  Voghera  ed  in  Ales- 
sandria, parte  a  Torino  e  parte  alla  guardia  de*  parchi  di 
artiglieria  e  di  materiali  deirintendenza,  e  formanti  una  forza 
di  circa 8.000 

64.362 

Cosicché  la  forza  componente  Tesercito  in  campagna  si  ridus&e  a  79.709.  Dedu- 
ceudo  da  questo  i  20.000  nomini  circa  rimasti  sulla  destra  del  Po,  compresa  la  divisione 
lombarda,  Tarmata  attiva  sul  teatro  della  guerra  risultò  minore  di  60.000  uomini.  Sot- 
traendo ancora  le  perdite  avute  a  Mortara,  le  truppe  deviatesi  a  Vercelli  ed  a  Casale  e 
la  brigata  Solaroli,  le  forze  che  si  trovarono  in  linea  alla  battaglia  di  Novara  non  arri- 
varono a  50.000  uomini,  compresi  ancora  il  treno  di  provianda,  le  guide  e  tutta  la  truppa 
fuori  rango.   (Dalla  relazione  della  Commissione  d'inchiesta  sulla  campagna  del  1849). 

(")  La  legione  Manara,  che  aveva  fatto  la  campagna  del  1848,  fu  sciolta  per  indisci- 
plinatezza, e  in  luogo  di  essa  venne  costituito  un  battaglione  bersaglieri  con  u  finanzieri  n 
che  avevano  dato  buona  prova  durante  la  campagna  medesima,  e  con  volontarii. 


ESERCITO   ITALIANO  23 


parte  di  queste  truppe  (^)  formò  la  5^  divisione;  le  rimanenti  furono  addette 
alla  3*  brigata  composta  ('). 

I  volontari  parmensi  e  modenesi  rimasti  anch'essi  in  Piemonte  e  rin- 
forzati con  iscritti  di  leva  piemontesi,  costituirono  il  23°  reggimento  fanteria 
11  quale  fu  assegnato  alla  brigata  composta  della  2*  divisione,  e  il  5*^  bat- 
taglione bersaglieri  che  fece  parte  della  brigata  d'avanguardia. 

L'esercito  entrò  in  campagna,  ordinato  in  sette  divisioni  (vennero 
aboliti  i  Comandi  di  corpo  d'armata),  sotto  il  comando  di  un  generale  po- 
lacco, lo  Chrzanowski,  ignaro  della  lingua,  delle  abitudini,  dello  stato  mo- 
rale delle  truppe;  ed  il  23  marzo  fu  sconfìtto  a  Novara.  Carlo  Alberto  do- 
mandò una  tregua  a  Kadetzky  ;  ma,  non  potendo  le  condizioni  presentate  da 
questo,  essere  con  dignità  da  lui  accettate,  nella  notte  dal  23  al  24  abdicò. 

La  tregua  fu  conclusa  dal  nuovo  Re  Vittorio  Emanuele  II  ;  gli  Austriaci 
tennero  un  corpo  di  20.000  uomini  fra  Ticino,  Po  e  Sesia,  e  diedero  metà  della 
guarnigione  d'Alessandria  fino  alla  stipulazione  della  pace. 

Nel  novembre  del  1849  fu  chiamato  a  reggere  il  ministero  della  guerra 
il  gen.  Alfonso  La  Marmerà  (^),  che  vi  rimase  quasi  senza  interruzione 
fino  al  1860.  Il  La  Marmora  sciolse  tutti  i  corpi  di  fanteria  di  nuova 
formazione,  e,  contrario  di  massima  alle  innovazioni  radicali,  mantenne  per 
la  fanteria  gli  organici  anteriori  al  1848;  accrebbe  soltanto  sensibilmente  il 
corpo  dei  bersaglieri  che,  dal  1850  al  1852,  fu  portato  successivamente  sino 
a  10  battaglioni,  e  l'arma  di  cavalleria,  che  aumentò  del  reggimento  Saluzzo, 
formato  nel  1849  con  la  riunione  dei  due  reggimenti  lombardi,  e  dei  reggi- 
menti Monferrato  e  Alessandria,  costituiti  nel  1850  (^). 

II  ministero  della  guerra  ebbe,  come  tutti  gli  altri  ministeri,  muta- 
menti nell'ordinamento  intemo,  necessari  per  porlo  in  armonia  col  nuovo 
regime  costituzionale.  Leggère  modificazioni  nella  sua  composizione  ebbe  pure 
il  «^  Congresso  consultivo  permanente  della  guerra  *  istituito  nel  luglio  del 
1848  per  esaminare  le  leggi,  i  decreti,  ì  regolamenti  e  tutte  le  questioni 
intomo  alle  quali  il  ministro  stimasse  opportuno  di  consultarlo  o  delle  quali 
gli  affidasse  le  proposte  o  lo  studio.  Quanto  al  corpo  di  stato-maggiore,  il 
gen.  La  Marmora  fin  dal  1850,  neiresaminare  i  programmi  di  studio  per  gli 
ufficiali  che  vi  si  dedicavano,  osservò  che  si  dava  ancor  troppo  peso  agli  studt 

(^)  Cioè  i  4  reggimenti  di  fanteria,  i  2  battaglioni  bersaglieri,  il  battaglione  studenti, 
la   legione   polacca,  due   batterie,  la   compagnia  del  genio  e  il  reggimento  cavalleggeri. 

(')  Cioè  la  guardia  nazionale  mobile  di  Bergamo,  i  bersaglieri  valtellinesi,  i  volon- 
tari bergamaschi  e  comaschi,  una  batteria  e  due  squadroni. 

(')  Dalla  proclamazione  dello  Statuto  a  quest'epoca,  avevano  tenuto  il  ministero  i 
personaggi  seguenti:  gen.  Franzini  (IG  marzo-29  luglio  1848);  Provana  di  Collegno  (29 
luglio- Ì6  agosto);  gen.  Franzini  (16-22  agosto);  col.  Alfonso  La  Marmora  (27  ottobre- 
16  dicembre);  gen.  De  Sonnaz  (16  dicembre  1848-2  febbraio  1849);  gen.  Alfonso  La  Mar- 
mora  (2-9  febbraio);  gen.  Chiodo  (9  febbraio -27  marzo);  gen.  Morozzo  della  Rocca  (27 
marzo  -  7  settembre)  ;  gen.  Bava  (7  settembre -2  novembre). 

(^)  Per  Tartiglieria  si  abbandonò  la  denominazione  di  batterie  da  posizione  e  si  dis- 
sero tutte  da  battaglia.  Ma  di  fatto  la  distinzione  rimase,  perchè  la  3^  batteria  di  ogni 
brigata  e  la  brigata  di  riserva  erano  annate  con  cannoni  da  16  B. 


24  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


topografici  6  geodetici,  e  prescrìsse  che  gli  studi  stessi  volgessero  invece  mag- 
giormente alle  discipline  militari;  tuttavia  queste  sue  giuste  vedute  non 
ebbero  risultati  pratici,  e  una  vera  riforma  radicale  del  corpo  non  si  ebbe 
che  dopo  il  1866. 

Ma  l'opera  del  nuovo  ministro  volse  soprattutto  a  migliorare  il  morale 
deir esercito,  instaurando  la  disciplina  scossa;  procurando  di  stabilire  il  ca- 
meratismo nella  classe  degli  ufficiali,  cresciuta  notevolmente  durante  la 
guerra  con  elementi  di  provenienza  diversa,  e  di  sopprimere  le  rivalità  fra 
arma  e  aima,  e  fra  corpo  e  corpo  ;  attribuendo  a  ciascun  comandante  la  piena 
responsabilità  della  disciplina,  dell*  istruzione  e  delVamministrazione  del  pro- 
prio reparto,  concetto  questo  del  tutto  nuovo,  poiché  insin  allora  le  singole 
attribuzioni  non  erano  ben  definite;  ordinando  agli  ufficiali  di  accostare  il 
soldato  per  guidarlo,  consigliarlo  e  per  inspirare  in  lui  la  devozione  alle 
istituzioni  e  al  dover  militare. 

Il  reclutamento  fu  regolato  dalla  legge  20  marzo  1854,  la  quale  rimase 
quasi  inalterata  fino  al  1871 ,  ritoccata  parecchie  volte  poi,  e  vigente  tuttora  nel* 
Tattnale  «  testo  unico  ».  Base  del  nuovo  sistema  fu  che,  mentre  lo  Stato  poteva 
disporre  di  tutto  Telemento  valido  della  nazione  in  caso  di  guerra,  era  mante- 
nuta una  razionale  proporzione  tra  la  forza  sotto  le  armi  sul  piede  di  pace  e 
quella  risultante  colla  chiamata  delle  riserve  nel  caso  di  guerra.  Fissato  dal- 
Torganico  il  numero  massimo  degli  uomini  (circa  85.500)  che  lo  Stato,  in  ragione 
delle  sue  condizioni  finanziarie  e  sociali,  poteva  mantenere  in  tempo  di  pace  : 
fissata  a  cinque  anni  la  permanenza  dei  soldati  sotto  le  armi,  perchè  vi  po- 
tessero ricevere  una  salda  istruzione  tecnica  e  morale,  veniva  con  apposita 
legge  annualmente  precisato  il  numero  di  uomini  (in  media  9000)  neces- 
sari a  mantenere  Tesercito  sul  piede  stabilito.  Questo  contingente  annuo, 
detto  di  1*  categoria,  veniva  somministrato  dai  giovani  validi  primi  inscritti 
nelle  liste  di  leva,  nelle  quali  venivano  segnalati  neirordine  fissato  dalla 
sorte  tutti  i  cittadini  entrati  nel  21°  anno  di  età.  Oltre  al  servizio  di  cinque 
anni  sotto  le  armi,  gì*  inscritti  di  prima  categoria  avevano  Tobbligo  di  rima- 
nere, nei  successivi  6  anni,  in  riserva  alle  proprie  case,  pronti  a  ritornare 
alle  bandiere  in  caso  di  guerra.  Tutti  gì*  inscritti  sulle  liste  di  leva  dopo 
quelli  assegnati  alla  1*  categoria,  rimanevano,  sotto  la  denominazione  di  2* 
categoria,  sino  all'età  di  26  anni  a  disposizione  del  governo  per  formare 
una  speciale  riserva  destinata  a  colmare  i  vuoti  che  la  gneri-a  potesse  pro- 
durre nelle  file  deiresercito  attivo  ;  e,  poiché  questi  vuoti  generalmente  non 
cominciano  a  determinarsi  se  non  qualche  tempo  dopo  l'apertura  di  una  cam- 
pagna, così  gli  uomini  di  2*  categoria  non  ei-ano  tenuti  a  prestare  nessun 
servizio  durante  la  pace,  potendo  ricevere,  presso  i  depositi,  almeno  i  pili  ne- 
cessari rudimenti  di  istruzione  tecnica  al  cominciar  della  guerra.  La  costitu- 
zione e  la  forza  dell'esercito  in  tempo  di  pace  fu  stabilita  come  segue  ('): 

(')  Mezzacapo,  Stato  militare  d'Italia,  in  Riv.  Milit.,  1858,  pag.  329. 


ESERCITO   ITALIANO 


25 


CORPI 


Cavallerìa 


Artiglierìa  (•) 


Stato  magg.  generale 

Corpo  dello  stato  maggiore  .... 
Casa  milit.  del  Re  e  dei  Prìncipi  (^)     . 

Granatieri  e  linea  .  .  . 
Fanteria  (■;     {  Bersaglieri 

Cacciatori  franchi     .    . 

di  linea 

cavalleggeri 

Stato  maggiore .... 

Personale  civile  tecnico 
e  contabile    .... 

Regg.  da  camp.  (18  batt. 
da  camp.,  2  a  cavallo) . 

Id.  da  piazza    .... 

Id.  operai  (maestranza, 
artificieri,  armaiuoli, 
pontieri) 

Compagnia  veterani  .  . 

i  Consiglio  saperiore  .  . 

\  Stato  maggiore      .  .  . 

{  Regg,  zappatori     .  .  . 

/  Aiutanti,  veterani,  perso- 
I       naie  contabile    .    .     . 

Corpo  sanitario 

Battagl.  d*ammin.  (inferro,  e  sussist.)    . 

Treno  d*armata 

Corpi  sedentarii   (stato   maggiore   delle 
piazze,  invalidi  e  veterani)  .... 

Personale  amministrativo  (minist.  e  in- 
tendenza generale) 

Id.  di  giustizia 

Carabinieri 


Genio 


Totale 


3 

s 

e 
I 


§ 


B 

o 


11 

2  '^ 
1- 


20 
1 

4 
5 


1 
1 


80 

10 

1 


820 

41 

8 


12 

5 
1 


10 


8 

4 

8 


1 


20 
25 


20 


84      91     408     45 


20 


(JomÌDÌ 


37 

54 

20G 

27100 

4.078 

892 

2.268 

2.885 

120 

50 


1.556 

845 

136 

8.747 


49.583 


CvnWi 


149 

81 

42 

120 

14 

2 

1.904 

4.284 


2.005 

1.108 

1.141 

12 

696 

181 

200 

— 

4 

8 

42 

16 

1.025 

6 

184 

._ 

184 

659 

— 

469 

255 

1.278 


9.464 


(')  Comprendeva  gli  aiutanti  di  campo,  gli  ufficiali  d*ordinanza,  una  compagnia  di 
guardie  del  corpo  (composta  di  soli  ufficiali),  una  compagnia  di  guardie  di  palazzo  (com- 
posta di  soli  sottufficiali). 

(')  I  reggimenti  di  linea  dipendevano,  sotto  il  rispetto  amministrativo,  da  un  gene- 
rale ispettore  :  per  la  disciplina  e  per  Tistruzione,  dai  rispettivi  comandanti  di  brigata  e 
di  divisione  ;  i  bersaglieri  e  la  cavalleria  eran  posti  rispettivamente  al  comando  di  un  ge- 
nerale che  riassumeva  le  funzioni  di  generale  di  brigata  e  di  ispettore  del  corpo. 

(')  n  corpo  d*artiglieria  era  diviso,  come  pel  passato,  in  due  parti:  personale  (truppe) 


26  FIORENZO   BAVA-EECCARIS 


Oli  istituti  militari  eraDo  i  seguenti: 

Collegio  militare  d'Asti  per  preparare  i  giovani  airaminissione  alla 
regia  militare  accademia  ;  il  battaglione  dei  figli  di  militari  di  Bacconigi  per 
fornire  all'esercito  soldati  atti  a  riuscire,  dopo  breve  tirocinio  pratico,  buoni 
sottufficiali;  la  regia  militare  accademia  per  gli  aspiranti  a  divenire  uffi- 
ciali ;  la  scuola  complementare  (o  d'applicazione)  per  gli  ufficiali  delle  armi 
speciali  ;  la  scuola  militare  di  fanteria  in  Ivrea  per  insegnare  ad  un  buon 
numero  di  ufficiali  un  metodo  unifoime  d'istruzione;  la  scuola  militare  di 
cavalleria  in  Pinerolo  per  promuovere  e  mantenere  viva  ed  uniforme  V  istru- 
zione nei  corpi  a  cavallo. 

Il  bilancio  ordinario  annuo,  dal  1850  al  1858,  s*aggirò  intoino  ai 
32  milioni. 

In  complesso,  il  generale  La  Marmerà,  lottando  contro  difficoltà  finan- 
ziarie, interessi  individuali  e  pregiudizi  inveterati,  riuscì,  con  molta  tenacia, 
a  introdurre  nelFesercito  le  modificazioni  necessarie  per  rigenerarlo  moral- 
mente e  materialmente.  Fu  suo  grandissimo  merito  l'aver  riorganizzato  i 
corpi  di  truppa  ed  i  servizi  in  ragione  del  numero  e  della  forza  che  pote- 
vansi  costituire  all'atto  della  guerra  ;  l'aver  regolato  con  norme  nuove  Fam- 
mi aistrazione  e  la  disciplina;  l'aver  dotato  l'esercito  delle  leggi  fondamentali 
sullo  stato  degli  ufficiali,  suiravanzamento  e  sul  reclutamento,  leggi  che 
furono  la  base  dei  nuovi  ordinamenti;  ed  infine,  prevedendo  che  un  giorno 
il  Piemonte  avrebbe  ripreso  la  lotta  contro  l'Austria,  l'aver  provveduto  a  for- 
tificare la  frontiera  orientale  dello  Stato,  e  specialmente  la  linea  del  Po. 

Nel  1855-56  l'esercito  sardo  partecipò  alla  spedizione  di  Crimea  con 
un  corpo  di  circa  18.000  uomini  al  comando  dello  stesso  generale  Alfonso 
La  Marmont.  Furono  costituite  due  divisioni  (1^  e  2*)  di  due  brigate  eia- 
cuna,  e  una  divisione  di  riserva,  oltre  un'aliquota  conveniente  di  cavalleria, 
d'artiglieria  e  del  genio. 

Ogni  divisione  si  composa  di  due  brigate  provvisorie;  e  ciascuna  di  queste, 
di  un  reggimento  di  fanteria,  di  un  battaglione  bersaglieri,  di  una  batteria 
da  campagna  (6  pezzi).  Le  due  batterie  di  una  stessa  divisione  formarono 
una  brigata  provvisoria  dartiglieria.  La  brigata  di  riserva  avea  due  batterie, 
anziché  una.  In  totale  partirono:  5  regg.  di  fanteria  (20  battaglioni),  5  bat- 
taglioni bers^Iieri,  un  reggimento  di  cavalleria  (ch'ebbero  tutti  qualifica  di 
provvisori]),  3  brigate  d'artiglieria  da  campagna,  un  battaglione  zappatori  del 
genio,  una  brigata  d'artiglieria  da  piazza  e  distaccamenti  pei  varii  servizi. 


t 


I 


e  materiale  (servizio  tecnico:  laboratorii,  officine  di  costruzione,  polveriere  ecc.)»  a  ciascuna 
delle  quali  presiedeva  un  maggior  generale  ;  un  luogotenente  generale  teneva  il  comando 
generale:  un  comitato  centrale,  composto  degli  ufficiali  generali  e  di  ufficiali  superiori, 
dirigeva  Tindirizzo  scientifico. 


ESERCITO   ITALIANO  27 


Per  la  costituzione  dei  reggimenti  prowisorii  di  fanteria,  ogni  reggi- 
mento attivo  concorse  con  un  battaglione,  e  ogni  battaglione,  con  una  com- 
pagnia; per  quella  dei  battaglioni  bersaglieri,  ogni  battaglione  attivo  som- 
ministrò le  due  compagnie,  e  per  quella  del  reggimento  di  cavalleria  cia- 
scuno dei  5  reggimenti  cavalleggeri  diede  il  suo  primo  squadrone.  Le  bat- 
terie furono  le  prime  d'ogni  brigata  permanente;  la  brigata  di  piazza  si 
compose  con  la  1%  2^  7*  e  8*  del  regg.  da  piazza,  e  il  battaglione  zappa- 
tori del  genio  con  le  compagnie  1*,  2^  6*  e  7*  del  reggimento  zappatori. 

Così  fu  trovato  ingegnosamente  il  modo  di  far  concorrere  ai  pericoli  e 
alle  glorie  della  spedizione,  tutti  i  corpi   dell'esercito. 

La  forza  numerica  del  corpo  di  spedizione,  tratto  quasi  per  intero  di^li 
uomini  alle  armi,  ascese  in  tutto  a  18.058  uomini  (1038  fra  ufficiali  e  impiegati, 
e  17.020  uomini  di  truppa)  e  3496  cavalli.  Si  mantennero  così  molto  gene- 
rosamente i  patti,  inviando  3000  uomini  in  più  di  quello  che  il  Piemonte 
avesse  convenuto  con  gli  alleati. 

La  spesa  straordinaria  che  dove'  sopportare  l'erario  per  la  spedizione, 
ascese  a  L.  74.198.401,68  (')• 

Di  immenso  vantaggio  fu  questa  guerra  alla  causa  italiana  :  rianimò  il 
morale  delle  truppe  piemontesi  ;  rialzò  il  prestigio  delle  armi  italiane  ;  e,  so- 
prattutto, fornì  occasione  al  conte  di  Cavour  di  prender  parte  al  Congresso 
di  Parigi,  ove  egli  seppe  proclamare  e  patrocinare  la  necessità  e  il  diritto 
dell'Italia  alla  propria  indipendenza. 

Assicuratasi  l'alleanza  della  Francia,  il  gran  ministro  si  diede  a  pre- 
parare i  mezzi  per  sostenere  la  meditata  guerra,  e  per  farne  nascere  il  pre- 
testo senza  eccessive  provocazioni.  I  giornali  e  le  discussioni  parlamentari 
prepararono  l'opinione  pubblica;  gli  animi  si  accesero  in  Piemonte,  in  Lom- 
bardia, nel  Veneto,  in  Toscana,  in  Romagna,  e  da  ogni  parte  corsero  volon- 
tarii  ad  arruolarsi  nell'esercito  piemontese. 

Il  22  aprile  1859,  l'Austria  intimò  al  Piemonte  lo  scioglimento  dei 
corpi  volontari  e  il  disarmo;  il  26  il  conte  di  Cavour  consegnò  all'inviato 
austriaco  la  risposta  del  suo  governo  a  qnéìVultimaiuniy  e  nello  stesso  giorno 
l'ambasciatore  francese  a  Vienna  dichiarò  casus  belli  il  passaggio  del  Ticino 
da  parte  dell'esercito  austriaco. 

Alla  fine  di  aprile  s'iniziò  la  campagna.  La  mobilitazione  venne  ese- 
guita con  molta  regolarìtà  e  con  sufficiente  prontezza.  L'esercito  si  compose 
nel  suo  ordinamento  normale,  cioè  in  5  divisioni  miste  ed  una  di  cavalleria. 
Ogni  divisione  mista  aveva  due  brigate  di  fanteria,  2  battaglioni  bersa- 
glieri, 1  reggimento  di  cavalleria,  3  batterie  da  battaglia  e  1  compagnia 
del  genio.  La  divisione  di  cavalleria  era  formata  dai  4  reggimenti  di  caval- 
lerìa di  linea  distribuiti  in  2  brigate,  e  delle  2  batterie   a  cavallo;  resta- 


(^)  Giornale  militare,  1856,  pag.  590. 


28  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

vano  inoltre  il  parco  d'artiglieria,  le  batterie  da  posizione,  gli  equipaggi  da 
ponte  ecc.  In  totale,  80  battaglioni  di  linea,  10  di  bersaglieri,  36  squadroni, 
22  batterìe  e  5  compagnie  del  genio  ;  così,  insieme  col  personale  dei  servizi 
amministrativi  complementari,  si  avevano  70.000  nomini,  5000  cavalli  e 
142  cannoni. 

Dei  volontari  non  incorporati  nelle  file  delVesercito  regolare  si  formò 
una  brigata  di  circa  3000  uomini,  cui  si  détte  il  nome  di  «  Cacciatori  delle 
Alpi  «,  e  che  fìi  posta  sotto  il  comando  del  generale  Garibaldi  ('). 

Mentre  le  operazioni  di  guerra  volgevano  favorevoli  agli  alleati,  il  gran- 
ducato di  Toscana  e  i  ducati  di  Parma  e  di  Modena  erano  abbandonati 
dai  rispettivi  sovrani.  In  quegli  Stati  e  nelle  legazioni  di  Bologna,  di  Fer- 
rara e  nella  Bomagna  (provincie  che  si  erano  contemporaneamente  sottratte 
alla  dipendenza  del  papa),  si  costituirono  immediatamente  governi  prov- 
visorii. 

L'  11  di  luglio  furono  segnati  a  Yillafranca  i  preliminari  di  pace. 
Venne  stabilito  che  la  Lombardia  sarebbe  ceduta  ali*  Imperatore  dei  Fran- 
cesi, e  da  questo  al  Se  di  Sardegna;  che  l'Italia  avrebbe  formato  una  con- 
federazione sotto  la  presidenza  del  Papa,  partecipandovi  la  Venezia  la  quale 
rimaneva  soggetta  air  Austria;  che  i  sovrani  di  Toscana  e  di  Modena 
sarebbero  rientrati  nei  propri  dominii.  Questi  preliminari  ebbero  sanzione 
definitiva  col  trattato  di  Zurigo  (10  novembre). 

Ultimata  la  guerra,  il  La  Marmerà  assunse,  colla  presidenza  dtrl  con- 
siglio, nuovamente  il  ministero  della  guerra,  e  lo  mantenne  fino  al  gennaio 
1860.  L^opeia  sua,  in  questi  mesi,  volse  all'accrescimento  deiresercito  in  ra- 
gione delVaumento  della  popolazione. 

Venne  decretata  (29  agosto  1859)  la  formazione  della  brigata  granatieri  di 
Lombardia  (3*»  e  4^),  delle  brigate  Brescia  (19^  e  20«),  Cremona  (21*»  e  22*»), 
Como  (23'  e  24^),  Bergamo  (25*  e  26*»),  Pavia  (27*»  e  28^).  Nel  corpo  dei 
bersaglieri,  il  h  di  giugno  si  era  formato  TU*»  battaglione;  il  9  di  set- 
tembre venne  decretata  la  formazione  di  altri  cinque  (12*»-16*»).  Il  decreto 
del  25  agosto  determinò  la  costituzione  di  tre  nuovi  reggimenti  di  caval- 
leria leggera  (Milano,  Lodi  e  Montebello). 

Nel  mese  di  giugno,  il  reggimento  artiglieria  da  piazza  era  stato  accre- 
sciuto di  quattro  compagnie  attive  e  di  una  di  deposito;  ed  il  reggimento 
operai,  di  una  compagnia  deposito  di  pontieri.  Questa  specialità,  il  3  set- 

(^)  La  forza  complessiva,  compresi  i  volontari,  al  15  aprile  era  di  2467  uflSciali  e 
74.881  gregari,  così  ripartiti:  fanteria:  uff.  1569,  gregari  49.741  ;  bersatrlieri :  uff.  216,  gre- 
gari 7399;  cavalleria:  uff.  319,  gregari  5903;  artiglieria:  uff.  252,  gregari  7197;  genio, 
treno  d*armata,  battaglione  d'amministrazione:  uff.  Ili,  gregari  4641.  («La  guerra  del 
1859  in  Italia  »,  pubblicata  per  cura  deirUfficio  storico  del  corpo  di  stato  maggiore.  Voi.  I, 
Doc.  137). 


ESERCITO  ITALIANO  29 


tembre,    ebbe  un   altro   aumento  di  due   compagnie   e   costituì   così   una 
•  brigata  pontieri  *  formata  di  uno  stato  maggiore  e  di  quattro  compagnie 

Con  decreto  del  7  ottobre  il  reggimento  da  piazza  fu  aumentato  ancora 
di  otto  compagnie,  le  quali  salirono  così  a  24  attive,  raggruppate  in  quattro 
brigate  ;  ed  il  reggimento  da  campagna  venne  divisò  in  due,  rimanendo  nume- 
rato 1^  l'esistente,  2^  quello  di  formazione  nuova.  Bimasero  al  P  le  due  bat- 
terie a  cavallo,  le  nove  batterie  delle  brigate  pari  e  la  1*  di  deposito;  forma- 
rono il  2^  le  nove  batterie  delle  brigate  disparì,  e  la  2*  di  deposito.  La  3*  di 
deposito  fu  sciolta.  E  poiché  ciascun  reggimento  doveva  comporsi  di  15  bat- 
terie da  battaglia,  le  sei  mancanti  si  organizzarono  con  elementi  tratti  dalle 
antiche  (^). 

Anche  il  coi*po  del  genio  subì  un  aumento  notevole.  Il  reggimento  zap- 
patori, col  decreto  del  9  settembre,  crebbe  di  dieci  compagnie,  e  venne  così 
raddoppiato  di  forza.  Lo  si  divise  in  cinque  battaglioni,  di  quattro  compagnie 
ognuno. 

Agli  istituti  di  educazione  e  di  istnizione,  fìi  aggiunto,  con  decreto  del 
26  agosto,  il  collegio  militare  di  Milano,  per  fornire  allievi  idonei  all' am- 
missione alla  regia  militare  accademia. 

La  costituzione  dei  nuovi  corpi  non  avvenne  che  verso  la  fine  dell'anno, 
poiché  i  reggimenti  di  fanteria,  benché  decretati  nell'agosto,  si  formarono 
solo  in  novembre.  Il  nuovo  ordinamento  dei  reggimenti  d'artiglieria  e  del 
genio,  non  cominciò  che  in  dicembre;  qualche  mese  d'anticipo  si  ebbe  solo 
nella  formazione  dei  battaglioni  bersaglieri  e  dei  reggimenti  di  cavalleria. 

Per  effetto  dei  preliminari  di  pace  di  Villafranca,  i  soli  elementi  di 
cui  si  poteva  far  conto  per  l'accrescimento  dell'esercito  erano  i  lombardi  in- 
corporati nell'esercito  austriaco,  che  ammontavano  a  87,000  circa. 

Il  31  di  luglio  il  ministro  pubblicò  le  prime  norme  per  il  loro  incorpo- 
ramento, stabilendo  che,  a  mano  a  mano  che  rimpatriavano,  quelli  delle 
classi  1830-81-32-33,  dopo  breve  istruzione  presso  i  depositi  dell'arma  rispet- 
tiva, si  mandassero  in  congedo;  gli  altri  delle  classi  posteriori  1834-88,  si 
trattenessero  in  servizio.  Di  fatto,  neiragosto  cominciò  il  rimpatrio  ;  ma  sul 
principiare  di  settembre,  la  risposta  data  dal  Re  ai  delegati  toscani,  venuti  a 
presentare  i  voti  d'annessione  di  quella  regione,  fu  ritenuta  dall'Austria  uno 
strappo  alle  condizioni  dei  preliminari  di  Villafranca,  e  fece  sospendere  la 
consegna,  la  quale  non  ricominciò  che  in  novembre,  dopo  la  stipulazione  del 
trattato  di  Zurigo.  I  grossi  drappelli,  anzi,  non  arrivarono  che  in  dicembre. 

I1«R.  D.  10  novembre  regolò  definitivamente  i  loro  obblighi  di  leva, 
paleggiando  interamente  la  posizione  loro  a  quella  dei  nativi  delle  antiche 
Provincie. 


(^)  Verso  la  fine  del  1859  fa  decisa  la  rigatura  dei  canuoni  da  8  e  da  16,  e  vennero 
introdotte  le  prime  spolette  meccaniche. 


30  FIORENZO    BAVA-BECCARIS 

lo  tali  condizioni  si  apri  Tanno  I860«  darante  il  quale  gli  efenti  glo- 
riM  fmr  rwerdto  e  per  i  prodi  volontari  del  generale  Oarìlisldì  QMdoasero 
alla  grande  opera  delFunità  d'Italia. 


IV. 
L'esercito  della  lega  dell'Italia  centrale. 

Governi  sòrti  neir Italia  centrale  darante  la  campagna  del  1859.  —  I/esercito  toscano.  — 
Le  trappe  di  Parma  e  di  Modena.  —  Le  troppe  delle  Romagne.  —  Il  corpo  d*armata 
del  generale  Mezzacapo.  —  L*esercito  della  Lega. 

I  nuovi  governi  sòrti  nellltalia  centrale  nelVaprile  del  1859,  dopo  la 
pace  di  Villafranca,  raggrupparono  le  loro  forze  in  un  esercito  che  fu  detto 
della  Lega,  destinato  ad  opporsi  al  ritorno  dei  principi  spodestati. 

Concorsero  a  formarlo  truppe  dell'esercito  toscano,  già  esistenti  sotto  i 
Lorenesi,  e  truppe  nate  in  Romagna  e  nei  ducati,  dopo  lo  sbandarsi  delle 
forze  pontificie,  estensi  e  parmensi. 

Prenderemo  in  esame  ciascuno  di  questi  contingenti,  seguendoli  sino  a 
che,  riuniti,  ebbero  sorte  comune  per  fondersi  poi  nell'esercito  italiano. 

Ibseana.  —  L'esercito  attivo  toscano,  al  principio  del  1859,  compren- 
deva 12  battaglioni  (10  di  linea,  uno  di  veliti,  uno  di  bersaglieri,  2  squa- 
droni di  cavallerìa,  2  batterie  campali,  una  compagnia  d*artiglieria  da  piazza), 
con  una  fonsa  complessiva  di  10,000  uomini  circa. 

In  seguito  al  pronunciamento  del  2(5-27  aprile,  il  granduca  partiva  in 
esilio,  ed  assumeva  la  direzione  della  cosa  pubblica  un  governo  provvisorio. 
11  generale  Girolamo  Ulloa,  chiamato  al  comando  deiresercito,  propose,  ed 
il  governo  approvò,  la  formazione  di  5  reggimenti  di  fanteria  di  linea  (*), 
di  un  reggimento  granatieri  di  due  battaglioni;  di  un  secondo  battaglione 
bersaglieri  ;  di  un  reggimento  dragoni  di  quattro  squadroni  ;  di  un  reggimento 
d'artiglieria  ;  di  due  compagie  del  genio  e  dei  servizi  accessorii. 

II  10  mi^gio  si  iniziarono  i  movimenti  per  la  costituzione  di  due  corpi 
d'operazione  da  inviarsi  ai  confini;  un  terzo  corpo  di  riserva  doveva  organiz- 
zarsi a  Firenze.  Il  28  maggio  sbarcò  a  Livorno  il  prìncipe  Gerolamo  Napo- 


C)  I  reggimenti  di  fanteria  doverano  essere  su  4  battaglioni,  ma  pel  momento  si 
formaiono  su  tre,  ottenuti  frazionando  in  tre  parti  ognuno  dei  due  battaglioni  esistenti 
ed  accoppiando  queste  frazioni  a  due  a  due.  Il  1*^  reggimento  si  costituì  coi  vecchi  bat- 
taglioni 7^  e  9^  il  2*  col  5^  e  10^  il  3«  col  6*  e  8^  il  4*  col  1°  e  2«;  il  5°  col  3*  e  4". 


ESERCITO    ITALIANO  31 


leone  col  V  corpo  d  armata  francese,  e  da  quel  giorno  le  milizie  toscane  pas- 
sarono alla  sua  dipendenza.  Il  generale  Ulloa  le  riani  iu  una  divisione  (0 
che  mosse  da  Pistoia  il  18  giugno  e  giunse  sul  Mincio  il  6  luglio. 

Proclamato  Tarmistizio  di  Villafranca,  la  divisione  passò  agli  ordini  di- 
retti del  Be  Vittorio  Emanuele,  ed  il  10  si  trasferì  a  Calcinato,  dove  sotto- 
scrisse un  indirizzo  al  Be  ed  al  governo  toscano  per  chiedere  Tannessione  al 
Piemonte  ;  poscia  ritornò  nuovamente  a  Parma,  e  vi  rimase,  per  istanza  del 
governo  provvisorio  degli  ex-Stati  estensi. 

Il  16  dello  stesso  mese  di  luglio,  T  Ulloa  lasciò  il  comando,  e  venne  so- 
stituito dal  generale  Garibaldi;  il  15  ottobre,  il  colonnello  piemontese  Cadorna 
fu  nominato  ministro  della  guerra,  e  détte  nuovo  e  maggiore  impulso  alla  tras- 
formazione dell'esercito  da  regionale  in  nazionale,  adottando  r^olamenti  orga- 
nici, disciplinari,  formali,  tattici  e  amministrativi,  eguali  a  quelli  piemontesi. 
Il  19,  Tesercito  assunse  la  qualifica  di  Beale,  •  a  dinotare  la  dipendenza  sua  dal 
capo  dello  Stato,  a  norma  dello  stvtnto  costituzionale  >  ;  il  28  ottobre  prestò 
giuramento  di  fedeltà  a  «  S.  M .  Vittorio  Emanuele  Be  eletto  •  ;  il  4  novembre 
mutò  le  denominazioni  di  alcuni  corpi:  la  1*  brigata  ebbe  nome  di  brigata 
Pisa;  la  2*  Siena;  la  3*  Livorno;  la  4*  (che  era  bensì  decretata  ma  non 
formata)  Pistoia;  il  reggimento  dragoni  assunse  la  qualifica  di  cavalleggeri 
di  Firenze;  il  reggimento  cavalleggeri  quella  di  cavalleggeri  di  Lucca. 

Biassumendo,  nel  novembre,  l'esercito  toscano  si  componeva  di  un  reg- 
gimento granatieri,  di  due  battaglioni;  di  tre  brigate  di  linea,  ciascuna  di 
due  reggimenti,  e  ogni  reggimento  di  tre  battaglioni;  di  due  battaglioni  ber- 
saglieri; di  quattro  batterie  campali;  di  due  compagnie  d'artiglieria  da  piazza; 
di  due  reggimenti  di  cavalleria;  di  due  compagnie  di  zappatori,  del  corpo  del 

(')  La  divisione  toscana  fn  composta  nel  modo  seguente: 
Comandante:  generale  Gerolamo  Ulloa. 

1*  brigata  di  fanteria,  colonnello  Stefanelli: 
Reggimento  granatieri:  2  battaglioni. 
1^  reggimento  di  linea:  3  battaglioni. 
3^  reggimento  di  linea:  3  battaglioni. 
1^  battaglione  bersaglieri. 
1^  compagnia  del  genio. 

2*  brigata  di  fanteria,  tenente  colonnello  Mussi  : 
2^  reggimento  di  linea:  8  battaglioni. 
5*^  reggimento  di  linea:  3  battaglioni. 
1^  reggimento  cacciatori:  2  battaglioni  (volontari). 
2®  battaglione  bersaglieri. 
1*  compagnia  genio. 

Riserva.  —  Artiglieria:  1*,  2*,  3*  batteria  (18  pezzi). 
Cavalleria:  2  squadroni  di  dragoni. 
Gendarmi:  una  compagnia  a  piedi  e  15  guide  a  cavallo. 
Doveva  raggiungere  la  divisione  il  4^   reggimento  di   linea  quando  il  suo  3^  bat- 
taglione avesse  raccolto  i  suoi  distaccamenti  sparpagliati  nelle  isole. 


32  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

treno,  del  corpo  sanitario  e  delle  sussistenze.  A  questi  reparti  dovevano  esserne 
aggiunti  alcuni  altri  decretati,  cioè  una  brigata  di  fanteria,  due  battaglioni 
di  bersaglieri,  due  batterie. 

Il  30  dicembre  1859  un'ordinanza  del  ministero  della  guerra  prescrisse 
che  i  reggimenti  di  fanteria  ed  i  battaglioni  bersaglieri  prendessero  una  nu- 
merazione a  seguito  di  quella  dei  corpi  dell* esercito  sardo  (*),  ferme  restando 
le  denominazioni  delle  brigate. 

Nel  gennaio  1860  fu  promulgata  la  legge  sarda  sul  reclutamento,  e  il 
27  del  mese  istesso  un'altra  ordinanza  del  ministero  stabili  la  formazione 
dei  reggimenti  35"*  e  SG""  (brigata  Pistoia)  su  due  battaglioni;  il  35^  fu 
composto  col  1^  battaglione  del  reggimento  granatieri,  che  fu  soppresso,  e 
col  V  del  32%'  il  36^  col  2^"  battaglione  granatieri  e  col  3<>  del  SP,  di 
guisa  che  i  reggimenti  delle  brigate  Pisa  e  Pistoia  rimasero  o  furono  com- 
posti di  due  battaglioni  solamente^  prevedendo  Tordinanza  che  i  terzi  batta- 
glioni fossero  formati  all'atto  della  nuova  coscrizione.  Vennero  organizzati 
pure  il  19^  battaglione  bersaglieri  (la  formazione  del  20^  rimase  pure  so- 
spesa in  attesa  della  nuova  coscrizione)  (')  e  la  5*  e  la  6*  batteria  di  arti- 
glieria. 

Parma  e  Modena.  —  Sui  phmi  di  maggio  la  duchessa  di  Parma  si 
era  dichiarata  neutrale  nella  guerra  austro-sarda.  In  quei  giorni  medesimi 
scoppiò  la  rivoluzione  a  Massa  e  Carrara,  che  fu  sussidiata  con  uomini  ed 
armi  dal  Piemonte.  Il  2  maggio,  sotto  la  direzione  del  generale  Bibotti  di 
Molières,  veterano  delle  guerre  di  Spagna,  si  iniziò  nella  Oarfagnana  e  nella 
Lunigiana  la  costituzione  di  battaglioni  volontari  che  presero  nome  di  «  Cac- 
ciatori della  Magra  •  e  nei  quali  affluirono  disertori  estensi  e  parmensi,  e 
volontari,  specialmente  romani.  11  Bibotti,  con  queste  truppe,  si  spinse  alla 
volta  di  Parma. 

Il  precipitare  degli  avvenimenti,  la  ribellione  di  Pontremoli,  la  notizia 
della  vittoria  di  Magenta,  la  pai'tenza  di  2000  parmensi  per  il  Piemonte,  de- 
cisero la  duchessa  a  lasciare  definitivamente  lo  Stato  il  9  giugno.  Le  truppe 
ducali  furono  sciolte  dal  giuramento  di  fedeltà,  e  parte  si  ritirarono  con  la 
duchessa,  parte  si  sbandarono. 

Il  14  giugno  arrivarono  a  Parma  i  cacciatori  della  Magra.  Il  commis- 
sario regio  Pallieri,  giunto  il  16,  decretò  che  tutti  gli  antichi  militari 
di   truppa  dell'esercito  disciolto  si  presentassero  ai  due  depositi  stabiliti  a 

C)  Brigata  Pisa:  29<»  e  30^  —  Brigata  Siena:  31°  e  SZ»  —  Brigata  Livorno:  33^ 
e  34'*  —  Brigata  Pistoia  (da  organizzarsi):  85°  e  36°.  Battaglioni  bersaglieri:  17°,  18°,  19° 
e  20°  (i  due  ultimi  da  organizzarsi). 

(^)  In  realtà,  tanto  i  terzi  battaglioni  dei  4  reggimenti  31,  32,  85,  86,  quanto  il 
20°  battaglione  bersaglieri,  non  vennero  formati  in  Toscana,  ma  dopo  la  fusione  delle 
truppe  toscane  c^n  Tesercito  sardo. 


BSBRCtTO   ITALIANO  33 


Parma  e  a  Piacenza;  contemporaneamente  il  generale  Bibotti  apri  un  armo- 
lamento  volontario  nei  cacciatori  della  Magra  che  costituì  in  reggimento; 
ne  formò  poi  nn  secondo,  in  cui  entrarono  a  far  parte  molti  già  appartenenti 
all'esercito  ducale. 

L*ll  giugno  il  duca  di  Modena  abbandonava  i  suoi  Stati,  seguito  da 
tutti  i  militari  del  suo  piccolo  esercito  in  condizione  di  marciare. 

A  Modena  si  formò  un  governo  provvisorio,  che  proclamò  Tannessione  al 
governo  sardo,  il  quale  inviò  come  commissario  Luigi  Zini,  sostituito  il 
15  giugno  dal  Farini,  nominato  governatore  del  ducato  in  nome  del  luogo- 
tenente generale  del  Be,  il  principe  di  Carignano. 

I  preliminari  di  Villafranca  costrinsero  il  governo  sardo  a  richiamare 
i  propri  commissarii  dalle  provincie  centrali.  Le  autorità  provvisorie,  sòrte  in 
loro  vece  negli  ex-ducati  di  Modena  e  di  Parma,  si  accordarono  a  procla- 
mare il  Farini  medesimo  dittatore.  Questi  détte  subito  mano  a  radunare 
forze  armate  da  opporre  a  quelle  concentrate  dal  duca  di  Modena  nei  di- 
stretti mantovani,  e  spedì  il  1^  reggimento  cacciatori  della  Magra  sul  confine, 
alla  Mirandola,  e  il  2"*  a  Carpi.  Con  pronta  risoluzione  il  Farini  ottenne 
inoltre  dal  governo  di  Firenze,  come  già  si  è  accennato,  che  la  divisione 
toscana  si  fermasse  nel  modenese  per  dare  man  forte  al  nuovo  governo. 

II  1^  agosto  i  due  reggimenti  cacciatori  della  Magra  furono  raggruppati 
in  una  brigata,  che  prese  il  nome  di  brigata  Modena.  A  questa  venne  tem- 
poraneamente aggiunto  un  3^  reggimento,  in  via  di  formazione,  che  1*8  agosto 
servì  di  nocciolo  alla  brigata  Reggio.  NelVagosto  pure  fu  decretata  la  forma- 
zione di  due  battaglioni  bersaglieri  e  di  un'altra  brigata  che  doveva  chia- 
marsi Parma:  ma  pel  momento  non  si  organizzò  che  il  5^  reggimento;  il 
6^  fu  organizzato  in  ottobre.  A  formare  questi  reparti  concorsero  numerosi 
volontari  e  truppe  di  leva,  e  ad  inquadrarli  concorsero  ufBciali  e  sott* ufficiali 
deiresercito  piemontese  in  attività  di  servizio  o  in  congedo,  numerosi  emigrati 
o  reduci  delle  milizie  volontarie  del  1848. 

Romagne.  —  L*ll  giugno  gli  Austriaci,  per  effetto  della  battaglia  di 
Magenta,  sgombrarono  le  Bomagne.  Il  mattino  del  12  Bologna  proclamava 
la  dittatura  di  Vittorio  Emanuele  ed  eleggeva  una  giunta  di  governo;  lo  stesso 
moto  insurrezionale,  propagatosi  nelle  Marche  e  nell'  Umbria,  conduceva 
all'eccidio  di  Perugia. 

Il  teiTore  di  questa  repressione  indusse  il  governo  provvisorio  a  solle- 
citare gli  armamenti;  e  il  1^  di  luglio,  il  governo  stesso  riuscì  a  mettere 
in  armi  due  colonne  mobili  (')  sotto  gli  ordini  del  generale  Boselli  e  del  co- 


{})  Le  due  colonne  mobili  si  componevano  di  due  battaglioni  ciascuna,  e  ogni  batta- 
glione contava  500  aomini  circa. 

FiOBBNZo  Bavà-Bbccabis.  —  Furetto  italiano  «ce.  3 


84  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


lonDello  Masi,  ohe  si  portarono  alla  Cattolica  per  difendere  la  regione  contro 
nn  eventuale  assalto  dei  pontifici. 

Il  governo  delle  Bomagne  eni  tuttavia  in  nna  situazione  assai  precaria, 
onde  si  rivolse  per  aiuti  al  governo  piemontese,  che  provvide  ordinando  ad 
un  corpo  di  truppa,  che  erasi  costituito  in  Toscana  agli  ordini  del  generale 
Luigi  Mezzacapo,  e  del  quale  diremo  poi,  di  passare  in  Romagna,  ed  inviando 
direttamente  un  forte  nucleo  di  ufficiali  e  di  sottufficiali  in  congedo  delFeser- 
cito,  sotto  la  direzione  del  ten.  colonnello  Ferdinando  Pinelli,  a  formare  una 
brigata  di  fanteria  che  doveva  chiamarsi  Vittorio  Emanuele,  e  della  quale 
era  stata  iniziata  la  formazione  a  Torino  coi  volontarii  veneti  e  romagnoli 
accorsi  in  Piemonte. 

Nel  luglio  e  nellagosto  la  brigata  fu  costituita  e  i  reggimenti  numerati 
2P  e  22^;  il  16  settembre  essa  raggiunse  le  truppe  del  Boselli;  il  1®  ottobre 
mutò  il  nome  in  quello  di  brigata  Bologna.  Contemporaneamente  si  costituì 
una  batteria  d'artiglieria  con  risorse  locali.  Alla  cavalleria  provvide  il  go- 
verno piemontese  organizzando  a  Torino  un  reggimento  col  nome  di  Vittorio 
Emanuele,  fotte  di  quattro  squadroni,  costituito  da  volontari  di  ogni  pro- 
vincia, che  ril  luglio  giunse  a  Bologna  contemporaneamente  alle  truppe 
che  il  generale  Mezzacapo  aveva  organizzate  in  Toscana.  Nel  settembre  le 
colonne  mobili  del  Boselli  si  trasformarono  in  due  reggimenti  (25°  e  26°)^ 
costituendo  la  brigata  Ferrara. 

4. 

Truppe  del  generale  Luigi  Mezzacapo.  —  Per  raccogliere  la  gioventù  che 
emigrava  dalle  legazioni,  dalle  Bomagne,  dalle  Marche,  in  Toscana,  tentare 
nel  medesimo  tempo  una  diversione  sul  fianco  austriaco,  e  creare  milizie  a 
sostegno  di  quei  governi  provvisori,  il  governo  sardo  aveva  affidato  sui  primi 
di  maggio  al  generale  Luigi  Mezzacapo,  coadiuvato  dal  fratello  Carlo  e  da 
ufficiali  piemontesi,  Tincarico  di  costituire  in  Toscana  un  corpo  di  truppe  che 
doveva  prendere  il  nome  di  2°  corpo  dell*  Italia  centrale  (*). 

Il  Mezzacapo  costituì  due  depositi:  l'uno  a  Marradi,  l'altro  ad  Arezzo; 
ed  in  entrambe  le  località  cominciarono  ad  affluire  considerevolmente  i  volon- 
tari, tanto  che  in  breve  tempo  in  ciascuna  si  formò  un  reggimento,  e  fu  sta- 
bilito un  nuovo  deposito  a  Pontassieve  per  formarvene  un  3°,  il  quale  alla 
fine  di  maggio  aveva  già  preso  consistenza.  Il  27  di  maggio  fu  ordinata  la 
formazione  di  un  battaglione  di  bersaglieri  a  S.  Casciano,  e  si  costituirono 
pure  uno  squadrone  di  cavalleria,  una  batteria,  e  una  compagnia  del  genio. 
Il  17  giugno  fu  ordinato  un  4°  reggimento  di  fanteria,  traendone  gli  elementi 
dagli  altri  tre,  che  erano  troppo  forti  di  gregari  e  scarsi  di  ufficiali.  II 
25  giugno  furono  chiusi  gli  arruolamenti  e  soppressi  i  depositi. 

(')  Non  si  sono  trovati  ordini  scritti  al  riguardo,  né  sembra  che  siano  stati  redatti*. 
Il  conte  di  Cavonr  volle  far  apparire,  di  fronte  al  governo  pontifici^,  cke  il  governo  prov-- 
visorio  di  Bologna  agisse  di  proprio  impulso. 


ESERCITO   ITALIANO  36 


QaandOf  alla  fine  di  maggio,  le  truppe  toscane  dipendenti  dall' Ulloa  si 
concentrarono  al  confine,  il  Mezzacapo  radunò  le  proprie  attorno  a  Firenze; 
nella  seconda  metà  di  giugno  i  corpi  assunsero,  per  ordine  di  Cavour,  nume- 
razione a  seguito  dei  reggimenti  deiresercito  sardo  ('),  e  mutarono  di  sedi: 
il  V  e  il  2""  reggimento  si  trasferirono  a  Pisa  e  a  Pontedera;  il  3®  venne 
mandato  ad  Empoli,  il  4^  rimase  a  Firenze.  Alla  fine  di  giugno  la  divi- 
sione venne  diretta  nelle  Bomagne,  a  disposizione  di  quel  governo,  per  guardare 
il  confine  contro  un  presunto  attacco  dei  pontifici,  riunendosi  cosi  alle  truppe 
del  Boselli  che  fu  posto  agli  ordini  del  Mezzacapo.  Per  effetto  poi  dei  patti 
di  Villafranca,  cessò  d'appartenere  ali* esercito  sardo  e  passò  alla  dipendenza 
del  governo  provvisorio  delle  Romagne. 

La  Lega.  —  Nel  mese  di  agosto  1859,  auspice  il  Farini,  venne  conclusa 
una  lega  militare  fra  la  Toscana,  Modena,  Parma  e  le  Romagne,  e  ne  fu 
nominato  capo  il  generale  deiresercito  piemontese  Manfredo  Fanti,  e  coman- 
dante in  2*  il  generale  Garibaldi. 

Il  generale  Fanti  pose  mano  a  dare  un  migliore  assetto  alle  truppe, 
ordinandole  in  unità  simili  a  quelle  deiresercito  sardo,  procurando  di  raf- 
forzarvi l'ordine,  la  disciplina,  e  di  riordinare  i  servizi. 

Il  1^  ottobre,  il  Fanti  stabilì  che  gli  otto  reggimenti  dislocati  in  Ro- 
magna prendessero  le  denominazioni  seguenti  : 

-....--  (  19*^-20**  brigata  Ravenna. 

Diyisione  Mezzacapo.  .  .  .  J  ^^^  ^i»      id.      Forlì. 

..        _     ,,.  {  21»-22<»      id.     Bologna. 

^^-      »^^"' U50-26-     id.     Ferrara. 

La  riunione  delle  Romagne,  di  Parma  e  di  Modena,  sotto  il  Farini, 
permise  di  riordinare  ed  imificare  maggiormente  le  truppe  di  quelle  regioni. 
Fu  costituito  un  solo  ministero  della  guerra  con  sede  a  Bologna,  e  il  terri- 
torio fu  circoscritto  in  due  divisioni  territoriali.  Le  truppe  di  fanteria  (1*  gen- 
naio 1860)  ebbero  i  reggimenti  numerati  consecutivamente  a  quelli  dell'eser- 
cito sardo  (*)  e  del  toscano;  Tartiglieria  fu  riunita  in  due  reggimenti,  l'uno 
da  campagna  e  l'altro  da  piazza. 

Nel  gennaio  1860  il  generale  Fanti  fu  chiamato  a  Torino  a  reggere  il 
ministero  della  guerra,  pur  conservando  il  comando  dell'esercito  della  Lega  ; 

(*)  I  reggimenti  presero  la  numerazione  di  19®,  20®,  23®,  24°;  il  battaglione  bersa- 
glieri quella  di  11®. 

(•)  Brigata  Ravenna  (già  19«  e  20®):  37®  e  38®  —  Brigata  Bologna  (già  21®  e  22®) 
890  e  40»  -  Brigata  Modena  (già  1®  e  2®):  41®  e  42®  —  Brigata  Forlì  (già  23®  e  24®) 
430  e  44®  —  Brigata  Reggio  (già  3®  e  4®):  45®  e  46®  —  Brigata  Ferrara  fgià  25*  e  26®) 
47»  e  48®  —  Brigata  Parma  (già  5®  e  6®):  49°  e  50®.  —  Battaglioni  bersaglieri:  furono 
numerati  dal  21®  al  27®. 


36  FIORENZO   BAVA-BECGARIS 

e  il  18  marzo,  per  la  annessioDe  della  Toseana,  dell* Emilia  e  delle  Bomagne 
al  regno  di  Sardegna,  quelle  truppe  furono  riunite  airesercito  sardo. 
11  contributo  di  quelle  regioni  fu  il  seguente: 

TOSCANA.  —  Fanterìa   di  linea:   8  reggimenti  (4  di  3  battaglioni  e 

4  di  2). 

Bersaglieri:  3  battaglioni  (17«,  18%  19^). 

Cavalleria:  2  reggimenti  (Firenze  e  Lucca). 

Artiglieria  da  campagna  :  6  batterie. 

Id.        da  piazza:  6  compagnie. 

Genio:  2  compagoie. 

EMILIA.  —    Fanteria  di  linea:   14  reggimenti  (7  di  3   battaglioni  e 

7  di  2). 

Bersaglieri:  7  battaglioni  (2P-27*). 

Cavalleria:  2  reggimenti  e  2  squadroni  Guide  (Usseri  di 
Piacenza  e  Vittorio  Emanuele). 

Artiglieria  da  campagna:  9  batterie. 

Id.        da  piazza:  6  compagnie. 

Genio:  8  compagnie. 

In  complesso:  20  reggimenti  di  fanteria,  10  battaglioni  di  bersaglieri, 
4  reggimenti  cavalleria,  2  squadroni  Guide,  15  batterie  campali,  12  com- 
pagnie da  piazza,  10  compagnie  del  genio,  con  un  totale  di  45,000  uomini, 
dei  quali,  15.000  Toscani  e  30,000  Emiliani  {^).  Risultato  veramente  onore- 
vole per  coloro  che  avean  saputo  far  sorgere  ed  organizzare  quelle  truppe, 
superando  ostacoli  di  ogni  sorta,  con  la  sola  guida  del  patriottismo  e  della  fede 
neiravvenire  d'Italia. 


(«)  Devesi  aggiungere  la  scuola  militare  di  Modena  fondata  con  determinasionfl  dal 
5  ottobre  1859  per  preparare  sottotenenti  per  le  troppe  deirEmilìa;  il  liceo  militare  di 
Firenze  riordinato  con  la  legge  del  governo  provvisorio  del  31  ottobre  delPanno  mede- 
simo, e  la  tcuola  militare  a  Parma,  già  esistente  nel  ducato  fin  dal  1836. 


ESERCITO  ITALIANO  91 


V. 

Dal  1860  al  1870. 

Cenno  sulle  principali  irasformazioni  deiresercito  dal  1860  al  1866.  —  Il  f^enerale  Fanti 
ministro  della  gnerra.  —  Rianione  deiresercito  della  Lega  con  Tesercito  sardo.  — 
L*aumento  notevole  dei  quadri.  —  L^ordinamento  del  marzo  1860.  —  La  spedizione 
garibaldina.  —  La  campagna  nelle  Marche  e  noli*  Umbria.  —  L^esercito  meridio- 
nale. —  L*e8ercito  borbonico.  —  Riordinamento  generale  deiresercito  secondo  le 
idee  del  generale  Fanti,  nel  gennaio  del  1861.  —  La  gaardia  nazionale.  —  La  reazione 
nel  Mezzogiorno  e  intervento  deiresercito  per  reprimerla.  —  Ministeri  Della  Rovere 
e  Petitti,  e  ritorno  all'antico  sistema  sardo  nella  costituzione  deiresercito.  — 
Aspromonte.  —  Le  condizioni  economiche  del  paese  influiscono  sulPordinamento 
deiresercito.  —  Il  generale  Pettinengo  ministro  della  guerra.  —  L'organizzazione 
deiresercito  per  la  campagna  del  1866.  —  Nuove  riduzioni  dal  1867  al  1870. 

La  fortuna  delle  armi  e  il  poderoso  aiuto  dell'imperatore  dei  francesi 
avevano,  sullo  scorcio  del  1859,  permesso  che  la  Lombardia  si  unisse  col 
regno  di  Sardegna;  il  patriottismo  delle  popolazioni  e  le  arti  diplomatiche 
condussero,  nella  primavera  del  1860,  airannessione  delle  Provincie  del 
centro;  la  gloriosa  spedizione  garibaldina  e  la  provvida  campi^na  deireser- 
cito regolare  compirono  neiranno  medesimo  Topera,  liberando  il  mezzogiorno 
e  parte  degli  Stati  soggetti  alla  Santa  Sede. 

Ma,  a  terminar  1*  impresa  dell'indipendenza  e  dell'unità  nazionale,  man- 
cavano ancora  il  Veneto  e  Roma.  Solo  da  una  nuova  guerra  contro  l'Austria 
si  poteva  sperare  l'acquisto  del  primo,  tanto  più  necessario  al  nuovo  regno 
in  quanto  che  il  trattato  di  Zurìgo,  confermando  i  patti  di  Villafranca  e 
lasciando  TAustrìa  padrona  del  Mincio  e  deiroltre  Po  mantovano,  le  aveva 
mantenuta  tanta  potenza  offensiva  di  qua  dalle  Alpi  da  render  quasi  illusoria 
la  proclamata  indipendenza  italiana.  Perciò  tra  il  1860  e  il  1866  fu  supremo 
scopo  del  governo  e  del  popolo  italiano  prepararsi  a  guerra^  sia  di  difesa 
sia  di  offesa^  contro  l'Austria^  quando  la  buona  occasione  si  presentasse. 
I  provvedimenti  a  tale  scopo  possono  cosi  riassumersi: 

1®)  Creazione  ed  addestramento  di  un  esercito  mobile  sufficiente  per 
ogni  bisogno  di  guerra,  sia  offensiva,  sia  difensiva,  e  apparecchi  intesi  a  trar 
profitto,  in  caso  di  bisogno,  di  quell'elemento  volontario,  cui  l'Italia  era  in 
gran  parte  debitrice  dell'unione  delle  Provincie  meridionali. 

2^)  Assetto  delle  opere  stabili  di  terraferma,  per  modo  da  costituire  un 
assieme  di  punti  fortificati  che  supplisse  alla  mancanza  di  una  buona  fron- 
tiera strategica  contro  l'Austria. 

8^)  Allestimento  di  un  naviglio  da  guerra. 


33  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


a^MiMa^ 


In  questo  studio  si  accennerà  solo  al  primo  di  tali  punti,  gli  altri  non 
appartenendo  all'assunto  prefisso. 

L'esercito  italiano,  come  si  disse,  fu  composto  per  virtù  di  aggregazioni 
ed  ampliamenti  successi?!,  stando  nucleo  e  base  l'antico  esercito  sardo. 
Quest'opera,  cominciata,  nel  1859  dal  genemle  Lamarmora  e  continuata  dai 
successori,  e  in  ispecie  dal  generale  Fanti,  è,  in  questo  periodo,  segnata 
cronologicamente  dalle  principali  fasi  seguenti: 

l"")  Nel  1860:  unione,  all'esercito  dell'alta  Italia,  delle  tnippe  della 
Toscana  e  dell'Emilia  ;  primo  ordinamento  Fanti  (^),  in  molte  parti  diverso 
dall'antico  sardo  del  La  Marmerà. 

2'')  Nel  1861  :  ammissione,  nell'esercito,  dei  soldati  e  di  uno  scarso  nu- 
mero di  u£Sciali  del  disciolto  esercito  delle  due  Sicilie  ;  prime  leve  generali  ; 
conseguente  aumento  della  forza  e  dei  quadri  dell'esercito,  e  secondo  ordi- 
namento Fanti. 

8^)  Nel  1862  e  nel  1863:  incorpoi'azione,  nell'esercito,  di  un  numero  con- 
siderevole di  ufficiali  del  disciolto  esercito  dell'Italia  meridionale;  ordina- 
mento Petitti,  simile  del  tutto  all'antico  ordinamento  sardo  del  La  Marmerà. 

4^)  Nel  1864,  nel  1865  e  sui  primi  del  1866:  ridazioni  deiresercito  per 
cause  economiche. 

5^)  Dal  marzo  al  giugno  del  1866:  preparazione  per  la  campagna  di 
guerra  contro  l'Austria. 

Accenneremo  brevemente  a  queste  diverse  fasi,  durante  le  quali,  quattro 
ministri  si  succedettero  al  potere  :  il  Fanti  da  prima,  poi,  alternativamente, 
per  due  volte  il  Della  Rovere  e  il  Petitti,  e  infine  il  Pettinengo. 

In  data  29  febbraio  lb60  l'esercito  sardo-lombardo  aveva  la  forza  totale 
di  127,000  uomini,  con  14,000  cavalli,  così  divisi: 

Fanteria   (4  reggimenti   granatieri,  26  di  linea,  2  cac- 
ciatori delle  Alpi) 76,264 

Bersaglieri  (16  battaglioni) 11,657 

Cavalleria  (4  regg.  corazzieri,  8  cavalleggeri)   ....  9,401. 

Artiglieria  (1  regg.  operai,  1  da  piazza,  2  da  campagna)  .  11,931 

Genio 3,668 

Treno  d'armata , 2,974 

Battaglione  d'amministrazione 2,727 

Carabinieri 5,481 

Corpi  diversi  (Istituti  e  servizio  sedentario) 3,729 

Totale     .     .     .     127,577 

(^)  II  20  gennaio  1860  Cavour  riprese  il  potere  lascialo  dopo  Yillafranca,  e  chiamò 
a  reggere  il  ministero  della  guerra  il  generale  Manfredo  Fanti,  che  sostituì  il  generale 
Alfonso  La  Marmora. 


ESERCITO   ITALIANO 


39 


Avvenuta  Tannessione  della  Toscana  e  deirEmìlia,  un  regio  decreto  del 
25  marzo  stabii)  che  Tesercito,  costituitosi  in  quelle  due  regioni,  fosse  riunito 
air  esercito  sardo;  che  tutte  le  leggi  e  i  regolamenti  vigenti  in  questo,  sinten- 
dessero  comuni  ad  entrambi,  e  che  gli  ufficiali  ed  i  sottufficiali  conservassero 
il  grado  e  Timpiego  che  avevano  il  giorno  deirannessione. 

In  tal  modo,  il  nuovo  esercito  attivo  contò: 

Fanteria  (4  regg.  granatieri,  52  di  linea) 111,770 

Bersaglieri  (27  battaglioni) 15,567 

Cavalleria  (4  regg.  di  linea,  6  di  lancieri,   6  di  caval- 

leggeri,  1  di  Guide:  64  squadroni) 12,902 

Artiglieria  (1  regg.  operai,  3  da  piazza,  4  da  campagna: 

36  compagnie,  47  batterie) 15,938 

Genio  (2  reggimenti  :  32  compf^ie) 5,191 

Treno 4,939 

Corpo  d*amministrazione 3,911 

Carabinieri 7,877 

Corpi  diversi  (Servizio  sedentario  ed  istituti)  ....  5,268 

Totale  (0    .    •     .     183,363 

Uno  degli  eifetti  immediati  e  più  importanti  di  questo  ampliamento 
fu  Taumento  notevole  dei  quadri.  Nell'esercito  sardo,  l'anno  innanzi,  per  la 
formazione  dei  nuovi  corpi,  era  stato  necessario  nominare  sottotenenti  in  nu* 
mero  notevol  mente  maggiore  dell'usato  (*)  e  decretare  numerose  promozioni  ; 
lo  stesso  fatto  accadde  nell'esercito  toscano  ch'orasi  piti  che  raddoppiato;  nel- 
l'emiliano,  creato  di  pianta,  gli  ufficiali   provenienti   dalle  truppe  regolari 


(')  DIMOSTRAZIONE, 

Era  l'esercito,  al  28  febbraio  1860 127,000 

Congedando  i  Savoiardi  e  Nizzardi  (circa  12,000) 115,000 

Aggiunti 

Lombardi  provenienti  dal  servizio  austriaco,  classi  1880-81-d2-38  18,000 

Esercito  deirEmilia 30,000 

Esercito  Toscano 15,000 

Leva  in  Lombardia,  classe  1839,  I  categoria 4,600 

Leva  in  Toscana,  classe  1841,  I  categoria 3,600 

li  categoria  1838,  antiche  proviucie 8,000 

Totale    .    .     .  189.200 

La  differenza,  in  meno,  di  5,887  aomini,  deve  ascriversi  alle  rifonne  e  congedi  per 

tempo  finito. 

1')  Soccorse  a  quel  bisogno  nu  apposito  corso   suppletivo    di   pochi  mesi,    istituito 

presso  la  scuola  militare  di  Ivrea. 


40  FIORENZO  BAVA.-BECCAR1S 

dell* Austria,  di  Parma,  di  Modena,  del  Papa  e  dello  stesso  Piemonte,  o  re- 
duci delle  milizie  venete  o  romane  del  48  e  del  49,  ebbero  in  pochi  mesi 
tale  aumento  da  ottenere  rapidissime  promozioni.  Questi  sistemi  irregolari 
di  nomine  o  di  avanzamenti,  dovuti  alle  imperiose  necessità  del  momento, 
condussero  a  un  impoverimento  nella  qualità  dei  quadri,  poiché  vi  entrarono 
persone  che,  pure  essendo  animate  da  sentimenti  di  sano  patriottismo,  di- 
fettavano di  coltura,  di  esperienza  e  di  capacità  militare. 

Airatto  della  fusione  i  quadri  contavano  alVincirca  il  68,2  %  di  ufficiali 
sardi,  1*11,6  Vo  di  toscani  e  il  20,2  Vo  di  emiliani  ('). 

Il  25  marzo  stesso  venne  pure  decretato  un  nuovo  ordinamento  del- 
Tesercito.  Invece  dell'antico  sistema  sardo,  che  poneva  i  corpi  alla  dipen- 
denza dei  comandi  delle  divisioni  territoriali,  del  tutto  diversi  da  quelli  che  si 
costituivano  all'atto  della  mobilitazione,  l'esercito  fu  ripartito,  tìn  dal  tempo 
di  pace,  in  «  13  divisioni  attive  »  raggruppate  in  5  grandi  comandi  militari 
i  quali,  all'atto  della  gueiTa,  dovevano  trasformarsi  in  altrettanti  comandi 
di  corpo  d'armata.  Questo  sistema  volle  rendere  meno  accentrato  il  comando, 
piii  sollecita  la  mobilitazione,  e  permettere  la  conoscenza  reciproca  dei  capi 
delle  maggiori  unità  coi  sottoposti  (*).  I  grandi  comandi  si  costituirono  il 
1^  aprile,  e  il  territorio  a  ciascuno  assegnato  venne  detto  «  dipaiiimeuto  »  (^).  Le 
13  divisioni  attive  fiuono  costituite  ciascuna  di  due  brigate  di  fanteria,  di 
due  battaglioni  bersaglieri  e  di  un  reggimento  di  cavalleria;  i  quattro  reggi- 
menti di  cavalleria  di  linea  formarono  una  divisione  di  cavalleria  di  riserva. 
Le  prime  cinque  divisioni  si  composero  di  truppe  sarde  d'antica  formazione; 
la  6*  e  la  7*  ebbero  i  r^gimenti  formati  nel  1859  ;  due  di  questi  ed  una 
brigata  toscana  composero  1*8^;  la  9*  fu  interamente  toscana;  in  parte  to- 
scana, in  parte  emiliana,  la  10*;  le  altre  tre,  emiliane,  ad  eccezione  dell'ultima 
ch'ebbe  il  reggimento  cavalleggeri  d'Alessandria,  di  antica  formazione. 

Le  divisioni  andarono  a  presidiare  provincie  diverse  da   quelle  di  loro 


(*)  Questo  calcolo  venne  fatto  snlla  base  dei  quadri  della  fanteria,  ma  poche  va- 
rianti si  avrebbero  se  analogo  si  facesse  per  le  altre  armi. 

(')  Le  modalità  di  questo  nuovo  ordinamento  furono  studiate  da  una  commissione 
costituitasi  nel  febbraio  sotto  la  presidenza  del  generale  Cialdini  e  della  quale  facevano 
parte  il  generale  Maurizio  De  Sonnaz  e  il  tenente  colonnello  Ricotti. 

e)  Il  1^  gran  comando  (Alessandria)  comprese  Tantica  divisione  territoriale  di  Ales- 
sandria e  le  sotto-divisioni  di  Novara  e  di  Pavia;  il  2^  (Brescia)  abbracciò  il  territorio 
fira  il  Mincio  e  TAdda,  riunendo  le  divisioni  di  Brescia  e  di  Cremona;  il  8^  (Parma)  ebbe 
quello  fra  Trebbia  e  Panaro;  il  4*  (Bologna)  quello  fra  Panaro  e  Pavullo.  Finalmente  il 
5°  (Torino)  conservò  la  zona  dell'antica  divisione  militare  di  Torino.  Furono  tempora- 
neamente mantenute  le  divisioni  territoriali  di  Savoia,  di  Genova,  di  Milano  e  della  Sar- 
degna, la  sotto-divisione  di  Nizza  e  la  divisione  di  Toscana,  che  comprese  pure  i  territori 
di  Massa  e  Carrara. 


ESERCITO   ITALIANO  ^1 


origine;  e  in  tal  modo  il  generale  Fanti  volle  principiar  Topera  di  fusione 
dell'esercito  e  delle  varie  parti  dltalia  così  felicemente  rìnnite. 

Per  riordinare  Tamministrazione  centrale  in  modo  consentaneo  alle 
nuove  esigenze,  e  per  ottenere  che  •  la  spedizione  degli  affari  riuscisse  piii 
semplice  e  più  facile,  concentrando  nelle  varie  divisioni  gli  affari  riguardanti 
le  specialità  di  ciascun'arma  •  (^),  con  decreto  del  9  di  maggio  il  ministero  fu 
diviso  in  un  segretariato  generale  e  in  tre  direzioni  genemli,  Tuna  delle 
armi  di  linea,  l'altra  dello  speciali  e  la  terza  dell'amministrazione  militare. 

Nel  corpo  di  stato  maggiore  il  ministro  non  ritenne  opportuno  intro- 
durre subito  modificazioni  sostanziali,  «  trattandosi  di  questione  grave  e  di£S- 
cile,  la  quale  voleva  esser  ponderata  in  tempi  tranquilli  »  (*).  Ne  aumentò, 
solo  nel  marzo,  gli  organici  con  u£Sciali  che  mostravano  di  possedere  la  ca- 
pacità per  appartenere  al  corpo  :  e  la  maggior  parte  venne  tratta  dalle  armi 
di  linea,  perchè  nelFartiglieria  v'era  scarsezza  di  personale. 

L'ordinamento  della  fanteria  non  subì  modificazioni.  Nel  febbraio  fu 
ordinata  la  costituzione  della  brigata  Pavia,  sospesa  dal  ministero  La  Mar- 
mora;  nel  maggio,  quella  dei  Cacciatori  delle  Alpi  mutò  denominazione  in 
quella  di  brigata  Alpi,  e  i  suoi  reggimenti  furono  numerati  5P  e  52*;  nel 
giugno  si  sciolse  la  brigata  Savoia,  per  la  cessione  di  questa  provincia  alla 
Francia,  e  si  ricostituì  sotto  il  nome  di  brigata  Be,  che  ebbe  in  retaggio 
dalla  prima  nobili  tradizioni  di  valore  e  di  gloria;  si  formò  il  20®  batta- 
glione bersaglieri;  e  si  instituì,  quale  ente  consultivo  del  ministero,  nn 
comitato  delle  armi  di  fanteria  e  cavalleria  (^),  sopprìmendo  il  congresso  con- 
sultivo permanente  della  guerra;  nell'ottobre  finalmente  vennero  creati  i 
terzi  battaglioni  dei  reggimenti  toscani  ed  emiliani  che  ne  avevano  sol- 
tanto due.  In  questo  tempo  venne  pure  modificato  l'aimamento,  adottando 
il  fucile  rigato  mod.  1860  (^)  e  il  vestiario,  abolendo  le  antiche  mostr^gia- 
ture  che  distinguevano  i  corpi. 

(*)  Direttiva  data  dal  generale  Fanti  alla  Commissione  presieduta  dal  generale  Valfré, 
incaricata  del  riordinamento  deiramraiuistrazione  della  guerra. 

(')  Da  ona  lettera  del  generale  Fanti  al  capo  di  stato  maggiore.  (Archivio  del  co- 
mando del  corpo  di  stato  maggiore.  Cartella  n.  37). 

(^)  I  comitati  delle  varie  armi  avevano  per  scopo  di  discutere  e  preparare  tatti  i 
progetti  di  leggi  e  di  regolamenti  relativi  all'arma  o  alle  armi  rispettive,  proporre  al 
ministero  le  varianti  che  ritenessero  necessarie,  ed  esaminare  le  note  caratteristiche  degli 
nfficiali. 

(*)  Fin  allora  la  fanteria  di  linea  era  stata  armata  del  fucile  a  percussione  a  canna 
lìscia  mod.  1844  cai.  mm.  17,5  ;  i  bersaglieri  a  carabina  rigata  mod.  1856  sistema  Miniè. 
Nel  1857  il  parlamento  aveva  votato  nn  premio  di  lire  15.000  agli  inventori  d*  mi*  arme 
che,  oltre  possedere  tutti  i  perfezionamenti  recati  fin  allora  alle  armi  portatili,  riunisse 
pure  tutte  le  qualità  d*arme  da  guerra,  cioè  fosse  di  maneggio  facile  e  atta  al  combat- 
timento alla  baionetta.  Ma  il  risultato  del  concorso  non  rispose  alle  aspettative  ;  parecchie 
armi  furono  provate,  e  non  si  trovarono  corrispondenti  alle  condizioni  richieste  dal  mini* 


42  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


La  cayalleria  fa  rìordioata  nel  giugno.  Aboliti  i  corazzieri,  istituiti  dal 
generale  Lanoarmora  Tanno  innanzi,  Tarma  fu  suddivisa  in  cavalleria  di 
linea  (Nizza,  Piemonte  Reale,  Savoia,  Genova),  lancieri  (Novara,  Aosta,  Mi- 
lano, Montebello,  Firenze,  Vittorio  Emanuele)  e  cavalleggeri  (Saluzzo,  Mon- 
ferrato, Alessandria,  Lodi,  Lucca,  Usseri  di  Piacenza).  Rimase  pure  il  reg- 
gimento Guide.  I  reggimenti  continuarono  ad  essere  formati  di  uno  stato 
maggiore,  4  squadroni  attivi  ed  uno  di  deposito. 

Con  decreto  del  17  giugno  venne  riordinata  «  Tarma  di  artiglieria  «  {^). 
Furono  soppresse  le  cariche  di  comandante  generale,  di  comandante  del 
personale  e  di  direttore  del  materiale,  mantenuto  il  comitato  per  soprain- 
tendere  alTandaroento  generale  tecnico  e  amministrativo  dell'arma,  e  creati 
5  comandi  temtoriali  retti  da  manieri  generali  i  quali,  nei  limiti  del  ter- 
ritorio loro  assegnato,  dovevano  disimpegnare  le  incumbenze  del  comando 
del  personale  e  della  direzione  del  mateiiale.  Lo  stesso  decreto  divise  Tarma 
in  otto  reggimenti.  Il  reggimento  opei'ai  continuò  a  comporsi  di  due  brigate: 
la  prima  di  operai,  di  pontieri  Taltra.  Il  1°,  2°,  3^  e  4®  reggimento  costitui- 
rono i  reggimenti  da  piazza  ;  e  sebbene  Torganico  di  ciascuno  fosse  stabilito 
in  12  compagnie,  raggruppate  in  3  brigate,  sul  principio  se  ne  costituirono 
11  soltanto;  la  12*  venne  formata  solo  in  novembre.  A  ciascun  reggimento 
nuovo,  l'antico  sai'do  somministrò  otto  compagnie;  due  il  toscano  e  una  Temi- 
liano.  Le  compagnie  4^  5*  e  6^  emiliane,  furono  sciolte. 

I  reggimenti  da  campagna  (5^,  6^,  7^,  S"")  si  costituirono  di  dodici  bat- 
terie da  battaglia,  ad  eccezione  del  5^  il  quale,  conservando  le  due  batterie 
a  cavallo  con  numerazione  a  parte,  ebbe  10  sole  batterìe  da  battaglia.  Per 
formare  i  quattro  reggimenti,  vennero  spezzati  gli  antichi  due  delTesercito 
sardo:  il  P  fornì  le  due  batterie  a  cavallo  e  le  prìme  sei  di  battaglia  al  5^ 
di  nuova  formazione,  le  rimanenti  al  7^  ;  il  2^  détte  le  prime  otto  da  bat- 
taglia al  6^  e  le  sette  rimanenti  alT8^.  L'artiglieria  toscana  fornì  due  bat- 
terie al  5^  due  al  6^,  una  al  7^  una  alT8^  ;  quella  delTEmilia,  due  al  5% 
due  al  6^  due  al  7^  e  tre  alTS**. 

L'arma  del  genio  ascese  a  32  compagnie:  e  però  con  decreto  del  5 
maggio  venne  costituito  un  2^  reggimento  zappatori,  e  questo  e  l'esistente 
ebbero  tre  battaglioni  di  quattro  compagnie.  Due  compagnie  delTEmilia  ven- 


stero.  Keirottobre  dtrl  1859  fu  nominata  una  cummissiuiie  per  sperimentare  parecchi  tipi 
dì  fucile  e  scegliere  quel  sistema  che  meglio  si  prestasse  a  trasformare  il  focile  a  canna 
liscia  mod.  1844.  Fu  esclusa  Tidea  di  adottare  un  nuore  fucile  di  calibro  minore,  per  il 
non  breve  tempo  che  sarebbe  occorso  a  fabbricarlo  e  soprattutto  per  la  spesa.  La  com- 
missione preferì  il  sistema  francese,  proponendo  la  rigatura  e  il  raccorciamento  di  quello 
mod.  1844  e  lo  studio  di  un  alzo  graduato  fino  a  850  passi. 

(')  Questa  denominazione  sostituì  Tantica  di  «  corpo  reale  d^artiglieria  »,  e  analo- 
gamente per  l'arma  d*;!  genio. 


ESERCITO   ITALIANO  43 


nero  sciolte,  e  il  personale  delle  medesime  incorporato  fra  le  altre  del  reg- 
gimento. Formarono  il  1^  reggimento  lo  stato  maggiore  di  quelle,  già  esi- 
stente, colle  prime  10  compagnie  attive  e  la  1*  di  deposito;  le  altre  due 
compagnie  attive  e  due  di  deposito  vennero  formate  colla  1^,  2*,  3%  4^  zap- 
patori del  genio  deirEmilia,  e  con  la  1*  della  Toscana;  formarono  il  2^  reg- 
gimento Io  stato  maggiore  e  il  deposito  di  quello  formato  neirEmilia,  le 
altre  dieci  compagnie  del  reggimento  sardo,  la  5^  6%  7*  e  8*  dell'Emilia 
e  la  2*  della  Toscana. 

L'arma  ebbe  poi  un  riordinamento  definitivo  con  decreto  del  18  giugno. 

Il  treno  d'armata,  ch'era  di  sette  compagnie,  fu  aumentato  di  altre 
otto  nel  marzo  e  nell'aprile;  finalmente,  con  decreto  del  6  settembre,  venne 
costituito  di  venti  compagnie  e  due  di  deposito.  Venne  ordinata  la  compera 
di  6000  cavalli,  che  fu  effettuata  in  breve  spazio  di  tempo. 

Il  battaglione  d'amministrazione,  che  contava  tre  compagnie  soltanto 
(una  d'infermieri,  una  di  sussistenza,  una  di  deposito),  fu  convertito  il  29 
febbraio  in  «  corpo  d'amministrazione  »  di  dodici  compagnie  (7  d'infermieri, 
4  di  sussistenza  e  una  per  servizi  d'ordinanza),  e  il  6  settembre  accresciuto 
sino  a  venti  compagnie  (10  d'infermieri,  6  di  sussistenza,  4  pei  servizi  di 
ordinanza)  ('). 

L'esercito,  cos)  ricostituito,  fu  portato  quasi  sul  piede  di  guerra  fin  dal 
gennaio  1860  con  richiami  di  classi  dal  congedo,  tanto  per  sostenere  la  ferma 
politica  che  il  conte  di  Cavour  intendeva  seguire,  quanto  per  timore  che  eventi 
impreveduti  potessero  annientare  tutto  ciò  che  la  fortuna  delle  armi  e  il  senno 
dei  reggitori  avevano  insin  allora  prodotto. 

Nel  maggio,  intanto,  Garibaldi  aveva  iniziata  la  sua  gloriosa  spedizione, 
all'annunzio  della  quale,  in  alcuni  dei  giovani  corpi  emiliani,  composti  quasi 
tutti  di  volontaii,  si  produsse  un  vivo  fermento,  in  parte  spontaneo,  in  parte 
fomentato  dai  comitati  d  azione,  poiché  tutti  volevano  accorrere  sotto  le  in- 
segne dell'eroe,  per  liberare  il  mezzogiorno  d'Italia.  Ma  ben  presto  la  ragione 
e  la  disciplina  ebbero  il  sopravvento  sull'entusiasmo,  e  quei  corpi  rientra- 
rono neirordine.  Fu  sciolta  solamente  la  brigata  Ferrara  (20  maggio),  e  rico- 
stituita con  compagnie  di  vecchi  reggimenti. 

Nel  mese  di  settembre  s'iniziò  la  campagna  nell'Umbria  e  nelle  Marche, 
per  la  quale  furono  mobilitati  due  coi*pi  d'armata  :  il  4^  comandato  dal  ge- 
nerale Cialdini;  il  5*,  dal  generale  Della  Bocca:  ne  assunse  il  comando  in 

(^)  Con  decreto  del  18  marzo  vennero  pure  riordinate  le  scuole  di  reclutamento  degli 
nfiSciali:  airaccademia  militare  di  Torino  furono  ammessi  solamente  gli  aspiranti  alle 
armi  speciali;  la  scuola  militare  di  Modena  e  quella  di  cavalleria  a  Pinerolo,  furono  riser- 
vate a  preparare  i  giovani  destinati  a  divenir  rispettivamente  ufficiali  nelle  armi  a  piedi 
di  linea  ed  ufficiali  di  cavalleria.  Il  liceo  militare  di  Firenze  e  la  scuola  militare  di  Parma 
furono  mutati  in  collegi  militari. 


4^  FIORENZO   BAVA-BBCCARIS 


capo  lo  stesso  generale  Fanti.  Il  4^  corpo  era  composto  della  4*,  della  7* 
e  della  13^  divisione;  il  5^  della  1^  e  di  una  divisione  mista,  detta  di  ri- 
serva, formata  da  una  brigata  di  fanteria,  di  4  battaglioni  bersaglieri,  di  2 
batterie  e  di  2  reggimenti  di  cavalleria. 

Mentre  la  l^  la  4*  e  la  7*  divisione  erano  costituite  di  corpi  antichi 
sardi  e  di  corpi  formati  nel  1859,  la  13*  divisione  e  la  divisione  di  riserva 
lo  erano  invece  quasi  interamente  di  truppe  emiliane  o  toscane. 

In  tutto,  il  corpo  di  spedizione  ammontava  a  32,000  uomini,  con  78 
pezzi  d'artiglieria. 

La  campagna  nel  centro  d*  Italia  fu  rapida  e  ricca  di  risultati  :  le  giovani 
truppe,  non  meno  delle  antiche,  si  coprirono  di  gloria.  Basti  rammentare  la 
fiera  resistenza  del  26^  battaglione  bersaglieri  a  Gastelfldardo,  l'attacco  della 
brigata  Bologna  e  dei  battaglioni  bersaglieri  23^  e  25^  al  Monte  Pelago  e  al 
Monte  Pulito  durante  l'assedio  di  Ancona,  e  la  resistenza  della  13*  divisione 
nel  superare  le  aspre  giogaie  dell* Appennino. 

Caduta  Ancona,  S.  M.  il  Be  assunse  il  comando  deiresercito,  tenendo 
presso  di  so  il  generale  Fanti  quale  capo  di  stato  maggiore;  e  poichò  gli 
eventi  politici  volgevano  propizi  a  completar  Topera  di  liberazione  del  Mez- 
zogiorno, così  il  Be  mosse  a  quella  volta  con  le  truppe  ch'erano  nelle  Marche 
e  neir  Umbria,  ad  eccezione  della  18*  divisione  che  fu  rimandata  al  Po. 

Garibaldi  intanto,  liberata  la  Sicilia,  e  passato  sul  continente,  il  7  set- 
tembre entrava  tiionfalmente  in  Napoli  ;  il  1*  e  il  2  ottobre  sconfiggeva  i 
borbonici  sul  Volturno,  presso  S.  Maria  e  Caserta  Vecchia  ;  ma  le  sue  truppe 
non  avrebbero  avuto  forze  né  mezzi  per  far  cadere  le  fortezze  di  Capua  e  di 
Gaeta,  ultimi  temibili  baluardi  del  Borbone  :  onde  fu  necessaiia  la  discesa  del- 
l'esercito  regolare.  Questo  marciò  per  la  litoranea  adriatica  fino  a  Pescara, 
donde  per  Chieti,  Sulmona,  Isernia  e  Venafro,  sboccò  nella  pianura  di  Caia- 
nello,  nei  pressi  del  qual  paese  Vittorio  Emanuele  e  Garibaldi  s'incontrarono 
il  26  ottobre.  Lo  stesso  giorno  i  Borbonici  furono  sconfitti  a  S.  Giuliano, 
il  29  ottobre  al  Garigliano,  il  4  novembre  a  Mola  di  Gaeta,  e  in  questa 
medesima  giornata  si  arrese  la  piazza  di  Capua.  Bestava  Gaeta,  che  fu  cinta 
d'assedio  dalle  truppe  del  4®  corpo,  e  che  capitolò  il  12  febbraio  1861.  Mes- 
sina e  Civitella  del  Tronto  si  arresero  nel  marzo  successivo. 

Coiii  terminò  felicemente  quella  campagna,  che  permise  al  primo  parla- 
mento italiano,  radunatosi  il  19  febbraio  1861,  di  proclamare  ufficialmente 
Vittorio  Emanuele,  primo  Be  dltalia  (legge  del  17  marzo),  e,  conseguen- 
temente, di  dare  all'esercito  la  denominazione  di  esercito  italiano. 

Ma  due  gravi  problemi  rimasero:  il  regolare  cioè  le  sorti  dell'esercito 
meridionale,  nonché  quelle  deiresercito  delle  due  Sicilie  che,  per  motivi  politici 
d'ordine  diverso,  non  si  reputava  conveniente  di  mantenere  né  di  inquadrare 
nell'esercito  regolare. 


ESERCITO   ITALIANO  45 


11  16  novembre  (^)  fu  decretato  che  Vesercito  meridionale  si  trasfor- 
masse in  un  corpo  di  volontari  separato  dall'esercito  regolare,  e  fu  stabilito  che 
gli  ufBciali  ?i  potessero  appartenere,  dopo  che  una  commissione  ne  avesse  va*- 
gliato  i  servizi  e  i  precedenti,  e  che  la  truppa  si  assoggettasse  alla  ferma  <}i 
due  anni.  Ma,  nel  giorno  medesimo,  un  altro  decreto  stabilì  che,  a  coloi:o 
i  quali  avessero  voluto  congedarsi,  il  governo  avrebbe  concesso  tre  mesi  di 
paga  e  il  viaggio  di  ritomo  a  carico  dello  Stato,  se  di  truppa  ('),  e  sei  mesi 
di  stipendio,  se  u£Bciali  muniti  del  brevetto  dittatoriale. 

Gli  ufBciali  ammontavano  in  principio  a  7800  ;  ma  ne  furono  dispensati 
per  nomina  non  regolare,  o  chiesero  le  dimissioni,  8900,  onde  ne  rimasero 
circa  3400.  La  maggior  parte  di  questi  dichiarò  di  voler  continuare  a  rimanere 
in  servizio.  Ma  i  gregari,  sia  per  non  assoggettarsi  ad  una  ferma,  sia  per 
l'attrattiva  della  gratificazione,  chiesero  ed  ottennero  il  congedo,  così  che  il 
governo,  nella  considerazione  che  il  comando  generale  dei  volontari  e  le  unità 
e  i  reparti  da  essi  costituiti  non  avevano  più  motivo  organico  di  esistere,  e 
che  il  mantenerli  produceva  forte  spesa,  li  sciolse  dal  P  febbraio  1861,  e 
riunì  gli  ufBciali  e  gli  avanzi  della  truppa  in  Piemonte  nei  depositi  dei  vaii 
corpi. 

Il  decreto  dell'll  aprile  1861  confermò  e  completò  quello  dell'll  no- 
vembre 1860  circa  la  costituzione  del  corpo  dei  volontari,  dichiarando  che 
esso  dovesse  esser  mantenuto  «  come  elemento  di  forza  che  in  circostanza  di 
guerra  avrebbe  contribuito  alla  difesa  dei  diritti  sacri  della  nazione  « ,  e  sta- 
bilendo che  con  gli  ufBciali  fossero  costituiti  i  quadri  di  tre  divisioni  (')  da 
riempire  al  momento  del  bisogno  con  volontari  che  avessero  già  soddisAitto 
agli  obblighi  di  leva,  o  con  emigrati  politici. 

Nel  tempo  stesso,  il  decreto  stabilì  che  gli  ufBciali  fossero  collocati  in 
aspettativa  o  in  disponibilità  per  riduzione  di  corpo,  sino  a  quando  il  go- 
verno non  avesse  creduto  opportuno  di  richiamarli  o  in  caso  di  guerra  o 
temporaneamente,  per  provvedere  al  loro  addestramento.  Ma  quest'ultima  dis- 
posizione urtò  contro  difBcoltà  pratiche  insuperabili,  perchè,  per  fornire  i 
soldati  necessari  all'istruzione,  o  dovevasi  riconere  a  chiamate  di  volontari, 
0  assegnarvi  reclute  o  soldati  di  leva.  Inopportuno  sembrò  il  primo  mezzo,  che 
sarebbe  equivalso  a  una  dichiarazione  di  guerra;  pericoloso  il  secondo,  perchè 
si  sarebbe  creato  un  secondo  esercito  nello  Stato  {*).  D'altra  parte,  in  seguito 


(')  In  qnesto  medesimo  giorno»  un  ordine  del  giorno  del  Re  dichiarò  che  Tarmata 
dei  volontari  avera  hen  meritato  della  Patria  e  della  Sua  Persona. 

(')  Per  ordine  del  Re,  anziché  tre,  furono  concessi  sei  mesi  di  paga  e  la  razione  Tiveri  ; 
ogni  gregario  ebhe  quindi  162  franchi  e  il  viaggio  gratuito  per  tornare  in  famiglia. 

(*)  Con  decreto  del  20  ottobre  furono  portate  a  quattro  e  venne  ricostituito  il  comando 
superiore  dei  volontari. 

l*)  Veggasi  la  relazione  che  precede  il  decreto  del  27  marzo  1862. 


46  FIORENZO    BAVA-BECCARIS 


alle  operazioni  della  commissione  di  scrutinio  o  per  volontarie  dimissioni,  il 
numero  degli  ufficiali  che,  come  si  disse,  era  di  3400,  si  era  ridotto  a  2800, 
dei  quali,  500  circa  impiegati  militari.  Onde,  con  decreto  del  27  marzo  1862, 
il  corpo  dei  volontari  venne  sciolto  e  gli  ufficiali  trasferiti  col  loro  grado  nel^ 
Tesercito  regolare  (*)• 

Per  lo  scioglimento  deiresercito  regolare  delle  due  Sicilie  furono  prese 
altre  determinazioni. 

Fin  dal  novembre  del  1860  i  prigionieri  di  guerra  napoletani  vennero 
distribuiti  nei  depositi  dei  vari  corpi  neiralta  Italia;  il  20  dicembre  si  ri- 
chiamarono alle  armi  gli  appartenenti  alle  ultime  quattro  classi  di  leva 
(dal  1857  al  1860),  trattenendo  i  prigionieri  che  vi  eran  compresi  e  riman- 
dando alle  case  loro  quelli  delle  leve  anteriori;  il  27  del  mese  istesso  si 
estese  l'obbligo  della  leva  ai  Siciliani,  che  ne  erano  stati  sin  allora  esenti; 
il  20  marzo  cessò  la  prigionia  di  guerra  per  tutti,  e  quelli  delle  leve  dal  1857 
al  1860  vennero  mandati  in  licenza  per  due  mesi,  con  l'obbligo  di  ripresen- 
tarsi il  20  di  maggio. 

Questo  provvedimento  fu  preso  perchè  si  ritenne  che,  ponendo  i  giovani 
a  contatto  con  i  loro  concittadini,  pronunciatisi  volontariamente  Italiani,  do- 
vesse in  essi  pure  afforzarsi  il  sentimento  d'italianità;  ma  Teffetto  riuscì  di- 
verso dal  preveduto,  poiché  la  maggior  parte,  abbandonata  a  se  stessa  ed  alle 
méne  dei  nemici  del  nuovo  stato,  stretta  fra  la  miseria  e  la  seduzione,  ac- 
crebbe le  bande  reazionarie,  e  pochi  obbedirono  al  richiamo. 

Qualche  anno  dopo  soltanto,  poterono  cominciare  le  operazioni  regolari 
di  leva,  quando  cioè  si  attenuò  la  reazione  borbonica  e  il  conseguente  bri- 
gantaggio ch'eran  divampati  nelle  provincie. 

Gli  ufficiali  che  accettarono  il  nuovo  ordine  di  cose,  furono  ammessi  nel- 
Tesercito  regolare,  e  una  commissione  di  scrutinio  ne  determinò  ì  gradi,  rico- 
noscendo soltanto  quelli  acquistati  sino  a  tutto  il  7  settembre  1860. 

L'annessione  delle  Marche  e  deirUmbria  e  del  mezzogiorno,  aveva 
frattanto  condotto  ad  un  nuovo  ampliamento  e  ad  un  conseguente  riordina- 
mento dell'esercito,  che  fu  stabilito  con  decreto  del  24  gennaio  1861. 

I  reggimenti  di  fanteria,  ch'erano  parte  su  4,  parte  su  3  battaglioni,  ven- 
nero tutti  composti  di  3  battaglioni  attivi  di  6  compagnie  ciascuno  e  di  un 


(^)  Altro  decreto  del  15  maggio  stabilì  che  il  «  corpo  dei  Cacciatori  del  Tevere  »  che  si 
era  formato  neirUmbria,  quando  Tesercito  stava  per  occupare  quelle  provincie,  e  che  aveva 
concorso  alle  operazioni  delle  truppe  regolari  spingendosi  fino  a  Viterbo  e  poi  rimanendo  in 
quelle  provincie  a  tutelarvi  Tordine  interno,  fosse  trasformato  in  u  legione  dei  Cacciatori 
del  Tevere  »,  con  carattere  di  corpo  regolare.  L'il  agosto  1863,  la  legione,  per  la  scarsità 
dei  gregari  volontarii,  venne  sciolta,  e  gli  ufficiali  incorporati  neiresercito  regolare. 


ESERCITO    ITALIANO  •  ^'^ 


deposito  di  3  compagnie  (^);  ma  la  5*  e  la  6*  di  ogni  battaglione  non  fu- 
rono costituite  subito  :  se  ne  previde  soltanto  la  formazione  a  mano  a  mano 
che  ai  corpi  fossero  giunti  uomini  di  nuova  leva.  Nel  contempo,  coi  quarti 
battaglioni  degli  antichi  reggimenti  se  ne  crearono  12  nuovi  (*),  coi  quali 
si  costituirono  3  nuove  divisioni.  La  forza  di  guerra  delle  compagnie  venne 
stabilita  di  4  ufiBciali  e  146  gregari.  Con  lo  stesso  decreto  venne  altresì 
aggiunto  a  ciascun  reggimento  un  ten.  colonnello  per  supplire  nelle  assenze 
il  colonnello  e  per  coadiuvarlo  nel  comando,  e  fu  determinato  che  l'aiutante 
maggiore  in  1*  di  ciascun  reggimento  fosse  capitano,  anziché  tenente. 

Il  corpo  dei  bersaglieri  prese  la  semplice  denominazione  di  «  Bersa- 
glieri »  e  fu  ordinato  in  36  battaglioni  attivi,  numerati  progressivamente, 
e  in  6  battaglioni  di  deposito.  Per  ogni  6  battaglioni  attivi  e  uno  di  depo- 
sito venne  nominato  un  comandante,  colonnello  o  tenente  colonnello,  e  fu 
soppresso  quindi  il  comando  generale. 

Nel  maggio  il  comitato  delle  armi  di  fanteria  e  cavalleria  venne  sop- 
presso, e  istituito  per  ciascuna  delle  due  armi  un  comitato  proprio. 

La  cavalleria  continuò  ad  essere  divisa  in  cavalleria  di  linea,  lancieri, 
reggimento  guide,  e  ciascun  reggimento  venne  composto  di  uno  stato  mag- 
giore, 6  squadroni  attivi  ed  uno  di  deposito.  Lo  squadrone  di  cavalleria  in 
tempo  di  gueiTa  era  previsto  della  forza  di  5  ufficiali  e  145  gregali. 

Nell'arma  di  artiglieria  fu  modificata  la  costituzione  del  comitato  ed 
accresciuto  a  6  il  numero  dei  comandi  territoriali.  Quanto  ai  corpi,  la  bri- 
gata pontieri  venne  disgiunta  dal  P  artiglieria  operai,  e  se  ne  costituì  un 
reggimento  pontieri  (9**)  di  8  compagnie;  il  P  reggimento  operai  venne 
aumentato  di  una  compagnia  maestranza  e  di  una  compagnia  artificieri  :  ogni 
brigata  dei  reggimenti  da  piazza  (2^,  3^,  4?)  fu  portata  da  4  a  6  compagnie, 
di  guisa  che  i  reggimenti  stessi  salirono  a  18  compagnie,  oltre  a  2  di  depo- 
sito. I  reggimenti  da  campagna  (5^,  6^,  7'',  8^)  si  aumentarono  di  4  batterie  da 
battaglia  e  di  una  di  deposito  ciascuno:  cosicché  il  5^  reggimento  ebbe 
2  batterie  a  cavallo,  14  da  battaglia  e  una  di  deposito  ;  il  6^,  il  7^  e  l'S® 
ebbero  16  batterie  da  battaglia  e  2  di  deposito.  La  forza  di  guerra  della 
batteria  di  battaglia,  composta  di  6  bocche  a  fuoco,  fu  prevista  di  3  ufficiali, 
159  uomini  di  truppa  e  118  cavalli;  quella  delle  batterie  a  cavallo,  di  3  uf- 
ficiali, 183  uomini  di  truppa  )9  170  cavalli. 


(*)  I  depositi,  in  pace,  avevano  due  disparati  e  ben  distinti  uffici:  essere  cioè  il 
centro  amministrativo  del  reggimento,  e  il  laogo  ove  le  reclute  venivano  riunite  ed  istruite 
allorché  giungevano  alle  armi.  In  guerra  dovevano  ricevere,  vestire,  armare  le  classi  pro- 
vinciali e  addestrare  quelle  che  non  avevano  ricevuto  istruzione. 

(')  Brigata  granatieri  di  Napoli  (5^  e  6^),  brigata  Umbria  (53^  e  b4%  brigata  Marche 
(55?  e  56«),  brigata  Abruizi  (57»  e  SS^),  brigata  Calabria  (59*»  a  60«),  brigata  Sicilia 
(61^  e  62*). 


48  FIORENZO    BAVA-BECCARIS 

Neirarma  del  genio  fu  pure  modificato  rordinamento  del  comitato  e 
aumentato  il  numero  delle  direzioni.  Le  truppe  rimasero  costitnite  di  2  reg- 
gimenti, ciascuno  di  8  batti^lioni  attivi  e  im  deposito  ;  ma  ogni  battaglione 
fu  portato  da  4  a  6  compi^[nie.  Ciascnna  compagnia  di  guerra  ebbe  la  forza 
di  2  ufficiali  e  154  gregari. 

Il  treno  d'armata  Tenne  costituito  di  3  reggimenti,  formati  di  8  com- 
pagnie e  una  di  deposito. 

L'esercito,  così  riordinato,  fu  diviso  in  6  corpi  d'armata,  una  divisione 
di  cavalleria  di  riserva  e  una  riserva  generale  d'artiglieria.  Ogni  corpo 
d'armata  venne  costituito  di  3  divisioni  di  fanteria,  ad  eccezione  del  5®  che 
n*ebbe  2  soltanto;  d'una  brigata  di  cavalleria,  di  uno  squadrone  guide,  di 
mia  compagnia  zappatori  del  genio,  di  nn  distaccamento  del  corpo  d'ammi* 
nistrazione  e  di  un  altro  del  treno,  e  ciascuna  divisione  ebbe  2  brigate  di 
fanteria,  2  battaglioni  di  bersaglieri  e  3  batterie  da  battaglia.  La  divisione 
cavalleria  di  riserva  continuò  ad  essere  formata  dai  4  reggimenti  di  linea  e 
dalle  2  batterie  a  cavallo;  la  riserva  generale  d'artiglierìa,  di  li  batterìe  da 
battaglia  ('). 

Il  9  giugno  1861  vennero  sciolti  i  0011)1  d'armata  e  mantenute  le  17 
divisioni  attive.  Il  terrìtorio  fu  diviso  in  6  grandi  dipartimenti  militari,  dipen* 
denti  ciascuno  da  un  gran  comando  con  sede  rìspettiva  a  Torino,  Milano, 
Parma,  Bologna,  Firenze,  Napoli  {%  e  ogni  dipartimento  comprese  un  deter- 
minato numero  di  divisioni  e  di  sottodivisioni  territoriali.  Il  comando  di 
queste  era  esercitato  dai  comandanti  le  divisioni  attive  o  da  ufficiali  generali 
appositamente  designati;  ma  tanto  i  grandi  comandi  quanto  quelli  di  divisione, 
avean  2  stati  maggiori  :  l'uno  per  le  truppe  mobilitate,  Taltro  territoriale. 

Il  4  scosto  1861  venne  pubblicata  la  legge  con  la  quale  fu  costituita 
in  tutto  il  regno  la  «  Guardia  Nazionale  » ,  ordinata  in  battaglioni  di  600 
uomini  e  composta  di  volontari,  o,  in  mancanza  di  questi,  di  individui  ohe 
avessero  superato  i  35  anni  e  soddisfatto  agli  obblighi  di  leva.  Era  preve- 
duto se  ne  costituissero  220  battaglioni,  e  però  fu  accordato  al  ministero  un 

(>)  Nella  tornata  del  23  marzo  1861,  il  generale  La  Marmora  mosse  interpellania  al 
ministro  della  guerra  sai  riordinamento  del  Fanti,  e  propose  su  di  esso  la  sospensiva.  Alla 
discussione  intervenne  pure  il  Cavour  il  quale  sostenne  essere  la  Camera  incompetente 
in  questioni  tecnico-militari;  e  però  Tordinc  del  giorno  La  Marmora  fu  respinto  $  grande 
maggioranza. 

(')  Il  1^  dipartimento  comprese  le  divisioni  di  Torino,  Genova,  Alessandria  e  la  sot* 
todivisione  di  Novara  ;  il  2^  le  divisioni  di  Milano,  Brescia  e  Cremona  e  la  sottodivisione 
di  Pavia;  il  8®  le  divisioni  di  Parma,  Piacenza  e  Modena;  il  4<*  quelle  di  Bologna,  An- 
cona e  Forlì  e  la  sottodivisione  di  Rimini;  il  5^  le  divisioni  di  Firenze,  Livorno,  Siena 
e  la  sottodivisione  di  Perugia;  il  6^  le  divisioni  di  Napoli,  Chietì,  Bari,  Salerno  e  Ca- 
tanzaro. La  Sardegna  ebbe  un  comando  di  divisione  a  Cagliari  ;  la  Sicilia,  un  comando 
di  divisione  a  Palermo,  al  quale  era  devoluto  il  comando  generale  di  tutte  le  truppe  roo* 
bilizzate  nell'isola,  e  due  comandi  di  sottodivisioni  a  Messina  e  a  Siracusa. 


ESERCITO   ITALIANO  ^^ 


credito  straordinario  di  30  milioni  per  sopperire  alle  spese  deirarmamento 
e  della  formazione. 

Infatti,  rs  di  settembre,  un  apposito  decreto  ordinò  la  chiamata  dei  mi- 
liti a  mano  a  mano  che  i  bist^ni  l'avessero  imposto,  e  specialmente  per  fre- 
nare la  reazione  che  andava  sempre  più  dilagando  nel  mezzogiorno* 

A  questa  già  si  accennò  incidentalmente,  discorrendo  degli  sbandati  del- 
Tesercito  delle  due  Sicilie.  Generata  dal  repentino  turbamento  delle  idee  e 
degli  interessi,  favorita  dal  clero  ed  incoraggiata  per  vecchia  abitudine  di- 
nastica dal  Borbone,  infierì  specialmente  negli  Abruzzi,  alla  frontiera  ponti- 
ficia, in  Basilicata.  L'esercito  e  la  guardia  nazionale  mobile  furono  chiamati 
a  domarla.  Questa  fece  mediocre  prova;  l'altro  non  ne  guadagnò,  poichò  quasi 
metà  della  fanterìa  attiva  era  disseminata  nelle  Provincie  del  mezzogiorno; 
«  e  quel  guerrìgliare  alla  spicciolata  con  piccolissimi  drappelli,  dando  la  caccia 
per  ampi  tratti  di  paese,  senza  quei  vincoli  che  legano  le  operazioni  di 
guerra  e  ne  costituiscono  forse  la  difficoltà  maggiore,  mentre  potò  giovare  ad 
ingagliardire  il  soldato  e  sviluppare  noi  graduati  inferiori  l'attitudine  alle 
fazioni  minime  della  guerra,  fu  più  dannoso  che  vanti^ioso,  così  per  l'istru- 
zione tattica,  come  per  la  disciplina,  e  singolarmente  per  coloro  che  eserci- 
tavano comando  cui  non  erano  stati  prima  preparati  da  una  sufficiente  pratica 
di  buona  guerra  ordinata  «  (^).  Questa  calamità  per  l'Italia  durò  parecchi 
anni  ancora,  cioè  fin  quasi  al  1870,  ed  a  mano  a  mano  tutti  i  corpi  si  av- 
vicendarono nelle  provlncie  meridionali  in  quel  servizio  irto  di  pericoli  e 
privo  di  gloria. 

Il  5  settembre  1861,  dopo  circa  tre  mesi  di  reggenza  tenuta  dal  Bicasoli  ('), 
fu  nominato  ministro  della  guerra  il  generale  Della  Bovere,  che  tenne  il  por- 
tafoglio sino  al  8  marzo  1862.  In  questo  breve  periodo  fu  istituita  una  eom" 
missione  permanente  per  la  difesa  dello  Staio  (^),  con  esplicito  mandato  di 
studiare  quale  assetto  territoriale  di  difesa  meglio  si  convenisse  di  fronte 
all'Austria;  fu  riordinato  il  ministero  della  guerra  (^),  ritoccato  l'organa- 
mento delle  armi  speciali,  in  ispecie  sotto  il  rispetto  amministrativo,  e  final- 
mente fu  condotto  a  compimento  Tordinamento  decretato  dal  Fanti,  ad  ecce- 
zione di  quello  della  fanteria,  che  venne  modificato  dal  ministro  Petitti  non 
appena  succeduto  al  Della  Bovere.  Infatti  il  23  marzo  1862  un  reale  decreto, 


(1)  <i  La  campagna  del  1866  ia  Italia  »,  voi.  I,  pag.  9. 

(*)  12  giugno  5  settembre  1861. 

(')  Questa  commissione,  composta  dì  13  generali  deirescrcito  e  da  un  ammiraglio 
e  presieduta  da  S.  A.  R.  il  principe  Eugenio  di  Carignano,  presentò  il  2  agosto  1871 
una  relazione  a  corredo  d'un  piano  generale  della  difesa  dltalia. 

(*)  Fu  diviso  in  un  segretariato  generale  e  cinque  direzioni  generali:  Fanteria  e 
Cavalleria;  Armi  speciali;  Leve,  bassa  forza  e  matricole;  Servizi  amministrativi;  Conta- 
bilità. Ciascuna  direzione  ebbe  un  numero  di  divisioni  e  di  sezioni  maggiore  del 
passato. 

FiORBMZO  Bava-Bbccaris.  —  astretto  italiano  ecc.  4 


50  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

ritornando  pienamente  airordinamento  del  1852,  stabilì  che  le  18  compagnie, 
che  per  il  P  aprile  dovevano  essere  formate  in  ciascun  reggimento,  fossero 
riunite  in  4  battaglioni  di  4  compagnie  ciascuno. 

Colle  2  compagnie  sopravvanzate  in  ciascun  reggimento  e  con  la  8^  di 
deposito,  il  29  giugno  1862,  venne  decretata  la  formazione  di  altri  12  reggi- 
ménti di  4  battaglioni  (^)  e  una  compagnia  di  deposito,  mentre  agli  antichi 
ne  furono  lasciate  due. 

I  quarti  battaglioni,  non  appena  costituiti,  furono  distaccati  tutti  nel 
mezzogiorno  (*)  in  aiuto  delle  divisioni  colà  stanziate  per  combattervi  il  bri- 
gantaggio, così  da  permettere  che  l'Italia  superiore  e  media  fossero  guarnite 
dal  maggior  numero  possibile  di  divisioni  attive  ben  composte  ed  ordinate. 
Conseguentemente  fu  mutata  la  costituzione  interna  di  talune  divisioni,  asse- 
gnando a  quelle  distaccate  nelle  provincie  meridionali  2  battaglioni  di  ber- 
saglieri, come  era  precedentemente  stabilito,  uno  solo  a  tutte  le  altre,  per 
averne  così  disponibili  da  lasciare  pure  nel  mezzi^iorno;  e  vennero  soppressi 
presso  le  divisioni  i  due  stati  maggiori,  riunendoli  in  uno  solo. 

II  ritorno  all'antico  sistema  sardo  nella  costituzione  dei  corpi,  oltre  che 
da  ragioni  d'indole  militare,  che  sarebbe  troppo  lungo  esaminare  e  discutere ('), 
fu  voluto  dal  Petitti  per  inquadrare   gli  ufiBciali  dei    volontari  di  cui  si  è 

.  altrave  discorso. 

Nel  dicembre  fu  aumentato  il  numero  delle  batterie  campali,  di  guisa 
che  i  reggimenti  ne  ebbero  19  ognuno  e  una  di  deposito;  ma  nel  marzo 
successivo  si  formò  un  nuovo  reggimento  numerato  10®,  e  ciascuno  rimase 
formato  di  15  batterie. 

Altre  variazioni  notevoli  ali  ordinamento  durante  il  1862  furono:  la  crea- 
zione di  un  comitato  superiore  delle  varie  armi,  i  mutamenti  ordinati  con  la 
legge  del  24  agosto  alla  legge  sul  reclutamento,  mutamenti  che  restrinsero  le 
esenzioni  per  motivi  di  famiglia  e  le  surrogazioni  (^),  finalmente  la  costitu- 


ii) Oltre  le  divisioni  territoriali,  fnroiio  matitenate  nel  mezzogiorno  circoscrizioni 
minori,  dette  «  zone  »,  alla  dipendenza  di  mag^ori  generali. 

(')  Sono  ampiamente  esposte  in  un  opuscolo  scritto  nel  1863  in  risposta  ad  un  altro 
pubblicato  dal  generalo  Fanti  in  difesa  del  proprio  operato. 

(»)  Cioè  le  brigate  Granatieri  di  Toscana  (?<>  e  8»),  Cagliari  (eS'»  e  64*),  Valtellina 
(65<»  e  66«>),  Palermo  (67«  e  68*),  Ancona  (69*  e  70*),  Puglie  (71*  e  72*). 

(*)  Rammentiamo  che  per  la  logge  sul  reclutamento  del  1854,  estesa  al  nuovo  regno, 
ogni  cittadino  delhi  età  di  21  anno  poteva  esser  chiamato  a  far  parte  dciresercito.  Le 
esenzioni  ridacevano  a  80  000  uomini  circa  il  contingente  di  200.000  inscritti  Qnesto 
contingente  era  diviso  in  due  categorie:  la  prima,  di  40  a  50.000  uomini,  entrava  nelle 
file  deiresercito  ed  era  obbligata  al  servizio  per  1 1  anni,  di  cui  5  alle  armi  e  6  in  congedo 
illimitato  ;  la  seconda,  obbligata  al  servizio  militare  per  5  anni,  era  esercitata  in  paco 
per  40  0  50  giorni  alPanno  Lo  cinque  classi  di  2*  categoria,  con  le  6,  piti  vecchie,  dello 
provinciali,  davano  gli  uomini  necessari  ad  accrescer  la  forza  delPcsercito,  mediante  pr^r- 
ziale  0  totale  chiamata  di  esse,  a  seconda  del  bisogno.  V'era  poi  un  piccolo  nucleo  d*or« 
dinanza  con  ferma  continua  di  8  anni  alle  armi. 


ESERCITO   ITALIANO  51 


zione  in  Sioilia  di  un  nuovo  gran  dipartimento  militare  che  prese  il  numero 
di  7. 

I  fatti  di  Aspromonte  condussero  neiragosto  a  dichiarare  in  istato  d'as- 
sedio tanto  il  Napoletano  quanto  la  Sicilia,  nelle  quali  provincie  furono  ri- 
spettivamente designati  quali  commissari  sb-aordinarii  coi  più  ampi  poteri,  i 
generali  La  Marmerà  e  Cialdini.  Gli  avvenimenti  eccezionali  in  quelle  Pro- 
vincie dimostrarono  come  fosse  più  facile  e  pronto  formare  divisioni  colle 
truppe  stanziate  in  prossimità  del  luogo  ove  se  ne  presentava  il  bisogno, 
anziché  riunire  ed  inviarvi  divisioni  attive.  Sembrò  inoltre  che  il  mantenere 
le  divisioni  attive  medesime  in  tempi  ordinari,  non  fosse  cosa  adatta  né  a 
conciliar  le  esigenze  del  servizio  territoriale  né  a  mantener  la  truppa  in 
quei  luoghi  che  si  prestavano  meglio  alle  istruzioni  ;  onde,  con  decreto  del 
23  febbraio,  esse  vennero  sciolte,  e  mantenute  le  sole  divisioni  territoriali  se- 
condo la  circoscrizione  decretata  il  9  giugno  1861. 

Questo  fu  il  passo  ultimo  per  il  ritomo  definitivo  all'antico  sistema  di 
ordinamento  sardo. 

Intanto  1*8  dicembre  1862  il  generale  Della  Rovere  ritornò  al  mini- 
stero in  lu(^o  del  Petitti  e  vi  si  mantenne  fino  al  28  settembre  1864. 

Durante  Tanno  1863  non  avvennero,  neirordinamento  generale  dell'eser- 
cito, mutamenti  ricordevoli,  ad  eccezione  della  formazione  di  due  squadroni 
provvisori  di  cavalleria,  con  i  quali,  nel  gennaio  dell'anno  seguente,  si  for- 
marono i  due  reggimenti  lancieri  di  Foggia  e  cavalleggeri  di  Caserta  (0« 

Nel  1864  le  condizioni  finanziarie  dello  Stato,  fatte  gravi,  mentre  ri- 
chiesero dal  paese  nuovi  sacrifici,  imposero  le  massime  economie;  ma  nel 
realizzarle,  il  nuovo  ministro  gen.  Petitti,  succeduto  nuovamente,  il  28  set- 
tembre, al  Della  Rovere,  non  diminuì  la  forza  attiva  dell'esercito  né  recò 
mutamenti  all'organamento  dei  corpi:  si  limitò  a  introdurre,  più  che  altro, 
modificazioni  amministrative  in  ispecie  nei  servizi  dell'artiglieria  e  del  genio 
e  nel  corpo  del  treno  d'armata  che  fu  ridotto  al  numero  denomini  stretta- 
mente indispensabile  pei  servizi  di  pace. 

Furono  soppressi  i  depositi  di  tutti  i  coi-pi,  ad  eccezione  di  quelli  dei 
reggimenti  di  bersaglieri  e  di  cavalleria,  ritornando,  anche  sotto  questo  ri- 
spetto, all'antico  ordinamento  sardo.  Ma  per  l'arma  di  fanteria,  la  soppres- 
sione fu  graduale,  poiché  fu  giocoforza  mantenere  i  reggimenti  di  stanza 
alle  frontiere  e  quelli  impiegati  nella  repressione  del  brigantaggio,  a  causa 
della  loro  estrema  mobilità. 

Nell'arma  d'artiglieria  il  P  reggimento  (operai)  fu  sciolto  e  il  reggi- 
mento pontieri    numerato  1*;   e  poiché  nel   dicembre   del   1863  era  stata 

(')  Nel  1863  farono  adottati  i  cannoni  di  bronzo  da  cm.  9  per  le  batterie  campali 
e  quelli  da  cm.  12  con  cui  si  formarono  batterie  da  posizione,  trainate  dal  treno  e  ser- 
vite dairartiglieria  da  piazza. 


52  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

formata  in  ogni  reggimento  una  nuova  batteria,  così  i  reggimenti  da  cam- 
pagna risultarono  composti  di  16  batterie  ciascuno;  quelli  da  piazza  di  16 
compagnie.  Con  decreto,  poi,  del  18  dicembre,  furono  introdotte  anche  neiram- 
ministrazione  centrale  notevoli  diminuzioni    di  personale. 

In  quest*anno  medesimo  furono  compilate  le  tabelle  organiche  per  la 
formazione  dell'esercito  in  caso  di  mobilitazione.  Doveva  essere  ordinato  in 
7  corpi  d'armata,  una  divisione  di  cavalleria  di  riserva  e  una  riserva  generale 
d'artiglieria;  i  primi  6  corpi  composti  di  tre  divisioni,  Tultimo  di  due.  La 
divisione  di  fanteria  conservava  la  costituzione  stabilita  dagli  ordinamenti 
precedenti,  con  una  forza  presunta  di  18.900  uomini,  608  cavalli  e  18  cannoni. 

A  ciascuno  dei  primi  6  corpi  d'armata  erano  assegnati  due  reggimenti 
di  cavalleria  leggera;  air  ultimo,  tre  reggimenti.  Quindi  un  corpo  d'armata 
avrebbe  contato  44.000  uomini,  5000  cavalli  e  60  cannoni,  tranne  il  7^  che 
avrebbe  avuto  invece  31.000  uomini,  4900  cavalli  e  40  cannoni.  Di  più,  a 
ciascun  corpo  d'armata,  veniva  assegnato  un  parco  generale  d'artiglierìa,  un 
equipaggio  da  ponte,  un  parco  telegrafico,  una  compagnia  del  treno  d'armata, 
un  drappello  del  corpo  d'amministrazione  e  uno  dei  carabinieri. 

La  divisione  cavalleria  di  riserva  conservava  la  vecchia  costituzione  in 
quattro  reggimenti  di  cavalleria  di  linea  e  due  batterie  a  cavallo,  contando 
4266  uomini,  8798  cavalli  e  12  pezzi. 

La  riserva  generale  d'artiglieria  doveva  comporsi  di  18  batterie  e  di  18  co- 
lonne di  riserva  di  munizioni  ;  in  tutto,  4185  uomini,  2792  cavalli,  126  cannoni. 

Pel  passaggio  dal  piede  di  pace  a  quello  di  guerra,  ogni  reggimento  di 
fanteria  doveva  costituire  un  deposito  di  2  compagnie  ;  la  forza  di  ciascuna 
compagnia  attiva  doveva  essere  portata  da  90  a  176  gregari;  in  ogni  reg- 
gimento di  cavallerìa  doveva  essere  formato  un  7®  squadrone  di  deposito,  e 
la  forza  di  ciascuno  squadrone  attivo  doveva  essere  portata  da  146  a  150 
uomini  e  da  112  a  120  cavalli;  ogni  batteria  aumentare  da  6  ad  8  pezzi, 
i  cannonieri  da  112  a  186,  i  cavalli  da  50  a  138. 

Con  tale  organico  si  prevedeva  che  la  forza  combattente  dovesse  ascen- 
dere a  311.978  uomini^  42,867  cavalli,  538  cannoni. 

Neppure  durante  il  1865  l'ordinamento  deiresercito  subì  variazioni;  ma 
verso  gli  ultimi  mesi  deiranno  le  condizioni  della  finanza,  rese  sempre  più 
difficili,  imposero  nuove  economie.  Oltre  che  licenziare  in  modo  assoluto  gli 
uomini  che  avevan  terminato  la  ferma,  furono  congedati  pure  molti  altri  che 
senza  la  ragione  economica  sarebbero  dovuti  rimanere,  più  o  meno  tempo,  an- 
cora alle  bandiere  (').  Inoltre  vennero  soppressi  definitiyamente  i  depositi  dei 

(*)  Il  25  settembre  furono  congedati  gli  uomini  appartenenti  alla  1*  categoria  della 
classe  1840  e  i  napoletani  delle  leve  del  1859  e  del  1860;  il  14  dicembre  i  napoletani 
della  classe  1861  e  gli  uomini  d'ordinanza  che  dovevano  terminare  il  proprio  servigio 
negli  anni  1866,  1867,  1868;  il  80  dicembre  i  militari  del  treno  d'armata  delle  classi 
1841  e  1842. 


ESERCITO   ITALIANO  58 


reggimenti  bersaglieri  e  di  cavalleria  e  il  3^  reggimento  del  corpo  del 
treno  d'armata  che  rimase  costituito  di  2  reggimenti  di  10  compagnie 
ciascuno. 

Sui  primi  del  1866  al  generale  Petitti  successe  il  generale  Di  Petti- 
uengo  come  ministro  della  guerra,  e  questi  accettò  la  condizione  di  sotto- 
porre a  nuore  economie  il  bilancio  della  guerra  ;  poichò,  a  questo  solo  patto  il 
La  Marmerà,  presidente  del  Consiglio,  aveva  potuto  trovare  un  ministro  delle 
finanze,  che  fu  lo  Scialoja.  Già  il  Petitti  aveva  diminuito  di  9  milioni  il 
bilancio;  ora  volevasi  ridurlo  di  altri  11  almeno.  Era  un*ardua  impresa, 
non  volendo  scomporre  l'esercito;  d*altra  parte  riusciva  impossibile  avvici- 
narsi a  quella  somma  con  economie  nei  diversi  rami  deiramministrazione. 
Onde  il  nuovo  ministro  decise  di  sospendere  le  operazioni  di  leva,  sicché  sul 
principio  del  1866,  proprio  alla  vigilia  dei  gravi  avvenimenti  che  in  Europa 
andavano  maturandosi,  vennero  a  mancare  air  esercito  40.000  uomini  della 
classe  del  1845,  che  sarebbero  dovuti  arrivare  in  gennaio. 

La  situazione  politica  europea  cominciò  a  rabbuiarsi,  poiché  la  conven- 
zione di  Gastein,  conclusa  tra  Austria  e  Prussia,  non  sembrava  aver  intera- 
mente sopito  le  questioni  fra  queste  due  potenze  a  proposito  dei  ducati  del- 
l'Elba. L'Italia,  nella  speranza  di  acquistare  il  Veneto,  si  accostò  alla  Prussia 
e  concluse  con  essa  un'alleanza  offensiva  e  difensiva.  L'opinione  pubblica 
cominciò  ad  accendersi,  così  che  nel  marzo  si  effettuò  la  chiamata  della  se- 
conda categoria  della  classe  del  1845,  chiamata  che  era  stata  sospesa  nel 
gennaio.  Ma  poiché  nell'aprile  l'Austria  procedette  apertamente  a  prepararsi 
alla  guerra,  l'Italia  dal  canto  suo  fece  altiettanto. 

Furono  diramati  gli  ordini  per  la  formazione  dei  depositi,  richiamate  alle 
armi  le  classi  1884,  35,  36,  37,  38,  39,  40  e  gli  uomini  di  2*  categoria 
delle  classi  1840  e  41  ;  fu  ordinato  che  i  corpi  si  ponessero  sul  piede  di  guerra. 

Mentre  si  eseguivano  tali  operazioni,  il  governo,  vista  la  convenienza 
di  porsi  in  buon  atteggiamento  difensivo,  divisò  di  radunare  l'esercito  su 
Piacenza  e  Bologna.  Vennero  formati: 

Sul  Mincio: 

3  corpi  d'armata,  ognuno  di  4  divisioni,  una  brigata  di  cavallerìa 
(3  reggimenti),  una  comp.  zappatori,  1  equipaggio  da  ponte,  una  comp.  treno  ; 

una  divisione  di  cavallerìa  di  rìserva  (2  brigate  di  2  regg.  ognuna  e 
2  batterie  a  cavallo  di  6  pezzi  ciascuna); 

una  riserva  generale  d'artiglieria  (9  batterie),  parchi  e  servizi. 

Sul  basso  Po: 

1  corpo  d'armata  di  8  divisioni  e  2  brig.  di  cavallerìa  di  3  regg., 
una  batt.  da  montagna,  una  rìserva  d'artiglieria  da  battaglia  (4  batt.)  e  una 


54  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

riserva  d'artiglieria  d'assedio  (in  complesso  174  pezzi  da  40  GB,  da  16  BB 
e  da  8  BB),  2  comp.  zappatori,  equipaggi  da  ponte,  nna  comp.  treno,  parchi 
e  servizi. 

Ciascuna  divisione  di  fanteria,  tanto  snl  Po  quanto  sul  Mincio,  compren- 
deva due  brigate  dì  fanteria,  2  battaglioni  di  bersaglieri,  1  brigata  di  8  bat- 
terie, 1  comp.  zappatori  a  1  comp.  treno.  Per  T  eccedenza  dei  richiamati  dal 
congedo,  ogni  reggimento  di  fanteria  formò  un  5^  battaglione,  ogni  reggi- 
mento bersaglieri  un  9^  battaglione,  ecc.  I  reggimenti  di  fanteria  portarono  in 
campagna  4  battaglioni,  i  reggimenti  bersaglieri  8,  i  reggimenti  di  caval- 
leria 5  squadroni  (il  reggimento  guide  6).  Con  le  unità  rimanenti  furono 
costituiti  in  successive  riprese: 

20  reggimenti  di  fanterìa  temporanei  (18  di  linea,  2  di  gran.); 
2    reggimenti  di  cavalleria  temporanei  (1  lane,  1  cavali.)  di  4  squa- 
droni riuniti  in  brigata,   i  quali  dovevano  concorrere  con  la  guardia  nazio- 
nale a  presidiare  le  fortezze  e  a  mantenere  l'ordine  nel  paese. 

Si  aumentò  pure  di  12  compagnie  (6  per  reggimento)  l'artiglieria  da 
piazza,  di  20  batterie  (4  per  reggimento)  quella  da  campagna,  di  8  com- 
pagnie (4  per  reggimento)  il  genio,  e  si  ripristinò  il  treno  d'armata  in  3  reg- 
gimenti. 

Dopo  la  battaglia  di  Custoza,  per  marciare  dal  Po  air  Isonzo,  si  rav- 
visò opportuno  di  diminuire  la  mole  dei  corpi  d'armata.  Se  ne  formarono  7, 
6  dei  quali  di  3  divisioni  e  1  di  sole  2.  Con  i  reggimenti  temporanei  di 
granatieri  e  con  gli  8  di  fanteria  si  costituirono  5  brigate,  e  con  queste  si 
creò  un  corpo  d'armata  di  riserva  di  2  divisioni,  dotandolo  di  batterie  prov- 
visorie. In  seguito  il  B.  D.  17  agosto  stabilì  la  formazione  di  80  sesti  bat- 
taglioni, dei  quali  n'erano  formati  2  quando,  finita  la  campagna,  vennero  sciolte 
tutte  le  nuove  formazioni,  tranne  i  5  battaglioni  bersaglieri  dal  41^  al  45^. 

Alle  forze  regolari  messe  così  in  armi  per  la  guerra,  conviene  aggiun- 
gere il  corpo  dei  volontari  italiani,  agli  ordini  del  generale  Garibaldi,  de- 
stinato ad  operare  contro  il  Tirolo  occidentale.  Fu  costituito  da  5  brigate 
di  fanteria  (10  reggimenti),  2  battaglioni  bersaglieri,  2  squadroni  guide,  e 
una  compagnia  del  genio;  dell'esercito  regolare  vi  furono  assegnate  una  bri- 
gata di  3  batterie  da  campagna  e  una  batteria  da  montagna  (totale  24 
pezzi),  e  più  tardi  il  41^  battaglione  bersaglieri  e  una  compagnia  del  genio. 

In  totale,  38.000  uomini,  870  cavalli,  24  pezzi.  Essendo  stato  il  corpo 
garibaldino  creato  d' iniziativa  del  governo,  con  la  dichiarazione  che  i  volon- 
tari non  avrebbero  avuto  diritto,  dopo  la  guerra,  che  a  sei  mesi  di  soldo,  il 
corpo,  al  momento  della  pace,  fu  sciolto  senza  speciali  provvedimenti. 

Ultimata  la  campagna,  vennero  sciolte  le  grandi  unità  di  guerra;  ma  in- 
tanto il  22  agosto,  al  generale  Di  Pettinengo,  succedeva,  come  ministro,  il 
generale  Cugia. 


ESERCITO   ITALIANO 


^5 


I  buoni  successi  prussiani  persuasero  il  goTemo  a  istituire,  fin  dal  tempo 
dì  pace,  TufiBcio  di  capo  di  stato  maggiore,  lasciando  ancora  in  funzione  il 
comando  del  corpo  di  stato  maggiore.  Fu  nominato  il  generale  Oialdini 
(R.  D.  18  agosto  1866);  ma  questi,  dopo  brevissimo  tempo,  vi  rinunciò  e 
non  ebbe  successori. 

II  dissesto  finanziano,  nel  quale  si  dibatteva  lo  Stato,  obbligò  il  nuoTO 
ministro,  sullo  scorcio  del  1866  e  nei  primi  mesi  del  1867,  alla  soppres- 
sione del  gran  comando  di  Palermo  e  delle  divisioni  di  Messina,  di  Udine 
e  di  Forlì  ;  allo  scioglimento  provvisorio  di  un  battaglione  per  ciascuno  degli 
80  reggimenti  di  fanteria,  di  una  compagnia  per  ciascuno  dei  45  batta- 
glioni bersaglieri,  di  una  batteria  per  ogni  reggimento  d'artiglieria  da  cam* 
pagna  e  di  4  compagnie  per  ogni  reggimento  da  piazza;  di  2  compagnie 
per  ogni  reggimento  del  treno  d* armata  e  dei  comandi  militari  di  circon- 
dario, trasferendo  le  loro  attribuzioni  in  un  numero  molto  inferiore  di  co- 
mandi militari  di  provincia.  Vennero  ridotti  inoltre  i  quadri  del  corpo  di 
stato  maggiore,  del  corpo  sanitario,  della  giustizia  militare,  delle  inten- 
denze. 

Il  ministro  nominò  poi  una  commissione  composta  di  ufiiciali  generali, 
e  della  quale  egli  medesimo  tenne  la  presidenza  (^),  per  studiare  un  nuovo  or- 
dinamento che,  pur  basandosi  suiresperìenza  sia  nostrana  che  forestiera, 
tenesse  il  massimo  conto  delle  condizioni  finanziarie  del  paese.  Ne  conseguì 
un  progetto  di  legge  che,  per  la  caduta  del  ministro  Cngia  (10  aprile  1867), 
fu  presentato  alla  camera  dal  successore  gen.  Di  Bevel  ('). 

Questo  progetto  modificava  tanto  il  reclutamento  quanto  l'ordinamento. 
Notevoli,  come  istituzioni  nuove,  le  «  milizie  presidiarie  »  (fu  questa  la 
prima  volta  in  cui  venne  adombrata  in  Italia  Tidea  d'una  milizia   di    ri- 


(')  La  commissione  fu  composta  dei  generali  Cadorna,  Bixio,  Govone,  Ricotti, 
Di  Pralormo  e  Bertolè-Viale  ;  e  no  vennero  nominati  segretarii  il  ten.  colonn.  Ricci  e  il 
maggiore  Mocenni.  Il  ministro,  nella  prima  sedata,  enumerando  i  motivi  che  lo  avevano 
indotto  a  convocare  la  commissione  stessa, disse  di  non  avere  avuto  di  mira  Timitazione  di, 
qaantOj  dopo  gli  eventi  militari  delPanno  1866,  era  stato  fatto  in  altri  paesi  d*  Europa, 
ma  di  voler  porre  efficace  rimedio  agli  inconvenienti  manifestatisi  nei  nostri  ordinamenti 
militari  durante  la  campagna  del  1866,  e  particolarmente  al  grande  squilibrio  tra  la  forza 
dell'esercito  mobilitato  e  quello  alle  armi;  ai  non  buoni  elementi  che  costituivano  il 
corpo  di  riserva,  e  alla  difficoltà  dei  depositi  per  istruire  la  grande  massa  dei  richiamati. 
Parlando  della  questione  finanziaria,  accennò  alle  cause  per  cui  1*  opinione  pubblica  re- 
clamava economie  sul  bilancio  della  guerra,  ma  dichiarò  che  esse  dovessero  conciliarsi 
coi  bisogni  di  forza  armata  necessarii  per  lo  stato  anormale  della  Sicilia,  per  il  brigan- 
taggio, per  la  necessità  di  vigilare  la  frontiera  pontificia  e  per  le  molte  richieste  che 
anche  in  altre  parti  del  regno  si  facevano  per  servizi  di  pubblica  sicurezzs.  (Archivio 
storico  Corpo  di  stato  maggiore.  Studii  tecnici  -  Cart.  3). 

(')  Fu  questa  la  prima  volta  in  cui  Tordinamento  dell'esercito  venne  presentato  in 
forma  di  legge. 


^  FIORENZO   BAYA-BBCCARIS 

serra)  (^)  e  i  distretti,  enti  territoriali  immediatamente  dipendenti  da  quelli 
di  divisione,  ai  qaali  venivano  assegnati  compiti  disimpegnati  da  vari  organi 
(comandi  di  provinole,  depositi,  magazzini  di  vestiario  ecc.)  :  cioè,  nei  tempi 
ordinari,  di  chiamare  le  leve  annuali,  di  tenere  i  ruoli  degli  uomini  in  con* 
gedo,  di  istruire  le  seconde  categorie  ;  e,  all'atto  della  guerra,  di  richiamare 
le  classi  in  congedo,  di  equipaggiarle,  di  inviarle  ai  corpi,  di  essere  centri 
di  costituzione  di  reparti  presidiar!. 

Come  si  scorge,  è  il  germe  dell'idea  della  costituzione  dei  distretti 
quali  vennero  posti  in  atto,  qualche  anno  dopo,  dal  ministro  Ricotti. 

Per  realizzare  le  maggiori  economie  il  progetto  sopprimeva  8  reggimenti 
di  fanteria,  lasciando  i  rimanenti  di  tre  battaglioni,  e  riduceva  i  corpi 
del  treno  e  d*amministrazione  ;  le  armi  a  cavallo  eran  lasciate  quasi  inal- 
terate. 

Ma  il  progetto  di  legge  non  giunse  in  porto  perchè  i  lavori  parlamen- 
tari non  lo  permisero.  Invece,  in  quelFanno,  la  discussione  del  bilancio  fu  am- 
plissima, poiché  la  commissione  incaricata  di  esaminarlo  (relatore  Farini) 
aveva  proposto  riduzioni  in  tutti  i  capitoli  così  da  realizzare  un*economia 
di  circa  19  milioni  sui  155  circa,  posti  in  previsione  dal  ministero.  Ma  il 
Di  Bevel  accettò  alcune  proposte,  altre  ne  respinse,  e  il  risultato  si  fu  che, 
secondo  il  voto  emesso  dalla  Camera,  fu  ritardata  la  chiamata  della  classe 
del  1846,  furono  soppressi  i  grandi  comandi,  e  apportate  riduzioni  minori 
airordinamento. 


(^)  Rammentiamo  che  Tesercito  attivo  era  costìtnitu  dalle  11  classi  di  1*  categoria 
alimentate  dalle  5  di  2%  e  che  non  esisteva  una  milizia  di  riserva.  I  servizi  territoriali 
6  quelli  delle  fortezze  eran  disimpegnati  dalla  guardia  nazionale,  la  quale  per  la  sua  costi- 
tuzione, durante  la  campagna  dui  1866,  non  aveva  reso  utili  servigi.  Nel  progetto  Di  Revel 
Tesercito  attivo  era  formato  invece  dalle  prime  8  classi  di  leva  e  dagli  uomini  di  2* 
categoria  delle  prime  8  classi,  e  le  milizie  presidiane  (96  battagl.)  dalle  3  classi  più 
anziane  di  1*  categorìa  e  dalle  2  più  anziane  di  2*.  La  durata  della  ferma  rimaneva  di 
5  anni,  per  tutti,  tranne  che  per  la  cavalleria,  rispetto  a  la  quale  era  portata  a  6.  Si 
calcolava  che   la  forza  disponibile  deiresercito  fosse  la  seguente: 

Elementi  costanti 25.000  uomini 

L  8  classi  di  fant.,  artigl.  ecc.  \ 

\  1*  categ.,  13  di  cavalleria  .     f    300.OOO      id. 
Esercito  attivo  \       Id.,      13  classi  del  treno  e  ( 

corpo  d'araministr.      .    .     ' 

2»  categ.,  3  classi 105.000      id. 


Totale    .    .    .    480.000 


w-v  .  ...    .     (  r  categ.,  3 classi  )  linOAn 

Milizie  presidiane  j  ^,     .^       ^  ^,^^^.  J .     .     •     140-000 

Totale  generale    .     .    .     570  000 


ESERCITO   ITALIANO  ^7 


Tuttavia,  ad  onta  di  tali  strettezze  economiche,  fu  stabilita  la  somma 
di  lire  1.380.000  per  dotare  la  fanteria  di  armi  portatili  a  retrocarica  (^),  e 
si  instituì  la  scuola  superiore  di  guerra  come  scuola  di  perfezionamento  per 
gli  ufGiciali  aspiranti  al  corpo  di  stato  maggiore. 

Il  27  ottobre  1867,  al  ministro  Di  Bevel  successe  il  Bertelo- Viale. 
L' impresa  di  Mentana  destò  qualche  preoccupazione,  onde  fu  richiamata  dal 
congedo  la  classe  del  1842,  e  si  ricostituirono  le  quarte  compagnie  nei  batta- 
glioni bersaglieri,  e  i  quarti  battaglioni  nei  reggimenti  di  fanteria. 

II  nuovo  ministro  presentò  poi  un  nuovo  disegno  di  legge  sul  recluta- 
mento che  proclamava,  per  la  prima  volta,  il  servizio  personale  obbliga- 
torio, riducendo  la  ferma  per  poter  aumentare  il  contingente  annuo,  e  insti- 
tuiva  il  volontariato  di  un  anno.  Questo  disegno  non  giunse  alla  discussione 
parlamentare. 

Divenuto  ministro,  il  14  dicembre  1869,  il  gen.  Govone  nel  gabinetto 
Lanza,  con  programma  di  strettissime  economie,  il  bilancio  della  guerra  fu, 
come  quattro  anni  innanzi,  alla  vigilia  dei  più  gravi  avvenimenti  europei, 
nuovamente  ridotto,  e  il  contingente  annuo  abbassato  da  40  a  30.000  uomini. 

Sopravvenne  in  queste  contingenze  la  guen*a  franco-tedesca  e  Toppor- 
tunità  della  occupazione  di  Boma  da  pai*te  dell'Italia.  Per  questa  impresa 
furono  apparecchiati  50,000  uomini,  così  raggruppati  :  IV  corpo  d'armata  (Ca- 
dorna), comprendente  le  divisioni  11*  (Cosenz),  12*  (Mazé  de  la  Bocbe),  13* 
(Ferrerò)  e  una  riserva;  2*  divisione  (Bizio)  e  9* divisione  (Angioletti),  stac- 
cate. Ogni  divisione  comprendeva  due  brigate  di  fanteria,  due  battaglioni  di 
bersaglieri,  3  batterie  da  campagna:  cioè  8172  uomini  e  149  cavalli  in  media. 
Le  divisioni  2*  e  9*  avevano  in  più  una  compagnia  del  genio  ciascuna  ;  la 
2*  divisione  contava  in  più  della  9*  un  battaglione  bersaglieri  e  una  batteria. 
La  riserva  si  componeva  di  6  battaglioni  beraaglieri,  3  batterie  da  posizione, 
una  brigata  di  3  compagnie  zappatori  del  genio,  l  reggimento  di  caval- 
leria, 1  parco  d'artiglierìa,  un  equipaggio  da  ponte. 

Questa  parziale  mobilitazione  rivelò  che  l'esercito  non  era  in  condizioni 
da  poter  affrontare  una  grande  guerra.  D'altra  parte  le  sconfitte  patite  dalla 
Francia  e  la  ferma  volontà  di  mantenere  Boma  a  capitale  d'Italia  volsero 
l'opinione  pubblica  in  favore  delle  istituzioni  militari.  Per  conseguenza  gli 
anni  1870  e  1871  segnarono  il  principio  di  un'era  nuova  per  la  storia  del 
l'ordinamento  dell*  esercito. 


O  II  20  agosto  1867  il  ministero  detenninò  la  trasformazione  dei  focili  mod.  1860 
e  delle  carabine  da  bersaglieri,  in  armi  a  retrocarica  ;  e,  in  seguito  agli  studi  d'una  com- 
missione appositamente  institnita  a  Torino,  venne  adottato  l'otturatore  sistema  Carcano. 


58 


FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


V. 

Dal  1870  adoggi('). 

11  generale  Ricotti  ministro  della  guerra.  —  La  nuora  legge  sul  reclutamento,  del  1871;  dif- 
ferenze colla  legge  prussiana.  —  Modificazione  all'ordinamento,  nel  triennio  1871-1873. 
—  La  legge  del  7  giugno  1875  che  stabilì  il  servizio  personale  obbligatorio.  — 
Creazione  della  milizia  territoriale;  abolizione  della  guardia  nazionale.  —  L'ordina- 
mento Mezzacapo  nel  1877.  —  L'ordinamento  Ferrerò  nel  1882.  —  L'ordinamento 
Bertele- Viale  nel  1887.  —  Il  generale  Pelloux  ministro  della  guerra  nel  1891,  e 
provvedimenti  per  ridurre  le  spese  militari.  —  Il  ministro  Mocenni  e  i  decreti- 
legge  del  1893.  —  Le  proposte  del  ministro  Ricotti  nel  1896.  —  Ritorno  del  gene- 
rale Pelloux  al  ministero,  e  nuovo  ordinamento  del  1897.  ~  La  questione  dei 
quadri  degli  ufficiali  e  dei  sottufficiali,  e  le  leggi  relative  per  risolverla.  ;—  La 
commissione  d'inchiesta  istituita  il  1907.  —  L'amministrazione  Casana  nel  1908.  — 
Il  generale  Spingardi  ministro  della  guerra,  e  ordinamento  del  1910.  —  Forza  del- 
l'esercito. 

L*àDno  1871  spuntò  fra  gli  ultimi  bagliori  d*una  fra  la  guerre  più  for- 
midabili che  la  storia  rammenti. 

Le  vittorie  dei  Prussiani  indussero  i  legislatori  europei  a  imitarne  gli 
ordinamenti  militari,  e  T  Italia  seguì  pure  tale  indirizzo,  per  quanto  le  sue 
speciali  condizioni  politiche  ed  economiche  glielo  permisero.  Così  durante  il 
triennio  1871-73,  essendo  ministro  il  generale  Bicotti,  succeduto  il  7  settembre 
1870  al  generale  Govone,  una  serie  di  leggi  e  di  decreti  trasformò  radical- 
mente l'esercito,  sia  sotto  i  riguardi  del  reclutamento,  sia  sotto  quelli  del- 
Torganamento. 

La  legge  prussiana  sul  reclutamento  si  distingueva  per  due  caratteri 
essenziali:  Tobbligo  al  servizio  per  tutti  i  cittadini,  ed  il  sistema  ter- 
ritoriale nella  costituzione  dei  corpi,  caratteri  che  concedevano  di  trar  par- 
tito di  tutte  le  forze  valide  del  paese  e  di  mobilitarle  in  brevissimo  tempo: 
Di  più,  la  durata  del  servizio  e  la  forza  dei  contingenti  annui  permettevano 
pure  di  tener  Tesercito  diviso  in  due  grandi  parti  :  Tuna,  che  aveva  per  noc- 
ciolo Tesercito  stanziale;  laltra,  che  si  costituiva  soltanto  al  momento  della 
guerra. 

La  legge  italiana  invece,  la  quale  non  era  che  la  piemontese  del  1854 
ritoccata  successivamente,  e,  forse  in  alcuni  punti,  peggiorata,  non  sanciva  il 

(^)  Buona  parte  delle  notizie  contenute  in  questo  capitolo,  vennero  tratte  da  «  Le 
istituzioni  militari  italiane  n  di  A.  Ca\  aciocchi  ed  £.  Santangelo. 


ESERCITO   ITALIANO  S9 


principio  deir obbligo  generale  al  servizio  (^)  ;  manteneva  come  base  del  re- 
cintamente e  del  completamento  dei  corpi  il  sistema  così  detto  nazionale; 
divideva  il  contingente  in  due  categorie,  e  non  provvedeva  alla  costituzione 
di  riserve. 

La  legge  del  19  luglio  1871  si  limitò  a  modificare  parzialmente  questo 
stato  di  cose  con  taluni  provvedimenti  che,  in  parte,  erano  già  stati  presen- 
tati dai  generali  di  Bevel  e  Bertele- Viale,  e  che  si  possono  riassumere  nei 
seguenti  : 

abolizione  dei  vai-ì  modi  di  esonerazione  concessi  dalla  legge  1854, 
ad  eccezione  della  surrogazione,  mentre  airaffmncazione  si  sostituì  il  pas- 
saggio alla  seconda  categoria; 

istituzione  del  volontariato  di  un  anno; 

durata  totale  del  servizio  di  12  anni  per  la  prima  categoria  (di  cui 
4  alle  armi),  tranne  per  la  cavalleria,  che  l'ebbe  di  9  soli  (di  cui  6  alle 
armi)  ; 

durata  del  servigio  di  9  anni  per  la  seconda  categoria,  con  un  mas- 
simo di  5  mesi  d'istruzione  ripartibili  in  uno  o  più  anni; 

istituzione  di  una  milizia  provinciale,  destinata  a  sostegno  dell' esercite 
attivo  in  tempo  di  guerra,  e  pai-ticolarmente  a  concorrere  con  esso  alla  di- 
fesa interna  dello  Stato,  ordinata  territorialmente,  e  formata  dalle  8-4  ultime 
classi  di  prima  categoria,  e  dalle  4-5  ultime  di  seconda  categoria. 

1  punti  essenziali  che  distinguevano  ancora  la  nostra  legge  dalla  prus- 
siana, consistevano  nel  diritte  parziale  all*affrancazione,  mantenuto  quale  ce- 
spite d'entrata;  nella  costituzione  a  sistema  nazionale  dell'esercite  attivo  per 
evitare  il  pericolò  del  regionalismo;  nella  divisione  del  contingente  in  due 
categorìe  per  non  aumentare  notevolmente  la  fon&a  bilanciata  e  per  non  di- 
minuire di  troppo  la  ferma. 

Quanto  all'ordinamento,  il  generale  Bicotti  avviò  le  riforme  più  urgenti 
con  una  serie  di  regi  decreti,  prendendo  impegno  di  sottoporre  all'approva- 
zione del  parlamento,  nel  più  breve  tempo  possibile,  una  legge  complessiva 
al  riguardo,  affinchè  non  fosse  scossa  la  stabilità  delle  istituzioni  militari^ 
come  lo  era  stata  nel  periodo  1860-66.  In  virtù  di  tali  decreti,  pubblicati 
sulla  fine  del  1870  e  sui  primi  del  1871,  furono  soppressi  il  comitato  su- 
periore delle  varie  armi  e  quelli  di  fanteria  e  di  cavalleria,  ed  instituito  un 
comitato  delle  armi  di  linea;  ridotti  i  quadri  dello  stato  maggiore  generale; 
riordinati  gli  80  reggimenti  (granatieri  e  fanteria)  su  3  battaglioni  in  luogo 

(*)  Infatti  la  legge  del  1854,  oltre  che  concedere  resonerazione  dal  servìzio  per  scambio 
di  numero,  la  surrogazione  di  fratello,  la  surrogazione  ordinaria,  lo  scambio  di  categoria, 
ammetteva  pure  la  liberazione  dal  servizio  col  versamento  di  una  somma  da  pagarsi  in 
premio  ad  un  «  affidato  »  idoneo  ad  assumere  il  servizio  dellMnscritto  ;  la  legge  del  1866 
peggiorò  questo  stato  di  cose,  sostituendo  alla  liberazione  Taffrancazione,  per  la  quale  si 
otteneva  di  esser  dispensati  dal  servizio  mediante  pagamento  di  una  somma  determinata. 


<^0  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

di  4  ;  abolite  le  brigate  permasenti  di  fanteria  e  sostituite  con  brigate  for- 
mate uormalmente  da  2  reggimenti  appartenenti  alla  medesima  divisione 
territoriale;  ordinati  i  bersaglieri  in  10  reggimenti  di  4  battaglioni  ognuno  ; 
cresciuta  la  forza  di  guerra  della  compagnia  da  150  a  200  uomini. 

La  cavalleria  crebbe  di  un  reggimento  (Roma),  e  fu  ripartita  in  10 
regg.  di  lancieri  e  10  di  cavalle^eri  numerati  progressivamente  ;  e  ciascuno 
costituito  di  sei  squadroni.  Questi  vennero  ingrossati  in  uomini  e  cavalli,  così 
da  mantenerli  di  forza  presso  a  poco  eguale,  tanto  in  pace,  quanto  in  guerra. 

L'artiglieria  si  riordinò  in  11  reggimenti,  di  cui  il  1®  di  pontieri  e  gli 
altri  10  formati  ognuno  di  8  batterie  da  battaglia,  4  comp.  da  piazza,  3  comp. 
treno,  1  batt.  deposito.  Il  genio  si  costituì  in  un  sol  corpo  di  30  compagnie 
zappatori  e  di  una  compagnia  treno  e  un  deposito.  Fu  soppresso,  per  ragioni 
economiche,  quale  corpo  autonomo,  il  treno  d'armata,  che  nel  lugl*o  1869 
era  stato  dal  generale  Oovone  denominato  treno  militare,  e  il  relativo  ser- 
vizio venne  affidato  ai  reggimenti  d'artiglieria  e  del  genio. 

Il  corpo  d*amminÌ8trazione  fu  sciolto,  e  la  truppa  ripartita  fra  le  com- 
pagnie infermieri  istituite  presso  gli  ospedali  militari;  al  servizio  ordinario 
dei  panifici  venne  provveduto  con  operai  borghesi. 

Il  territorio  dello  Stato  fu  diviso  in  16  divisioni  territoriali  e  in  45 
distretti  militari,  nuova  istituzione,  sebbene  già  ideata  nel  progetto  di  Bevel, 
e  resa  necessaria  per  lo  sviluppo  quantitativo  dell'esercito.  I  distretti  militari, 
oltre  che  ad  attendere  alle  operazioni  di  leva,  a  raccogliere,  armare  ed  iniziare 
l'addestramento  delle  reclute  delF esercito  permanente,  e  ad  istruire  i  contin- 
genti di  2^  categoria,  furono  destinati  a  funzionare  da  centri  di  mobilitazione 
dei  richiamati  dal  congedo,  da  centri  di  mobilitazione  e  di  formazione  dei  re- 
parti d'un  esercito  territoriale  (^)  che  il  ministro  aveva  in  animo  di  costituire,  e 
finalmente  da  grandi  depositi  di  an'edamento  dei  corpi  esistenti  nel  territorio 
della  loro  circoscrizione.  Essi  cominciarono  a  funzionare  regolarmente  dall'anno 
1871  medesimo,  provvedendo  all'istruzione  della  seconda  categoria  della  classe 
1849  e  alle  operazioni  di  leva  della  elasse  1850. 

Questi  decreti  vennero  completati,  corretti  e  sanzionati  dalla  legge  del 
30  settembre  1873  di  ordinamento  dell'esercito  e  dei  servizi  dipendenti  dalla 
amministrazione  della  gueriti.  Le  principali  innovazioni  di  questa  legge  furono: 

(')  u  Nel  mio  concetto  —  ed  è  precisamente  quello  espresso  in  entrambi  i  progetti 
«  di  legge  presentati  al  parlamento  da  due  miei  predecessori  —  questo  secondo  esercito 
tt  non  potrà  essere  ordinato  che  regionalmente,  cioè  a  provincia  per  provincia  e  quindi 
«per  distretto,  dacché  la  provincia  è  Teleraento  territoriale  del  distretto;  e  si  costituirà 
«  in  parte  dei  soldati  in  congedo  illimitato  delle  classi  più  anziane  di  1*  categoria,  in 
u  parte  con  uomini  di  2'  categoria.  Ogni  distretto,  in  ragione  del  numero  rispettivo  di 
tt  codesti  soldati,  e  vuol  dire  generalmente  in  ragione  della  popolazione,  dovrà  formare 
<i  due  0  più  hattaglioni,  per  i  quali  avrà  sempre  apparecchiati  i  quadri,  mediante  ufficiali 
«  appositamente  destinati  n.  (Relazione  del  ministro  Ricotti  al  R.  D.  del  13  novembre  1870). 


ESERCITO   ITALIANO  61 


instituzione  di  un  comitato  di  stato-maggiore  generale,  e  fusione,  in 
un  solo,  di  quelli  di  artiglieria  e  genio; 

formazione  di  24  compagnie  alpine,  su  base  territoriale,  riunite  in 
7  riparti  divenuti,  nel  1874,  battaglioni  (')  ; 

ordinamento  deirartiglieria  da  fortezza  in  4  reggimenti  di  15  com- 
pagnie, e  di  quella  da  campagna  in  IO  reggimenti  di  10  batterie  e  3  com- 
pagnie treno  (').  Alcune  compagnie  da  fortezza  furono  trasformate  in  batterie 
da  montagna.  Si  stabilì  pure  la  costituzione  di  alcune  compagnie  di  arti- 
glieria da  costa  (^); 

ordinamento  del  genio  in  2  reggimenti,  ognuno  di  14  compagnie  zap- 
patori, 4  di  pontieri  (trasferitivi  dall'artiglieria),  2  di  ferrovieri  e  3  del 
treno  ; 

conferimento  del  carattere  di  ufSciale  e  del  grado  effettivo  ai  medici, 
commissari,  veterinari  e  contabili.  Di  questi  ultimi,  con  B.  D.  del  3  ot- 
tobre 1872,  erasi  formato  un  corpo  a  sé,  mentre,  per  lo  innanzi,  le  funzioni 
contabili  presso  i  corpi  di  truppa  erano  disimpegnate  da  uflBciali  com- 
battenti. 

Per  la  costituzione  cianica,  determinata  dalle  due  leggi  di  cui  si  è 
discorso,  la  forza  deir esercito  permanente,  nello  stato  di  pace,  fu  stabilita 
in  224,323  uomini  (130  ufficiali  generali;  1223  ufficiali  superiori;  10,834 
ufficiali  inferiori;  16,431  sottufficiali;  192,836  caporali  e  soldati;  2870  im- 
piegati di  vario  grado  non  militari),  e  26,228  cavalli. 

La  medesima  legge  previde  la  costituzione  della  milizia  mobile,  ossia  : 
900  compagnie  di  feinteria  e  60  di  bersaglieri,  aventi  per  centri  di  forma- 
zione i  distretti  a  cui  gli  uomini  appartenevano  per  la  leva  ;  60  compi^ie 
d'artiglieria  e  10  del  genio,  aventi  quali  centri  di  formazione  i  corpi  me- 
desimi dove  i  militari  avevano  già  prestato  servizio. 

I  quadri  organici  sul  piede  di  guerra  potevano  contenere  nell'esercito 
permanente  una  forza  di  350,000  uomini  ripartiti  in  10  corpi  d'armata, 
ciascuno  di  due  divisioni,  con  800  pezzi  d'ai*tiglieria  campale.  Se  non  che, 
in  ragione  dei  crediti  per  allora  assegnati  al  bilancio,  si  potevano  prelevare 
65,000  uomini  soltanto  per  il  contingente  annuo  di  prima  categorìa.  Otto 
di  tali  contingenti  concorrevano  a  formare  l'esercito  di  prima  linea,  il  quale, 
per  conseguenza,    deducendo   le  perdite,   avrebbe   avuto  la    forza  massima 

(')  Con  R.  D.  del  15  ottobre  1872  erano  state  già  forinate  15  compagnie  alpine  a 
guardia  della  frontiera  occidentale  e  settentrionale  ;  e  questa  istituzione,  dimostratasi  uti- 
lissima, fu  subito  imitata  dalle  potenze  confinanti. 

(')  Nel  1873  fu  adottato  il  cannone  di  bronzo  da  7  era.  a  retrocarica,  ma  ne  furono 
armate  solo  le  due  prime  batterie  d*ogni  brigata;  le  altre  sostituirono  il  materiale  da  9, 
con  quello  da  cm.  12. 

(*)  Una  compagnia  era  stata  già  formata  con  R.  D.  15  gennaio  1878,  col  nome 
di  6*^  compagnia  operai  da  costa. 


62  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

complessiva  di  300,000  combattenti,  alimentato  da  8  classi  di  seconda  ca- 
tegorìa, cioè  da  altri  200,000  uomini  circa.  La  milizia  mobile  comprendeva 
250,000  nomini.  In  complesso  adnnque,  secondo  il  nnovo  ordinamento,  le 
forze  disponibili  per  la  guerra  contavano  750,000  uomini. 

AlV aumento  dei  quadii  subalterni,  per  una  massa  così  imponente  di 
gregari,  fu  provveduto  coU'istituzione  degli  ufficiali  di  complemento,  tratti 
dai  sottufficiali  congedati  dopo  12  anni  di  servizio,  o  dai  volontari  di  un 
anno. 

Giova  ora  feir  sommaria  menzione  di  quanto  venne  stabilito  per  rin- 
forzare la  compagine  morale  ed  intellettuale  deiresercito,  e  specialmente 
dei  quadri,  e  per  rialzare  il  sentimento  di  responsabilità  e  d'iniziativa  di 
questi  ultimi,  rammentando:  le  disposizioni  ministeriali  relative  alla 
libertà  d*azione  dei  comandanti  di  reggimento,  di  battaglione  e  di  com- 
pagnia ;  la  legge  che  détte  facoltà  al  ministro  di  collocare  a  riposo  gli 
ufficiali  inadatti  al  servizio  attivo,  e  la  conseguente  miglioria  di  carriera 
negli  ufficiali  rimanenti  (^)  ;  le  disposizioni  per  sviluppare  1*  istruzione  negli 
ufficiali  (perfezionamento  delle  scuole  sia  superiori  che  professionali,  c<)rsi 
d'istruzione  per  Tavanzamento  da  tenente  a  capitano,  istituzione  degli  esami 
per  la  promozione  da  capitano  a  maggiore,  invio  di  ufficiali  all'estero  per 
istudiarvi  le  istituzioni  militari)  ;  la  pubblicazione  di  un  nuovo  regolamento 
di  disciplina  contenente  disposizioni  piti  consone  allo  spirito  nuovo  dei 
tempi;  i  provvedimenti  intesi  a  migliorare  il  reclutamento  dei  sottufficiali 
(istituzione  dei  battaglioni  distruzione)  ed  a  provvedere  all'avvenire  dei  sottuf- 
ficiali stessi  (ammissione  nelle  scuole  di  fanteria  e  cavallerìa  pei  meritevoli  di 
divenire  ufficiali;  facilitazione  per  gli  alfcri  a  conseguire  un  impiego  dopo  il  12® 
anno  di  servizio)  ;  le  disposizioni  per  diminuire  l'analfabetismo  nell'esercito. 

L*  istruzione  generale  si  avvantaggiò  pure  grandemente  coi  grandi  campi 
di  istrugione,  che  si  eseguirono  in  quegli  anni,  e  colla  pubblicazione  della 
istruzione  per  l'ammaestramento  tattico  delle  truppe  di  fanterìa,  che  segnò 
un  progresso  nell'impiego  degli  ordini  tattici  moderni. 

Nel  1873  si  chiuse  il  periodo  di  queste  trasformazioni  cianiche,  le 
quali  gittarono  le  basi  d'un  esercito  più  numeroso  e  più  ordinato.  Negli 
anni  successivi,  fino  al  1876,  le  nuove  istituzioni  militari  presero  radice  tanto 
nell'esercito  quanto  nelle  popolazioni,  e  se  ne  curò  a  grado  a  grado  il  mi- 
glioramento a  seconda  che  le  necessità  e  l'esperienza  imposero. 

Così,  fra  le  innovazioni  prìncipali  di  questo  tórno  di  tempo,  vi  fu  la  piena 
e  completa  applicazione  del  servizio  personale  obbligatorio  stabilito  con  la 

(■)  Durante  la  campagna  del  1866  ]a  formazione  di  nuovi  reparti  cagionò  un  no- 
tevole aumento  di  quadri  e  conseguenti  promozioni  e  nomine  di  nuovi  ufficiali,  coiiì  che 
alla  conclusione  della  pace  di  ufficiali  sì  ebbe  tanta  esuberanza,  che  molti  furono  collo- 
cati in  disponibilità  o  in  aspettativa,  e  le  carriere  ne  risultarono  notevolmente  ritardate. 


ESERCITO   ITALIANO  ^3 


legge  del  7  giugno  1875.  Venne  di  conseguenza  abolito  il  passaggio  alla 
2*  categoria  mediante  pagamento;  si  istituì  la  3^  categoria  per  gli  esenti 
per.  titoli  di  famiglia  ;  si  portò  a  quindici  anni  la  durata  totale  dell'obbligo 
militare  con  conseguente  passaggio  alla  milizia  territoriale  d^li  uomini  di 
1»  e  2*  categoria,  dopo  aver  compiuto  il  servizio  nelV esercito  permanente 
e  nella  milizia  mobile  ;  Tenne  lasciata  la  ferma  di  cinque  anni  solo  per  la 
cavalleria,  riducendola  a  tre  anni  per  le  altre  armi. 

La  legge  30  giugno  1876,  creò  la  milizia  territoriale  e  la  milizia  co- 
munale, abolì  la  guardia  nazionale,  conservando  in  vigore  per  tre  anni 
la  legge  4  agosto  1861  che  dava  facoltà  di  mobilitarne  220  battaglioni  se 
le  necessità  l'avessero  consigliato. 

Altre  importanti  disposizioni  vennero  emanate  in  questo  periodo^  quali  : 
la  legge  per  la  requisizione  dei  quadrupedi;  le  istruzioni  per  la  mobilita- 
zione e  la  formazione  di  guerra,  i  regolamenti  d'istruzione  e  di  servizio  interno. 

Inoltre,  durante  l'amministrazione  del  generale  Ricotti  venne  rinnovato 
l'armamento  dell'esercito  (0;  iniziata  la  costruzione  d'una  fabbrica  d'armi 
a  Terni;  cominciate  le  fortificazioni,  sia  terrestri  (per  la  difesa  della  fron- 
tiera occidentale),  sia  marittime  (attorno  al  golfo  della  Spezia);  ampliatala 
fonderia  di  Torino;  acquistato  materiale  di  artiglierìa,  sia  di  gran  potenza 
sia  da  campagna  (*)  ;  provvisti  oggetti  di  mobilitazione,  cioè  carreggio, 
attrezzi  di  accampamento,  viveri  di  riserva  ;  e  finalmente  venne  posto  mano 
ai  lavori  necessari  per  tracciare  la  carta  topografica  del  niezz(^iorno. 

L'opera  dell'amministrazione  della  guerra  nel  decennio  1876-86  fu,  in 
complesso,  di  sviluppo  e  di  perfezionamento  progressivo  del  sistema  iniziato 
dal  gen.  Ricotti.  Nove  volte  cambiò  il  ministro  in  quei  dieci  anni  (^),  ma 
l'indirizzo  rimase  sempre  lo  stesso,  ed  il  bilancio  della  guerra  andò  gra- 
datamente  aumentando  in  modo  che  fu  possibile   provvedere  parzialmente 

(^)  Fin  dal  1869  vennero  eseguite  esperienze  comparative  fra  tre  nuovi  tipi  di  fucile 
a  retrocarica  di  piccolo  calibro,  cioè  sui  fucili  raod.  Burton,  mod.  Valdocco  e  inod.  Wet* 
terlj;  e,  nel  marzo  1870,  a  tali  tipi  si  aggiunsero  quelli  mod.  Remington  e  Wcrndl.  Per 
i  risultati  di  tali  esperienze  venne  adottato  il  Wetterly  del  cai.  di  mm.  10.35,  fucile  che 
per  la  robustezza  di  costruzione,  per  la  giustezza,  gittata  e  radenza  di  tiro,  costituiva  una 
delle  armi  migliori  fra  quelle  adottate  allora  dagli  eserciti  europei. 

(')  Nel  1876  fu  adottato  il  cannone  da  9  di  acciaio,  rigato  cerchiato,  a  retrocarica, 
che  sostituì  quello  da  12  cm.  Nel  1880  Tartiglieria  campale  subì  una  trasformazione  ra* 
dicale,  poiché,  al  cannone  da  7  cm.  mod.  1873,  fu  sostituito  quello  in  bronzo  compresso 
che  ne  accrebbe  notevolmente  Tefficacia;  e  vennero  adottati  il  cannone  da  9  cm.  di  bronzo, 
a  retrocarica,  con  affusto  in  lamiera,  in  luogo  dì  quello  di  legno  mod.  1844,  e  il  cannone 
da  7  cm.  da  montagna. 

(")  Mezzacapo  dal  25  marzo  1876  al  24  marzo  1878;  Bruzzo  dal  24  marzo  1878  al 
19  ottobre  1878;  Bonelli  dal  19  ottobre  1878  al  19  dicembre  1878;  Mazè  de  la  Roche 
dal  19  dicembre  1878  al  14  luglio  1879;  Bonelli  dal  14*  luglio  1879  al  13  luglio  1880; 
Acton  dal  18  luglio  1880  al  27  luglio  1880;  Milon  dal  27  luglio  1880  al  25  marzo  1881; 
Ferrerò  dal  4  aprile  1881  al  23  ottobre  1884  ;  RicoUi  dal  23  ottobre  1884  al  4  aprile  1887. 


64  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

anche  all'assetto  difensivo  del  territorio,  iniziando  la  costruzione  del  campo 
trincerato  di  Boma  e  dei  forti  di  sbarramento  della  cerchia  alpina.  Oltre 
poi  a  qnesto  lavoro  palese,  intenso  fh  quello  di  preparazione  alla  guerra,  per 
quanto  ha  tratto  alla  mobilitazione. 

Nel  1877,  il  ministro  Mezzacapo,  per  accostare  maggiormente  Tordi- 
namento  di  pace  a  quello  di  guerra,  modificò  la  legge  del  1878  sulla  cir- 
coscrizione territoriale  militare,  così  da  mettere  in  armonia  il  numero  dei 
grandi  comandi  di  pace  con  quello  delle  grandi  unità  di  guerra  dell* esercito 
permanente.  La  legge  relativa  (22  marzo  1877)  determinò  la  circoscrizione 
territoriale  militare  per  il  servizio  generale,  così: 

10  comandi  di  corpo  d'armata,  in  luogo  di  7  comandi  generali; 

20  comandi  di  divisione,  in  luogo  di  16; 

74  distretti  militari  (^); 

20  comandi  superiori  dei  distretti. 

Con  legge  del  28  luglio  1876  le  compagnie  alpine  furono  accresciute 
a  36  e  raggruppate  in  10  battaglioni,  con  forza  permanente  di  guerra. 

Le  gravi  preoccupazioni  sòrte  nella  opinione  nazionale  dopo  gli  avveni- 
menti connessi  al  trattato  di  Berlino  :  il  fatto  che  quasi  tutti  gli  altri  Stati 
avevano  in  armi  un  corpo  d'armata  di  due  divisioni  per  ogni  due  milioni 
circa  di  abitanti,  ed  in  confronto  l' Italia,  con  quasi  30  milioni,  non  aveva, 
dopo  l'annessione  del  Veneto  e  di  Roma,  aumentato  le  proprie  forze,  indussero 
nel  1882  le  classi  dirigenti  a  dare  all'esercito  un  ordinamento  più  vasto. 
Perciò,  essendo  ministro  il  generale  Ferrerò,  il  parlamento  approvò  la  crea- 
zione di  due  nuovi  corpi  d'armata  con  le  due  nuove  leggi  snll'ordinamento 
(29  giugno  1882)  e  sulla  circoscrizione  militare  territoriale  (8  luglio  1883), 
per  effetto  delle  quali  l'esercito  risultò,  nel  1884,  così  formato: 

Fanteria  .  .  —  96  reggimenti  di  linea,  riuniti  in  48  brigate,  delle  quali 

8  nuove:  Boma,  Torino,  Venezia,  Verona,  Friuli,  Sa- 
lerno, Basilicata,  Messina,  coi  reggimenti  numerati 
da  79  a  94.  Ogni  reggimento  di  3  battaglioni  di 
4  compagnie; 

12  reggimenti  bersaglieri,  di  3  battaglioni  di  4  compagnie; 

6  reggimenti  alpini  (20  battaglioni,  72  compagnie)  varia- 
mente composti  (di  3  0  4  battaglioni,  ognuno  di  3  o 
4  compagnie); 

87  distretti  con  98  compagnie  permanenti. 


(*)  La  legge  del  6  dicembre  1877  ne  portò  il  numero  a  78;  quella  del  6  luglio  1879 
a  81,  e  finalmente  quella   II  J3  settembre  1882  a  82. 


ESERCITO   ITALIANO  ^5 


Cavalleria.  —  22  reggimenti,  fra  cui  due  nuovi,  Padova  (21")  e  Catania 

(22''),  raggruppati  in  5  brigate.  Ogni  reggimento  di 
6  squadroni. 
Artiglieria.  —  12  reggimenti  artiglieria  da  campagna:  ogni  reggimento 

di  3  brigate  (10  batterie),  una  brigata  treno  di  3  com- 
pagnie e  un  deposito; 

5  reggimenti  artiglieria  da  foiiezza  :  ogni  reggimento  di 
3  brigate  (12  compagnie  da  fortezza  o  da  costa)  e 
un  deposito:  2  reggimenti  hanno  in  più  una  brigata 
di  4  batterie  da  montagna; 

2    brigate  d  ai-tiglieria  a  cavallo  (4  batterie). 
Genio  ....  —  4    reggimenti  divisi  per  specialità: 

1<»  e  2®  zappatori:  ogni  reggimento  di  4  brig.  (14  com- 
pagnie), 2  compagnie  treno  e  un  deposito; 

3^  reggimento  di  una  brigata  ferrovieri  (4  compagnie): 
2  brigate  telegrafisti  (6  compagnie),  una  brigata  zap- 
patori (4  compagnie):  2  compagnie  treno  e  un  deposito; 

4*  reggimento  pontieri  :  2  brigate  pontieri  (8  compagnie), 
una  brigata  lagunari  (2  compagnie)  :  una  brigata  treno 
(4  compagnie)  e  un  deposito. 

Per  quanto  riguarda  la  milizia  mobile,  la  legge  del  1882  ne  fissò  i 
quadri  corrispondenti  a  metà  circa  di  quelli  dell'esercito  permanente;  cioè: 

48  reggimenti  di  ftnterìa,  18  battaglioni   bersaglieri,  36  compagnie 
di  alpini; 

13  brigate  artiglieria  da  campagna  (52  batterie  e  una  compagnia 
treno),  4  batterie  da  montagna; 

32  compagnie  d*artiglieria  da  fortezza  e  da  costa,  4  batterie  da 
montagna  ; 

16  compagnie  zappatori  del  genio,  3  di   telegrafisti,  2  di  ferrovieri, 
4  di  pontieri; 

12  compagnie  di  sanità,  12  di  sussistenza. 
In  queste  truppe  non  furono  compresi  i  reparti  della  Sardegna,  che  si 
ordinarono  localmente  in  milizia  speciale  per  poter  contare  in  guerra  su  una 
più  pronta  ed  efficace  difesa  dell'isola  mediante  tutti  gli  elementi  colà 
disponibili,  compresi  i  richiamati  dell* esercito  permanente,  che  all'atto  della 
mobilitazione  non  si  era  certi  di  poter  trasportare  nel  continente.  Tale  milizia, 
composta  delle  classi  di  milizia  mobile  e  di  quelle  in  congedo  dell'esercito 
permanente,  di  1*  e  2*  categoria,  comprendeva  3  reggimenti  di  fanteria, 
un  battaglione  di  bersaglieri,  uno  squadrone  di  cavalleria,  2  batterie  da  cam* 
pagna,  una  compagnia  di  artiglieria  da  fortezza,  una  compagnia  genio,  una 
di  sanità,  e  una  di  sussistenza. 

FiORiMZO  Bàvà-Bscoaris.  —  Eteretto  italiano  tee.  5 


66  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


Con  la  stessa  legge  si  riordinò  la  milizia  territoriale  in  320  battaglioni 
di  fanteria,  30  battaglioni  di  alpini  (72  compagnie),  20  brigate  d'artiglieria 
da  fortezza  (100  compagnie),  6  brigate  del  genio  (20  compagnie),  13  com- 
pagnie di  sanità  e  13  di  sussistenza  (una  per  la  Sardegna). 

Tutti  questi  proY?edimenti  furono  dal  ministro  Ferrerò  studiati  col  con- 
corso del  generale  Cosenz,  da  lui  chiamato  alla  carica,  allora  istituita  (B.  D. 
29  luglio  1889),  di  capo  di  stato-maggiore  delFesercito. 

La  circoscrizione  territoriale  comprese  12  corpi  d'armata,  24  divisioni  e 
il  comando  militare  di  Sardegna  dipendente  dal  comando  del  IX  corpo  d'ar- 
mata (Roma),  divenuto  piti  tardi  25^  divisione.  Sulla  base  dei  12  corpi  di 
armata  furono  determinati  i  servizi  di  sanità  e  di  commissariato,  stante  la  loro 
immediata  attinenza  coi  bisogni  delle  truppe,  mentre  per  gli  altri  servizi 
si  adottarono  speciali  circoscrizioni,  ottenendo  14  direzioni  d'artiglieria, 
19  direzioni  del  genio  (oltre  4  straordinarie  per  la  marina),  11  legioni  ter- 
ritoriali carabinieri  r.,  19  tribunali  militari. 

Nello  stesso  anno  1882,  con  legge  del  29  giugno,  si  modificarono  al- 
quanto gli  obblighi  di  servizio,  riducendo  a  4  anni  la  ferma  della  caval- 
leria; si  fissò  l'obbligo  di  servizio  nell'esercito  permanente  pei  carabinieri 
a  9  anni,  di  cui  5  alle  armi,  e  la  ferma  di  due  anni  per  una  parte  del 
contingente;  si  aggiunsero  altri  casi  di  esenzione  al  già  lungo  elenco  dei 
sostegni  di  famiglia;  si  estese  la  rivedibilità  a  due  volte.  Inoltre  la  legge 
8  luglio  1883  diminuì  di  un  centimetro  la  statura  degli  iscritti  e  stabili 
un  nuovo  criterio  per  ripai'tire  il  contingente  di  1^  categoria. 

Altri  atti  importanti  dell'amministrazione  Ferrerò  furono  :  la  legge  sulla 
posizione  di  servizio  ausiliario  (17  ottobre  1881),  la  legge  che  costituì  in 
corpo  morale  l'associazione  della  Croce  rossa  (30  maggio  1882),  Y  istituzione 
del  tiro  a  segno  nazionale  (2  luglio  1882),  la  formazione  di  guerra  delle 
guardie  di  finanza  (24  ottobre  1882),  l'istituzione  di  una  scuola  d'applica- 
zione di  sanità  militare  (16  novembre  1882),  la  legge  sullo  stato  dei  sottuffi- 
ciali, la  creazione  di  un  ispettore  generale  della  cavalleria  (26  luglio  1883) 
e  l'istituzione  dei  plotoni  di  istruzione  nei  reggimenti  di  fanteria,  bersaglieri, 
e  alpini,  in  luogo  dei  battaglioni  di  istruzione  per  il  reclutamento  dei  sottuf- 
ficiali (15  novembre  1883);  atti  che  furono  completati  da  altri  nella  seconda 
amministrazione  Ricotti  (1884-1887).  Nel  gennaio  1887  il  fucile  mod.  1870 
fu  trasformato  in  quello  a  ripetizione  (0* 

(')  La  trasfurmazionc  del  fucile  mod.  70  in  arme  a  ripetizione  fu  imposta  dal  fatto 
che  le  altre  nazioni  avcirano  già  armato  le  proprie  truppe  o  starano  per  armarle  con 
fucili  a  caricamento  celere  e  di  piccolo  calibro:  la  Francia  col  Lebel  (1886);  rAu&tria 
,col  M&nnlicher  (1888);  la  Germania  col  Mauser-Mfinnlicher  (I888j.  Il  25  gennaio  1887, 
in  seguito  alla  buona  riuscita  degli  esperimenti  eseguiti  presso  vari!  coi  pi,  il  ministero 
determinò  che  il  fucile  mod.  1870  fosse  trasformato  in  fucile  a  caricamento  rapido,  se* 
eondo  il  sistema  del  capitano  d'artiglieria  Giuseppe  Vitali.  Il  fucile  prese  la  denomina- 
zione di  mod.  70-87. 


ESERCITO   ITALIANO  67 


Si  ottenne  così  un  esercito  numericamente  forte,  ma  con  una  proporzione 
relativamente  scarsa  di  cavalleria  e  d'artiglieria,  il  cai  accrescimento  era 
stato  rimandato  ad  un  tempo  di  più  fiorenti  finanze.  Nel  1887  il  generale 
Bertolè-Viale,  ministro  per  la  seconda  volta,  preoccupato  di  tale  deficienza 
e  della  difficoltà  che  avrebbe  incontrata  la  mobilitazione  delle  batterie  su 
8  pezzi,  presentò  al  parlamento  uno  schema  di  legge  per  aumentare  le 
armi  a  cavallo,  per  mobilitare  le  batterie  su  6  pezzi  e  per  portare  da  80 
a  96  i  pezzi  per  ogni  corpo  d* armata.  Oli  altri  eserciti  ne  avevano  già  96,  con 
tendenza  ad  accrescerli.  Propose  perciò  di  raddoppiare  il  numero  dei  reggi- 
menti  d'artiglieria  da  campagna,  costituendone  altri  12  detti  di  corpo  d'armata, 
composti  di  2  brigate  di  4  batterie  ciascuna  (una  brigata  da  7  cm.,  l'altra  da  9) 
con  2  compagnie  treno,  e  12  detti  di  divisione,  con  2  brigate  di  4  batterie 
(tutte  da  9)  e  2  compagnie  treno  ;  di  riunire  le  batterie  da  montagna  in  un 
reggimento  di  3  brigate  (9  batterie). 

Il  progetto  contemplava  ancora  la  formazione  di  due  nuovi  reggimenti 
cavalleggeri,  per  poter  mobilitare  3  divisioni  di  cavalleria  (12  reggimenti) 
ed  assegnare  un  reggimento  a  ciascun  corpo  d*armata  ;  ma  poiché  mancava  la 
cavalleria  per  le  grandi  unità  di  milizia  mobile,  proponeva  la  formazione 
di  uno  squadrone  di  riserva  per  ognuno  dei  24  reggimenti,  da  costituirai  dal 
deposito  appena  indetta  la  mobilitazione.  Per  provvedere  d'artiglieria  le  3 
divisioni  di  cavalleria,  si  aumentavano  da  4  a  6  le  batterie  a  cavallo,  rac- 
cogliendole in  reggimento  di  3  brigate  con  4  compagnie  treno,  destinate  a 
fornire  in  guerra  i  scitìzÌ  generali  al  comando  supremo,  alle  armate  e  alle 
divisioni  di  cavalleria. 

Tutti  questi  provvedimenti  ed  altri  che  aumentarono  il  corpo  degli  alpini, 
le  compagnie  da  fortezza  e  da  costa  e  le  truppe  del  genio,  vennero  sanciti 
colla  legge  del  23  giugno  ;  e  questa  si  coordinò  con  la  preesistente,  nel  testo 
unico  in  data  3  luglio  1887  (^).  Detta  legge  in  alcuni  punti  toccava  anche  l'or- 
dinamento delle  milizie;  riduceva  cioè  a  22  compagnie  gli  alpini  della  milizia 
mobile  (una  per  ogni  battaglione  permanente)  ;  costituiva  quelli  della  milizia 
territoriale  in  22  battaglioni  di  75  compagnie,  come  per  l'esercito  permanente  ; 
formava  9  batterie  da  montagna  di  milizia  mobile  presso  il  rispettivo  reg- 
gimento; aumentava  da  1  a  86  le  compagnie  da  fortezza  della  stessa  milizia 
e  da  1  a  4  quelle  della  milizia  speciale  di  Sardegna;  portava  da  16  a  21 
le  compagnie  del  genio  della  milizia  mobile,  e  da  20  a  30  quelle  della  ter- 
ritoriale; sanciva  infine  altre  disposizioni  di  minor  conto. 

(')  Si  ebbero  così  le  variazioni  seguenti  airordinamento  del  1882:  Alpini:  7  reg- 
gimenti (22  battaglioni,  75  compagnie);  Cavalleria:  24  reggimenti,  fra  cui  due  nuovi 
(Umberto  I  23*;  Vicenia  24®):  Artiglieria:  24  reggimenti  campali,  1  da  montagna,  1  a 
cavallo;  Genio:  4  reggimenti  divisi  per  specialità:  1®  e  2<*  zappatori  di  18  compagnie, 
1  compagnia  treno  e  un  deposito;  3*^  reggimento  di  7  compagnie  zappatori.  6  telegrafisti, 
1  specialisti,  3  del  treno  e  l  deposito;  4**  reggimento  di  8  compagnie  pontieri,  4  ferro- 
vieri, 2  lagunari,  3  del  treno  e  1  deposito. 


68  FIORENZO   BAVA-BBCCARIS 


Qaeste  modificazioni  andarono  compiendosi  nei  saccessivo  anno  1888, 
anno  in  cui  venne  modificata  ancora  la  legge  snl  reclutamento  (leggi  dell'I 
e  deirs  marzo). 

In  questo  perìodo  incominciò  l'espansione  coloniale  dell'Italia  in  Africa. 

Nel  1885  ayyenne  la  prìma  spedizione  (col.  Saletta),  seguita  presto  da 
altre;  poi,  dopo  il  fatto  di  Dogali,  1* att^giamento  aggressivo  del  negus 
Giovanni  indusse  il  governo  a  inviare  importanti  rinforzi  e  determinare,  con 
legge  del  10  luglio  1887,  Ut  costituzione  di  un  corpo  speciale  delle  truppe 
d* Africa  che  fu  posto  al  comando  del  generale  di  San  Marzano  (13  battaglioni 
di  fanteria,  8  di  bersaglieri,  1  squadrone  cacciatori,  6  batterie,  2  compagnie 
del  genio).  Dopo  la  ritirata  delle  truppe  abissine  (aprile  1888)  il  grosso  della 
spedizione  italiana  rimpatriò,  e  il  corpo  speciale  fu  ridotto  a  pochi  battaglioni. 

Dopo  la  creazione  dei  due  corpi  d'armata,  il  bilancio  della  guerra,  che 
nel  1882  era  di  288  milioni,  sali,  nel  1888-89,  con  le  spese  straordinarie, 
a  408  milioni.  Ma,  Taumento  delle  spese  per  i  vari  servizi  pubblici,  il  con- 
tinuo diminuire  delle  pubbliche  entrate,  l'impossibilità  di  applicare  nuove 
imposte  0  di  esacerbire  le  esistenti,  indussero  a  una  riduzione  geneitile  dei 
bilanci  a  cui  non  potè'  sottrarsi  quello  della  guerra.  Perciò  il  ministro  Pelloux, 
succeduto  il  6  febbraio  1891  al  generale  Bertele -Viale,  espose  un  programma 
di  strettissime  economie,  pur  dichiarando  di  voler  mantenere  immutato  l'or- 
dinamento precedente.  Per  fronteggiare  intanto  le  momentanee  esigenze  fi- 
nanziarie e  per  non  diminuire  ì  corpi  d'armata,  ridusse  notevolmente,  durante 
parte  dell'anno,  la  forza  alle  armi,  anticipando  nel  1891  i  congedamenti  e 
ritardando  nell'anno  successivo  la  chiamata  delle  reclute  sino  alla  primavera  ; 
espediente  questo  che,  continuato  poi,  condusse  al  così  detto  sistema  dei  pe- 
riodi di  fona  massima  e  di  fona  minima  (^). 

Il  ministro  propose  poi  riforme  d'ordine  puramente  amministrativo,  im- 
piegando a  prò  dei  servizi  che  piti  ne  avevano  bisogno  le  economie  che  pote- 
vano risultare,  e  propose  che  il  bilancio  fosse  consolidato  nella  cifra  di  246 
milioni,  di  cui  7  per  TEritrea. 

Questo  programma,  accettato  dalla  Camera,  stava  per  essere  attuato, 
quando  il  24  novembre  1898  cadde  il  ministero  Pelloux  (^). 

(^j  La  giunta  del  bilancio  accettò  a  malincuore  questo  sistema  anzi:  propose  che, 
per  far  fronte  alle  angustie  economiche  in  queiranno,  la  leva  fosse  fatta  incorporando  le 
reclute  nei  reggimenti  vicini  ai  distretti.  Ma  il  ministro  non  accettò  Tidea,  per  non  creare 
un  precedente  che  avrebbe  potuto  essere  invocato  altre  volte,  e  temendo  che  con  ciò  si 
venisse  a  toccare  la  grave  questione  del  reclutamento  territoriale. 

(')  Durante  il  minis>tero  Pelloux  vennero  adottati  i  nuovi  regolamenti  di  servizio 
intemo,  di  esercizi  e  di  servizio  in  guerra  basati  sul  principio  d*una  piii  equa  riparti- 
zione delle  responsabilità  in  tutti  i  gradi  della  gerarchia.  Il  29  marzo  1892,  le  armi  a 
piedi  furono  armate  col  fucile  mod.  1891  che  presentava  allora,  e  presenta  tuttora,  ottime 
qualità  balistiche  e  di  fabbricazione. 


ESERCITO   ITALIANO  ^^ 


Il  generale  Mocennì,  nuovo  ministro,  acconsentì  a  diminuire  di  16  mi- 
lioni il  bilancio,  e  nel  novembre  1894  emanò  alcuni  decreti-legge  da  applicare 
immediatamente,  in  attesa  della  approvazione  delle  Camere.  I  decreti-legge 
condussero  a  importanti  modificazioni  deirordinamento  dell* esercito  nella 
circoscrizione  territoriale,  negli  stipendi,  nelle  indennità  degli  ufficiali  e  della 
truppa,  neirordinamento  del  personale  dell'amministrazione  centrale  della 
guerra. 

Le  polemiche  sollevate  dalla  stampa  impedirono  di  mettere  in  vigore 
le  modificazioni  riguardanti  la  circoscrizione  territoriale  ed  i  distretti,  prima 
di  aver  ricevuta  Tapprovazione  dal  Parlamento;  ma  gli  altri  decreti  ebbero 
effettiva  esecuzione. 

Per  la  diminuzione  della  forza  bilanciata  fu  applicata  su  vasta  scala 
la  ferma  di  due  anni,  congedando  una  parte  della  classe  dopo  il  secondo 
periodo  d'istruzione  e  lasciandone  un'altra  in  congedo  illimitato  sino  alla 
chiamata  della  seguente;  di  guisa  che»  contando  i  volontari,  i  rivedibili  e 
gli  uomini  per  qualunque  motivo  già  in  servizio,  appena  il  terzo  del  contin- 
gente poteva  fruire  di  tre  periodi  d*  istruzione. 

La  situazione  fu  aggravata  dalla  necessità  d'inviare  numerosi  rinforzi 
neir Eritrea,  improvvisando  reparti  in  cui  erano  raccolti  uomini  provenienti 
da  tutti  i  corpi  dell* esercito. 

I  decreti-le^e  approvati  dalla  Camera  dei  deputati,  con  la  riserva  che  il 
reclutamento  dovesse  conservale  integralmente  il  carattere  nazionale,  stavano 
per  essere  discussi  al  senato,  allorché  nel  marzo  1896,  in  seguito  alla  bat- 
ti^lia  di  Adua,  cadeva  il  gabinetto  Crispi,  ed  al  genei-ale  Mocenni  succedeva, 
nel  gabinetto  Di  Budini,  il  generale  Ricotti.  Questi,  dichiarò  che  col  bilancio 
di  225  milioni,  escluse  le  pensioni  e  le  spese  d'Africa,  non  assumeva  la  re- 
sponsabilità di  conservare  Tesercito  in  12  corpi  d'armata:  ma  con  quella 
somma  ch'era  stabilita  dal  ministero  precedentemente,  avrebbe  assunto  la 
responsabilità  del  potere,  riducendo  o  i  corpi  d'armata  o  un  equivalente 
numero  di  compagnie,  squadroni  e  batterie.  Infatti,  pur  lasciando  l'esercito 
ripartito  in  12  corpi  d'armata  e  25  divisioni  territoriali,  propose,  per  ciascun 
arma,  l'organico  seguente: 

Arma  di  fanteria:  82  comandi  di  brigata  di  fanteria  di  linea,  8  co- 
mandi di  brigata  alpina,  96  reggimenti  fanteria  di  linea,  8  reggimenti  ber- 
saglieri, 8  reggimenti  alpini,  88  distretti  militari,  compagnie  di  disciplina  ecc. 
Ogni  reggimento  di  fanteria  di  linea  sarebbe  stato  composto  di  uno  stato 
maggiore,  3  battaglioni  (ciascuno  di  3  compagnie)  e  un  deposito  ;  i  reggimenti 
bersaglieri  e  alpini  simili  a  quelli  di  fiinteria,  ma  con  un  deposito  di  piti  per 
ciascuno.  I  distretti  avrebbero  costituito  in  tutto  91  compagnie. 

Arma  di  cavalleria:  Un  ispettorato,  7  comandi  di  brigata,  24  reggi- 
menti, 4  depositi  allevamento  cavalli  ;  ogni  reggimento  costituito  da  uno  stato- 
maggiore,  4  0  5  squadroni  e  un  deposito.  In  totale,  108  squadroni. 


70  FIORENZO  BAVA-BECCARIS 


Arma  di  artiglieria:  Un  ispettorato  generale,  5  ispettorati,  una  direzione 
delle  esperienze  e  scuola  centrale  di  tiro,  8  comandi  d*artiglierìa,  12  dire- 
zioni territoriali,  18  reggimenti  da  campagna,  1  reggimento  a  cavallo,  2  reg- 
gimenti  da  montagna,  5  reggimenti  da  fortezza,  4  compagnie  operai.  Compo- 
sizione dei  reggimenti  d'artiglieria  da  campagna  :  1  stato  maggiore,  brigate 
di  2  0  3  batterie  e  compagnie  treno,  1  deposito.  In  totale:  112  batterie  e  36 
compagnie  treno  ;  per  Tartiglieria  da  fortezza,  analogamente. 

Arma  del  genio  :  Un  ispettorato  generale,  2  ispettorati,  4  comandi  terri- 
toriali, 15  direzioni,  5  reggimenti.  In  totale:  22  brigate,  65  compagnie, 
7  compagnie  treno. 

Per  compensare  in  qaalche  modo  la  diminuzione  delle  unità  perma- 
nenti, si  sarebbero  aumentate  quelle  di  milizia  mobile.  Il  corpo  d'armata 
di  guerra  sarebbe  risultato,  così,  costituito  da  9  reggimenti  di  fanteria, 
1  di  cavalleria,  e  9  batterie;  con  un  complesso  di  22,300  fucili,  630  cavalli 
e  72  pezzi. 

I  comandi  dì  divisione  sarebbero  stati  soppressi,  continuando  tuttavia 
a  sussistere  quali  autorità  territoriali  per  il  tempo  di  pace. 

Questo  disegno  di  legge  era  stato  già  approvato  dal  senato  dopo  una 
lunga  e  seria  discussione,  e  presentato  alla  Camera  la  cui  commissione  aveva 
già  riferito  in  senso  favorevole,  quando  una  crisi  politica  indusse  il  generale 
Bicotti  a  lasciare  il  portafoglio.  Questo  veniva  accettato  TU  luglio  1896 
dal  generale  Pelloux,  il  quale,  contrario  alla  diminuzione,  sia  dei  corpi  d'ar- 
mata che  delle  unità  elementari,  propose  di  mantenere  lo  $tata  quo,  a  condi- 
zione che  fossero  concessi  i  mezzi  da  lui  ritenuti  suflBcienti,  cioè  239  mi- 
lioni, e  che  le  spese  d'Africa,  eventuali,  non  fossero  più  comprese  nel  bilancio 
della  guerra.  Il  progetto  Pelloux,  presentato  nell'ottobre  1896,  aveva  spe- 
cialmente di  mira  di  conservare  12  corpi  d'armata,  di  trasformare  ì  distretti 
militari,  di  consolidare  i  quadri  della  milizia  mobile,  di  ridurre  e  sempli- 
ficare gli  organi  amministrativi  e  i  contabili,  di  aumentare  i  quadri  delle  varie 
armi,  di  aumentare  la  forza  bilanciata. 

II  ministro  sperava  di  portare  gradualmente  la  forza  bilanciata  a 
215,000  uomini,  chiamando  nel  marzo  le  reclute  alle  armi  a  piedi  e  conge- 
dando la  classe  anziana  in  ottobre  ;  mantenendo  la  forza  delle  compagnie  di 
fanteria  di  circa  100  uomini  per  sette  mesi  dell'anno  (forza  massima),  e  di 
60  durante  i  5  mesi  rimanenti  (forza  minima). 

Nella  discussione  del  progetto,  l'attenzione  del  parlamento  si  concentrò 
particolarmente  su  questi  tre  punti:  forza  delle  compagnie,  sistema  misto 
di  reclutamento  e  di  mobilitazione,  trasformazione  dei  distretti.  La  que- 
stione della  forza  delle  compagnie  provocò  numerose  discussioni  ed  appas- 
sionò vivamente  gli  spiriti  ;  il  generale  Pelloux  sostenne  che  il  numero  delle 
attuali  compagnie  costituiva  il  minimum  indispensabile  per  la  difesa  del 


ESERCITO   ITALIANO  71 


territorio;  e  poiché  il  bilancio  dod  permetteva  di  tenerle  numerose  in 
pace,  bisognava  rassegnarsi  ad  organici  di  pace  limitati,  capaci  però  di  in- 
quadrare in  guerra  tutti  gli  uomini  disponibili. 

Per  conciliare  poi  il  voto  del  parlamento,  che  imponeva  di  conservare 
il  reclutamento  nazionale,  con  le  necessità  della  mobilitazione,  che  richiede- 
vano un  rapido  completamento,  propose  un  sistema  speciale,  col  quale  gli 
inconvenienti  inerenti  al  sistema  misto  (nazionale  per  il  reclutamento  e  re- 
gionale per  la  mobilitazione)  erano  attenuati  mediante  una  particolare  rota- 
zione dei  cambii  di  guarnigione;  sistema  che  durò  sino  al  1905,  anno  in 
cui  si  ritornò  semplicemente  al  sistema  misto. 

Per  la  trasformazione  dei  distretti,  il  ministro  Pelloux  propose  di  affi- 
dare ai  depositi  dei  reggimenti  di  fanteria  e  di  bersaglieri  tutte  le  operazioni 
concementi  la  loro  mobilitazione  e  quella  delle  unità  di  milizia  mobile  cor- 
rispondenti, analogamente  a  quanto  già  si  praticava  per  la  cavalleria,  per 
r  artiglieria  e  per  il  genio.  Così  i  distretti,  semplici  organi  di  reclutamento 
in  tempo  di  pace,  sarebbero  stati  in  guerra  incaricati  soltanto  della  requi- 
sizione dei  quadrupedi  e  della  formazione  delle  unità  di  milizia  territoriale. 

L*ordinamento  Pelloux,  senza  richiedere  alla  nazione  sacrifìct  pecuniarii 
troppo  considerevoli,  si  sperava  permettesse  di  mantenere  organici  di  pace 
abbastanza  forti,  affinchè  Tistruzione  potesse  svilupparsi  completamente  in 
7  mesi  deiranno;  di  più,  con  le  disposizioni  relative  ai  depositi  ed  ai  di- 
stretti, mirava  a  facilitare  le  operazioni  di  mobilitazione  ;  infine,  neirintento 
di  aumentare  la  consistenza  della  milizia  mobile,  provvedeva  a  costituire 
una  pai-te  notevole  dei  quadri  ad  essa  occorrenti,  mediante  ufficiali  deir  eser- 
cito permanente. 

Tutte  queste  proposte  vennero  sancite  dalla  legge  del  28  giugno  1897, 
secondo  la  quale  Tesercito  permanente  rimase  ordinato  in  12  corpi  d'armata 
e  in  25  divisioni  territoriali,  e  costituito  principalmente  come  segue  : 

Fanteria.    .  —  96  reggimenti  di  fanteria  di  linea  (1152  compagnie  e  96 

depositi),  riuniti  in  48  brigate  ; 
12  regg.  bersaglieri  (144  compagnie  e  12  depositi)  ; 
7    regg.  alpini  (75  compagnie  e  7  depositi); 
88  distretti  militari  (soppresse  le  96  compagnie  permanenti). 

Cavalleria.  —  24  regg.  (144  squadroni  e  24  depositi)  ; 

4    depositi  d'allevamento  (mentre  prima  erano  6). 

Artiglieria.  —  24  regg.  da  campagna  (186  batterie,  36  compagnie  treno 

e  24  denositi): 


e  24  depositi); 
1     regg.  d  artiglieria  a  cavallo  (6  batterie,  4  compagnie  treno 
e  1  deposito); 


deposito)  ; 


72  FIORENZO   BAVA-BBCCARIS 


Genio  ....  —  5 


1  regg.  d'artiglierìa  da  montagna  (15  batterìe  e  1  deposito); 
22  brigate  d*  artiglierìa  da  costa  e  da  fortezza  (78  com- 
gnie)  (»). 

reggimenti  (60  compagnie,  10  compagnie  treno  e  5  de- 
positi) («)  ; 
1  brigata  ferrovieri  (6  compagnie). 

Inoltre  12  legioni  di  carabinierì  reali,  12  compagnie  di  sanità,  12 
compagnie  di  sussistenza,  ecc. 

Alla  milizia  mobile  si  aumentarono  2  battaglioni  bersaglieri  e  16  com- 
pagnie alpine;  si  sostituirono  81  squadroni  di  milizia  ai  25  di  riserva 
precedentemente  previsti;  si  aumentarono  9  batterie  da  campagna  (di  cui 
6  in  luogo  di  quelle  ti-asformate  in  batteria  da  montagna),  38  compagnie 
d'artiglieria  da  costa  e  da  fortezza  e  9  compagnie  treno;  si  formarono  32 
compagnie  del  genio. 

Quanto  alla  milizia  territoriale,  la  principale  modificazione  consistè  nel- 
Taumento  di  4  battaglioni. 

Nel  decennio  successivo  al  1898  (^)  nessuna  legge  segnò  modificazioni 
di  rilievo  airordinamento  generale  dell'esercito.  Ma  in  questi  anni  me- 
desimi venne  producendosi  una  crisi,  tanto  nei  quadri  degli  ufficiali,  quanto 
in  quelli  dei  sottufficiali.  Nei  primi,  gli  aumenti  avvenuti  dal  1882  al 
1888  in  conseguenza  dell* accrescimento  dei  corpi  d'armata,  e  le  conse- 
guenti larghe  promozioni  ed  ammissioni  straordinarie,  avean  prodotto  un'ec- 
cezionale lunga  permanenza  nei  gradi  inferiori  ;  nei  secondi,  un  gran  numero 


(*)  Si  sanzionarono  le  disposizioni  dei  decreti-legge  del  6  novembre  1894,  e  cioè: 
soppressione  di  6  batterie  da  campagna  e  creazione  di  6  batterie  da  montagna;  scio- 
glimento dei  5  reggimenti  d'artiglieria  da  fortezza  e  dei  loro  depositi,  e  formazione  di 
22  brigate  autonome  da  costa  e  da  fortezza,  le  cui  compagnie  erano  state  portate  a  76.  Con 
legge  del  21  luglio  1902,  le  brigate  da  costa  e  da  fortezza  furono  nuovamente  riunite  in 
reggimenti. 

(')  Si  sanzionarono  le  disposizioni  dei  decreti-legge  del  novembre  1894  In  forza  di 
essi  era  stato  creato  il  5^  reggimento  genio,  separando  le  duo  specialità:  zappatori  e  mi- 
natori, ed  alleggerendo  i  due  primi  reggimenti  che  comprendevano  18  compagnie  e  co- 
stituivano corpi  di  difficile  comando.  Inoltre  era  stata  resa  autonoma  la  brigata  ferro>ieri, 
accrescendola  di  2  compagnie;  e  infine  creata  una  nuova  compagnia  specialisti. 

(*)  In  questo  periodo  furono  ministri  i  generali  seguenti:  Asinari  di  San  Marzano 
(14  dicembre  1897-4  maggio  1899);  Mirri  (14  maggio  1899-7  gennaio  1900)  Pelloui  (reg- 
gente 7  gennaio  1900-7  aprile  1900);  Ponza  di  S.  Martino  (7  aprile  1900-27  aprile  1902); 
Ottolenghi  (14  maggio  1902-29  ottobre  1903);  Pedotti  (3  novembre  1903-22  dicembre 
1905);  Mainoni  d'Intignano  (24  dicembre  1905-27  maggio  1906);  Vigano  (29  maggio 
1906-29  dicembre  1907). 


ESERCITO   ITALIANO  73 


d'individui  che  avevano  conseguito  il  diritto  airimpiego  civile  non  pote- 
vano ottenerlo  poiché  non  erano  disponibili  i  posti  occorrenti.  Per  rime- 
diare a  tale  stato  di  cose  furono  attuati  yarii  provvedimenti  legislativi, 
quali  la  legge  per  Tavanzamento  (luglio  1896),  che  stabilì  anche  i  li- 
miti massimi  di  età;  la  legge  per  la  promozione  straordinaria  di  400  te* 
nenti  di  fanteria  e  per  la  concessione  dell'aspettativa  speciale  ad  altret- 
tanti capitani  (luglio  1902);  le  numerose  modificazioni  alla  legge  sullo 
stato  dei  sottufficiali  (luglio  1902,  giugno  1904,  maggio  1905,  luglio  1906, 
luglio  1007,  luglio  1908),  coordinate  poi  tutto  in  un  testo  unico  pubblicato 
con  R.  D.  6  maggio  1909;  il  provvedimento  per  gli  ufficiali  inferiori  circa 
Taumento  degli  stipendi  e  la  sostituzione  deiraumento  quinquennale  al- 
Vaumento  sessennale,  e  circa  Tistituzione  del  congedo  provvisorio  (luglio  1904); 
le  altre  modificazioni  agli  stipendi  ed  agli  assegni  fìssi  degli  ufficiali 
(luglio  1908);  l'estensione  deiraspettativa  speciale  ai  capitani  di  tutto  le 
armi,  e  la  limitazione  a  15  anni  (dalla  data  di  anzianità  a  sottotenente 
effettivo)  della  permanenza  massima  degli  ufficiali  nei  gradi  subaltorni 
(luglio  1909). 

In  questo  medesimo  periodo  di  tempo  altre  disposizioni  legislative  de- 
terminarono un  mutomento  d'indirizzo  nell'entità  della  forza  media  alle  armi. 
La  chiamata  straordinaria  di  una  classe  di  leva  avvenuta  neirantunno  del 
1904  per  ragioni  d'ordine  pubblico,  dimostrò  come,  tanto  sotto  i  riguardi 
economici  quanto  sotto  quelli  organici,  non  fosse  consigliabile  il  tenere  per 
oltre  sei  mesi  dell'anno  la  forza  assottigliata  al  punto  da  essere  a  mala 
pena  sufficiente  al  disimpegno  dei  servizi  territoriali;  così  che  il  ministro, 
generale  Pedotti,  decise  di  chiedere  al  parlamento  i  fondi  necessari  per  un 
adeguato  aumento  della  forza  bilanciata.  Questo  aumento,  concesso  già  per 
l'esercizio  fìnanziario  1905-1906,  segnò  un  passo  importante  per  il  consolida- 
mento delle  istituzioni  militari,  al  quale  concorse  pure  notevolmente  la  legge 
15  dicembre  1907,  votata  durante  il  ministero  Vigano,  che  apporto  impor- 
tanti modificazioni  ai  criteri  per  l'assegnazione  alla  l^  2*  e  3^  catogoria  Q). 
Effetto  di  tale  legge  fu  infatti  un  notevole  accrescimento  nel  contingente  annuo 
incorporabile,  che  da  70,000  uomini  crebbe  a  circa  100,000  di  1^  categoria 
e  20,000  di  seconda. 

Nel  1899  (B.  D.  19  luglio)  venne  istituita  una  Commissione  suprema 
mista  per  la  difesa  dello  Slato  «  allo  scopo  di  dare  alla  difesa  stessa  unità 
d'indirizzo  e  carattere  di  stabilità,  promuovendo  e  mantenendo  tra  le  più 
elevate  autorità  dell'esercito  e  della  marina  il  voluto  a  palamento  nelle 
più  importanti  questioni  che  vi  si  riferiscono  ». 

(')  Raromentiamo  che  dal  1891  al  1907  la  seconda  categoria  era  di  fatto  sparita,  e 
che  anche  la  1*  categoria  era  scemata  notevolmente  d*anno  in  anno,  tanto  che,  mentre 
grincorporati  della  classe  1877  furono  101,068,  quelli  della  classe  1885  raggiunsero  ap- 
pena il  numero  di  77,856. 


74  FIORENZO   BAVA-BBCCARIS 


Nel  1906  (R.  D.  4  marzo)  furono  modificate  le  attribuzioni  del  capo 
di  stato  maggiore  dell'esercito,  stabilite  col  decreto  del  29  luglio  1899  (^). 

Tuttavia  i  bisogni  deiresercito  e  Tamministrazione  dei  bilanci  militari 
divennero  argomento  di  discussioni  sempre  più  vive  nel  parlamento  e  nella 
stampa  militare  e  politica;  cosicché  il  ministero  Giolitti  stabili  di  nominare 
una  commissione  parlamentare  per  indagare  suirorganizzazione  e  sulV ammini- 
strazione dei  servizi  dipendenti  dal  ministero  della  guerra.  Istituita  con  legge 
del  6  giugno  1907,  tale  commissione  fu  composta  di  sei  senatori  eletti  dal 
senato,  di  altrettanti  deputati  eletti  dalla  Camera,  e  di  cinque  membri  no- 
minati con  decreto  reale;  e  per  Tesecuzione  del  proprio  mandato,  ebbe 
facoltà  di  eseguire  tutte  le  indagini  reputate  opportune  per  l'accertamento  della 
verità,  con  poteri  eguali  a  quelli  attribuiti  dal  codice  di  procedura  penale  ai 
magistrati  inquirenti.  La  commissione  doveva  riferire  al  parlamento  entro 
un  anno  dalla  propria  costituzione;  ma  non  avendo  potuto  in  tale  tempo 
esaurire  il  compito  suo,  con  legge  28  giugno  1908  venne  prorogato  il  termine 
del  mandato  al  30  giugno  1909.  In  effetto,  le  relazioni  su  svariati  argomenti 
furono  presentate  a  mano  a  mano  che  ne  veniva  ultimato  lo  studio,  e  le  ultime 
lo  furono  soltanto  nel  luglio  1910  ('). 

Durante  l'amministrazione  del  senatore  Casana,  succeduto  il  29  dicembre 
1907  al  generale  Vigano,  fu  modificata  la  composizione  della  Commissione 


(')  Il  K.  D.  4  marzo  1906  ebbe  per  consegaenza  qd  accentramento  di  facoltà  sul- 
rnfficio  del  capo  di  stato  maggiore  il  quale  fa  elevato  alla  facoltà  di  stabilire  i  concetti 
fondamentali  a  cui  deve  informarsi  la  preparazione  alla  guerra  e  di  preparare  i  progetti 
di  operazione  da  svolgersi  dorante  e  dopo  la  radunata. 

(')  I  principali  argomenti  trattati  dalla  commissione  di  inchiesta  nei  vart  periodi 
furono  i  seguenti: 

1^  relazione  (17  maggio  1908):  Difesa  confini  —  Sedi  dei  reggimenti  —  Assegni 
degli  ufficiali  —  Carriere  degli  ufficiali  —  Giudizi  disciplinari  —  Heclami  —  Vettova- 
gliamento e  indennità  truppa  —  Stato  dei  sott*ufficiali. 

2*  relazione  (28  giugno  1908):  Nuovo  materiale  dei  cannoni  da  campagna. 

3*  relazione  (15  dicembre  1908)  :  Ordinamento  generale  deiresercito  e  delle  varie 
armi  —  Istruzione  della  truppa. 

4*  relazione  (26  maggio  1909)  :  Ferma  —  Operazioni  di  leva  —  Funzioni  dei  distretti 
—  Allievi  sergenti  —  Volontarii  di  un  anno  —  Ufficiali  in  congedo  —  Amministrazione 
generale  deiresercito  —  Questione  ippica  —  Stato  degli  impiegati  civili. 

5^  relazione  (21  dicembre  1909):  Amministrazione  centrale  della  guerra  —  Pensioni. 

6^  relazione  (22  marzo  1910):  Servizi  medico  e  farmaceutico  —  Cambii  di  corpo  e 
di  residenza  degli  ufficiali  —  Invenzioni  concernenti  Tarmamento  deiresercito. 

7*  relazione  (28  maggio  1910):  Questioni  relative  alPapplicazione  della  ferma  bien- 
nale —  Carabinieri  reali  —  Compagnie  costiere  —  Fabbricati  e  alloggi  militari. 

S""  relazione  (30  giugno  1910):  Contratti  —  Stabilimenti  d*artiglieria,  del  genio,  di 
commissariato  —  Istituto   geografico   militare   —   Professori    e   maestri   civili  —   Con 
clusione. 


ESERCITO   ITALIANO  75 


suprema  mista  per  la  difesa  delio  Staio  (*),  istituito  il  Consiglio  dell'eser- 
cito (*)  (R.  decreto  2  febbraio  1908)  e  modificate  ancora,  ampliandole.  le  at- 
tribuzioni del  capo  di  stato  maggiore  deiresercito  (R.  decreto  5  marzo  1908). 
TI  27  marzo  1909  il  ministro  stesso  presentò  al  senato  il  nuovo  disegno  di 
legge  sullo  stato  degli  ufficiali  ;  ed  il  29  dello  stesso  mese,  alla  Camera  dei 
deputati,  quello  recante  modificazioni  al  testo  unico  delle  leggi  d'ordinamento 
deiresercito  e  dei  serviz!  dipendenti  dell* amministrazione  della  guerra.  Ma  es- 
sendosi poi  il  ministro  Gasana  ritirato  dal  governo  (4  aprile  1909),  tali  disegni 
di  legge  non  giunsero  alla  discussione. 

Il  successore,  generale  Spìngardi,  proponendosi  di  ripresentarli  dopo 
averli  modificati  con  alcuni  emendamenti,  ne  stralciò  subito  le  disposizioni 
riflettenti  gli  alpini,  la  cavalleria  e  Tartiglieria  da  montagna.  Infatti,  con 
legge  del  15  luglio  1909,  vennero  costituiti  5  nuovi  reggimenti  di  caval- 
leria, togliendo  uno  squadrone  a  ciascuno  degli  esìstenti  ;  aumentate  le  bat- 
terie da  montagna  da  15  a  24,  e  riordinate  in  due  reggimenti;  formato  un 
nuovo  reggimento  di  alpini  con  elementi  tolti  agli  altri  e  con  la  creazione 
di  tre  nuove  compagnie.  La  brigata  specialisti  del  genio,  che  fin  allora  aveva 
fatto  parte  del  8^  reggimento,  venne  costituita  in  ente  autonomo. 

Con  legge  del  80  giugno  1910,  conseguente  a  quella  del  15  di- 
cembre 1907,  che  aumentava  il  contingente  annuo,  venne  stabilita  la  ferma 
di  due  anni,  e  il  17  luglio  1910  fu  promulgata  la  legge  riflettente  Tordina- 
mento  generale  deiresercito,  legge  la  quale  non  fece  che  ritoccare  e  am- 
pliare Tordinamento  precedente  secondo  le  nuove  necessità  imposte  dalla 
tecnica  militare. 

In  tal  proposito  Ton.  Di  Saluzzo,  nella  relazione  precedente  al  disegno 
di  legge,  aveva  osservato  che  un  esercito  vive  la  vita  stessa  della  nazione 
che  lo  ha  creato,  e  risente  in  sé  quel  vario  moto  che  le  correnti  speciali 
attivano  nel  paese;  ma  esser  necessario  che  tale  moto  sia  seguito  senza  sbalzi 
repentini,  e  l'esercito  non  divenga  libero  campo  alle  fantasie  sconvolgitrici 
di  innovatori. 

Questo  concetto  fu  confermato  nella  relazione  del  ministro  Spingardi, 
presentata  al  Senato  il  29  giugno  1910:  «...  a  costo  anche  di  sacrificare 
personali  convincimenti  sul  migliore  assetto  ideale  dell'esercito  nostro,  nessuno 
sconvolgimento  si  vuol  ora  portare  al  suo  ordinamento,  reso  ormai  tradizio- 
nale da  una  quasi  trentennale  esistenza;  si  vogliono  soltanto  rafforzare  e 
completare  quelle  parti  che  col  tempo  si  sono  palesate  deficienti,  sviluppare 

(*)  Ne  Tennero  chiamati  a  far  parto  il  presidente  del  consiglio  dei  ministri,  i  mi- 
nistri della  gaerra  e  della  marina  e  i  due  capi  di  stato  «maggi  ore  deiresercito  e  della  marina. 

(')  Il  Consiglio  deiresercito  ebbe  per  compito  di  illaminare  il  ministro  salle  più 
importanti  questioni  deirordinamento  militare,  e  faron  chiamati  a  fame  parte  gli  ufficiali 
generali  designati  per  un  comando  d*armata,  il  capo  di  stato  maggiore  deiresercito,  il 
ministro  e  il  sottosegretario  di  Stato  alla  guerra. 


76  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


i  servizi  ora  insoiTereuti,  allargare  i  quadri  degli  ufficiali  per  un  migliore 
inquadramento,  seguire  insomma  ì  progressi  dei  principali  eserciti  esteri,  pur 
senza  abbandonarsi  a  gare  di  competizione  che  stremerebbero  le  nostre  fi- 
nanze e  si  risolverebbero  in  definitiva  nel  fiaccare  anziché  rinvigorire  le  forze 
vive  del  paese  »  (*). 

Le  principali  innovazioni  introdotte,  furono: 

Alto  comando.  —  Costituzione,  in  modo  permanente,  di  quattro  co- 
mandi d'armata  (').  Riconoscimento  legale  della  Commissione  suprema  mista 
per  la  difesa  dello  Stato^  e  del  Consiglio  deWesercito. 

Arma  di  fanteria: 

1®.  Trasformazione  dell*  ispettorato  d^Ii  alpini  in  [spettoralo  delle 
truppe  da  montagna  (^),  e  dei  tre  comandi  di  gruppo  alpino  in  altrettanti 
comandi  di  brigata  alpina. 

2^.  Formazione  di  12  battaglioni  ciclisti;  conseguente  mutamento 
nella  composizione  dei  reggimenti  bersaglieri  che  risultarono  così  costituiti 
di  4  battaglioni  dì  3  compagnie  ciascuno. 

3"*.  Assegnazione  ad  ogni  reggimento  di  fanteria  di  linea  e  di  alpini 
di  un  nucleo  di  milizia  mobile. 

(')  L^ordinameiito  generale  in  12  corpi  d*armata  e  25  divisioni  territoriali  non  venne 
infatti  modificato.  Si  ventilò  il  progetto  di  togliere  alle  divisioni  le  incombenze  territo- 
riali per  affidarle  ai  comandi  di  corpo  d^armata,  lasciando  alle  prime  il  solo  compito  di 
vigilare  Tistruzione  delle  truppe  e  Taddestramento  dei  reparti  delle  diverse  armi  da  esse 
dipendenti.  Ma  la  commissione  parlamentare,  esaminatrice  del  progetto  di  legge,  non  trovò 
conveniente  tale  mutamento  che  avrebbe  aumentato  il  lavoro  dei  comandi  di  corpo  d*armata 
favorendo  Taccentrameato  amministrativo  che  si  voleva  appunto  ridurre  La  relazione  della 
commissiono  medesima  aggiunse,  che  solo  nel  caso  in  cni  venissero  soppressi  i  Comandi 
di  brigata,  potrebbe  esser  conveniente   togliere  alle  divisioni  le  attribuzioni   territoriali. 

Così  pure  l'idea  di  sopprimere  il  corpo  di  stato  maggiore  ponendo  in  suo  luogo 
ufficiali  in  serviiio  di  stato  maggioret  come  in  Francia,  non  fu  approvata  dalla  commis- 
sione la  quale  si  augurò  che  si  provvedesse  «  a  un  più  equo,  logico  e  illuminato  sfrut- 
tamento deiringcgiio  e  deirattività  degli  ufficiali  che  al  corpo  appartengono,  tnppo  spesso 
impiegati  in  lunghe  e  penose  mansioni  burocratiche  e  sottratti  a  quel  contatto  con  le 
truppe  per  essi  cos\  benefico  e  da  essi  cosi  vivamente  desiderato  nel  proprio,  ben  inteso, 
interesse  professionale  ». 

(')  Neirordinamento  precedente,  i  tenenti  generali,  che  in  tempo  di  guerra  dovevano 
assumere  i  comandi  di  armata,  erano  semplicemente  designati  fra  i  comandanti  di  corpo 
d*armata.  Tale  sibteraa,  oltre  che  condurre  al  grave  inconvenionte  d'uno  spostamento  nei  ti- 
tolari dei  più  elevati  comandi  all'atto  della  mobilitazione,  non  consentiva  a  tali  ufficiali 
di  dedicare  tutti  la  loro  attività  airelevatissimo  ufficio  cui  erano  destinati,  perchè  assor- 
biti di  continuo  nelle  cure  del  comando  del  corpo  d^armata. 

(3)  Coirordinamento  precedente,  le  sole  truppa  alpine  avevano  un  ispettore  a  sé, 
mentre  Tartiglieria  da  montagna  dipendeva  dall'ispettorato  rispettivo.  Un  unico  ispettorato 
delle  truppe  da  montagna  permette  dì  provvedere  alle  complesse  necessità  di  un'armo- 
nica preparazione  alla  guerra  in  quelle  regioni. 


ESERCITO   ITALIANO  77 


4^.  Assegnazione  ai  depositi  di  fanteria  della  formazione  dei  reparti 
di  milizia  territoriale. 

Arma  di  cavalleria.  —  istituzione  di  tre  comandi  permanenti  di 
divisione  di  cavalleria. 

Formazione  di  squadroni  di  rimonta  presso  i  depositi  di  allevamento 
cavalli. 

Arma  di  artiglieria.  —  Gostitnzione  di  un  Ispettorato  generale^  com- 
posto degli  ufficiali  generali  ispettori  dirigenti  gli  studi  relativi  alle  varie 
specialità  d'arma  e  di  servizio  ('),  e  di  un  ispettorato  delle  costruzioni  di 
artiglieria  ('). 

Aumento  di  tre  comandi  di  artiglieria  da  campagna,  e  di  un  comando 
di  artiglieria  da  foi-tezza. 

Ripartizione  deirartiglieria  da  campagna  in  36  reggimenti  (12  di  corpo 
d'armata  di  6  batterie,  e  24  di  divisione  di  5  batterie,  e  1  di  deposito).  Ri- 
costituzione delle  sette  batterie  trasformate  in  addietro  in  batterie  da  mon- 
tagna ;  formazione  di  24  batterie  dì  deposito  per  fornire  gli  elementi  essen- 
ziali alle  batterie  di  milizia  mobile. 

Costituzione  di  due  batterie  a  cavallo,  riducendo  le  esistenti  da  6  a 
4  pezzi. 

Creazione  di  due  reggimenti  di  artiglieria  pesante  da  campo  di  20  bat- 
terie in  totale. 

Ripartizione  delVartiglieria  da  fortezza  e  da  costa  in  10  reggimenti, 
denominati  tutti  «  da  fortezza  >  (di  cui  uno  più  particolarmente  adoperato  per 
il  servizio  d'assedio),  e  creazione  di  15  nuove  compagnie. 

Abolizione  degli  ufficiali  delle  fortezze. 

Suddivisione  del  personale  dell'arma  in  due  categorie,  dei  combattenti 
e  dei  tecnici,  con  ruoli  distinti  (^)  ;  istituzione  di  un  corso  superiore  tecnico 
di  artiglieria  (legge  10  luglio  1910). 

Modificazioni  negli  organici  del  personale  civile  (ragionieri  d'artiglieria 
e  capi  tecnici). 

(*)  Coirordinamento  preesìstente,  gli  ispettori  delle  diverse  specialità  d*anna  e  di 
seirisio  costituivano  enti  separati,  qnasi  indipendenti  dallHspettorato  generale,  tanto  che 
nel  progetto  di  legge  presentato  dal  senatore  Gaaana  questa  carica  era  soppressa  e  gli 
ispettori  speciali  venivano  posti  alla  dipendenza  del  capo  di  stato  maggiore  deiresercito. 
CoU*ordinamento  Spingardi,  invece,  gli  ispettori  di  artiglieria  non  hanno  più  distinzione 
specifica  fra  di  loro,  e,  collegialmente  riuniti,  formeranno  la  commissione  permanente 
degli  ispettori  di  artiglieria. 

(')  L'aver  lasciato  distinto  V  ispettorato  delle  costruzioni,  deriva  dal  criterio  per  cui 
neirarma  si  è  proceduto  ad  una  radicale  separazione  del  ramo  tecnico  dal   combattente. 

(*)  Il  servizio  tecnico  comprenderà  un  personale  di  ufficiali  specialmente  preparati 
alle  funzioni  di  costruttori  d'artiglieria,  con  molo  e  gerarchia  propria,  i  quali  dovranno 
aver  compiuto  un  corso  tecnico  superiore,  e  prestato  per  due  anni  servizio  negli  stabilimenti. 


78  FIORENZO   BAVA-BECCAKIS 

Arma  del  qenio.  —  Costituzione  di  un  ispettorato  generale  del  genio, 
analogo  a  quello  dell'artiglieria. 

Aumento  di  un  comando  territoriale  del  genio. 

Creazione  di  tre  compagnie  telegrafisti  e  di  tre  compagnie  specialisti. 

Trasformazione  della  brigata  ferrovieri  in  reggimento,  colFaggiunta  di 
due  compagnie  automobilisti. 

Modificazione  negli  organici  del  personale  civile  (ragionieri  geometri  e 
capi  tecDici). 

Distretti.  —  Trasformazione  dei  distretti  in  semplici  distretti  di  re- 
clutamento, sopprimendo  tutte  le  funzioni  finora  disimpegnate,  relative  alla 
mobilitazione  (formazione  della  milizia  territoriale  e  requisizione  quadrupedi). 

Con  altre  leggi  venne  completamente  trasformato  Tordinamento  ammi- 
nistrativo deiresercito,  abolendo  le  masse  dei  corpi,  degli  istituti  e  degli 
stabilimenti  militari,  nonché  le  masse  individuali  (^),  provvedendo  direttamente 
ai  pagamenti  delle  truppe  e  dei  servizi  con  gli  stanziamenti  aunuali  di 
bilancio. 

Fu  pure  stabilito  un  fondo  di  riserva  sul  quale  il  ministero  potrà,  in  caso 
d' insufficienza  di  crediti,  fare  dei  prelevamenti,  e  venne  concessa  al  ministero 
stesso  la  facoltà  dì  ottenere  in  casi  di  bisogni  eccezionali,  non  previsti  in  bi- 
lancio, l'apertura  d*un  credito  sulla  tesoreria  generale,  mediante  decreti  reali. 

Di  più,  venne  mutato  l'ordinamento  del  personale  militare  ammmistra- 
tivo,  sostituendolo  con  un  corpo  di  commissariato  per  sovraintendere  ai  ser- 
vizi di  amministrazione  generale  e  particolare,  ai  servizi  della  sussistenza, 
del  casermaggio,  del  vestiario,  e  con  un  corpo  di  amministrazione  per  la  te- 
nuta dei  conti  presso  determinati  reparti.  Nel  corpo  di  commissariato  poi, 
furono  compresi  ufficiali  delle  sussisterne  militari^  con  limitata  gerarchia 
e  con  ruoli  a  parte. 

Riassumendo,  quando  Tordinamento  previsto  dalla  legge  del  17  luglio 
1910  sarà  completamente  attuato,  la  formazione  organica  dell'esercito  di 
pace  sarà  la  seguente  (')  : 

(')  Le  masse  erano  alimentate  dalVassegno  del  soldato  ed  avevano  la  funzione  di 
provvedere  a  tutti  i  var!  servizi  stabiliti  per  il  mantenimento  dei  soldati  e  dei  quadru- 
pedi di  truppa:  servizi  dandole  generale  o  dMnteresse  collettivo  {maèza  generale)^  wx'^ìzì 
del  vitto  (waMfl  rancio),  servizio  del  corredo  {mussa  vestiario),  servizio  mantenimento 
quadrupedi  {massa  cavalli),  ecc.  Le  masse,  introitando  gli  assegni  fissi  e  spendendo  quanto 
occorreva  per  provvedere  ai  vari  servizi,  generavano  un  credito  o  un  debito,  secondo  il 
costo,  sul  mercato,  dei  diversi  generi.  Ora  da  parecchi  anni,  essendo  il  costo  stesso  aumen- 
tato, e  rassegno  del  soldato  essendo  invece  rimasto  stazionario,  le  masse  erano  assotti- 
gliate, precipitando  in  un  deficit  che  non  potevano  più  riparare  colle  sole  proprie  risorse. 
Di  qui  la  necessità  di  leggi  speciali  che  sanassero  questo  debito. 

Cj  Vedi  :  Tabelle  graduali  numeriche  e  di  formazione  del  B.  Esercito  (1910,  bozze 
di  stampa). 


ESERCITO   ITALIANO 


79 


CORPI 


Battaglioni 


Compagnie» 
Squadroni 
0  Batterio 


PKBSONALE 


UlBcUli 


Truppa 


CaTalli 
di  truppa 


Case  militari  di  S.  M.  il  Re  e  dei 
RR.  Principi 

Comando  del  corpo  di  stato  mag- 
giore  

Comandi  territoriali: 

12  corpi  d*armata 

25  divisioni 

Carabinieri  : 

Comando  generale  deirarma  . 

11  legioni  territoriali.    .    .    . 

1  legione  allievi 

Fanteria  : 

Ispettorato  troppe  da  montagna 

48  comandi  di  brigata  e  8  co- 
mandi di  brigata  alpina 

2  reggimenti  granatieri . 
94  reggimenti  di  linea    . 

12  reggimenti  bersaglieri 
8  reggimenti  alpini     .    . 

Cavalleria: 

l  ispettorato  generale  di  caval- 
leria   

8  comandi  di  divisione  di  caval- 
leria  

8  comandi  di  brigata  di  caval- 
leria   

29  reggimenti  di  cavalleria.    . 

4  depositi  allevamento  cavalli 

7  depositi  eavalli  stalloni  .    . 

Artiglieria: 

1  ispettorato   generale   d*  arti- 
glieria   

1  ispettorato  delle  costruzioni 
d*artiglieria 


6 

282 

48 

26 


24 

1,129 

144 

78 


145 


19 


90 


108 
185 


10 

668 

46 


102 
180 
6,062 
792 
546 


16 

1.060 

40 

14 


18 


13 


27,750 
2,251 


2,558 

120,839 

13,872 

18,484 


25,888 
480 


584 


8,460 
268 


14 
920 
114 
820 


23,107 


80 


FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


CORPI 


Battaclloai 


Conpagiiitt, 
Squdnmi 
0  Battone 


PERSONALE 


UffioUli 


Trappa 


CaraUi 
di  troppa 


Segue  Artiglieria: 

Una   direzione  delle  esperienze 
d'artiglieria 

9  comandi  d*art.  da  campagna 

4  comandi  d^artigl.  da  fortezza 

13  direzioni  d'artiglieria.    .    . 

36  reggimenti   d'artiglieria  da 
campagna  (^) 

1  reggimento     d'artiglieria    a 
carallo  (*) 

2  reggimenti  d'artiglieria  cam- 
pale pesante  

2  reggimenti    d'artiglieria   da 
montagna  .    . 


•    •    • 


10  reggimenti   d'artiglieria  da 
fortezza 

Stabilimenti  d'artiglieria     .    . 

Genio: 

1  ispettorato  del  genio  .    .    . 

2  comandi  del  genio  .... 

12  direzioni  del  genio    .    .    . 

2  reggimenti  del  genio  zappa- 
tori (•)  

1  reggimento   del   genio   tele- 
grafisti (•) 


1  reggimento   del    genio    pon- 
tieri (») 

1  reggimento  del  genio   mina- 
tori («) 

1  reggimento  del  genio  ferro- 
rieri  (') 

1  battaglione    del  genio   spe- 
cialisti (*) 


Stabilimenti  del   genio    . 


5 
4 
4 
3 


222 
12 

20 
24 
98 


27 

17 
13 
13 

8 
6 


4 

18 
12 
72 

1,867 

68 

118 

148 

498 
61 

12 
19 

128 

125 

83 

65 

64 

59 

43 
5 


24,290 


1,406 


1,828 


3,789 


11,735 


2,814 
2,262 
1,480 
1,063 
1,381 
889 


15,350 


1,054 


842 


1,878 


44 


142 

82 
129 
115 

12 

80 


(*;  Comprese  36  compagnie  treno.  —  (■)  Comprese  4  compagnie  treno.  —  (•)  Com- 
prese 3  compagnie  treno.  —  (^)  Comprese  2  compagnie  treno.  —  (*)  Comprese  2  compa- 
gnie lagunari  e  3  compagnie  treno.  —  (*)  Compresa  una  compagnia  treno.  —  (^)  Com- 
prese 2  compagnie  automobilisti  ed  una  sezione  per  esercizio  di  linea.  —  (*)  Compiete 
una  compagnia  operai  ed  una  compagnia  treno. 


ESERCITO   ITALIANO 


81 


BfttUffUoni 

Compagnia, 
Squdnmi 

PERSONALE 

Caralli 

CORPI 

0  Batterie 

Ufficiali 

Tmppa 

di  troppa 

88  distretti  di  reclutamento  .    . 

«^M» 

551 

«^ 

____ 

Corpo  invalidi  e  Teteraui  .    .    . 

— 

2 

11 

— 

Sanità  : 

1  ispettorato  di  sanità    .     .    . 

— 

9 

— 

12  direzioni  di  sanità     .    .     . 

— 

24 

— 

27  direzioni  di  ospedali   prin- 
cipali, 3   direzioni  di  ospe- 
dali   snccursali,   12   compa- 
gnie di  sanità 

12 

346 

3,652 

Commissariato  : 

1  ispettorato  dei  servizi  di  com-   1 
missarìato f 

12  direzioni  di  commissariato,  / 
stabilimenti  vari,  e  12  com-  1 
pagnie  di  sussistenza  .    .    .    i 

12 

529 

3  819 

18 

Scuole  militari 

— 

429 

1,921 

1,158 

Personale  della  giustizia  militare 

^^^ 

21 

— 

Istituto  geografico  militare     .    . 

— 

11 

— 

Stabilimenti  militari  di  pena.    . 

1 

1 

49 

332 

— 

Nota,  —  I  213  ufficiali  veterinari,  componenti  il  corpo  veterinario  militare,  sono 
compresi  nel  numero  degli  ufficiali  dei  vari  comandi,  direzioni  e  corpi. 

Tale  forza  organica  raggiunge  i  272,629  uomini,  ma  la  forza  bilanciata 
è,  di  fatto,  inferiore  a  tale  ci&a.  Infatti  il  bilancio  1911-912  (^)  provvede  a 
mantenere  alle  armi,  durante  l'esercizio,  240,000  nomini,  ossia  32,629  uomini 
in  meno  della  forza  organica  (97,97  Vo)-  Limitando  il  paragone  alle  quattro 
armi  combattenti,  si  hanno  i  seguenti  rapporti: 


FOB 

ZA 

DiFFBRBNZA 

organica 

biUncUU 

MBOlntA 

percentuale 

Fanteria    .    .     . 

.     152.543 

132.819 

— 19.724 

— 12.93 

Cavalleria .    .     . 

.      26.189 

22.110 

—   4.079 

— 15.58 

Artiglieria.     .    . 

.      43.259 

36.948 

—  6.316 

— 14.61 

Genio    .... 

.      10.430 

9.216 

—    1.214 

—  11.64 

Totali    . 

.    232.421 

201.088 

—  31.333 

—  12.62 

(^)  Veggasì  Allegato  n.*  2  allo  «  Stato  di  previsione  della  spesa  del  ministero  deUa 
guerra  per  TeserciKio  finanziario  191 1-12  «.  La  forza  organica  in  esso  riportata  non  cor- 


Fiorenzo  Bava-Bbooab».  —  Esercito  italitmo  eco. 


82  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

La  differenza  rappresenta  una  minore  forza  di  16  uomini  circa  nelle 
compagnie  di  fanteria,  28  o  29  uomini  negli  squadroni,  20  nelle   batterie,  | 

12  nelle  compagnie  del  genio.  \ 

La  differenza  non  sarebbe  troppo  sensibile  se  gli  organici  non  fossero 
già  assottigliati  tanto,  da  rimanere  inferiori  a  quelli  degli  altri  eserciti 
europei;  ma  Taumento  di  81,000  uomini,  quanti  ne  occorrono  per  mante- 
nere sotto  le  armi  la  forza  organica,  importerebbe  una  maggiore  spesa  di 
circa  18  milioni. 

Airatto  della  guerra  l'ordinamento  deiresercito  non  muta  nelle  sue  linee 
generali:  i  corpi  si  completano  con  le  classi  richiamate  dal  congedo  e  coi 
cavalli  precettati  o  requisiti  ;  le  grandi  unità  si  costituiscono  in  massima  con 
gli  stessi  corpi  da  cui  sono  formate  le  corrispondenti  unità  territoriali,  alle 
quali  saranno  tolti  o  aggiunti  quegli  elementi  che  eccedono  o  difettano  alla 
formazione  di  guerra. 

La  legge  ultima  sulV ordinamento  deiresercito,  a  differenza  della  prece- 
dente (Oi  non  fissa  il  numero  delle  unità  di  milizia  mobile  e  di  milizia  ter- 
ritoriale, che  verranno  costituite  all'atto  della  mobilitazione  :  onde,  per  otte- 
nere la  forza  approssimativa  di  guerra,  giova  meglio  presentare  in  uno  specchio 
quella  (')  delle  classi  istruite,  rispettivamente  ascritte  alFesercito  perma- 
nente, alla  milizia  mobile  e  alla  milizia  territoriale,  nel  mese  di  luglio  1910: 


risponde  esattamente  a  qaella  indicata  nelle  tabelle  graduali  numeriche  dalle  quali  fu 
estratto  il  prospetto;  ma  la  differenza  è  di  lieve  entità  e  dipende  dalVepoca  diversa  in 
coi  Tennero  pubblicati  i  due  documenti. 

(')  La  legge  suirordinameuto  deiresercito,  del  29  giugno  1882,  modificata  da  quella 
del  28  giugno  1897,  fissava  la  forza  seguente  per  le  unità  di  milizia  mobile  e  di  milizia 
territoriale  : 

Milizia  mobile:  Fanteria,  battaglioni  153;  Bersaglieri,  battaglioni  20;  Alpini,  bat- 
taglioni 88;  Cavallerìa,  squadroni  31;  Artiglieria,  batterìe  da  campagna  63,  batterìe  da 
montagna  15,  compagnie  da  fortezza  78,  compagnie  treno  24  ;  Genio,  compagnie  54,  com^ 
pagnie  treno  4. 

Milizia  territoriale:  Fanteria,  battaglioni  234;  Alpini,  battaglioni  75;  Artiglierìa^ 
compagnie  100;  Genio,  compagnie  30. 

(')  La  forza  delle  classi  in  congedo  venne  desunta  dalle  «  Relazioni  sulla  leva  di 
terra  n  annualmente  pubblicate  dal  ministero  della  guerra. 

Per  ridurre  la  forza  stessa  a  quella  approssimativa  di  guerra  fu  tolto  il  20  per  cento 
dal  numero  degli  assegnati  alPesercito  permanente  e  alla  milizia  mobile,  ed  il  30  per  centa 
dal  numero  degli  assegnati  alla  milizia  territoriale. 


ESERCITO   ITALIANO 


88 


CLASSI 


FORZA 


I 
Categoria 


II 
Categoria 


CLASSI 


FORZA 


Catogoria 


II 
Catogorla 


Esercito  Permanente 

Sotto  lb  armi  (^) 

1889 

1888 

In    CONGEDO   ILLIMITATO 


93,000 
80,000 


1887 
1886 
1885 
1884 
1888 
1882 
1881 


15,000 
15,000 


70,000 
54,000 
62,000 
65,000 
69.000 
80,000 
80,000 


Milisla  Mobile 


1880 
1879 

1878 
1877 


67,000 
75,000 
80,000 
81,000 


Totale. 


653,000 


30,000 


Totale  . 


Milizia  Territoriale 


1876 
1875 
1874 
1873 
1872 
1871 


303,000 


Totale  . 


55,000 
67,000 
57,000 
51,000 
67,000 
60,000 


357,000 


In  complesso,  adnnque,  la  potenzialità  deiresercito  italiano  di  guerra  ò 


N. 


14,000 


la  seguente: 

Esercito  permanbntb: 

nfBciali  in  servizio  attivo  permanente 
Id.  in  posizione  di  servizio  ausiliario 

e  di  complemento 

SottnflBciali  e  raffermati 

Carabinieri 

Classi  alle  armi 

Classi  in  congedo 

Totale  .    .    . 

Milizia  mobile 

Milizia  territoriale  (compr.  gli  ufSciali) 

Totale  generale    •    <,    . 


(^)  L^aumento  notevole  nella  forza  delle  classi  del  1888  e  1889  è  doTuto  alla  legge 
del  10  dicembre  1907,  che,  diminuendo  le  esenzioni,  accrebbe  notevolmente  il  contingente 
annao  assegnato  alla  1^  e  alla  2*  categoria. 


» 

16,000 

11 

17,000 

9 

25,000 

9 

203,000 

» 

450,000 

N. 

725,000 

9 

308,000 

9 

366.000 

N. 

1,893,000 

84  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


forza  beD  rilevante  se  posta  a  confronto  con  quanto  T  Italia  poteva  porre  in 
armi  nel  1861  (200  mila  uomini  circa)  e  nel  1870  (600  mila  uomini  circa). 
Ma  gli  enormi  eserciti  moderni,  espressione  della  nazione  armata,  ri- 
chiedono una  preparazione  tecnica  molto  accurata,  sia  per  Tistruzione  delle 
truppe  durante  la  pace,  sia  per  l'inquadramento,  la  rapida  raccolta  e  la  ri- 
partizione di  queste  masse,  che  in  tempo  brevissimo  dovi-anno  essere  armate 
e  traspoiiate  al  luogo  di  radunata:  quindi  le  più  meticolose  cure  debbono 
essere  consacrate  in  tempo  di  pace  alla  provvista,  alla  buona  conservazione 
ed  alla  ordinata  distribuzione  dei  materiali  occorrenti,  armi  poiiiatili,  cannoni, 
equipaggiamento  ;  è  indispensabile  inoltre  che  le  ferrovie  siano  tali,  per  ubi- 
cazione e  potenzialità,  da  permettere  il  sollecito  concentramento  di  tutte 
queste  masse  sul  teatro  della  guerra.  E  importa  sopra  tutto  che  il  paese 
sia  preparato  moralmente  alla  guerra  con  una  educazione  virile  della  gio- 
ventù, che  vuole  essere  inspirata  a  retti  principii  di  disciplina  e  d'ordine,  e  di 
amore  alle  istituzioni  militari  e  patrie. 


VII. 
I  bilanci  militari  dal  1882  al  1910. 

Condizioni  del  bilancio  alla  costituzione  del  regno  d*Italia.  —  Le  spese  per  la  guerra 
del  1866.  —  Riduzioni  successive  del  bilancio.  —  La  prima  amministrazione  Ricotti. 
—  Gli  aumenti  dal  1876  al  1888-1889.  —  Le  riduzioni  del  1890.  —  Le  spese 
d'Africa.  —  Il  bilancio  consolidato  del  1897.  —  L'ascensione  del  bilancio  dal  1900 
in  poi. 

Qua  e  là,  nel  corso  di  questo  studio,  si  è  accennato  all'influenza  delle 
condizioni  generali  economiche  del  paese  sul  bilancio  militare  e  alle  conse- 
guenze che  ne  subì  l'ordinamento  generale  dell* esercito.  Si  crede  ora  conve- 
niente di  riassumere  con  dati  di  fatto  ciò  che  frammentariamente  si  è  esposto, 
per  dare  un'idea  complessiva  di  quanto  il  paese,  in  cinquantanni,  dedicò 
alle  proprie  istituzioni  militari  terrestri. 

Il  regno  dltalia,  all'atto  della  sua  formazione,  ereditò  dagli  antichi 
Stati  una  somma  di  oneri  effettivi,  di  gran  lunga  maggiori  delle  risorse  delle 
quali  gli  Stati  stessi  eran  capaci  ;  i  debiti  contratti  per  le  guerre  intraprese 
e  le  spese  per  il  mantenimento  dell'esercito,  pressoché  continuamente  sul 
piede  di  guerra,  sia  per  la  repressione  del  brigantaggio,  sìa  per  la  prepara- 
zione delle  nuove  lotte  per  la  redenzione  delle  terre  ancora  in  possesso  dello 
straniero,  contribuirono,  non  in  piccola  misura,  a  mantenere,  in  quei  primi 


ESERCITO  ITALIANO  85 


anni  di  vita  del  nuovo  regno,  il  sensibilissimo  squilibrio  fra  le  entrate  e  le 
spese  effettive  (0- 

Infatti,  il  primo  bilancio  del  regno  d* Italia,  quello  deiranno  1862,  si 
chiuse  con  un  disavanzo  effettivo  di  oltre  446  milioni,  che  venne  attenuan- 
dosi, a  grado  a  grado,  fino  al  1865. 

In  questo  periodo  le  spese  militari  ordinarie  si  mantennero  tra  i  197 
milioni  (1863)  e  i  144  (1867);  le  straordinarie  (')  salirono  complessiva- 
mente a  260  milioni. 

La  guerra  per  la  liberazione  della  Venezia  costò  circa  330  milioni  (^). 

Gessata  la  guerra,  le  spese  straordinarie  vennero  grandemente  ridotte; 
le  ordinarie  si  aggirarono  intorno  ai  150  milioni  annui:  e  nel  1869,  le  une 
e  le  altre,  complessivamente,  ammontarono  a  circa  184  milioni. 

Tale  diminuzione  dei  bilanci,  sebbene  dovuta  ad  imprescindibili  neces- 
sità economiche,  ridusse  l'esercito  ad  un  punto  tale  che,  come  venne  detto  a 
suo  tempo,  l'Italia,  nel  1870,  non  si  trovò  in  condizioni  di  poter  affrontare 
una  campagna  di  guerra. 

Condotta  a  compimento  la  grande  impresa  politica  dell'uBÌtà  nazionale, 
si  iniziò  il  periodo  dell'assetto  finanziario  dello  Stato,  e  il  disavanzo  venne 
riducendosì  a  poco  a  poco.  Durante  la  prima  amministrazione  del  generale 
Ricotti  (1871-1876),  il  bilancio  ordinario  oscillò  fra  i  150  e  i  160  milioni; 
i  principali  crediti  straordinari  vennero  concessi  con  le  leggi  del  16  giugno 
1871,  26  aprile  e  12  luglio  1872,  29  giugno  1875,  per  un  complesso  di 
123  milioni. 

Nel  1871  la  commissione  presieduta  da  S.  A.  It.  il  Principe  di  Cari- 
guano,  commissione   alla  quale  si  ò  accennato   nel   corso  di  questo    studio. 


(')  Ragioneria  generale  dello  Stato:  «11  bilancio  del  regno  d*italìa  negli  esercizi 
finanziari  dal  1862  al  1900  »,  pag.  9. 

(')  Le  spese  ordinarie  sono  qnelle  di  carattere  permanente,  perchè  dipendenti  da 
necessità  invariabili  dei  vari  servizi;  le  straordinarie  sono  quelle  occorrenti  anno  peranno 
per  lavori,  servizi  e  provviste  non  di  carattere  normale  e  permanente,  come  nuove  forti- 
ficazioni, rinnovamento  di  materiali  d*artiglieria,  rinnovamento  d*anni  portatili,  ecc. 

(')  Infatti,  le  spese  straordinarie  militari,  in  dipendenza  della  guerra,  furono: 

Spese  autorizzate  dalla  legge  1*^  maggio  1866,  n.  2872,  ed  inscritte 
in  bilancio  con  i  decreti  20  maggio  1866,  n.  8010;  7  giugno  1866,  n.  3385; 
14  giugno  1866,  n.  8009 L.  196.134.710 

Spese  autorizzate  dalla  legge  28  giugno  1866,  n.  2987,  ed  inscrìtte  in 
bilancio  con  i  decreti  4  luglio  1866,  n.  3061  ;  l""  agosto  1866,  n.  3145  ; 
l""  agosto  1866,  n.  3146;  8  settembre  1866,  n.  3205;  29  settembre  1866, 
n.  3255;  2  dicembre  1866,  n.  3483 L.  213.492.500 


Totale    .    .    .    L.  409.627.210 

Deduzione   per   annullamenti    di   spese   disposti  con  i  decreti   29   set- 
tembre 1866,  n.  3255,  e  2  dicembre  1866,  n.  3485 L.    80.900.000 

Spe^a  totale  risultante n    328.727.210 


\ 


I 

86  FIORENZO   BAVA-BECCARIS  ! 

■ 

presentò  un  piano  completo  per  la  difesa  dello  Stato,  la  cui  attuazione  avrebbe 
richiesto  una  spesa  di  400  milioni.  Non  essendo  il  bilancio  generale  in  grado  ' 

di  fronteggiarla,  il  governo  si  limito  a  chiedere,  in  via  straordinaria,  152  mi- 
lioni; dei  quali  la  metà,  circa,  destinati  ai  bisogni  dell'esercito  combattente, 
Taltra  metà  alle  fortificazioni.  Sebbene  il  disegno  di  legge  relativo  fosse 
approvato  dalla  Camera,  il  ministro  delle  finanze,  on.  Minghetti,  domandò, 
durante  la  discussione  al  senato,  la  sospensiva  di  ogni  deliberazione  per 
quanto  riguardava  le  fortificazioni,  per  le  quali  erano  già  stato  concesse 
L.  33.800.000  il  12  luglio  1872.  Il  senato,  con  ordine  del  giorno  del  ge- 
nerale Cialdini,  acconsentì,  raccomandando  al  governo  di  presentare  le  stesse  . 
proposte,  appena  ne  avesse  avuto  i  mezzi.  Nel  1875  furono  concesse  per  le 
fortificazioni,  con  la  legge  29  giugno  citata,  altri  22  milioni  circa.  I  rima- 
nenti 77  milioni  furono  impiegati  per  fabbricazione  di  fucili  e  di  artiglierie 
campali  e  per  approvvigionamenti  di  mobilitazione. 

All'avvento  della  Sinistra  al  potere  (18  marzp  1876),  il  bilancio  della 
guerra  fu  aumentato,  cosi  nella  parte  ordinaria  (tino  a  170  milioni  circa)  come 
nella  straordinaria,  alla  quale  furono  concessi  circa  120  milioni  con  l^gi  29 
aprile  e  30  maggio  1877,  8  dicembre  1878.  27  luglio  1879  e  13  giugno  1880. 

Con  i  crediti  straordinari  stabiliti  in  questo  periodo  (1876-1880),  i$i 
provvide  principalmente  a  continuare  la  fabbricazione  del  nuovo  fucile  mo- 
dello 1870,  alla  costruzione  di  una  fabbrica  d'armi  a  Temi,  all'assetto  di- 
fensivo della  città  di  Spezia,  dello  stretto  di  Messina  e  della  frontiera  alpina, 
alla  fabbricazione  di  cannoni  campali  e  di  gran  potenza,  airampliamento 
della  fonderia  di  Torino,  alla  provvista  di  oggetti  di  mobilitazione  e  ai  la- 
vori per  la  carta  topografica  generale  d'Italia. 

Neir aprile  del  1880  la  Camera  dei  deputati  voto  un  ordine  del  giorno 
che  invitava  il  ministero  della  guerra  a  presentare  al  più  presto  possibile 
un  disegno  di  legge  che  contemplasse  tutto  quanto  occorreva  per  la  difesa 
dello  Stato.  Il  ministro,  generale  Ferrerò,  nominò  una  nuova  commissione  di 
altissime  autorità  militari  per  studiare  il  vasto  problema  e,  momentanea- 
mente, presentò  alla  Camera  un  disegno  di  legge  che  richiedeva,  in  via 
straordinaria,  141  milioni,  i  quali  vennero  accordati  con  le  leggi  del  30  giugno 
e  del  5  luglio  1882.  Intanto  il  bilancio  ordinario  era  salito  a  190  milioni 
circa. 

La  Commissione  presento,  nel  1883,  una  relazione,  nella  quale  dichiarava 
che,  per  fronteggiare  tutte  le  spese  necessarie  a  porre  il  paese  in  istato  di 
perfetta  difesa,  occorreva  circa  un  miliardo  (^).  Il  ministro  scelse  quanto  gli 
sembrava  più  urgente  (fabbricazione  di  armi  portatili,  fortificazioni   a  difesa 

(^)  Atti  parlamentari.  Discorso  del  senatore  Luigi  Pelloux,  nella  tornata  del  29  giufi^o 
1905.  Non  è  da  meravigliare  se  le  proposte  di  questa  commissione  triplicarono  la  pre- 
cedente domanda  di  crediti  straordinari,  dati  i  progresrsi  industriali  che  la  tecnica  militare 
aveva  fatto  in  quel  decennio. 


ESERCITO   ITALIANO  87 


delle  coste,  di  sbarramento,  e  di  Boma)  e  domandò  un  credito  di  240  milioni 
circa,  concessi  due  anni  dopo,  nel  1885,  durante  Tamministrazione  Bicotti, 
con  le  leggi  del  21  dicembre  1884  e  del  2  luglio  1885. 

Nel  quadriennio  1886-1890,  durante  il  quale  il  bilancio  ordinario  era 
aumentato  a  mano  a  mano  da  210  a  257  milioni,  vennero  accordate,  con 
leggi  del  21  dicembre  1886,  28  giugno  e  10  luglio  1887,  30  dicembre  1888 
e  6  aprile  1890,  altri  100  milioni  circa  nella  parte  straordinaria. 

Cosicché,  nel  decennio  1881-1890,  le  somme  straordinarie  concesse  som- 
marono in  complesso  a  circa  480  milioni  ;  e  con  tale  somma,  e  con  i  residui 
di  precedenti  crediti,  oltre  che  continuare  i  lavori  e  le  provviste  del  decennio 
precedente,  si  iniziò  il  campo  trincerato  di  Bomai,  si  sistemarono  o  si  co- 
struirono molti  fabbricati  militari,  fra  cui  quello  del  ministero  della  guerra: 
si  trasformò  il  fucile  mod.  1870  a  ripetizione,  si  iniziò  la  confezione  della 
balistite,  costruendo  il  polverificio  di  Fontana  Liri. 

Dal  1885  al  1890  gravarono  pure  sui  bilanci  militari  i  primi  stan- 
ziamenti per  i  distaccamenti  d'Africa,  ed  alla  concessione  dei  crediti  straor- 
dinari, a  tal  uopo  necessari  in  questo  periodo,  provvidero  le  leggi  6  febbraio 
e  10  luglio  1887  e  30  marzo  1890.  Devesi  ancora  aggiungere  che,  nel 
triennio  1887-1889,  furono  ancora  concessi  82  milioni  per  ferrovie  strategiche 
che,  sebbene  a  carico  del  bilancio  dei  lavori  pubblici,  furono  valutate  come 
necessarie  alla  difesa  dello  Stato. 

L'esercizio  finanziario  1888-1 889  si  chiuse  con  un  disavanzo  effettivo 
che  sorpassò  i  258  milioni  di  lire,  cifra  mai  raggiunta  dal  1870  in  poi;  e 
però  più  grave  si  presentò  agli  uomini  del  governo  il  problema  di  rimet- 
tere il  bilancio  in  pareggio  :  tanto  più  gl'ave,  in  quanto  che  il  disagio  eco- 
nomico della  nazione,  succeduto  a  quel  periodo  di  prosperità  relativa  che 
fu  caratterizzato  dallabolizione  del  corso  forzato,  sembrava  escludere  sia  la 
possibilità  di  nuovi  gravami,  sia  Finasprimento  di  quelli  già  imposti  ('). 

Si  rese  quindi  necessario  non  solo  di  porre  un  freno  al  continuo  incre- 
mento degli  oneri  del  bilancio,  ma  ben  anche  di  procrastinare  quelle,  tra  le 
spese  già  esistenti,  che  non  avessero  carattere  di  assoluta  necessità.  Tale 
programma  di  economia  cominciò  ad  avere  attuazione  per  opera  del  ministro 
Giolitti,  neiresercizio  finanziario  1889-1890.  Il  generale  Pelloux,  nominato 
ministro  della  guerra,  determinò  che  il  bilancio  militare  fosse  consolidato 
in  239  milioni;  ma  tale  consolidamento  non  fu  sanzionato  da  una  legge. 

Dal  1893  al  1895-1896  il  bilancio,  essendo  ministro  il  generale  Mo- 
cenni,  subì  un'ulteriore  diminuzione  di  16  milioni  sul  precedente,  cosicché 
le  spese  ordinarie  in  quel  periodo  scesero  fino  a  217  milioni;  le  straordi- 
narie si  aggirarono  intomo  ai  lo  milioni  annui. 

(')  Ragioneria  generale  dello  Stato  :  «  U  bilancio  del  regno  dltalia  negli  esercii! 
finanziari  dal  1862  al  1907-1908  n,  pag.  14. 


88  FIORENZO    BAVA-BECCARIS 

Nel  medesimo  periodo,  una  serie  di  provvedimenti  finanziari  aumentò 
notevolmente  le  entrate,  tanto  che  la  previsione  dell'esercizio  1895-1896 
si  chiudeva  con  un  avanzo  previsto  di  circa  32  milioni.  Ma  i  tristi  casi  di 
Àfrica  turbarono  notevolmente  la  situazione  finanziaria. 

Infatti,  neiresercizio  1894-1895  il  bilancio  dove*  sostenere  maggiori 
spese  per  le  prime  spedizioni,  e  nel  successivo  esercizio  1895-1896  presentò 
Taumento  dovuto  ai  due  crediti  straordinari  autoriz-/.ati  per  le  spese  della 
guerra,  Tuno  di  lire  19.500.000  assegnato  con  la  legge  26  dicembre  1895, 
n.  74,  e  l'altro  di  lire  94.500.000  concesso  con  la  legge  26  marzo  1896, 
n.  76,  da  ricavarsi  dal  prestito  di  140  milioni  autorizzato  con  la  legge 
stessa.  Sull'esercìzio  1896-1897  gravò  ancora  la  seconda  quota  del  prestito 
suddetto,  che  détte  alle  spese  militari  un  contiibuto  di  altri  41  milioni. 

Tale  aumento  di  spese  condusse  ad  un  aggravio  oneroso  sul  bilancio 
generale,  il  quale  nel  1895-1896  si  chiuse  con  un  deficit  di  65  milioni. 

Iniziatasi  la  politica  di  raccoglimento,  dopo  il  breve  ministero  Ricotti 
—  il  quale,  come  si  disse,  non  volle  accettare  la  responsabilità  del  potere  se 
non  a  condizione  di  aumentare  il  bilancio  o  di  ridurre  gli  organici  —  tornò 
al  potere  il  generale  Pelloux,  durante  il  cui  ministero  il  bilancio  della  guerra 
fu  consolidato  in  246  milioni,  compresi  7  milioni  per  l'Eritrea.  Si  volle  il 
consolidamento  del  bilancio  col  proposito  di  «  dare  una  sicura  base  ai  calcoli 
finanziari  dell'avvenire  a  fine  di  poter  volgere  ogni  incremento  delle  entrate 
ed  ogni  nuova  eventuale  risorsa  del  bilancio  ad  altri  determinati  intenti  e 
scopi  di  riforma  tributaria  e  di  riordinamento  amministrativo  «  ('). 

Si  sperò  pure  che,  consolidando  il  bilancio,  si  potessero  apportare  riforme 
economiche  nei  servizi  amministrativi  dell'esercito  a  beneficio  della  parte 
combattente  ;  ma  di  fatto  non  si  riuscì  a  tale  intento,  poiché,  a  seconda  delle 
necessità  più  urgenti  dell'uno  o  dell'altro  servizio,  sì  accrebbero  le  somme 
dei  capitali  corrispondenti,  depauperandone  altri  (e  specialmente  quelli  rela- 
tivi alla  forza  bilanciata),  i  quali  ne  scapitarono. 

Quanto  alle  spese  straordinarie,  il  ministro  Pelloux,  alla  fine  del  1897, 
richiese  75  milioni  da  ripartirsi  nel  quinquennio  1897-1903,  che,  aggiunti 
alla  rimanenza  allora  disponibile  su  vari  capitoli,  di  circa  15  milioni,  forma- 
vano un  complesso  di  90  milioni.  La  commissione  generale  del  bilancio 
approvò  tale  progetto;  ma  per  le  dolorose  vicende  del  1898,  le  quali  condus- 
sero all'esercizio  provvisorio,  la  discussione  non  ebbe  luogo,  ed  il  parlamento 
concesse  la  parte  di  fondi  strettamente  necessaria  all'esercizio  1898-1899. 
Il  successore,  generale  di  San  Marzano,  presentò  pure  un  disegno  di  legge 
conforme  al  precedente  ;  ma  anche  questa  volta  la  Camera  concesse  soltanto 
le  somme  indispensabili  per  Tanno  1899-1900,  oltre  15  milioni  e  mezzo  per 
il  rinnovamento  dell'artiglieria  campale,  ed  invitò  il  ministro  a  studiare  e 

(*)  Atti  pcarlamentari,  Discorso  dell'on.  Sonnino  nella  tornata  del  26  marzo  1901. 


ESERCITO    ITALIANO  89 


ripresentare  un  nuovo  disegno  di  legge  di  spese  straordinarie  per  il  quin- 
quennio 1900-1905.  Sulla  base  di  tale  invito  il  generale  Pelloux,  ministro 
reggente,  presentò,  il  31  gennaio  1900,  un  diseguo  di  legge  per  spese  straor- 
dinarie ;  ma  le  vicende  parlamentari  ne  impedirono  la  discussione  (^). 

Succeduto  al  ministero  il  generale  Ponza  di  San  Martino,  il  bilancio 
della  guerra,  a  cominciare  dair esercizio  1900-901,  venne  consolidato,  con  legge 
del  5  maggio  1901,  per  un  sessennio,  nella  cifra  di  259.000.000,  per  la 
parte  ordinaria;  e  la  legge  stessa  assegnò  pure,  per  lo  stesso  sessennio, 
96.000.000  (16  annui)  alle  spese  straordinarie,  prescrivendo  che,  di  essi,  al- 
meno 60.000.000  fossero  dedicati  al  rinnovamento  delle  artiglierie  campali  ('). 

Ma  negli  ultimi  due  esercizi  del  sessennio  la  cifra  consolidata  fu  accre- 
sciuta di  undici  milioni,  che  il  parlamento  concesse  per  diminuire  il  periodo 
di  forza  minima,  col  fare  la  chiamata  delle  classi  in  autunno  anziché  in 
marzo  (leggi  27  giugno  1905,  n.  277;  e  2  luglio  1905,  n.  297).  Così  il  bi- 
lancio ordinario  della  guerra  ammontò,  per  ciascuno  dei  due  esercizi  1904-05 
e  1905-06,  a  270.000.000. 

Terminato  il  sessennio,  occorreva  stabilire  se  convenisse  continuare  per 
gli  anni  seguenti  nel  sistema  di  bilancio  consolidato,  o  richiedere  anno  per 
anno  al  parlamento  le  somme  occorrenti  a  seconda  dei  bisogni.  La  questione 
rimase  in  sospeso  per  un  anno,  poiché  esigenze  varie  (fra  cui  probabilmente 
il  proposito  di  aspettare  che  fosse  compiuta  la  conversione  della  rendita)  in- 
dussero il  governo  a  considerare  Tesercizio  1906-07  come  un  prolungamento 
del  sessennio,  conservandogli  lo  stanziamento  complessivo  di  270.000.000 
(leggi  80  giugno  1906,  n.  269,  esercizio  provvisorio  dei  bilanci;  e  80  di- 
cembre 1906,  n.  645). 

La  legge  u.  496,  del  14  luglio  1907,  consolidò  ancora  la  parte  ordi- 
naria del  bilancio,  per  il  quadriennio  1906-907,  1909-910,  nella  cifra  di 
270.050.000,  e  prescrisse  che  le  economie  di  ciascuno  di  tali  esercizi  si  con- 
sideiiissero  impegnate  e  fossero  mantenute  nel  conto  consuntivo,  per  sop- 
perire ad  eventuali  ulteriori  bisogni  ;  ed  anche  che  le  economie  non  neces- 
sarie pei  bisogni  della  pai-te  ordinaria,  fossero  devolute  alla  parte  straordi- 
naria (art.  1).  Ma  trovandosi  Tesercito  in  un  periodo  di  essenziali  riforme. 


(M  Atti  parlament.  Discorso  deiron.  Afan  de  Rirera,  nella  tornata  del  23  raarzo  1901. 

(')  Rammentiamo  che  in  quel  perìodo  il  rinnovamento  del  materiale  di  artiglieria 
era  ritenuto  questione  di  massima  importanza  ed  urgenza.  Anzi,  mentre  inizialmente 
Tamministrazione  della  guerra  si  era  limitata  a  proporre  la  sostituzione  del  materiale  da 
75  B  (il  quale  non  dava  più  affidamento  di  efficace  servizio  in  guerra),  durante  le  fasi 
attraverso  alle  quali  ebbe  a  passare  il  disegno  di  legge,  il  programma  fu  esteso  anche 
alla  rinnovazione  del  materiale  da  87  B.  Per  il  nuovo  armamento  fu  prescelto  quel  ma- 
teriale da  75  A  ad  affusto  rigido,  che  allora  rappresentava,  a  parere  dei  tecnici,  il  mi- 
gliore; ma  la  fabbricazione  ne  fu  poi  sospesa  quando  si  riconobbe  la  necessità  di  adot- 
tare il  cannone  ad  affusto  a  deformazione. 


S^  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


aventi  portata  finanziaria  progressiva  ed  incerta,  con  varie  leggi,  di  cui  si 
menzionano  qui  appresso  solo  le  principali,  furono  concessi  alla  parte  ordi- 
naria del  bilancio  nuovi  e  rilevanti  fondi  in  più  della  cifra  consolidata. 

Esercizio  1908-909. 

Legge  n.  384,  del  80  giugno  1907,  relativa  al  riordinamento  della 

carriera  d'ordine  delle  amministrazioni  centrali    ....  93.000 

Legge  n.  495,  del  14  luglio  1907,  che  sancì  provvedimenti  a  fa- 
vore degli  ufiSciali  inferiori 1.376.000 

Legge  n.  304,  del  30  giugno  1908,  riguardante  provvedimenti 
per  il  miglioramento  economico  degli  impiegati  civili  delle 
amministrazioni  centrali  e  dipendenti 198.000 

Legge  n.  362,  del  6  luglio  1908,  che  migliorò  gli  stipendi  ed 
assegni  fissi,  provvide  a  maggiori  spese  per  chiamate  di 
classi  dal  congedo,  per  casermaggio,  per  miglioramento  della 
razione  del  soldato 7.135.000 

Legge  n.  404,  del  30  giugno  1909,  riguardante  aumenti  di  as- 
segni per  corredo,  viveri,  foraggi,  casermaggio  e  per  lavori 
e  fitti  di  immobili  militari 10.000.000 

Per  nuove  spese  d'ordine  e  per  l'esercizio  di  linee  ferroviarie  87.000 

Il  consuntivo  di  quest'esercizio  si  chiuse  con  una  spesa  di  L.  301.938,958 

di  cui  37,306,630  di  debito  vitalizio. 

Esercizio  1909-910. 

Somme  extra-consolidate,  dovute  alle  leggi  n.  384  del  30  giugno 
1907,  n.  495  del  14  luglio  1907,  n.  304  del  30  giugno 
1908 1.667.000 

Legge  n.  362,  del  6  luglio  1908 9.485.000 

Legge  n.  404,  del  30  giugno  1909,  pei  motivi  già  specificati 
neirecercizio  precedente  e  per  portare  la  forza  bilanciata 
da  205,000  a  225,000  uomini 16.000.000 

Legge  n.  473,    del  15  luglio  1909,  per  il  nuovo  ordinamento 

della  cavalleria,  degli  alpini  e  dell'artiglieria  da  montagna         418.000 

Legge  n.  493,  del  19  luglio  1909,  modificante  quella  sull'avan- 
zamento           530.000 

Legge  n.  780,  del  26  dicembre  1909,  per  sovvenzioni  alle  masse 

interne  dei  corpi 7.500.000 

Per  nuove  spese  d'ordine  e  per  Tesercizio  di  linee  ferroviarie  87.000 

Il  consuntivo  di  quest'esercizio  si  chiuse  con  una  spesa  di  L.  320,923,147 

di  cui  37,216,560  di  debito  vitalizio. 


ESERCITO   ITALIANO  ^1 


A  cominciare  dall'esercizio  1910-11  il  bilaDcio  non  venDe  più  soggetto 
esplicitamente  a  vincolo  di  consolidamento.  Ma  essendo  rimasta  al  ministro, 
per  effetto  dell'art.  5  della  legge  del  30  giugno  1909,  n.  404,  la  facoltà 
(già  precedentemente  accordatagli)  di  conservare  le  economie  eventualmente 
rimaste  per  sopperire  ad  ulteriori  bisogni,  la  cifra  di  270,050,000  sembra 
si  debba  continuare  a  considerare  come  consolidata  quale  limite  minimo  di 
spesa^  nei  bilanci  futuri. 

Lo  stato  di  previsione  per  Tesercizio  finanziario  1910-11  previde  una 
assegnazione  complessiva  di  parte  ordinaria  di  lire  306.728.900,  alla  quale 
debbono  aggiungersi  le  somme  stabilite  dalle  leggi  seguenti: 

Legge  n.  226,  dell*  8  maggio  1910,  a  favore  degli  ufficiali  d'or- 
dine delle  amministrazioni  dipendenti 570.850 

Legge  n.  362,  del  30  giugno  1910,  per  l'adozione  della  ferma 

biennale 3.100.000 

Legge  n.  511,  del  17  luglio  1910,  per  sovvenire  le  masse  in- 
terne dei  coi-pi 7.500.000 

Legge  n.  515,  del  17  luglio  1910,  modificante  il  testo  unico  delle 
leggi  sull'ordinamento  del  B.  Esercito  (spesa  crescente  per 
gli  esercizi  futuri  fino  a  6.000.000) 2.300.000 

Alle  spese  straordinarie  nel  medesimo  periodo,  necessarie  per  dar  com- 
pimento al  programma  dell'assetto  definitivo  dello  Stato,  si  provvide  con 
leggi  speciali.  Già  venne  accennata  quella  del  5  maggio  1901,  che  conce- 
deva 96.000.000  per  il  periodo  1900-06.  La  legge  stessa  permise  inoltre  al 
governo  di  alienare  le  opere  fortilizio,  gli  immobili,  i  terreni,  le  armi,  i 
materiali  riconosciuti  non  più  necessari  alla  difesa  nazionale  e  ai  bisogni 
dell'esercito,  ed  aumentare,  con  tali  entrate,  gli  stanziamenti  di  parte  straor- 
dinaria. 

La  legge  30  dicembre  1906,  concedette  altri  16  milioni  per  l'eser- 
cizio 1906-07,  e  finalmente  quella  del  14  luglio  1907  ne  concedette  60  (0 
per  gli  esercizi  19061910,  ripartiti  in  tre  sole  annualità  di  20  milioni  cia- 
scuna, di  cui  4  in  aggiunta  ai  16  del  1906-07,  16  per  il  1907-08  e  20 
per  ciascuno  degli  esercizi  1908-09  e  1909-10  {*). 

(ij  Effettivamente  il  ministro»  generale  Vigano,  il  2  febbraio  1907  presentò  alla 
Camera  un  disegno  di  legge  nel  qaalé  richiese  200  milioni  ripartiti  uniformemente  in 
■dieci  annualità.  Tale  disegno  di  legge  fu  oggetto  di  lungo  studio  da  parte  della  commis- 
sione parlamentare  dei  dodici,  la  quale,  per  deferenza  alla  commissione  d*  inchiesta,  allora 
nominata,  lo  emendò  col  criterio  di  concedere  al  governo  solo  i  fondi  necessari  per  non 
arrestare  i  lavori  e  le  provviste  più  urgenti  e  per  dare  svolgimento  a  quella  parte  del 
programma  che  Tamministrazione  aveva  prestabilito  dicompiere  nei  primi  tre  anni,  senza 
pregiudizio  delle  conclusioni  cui  poteva  in  seguito  pervenire  la  commissione  d^inchiesta. 

(*)  A  questa  somma  devesi  aggiungere  Taltra  di  L.  7.032.586  stabilita  con  legge 
D.  284  del  2  luglio,  per  sovvenzioni  alle  masse  interne  dei  corpi. 


92  FIORENZO   BAVA-BECCARIS 

Nella  seduta  del  4  giugno  1908,  e  cioè  poco  prima  che  la  commissione 
d'inchiesta  pubblicasse  le  sue  conclusioni  sulle  fortificazioni  e  sull'arma- 
mento deirartiglieria,  il  ministro  Oasana  presentò  un  disegno  di  legge  col 
quale  richiese  223.000.000  di  parte  straordinaria;  dei  quali,  13  in  aggiunta 
ai  16  del  1907-08,  e  210  erogabili  in  quote  crescenti  dai  25  ai  35.000.000, 
a  cominciare  soltanto  dalF esercizio  191011,  cioè  in  prosecuzione  delle  an- 
nualità concesse  dalla  legge  del  14  luglio  1907,  e  sino  all'esercizio  1916-17 
incluso.  Il  parlamento  approYÒ  il  disegno  di  legge  (legge  n.  361,  del  5  luglio 
1908).  Il  ministro,  nella  sua  relazione,  dichiarò  che  tale  concessione  non 
escludeva  la  possibilità  di  ulteriori  domande  di  fondi. 

Infatti  la  richiesta  contenuta  in  tale  disegno  di  legge  si  palesò  infe- 
riore ai  bisogni  segnalati  dalla  commissione  d'inchiesta  la  quale,  d^accordo 
coi  tecnici,  aveva  fissato  una  somma  superiore. 

Il  ministro  Spingardi,  nel  maggio  1909,  presentò  alla  Camera  un  dise- 
gno di  legge  col  quale  richiese  125.000.000  di  parte  straordinaria:  somma 
che  venne  concessa  con  legge  del  30  giugno  1909. 

Finalmente  la  legge  n.  422,  dell'I  1  luglio  1910,  accordò  10.000.000 
per   la  costruzione  di  dirigibili,  aeroplani   e  relativi  impianti,  lavori,    ecc. 

Si  compendiano  qui  di  seguito  tali  assegnazioni  secondo  i  vari  raggrup- 
pamenti di  spese: 


ESERCITO   ITALIANO 


93 


&AOORUPPAMENT0   DBLLB  SPBSB 


ASSEGNAZIONI 


ConcMBe 

dalla  Ime 

80  dieeioDre 

n.  645 


I.  Armi  portatili,  mitragliatrici  e 
relative  munizioni,  accessori,  buf- 
fetterie e  trasporti  relativi    .    . 

n.  Approvvigionamenti  di  mobili- 
tazione, ripartizione  e  trasporto 
dei  medesimi,  provviste,  impianti, 
lavori  relativi,  trasporti  per  la 
brigata  specialisti  e  ferrovieri  e 
per  le  altre  specialità  del  genio 
militare 


m.  Artiglieria  da  campagna  a  ca- 
vallo e  da  montagna,  corrispon- 
denti munizionamenti  e  mate- 
riali relativi  ai  servizi  di  mobili- 
tazione (sostituzione  del  cannone 
da  75  M  1906  col  oannone  da  87  B) 


IV.  Artiglieria  di  gran  portata  ed 
armamenti  delle  difese  costiere 
e  terrestri,  parco  d'assedio,  ma- 
teriali, provviste  e  relativi  tras- 
porti per  le  dette  artiglierie.    . 


V.  Lavori,  provviste  e  mezzi  di 
trasporto  per  fortificazioni  ter- 
restri e  costiere,  strade,  ferrovie, 
ed  opere  militari 


VI.  Costruzioni  di  nuovi  fabbricati 
militari,  trasformazione  ed  ain- 
pliamcnto  di  quelli  esistenti, 
impianto  e  riordinamento  di  po- 
ligoni e  di  piazze  d'armi  ed  acqui- 
sto di  immobili  all'uopo  occor- 
renti. Costruzione,  sistemazione 
ed  ampliamento  dì  stabilimenti 
varii 


VII.  Ac-|UÌsto  di  quadrupedi  per 
la  cavalleria,  le  artiglierie  e  le 
mitragliatrici 


Vm.  Somme  e  calcolo  a  disposizione 


Totale  obnsbalb    .    . 


500.000 


1.200.000 


Coocette 

dalla  legge 

14  laglio 

1907 

496 


n. 


Conceeie 

dalla  Ugge 

5  laglio 

1908 

n.  861 


Concesse 

dalla  legge 

30  giugno 

1909 

n.  404 


Concesse 

dalla  l^^e 

10  Inglio 

1910 
n.  422 


TOTALI 


2.800.000 


1.400.000 


6.000.000 


15.000  000 


9.000.000 


15.000.000 


3.200.000 


24.800.000 


10.300.000 


13.700.000 


600.000 


16.000.000 


13.000.000 


11.180.000 


82.000.000 


44.000.000 


50.000.000 


5.000.000 


1.000.000 


1.000.000 


60.000.000 


16.000.000 


l.OOO.OOo 


22  300.000 


39.400.000 


30.000.000 


50.000.000 


14.000.000 


5.000.000 


5.000.000 


223.000.000 


3.200.000 
0) 


3.000.000 


125.000.000 


145.800.000 


105.800.000 


80.900.000 


24.800.000 


0.000.000 


6  000.000 


10.000.000434.000.000 


(I)  Veggasi  legge  di  storni  n.  218,  dell' 8  maggie  1910. 


94 


FIORENZO    BAVA-BECCARIS 


La  ripartizione  delle  assegnazioni  fatte  dalle  varie  leggi  fra  i  diversi 
esercizi  finanziari,  dal  P  luglio  1906  al  30  giugno  1917,  fu  la  se- 
guente : 


ESERCIZI 

riNANZIARII 

Legge 

30  dicembre 

1906 

n.  645 

Legge 

14  luglio  1907 

n.  496 

(Tiganò) 

Legge 

5  luglio  1908 

n.  861 

(Casana) 

Legge 

30  giugno  1909 

n.  404 

(Spingardi) 

Legge 

11  luglio  1910 

n.  422 

(Spingardi) 

Totali 

1906-1©07 

16.000.000 

4.000.000 

— 

— 

__ 

20.000.000 

1907-1908 

n 

16.000.000 

18.000.000 

— 

29.000.000 

1908-1909 

n 

20.000.000 

n 

20.000.000 

— 

40.000.000 

1909-1910 

V 

20.000.000 

n 

20  000.000 

10.000.000 

50.000.000(1) 

1910-1911 

n 

n 

25.000.000 

25.000.000 

n 

50.000.000(2) 

1911-1912 

n 

n 

25.000.000 

80.000.000 

n 

65.000.000(2) 

1912-1913 

n 

n 

30.000.000 

30.000.000 

n 

60.000.000 

1913-1914 

n 

n 

80.000.000 

» 

n 

80.000.000 

1914-1915 

ti 

» 

30.000.000 

j» 

n 

30.000.000 

1915-1916 

n 

n 

35.000.000 

» 

n 

85.000.000 

1916-1917 

n 

n 

85.000.000 

n 

n 

35.000.000 

Totali  .  .  . 

16.000.000 

60.000  000 

228.000.000 

125.000.000 

10.000.000 

434.000,000 

Con  queste  poche  pagine  si  ritiene  di  aver  fornito  un*  idea,  se  non  com- 
pleta, almeno  riassuntiva,  delle  vicende  dei  bilanci  militari  dal  1862  ad 
oggi.  Le  tabelle  che  seguono,  porgono  notizie  precise  del  modo  come  vennero 
ripartite  le  spese,  sia  ordinarie,  sia  straordinarie,  tanto  pei  bisogni  dell'eser- 
cito, quanto  per  le  imprese  coloniali  affrontate  in  questi  ultimi  cinquanta 
anni. 


(*)  La  legge  n.  780,  del  26  dicembre  1909,  autorizzando,  come  si  disse,  la  spesa  di 
lire  7,500,000  per  sovvenire  le  masse  interne  dei  corpi,  diminuì  tal  somma  dairas- 
segno  straordinario  del  1909>10  e  la  reintegrò  in  parti  uguali  negli  esercizi  1911-12 
e  1912-13. 

(*)  La  legge  n.  422,  del  10  luglio  1910,  aumentò  di  15  milioni  la  competenza  del 
1909-910,  contro  diminuzione  di  altrettanta  somma  nella  competenza  del  1910*911. 


ESERCITO   ITALIANO 


95 


Spese  effettive  ordinarie  e  straordinarie 
aooertate  per  gli  esercizi  finanziarli  dal  1862  al  1909-910. 


ANNI 

Spes*  ordinarie 

Spese 
straordinarie 

ANNI 

Spese  ordinarie 

Spese 
straordinarie 

1862.  .  .  . 

172.307.350 

122.211.754 

1886-87  .  . 

217.602.691 

51.644.403 

1868.  . 

196  811.698 

55.731.313 

1887-88  .  . 

240.627.085 

75.980.000 

1864.  . 

192  986.419 

64.023.705 

1888-89  .  . 

250.349.042 

152.790.000 

1865.  . 

175.666.832 

16.968.562 

1889-90  .  . 

257.813.620 

47.684.460 

1866.  . 

165.087.110 

345.704.066 

1890-91  .  . 

252.890.999 

32.548.926 

1867.  . 

144.246903 

7.809.070 

1891-92  .  . 

248.298.748 

18.018.412 

1868.  . 

150.066,492 

17.270.687 

1892-93  .  . 

233  253.771 

12.993.551 

1869.  . 

187.910  806 

11.619.743 

1898-94  .  . 

238.063.927 

15  376.109 

1870.  , 

177.190.840 

5.795.995 

1894-95  .  . 

217.422.255 

15.229.229 

1871.  , 

142.917.222 

8.159.410 

1895-96  .  . 

326.807.132 

15  767.185 

1872.  . 

151  977.820 

14.088.439 

1 896-97  .  . 

255.537.519 

16.874  750 

1878.  , 

156.109.006 

20.567.456 

1897-98  .  . 

279.765.041 

18.177.734 

1874.  . 

165.722.581 

17.503.226 

1898-99  .  . 

262.446  282 

18  399.079 

1875.  . 

165.629.625 

14.355.648 

1899-900  .  . 

258.134.616 

16.803.890 

1876.  . 

164.622.080 

21.503  687 

1900-901  .  . 

258.105.650 

22.681.458 

1877. 

171.949.005 

35.345.489 

1901-902  .  . 

264.652.413 

20.782.685 

1878. 

170.814.699 

37.350.988 

1902^03  .  . 

258.403.240 

18.903.642 

1879.  . 

173.780.556 

14.805.988 

1903-904  .  . 

258.838.201 

20.175.958 

1880. 

191.613.244 

19.862-749 

1904-905  .  . 

270.903.943 

19.479.258 

1881. 

187.205.784 

23.726.666 

1905-906  .  . 

264.419.365 

26.611.854 

1882. 

190.079.436 

44.041.666 

1906-907  (')  . 

258.998.380 

27.415.894 

1888. 

199.830.993 

56.931.666 

1907-908  (»)  . 

266  975.484 

88.209.185 

1884  (V 

*  se 

im.) 

107.266.345 

11.518.912 

1908-909  (")  . 

291.208718 

54.545.250 

1884^ 

206.650.027 

47.111.400 

1909-910  (")  . 

308.854.172 

73.592.174 

1885-86 

209.884.527 

43.205.000 

(■)  Per  ciascano  degli  esercizi  dal  1906-907  al  1909-910,  farono  realizzate  .le  eco- 
nomie descritte  nella  colonna  I  della  tabella  seguente,  le  quali,  in  virtù  delFart.  1  della 
legge  n.  496  del  14  luglio  1907,  vennero  impiegate  nella  parte  ordinaria  dei  bilanci  come 
è  specificato  nella  colonna  II  della  tabella  stessa. 

1  II 

1906-907    .     .    .    11.870.368,99  — 

1907-908     .    .    .      6.283.129,34  1.315.028,00 

1908-909     .     .     .       7.454.153.03  13.383.895.37 

1909-910    .    .    .      2  985.595,40  8.447.847,30 

Nelle  spese  effettive  accertate,  tali  economie  sono  conteggiate  nel  bilancio  in  cui 
furono  effettivamente  impiegato.  Alia  fine  dell'esercizio  1909-910  rimanevano  disponibili 
lire  2.460.879,73  quali  economie  del  bilancio  precedente,  e  lire  2.985.595,40  quali  eco- 
nomie del  bilancio  1909-910. 


or, 


FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


Le  somme  innanzi  dimostrate  indicano  le  spese  accertate,  ma  in  esse 
sono  comprese  le  partite  figurative  e  le  somme  erogate  per   i   bisogni   qui 


l'ARTITE 

figaratire 

8PB8A    ORDINARIA 

ESERCIZIO 

Bichiami 

di  eUati  e  rìUidi 

di  congedo 

per  ordine 

pnbblico 

Debito 
TiUlltio 

Snssidii 

aUe  fiimifUe 

dei 

rìchiainaii 

aiU 
Casa  Tnmte 

188C-86 

1  583  200 

1  519  100 

1 575  700 

1716  300 

1  763  100 

1  778  400 

1  598  320 

1  305  420 

1 126  632 

892  400 

718  949 

541  669 

496  715 

299  979 

319  101 

295  95 1 

318  312 

328  955 

391 140 

390  417 

397  285 

367  534 

852  366 

360  21 1 

399  38 1 

7.561.675 

10.152.000 
6.021.600 

6.353.400 

11.283.500 

34.598.586 
34.856.371 
34.898.745 
34.776  099 
34.500  554 
35.030.145 
35  267.366 
35.527  768 
35.834.247 
36.457.676 
36.590.755 
37  306.630 
36.911.239 

363.600 

187.696 
174.705 
483.200 
225.000 
180.000 
118.088 
317.019 
518.000 

50.000 
50.000 
50.000 
50.000 
50.000 
50.000 
50.000 

1886-87 

1887-88 

1888-89 

1889-90 

1890-91 

1891-92 

1892-93 

1898-94 

1894-95 

1895-96 

1896-97 

1897-98 

1898-99 

1899-900   .     .    .    , 

1900-901 

1901-902 

1902-903 

1903-904 

1904-905 

1905-906 

Ì906-907    .    .    , 

1907-90S 

1908-901» 

1909-910 

(M  Qacsti  dati  Tennero  fomiti  dalla  Divisione  «  Ragioneria  »  del  Ministero  della  Guerra. 

(*)  Gol  bilancio  di  previsione  per  l'esercizio  1898-99  il  contributo  dello  Stato  p^r  le  spese  della  colonia 
nel  bilancio  della  guerra  e  la  seconda  concernente  le  spese  civili  nel  bilancio  degli  affiirl  esteri,  venne  riunito 

(^)  À  cominciare  dairesercizio  1905-906  cessarono  gli  stanziamenti  speciali  nel  bilancio  della  guerra, 
Cina  solo  un  presidio  di  800  marinai  e  una  nave  da  battaglia  di  2*  classe. 

{*}  Nel  luglio  1909  furono  ritirate  le  truppe  da  Oandia;  ma  nel  bilancio   1909-910   figura   ancora  la 


ESERCITO   ITALIANO 


97 


appresso  specificati  (^);  onde  togliendo  le  seconde  dalle  prime,  si  ottengono 
le  spese  reali  ^  ossia  le  effettivamente  impiegate  ai  bisogni  dell' esercito: 


SPESA    STRAORDINARIA 

SPBSE  COLONIALI  (8) 

InTio  di  trnpp* 
in  OÌM 

(8) 

Ibtìo  di  truppe 

ìa  Oriente 

(Candia) 

(4) 

Suaidl 
alle  funigUe 

dei 
richiamati 

Contribniione 
ipeee 

AMoa 

Indennità  per  la 
eommiaiione  di 
inohieeta     ani 
aerrisl  dell*nm« 
miniatrasione 
della  gaerxa 

Fondi 

per  riparare 

ai  danni  eaniati 

dal  terremoto 

del 

88dioembrel908 

Ordinarie 

Straordinarie 

^^,^ 

^^,^ 

^^^^ 

^^^^ 

^^ 

^•^m 

_^,. 

.^^ 

— 

— 

— 

— 



1.730.000 

8.500.000 

— 

— 

— 

— 



14.012.697 

22.810.000 

— 

— 

— 

— 

— 



13.604.484 

— 

— 

— 

— 

— 



17.286.826 

3.000.000 

— 

— 

— 

— 



16.214.212 

— 

— 

— 

— 

— 

— 



12.661.675 

— 

— 

— 

— 



7.179.900 

— 

— 

— 

— 

— 

— 



7.927.118 

— 

— 

— 

— 

— 

8.454.000 

— 

— 

— 

— 

— 

— 



118.000.000 

— 

— 

300.000 

— 

— 

— 



44.800.000 

— 

— 

1.200.000 

250.000 

— 

— 



18.600.000 

-^ 

— 

924.974 

200.000 

1.000.000 

— 



— 

— 

— 

500.000 

— 

— 

— 



— 

— 

6.300.000 

850.000 

— 

— 

— 



— 

— 

8.850.000 

850.000 

— 

— 

— 



— 

— 

1.800.000 

880.000 

— 

— 

— 

— 

— 

1.285.000 

850.000 

— 

— 



— 

— 

984.000 

850.000 

— 

— 



— 

— 

— 

480.000 

— 

— 

— 



— 

— 

— 

400.000 

— 

— 

50.000 



— 

— 

— 

— 

— 

— 

50.000 



— 

— 

— 

280.000 

— 

— 

50.000 

5.896.000 

— 

— 

— 

226.662 

— 

— 

50.000 

4.000.000 

— 

— 

spesa  per  liquidazione  di*  spese  effettnate  precedentemente. 


FiOBBMXo  Batà-Bbcoàbi8.  —  BitTcU^  Uthoù  eco. 


98 


FIORENZO    BAVA-BECCARIS 


Sono  pare  comprese,  nelle  cifre  rappresentanti  le  predette  spese,  le 
somme  seguenti,  provenienti  da  alienazioni,  economie  e  reintegri  varii  (leggi 
n.  151  del  5  maggio  1901,  n.  496  del  14  luglio  1907,  e  n.  404  del  80 
giugno  1909). 


ESERCIZIO 


Somme 

proY«iii«nti 

da  Tondita 

di    prodotti 

dei     dopoiiti 

di  alIeTAmento 

(spes*  n«lU 
parte  ordinaria) 


Somme 

proTenientl 

da  alienasioni 

di  immobili 

miliUrì 

e  materiali 

(epeee  sella  parte 

■traordinaria) 


Economie 

realiisate 
Biilla  competenia 
e  reeidoi  paeeivi 

della 

parte  ordinaria 

(epeee  nella  parte 

etraordinaria) 


1901-902 

1902-903 

1903-904 

1904-905 

1905-906 

1906-907 

1907-908 

1908-909 

1909-910 


89.255 
289.090 
334.910 
450.012 
400.578 
732.858 
676.637 
387.782 
270.661 


66.570 
843.816 
1.^40.254 
1.888.349 
4.577.483 
2.315  506 
3.072.106 
2.940.459 


342.472 

1 .050.974 

805.004 

8.283.690 

2.356.903 

340.896 

246.021 

224.536 


Totali 


89.255 
699.132 
2.229.700 
2.595.270 
10.522.612 
7.666.743 
3.333.065 
3.705.923 
3.435.656 


Questa  monografia,  in  molte  parti  incompleta,  compendia  le  vicende 
dell'esercito  italiano  dalle  sue  orìgini  al  momento  attuale:  è  incompleta,  perchè 
trascura  le  trasformazioni  nell'armamento,  le  fortificazioni,  ed  altre  materie, 
le  quali,  per  essere  svolte,  anche  sommariamente,  avrebbero  richiesto  altret- 
tanto spazio  di  quello  concesso. 

Non  sarebbe  stato  neppure  fuori  d'opera  lo  studio  dell'evoluzione  dello 
spirito  delle  truppe  dai  tempi  feudali  ai  moderni  ;  quello  dell'  influenza  eser- 
citata sull'organismo  militare  dal  predominio  della  aristocrazia  nella  costitu- 
zione dei  quadri,  predominio  che  nell'esercito  piemontese  si  mantenne  fino 
al  1848;  ed  avrebbe  potuto  costituire  anche  argomento  d'interesse  l'ana- 
lisi della  psicologia  dell'esercito,  dopo  che  in  esso  si  fusero,  in  epoche  e  cir- 
costanze diverse,  tanti  disparati  elementi. 

Ma  tali  studi  avrebbero  oltrepassato  i  modesti  limiti  di  questo  scritto, 
il  quale  ha  voluto  soltanto  dimostrare,  con  dati  di  fatto,  come  il  nuovo  regno, 
fra  i  tanti  bisogni  a  cui  doveva  provvedere,  non  abbia  trascurato  quelli  re- 
clamati dalla  difesa  nazionale. 


ESERCITO   ITALIANO  99 


I  sacrifici  pecuniarii  e  personali  a  cui  si  è  sottoposto  il  paese,  hanno 
condotto  alla  formazione  di  un  esercito,  la  cui  forza  combattente  è  molto 
ragguardoTole,  e  che,  colle  leggi  testé  Yotate,  aumenterà  gradatamente  di 
numero,  tanto  da  non  essere  inferiore,  in  ragione  della  popolazione,  a  quelli 
delle  altre  nazioni. 

Meno  alacremente  si  ò  provveduto  alla  difesa  stabile,  cioè  alle  fortifi- 
cazioni periferiche,  costiere,  ed  inteme  ;  ma,  sotto  un  certo  aspetto,  il  ritardo 
non  è  troppo  da  deplorare,  poiché  i  contìnui  progressi  della  chimica  e  della 
meccanica,  mentre  offrono  air  industria  degli  strumenti  guerreschi  largo  campo 
di  attività  e  di  guadagno,  procurano  agli  Stati  spese  ingenti,  costringendoli  a 
modificare  ed  a  rinnovare  frequentemente  gli  armamenti.  Questa  ineluttabile 
necessità,  alla  quale  nessun  paese  può  sottrarsi,  per  non  rimanere  in  uno 
stato  pericoloso  d'inferiorità,  fu,  in  certo  modo,  a  noi  favorevole  ;  poiché  le 
condizioni  della  finanza  non  avrebbero  concesso  spese  straordinarie  tali  da 
mutare  il  già  fatto,  in  breve  spazio  di  tempo. 

La  zelante,  assidua  preparazione  scientifica  e  tecnica  degli  organi  diri- 
genti ;  il  patriottismo  del  parlamento  ;  le  marziali  tradizioni  di  casa  Savoia, 
i  cui  Principi  condivisero  sempre  le  sorti  delle  loro  truppe,  e  dei  quali,  alcuni 
sono  circondati  da  una  luminosa  aureola  di  gloria,  per  essere  stati  valenti 
generali,  fra  cui  eccelle  il  Principe  Eugenio,  sono  fattori,  i  quali  danno  af&- 
damento  che  T esercito  del  nuovo  regno,  sorretto  dallo  spirito  vivificante  della 
nazione,  saprà  combattere,  per  la  difesa  e  la  gloria  della  patria,  con  lo  stesso 
entusiasmo,  con  ugual  fede  e  con  pari  disciplina,  onde  erano  animati  i  sol- 
dati regolari  e  i  volontarii  nelle  guerre  del  nostro  riscatto,  duci  Vittorio 
Emanuele  e  Garibaldi. 


Roma,  dicembre  1910. 


Ten.  gen.  Fiorenzo  Bava-Beccaris 

Senatore  del  Segno. 


Nota,  —  Nella  compilazione  di  questa  Memoria  mi  ha  prestato  il  suo  efficace  con- 
corso il  capitano  Ginlio  Del  Bono,  addetto  alPafficio  storico  del  Comando  del  Corpo  di 
■Stato  Maggiore. 


\ 


APPENDICE. 


Guerre,  campagne  e  fatti  d'arme  combattuti  dall'esercito  piemontese, 

poi  dall'italiano. 


EPOCA 


TBUPPB  COMBÀTTEKTI  E  MOTIVO 
DELLE  GUERRE 


FATTI   D'ARME   PRINCIPALI 


1560-1561 


1581-1602 


1582-1602 


1613-1616 


1616-1618 


1625 


1628-1680 


1630-1632 


1635-1659 


1672 


EMANUELE  FILIBERTO. 
Ducali  contro  Valdesi. 

CARLO  EMANUELE  I. 


Combattimenti  di  poca  importanza  nelle  valli 
del  Pollice  e  del  Chisone. 


Dncali  contro  Ginevrine  e  Bernesi  (per  '  Combattimenti  ed  assedii  nel   Delfinato  ed  in 


la  conquista  di  Ginevra). 

Ducali,  Spagnuole,  Pontificie,  contro 
Francesi  (per  Tacquisto  del  marche- 
sato di  Saluzzo). 

Ducali  contro  Spagnuole  e  Mantovane 
(per  la  successione  del  Monferrato). 

Ducali  e  Francesi  contro  Spagnuole  e 
Mantovane  (per  la  successione  del 
Monferrato). 

Ducali  e  Francesi  contro  Imperiali  e 
Spagnuole. 

Ducali,  Imperiali  e  Spagnuole  contro 
Francesi  (per  la  successione  di  Man- 
tova). 

VITTORIO  AMEDEO  L 

Ducali,  Imperiali  e  Spagnuole  contro 
Francesi  (per  la  successione  di  Man- 
tova). 

VITTORIO  AMEDEO  I. 

REGGENZA   DI   MARIA   CRISTINA. 

CARLO  EMANUELE  H. 

Ducali,  Parmensi  e  Mantovane  contro 
Spagnuole  e  Imperiali  (preminenza 
nell'Italia  superiore);  —  guerra  ci- 
vile durante  la  reggenza  di  Maria 
Cristiiia  di  Francia. 


Ducali  contro  Genovesi  (per  la  prepon- 
deranza in  Liguria). 


Provenza,   nella  Valle  del  Vraita  e  del  Po 
superiore.  Notevoli  Tassedio  di  Berre,  di  Ca>- 
vour   e  la  battaglia  di   Pontcharre   (6  set- 
tembre 1591). 


Combattimento  e  assedi  di  Alba,  Torino,  Nizza, 
Asti,  Oucglia,  Zuccarello. 

Battaglia  della  Motta  (presso  Vercelli),  14  settem- 
bre 1616;  assedio  di  Vercelli,  24  maggio -26 
luglio  1617. 

Difesa  di  Verrua. 


Sampejre  (valle  di  Vraita),  14  agosto  1628;  as- 
sedio di  Casale,  combattimenti  in  Savoia; 
Pinerolo;  Val  di  Snsa,  1680. 


Combattimenti  di  poca  importanza  fra  Torino< 
Pinerolo-Carignano. 


Assedio  di  Valenza,  1685;  spedizione  di  Lo- 
mellìna;  combattimento  di  Tomavento  e  di 
Mombaldone,  1686;  assedio  di  Vercelli.  1687. 
Dal  1687  al  1659  la  guerra  si  svolge  con 
assedi  delle  principali  città  del  Piemonte, 
volta  a  volta  perdute  e  poscia  riconquistate 
da  una  delle  due  parti.  La  guerra  termina 
nel  1659,  con  la  pace  dei  Pirenei. 

Ponte  di  Mozzo,  18  luglio;  Zuccarello,  28  luglio  ; 
Monte  Chiappa,  24  luglio  ;  Garlenda,  27  luglio  ; 
Stellanello,  27  IngUo  ;  Castelveechio,  6  agosto  ; 
Ovada,  10  ottobre. 


102 


FIORENZO   BAVA-BECCARIS 


EPOCA 


TRUPPE  COMBATTENTI  B  MOTIVO 
DELLE  OUEBBE 


FATTI    D'AWE   PRINCIPALI 


1674-1678 


1690-1695 


Spedizione  in  Olanda  (con  Tannata  di 
Francia). 

VITTORIO  AMEDEO  II. 

Dncali,  Imperlali  e  Spagnuole  contro 
Francesi. 


1696 


1701-1702 


1703-1712 


Ducali  e  Francesi    contro  Imperiali  e 
Spagnuole.. 

Ducali,  Francesi,  Spagnuole  contro  Im- 
periali (successione  di  Spagna). 

Ducali  e  Imperiali  contro  Francesi  e 
S])agnuolò  (successione  di  Spagna). 


1718-1719 


1733-1735 


Re^e  e  Francesi  contro  Spagnuole  in 
Sicilia  (possesso  della  Sicilia). 


CARLO  EMANUELE  IIL 

Regie  e  Francesi  contro  Imperiali  (suc- 
cessione di  Polonia). 


1742-1748 


Regie  e  Imperiali  contro  Francesi   e 
Spagnuole  (successione  d*Austria). 


Assedio  di  Oud^narde,  settembre-ottobre  1674. 


Staffarda;  attacco  e  assedio  di  Susa,  nov.  1690; 
Villafranca  a  Mare,  15  marzo  1691;  investi- 
mento di  Nizza,  marzo  1691;  Avigliana,  29 
maggio  1691;  difesa  di  Cuneo,  giugno  1691; 
difesa  di  Carmagnola,  novembre  1691  ;  difesa 
Montmelian,  nov.  1691;  Embrnn,  18  agosto 
1692;  assedio  di  Pinerolo  e  S.  Brigida,  81 
luglio- 14  agosto  1698;  Marsaglia,  4  ottóbre 
1693. 

Assedio  di  Valenza,  settembre-ottobre. 


Chiari,  1  settembre  1701;   Luzzara,  15  agosto 
1702. 


Difesa  di  Vercelli»  giugno-luglio  1704;  difesa 
d*  Ivrea,  agosto-settembre  1704;  difesa  di 
Verrua,  ottobre  1704 -aprile  1705;  difesa  di 
Chivasso,  giugno-luglio  1705;  difesa  di  To- 
rino, maggio  -  7  settembre  1706  ;  assedio  di 
Casale,  dicembre  1706;  assedio  di  Tolone,  27 
luglio -31  agosto  1707  ;  Cesana,  2  a  gostol708; 
assedio  di  Fenestrelle,  agosto  1708. 

Difesa  della  cittadella  di  Messina,  luglio-agosto 
1718;  difesa  di  Trapani,  1718;  di^sa  di  Mi- 
lazzo, Augusta  e  Taormina. 


Assedio  di  Pizzighettone,  dal  9  al  80  novem- 
bre 1733;  assedio  castello  di  Milano,  dal  15  di- 
cembre 1733  al  2  gennaio  1734;  assedii  di  No- 
vara, Arena,  Serravalle,  gennaio  1734;  as- 
sedio di  Tortona,  26  gennaio-5  febbraio  1734  ; 
Colorno,  25  maggio -4  giugno  1734;  Parma, 
29  giugno  1734;  Guastalla,  19  agosto  1734. 

Assedi  di  Modena  e  della  Mirandola,  giugno  1742; 
Camposanto,  8  febbraio  1743;  Ca^teldeltino,  8 
agosto  1743;  Montalbano  e  Villafranca,  20 
aprile  1744;  Pietralunga,  19  luglio  1744; 
Madonna  deirOlmo,  30  settembre  1744;  di- 
fesa di  Cuneo,  agosto-ottobre  1844;  difesa  di 
Serravano  luglio  1745;  difesa  di  Tortona, 
ottobre  1745;  Bassignana,  23  settembre  1745; 
difesa  di  Valenza,  ottobre  1845;  assedio  di 
Valenza,  aprile  1846;  Tidone,  10  ag08tol746; 
la  Turbia,  17  ottobre  1746;  assedio  di  Ge- 
nova, maggio  1747;  Madonna  della  Miseri- 
cordia, 21  maggio  1747  ;  Montalbano,  6  giu- 
gno 1747  ;  Assietta,  19  luglio  1747  ;  assedio 
di  Bastia  (Corsica),  maggio  1748. 


ESERCITO   ITALIANO 


103 


rfk 


EPOCA 


TKUPPE  COMBATTENTI  E  MOTIVO 
DELLE  OUEBBE 


1792-1796 


VITTORIO  AMEDEO  IH. 
Regie  e  Imperiali  contro  Francesi. 


1815 


1S48 


VITTOniO  EMANUELE  L 
Regie  contro  Francesi. 

CARLO  ALBERTO. 

Sarde  contro  Aastrìache  (per  1*  indipen- 
denza d*  Italia). 


FATTI   D'ARME   PRINCIPALI 


1849 


Sarde  contro  Austriache  (per  V  indipen- 
denza d*  Italia). 


1855-1856 


VITTORIO  EMANUELE  IL 
Sarde,  Francesi,  Inglesi  contro  Russe. 


Difesa  di  Cagliari,  29  dicembre  1792;  Anthion, 
8  giugno  1793;  Col  della  Valtellina.  25  no- 
vembre 1793;  Brich  d'Utello,  25  novembre 
1793;  La  Thuille,  28  marzo  1794;  Saccarello, 
27  aprile  1794;  Briga.  28  aprile  1794;  Cla- 
vières,  80  agosto  1795;  Loano,  28  novembre 
1795;Montenegino.  11  aprile  1796;  Monte- 
notte.  12  aprile  1796  ;  S.  Michele,  19  aprile 
1796;  Mondovì  (Bricchetto),  21  aprile  1796. 


L*Hopital,  25-28  giugno;  Grenoble.  6  luglio. 


Allarme  di  Marcarla  snirOglio.  6  aprile;  com- 
battimento di  Goìto,  8  aprile;  occupazione 
di  Monzambano,  9  aprile;  occapazione  di 
Borghetto.  9  aprile  ;  dimostrazione  contro  Pe- 
schiera. 10  aprile;  tentativo  d^attacco  contro 
Peschiera.  18  aprile  ;  assedio  di  Peschiera,  14 
aprile  -  80  maggio  ;  dimostrazione  su  Man- 
tova. 19  aprile;  occupazione  di  Villafranca 
(combattimento  tra  Ganfardine  e  Caselle),  26 
aprile  ;  combattimento  di  Colà  e  occupazione 
di  Paceogo,  28  aprile;  combattimento  di  San- 
drà (S.  Giustina).  29  aprile  ;  battaglia  di  Pa- 
strengo.  30  aprile;  ricognizione  su  Affi-Ca- 
vajon-Piovezzano  (Ponton).  5  maggio;  battaglia 
di  S.  Lucia.  6  maggio;  combattimento  di  Cal- 
raasino-Cisano.  29  maggio  ;  battaglia  di  Goito, 
30  maggio;  occupazione  di  Rivoli.  10  pingno; 
ricognizione  sulla  Corona,  11  gingno;  scara- 
muccia di  Calzoni,  14  giugno;  combattimento 
della  Corona,  18  giugno;  investimento  di 
Mantova,  13-26  luglio;  combattimento  di 
Governolo.  18  luglio;  combattimento  di  Ri- 
voli. 22  luglio  ;  combattimento  di  Sona  (Som- 
macampagna  -  Staffalo  -  M.  Torre-Custoza),  24 
luglio;  combattimento  di  Monzambano  di 
Ponte,  24  luglio;  combattimento  di  Custoza 
(So  mmacampagna-Berettara-C  ustoza- Valeggio  ) 
25  luglio  ;  combattimento  di  Volta.  26  e  27 
luglio;  combattimento  di  Castellucchio,  27 
luglio;  combattimento  di Gadescoy  30  luglio; 
combattimento  di  Gingia  dei  Botti,  30  luglio; 
combattimento  di  Gazze.  30  luglio  ;  combat- 
timento sul  canale  della  Muzza  (Basiasco), 
2  agosto;  battaglia  di  Milano.  4  agosto. 

Combattimento  della  Cava.  20  mano  ;  combatti- 
mento della  Sforzesca  (S.  Siro-Sforzcsca-Gam- 
bol<')),  21  marzo;  combattimento  di  Mortara, 
21  marzo  ;  battaglia  di  Novara,  23  marzo. 


Battaglia  della  Cernala,  16  agosto  1855  ;  attacco 
e  presa  di  Sebastopoli,  16  agosto  1855. 


104 


FIORENZO  BAVA-BECCA RIS 


BPOCA 


TBUPPB  GOMBATTEHTI  E  MOTIYO 
DELLB  OUI&BB 


PATTI   D'AKME    PRINCIPALI 


1859 


Sarde  e  Francesi  contro  Austriache  (per 
r  indipendenza  d*  Italia). 


1860-1861 


Sarde  contro  Pontificie  e  Borboniche 
(per  la  libertà  d*  Italia). 


1866 


Sarde      contro   Austriache  (per  la  li- 
bertà d*  Italia). 


Scontro  di  Zinasco,  29  aprile  ;  scontro  di  Torr« 
Berettì,!  maggio;  ricognizione  di  Frassineto,  3 
maggio;  difesa  del  ponte  di  Valenza,  4  maggi i»; 
ricognizione  di  Castelnuovo  Scrivia,  5  maggio; 
ricognizione  snl  Po,  7  maggio;  ricogniziouu 
del  nemico  contro  la  testa  di  ponte  di  Ca- 
sale,  8  maggio  ;  ricognizione  su  Vercelli,  10 
maggio;  ricognizione  verso  Cascina  Strà,  12 
maggio;  combattimento  di  Montebello,  20 
maggio;  dimostrazioni  sulla  Sesia  e  ricogni- 
zioni, 21  e  25  maggio;  Sesto-Calende,  25 
maggio  ;  combattimento  di  Varese,  26  maggio  ; 
combattimento  di  S.  Fermo,  27  maggio;  com- 
battimento di  Laveno,  30  maggio;  combatti- 
menti di  Palestre  e  di  Vinzaglio,  30  maggio  ; 
combattimenti  di  Palestre  e  di  Confienza,  31 
maggio;  dimostrazioni  del  nemico  sulla  Sesia 
di  fronte  a  Gazze,  1  giugno  ;  battaglia  di  Ma- 
genta, 4  giugno;  combattimento  di  Seriate, 
8  giugno;  combattimento  di  Treponti,  15 
giugno;  combattimento  di  Rocca  d*Anfo,  22 
giugno;  ricognizione  su  Pozzolengo,  22  giu- 
gno; combattimento  di  Bagolino,  23  giugno, 
e  Monte  Snello,  24  giugno  ;  battaglia  dì  San 
Martino  e  di  Madonna  della  Scoperta,  24  giu- 
gno; combattimento  di  Bormio,  8  luglio. 

Presa  di  Città  di  Castello,  Il  settembre  1860; 
presa  di  Pesaro,  11  settembre  1860;  presa  di 
Fano,  12  settembre  1860;  combattimento  di 
Sinigaglia..  13  settembre  1860;  presa  di  Pe- 
rugia, 14  settembre  1860;  presa  di  Spoleto. 
17  settembre  1860;  batUglia  di  Castelfì- 
dardo,  18  settembre  1860;  assedio  di  Ancona, 
24-29  settembre  1860;  combattimento  di 
S.  Angelo  e  Caserta  Vecchia,  2  ottobre  1860  ; 
combattimento  del  Macerone,  20  ottobre  1860; 
combattimento  di  S.  Giuliano,  26  ottobre  1860  ; 
ricognizione  del  Garigliano,  29  ottobre  1860  ; 
assedio  di  Capua,  26  ottobre  -  2  novembri)  1860  ; 
assedio  di  Gaeta,  12  novembre  1860- 13  feb- 
braio 1861;  combattimento  di  Mola  di  Gaeta,  4 
novembre  1860;  fatti  d*arme  sotto  Gaeta,  12 
e  29  novembre  1860;  assedio  di  Messina,  1 
e  12  marzo  1861  ;  blocco  e  assedio  di  Civitella 
del  Tronto,  16  gennaio -20  marzo  1861  ;  com- 
battimento di  Tagliacozzo,  13  gennaio  1861  ; 
combattimento  della  Scurgnla,  22  gennaio 
1861  ;  combattimento  di  Banco,  2è  gen- 
naio 1861. 

Battaglia  di  Custoza,  24  giugno  ;  Medole,  2  lu- 
glio; espugnazione  di  Borgoforte,  6  e  18 
luglio;  combattimento  di  Darzo,  10  luglio; 
espugnazione  di  Gligenti,  15  e  19  luglio; 
Condino,  4  luglio;  combattimento  di  Bez- 
zecca,  21  luglio;  combattimenti  di  Cimego, 
21  luglio;  combattimento  di  Primolano,  22 
luglio;  combattimento  di  Borgo,  23  luglio; 
combattimento  di  Borgo  e  Levico,  23  luglio  ; 
combattimento  diVigolo,  25  luglio;  combat- 
timento di  Versa,  26  luglio. 


BSBROITO  ITALIANO 


105 


IFO0À 

TBUPPI  COMBÀTTSnn  K  MOTITO 
DILLE  OUKREE 

FATTI  D*ASME  PRINCIPALI 

1870 
1887-1801 

1000-1901 

Italiane  contro  Pontificie  (per  la  li- 
bertà d*IUlia). 

UMBERTO  I. 
Italiane  contro  Abissine. 

Italiane  contro  Cinesi. 

Roma,  20  settembre  1870. 

Saati,    25    gennaio  1887;    Dogali,   26  gennaio 
1887;  Saganeiti,  8  agosto  1888;  l"*  Agordat, 
27  giugno  1890;   Halat,   22  febbraio  1891; 
Serobeiti,  16   gìogno  1892;   2^  Agordat,  22 
dicembre  1893;  Cassala,  17  luglio  ]894;Halai, 
18  dicembre    1894;   Coatit-Senafè,  18   e  16 
gennaio  1895;    Debra  Ailà,  9  ottobre  1895; 
Amba-Alagi,  7  dicembre  1895;  Macallè,  7  e 
20  gennaio  1896;  Adua,  1  marzo  1896;  Monte 
Mocram-Tucrnf,  2  e  8  aprile  1896;  Adigrat,4 
maggio  1896;   scontri   di   Scìaglet,  21  gen- 
naio, e  Tessenei,  1  febbraio. 

Occupazione  dei  forti  di  Sha-hai-cuan,  2  ottobre 
1900;  combattimento   di  Cn-nan-sien,  2  no- 
vembre 1900. 

\ 


NOTA. 


Questo  quadro  dimostra  come  Tesercito  subalpino,  del  cui  sviluppo  abbiamo  dato  in  principio 
un  breve  ragguaglio,  abbia,  nel  corso  di  tre  secoli,  sostenute  19  guerre,  con  69  campagne,  non  con* 
tando  quelle  motivate  dai  torbidi  interni,  e  la  guerra  civile  durante  la  reggenza  di  Madama  Cristina. 

Le  truppe  ducali,  divenute  regie  con  Vittorio  Amedeo  II,  primo  re  di  Sardegna  (onde  Tappel- 
lativo  di  sardo  airesercito),  furono,  in  tutte  le  guerre,  direttamente  comandate  dai  Dncbi  e  dai  Re,  i 
quali  enuio  nelle  stesso  tempo  generalissimi  delle  truppe  alleate;  in  loro  assenta  erano  sostituiti 
da  principi  della  Casa,  i  quali  ordinariamente  comandavano  in  sottordine.  Ciò  spiega  come,  tranne 
poche  ecceiioni,  nessun  generale  non  appartenente  a  Casa  Savoia,  esercitò  un  alto  comando.  Emanuele 
Filiberto,  Carlo  Emanuele  I,  Vittorio  Amedeo  II,  Carlo  Emanuele  HI,  furono  generali  di  vaglia;  a 
tutti  però  flovrastò  di  molto  il  Prìncipe  Eugenio,  grande  e  valoroso  stratega  d'imperitura  fama. 

Le  lunghe  e  continue  guerre  servirono  a  costituire  Tanima  guerriera  dei  popoli  del  Regno 
Sabaudo;  non|le  rimpiangiamo:  esse  costituirono  il  vitale  lievito  della  formazione  del  nuovo  esercito. 


ftouwzo  Bava-Bbooabis.  —  Fttrciio  iidioMo  «oo. 


8 


OPERE    CONSULTATE 


SA.LUCB8  (ÀLBX  Dx) .  flistoiro  ixìilitaire  dn  Piémont. 

PcNBLLi  Augusto  .  .  Storia  militare  del  Piemonto  in  continaazione  di  quella  del  Salasso , 

cioè  dalla  pace  di  Aqaisgrana  sino  ai  d\  nostri. 
Costa  de  Beaursgard.  Mémoires  historiqaes  sor  la  maison  royale  de  Saroie  et  sur  les 

pays  soumis  à  sa  domination  depuis  le  commencement  do  oniième 

siècle  jasqa*à  Tannée  1790  inclusivement. 
Carutti  Domenico  .  Storia  del  reg^o  di  Vittorio  Amedeo  II. 
Id.  Storia  del  regno  di  Carlo  Emanuele  III. 

Id.  Storia  della  diplomazia  della  corte  di  SaToia. 

GuiCHENON Histoire  généalogiqae  de  la  royale  maison  de  Savoie. 

Comando  Corpo  Stato  Maggiore.  Le  istitazioni  militari  del  ducato  di  Savoia  e  del  Regno 

di  Sardegna  (di  prossima  pubblicazìcne). 
LissoNi  Antonio  .  .  Compendio  della  storia  militare  italiana  dal  1792  al  1815. 
Zanoli  Alessandro.  Sulla  milizia   cisalpina   italiana.   Cenni   storico-statistici  dal    1796 

al  1814. 
(Ano.nimo) Fasti  e  vicende  degli  italiani  dal  1801  al  1815|  o,  meglio,  memorie 

di  un  ufficiale  per  servire  alla  storia  militare  italiana. 

EocH Mémoires  de  Massena. 

Colletta  Pietro.  .  Opere  inedite  e  rare. 

Pignatelli-Strongoli.  Tre  capitoli  della  storia  del  reame  di  Napoli. 

Mezzacapo  Carlo.  .  Stato  militare  d* Italia,  in  «Rivista   militare  italiana»,  anno  1858. 

Corsi  Carlo Sommario  di  storia  militare. 

Fabris  Cbcilio  ...  Gli  avvenimenti  militari  del  1848-49. 
Comando  Corpo  Stato  Maggiore.  Memorie  storiche  militari. 

Id.  Relazioni  e  rapporti  finali  sulla  campagna  del  1848  in  alta  Italia. 

Id.  La  guerra  del  1859  per  1* indipendenza    d'Italia. 

Cavaciocchi  e  Santangelo.  Le  istituzioni  militari  italiane. 
Perrucchetti  ....  Questioni  militari  d'attualità. 
Ragioneria  Generale  dello  Stato.  Il  bilancio  generale  del  regno  d'Italia  negli  esei^ 

cìzì  finanziarli  dal  1862  al  1907-908. 

Atti della  Camera  e  del  Senato  del  Regno. 

Giornali Giornale  militare  ufficiale. 


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(1)  Per  teli  ape^e,  veggaai  tahelli  nel  t«bU). 


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L.T780  IL  DaBITO  VITAUZIO  1 


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MARINA  MILITARE  E  COSTRUZIONI  NAVALI 


PREFAZIONE 


L'illustre  Presidente  dell' Accademia  dei  Lincei  aveva  dato  incarico  al 
tenente  generale  del  Genio  navale  senatore  Masdea,  di  ricordare  le  vicende 
della  nostra  Marina  militare  e  delle  costnizioni  navali  militari. 

La  scelta  non  poteva  essere  migliore.  Edoardo  Masdea,  ingegnere  navale 
valentissimo^  autore  lodato  dei  progetti  delle  nostre  più  moderne  navi,  aveva 
speso  tutta  la  vita  per  la  Marina  ;  da  giovane  aveva  lavorato  accanto  a  Be- 
nedetto Brin  fin  dall'epoca  della  costruzione  dell*  «  Italia  «  ;  aveva  passato 
buona  parte  della  sua  brillante  carriera  al  Ministero  della  Marina,  a  studiare 
e  progettare  navi  ;  aveva  assistito  alla  costruzione  della  nostra  flotta,  e  cono- 
sceva a  fondo  uomini  e  cose.  Chi  poteva,  meglio  di  Ini,  trattare  della  Marina 
nostra?  Ed  egli  vi  si  era  accinto  con  l'entusiasmo,  che  metteva  in  tutto  quanto 
occupava  la  sua  lucida  mente  di  studioso,  specie  trattandosi  di  costruzioni 
navali,  scopo  precipuo  della  sua  vita;  aveva  preparato  parecchi  appunti,  aveva 
scritto  alcuni  brani,  quando  improvvisamente  venne  a  mancare,  lasciando  largo 
rimpianto  nella  Marina. 

E  poiché  io  aveva  raccolti  tutti  i  suoi  manoscritti,  essendo  a  Lui  legato 
da  vincoli  di  parentela,  si  volle  che  avessi  continuato  il  lavoro:  tanto  più 
che  avevo  avuto  V  onore  di  stare  presso  di  Lui,  per  ragioni  di  servizio,  in 
questi  ultimi  anni,  ed  avevo  avuto  occasione  di  eseguire  qualche  ricerca  per 
questo  suo  speciale  studio. 

Mi  schermii  sul  principio  dall'assumere  un  incarico,  che  ritenevo  e  ri- 
tengo superiore  alle  mie  forze;  ed  anche  perchè  rifuggivo  dal  legare  il  mio 
modesto  nome  ad  un'opera  nella  quale  collaborano  uomini  tanto  preclari  ;  ma 
poi  potè  su  di  me  il  consiglio  e  l'autorità  dell'illustre  ammiraglio  senatore 

OfTRTAvo  Bozzoni.  —  Marina  militare  e  Costrufiont  navali»  1 


GUSTAVO   BOZZONI 


Oualterio,  e  mi  assunsi  V  incarìco  che  il  Presidente  ToUe  benignarsi  di  affi- 
darmi, anche  perchè  convinto  che  avrei  fatto  opera  riguardosa  verso  la  me- 
moria del  Masdea,  non  lasciando  nell* oblio  un  lavoro  da  lui  iniziato. 

Nota.  —  Il  senatore  Masdea  si  era  occupato  della  parte  che  si  rife- 
risce al  naviglio  dalla  costituzione  del  Begno  al  1880,  e  dei  cenni  storici  e 
tecnici;  io  ho  rispettato  quanto  egli  aveva  scritto,  completando  le  parti 
mancanti,  poiché,  come  ho  già  accennato,  lo  scritto  era  a  brani  staccati. 
Pertanto,  i  par^rafi  3-4-11-12-13-14-15-16-17-18-22-25-26-28-30-31-82 
della  Parte  II  sono  integralmente  del  Masdea. 

Ing.   Gustavo  Bozzoni 

Ma^iore  del  Genio  Narale 


MARINA   MILITARE   B   COSTRUZIONI   NATALI 


PARTE    PRIMA 


ORDINAMENTO  GENERALE 


All'alba  del  nuovo  Regno  costìtuitoai  per  volontà  di  popolo  e  lealtà  di 
Principe,  allorché  vi  mancavano  ancora  le  provincie  Venete  e  quelle  sotto- 
poste al  dominio  pontificio,  l'ordinamento  generale  della  Marina  da  guerra 
era,  per  sommi  capi,  il  seguente  (R.  D.  17  novembre  1860). 

1.  Il  Ministero  della  Marina  (creato  col  R.  D.  10  gennaio  1861,  col  quale 
si  abolivano  i  Ministeri  di  Napoli  e  Palermo)  limitava  la  sua  opera  all'alta 
direzione  delle  cose  marittime  ed  airamministrazione  pecuniaria;  la  tratta- 
tiva degli  affari  tecnici  era  devoluta  al  Consiglio  di  Ammiragliato  ;  le  par* 
ticolarità  del  servizio  ai  comandi  dei  dipartimenti. 

Il  Consiglio  di  Ammiragliato  (R.  D.  21  febbraio  1861)  era  presieduto 
dal  ministro  e  composto  di  ufficiali  ammiragli  e  dell*  Ispettore  generale  delle 
costruzioni  navali:  deliberava  sulle  questioni  riguardanti  Tordinamento  e 
r  amministrazione  della  Marina,  le  costruzioni,  i  bilanci,  i  progetti  di 
legge,  ecc.  ecc. 

I  dipartimenti  erano  tre:  Settentrionale  con  sede  a  Genova,  Meridio- 
nale con  sede  a  Napoli,  dell'Adriatico  con  sede  ad  Ancona,  ed  erano  coman- 
dati da  ufficiali  ammiragli,  i  quali  proponevano  al  ministro  le  navi  da  armare 
0  disarmare,  le  promozioni  e  destinazioni  degli  ufficiali,  ecc.,  e  sovrainten- 
devano  al  servizio  degli  arsenali. 

In  ogni  dipartimento  eravi  un  Commissario  generale  dipendente  diret- 
tamente dal  Ministero,  al  quale  faceva  capo  tutto  il  servizio  amministrativo 
e  contabile  degli  arsenali,  degli  uffici  dipartimentali  e  delle  navi  dipendenti. 

2.  Il  personale  della  R.  Marina  era  composto  (R.  D.  1®  aprile  1861) 
dai  seguenti  Corpi: 

1*)  Corpo  dello  stato  maggiore  generale,  al  quale  erano  aggregati 
i  cappellani^  gli  ufficiali  piloti,  gli  ufficiali  macchinisti^  gli  ufficiali  di 
maggiorità^  gli  ufficiali  d'arsenale  ed  il  personale  civile  delle  segreterie 
dei  comandi  in  capo* 


GUSTAVO   BOZZONI 


2®)  Corpo  del  Genio  navale,  costituito  da  ufficiali  ìngegaeri  per  il 
servizio  degli  arsenali. 

3*)  Corpo  sanitario. 

4°)  Corpo  di  commissariato. 

5^)  Corpo  reale  equipaggi  costituito  su  due  divisioni:  una  con  sede 
a  Genova,  Taltra  con  sede  a  Napoli  (10.500  uomini). 

6®)  Corpo  fanteria  real  marina,  costituito  su  due  reggimenti  aventi 
sede  a  Genova  ed  a  Napoli  (190  ufficiali  e  5700  uomini). 

3.  Naviglio.  —  11  naviglio  dello  Stato  era  costituito  da  97  navi,  delle 
quali  due  corazzate,  30  navi  ad  elica,  41  a  ruote  e  24  a  vela,  per  un  tonnel- 
laggio complessivo  di  tonn.  112.726.  Esso  era  formato  da  38  navi  provenienti 
<ialla  Marina  sarda,  33  dalla  Marina  napoletana,  9  dalla  Marina  toscana  e 
2  dalla  Marina  romana  trovate  nel  porto  di  Ancona.  Sono  comprese  in  questa 
«numerazione  le  navi  ancora  in  corso  di  costruzione  (le  due  corazzate)  o  navi 
in  istato  da  subire  grandi  riparazioni  o  trasformazioni:  tolte  le  quali,  il 
naviglio  da  potersi  armare  effettivamente,  a  queir  epoca,  era  ridotto  a  22  navi 
ad  elica,  35  a  ruote  e  22  a  vela,  per  im  totale  di  77.000  tonnellate,  12.160 
cav.  nom.  e  745  cannoni. 

4.  Arsenali.  —  In  fatto  di  arsenali,  la  Marina  napoletana  possedeva 
Tarsenale  di  Napoli  ed  il  cantiere  di  Castellamare,  dove  si  trovavano  in  co- 
struzione, a  queir  epoca,  due  fregate  ad  elica:  «  Farnese  »  (poi  «  Italia  i>)e 
«  Gaeta  » ,  ed  una  corvetta  ad  elica,  Y  «  Etna  »  ;  la  .Marina  sarda  possedeva 
Tarsenale  di  Genova  ed  il  cantiere  della  Foce,  nel  quale  si  trovavano  in 
«ostruzione  due  fregate  ad  elica:  «i  Principe  Umberto  »  e  <«  Principe  di  Cari- 
gnano»,  e  la  corvetta  ad  elica  «  Principessa  Clotilde  ». 

Oltre  i  suddetti  arsenali  e  cantieri  delle  Marine  sarda  e  napoletana,  il 
Regno  d'Italia  si  trovò  a  possedere,  alla  sua  costituzione,  anche  il  cantiere  di 
Livorno  con  un  bacino  di  carenaggio,  e  quello  di  Ancona. 

Nei  due  dipartimenti  settentrionale  e  meridionale,  gli  arsenali  erano  co- 
stituiti su  tre  direzioni  dei  lavori:  delle  costruzioni  navali,  degli  armamenti 
e  delle  macchine;  i  comandanti  in  capo  del  dipartimento  esercitavano  la  vi- 
gilanza sugli  arsenali,  coordinando  l'opera  delle  tre  direzioni.  Le  maestranze 
erano  in  parte  costituite  da  operai  borghesi  arruolati  militarmente,  ed  in 
parte  da  forzati,  che  tino  al  1867,  fino  all'epoca,  cioè,  in  cui  i  bagni  penali 
furono  alla  dipendenza  dell'Amministrazione  della  Marina,  si  mandavano  al 
lavoro  negli  arsenali. 

5.  Scuole  e  ospedali.  —  A  Napoli  e  a  Genova  esistevano  due  Scuole 
di  Marina  per  la  formazione  degli  ufficiali  di  stato  maggiore;  gli  ufficiali 
degli  altri  corpi  della  marina,  che  non  erano  militari,  ma  bensì  assimilati,  veni- 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI 


vano  reclutati  fra  giovani  borghesi,  salvo  che  per  gli  ufficiali  piloti,  i  quali 
provenivano  dalla  Scuola  dei  Pilotini  del  cessato  Begno  delle  Due  Sicilie. 
Parimenti  a  Napoli  e  Genova  eranvi  due  ospedali  dipartimentali;  nel 
dipartimento  dell' Adriatico,  cioè  ad  Ancona,  oravi  un  ospedale  secondario  \ 
esistevano  poi  scuole  per  i  mozzi,  scuole  per  i  meccanici,  ecc. 

6.  Alla  morte  del  conte  di  Cavour,  il  generale  Menabrea,  che  gli  suc- 
cesse nella  direzione  degli  affari  della  marina,  istituì  un  ufficio  tecnico  presso 
il  Ministero,  costituito  da  ufficiali  dei  vad  corpi  della  B.  Marina,  con  le  man- 
sioni di  esaminare  i  disegni  di  ordinamento  marittimo,  delle  costruzioni, 
degli  armamenti,  e  di  curare  gli  affari  scientifici. 

Nel  1863  furono  riordinati  gli  arsenali,  costituendoli  su  3  direzioni  dei 
lavori  :  Costruzioni  navali.  Artiglierìa,  Armamenti  ;  ed  i  servizi  amministra- 
tivi furoDO  messi  alla  dipendenza  del  comandante  in  capo. 

Nq^  1865  (B.  D.  11  marzo)  fu  riordinato  dal  ministro  Angioletti  il  Mi- 
nistero della  marina,  costituendolo  su  3  Direzioni  generali  :  Servizio  militare 
marittimo,  Servìzi  amministrativi,  Marina  mercantile  e  Bagni  penali. 

Nello  stesso  anno  fu  istituito  un  Comando  militare  a  Spezia  e  fu  ceduto 
air  industria  privata  il  cantiere  navale  dì  Livorno,  venendo  soppresso  in  quel 
porto  il  Comando  di  Marina. 

7.  Sottoscritto  a  Berlino,  1*8  aprile  1866,  il  trattato  dì  alleanza  offensivo 
e  difensivo  fra  Italia  e  Prussia,  in  previsione  della  guerra  all'Austria,  nella 
quale  la  Marina  doveva  avere  parte  importante,  furono  in  fretta  armate  molte 
navi  ;  fu  aumentato  il  numero  degli  ufficiali,  richiamandone  alcuni,  che  avevano 
lasciato  il  servizio,  altri  chiamandone  dalla  marina  mercantile;  furono  ri- 
chiamate classi  di  leva,  portando  Teffettivo  degli  uomini  del  Corpo  Beale 
Equipaggi  a  17.020,  e  con  B.  D.  3  maggio  fu  costituita  Tarmata  di  opera- 
zione. Da  Taranto,  punto  di  riunione,  la  sera  del  21  giugno  Tarmata  partì, 
diretta  ad  Ancona. 

Ebbe  così  inizio  la  campagna  che  si  chiuse  con  la  dolorosa  sconfitta  del 
20  luglio,  data  memorabile  il  cui  ricordo  fìi  sanguinare  ancora  il  cuore  degli 
italiani. 

Firmata  la  pace  con  TAustria  il  3  ottobre  1866,  il  Begno  d*  Italia  ebbe 
le  provincia  venete  ;  e,  con  B.  D.  del  6  dello  stesso  mese,  il  dipartimento  del- 
TAdriatico  fu  trasferito  da  Ancona  a  Venezia. 

Nel  successivo  anno  1868,  con  B.  D.  20  settembre,  il  ministro  Biboty 
riordinò  le  scuole  di  marina  di  Genova  e  Napoli,  unificandole  come  istituto 
su  due  divisioni:  la  prima,  di  2  anni,  a  Napoli;  la  seconda,  parimenti  di  2 
anni,  a  Genova. 

Nel  1869  fu  inaugiu-ato  TArsenale  della  Spezia,  e  Tanno  successivo  fu 
trasferita  alla  Spezia  la  sede  del  dipartimento  settentrionale,  rimanendo  a 


GUSTAVO   BOZZONI 


OenoTa  un  Comando  locale.  Il  dipartimento  della  Spezia  fu  detto  primo,  quello 
di  Napoli  secondo,  quello  di  Venezia  terzo.  Poco  dopo  (B.  Decreto  8  no- 
vembre 1872),  anche  il  Comando  di  Marina  di  Genova  venne  soppresso  e 
l'arsenale  ceduto  all'industria  privata. 

Nel  1872  fu  riordinata  l'Amministrazione  centrale  e  costituito  l'Ufficio, 
poi  Istituto  idrografico,  a  Genova;  nel  1875  fu  riordinato  nuovamente  il 
Ministero,  costituendo  la  Direzione  generale  delle  costruzioni  navali,  la  Di- 
rezione generale  di  artiglieria  ed  armamenti,  la  Direzione  generale  della  ma- 
rina mercantile;  e  neU'istesso  anno  furono  militarizzati  i  corpi  fino  allora 
assimilati. 

Nel  1878  furono,  con  la  legge  8  dicembre,  riordinati  i  corpi  militari  e 
civili  della  Marina,  e  fu  costituita  l'Accademia  navale  a  Livorno. 

Dopo  questa  epoca,  l'ordinamento  della  Marina  non  subì  altre  modifica- 
zioni radicali.  Esso  è  pertanto  costituito  attualmente  da  un'amministrazione, 
alla  quale  fanno  capo  e  dalla  quale  dipendono  tutti  gli  organi  locali,  e  dai 
consessi  consultivi. 

Qui  appresso  riassumiamo  per  sommi  capi  la  funzione  dell'Amministra- 
zione  centrale,   quella  dei  Consessi  consultivi  e  quella  degli  organi  locali. 


Amministrazione  centrale. 

L'Amministrazione  centrale  è  ripartita  nei  vari  Ufficii  e  Direzioni  ge- 
nerali, ciascuno  dei  quali  sovraintende  ad  un  particolare  ramo  del  servizio 
della  vasta  azienda. 

1  principali  uffici  sono: 

Gli  Uffici  di  gabinetto  del  ministro  e  del  sottosegretario  di  Stato; 

Le  Direzioni  generali  delle  costruzioni  navali,  dell' artiglieria  ed  arma- 
menti, degli  ufficiali  e  servizio  militare  e  scientifico,  del  Corpo  reale  equi- 
paggi, della  Marina  mercantile  e  dei  Servizi  amministrativi; 

Gli  Ispettorati  di  sanità,  di  commissariato,  del  Corpo  delle  capita- 
nerie di  porto  e  dei  Servizi  marittimi  ; 

L'Ufficio  di  Stato  maggiore; 

L'Ufficio  del  Genio  militare; 

L'Ufficio  di  Ragioneria. 


1  Consessi  consultivi. 

8.  Consiglio  Superiore  di  Marina.  —  Nella  Marina  sarda  esisteva,  fin 
dal  1849,  un  Consiglio  permanente  di  Marina,  che  nel  1856  s'intitolò  Con- 
gresso permanente  della  Marina  militare.  Nel  1861,  con  R.  D.  21  febbraio, 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI 


ftt  istituito  il  Consiglio  di  ammiragliato^  che  nel  1866  (B.  D.  80  dicem- 
bre) cambiò  la  denomiDazione  con  quella  di  Consiglio  superiore  di  Marina. 
Esso  era  incaricato  principalmente  dell'esame  dei  progetti  delle  costruzioni, 
che  si  eseguivano  per  conto  della  B.  Marina. 

Negli  anni  1894  e  1899  questo  Consesso  subì  radicali  riforme;  attual- 
mente ne  son  fissate  la  composizione  e  le  attribuzioni  con  la  legge  n.  404, 
del  27  giugno  1907. 

Il  Consiglio  è  presieduto  da  un'ammiraglio  o  yiceammiraglio  ;  ne  fanno 
parte  due  ufficiali  ammiragli,  il  tenente  generale  del  Genio  navale,  il 
maggiore  generale  macchinista,  il  direttore  generale  capo  della  Direzione 
generale  dei  Servizi  amministrativi  ed  un  capitano  di  vascello  con  le  fun- 
zioni di  segretario.  Sono  membri  straordinari  del  Consiglio  i  direttori  ge- 
nerali ed  i  capi  degli  Uffici  principali  del  Ministero. 

Il  Consìglio  è  chiamato  a  dar  parere  sugli  ordinamenti  militari,  e  circa 
la  costituzione  dei  coi*pi  della  Marina  ;  emette  il  giudizio  sui  progetti  delle 
navi,  sui  contratti  per  forniture  di  grande  importanza,  sulValienazione  delle 
navi  ecc.;  compila  i  quadri  di  avanzamento  per  i  vari  corpi  della  B.  Ma- 
rina, esprime  parere  sulle  azioni  di  valore,  sulle  pubblicazioni,  sulle  cam- 
pagne ecc.  ecc. 

9.  Comitato  degli  ammiragli.  —  Fu  istituito  nel  1886  dal  ministro 
Brin;  venne  soppresso  nel  1899,  e  ripristinato  nel  1907  con  la  legge  27  giugno 
1907.  È  un  consesso  costituito  dai  comandanti  in  capo  di  forze  navali  pre- 
senti nelle  acque  dello  Stato,  dai  comandanti  in  capo  dei  dipartimenti,  dal 
presidente  e  dal  vicepresidente  del  Consiglio  superiore  di  Marina,  dal  te- 
nente generale  del  Genio  navale  ed  infine  dal  capo  di  stato  maggiore  della 
Marina,  il  quale  ha  le  funzioni  di  relatore.  È  presidente  del  Comitato  il 
primo  iscritto  nel  ruolo  degli  ufficiali  ammirigli  in  servizio  attivo;  ma  il 
ministro  della  Marina  ha  la  facoltà  di  assumerne  la  presidenza. 

Il  Comitato  degli  ammiragli  non  è  permanente,  ma  è  convocato  quando 
se  ne  riconosca  il  bisogno,  ed  è  chiamato  a  dar  parere  sulle  questioni  della 
più  alta  importanza,  relative  al  programma  delle  costruzioni  navali  ed  alla 
costituzione  delle  forze  navali.  Compila  altresì  i  quadri  di  avanzamento  degli 
ufficiali  degli  alti  gradi. 

10.  Comitato  per  l'esame  dei  progetti  di  navi.  —  Istituito  nel  1880, 
soppresso  nel  1889,  il  Comitato  per  Vesame  dei  progetti  di  navi  fu  rico- 
stituito con  la  citata  legge  del  1907. 

Questo  consesso  è  presieduto  dal  tenente  generale  del  Genio  navale,  ed 
è  composto  di  ufficiali  generali  e  superiori  dello  stato  maggiore  del  Genio 
navale  e  macchinisti.  È  un  consesso  eminentemente  tecnico,  che  determina 
i  criteri  informativi  per  lo  studio  dei  progetti  delle  navi:  esamina  i  prò- 


^  GUSTAVO   BOZZONI 


getti  delle  navi  e  degli  apparati  motori  :  stabilisce  le  condizioni  tecniche  per 
le  forniture  di  navi,  macchinari,  materiali  :  esamina  i  capitolati  d'oneri  per 
le  dette  fornitore  ecc. 

Aggregato  al  Gomitato  è  nn  Ufficio  tecnico  esecutivo,  retto  da  un  mag- 
giore generale  del  Oenio  narale. 

11.  Consiglio  superiore  della  Marina  mercantile.  —  Fin  dal  1816 
esisteva  nella  Manna  sarda  un  Consiglio  di  ammiragliato  mercantile,  che 
fa  conservato  nella  Marina  italiana,  subendo  una  serie  di  trasformazioni,  così 
nella  denominazione,  come  nelle  sue  attribuzioni  ;  finché  nel  1885  fu  isti- 
tuito con  la  denominazione  attuale. 

Il  Consiglio  è  composto  del  direttore  generale  della  marina  mercantile, 
di  funzìoDart  di  vart  ministeri  ecc.,  ed  è  chiamato  a  dar  parere  su  tutte  le 
questioni  interessanti  la  Marina  mercantile. 


Organi  locali. 

12.  Agli  effetti  militari,  —  cioè,  per  quanto  riguarda  la  difesa  delle 
coste  ed  il  servizio  degli  arsenali,  —  il  litorale  italiano  è  diviso  in  tre  zone, 
che  prendono  nome  di  Dipartimenti  marittimi:  il  P  con  sede  a  Spezia,  il 
2^  a  Napoli,  il  8°  a  Venezia.  Esistono  poi  Comandi  militari  a  Taranto  ed 
alla  Maddalena. 

Nelle  sede  dei  dipartimenti  e  Comandi  militari,  esistono  arsenali,  can- 
tieri per  la  costruzione  e  riparazione  del  naviglio,  depositi  di  combustibili, 
di  mimizioni  di  viveri,  ospedali,  comandi  di  difese  marittime  ecc.,  tutti  sotto 
la  giurisdizione  del  Comandante  in  capo  del  dipartimento  o  del  Coman- 
dante  militare.  Tali  comandi  sono  affidati  ad  ufRciali  ammiragli  dipendenti 
direttamente  dal  Ministero. 

13.  Agli  effetti  mercantili  e  commerciali  il  litorale  italiano  è  diviso 
in  24  compartimenti  marittimi,  suddivisi  a  loro  volta  in  Capitanerie  di 
porto,  uflicii  e  delegazioni  di  porto.  1  compartimenti,  le  capitanerie,  gli 
uffici,  sono  retti  da  Capitani  ed  ufficiali  di  portOy  dai  quali  dipendono  i 
servizi  dei  porti  e  del  demanio  marittimo,  la  polizia  marittima,  la  vigilanza 
sulla  pesca,  la  vigilanza  sulla  gente  di  mare,  il  servizio  della  leva  marit- 
tima, le  tasse  marittime,  i  premi  di  costruzione,  di  navigazione  ecc. 

14^  Il  Corpo  degli  ufficiali  di  porto  venne  istituito  nel  1865  fondendo 
il  Corpo  dello  stato  maggiore  dei  porti  della  Marina  sarda,  con  quello  dei 
Consoli  del  mare  della  Marina  napoletana;  e  fu  corpo  militare:  poi  divenne 
corpo  civile,  conservando  però  la  divisa  militare. 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI 


Dato  COSÌ  no  rapido  cenno  agli  ordinamenti  generali  della  Marina,  pas- 
seremo ad  occuparci  brevemente  del  personale^  delle  scuole  militari  e 
degli  arsenali. 


Personale. 

16.  Il  personale  della  B.  Marina  si  compone  di  Corpi  militari  ed  im- 
piegati civili. 

Sono  Corpi  militari: 

a)  Lo  Stato  maggiore  generale  (ufRciali  di  rascello)  ; 
*)  Il  Qenio  navale,  che  si  suddiride  in  uflBciali   ingegneri,  ufficiali 
macchinisti  ed  assistenti  ; 

ó)  Il  Corpo  sanitario; 

d)  Il  Corpo  di  Commissariato; 

e)  Oli  ufficiali  del  Corpo  B.  Equipaggi; 

f)  Il  Corpo  Beali  Equipaggi. 

Sono  corpi  civili: 

a)  Oli  impiegati  del  Ministero; 

b)  Il  Corpo  delle  capitanerìe  di  porto; 

e)  I  professori  e  maestri  degli  istituti  militari  marittimi; 

d)  I  farmacisti; 

e)  Il  personale  tecnico  dipendente  dalle  Direzioni  dei  lavori; 
/)  Il  corpo  dei  contabili; 

g)  I  disegnatori. 

16.  Corpo  dello  stato  maggiore  generale.  —  Alla  costituzione  del 
Begno  dltalia,  al  Corpo  dello  stato  maggiore  (ufficiali  di  vascello)  erano 
aggregati  gli  ufficiali  di  maggiorila,  gli  ufficiali  piloti,  gli  ufficiali  di  arse- 
nale, i  cappellani  ed  il  personale  civile  delle  segreterie  dei  Comandi  in  capo. 

Soppressi  nel  1876  il  corpo  degli  ufficiali  piloti,  quello  degli  ufficiali 
di  maggiorità  e  degli  ufficiali  di  arsenale,  i  primi  passarono  in  parte  negli 
ufficiali  di  vascello,  i  secondi  passarono  nel  Commissariato,  e  gli  ufficiali 
di  arsenale  passarono  a  far  parte  del  Corpo  civile  tecnico. 

Nello  stesso  anno  furono  soppressi  i  cappellani,  e  gli  ufficiali  macchi- 
nisti furono  incorporati  nel  Corpo  del  Genio  navale. 

La  legge  3  dicembre  1878,  che  stabilisce  le  mansioni  dei  vari  corpi 
della  B.  Marina,  assegna  allo  Stato  maggiore  generale  le  seguenti: 

armare,  guidare,  comandare  le  navi  dello  Stato:  comandare  i  diparti- 
menti e  le  piazze  marittime,  il  Corpo  reali  equipaggi,  le  scuole  di  ma- 
rina ecc.  ; 


10 


GUSTAVO   BOZZONI 


dirìgere  il  servizio  di  artiglieria  ed  armamenti,  il  servizio  idrografico 
ed  astronomico,  nonché  tatti  i  servizi  attinenti  alla  navigazione  ed  ogni  altro 
di  carattere  militare  marìttimo. 

Il  reclutamento  degli  ufficiali  di  stato  maggiore  è  fatto  per  mezzo  del- 
TAccademia  Navale,  di  cui  diciamo  in  seguito. 

Il  seguente  specchietto  dimostra  la  storia  organica  del  Corpo  dello  Stato 
Maggiore  dal  1861  al  1910: 


OBADl 


1861 


1870 


1880 


1800 


1000 


1010 


Ammiragli 

Vice-ammiragli  .... 
Contro-ammiragli  .  .  . 
Capitani  di  vascello  .  . 
Capitani  di  fregata  .  . 
Capitani  di  corvetta  .  . 
Tenenti  di  vascello  .  . 
Sotto  tenenti  di  Vascello 
Gnardie  marine.    .    .    . 

Totale    . 


1 
8 

10 
12 
36 

150 
150 
150 


512 


1 
1 

10 
33 
50 

180 
150 
145 


570 


1 

4 

9 

34 

40 

20 

200 

150 

48 


1 

5 

15 

46 

59 

56 

309 

167 

78 


1 
7 

14 

58 

70 

75 

400 

166 

120    f 


501 


736 


911 


1 
7 

15 
56 
75 
85 
420 

340 


999 


17.  Corpo  del  Genio  Navale.  —  Il  Corpo  del  Genio  Navale  esisteva 
già  con  diversa  denominazione  nella  Marina  sarda  e  nella  Marina  napole- 
tana. Nel  1861,  con  B.  D.  1^  aprile  assunse  Fattuale  denominazione:  era 
però  costituito  allora  di  soli  ufficiali  ingegneri;  nel  1866  il  Corpo  del  Oenio 
Navale  fu  militarizzato,  e  nel  1878,  con  la  legge  del  3  dicembre,  fu  ad  esso 
aggregato  il  Corpo  degli  ufficiali  macchinisti. 

Alla  costituzione  del  Segno  esisteva  un  piccolo  nucleo  di  macchinisti  (12), 
dei  quali  buona  parte  erano  stranieri  (inglesi  e  francesi);  e  nel  1862,  per 
ispirazione  del  conte  Cavour,  che  intendeva  così  sottrarsi  airelemento  stra- 
niero, fu  creato  (B.  D.  25  settembre)  il  corpo  dei  macchinisti,  aggregandolo 
allo  Stato  maggiore  generale,  che  non  subì  notevoli  modificazioni  fino  al  1878, 
epoca  nella  quale,  come  si  è  detto,  gli  ufficiali  macchinisti  passarono  a  far 
parte  del  Qenio  navale. 


Le  attribuzioni  degli  ufficiali  ingegneri  sono  essenzialmente  quelli  di  pro- 
gettare e  costruire  le  navi  e  gli  apparati  motori  ;  ripararli  ;  vigilarne  la  costru- 
zione presso  gli  stabilimenti  privati.  La  loro  azione  principale  si  esplica 
pertanto  negli  arsenali  e  cantieri  privati.  Ufficiali  generali  del  Corpo  fanno 


MARINA    MILITARE    B    COSTRUZIONI   NAVALI 


11 


parte  del  Consiglio  superiore  di  Marina,  del  Gomitato  degli  amnaìragli, 
del  Comitato  dei  disegni  delle  navi  ecc.,  ed  un  ufficiale  generale  è  preposto 
alla  Direzione  generale  delle  costruzioni  navali  presso  il  Ministero. 

Gli  ufficiali  macchinisti,  a  cui  è  affidato  Tesercizio  degli  apparati  mo- 
tori delle  navi,  esplicano  la  loro  azione  specialmente  a  bordo  delle  navi  per 
la  direzione  dei  servizi  delle  macchine,  e  negli  arsenali  e  nei  cantieri  dello 
Stato  presso  la  Direzione  delle  costruzioni  navali,  per  il  montamento  e  le 
riparazioni  delle  macchine.  Ufficiali  generali  e  superiori  del  Corpo  fanno 
parte  dei  consessi  consultivi,  e  degli  Uffici  tecnici  del  Ministero. 

Gli  ufficiali  ingegneri  sono  reclutati  mediante  esame  di  concorso  fra 
giovani  borghesi  laureati  ingegneri;  sono  ammessi  in  servizio  col  grado  di 
tenente,  e  quindi  inviati  alla  Scuola  navale  di  Genova,  per  cons^uire  la 
laura  di  ingegnere  navale  e  meccanico  —  a  meno  che  non  posseggano  già 
il  detto  titolo  — .  Ai  concorsi  sono  ammessi  anche  le  guardiemarine  dello 
stato  maggiore  generale,  ed  i  sottotenenti  macchinisti. 

Gli  ufficiali  macchinisti  provengono  dai  sottufficiali  macchinisti,  i  quali 
sono  tratti  dall'apposita  Scuola  macchinisti  esistente  a  Venezia. 

Le  due  tabelle  che  seguono,  dimostrano  lo  sviluppo  del  Corpo  del  Genio 
navale  (ingegneii  e  macchinisti)  dal  1861  al  1910. 


Corpo  del  Genio  navale. 


a)  Ufficiali  inoeoneri 


a  B  A  D  l 

ISSI 

1S70 

imo 

iseo 

IMO 

1010 

Tenente  generale 



— 

1 

1 

1 

1 

Maggiori  generali 

1 

2 

2 

2 

2 

3 

Colonnelli 

2 

6 

6 

6 

7 

8 

Tenenti-eolonnolli 

8 

12 

6 

6 

9 

10 

Mafftriori 

_ 

^MHk 

6 

6 

11 

15 

*■&!&*"■'    ••••••••• 

Capitani 

16 

20 

80 

47 

55 

Tenenti 

18 

10 

8 

12 

15 

18 

Sotto-tenenti 

8 

8 

— 

6 

5 

TOTALB      .      .      . 

87 

54 

49 

69 

97 

110 

ì 


12 


GUSTAVO   BOZZONI 


b)  Ufficiali  macchinisti. 


GRADI 

IMI 

1870 

1880 

1890 

1900 

1010 

Maggior  Generale 

— 

— 

— 

1 

1 

Colonnelli 

— 

— 

— 

1 

1 

2 

Tenenti-colonnelli 

— 

— 

— 

3 

5 

6 

Macrfiriorì  . 

8 

6 

8 

20 

28 

Capitani 

1 

^      12 

) 

8 

12 

42 

68 

76 

Tenenti ] 

24 

30 

47 

97 

112 

Sotto-tenenti 

30 

30 

77 

70 

79 

Totale    .    .    . 

12 

65 

78 

178 

262 

301 

18.  Corpo  Sanitario.  —  Nel  1861  il  Corpo  sanitario  era  costituito  da 
8  medici  capi  dipartimento,  3  medici  divisionali,  34  medici  di  vascello, 
50  di  fregata  e  20  medici  aggiunti.  Nel  1862  (B.  D.  21  aprile)  fu  isti- 
tuito un  Consiglio  superiore  di  sanila  militare  marittima:  con  la  quale 
istituzione  cessò  la  dipendenza  del  Corpo  sanitario  marittimo,  per  il  servizio 
tecnico,  dal  Consiglio  di  sanità  deiresercito.  Nel  1869  (B.  D.  27  maggio)  la 
direzione  degli  ospedali,  fino  allora  tenuta  dagli  ufficiali  di  vascello,  fu  assunta 
dai  medici;  nel  1875  il  Corpo  sanitario  fu  dichiarato  Corpo  militare.  Nel- 
l'anno successivo  fu  istituito  un  U^cio,  centrale  di  sanità  marittima  presso 
il  Ministero,  ufficio  che  diventò  poi  Fattuale  Ispettorato  di  sanità  retto 
dal  maggiore  generale  medico.  Kecentemente  è  stata  istituita  la  Scuola  di 
sanità  militare  marittima,  la  quale  però  non  ha  iniziato  ancora  il  suo  fun- 
zionamento (B.  D.  7  settembre  1910). 

Gli  ufficiali  medici  sono  reclutati  per  concorso  fra  giovani  borghesi 
aventi  la  laura  in  medicina  e  chirurgia,  e  sono  ammessi  in  servizio  col  grado 
di  tenente.  Le  attribuzioni  del  Coi-po  sanitario  sono  quelle  stabilite  dalla 
legge  del  1878:  e  cioè,  la  direzione  del  servizio  sanitario  a  bordo  delle  regie 
navi,  e  nei  dipartimenti,  negli  stabilimenti  ed  istituti  militari  marittimi, 
ed  infine  il  servizio  sanitario  sulle  navi  del  commercio,  che  trasportano  i 
nostri  emigranti. 


MARINA   MILITARE   B   COSTRUZIONI   NAVALI 


13 


Tabella  dimostrante  lo  sviluppo  dbl  corpo  sanitario 

DAL    1861    AL   1910 


OBADI 


IMI 


1870 


1880 


1800 


1000 


1010 


Maggior  generale 
Colonnelli  .  . 
Tenenti  colonnelli 
Maggiori  .  .  . 
Capitani  .  .  . 
Tenenti  .  .  . 
Sotto-tenenti 


Totale    .    .    . 


8 
3 


50 
20 


76 


1 
3 
6 

51 

50 


111 


1 

3 

4 

9 

43 

57 


117 


1 

8 

8 

13 

59 

61 


145 


1 
6 
11 
23 
75 
68 


179 


1 

6 

11 

23 

107 

79 


227 


19.  Corpo  di  Commissariato,  —  Fu  costituito  dal  eonte  di  Cavour 
con  legge  21  febbraio  1861,  formandolo  con  gli  ufficiali  amministrativi  delle 
Marine  sarda  e  toscana  e  col  Corpo  amministrativo  contabile  della  Gia- 
nna napoletana,  ed  ebbe  attribuzioni  autonome  di  controllo  con  dipendenza 
dair Amministrazione  centrale. 

Nel  1863  i  commissari  generali  furono  posti  alla  dipendenza  dei  co- 
mandanti in  capo  dei  dipartimenti,  ed  il  Corpo  fu  diviso  in  duo  categorie: 
Commissari  e  Contabili,  con  assimilazione  a  gradi  militari. 

Nel  1875  il  Commissariato  fu  dichiarato  Corpo  militare  ed  assunse 
Tattuale  denominazione  di  Corpo  di  Commissariato  militare  marittimo. 
Nel  1876,  sciolte  le  categorie  degli  ufficiali  di  maggiorità  e  del  personale 
civile  delle  segreterie  dei  comandi  in  capo,  esse  vennero  in  parte  fuse  col 
Commissariato,  nel  quale  entrarono  pure  a  far  parte  alcuni  ufficiali  del  sop- 
presso Corpo  di  fanteria  real  marina. 

Attualmente,  agli  ufficiali  di  Commissariato  sono  attribuiti  i  seguenti  in- 
carichi : 

Acquisto,  conservazione  e  distribuzione  dei  viveri;  amministrazione  e 
contabilità  dei  corpi,  navi,  istituti  e  stabilimenti  marittimi  ;  servizio  ammi- 
nistrativo presso  i  Comandi  in  Capo  e  le  direzioni  dei  lavori;  servizio  dei 
contratti  nelle  sedi  dipartimentali,  ed  in  generale  ogni  altro  servizio  am- 
ministrativo 0  contabile  occorrente  nell'Amministrazione  militare  marittima. 

Nel  1906  fu  creato  presso  il  Ministero  della  Marina  Tlspettorato  di 
Commissariato,  retto  dal  generale  commissario,  con  le  seguenti  attribuzioni: 
personale  del  Commissariato,  servizio  sussistenze,  ispezioni  amministrative  e 
tecniche  ecc. 


u 


GUSTAVO   BOZZONI 


Oli  ufficiali  commissari  sono  reclutati  mediante  concorso  fra  giovani 
borghesi,  che  abbiano  ottenuta  la  licenza  liceale  o  d'istituto  tecnico,  nonché 
fra  i  sottufficiali  del  C.  B.  E.,  che  abbiano  almeno  due  anni  di  grado  e  siano 
dì  condotta  esemplare. 

Alcuni  ufficiali  del  Corpo  sono  ammessi  a  seguire  un  corso  biennale  di 
merceologia,  tecnologia  tessile  e  chimica  presso  il  B.  Istituto  superiore  di 
studi  commerciali,  coloniali  ed  attuariali  di  Boma,  per  conseguire  il  diploma 
di  periti  in  merceologia.  Detti  ufficiali  periti  sono  destinati  al  servizio 
tecnico  di  collaudo  e  ricezione  di  materiali,  viveri,  vestiario  ecc. 

Nella  tabella  che  segue  è  dimostrato  lo  sviluppo  organico   del  corpo. 


GRADI 


18«1 


1870 


ISSO 


ISQO 


1900 


1910 


Maggior  generale  .... 

Colonuelli 

Tenenti  colonnelli      .    .    . 

Maggiori 

Capitani 

Tenenti 

Sotto-tenenti 

Totali     .    . 


1 

1 

3 

3 

3 

4 

6 

8 

9 

10 

13 

17 

10 

10 

12 

20 

26 

51 

55 

80 

121 

107 

60 

66 

80 

113 

107 

30 

34 

50 

20 

28 

162 

177 

235 

292 

292 

1 

6 
17 
28 
107 
64 
16 


239 


20.  Ufficiali  del  Corpo  Reali  Equipaggi.  —  Gli  ufficiali  di  questo 
Corpo,  istituito  con  legge  19  giugno  1888,  provengono  dai  sottufficiali  delle 
varie  categorie  del  Corpo  B.  Equipaggi  e  possono  raggiungere  il  grado  mas- 
simo di  capitano.  Prestano  servizio  presso  le  direzioni  dei  lavori  degli  ai'se- 
nali,  secondo  la  loro  specialità,  nelle  caserme  in  qualità  di  istruttori,  negli 
uffici  amministrativi  del  Corpo  B.  Equipaggi  e  negli  ospedali  :  quelli  di  al- 
cune categorie  possono  anche  ricevere  destinazione  di  imbarco  in  servizi 
sott'ordini. 

All'atto  dell'istituzione  di  questo  Corpo,  il  numero  degli  ufficiali  era 
di  50;  attualmente  Torganico  è  composto  di  141  ufficiali,  dei  quali:  30  ca- 
pitani, 54  tenenti  e  57  sottotenenti. 


21.  Corpo  Reali  Equipaggi.  —  Il  Corpo  Beali  Equipaggi  è  il  com- 
plesso degli  uomini  costituenti  la  bassa  forza:  divisi  in  sott'ufficiali.  sotto- 
capi (caporali)  e  comuni  (marinai),  ed  in  varie  categorie,  secondo  le  varie 
specialità:  cannonieri,  marinai,  torpedinieri,  fuochisti,  ecc.  ecc. 

La  sede  del  Comando  del  Corpo,  dove  è  accentrata  Tamministrazione,  è 
attualmente  al  Ministero  della  Marina;  mentre  nelle  sedi  di  dipartimenti  e 
dei  comandi  militari  o  difese,  vi  sono  depositi  o  distaccamenti. 


MARINA   MILITARB   B   009TR0ZI0NI   NAVALI  IS 


La  forza  complessiva  del  Corpo  B.  Equipaggi  era,  nel  1861,  di  15,000 
nomini.  Lo  specchio  segnente  ne  mostra  le  successiTe  variazioni. 

Anno  1866 17,000 

1870 11,000 

1880 50,000 

.  1890 20,000 

»  1900 23,000 

»  1910 28,600 


9 


9 


Istituti  Militari. 

Per  la  preparazione  alla  carriera  militare  marittima  esistono  attual- 
mente due  scuole  :  l  Accademia  Navale  di  Livorno  per  la  formazione  degli 
uflBciali  dello  Stato  Maggiore  Generale,  e  la  Scuola  Macchinisti  di  Venegia 
per  la  formazione  dei  sottufficiali  macchinisti,  che,  dopo  adeguato  tirocinio, 
diventano  ufficiali. 

22.  Accademia  Navale.  —  Alla  costituzione  del  Segno  d'Italia  esiste- 
vano due  scuole  di  Marina:  quella  di  Napoli  e  quella  di  Genova;  il  con- 
trammiraglio Sibotj,  ministro  della  Marina,  con  B.  D.  20  settembre  18(58 
riordinò  le  due  scuole,  unificandole  come  istituto,  per  modo  che  gli  allievi 
compissero  la  loro  educazione  per  i  primi  due  anni  alla  scuola  di  Napoli,  e 
per  i  successivi  nella  scuola  di  Genova. 

Nel  suddetto  decreto  si  legge  la  volontà  di  riunire  le  due  scuole  in  un 
solo  istituto  ;  ma  soltanto  dopo  dieci  anni,  nel  1878,  mercè  l'opera  di  Be- 
nedetto Brin,  il  Parlamento  fu  chiamato  a  votare  1* unificazione  delle  due 
scuole  di  Marina  in  un  istituto  di  Studi  militari  marittimi  a  Livorno,  ed 
il  6  novembre  1881,  alla  presenza  di  S.  A.  B.  il  duca  di  Genova,  venne 
inaugurata,  con  la  denominazione  di  Accademia  Navale,  questa  Scuola  di 
Marina  della  nuova  Italia,  la  cui  istituzione  era  stata  propugnata,  fin  dalla 
costituzione  del  Begno,  dal  conte  di  Cavour. 

L'Accademia  navale  sorge  in  uno  dei  più  ameni  punti  della  riviera 
livornese,  e  precisamente  dove  era  anticamente  il  lazzaretto  di  s.  Jacopo; 
l'ampio  edificio,  costruito  appositamente  per  lo  scopo  a  cui  deve  rispondere, 
è  fornito  di  spaziose  sale  per  dormitori,  per  studio,  per  refettorii;  piazzali 
per  esercitazioni  militari  e  ginnastiche;  porticciuolo  ger  esercitazioni  mari- 
naresche, ecc.  Possiede  un  ben  fornito  museo  di  materiale  di  artiglieria,  ma- 
teriale subacqueo,  modelli  di  navi  e  di  macchine,  ecc. 


16  GUSTAVO   BOZZONI 


Fino  dalla  sua  fondazione,  la  B.  Accademia  navale  era  divisa  in  cinque 
corsi:  i  giovanetti  vi  erano  ammessi  in  età  dai  12  ai  15  anni,  e  ne  usci- 
vano col  grado  di  guardiamarina  alFetà  media  di  18  anni. 

Neiranno  1897,  fu  modificato  Tordinamento  dell' Accademia,  riducen- 
dolo da  5  a  3  corsi:  condizione  per  Tammissione  era  quella  di  possedere 
la  licenza  liceale  o  di  istituto  tecnico  o  di  collegio  militare,  ed  età  fi-a 
i  18  e  i  19  anni. 

Gol  primo  sistema  si  avevano  guardiemarine  dell'età  di  18  anni  ;  col 
secondo,  invece,  Tetà  media  si  è  elevata  a  22  anni.  Prevalendo  ora  il  concetto 
di  avere,  anche  nei  gradi  elevati,  ufSciali  quanto  è  più  possibile  giovani,  ed 
anche  perchè  si  ritiene  vantaggioso  addestrare  i  giovani  alla  vita  del  mare 
in  età  più  tenera,  si  è  reputato  conveniente  di  ritornare  al  sistema  antico  di 
reclutare  i  giovanetti  iti  età  dai  13  ai  15  anni;  e  recentemente  è  stato  ban- 
dito il  primo  concorso  per  l'ammissione  all'Accademia  col  nuovo  sistema. 
Essendo  di  quattro  anni  la  durata  complessiva  del  corso,  si  avranno  le  guar- 
diemarine dell'età  media  di  18  anni,  come  per  lo  passato. 

All'Accademia  navale  sono  annessi  :  un  corso  superiore  per  i  sottotenenti 
di  vascello  per  l'abilitazione  alla  promozione  a  tenenti  di  vascello;  corsi  di 
perfezionamento  per  i  tenenti  di  vascello  ;  ed  un  corso  superiore  per  i  tenenti 
e  capitani  macchinisti. 

È  comandante  dell'Accademia  un  contrammiraglio:  i  professori  sono 
civili  per  le  materie  scientifiche  e  letterarie;  militari,  e  tratti  dagli  ufficiali  di 
vascello  e  del  Genio  navale,  per  le  materie  professionali. 

23.  Scuola  Macchinisti.  —  Nel  1862  fu  istituita  a  Genova  una  Scuola 
Macchinisti  per  la  formazione  degli  aiutanti  macchinisti.  La  scuola  ei*a  alla 
dipendenza  del  Comando  della  Divisione  del  Corpo  R.  Equipaggi,  ed  era  di- 
retta da  un  capo  meccanico  (maggiore).  Il  corso  era  suddiviso  in  3  anni: 
condizione  per  l'ammissione  era  di  possedere  il  certificato  di  promozione 
dalla  3*  alla  4*  classe  elementare.  Nel  1863  fu  modificato  l'ordinamento, 
portando  la  durata  del  corso  a  4  anni;  e  nel  1867  la  scuola  fu  trasrerita  a 
Venezia,  nella  sede  attuale. 

Nel  1895  la  scuola  stessa  subì  un  radicale  mutamento:  i  corsi  furono 
ridotti  da  4  a  3,  e  per  Tammissione  si  richiese  il  certificato  di  licenza  di 
scuola  tecnica  o  quello  di  ammissione  al  P  anno  di  Istituto  tecnico,  oltre 
l'esame  di  concorso. 

Attualmente  la  Scuola  macchinisti  è  diretta  da  un  capitano  di  vascello; 
ne  sono  professori  ed  istruttori  ufficiali  ingegneri  e  macchinisti,  e  profes- 
sori civili. 

Alla  uscita  della  scuola,  gli  allievi  conseguono  il  grado  di  furiere  mag- 
giore; dopo  un  anno,  ritornano  alla  scuola  di  Venezia  per  seguire  un  corso 
di  perfezionamento. 


MARINA   MILITARE   B   COSTRUZIONI   NAVALI  17 


Arsenali. 

24.  Come  si  è  già  accennato,  la  Marina  Italiana  possedeva,  alla  pro- 
clamazione del  Segno,  gli  arsenali  di  Genova,  Livorno,  Napoli,  coi  cantieri 
di  Castellammare  e  di  Ancona.  Annesse  le  Provincie  venete,  la  Marina  acquistò 
anche  il  vecchio  arsenale  della  gloriosa  Bepnbblica.  Il  numero  era  eccessivo, 
nò  alcuno  di  essi  era  in  condizioni  di  costruire  moderne  navi  di  grosso  ton- 
nellaggio. Occorreva  diminuirne  il  numero  ingrandendo  i  rimanenti,  scavar 
darsene  e  bacini,  provvedere  i  mezzi  di  lavoro  occorrenti  alla  cambiata  tecnica 
delle  costruzioni  navali,  e  nello  stesso  tempo  provvedere  alla  difesa  degli 
arsenali  stessi.  Fu  così  che,  con  Tandare  degli  anni,  furono  aboliti  gli  ar- 
senali di  Genova,  Livorno  ed  Ancona,  cedendoli  alla  industria  privata;  fu 
costruito  l'arsenale  di  Spezia  e  poi  quello  di  Taranto,  e  furono  ingranditi 
quelli  di  Venezia,  Napoli  e  Castellammare,  dotandoli  di  necessari  mezzi  di 
lavoro. 

26.  Arsenale  di  Spetia.  —  Fin  dal  1805  Napoleone  I  aveva  rivolto 
r attenzione  alla  Spezia  ed  aveva  divisato  di  farne  una  piazza  forte,  dotata 
di  arsenale  marittimo  ;  e  fin  da  quell'epoca  gli  ingegneri  francesi  presero  a 
studiare  la  questione,  e  furono  anche  iniziati  i  lavori  per  la  difesa  del  golfo 
e  della  città  (poi  sospesi  e  ripresi  varie  volte).  I  progetti  studiati  furono 
molti,  ma  sempre  col  criterio  fondamentale  di  fabbricare  Tarsenale  nel  seno 
del  Yarignano.  Il  conte  di  Cavour  decise  invece  di  costruirlo  tra  la  città 
della  Spezia  ed  il  paesello  di  S.  Vito,  e  nel  1860  diede  incarico  al  generale 
del  Genio  navale  Domenico  Chiodo  di  preparare  il  progetto. 

Morto  il  Cavour,  gli  successe  nel  dicastero  della  Marina  il  generale 
Luigi  Federico  Menabrea,  che,  nello  stesso  giorno  in  cui  assunse  il  portafoglio, 
presentò  alla  Camera  il  disegno  di  legge  per  la  costruzione  delFarsenale,  pre- 
parato da  Cavour.  L'arsenale  doveva  comprendere:  2  darsene,  4  bacini  di 
carenaggio,  moli,  calate  ecc.  ;  il  tutto,  per  l'importo  presunto  di  40  milioni. 
Il  progetto  fu  approvato  dalla  Camera  e  convertito  in  legge  il  18  luglio  1861  : 
dopo  otto  anni,  il  28  agosto  1869,  Tai-senale  di  Spezia  fu  inaugurato  alla 
presenza  del  duca  di  Genova. 

L'arsenale  di  Spezia  occupa  l'area  di  1.000.000  di  mq.  ;  comprende 
2  darsene,  3  scali  di  costruzione,  6  bacini  (dei  quali  il  maggiore  lungo 
m.  210),  e  costò  50  milioni.  In  seguito,  nell'arsenale  di  Spezia  si  sono  andati 
facendo  tutti  gli  impianti  di  macchinari  ed  attrezzi  voluti  dalla  tecnica 
moderna:  cosicché,  al  giorno  d'oggi,  questo  nostro  arsenale  maggiore  può 
sostenere  il  confronto  coi  migliori  arsenali  dell'estero. 

GrsTWo  Bozzoni.  —  Monna  mìh't.ire  e  Costrusioni  navali.  2 


18  GUSTAVO   BOZZONI 


Neirarsenale  di  Spezia  si  costniiscono  navi  complete,  artiglierie  di  pic- 
colo e  medio  calibro;  e  recentemente  è  stata  impiantata  a  S.  Bartolomeo 
anche  la  fabbrica  dei  siluri. 

Riportiamo  qni  sotto  l'elenco  delle  navi  costruite  e  varate  alla  Spezia: 

Corazzata  «  Palestre  » 1871 

Cannoniera  «  Sentinella  » 1874 

»  «  Guardiano  » 1875 

Corazzata     «  Doria  » 21  novembre  1885 

Incroc.  torpediniere  «  Montebello 1888 

n  «  ft  Monzabano  » 1888 

»  «  «  Confienza  t     ......    .  1889 

Corazzata  «  Sardegna  > 20  settembre  1890 

Incrociatore  «  Calabria  « 1894 

Sottomarino  «  Delfino  » 1895 

Incroc.  corazzato  «  Carlo  Alberto  >  .     .    27  settembre  1896 

Corazzata  «  Regina  Margherita  »...    30  maggio  1901 

«  »  Regina  Elena  »     ....     11  giugno  1904 

«  «  Roma  » .    21  aprile  1907 

9  «  Conte  di  Cavour  «  (in  costruzione). 

26.  Neirarsenale  di  Spezia  è  notevole  la  vasca  Fronde  per  le  esperienze 
di  architettura  navale. 

Fino  a  pochi  anni  addietro,  le  norme  che  si  seguivano  per  prevedere 
la  resistenza  che  una  nave  avrebbe  incontrato  nel  muoversi  nell'acqua  ad 
una  data  velocità,  e  per  calcolare  quindi  la  potenza  di  macchina  occorrente, 
consistevano  nel  proporzionarla  alla  superficie  della  sezione  massima  im- 
mersa 0  ad  altra  sua  funzione.  Il  sig.  W.  Fronde  fu  il  primo  a  dar  vita 
al  metodo  sperimentale,  intraprendendo  lo  studio  della  resistenza  delle  navi 
mercè  l'analisi  di  quella  misurata  rimorchiando  i  loro  modelli  ed  applicando 
la  legge  di  similitudine  dinamica  enunciata  da  Newton.  Il  Fronde  dimostrò 
la  pratica  attendibilità  della  legge  di  similitudine  applicata  ai  modelli  delle 
navi,  eseguendo  le  memorabili  esperienze  del  1871  con  la  corvetta  «  Grey- 
hound 1  ed  il  rimorchiatore  «  Active  » ,  e  quindi  costruì  in  Ingiiilterra  la 
prima  vasca  per  esperienze  coi  modelli. 

Contemporaneamente,  in  Italia,  a  Castellammare,  per  opera  deiringe- 
gnere  del  Genio  navale  A.  Lettieri,  poi  maggior  generale,  si  eseguirono 
nelle  vasche  del  legname  esperienze  di  trazione  col  modello  del  «  Duilio  •. 
Successivamente  il  Ooverno  inglese  impiantò  a  Gosport,  presso  l'arsenale  di 
Portsmouth,  una  vasca  di  120  m.  di  lunghezza,  ed  allora  Benedetto  Brin, 
mente  aperta  ad  ogni  progresso,  volle  che  anche  la  Marina  italiana   avesse 


MARINA    MILITARE    E    COSTRUZIONI   NAVALI  19 


la  vasca  per  esperienze  di  architettura  navale,  vasca  che  fa  impiantata  alla 
Spezia  nel  1887,  per  opera  deirora  colonnello  del  Genio  navale  G.  Bota. 

La  vasca  è  lunga  m.  146,  larga  6,  profonda  8.  I  modelli  delle  navi  da 
sperimentare  si  costruiscono  in  parafBna,  e  sono  sagomati  con  adatta  inven- 
zione :  si  fanno  quindi  correre  nella  vasca  rimorchiandoli,  e  si  registrano  con 
apposito  apparecchio  dinamometrico  le  resistenze  incontrate  dal  modello  alle 
varie  velocità. 

Nella  vasca  si  eseguiscono  anche  esperienze  di  rollìo,  con  modelli  di 
eliche  allo  scopo  di  determinare  le  migliori  proporzioni  da  assegnare  alle 
eliche  stesse  per  ottenere  la  massima  efficienza,  ecc.  ecc. 

27.  Arsenale  di  Napoli.  —  La  fondazione  di  questo  arsenale  risale  al 
1517.  Fu  ultimato  nel  1577,  ma  subì  sempre  continue  e  radicali  trasforma- 
zioni; ebbe  per  il  primo  in  Italia  un  bacino  di  carenaggio  in  muratura  co- 
struito dal  principe  di  Iscbitella  nel  1852:  bacino  insufiSciente  ora  per  le 
moderne  grandi  navi,  perchè  lungo  solo  75  metri.  L^arsenale  ha  attualmente 
una  buona  darsena,  uno  scalo  adatto  per  le  piccole  navi  e  torpediniere,  ed  è 
principalmente  adibito  alla  riparazione  delle  navi  della  flotta  ed  alV allesti- 
mento delle  navi  costruite  a  Castellammare  :  e  pertanto  è  stato  recentemente 
riordinato  e  fornito  di  moderni  macchinar!  ed  attrezzi. 

28.  Cantiere  di  Castellammare.  —  Risale  al  1605  la  fondazione  di  questo 
cantiere  che  costruì  per  lunghi  anni  le  navi  in  legno  dei  Borboni. 

Alla  costituzione  del  Begno  d*  Italia,  fu  continuata  la  trasformazione,  già 
iniziata  dal  Governo  napoletano,  per  rendere  il  cantiere  di  Castellammare 
atto  a  costruire  navi  in  ferro;  e  nel  1873  si  potè  impostare  sullo  scalo  il 
s  Duilio  »  che,  attraverso  immense  diflBcoltà  ed  incertezze,  fu  felicemente 
varato  1*8  maggio  1876,  fra  il  delirio  della  popolazione  accorsa  da  tutta  Italia 
e  dall'estero  ad  assistere  al  varo  da  molti  (ed  anche  da  tecnici)  ritenuto 
impossibile!  Direttore  dei  lavori  e  del  varo  era  in  queirepoca  Antenore  Boz- 
zoni, padre  di  chi  scrive  queste  poche  note,  allora  colonnello  del  Genio  na- 
vale, poi  tenente  generale  e  presidente  del  Comitato  pei  disegni  delle  navi  ; 
e  chi  scrive,  per  quanto  fosse  allora  in  età  tenerissima,  ha  impresse  nel 
cuore  le  ansie  di  quei  giorni! 

Dal  varo  del  «  Duilio  »  in  poi,  numerose  sono  state  le  navi  costruite  a 
Castellammare,  né  mai  si  è  avuto  a  lamentare  il  benché  minimo  incidente 
nei  vari:  ciò  che  forma  Torgoglio  di  quelle  maestranze,  fìere  ancor  oggi  di 
aver  costruito  il  a  Duilio  • .  Bicordo  le  principali  navi  varate  : 

Corazzata  «  Duilio  » 8  maggio       1876 

it  «  Italia  » 29  settembre   1881 

»  «  Ruggiero  di  Lauria  »  .     .    .     .      9  agosto        1884 


I 

I 


20  GUSTAVO   BOZZONI 


Mta 


Incrociatore  «  Etna  « 26  settembre  1885 

Corazzata  «  Be  TTmbei-to  » 17  ottobre  1887 

Incrociatore  «  Marco  Polo  » 27  ottobre  1892 

»  «  Yettor  Pisani  » 14  agosto  1895 

Corazzata  «  Emanuele  Filiberto  »  ....  29  settembre  1897 

»  «  Benedetto  Brin  » 7  novembre  1901 

»  «  Vittorio  Emanuele  »     ....  12  ottobre  1904 

»  K  Napoli  » 10  settembre  1905 

Incrociatore  «  San  Giorgio  *» 27  luglio  1908 

»  «  San  Marco  » 20  dicembre  1908 

Corazzata  «  Dante  Alighieri  » 20  agosto  1910 

29.  Arsenale  di  Venezia.  —  La  sua  origine  risale  al  1100.  Col  vol- 
gere degli  anni  e  col  crescere  dei  bisogni  della  gloriosa  Repubblica,  l'arsenale 
venne  di  mano  in  mano  ampliato.  Dopo  il  1866  esso  fu  trasformato  dal  ge- 
nerale Chiodo,  ed  attualmente  occupa  Tarea  di  mq.  370.000  ;  ha  tre  scali  di 
costruzione,  due  bacini  di  carenaggio,  dei  quali  il  più  grande  è  lungo  m.  175: 
un  terzo  bacino,  lungo  più  di  200  metri,  è  attualmente  in  costruzione. 

Da  circa  un  quinquennio,  cioè  dalla  costruzione  del  sommergibile  «  Glauco* , 
l'arsenale  di  Venezia  è  dedicato  più  specialmente  alla  costruzione  del  naviglio 
sommergibile. 

Bicordo  le  navi  più  importanti  varate  a  Venezia: 

Incrociatore  «  Cristoforo  Colombo  »...     17  settembre   1875 

Corazzata  «  Morosini  » 30  luglio         1885 

•  Incrociatore  «  Stromboli  » 4  febbraio      1886 

Corazzata  «  Saint  Ben  » 20  aprile         1897 

Incrociatore  «  Francesco  Ferruccio  »...     23  aprile         1902 


30.  Arsenale  di  Taranto.  —  L'idea  di  una  base  navale  a  Tarauto 
risale  al  1865  (^).  Nel  1871  fu  presentato  alla  Camera  dei  Deputati  il  pro- 
getto di  legge  per  costruire  a  Taranto  un  arsenale  marittimo:  ma  il  pro- 
getto non  fu  discusso  se  non  nella  seduta  del  28  aprile  1873.  Il  mi- 
nistro chiedeva  lo  stanziamento  di  6.500.000  lire  per  cinque  anni  :  il  progetto 
fu  approvato  dalla  Commissione  di  deputati  incaricata  degli  opportuni  studi, 
ma  non  fu  discusso  alla  Camera  e,  per  varie  vicende,  non  divenne  legge 
se  non  il  29  giugno  1882.  Nello  stesso  anno  furono  iniziati  i  lavori. 

L'arsenale  di  Taranto  occupa  l'area  di  600.000  mq.  :  ha  un  bacino  di 
210  metri  di  lunghezza  (un  altro,  ancora  più  grande,  è  in  costruzione),  due 
scali  di  costruzione,  grandi  ofScine,  ecc. 

Una  sola  nave  è  stata  costruita  finora  a  Taranto:  l' incrociatore  «  Puglia »» , 
varato  il  22  settembre  1898. 

(')  I  primi  studi  forono  fatti  dal  Saiiit-Bon,  allora  capitano  di  fregata,  e  dal  maggiore 
del   genio   Guaraschi:  i    jrcnerali  Chiodo  e   Prato  compilarono  pai  il  progetto  definitivo. 


MARINA    MILITARE   E    COSTRUZIONI   NAVALI 


21 


PARTE  SECONDA 

IL    NAVIGLIO 


GENERALITÀ 

1.  Ai  principi  deiranno  1861  la  flotta  italiana,  costituita  essenzialmente 
dalle  navi  della  Marina  sarda  e  della  Marina  napoletana ,  era  composta  di 
97  unità,  del  dislocamento  complessivo  di  112.700  tonnellate,  che  portavano 
complessivamente  1146  cannoni,  disponevano  della  forza  motrice  di  17.700 
cavalli  vapore  (nominali)  e  rappresentavano,  nel  totale,  il  valore  approssima- 
tivo di  85  milioni  di  lire.  Fra  le  97  unità,  due  sole  (in  costruzione)  erano 
corazzate;  30  erano  ad  elica,  41  a  ruote,  le  altre  avola. 

Ora,  dopo  un  cinquantennio,  la  nostra  flotta,  compresevi  le  navi  in  co- 
struzione od  allestimento,  conta  ben  842  unità,  delle  quali,  25  da  battaglia, 
173  siluranti  e  112  onerarie,  costituenti  il  dislocamento  complessivo  di  ben 
506.700  tonnellate,  e  la  forza  motrice  di  i.ij^.^ro  cavalli  vapore;  è  armata 
con  1940  cannoni  di  grande,  medio  e  piccolo  calibro,  e  rappresenta,  nel  com- 
plesso, il  valore  approssimativo  di  948  milioni  di  lire. 

Il  seguente  prospetto  ^>  nel  quale,  per  diverse  date  del  cinquantennio 
dell'unità  d*  Italia,  trovasi  indicato  il  numero  delle  unità  costituenti  la  flotta, 
il  dislocamento  e  la  potenza  di  macchine  complessiva,  il  numero  totale  dei 
cannoni  ed  il  valore  approssimativo  —  dimostra  il  progresso  del  naviglio  in 
questi  50  anni. 


DATA 

Numero 

d«n« 

navi 

Dislocamento 

Fona 
delle  macchine 

Numero 
dei  cannoni 

Nnmero 

delle 

mitragliatrici 

Valore 
appr088ÌmatÌY0 

Anno  1861      .... 

97 

112.726 

17.710 

1146 

— 

85.071.865 

!•  gennaio  1870      .    . 

74 

152.451 

25.376 

644 

149.859.000 

Id.        1880      .    . 

78 

157.647 

24.165 

650 

— 

206.98t'.000 

Id.        1890      .    . 

278  1       811.923 

429.811 

587 

38 

4J»5.629.000 

Id.         1900      .    . 

324 

882.397 

688.854 

1981 

123 

573.589.700 

Id.        1911      .    . 

342 

506.755 

1.186.270 

1989 

77 

948.075.000 

22 


OnSTAYO   BOZZONI 


Il  dislocamento  della  maggior  nave  da  battaglia  della  nostra  flotta  del 
1861,  cioè  del  vascello  ad  elica  «Re  Galantuomo  »,  era  di  tonn.  3800,  ed 
il  costo  approssimativo  era  di  circa  3  milioni:  la  potenza  dell'apparato  motore 
ne  era  di  450  cavalli  nom.,  la  velocità  sotto  vapore  di  appena  7  miglia 
all'ora.  Come  si  è  già  accennato,  al  1861  la  nostra  flotta  non  contava  che 
dae  sole  navi  corazzate  («Terrìbile»  e  «Formidabile»)  ancora  in  costm- 
zione  in  Francia,  e  queste  erano  pure  le  sole  due  navi  da  battaglia  a  scafo 
di  ferro  cbe  allora  avesse  la  flotta,  mentre  tutte  le  altre  navi,  tranne  alcuni 
piroscafi  da  trasporto  acquistati  poco  prima,  erano  a  scafo  di  legno. 

Le  corazze  delle  due  suddette  navi  erano  di  ferro  come  tutte  le  altre  di 
quel  tempo,  ed  erano  grosse  soltanto  12  centimetri  ;  la  velocità  era  di  circa 
10  nodi,  la  potenza  di  macchina  di  400  cav.  nom. 

I  più  potenti  cannoni  esistenti  allora,  erano  quelli  da  20  centimetri, 
lunghi  meno  di  8  metri,  pesanti  tonn.  5  circa  ed  aventi  potenza  balistica 
di  166  dinamodi. 

Ora,  dopo  un  cinquantennio,  le  maggiori  navi  da  battaglia  della  nostra 
Marina  hanno  il  dislocamento  di  oltre  22.000  tonn.,  costano  oltre  60  mi- 
lioni, hanno  potenza  propulsatrice  di  oltre  26.000  cav.  asse  e  potranno  rag- 
giungere velocità  di  22  e  23  miglia:  le  corazze  che  le  proteggono  sono  di 
acciaio  di  grossezza  di  20  e  25  centimetri  :  ed  i  maggiori  cannoni  che  le 
armano,  pesanti  oltre  60  tonn.  e  lunghi  meglio  che  14  metri,  hanno  la  pò* 
tenza  balistica  di  oltre  16.000  dinamodi. 

Per  molti  anni  ancora  dopo  il  1860,  1*  Italia  fu  tributarìa  dell'estero  per 
la  costruzione  delle  navi  in  ferro  prima,  per  la  fornitura  degli  acciai  per  gli 
scafi,  delle  macchine,  delle  artiglierie,  delle  corazze  poi.  Ora  le  navi  da  guerra 
sono  costmite  in  paese  completamente:  gli  scafi,  le  macchine,  le  corazze,  le 
artiglierie,  i  siluri,  tutto  viene  fabbricato  negli  arsenali  dello  Stato  o  nei  can- 
tieri nazionali  ;  ed  italiane  sono  le  ferriere  e  le  acciaierie  che  forniscono  la 
materia  prima. 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI  23 


Cenni  storici. 


2.  Alla  costituzione  del  Regno  d' Italia,  incombeva  sul  Paese,  e  princi- 
palmente sugli  uomini  di  governo,  la  necessità  di  preparare  la  flotta  per  la 
guerra  contro  l'Austria,  ritenuta  generalmente  prossima  ed  inevitabile;  ma 
forse  più  gravi  ancora,  dal  lato  tecnico  ed  amministrativo,  si  presentavano 
questioni  importantissime,  riguardanti  la  trasformazione  del  naviglio. 

A  queir  epoca,  infatti,  le  marine  più  progredite  erano  in  un*éra  di  com- 
pleta trasformazione  :  adottavano  le  navi  a  vapore  ;  agli  antichi  scafi  di  legno 
sostituivano  le  navi  in  ferro  :  discutevano  circa  Tadozione  delle  navi  coraz- 
zate; ed  il  nostro  paese,  scarso  di  risorse  finanziarie,  quasi  privo  affatto  di 
industria  metallurgica,  povero  di  industrie  meccaniche,  pur  doveva  provve- 
dere al  più  importante  elemento  della  sua  difesa  sul  mare,  cioè  alla  flotta. 

3.  Al  principio  della  seconda  metà  del  secolo  XIX,  la  manna  da  guerra 
velica  si  poteva  ritenere  già  completamente  tramontata  dopo  molti  secoli  di 
sovrano  imperio  sui  mari  :  la  navigazione  a  vapore  Taveva  soppiantata  com- 
pletamente, e  gli  antichi  e  gloriosi  vascelli,  le  classiche  navi  di  linea  che 
combatterono  a  Navarino,  ad  Aboukir,  a  Capri,  a  Trafalgar,  cedevano  lo 
scettro  del  dominio  del  mare  alle  navi  a  ruote  e  ad  elice,  ai  vascelli  ed  alle 
fregate  miste. 

Ma  non  era  ancor  lontano  il  tempo  nel  quale  Napoleone  il  Grande  dava 
del  sognatore  a  Roberto  Fulton  :  quello  nei  quale  si  ritenea  irrealizzabile  la 
traversata  deirAtlantico  con  navi  a  vapore:  quello  nel  quale  le  idee  del 
principe  di  Jonville,  ammiraglio  della  Marina  francese,  che  propugnava  la 
trasformazione  della  Marina  militare  a  vela  in  quella  a  vapore,  erano  derise 
come  il  sogno  di  un  pericoloso  innovatore.  La  traversata  dell'Atlantico  fu 
compiuta  prima  dal  bastimento  americano  «  Savannah  »,che  nel  1819  andò 
da  New-York  a  Pietroburgo;  poi,  nel  1825,  dal  brigantino  inglese  da  175 
tonn.  «  Falcon  »;  e  nel  1838,  il  piroscafo  «  Great  Weastern  »,  di  1340  tonn. 
e  440  cav.  nom.,  compì  la  traversata  da  Bristol  a  New-Tork  in  15  giorni, 
portando  a  bordo  tutto  il  carbone  necessario  (600  tono.).  Poco  dopo,  la  stessa 
compagnia  proprietaria  del  «  Great  Western  «  faceva  costruire  il  «  Great 
Bretain  »,di  5450  tonnellate  e  1000  cav.  nom.,  primo  grande  piroscafo  a 
scafo  di  ferro  e  con  propulsore  ad  elice. 

Le  Marine  da  guerra  considerarono  da  principio  i  piroscafi  come  atti  sol- 
tanto al  servizio  di  rimorchio  ;  quando  essi  furon  cresciuti  di  portata  e  di  velo- 


24  OD  STAVO  BOZZONI 


cita,  li  adoperarono  come  trasporti,  ma  niuno  pensa?a  che  si  potessero  adot- 
tare come  navi  di  linea,  con  i  propulsori  a  ruote  tanto  esposti  alle  offese  del 
nemico.  Eppure,  la  trasformazione  si  compì  celeremente  dopo  1*  introduzione 
deirelica  come  mezzo  propulsivo,  che  permise  dapprima  Tadozione  dei  tipi 
di  vascelli  e  fregate  miste,  dotati  cioè  di  macchine  ausiliarie,  per  poi  pas- 
sare gradatamente  al  tipo  di  vascello  a  vapore  rapido,  il  cui  primo  esemplare 
fu  il  «  Napoleon  «  ;  vascello  di  90  cannoni  progettato  dal  celebre  ingegnere 
Dupuy  de  L$me,  la  cui  costruzione  fu  propugnata  dal  Principe  di  Jonville 
(1850).  Ma  quante  incertezze  si  dovettero  vincere;  quante  difficoltà  da  supe- 
rare ;  quanti  pregiudizi  da  combattere  ;  quante  resistenze  da  parte  dei  pratici  ! 

4.  L'apparizione  della  nave  corazzata,  doveva  dar  luogo  ad  eguali  discus- 
sioni ed  eguali  resistenze  in  tutte  le  Marine  militari;  e  per  meglio  rammen- 
tare ed  illustrare  le  difficoltà  ed  incertezze,  che  si  presentavano  agli  ammi- 
nistratori ed  agli  uomini  tecnici  che  erano  a  capo  delle  Marine  all'epoca 
della  costituzione  del  Begno  d*  Italia,  circa  la  preferenza  da  darsi  alle  navi 
a  scafo  metallico  piuttosto  che  a  quelle  a  scafo  di  legno,  alle  corazzate  piut- 
tosto che  ai  vascelli  o  alle  fregate,  mi  piace  ricordale  o  riportare  quanto 
disse  Benedetto  Brin  nel  suo  pregevolissimo  libro:  «  La  nostra  Mai-ina  mili- 
tare*, edito  nel  1881,  nel  quale  egli  difese  strenuamente  la  sua  opera 
d*ingegnere  navale  e  di  ministro  della  Marina. 

Bicorda  il  Brin  che  nel  1844  l'ammiraglio  francese  Labrousse  propose 
al  suo  governo  la  costruzione  di  un  ariete  a  vapore  protetto  con  piastre  di 
12  cm.  ;  il  tipo  ardito  e  nuovo  non  sollevò  serie  obbiezioni,  ma  fu  messo  da 
parte^  e  Tammiraglio  Jurrien  de  la  Oravier  ebbe  a  dire  in  proposito,  che 
M  tale  è  in  effetto  la  sorte  che  spetta  agli  spiriti  troppo  pronti  e  logici  ; 
d*un  solo  slancio  essi  traversano  lo  spazio,  con  un  solo  pensiero  amvano 
allo  scopo,  al  quale  gli  uomini  del  mestiere  non  vorrebbero  arrivare  che 
a  tappe  ». 

In  America,  il  sig.  Thomas  Grey  progettò  di  corazzare  le  navi,  e  fu 
trattato  da  pazzo  ;  ma  quando  ì  fatti  dimostrarono  che  il  pazzo  ^veva  ragione,  il 
Senato  americano  accordò  una  pensione  alla  vedova  dell'infelice  inventore. 
Sin  dal  1816,  dai  fratelli  Stevens  fu  proposto,  ma  senza  successo,  un  sistema 
di  corazzatura  a  piastre  angolate  ;  ed  esito  parimente  infelice  ebbero  le  ana- 
loghe proposte  fatte  nel  1841  dagli  ammiragli  Stewart  e  Perry,  e  dai  colon- 
nelli Thair  e  Tolton.  Lo  stesso  celebre  generale  Paixhans,  inventore  delle 
granate,  allorché  di  queste  furono  dimostrati  i  terribili  effetti  a  Sinòpe, 
propose  di  proteggere  i  fianchi  delle  navi  con  piastre  di  ferro  ;  ma  TAmmi- 
ragliato  inglese  combattè  e  seppellì  la  proposta. 

Perfino  dopo  Tesperimento  delle  batterie  corazzate  «  Lave  » ,  «  Deva- 
station  « ,  «  Tonnante  « ,  progettate  dairingegnere  francese  Ouyiesse^  e  che  di- 
mostrarono la  loro  immensa  superiorità  sui   vascelli   di  linea,  riducendo  al 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI  25 

silenzio,  e  senza  riportare  alcuna  avaria,  i  forti  di  Kimburo,  contro  i  quali 
i  vascelli  stessi  si  erano  dimostrati  impotenti  (1857),  non  si  credette  airav- 
venire  delle  navi  corazzate;  ed  uflBciali  distintissimi  della  Marina  inglese  e 
della  Marina  francese,  giudicarono  pubblicamente  che  « lunico  bastimento 
di  linea,  la  nave  da  guerra  atta  a  battere  il  mare,  sarebbe  stato  sempre  il 
vascello  » . 

La  «  Gioire  » ,  la  prima  vera  nave  corazzata  costruita  in  Francia  dal 
Dupuy  de  Ldme,  fu  giudicata  in  Inghilterra  come  un  fiasco  colossale,  ed 
il  generale  Douglas,  autore  classico  in  materia  di  artiglieria  navale,  scri- 
veva nel  1861  che:  «  Se  Tlnghilterra  s'infatuasse  in  questa  invenzione,  e  co- 
minciasse a  rinnovare  il  proprio  naviglio  con  navi  corazzate,  avrebbe  finito  al 
certo  di  appartenere  alla  categoria  di  potenza  navale  di  prim'ordine,  e  perde- 
rebbe r  imperio  dei  mari  »  ;  ed  asseriva  che  «  la  velocità  e  la  protezione  metal- 
lica sono  due  qualità  che  si  escludono  *;  e  che  «  una  fregata  rapida  e  ben 
armata,  poteva  combattere  con  vantaggio  contro  una  corazzata  come  la  «  Gioire  «, 
ridotta  a  nuioversi  lentamente  per  la  pesante  corazza  che  deve  portare  " . 

Anche  negli  Stati  Uniti  d*America  la  questione  delle  corazzate  trovò  a 
quell'epoca  grandi  opposizioni,  ad  onta  che  si  dovesse  creare  il  naviglio, 
sotto  la  spinta  dell'incalzante  guerra  di  secessione,  e  ad  onta  che  i  seces- 
sionisti avessero  già  in  costruzione  la  corazzata  «  Merrimac  ».  E  fu  ventura 
che,  prevalendo  le  idee  del  ministro  della  Marina,  fosse  ordinata  la  costruzione 
dei  monitorBy  che  contribuirono  indubbiamente  a  decidere  la  guerra  in  fovore 
della  grande  fiepubblica  americana. 

Come  la  giornata  di  SinOpe  del  80  novembre  1858,  fra  una  divisione 
della  squadra  russa  ed  una  divisione  della  squadra  turca,  segnò  la  condanna 
delle  navi  in  legno,  perchè  i  russi,  adoperando  le  granate,  distrussero  in  breve 
ora  le  navi  nemiche,  che  perirono  vittime  dell'incendio:  cosi  i  fatti  della 
guerra  di  secessione  di  America,  e  più  specialmente  il  combattimento  di 
Hampton  Soad  delli  8  marzo  1862,  fecero  cessare  tutte  le  incertezze,  i 
dubbi,  le  opposizioni  suiradozione  delle  navi  corazzate  nelle  varie  Marine,  e 
tutte  le  nazioni  si  misero  decisamente  a  riformare  le  loro  flotte  in  naviglio 
moderno. 

6.  Nel  primo  periodo  delle  corazzate  —  che  va  dal  1854,  cioè  dalla  data 
dell'apparizione  delle  prime  batterie  corazzate  francesi  Lave^  Tonnante,  De- 
voitation^  Congreve^  Foudroyante.  fino  al  1863  approssimativamente  —  il  ca* 
rattere  della  corazzatura  è  quello  di  essere  estesa  su  tutta  la  murata  o  su 
buona  parte  di  essa,  conservando  le  navi  l'armamento  di  numerosi  cannoni 
di  calibro  moderato.  Capostipite  di  queste  corazzate,  la  «  Gioire  «.  La  Ma- 
rina italiana  si  attenne  a  questo  tipo  di  corazzatura  per  le  prime  navi 
corazzate  che  costruì:  «  Terribile  «  e  «  Formidabile  »  (1861)  ;  «  Be  d'Italia  • 


26  GUSTAVO   BOZZONI 


6  «  Re  di  Portogallo»  (1863);  «Roma»  (1865);  «Guerriera»   e    «Vo- 
ragine» (1866) (0. 

Ma  fin  dairinizio  delle  corazzate,  gli  artiglieri  avevano  portato  la  loro 
attenzione  sulla  necessità  di  perforare  le  corazze:  quindi  le  artiglierie  aumen- 
tavano di  calibro  e  di  energia  di  perforazione,  e,  di  conseguenza,  ne  venivano 
radicali  rifoime  nei  sistemi  di  corazzatura,  per  la  riconosciuta  necessità 
deiraumento  di  grossezza  delle  piastre  stesse. 

Si  progettavano  quindi  navi  a  batteria  centrale  e  cintura  corazzata^ 
nelle  quali  la  superficie  corazzata  era  ridotta  ad  una  cintura  al  galleggia- 
mento, limitata  al  ponte  di  batteria,  ed  alla  parte  centrale  fra  batteria  e 
coperta,  che  costituiva  il  ridotto,  dove  erano  sistemate  le  artiglierie.  La  minore 
estensione  della  corazzatura  permise  di  aumentare  la  grossezza  di  questa;  come 
pure  Taumentato  calibro  dei  cannoni,  ne  riduceva  il  numero.  Prototipi  di 
questo  sistema  di  corazzatura  furono  il  «  Bellerophon  »  in  Inghilterra  (1863)  e 
r«Océan  »  in  Francia  (1864).  La  Marina  italiana  s*  informò  a  questo  tipo 
di  corazzatura  per  le  navi  «  Principe  di  Carìgnano  »  e  «  Messina  »  (1864-65); 
tf  Venezia  »  e  «  Conte  Verde  »  (1865);  «  Maria  Pia  »,  «  San  Martino  », 
«  Castelfidardo  »,  «  Ancona  »  (1863-64);  «  Palestre  »  e  «  Varese  »  (1865). 

6.  Ma  il  continuo  aumento  della  potenza  delle  artiglierie  e,  quindi,  della 
grossezza  delle  corazze  —  si  era  rapidamente  giunti  dai  10-12  cm.  delle  prime 
corazzate  ai  22  cm.  delle  navi  tipo  «  Richelieu  »  (1867);  ai  85  cm.  delle 
navi  tipo  «  Redontable  »  (1867);  ai  22  cm.  delle  navi  «  Principe  Amedeo  »  e 
nuova  »  Palestro  »  (1868)  —  condusse  al  sistema  delle  navi  a  torri,  seguendo 
il  concetto  di  sistemare  i  cannoni,  anziché  in  recinti  corazzati  fissi,  entro 
torri  girevoli  e  disposte  in  guisa  da  dare  alla  nave  la  possibilità  di  sviluppare 
un  fuoco  molto  intenso  in  tutte  le  direzioni. 

Le  prime  navi  a  torri  furono  costruite  in  America  durante  la  guerra  di 
secessione,  e  furono  i  monilors,  navi  di  basso  bordo  con  cintura  corazzata  e 
ponte  di  coperta  corazzato.  Seguirono  in  Inghilterra  le  navi  tipo  «  Royal 
Sovereign  » ,  anch*esse  di  basso  bordo  :  quindi  il  «  Monarch  » ,  con  altezza  di 
bordo  suflSciente  a  navigare  al  largo  :  e  finalmente  i  tipi  «  Devastatiou  » ,  che 
furono  i  più  perfetti.  In  Italia  si  ebbe  fin  dal  1866  la  prima  nave  a  torri, 
r  ft  Affondatore  » .  munita  di  due  torri  con  cannoni  da  254  mm.  e  protetta 
al  galleggiamento  da  cintura  completa  di  11  cm. 

7.  Con  la  costruzione  delle  navi  a  torri,  in  Inghilterra  e  in  Francia  si 
era  giunti  ad  impiego  di  piastre  di  35  e  38  cm.;  ma  intanto  gli  artiglieri 
si  accingevano  alla  costruzione  di  cannoni   strapotenti,  quali    furono   quelli 

(>)  Le  date  fra  parentesi  si  riferiscono  al  varo  delle  navi. 


MARINA   MILITARE   E   COSTROZIONl   NAVALI  ^7 

del  «  Dailio  »  e  del  «  Dandolo  »  :  e  ciò  doveva  necessariamente  portare  ad  un 
ulteriore  aumento  nella  grossezza  delle  piastre,  accompagnato  da  notevoli 
varianti  nei  sistemi  di  corazzatura  fino  allora  usati,  per  diminuire  la  super- 
ficie protetta.  D^altra  parte  sorgeva  minacciosa  la  torpediniera:  quindi  la 
necessità  di  aumentare  la  velocità  delle  navi  da  battaglia,  e  di  aggiungere 
airarmamento  principale  un  certo  numero  di  cannoni  di  piccolo  calibro  per 
respingere  le  torpediniere. 

Gli  studi  per  la  ricerca  del  nuovo  tipo  di  nave,  procedevano  in  Inghil- 
terra e  in  Italia;  e  primo  risolse  il  problema,  in  Italia,  Benedetto  Brin, 
progettando  il  «Duilio»,  la  cui  costruzione  fu  iniziata  nel  1878. 

Il  «  Duilio  ir ,  fondato  sul  concetto  del  ridotto  centrale  corazzato  con  le 
estremità  non  corazzate,  ma  suddivise  in  minuti  compartimenti  stagni,  dei 
quali  quelli  a  murata  riempiti  di  materie  ingombranti  ed  ostruenti  in  modo 
da  assicurare,  per  quanto  vulnerabili,  una  efBcace  protezione  alla  galleggia- 
bilità e  stabilità,  risolveva  il  problema  della  nave  accoppiante  ad  un  potere 
offensivo,  sino  allora  insuperato,  un  sistema  difensivo  perfettamente  nuovo  ed 
una  velocità  a  quei  tempi  sconosciuta  per  le  navi  di  linea.  Col  «  Duilio  » , 
tipo  riprodotto  poi  nel  «  Dandolo  « ,  V  Italia  si  metteva  alla  testa  di  tutte  le 
nazioni  marinare.  Poco  dopo  T inizio  della  costruzione  del  «  Duilio  »,  T Am- 
miragliato inglese  deliberava  la  costruzione  dell*  «  Inflexible  » ,  nave  dello  stesso 
tipo  del  «  Duilio  »,  ma  di  dislocamento  alquanto  superiore  e  di  velocità  infe- 
riore di  ben  due  nodi. 

Il  «  Duilio  »  e  il  «  Dandolo  »  restarono  per  vario  tempo  le  più  belle 
e  potenti  navi  del  mondo.  L'ammiraglio  inglese  Spencer  Bobìnson  ebbe  a 
dire,  parlando  delle  marine  militari  :  «L'Italia  ha  la  sua  antica  flotta  coraz- 
zata composta  di  sole  navi  di  secondo  ordine  :  ma  ne  ha  due,  il  «  Duilio  • 
e  il  «  Dandolo  » ,  extrapotenti  »  ;  ed  il  senatore  Bonjean  disse  al  Senato  ame* 
rìcano:  «Il  solo  «Duilio»  della  Marina  italiana  potrebbe  distruggere  tutta 
la  nostra  flotta». 

&  Al  tipo  «  Duilio  »  seguì  il  tipo  «  Italia  »  progettato  dal  Brin  nel 
1875,- secondo  il  concetto  del  Saint  Bon  di  abolire  la  corazzatura  verticale, 
dotando  la  nave  di  elevatissima  velocità,  grande  autonomia,  rimanendo  la 
protezione  affidata  essenzialmente  ad  un  ponte  corazzato  subacqueo  e  ad  una 
struttura  cellulare  completa. 

L*«  Italia»  e  la  «Lepanto»  riconfermarono  per  alcuni  anni  il  nostro 
primato  navale  guadagnato  con  la  costruzione  del  «  Duilio  » . 

A  queste  due  navi  seguirono  le  tre  navi  tipo  «  Ruggiero  di  Lauria  », 
messe  in  costruzione  negli  anni  1881  e  1882,  con  le  quali  si  ritornava  al- 
l'incirca  al  tipo  «Duilio». 

Benedetto  Brin,  tornato  al  potere  nel  1884,  potè  mettere  in  cantiere 
nello  stesso  anno  le  navi  da  lui   studiate,  «  Re   Umbelle  » ,  •  Sardegna  » , 


28  GUSTAVO   BOZZONI 


ft  Sicilia  «fSegairae  la  costruzione  ed  apportai'vi  quei  perfezionamenti  che  la 
introduzione  dei  cannoni  a  tiro  rapido  e  delle  granate  ad  alto  esplosivo  resero 
necessari. 

9.  I  sette  anni  che  Brìn  rimase  al  potere,  segnarono  un  periodo  vera- 
mente brillante:  essi  costituirono,  mi  sia  permessa  l'espressione,  il  periodo 
d'oro  della  nostra  Marina,  la  cui  fiotta  era  stimata  la  seconda  del  mondo. 

In  quei  periodo,  oltre  le  navi  tipo  «  Re  Umberto  » ,  furono  costruite  le 
navi  «  Fieramosca  »  e  «Marco  Polo»,  12  navi  tipo  «Tripoli»  e  «  Parte- 
nope  » ,  5  navi  tipo  «  Lombardia  »,  e  fu  dato  largo  sviluppo  al  naviglio  silu- 
rante, costruendo  ben  96  torpediniere  ;  furono  inoltre  posti  in  atto  i  progetti 
di  Rrin  per  V  emancipazione  della  industria  navale  italiana  dall'  estero,  fon- 
dando in  quel  settennato  i  stabilimenti  di  Terni,  Pozzuoli  e  Venezia,  onde 
si  potesse  fin  d'allora  fabbricare  in  Italia  corazze,  grosse  artiglierie,  siluri 
e  lanciasiluri,  e  sviluppare  le  industrie  meccaniche  per  la  costruzione  degli 
apparati  motori  delle  nostre  maggiori  navi. 

10.  Alle  navi  tipo  «  Be  Umberto  »  seguirono  le  due  navi  tipo  «  Saint  Bon  » 
(1893-94),  disegnate  dal  PuUino  ed  ispirate  al  concetto  di  aver  le  murate 
protette  da  grande  estensione  di  corazza;  quindi  le  navi  tipo  «Carlo  Alberto» 
e  «  Garibaldi  »  (1893-95),  incrociatori  dotati  di  alta  velocità  e  protetti  con 
estesa  corazzatura,  disegnati  dal  Masdea  ;  quindi  le  navi  «  Benedetto  Brin  » , 
concepite  dal  Brin  stesso,  e  dis^nate  dal  Micheli  (figlio)  (1889),  con  estesa 
ma  sottile  corazza,  ed  alta  velocità. 

Seguirono  poi  i  tipi  «  Vittorio  Emanuele  »  (1901-903),  progettati  dal 
generale  Cuniberti,  navi  potentemente  armate,  dotate  di  alta  velocità  e  valida 
protezione;  i  tipi  di  incrociatori  corazzati  «San  Oiorgio  »  (1905-907),  del 
Masdea  ;  e  infine  le  navi  tipo  Dreadnought,  attualmente  in  costruzione  :  <r  Dante 
Alighieri  » ,  «  Conte  di  Cavour  » ,  «  Giulio  Cesare  »  e  «  Leonardo  da  Vinci  » , 
parimenti  progettate  dal  Masdea. 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI  29 


Cenni  tecnici. 

11.  Dopo  questa  rapida  enumerazione  dei  principali  tipi  delle  nostre 
navi  maggiori,  mi  sia  consentita  una  breve  digressione  —  dirò  così,  tecnico- 
professionale  —  in  ordine  alle  navi  da  guerra:  essa  mi  servirà  per  accen^ 
nare  T  essenza  ed  i  principali  requisiti  delle  navi  stesse,  e  per  far  rilevare 
le  difficoltà  che  bisogna  superare  loro  nello  studiarne  il  progetto,  a  ciò  che 
meglio  esse  rispondano  al  precipuo  loro  scopo,  in  relazione  al  progresso  dei 
tempi,  allo  stato  delle  industrie  che  hanno  attinenza  con  la  loro  costruzione, 
ed  airarte  della  guerra. 

CertOf  il  seguirmi  non  sarà  divertente;  ma  io  spero  che  quanto  andrò 
esponendo  potrà  riuscire  non  privo  d' interesse  anche  per  coloro  i  quali, 
versati  in  altri  studi  ed  in  altre  discipline,  non  hanno  domestichezza  con  la 
materia  delle  costrazioni  navali:  giacché  anche  essi  potranno  formarsi  una 
idea  generale  del  complesso  problema  che  si  riferisce  alla  nave  da  guerra 
e  delle  difficoltà  che  si  oppongono  alla  sua  risoluzione,  e  saranno  indotti 
pertanto  a  giudicare  con  benevolenza  Topera  di  chi  ha  il  non  facile  compito 
di  stabilire  le  caratteristiche  onde  le  navi  da  guerra  debbono  esser  fornite 
e  di  studiarne  i  progetti  e  dirigerne  la  costruzione,  in  guisa  che  la  nave 
riesca  corrispondente  alle  caratteristiche  prestabilite  nella  maggiore  possibile 
misura  :  il  compito,  insomma,  di  preparare  alla  patria  quelle  navi  che  sono 
destinate  a  difenderne  la  integrità  sui  mari,  ad  assicurare  la  prosperità  delle 
grandi  città  marittime,  e  a  tutelare  la  vita  e  la  proprietà  dei  cittadini. 

12.  La  nave  da  guerra  è  essenzialmente  un  complesso  edificio  gallega 
giante,  semovente  e  combattente,  che  deve  pertanto  possedere  le  facoltà  e  le 
caratteristiche,  talvolta  opposte,  occorrenti  per  galleggiare,  navigare  e  com- 
battere, nella  maggiore  reciproca  misura  compatibile  nel  difficile  compromesso 
che  la  nave  rappresenta;  compromesso,  che  si  traduce  nell*  ottenere  la  mas- 
sima  potenza  guerresca^  cioè  il  più  potente  armamento^  la  massima  pro- 
tezione la  massima  velocità^  la  massima  autonomia,  col  minimo  dislocamento 
e  con  la  minima  potenza  di  apparato  motore;  ottenere,  cioè,  il  massimo  rendi- 
mento, con  la  minima  spesa. 

13.  Tutti  sanno  che,  in  omaggio  al  principio  di  Archimede,  il  peso  del 
liqìiido  spostato  da  un  corpo  immerso  in  equilibrio,  ossia  il  sno  dislocamento, 
è  precisamente  eguale  al  pe:;o  del  corpo  stesso  preso  nel  suo  insieme;  ma  a 
molti  passa  inosservato  il  fatto  che,  mentre,  nel  complesso,  peso  e  disloca- 
mento debbono  necessariamente  essere  eguali,  tuttavia  i  pesi  delle  diverse 
zone  di   una  nave  possono  essere,  anzi  sono  quasi  senopre,   ben  diversi  dai 


30  GUSTAVO   BOZZONI 


dislocamenti  delle  zone  immerse  che  vi  corrispondono:  zone,  il  cui  volume 
ed  il  cui  dislocamento  variano  grandemente  col  muovere  del  bastimento  in 
mare  agitato. 

In  altre  parole,  mentre  la  somma  di  tutte  le  pressioni  elementari  eser- 
citate dall'acqua  contro  la  carena  della  nave,  è  eguale  necessariamente  al 
peso  totale  della  nave  stessa,  per  alcune  zone  si  verificherà  un  eccesso  di  peso 
sulla  spinta  della  corrispondente  zona,  per  altre  eccesso  di  spinta  sul  peso. 
E  specialmente  per  le  moderne  navi  da  guerra,  con  enormi  pesi  di  corazze 
e  di  artiglierie  concentrati  entro  zone  ristrette,  il  fenomeno  degli  eccessi  di 
peso  0  di  spinta  assume  proporzioni  rilevanti,  e  si  producono  degli  sforzi 
enoimi,  ai  quali  devono  contrapporsi  le  reazioni  strutturali  dello  scafo,  che 
non  debbono  eccedere,  naturalmente,  i  limiti  voluti  dalla  elasticità  e  dalla 
resistenza  dei  materiali,  in  modo  che  non  si  abbiano  a  produrre  deformazioni 
permanenti  o  lesioni  di  sorta. 

Aggiungerò  che  l'accoppiamento  di  due  o  più  cannoni  di  grosso  calibro 
nella  stessa  torre  o  piattaforma  girevole,  costituisce  un  peso  mobile  di  molte 
centinaia  di  tonnellate  (tonn.  700  ali*  incirca  nelle  moderne  navi  «  Dante 
Alighieri  *  e  tipo  «  Giulio  Cesare  "  ),  il  quale  deve  essere  sorretto  dalle  strut- 
ture locali,  che  debbono  essere  inoltre  tanto  robuste,  da  poter  sopportare 
r  enorme  cimento  cui  si  trovano  sottoposte  durante  lo  sparo,  cimento  ohe 
muta  d'intensità  e  di  direzione,  sia  col  girare  dei  pezzi,  sia  con  l'angolo 
di  elevazione  al  quale  essi  sono  puntati. 

14.  È  noto,  del  pari,  anche  ai  piii  profani  delle  cose  di  marina,  che, 
affinchè  un  corpo  immerso  nell'acqua  o  in  altro  fluido  assuma  movimento 
progressivo,  occorre  imprimergli  una  certa  forza,  o,  meglio,  una  certa  quantità 
di  energia  cinetica,  che  deve  appunto  eguagliare  la  somma  delle  energie 
consumate  o  assorbite  nel  movimento.  Per  una  nave,  queste  energie  sono 
quelle  dovute  essenzialmente  all'attrito  dell'acqua  sulla  sua  carena,  alla  for- 
mazione delle  onde,  ed  al  movimento  vorticoso  che  assumono  le  molecole 
liquide;  bisogna  quindi  che  sia  comunicata  alla  nave  una  quantità  di  energia 
meccanica  corrispondente  alla  totalità  di  tutte  queste  forze  ritardatrici. 

L'appai-ato  motore  è  destinato  appunto  a  fornire  Tenergia  motrice,  o, 
meglio,  a  trasformare  l'energia  latente,  contenuta  nel  combustibile  portato  a 
bordo,  in  energia  cinetica,  ossia  in  energia  meccanica  di  movimento.  E  quindi 
occorre  che  esso  sia  atto  a  compiere  questa  trasformazione,  nella  misura  occor- 
rente: fa  d*uopo,  cioè,  che  esso  sia  capace  di  sviluppare  la  potenza  meccanica 
occorrente,  nel  tempo  richiesto,  per  vìncere  la  somma  di  tutte  le  resistenze,  ossia 
di  tutte  le  energie  assorbite  nel  movimento.  Ma,  nelle  navi  da  guerra,  ciò  non 
basta  ancora,  poiché  V  apparato  motore,  oltre  alla  condizione  essenziale  dello 
sviluppo  di  una  data  potenza,  che  ordinariamente  si  computa  in  cavalli-vapore 
deve  soddisfare  ad  altre  condizioni  di  carattere  militare  :  e  propriamente  deve 
essere  sistemato  in  modo  da  risultare,  per  quanto  è  possibile,  difeso  dagli 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI 


81 


effetti  delle  armi  nemiche;  deve  essere  ripartito  in  modo  che  questi  effetti 
abbiano  le  minori  conseguenze  possibili  ;  deve  essere  disposto  in  maniera,  da 
nuocere  poco  o  nulla  alle  facoltà  militari  e  alla  galleggiabilità  della  nave,  e 
da  contribuire,  anzi,  ad  aumentare  i  mezzi  di  sicurezza  della  nave  stessa. 
Ed  il  lettore  vorrà  riconoscere  che  non  è  facile  il  soddisfare  convenien- 
temente a  tanti  requisiti  ed  a  tanti  vincoli,  quando  rifletta  che  Tapparato 
motore  di  una  moderna  nave  da  battaglia,  la  cui  potenza  raggiunge  e  tal- 
volta supera  i  40.000  cavalli-vapore,  corrispondente  alla  potenza  di  oltre  100 
locomotive  per  treni  espressi  ;  che  il  numero  di  caldaie  occorrente  per  otte- 
nere un  così  elevato  sviluppo  di  potenza  è  molto  ragguardevole,  supera  spesso 
il  20  e  talvolta  il  30  ;  che  il  peso  di  uno  di  questi  potenti  apparati  motori 
supera  le  2000  tonnellate,  e  che  la  quantità  diaria,  che  si  deve  sommini- 
strare alle  caldaie  per  ottenere  la  perfetta  combustione,  si  eleva  tavolta  a 
4-500.000  metri  cubi  per  ogni  ora. 

16.  Ho  creduto  così  di  fai*  cenno  di  alcune  delle  pib  importanti  questioni 
che  si  debbono  risolvere,  e  di  alcune  delle  più  importanti  caratteristiche 
tecniche,  architettoniche  e  militari,  che  si  debbono  conferire  ad  una  nave  da 
guerra;  ma  abuserei  troppo  della  pazienza  del  lettore,  e  mi  allontanerei  troppo 
dai  limiti  impostimi  dallo  scopo  di  questa  breve  rivista,  se  volessi  soltanto 
enumerare,  senza  neppur  discuterne,  tutti  gli  svariati  meccanismi  ausiliail, 
le  numerose  sistemazioni  ed  i  molteplici  servizii  ai  quali  si  deve  provvedere, 
in  una  moderna  nave  da  guerra.  Dirò  soltanto  che  pel  governo  della  nave, 
cioè  per  la  manovra  del  timone;  pel  servizio  delle  ancore;  per  quello  da 
ormeggio  e  tonneggio;  per  la  ventilazione  ed  il  rìscaldamento  dei  locali  in- 
terni; per  la  refrigerazione  dei  depositi  delle  munizioni;  per  la  conservazione 
dei  viveri  putrescibili;  per  i  mezzi  dì  imbarco  e  manovra  delle  munizioni; 
per  il  servizio  delle  imbarcazioni  ;  per  il  servizio  di  esaurimento  delle  grandi 
masse  d'acqua,  e  di  prosciugamento  ed  allagamento  dei  doppii  fondi  e  delle 
stive;  per  servizio  da  incendio;  per  le  comunicazioni  meccaniche,  acustiche 
e  telefoniche  e  per  le  trasmissioni  degli  ordini  in  generale,  e  per  altri  minori 
servizii  (cucine,  ospedali,  forni  ecc.  ecc.),  sopra  una  recente  nave  da  guerra 
di  1*  classe,  cioè  sopra  una  delle  nostre  gi-andi  unità,  non  occorrono  meno  di 
120  a  150  meccanismi  e  macchine  ausiliarie,  che  complessivamente  assorbono 
non  meno  di  1500  a  2000  cavalli  di  potenza. 

Premessi  questi  pochi  cenni  storico-tecnici,  tratterò  brevemente  della 
trasformazione  della  nave  corazzata  verificatasi  nella  nostra  Marina  nel  Cin- 
quantennio dell'Unità  d'Italia,  dividendo  lo  studio  in  5  periodi  di  10  in 
10  anni;  accennerò  poi  rapidamente  al  naviglio  minore. 

In  appositi  prospetti  in  appendice  ho  raccolto  dati  sommarli  del  navi- 
glio in  servizio  od  in  costruzione  a  diverse  date  corrispondenti  appunto  ai 
suddetti  periodi  decennali. 


32  GUSTAVO   BOZZONI 


LE   NAVI    CORAZZATE 


Dal  1860  al  1870. 

16.  Come  ho  già  detto,  alla  proclamazione  del  Regno  d*  Italia,  la  R.  Ma- 
rina non  aveva  che  due  navi  corazzate:  la  «Terribile»  e  la  «Formi- 
dabile», classificate  come  batterie  coraszate^  entrambe  in  costnizione  in 
Francia  presso  la  Soc.  des  Forges  e  Ghantiers  de  la  Mediterranée,  alla  Seyne 
(contratto  giugno  1860);  costruzione,  era  che  stata  volata  dal  Conte  di 
Cavour, 

Erano  navi  in  ferro,  di  2700  tonn.,  con  le  murate  totalmente  protette 
da  corazze  di  ferro  di  11  cm.;  armate  con  20  cannoni,  dei  quali  16  da 
160  mm.  e  4  da  204  mm.,  disposti  tutti  nella  batteria  ;  avevano  macchine  di 
400  cavalli  nominali,  ed  erano  capaci  di  raggiungere  velocità  di  10-11  nodi. 
Queste  navi  erano  sprovviste  di  alberatura;  lo  scafo  non  era  suddiviso  da 
paratie  ;  erano  munite  di  un  piccolo  rostro,  e,  per  forme  e  caratteristiche  ar- 
chitettoniche, erano  pressoché  simili  alle  navi  in  legno.  Aspre  crìtiche  fiirono 
sollevate  contro  queste  navi  ;  e  la  Commissione  incaricata  del  loro  collaudo 
in  Francia,  ebbe  a  dire  che  «  le  navi  non  hanno  proprietà  tali  da  potersi 
«  considerare  come  batterìe  corazzate,  ma  piuttosto  come  corvette  ad  elice 
«  corazzate  ;  e  perciò  la  Commissione  crede  che  la  R.  Manna  debba  utiliz* 
«  zarle  nel  miglior  modo,  relativamente  alle  loro  qualità,  modificando  gli  scafi, 
«  Tarmamento  ed  il  carico  » . 

Il  generale  Bixio,  valoroso  soldato  e  marinaio,  in  Parlamento  ed  in  una 
vibrata  lettera  diretta  al  Movimento  di  Genova  (21  dicembre  1861)  ne  fece 
aspra  censura  dicendo  :  «  Quanto  alle  due  corvette  corazzate,  la  «  Terribile  « 
«  e  la  «  Formidabile  » ,  il  ministro  della  Marina  si  troverà  certamente  solo 
«  a  classificarle  elementi  di  una  flotta  navigabile  »;  e  soggiungeva  persino: 
«  Del  resto,  i  bastimenti  corazzati  sono  ancora  un*  incognita  per  tutti,  e  solo 
«  si  crede  che,  quando  siano  spinti  alle  dimensioni  del  Warrior,  offrano  pos- 
«  sibilità  di  essere  classificati  per  bastimenti  militari  speciali,  ed  in  certi 
«  casi  ben  particolari  » . 

17.  Seguirono  a  queste  due  navi  le  due  corazzate  a  scafo  di  legno  «  Re 
d'Italia  "  e  «  Re  di  Portogallo  »:  le  pratiche  per  la  costruzione  delle  quali 
erano  state  iniziate  dal  Conte  di  Cavour,  nel  1860,  col  costruttore  Weeb  di 


MARINA   MILITARE   K   COSTRUZIONI   NAVALI  38 

New- York,  e  condotte  a  teimine  dall* ammiraglio  Persano.  Nell'agosto  1861 
fu  concluso  il  relativo  contratto,  e  le  due  navi  furono  varate  neiraprile  e 
neiragosto  1863. 

Queste  navi,  del  dislocamento  di  5700  tonn.,  avevano  le  murate  comple- 
tamente corazzate  con  piastre  di  ferro  di  11  cm.;  avevano  un  piccolo  sperone; 
erano  armate  con  36  cannoni  in  batteria;  avevano  macchine  di  800  cavalli 
nominali,  velocità  10-11  nodi. 

18.  Seguirono  poi  le  4  corazzate  a  scafo  di  ferro,  costruite  pur  esse  in 
Francia,  classificate  come  pirocorvette  ad  elice  corazzate,  la  cui  costruzione 
fu  decretata  dal  Parlamento  il  7  giugno  1862. 

Le  prime  due,  la  «  Maria  Pia  «  e  la  «  San  Martino  « ,  furono  costruite  alla 
Seyne  presso  la  Soc.  des  Forges  e  Chantiers  de  la  Mediteri-anée,  e  varate 
neiraprile  e  nel  settembre  1863;  la  3^  cioè  la  «  Gastelfidardo  »,  fu  costruita 
a  Nantes  presso  il  Cantiere  Gouin,  e  varata  neiragosto  1863;  l'ultima,  cioè 
r  «  Ancona  » ,  costruita  a  Bordeaux  presso  il  cantiere  Arman,  fu  vai-ata  nel- 
r  ottobre  1864. 

Queste  navi  erano  notevolmente  più  grandi  e  veloci  delle  due  prime 
corazzate  in  ferro,  poiché  avevano  il  dislocamento  di  circa  4300  tonn.,  e  la  ve- 
locità di  13-14  nodi,  che  per  quei  tempi  era  abbastanza  elevata;  avevano 
apparati  motorì  di  700  cav.  nom.  ;  erano  quasi  totalmente  sprovviste  di  al- 
beratura. Avevano  la  prora  molto  sporgente  al  di  sotto  del  galleggiamento  : 
erano,  cioè,  provviste  di  sperone. 

Il  loro  armamento  originale  era  costituito  da  26  cannoni,  dei  quali,  4  da 
204  mm.  e  22  da  160  mm.  ;  lo  scafo  era  di  ferro,  senza  doppio  fondo,  e 
ben  poco  suddiviso  da  paratie  stagne;  le  caldaie  erano  situate  tutte  in  unico 
locale. 

La  corazzatura  di  queste  navi  era  del  sistema  a  cintura  e  batteria  (in 
,  seguito  fu  modificata  quando  fu  modificato  l'armamento):  le  piastre  erano 
della  grossezza  di  cm.  11  per  le  prime  3  navi,  e  cm.  12  la  4%  sovrapposte 
a  grosso  cuscino  di  legno  quercia. 

19.  Altre  due  navi  in  ferro,  la  «  Varese  *  e  la  «  Palestre  *  (nomi  ri- 
prodotti poi  in  successive  navi),  furono  costruite  in  Francia  alla  Sejne  nella 
istessa  epoca,  e  varate  alla  fine  dell'anno  1865.  Furono  classificate  canno- 
niere di  1^  classe.  Avevano  il  dislocamento  di  sole  2000  tonn.  ;  la  potenza 
dell'apparato  motore  era  di  300  cav.  nom.;  la  velocità  di  7-8  miglia; 
ed  erano  armate  con  4  cannoni  di  204  mm.  e  protette  col  sistema  a  cintura 
e  batteria,  con  piastre  di  11  cm. 

20.  In  quel  torno  di  tempo  si  costruivano  anche  le  corazzate  a  scafo 
di  legno  «  Principe  di   Carignano  « ,  «  Messina  » ,  «  Boma  » ,  «  Venezia  «  e 

Gustavo  Bozzo:«i.  —  Marina  mititart  «  Costrutioni  navali,  8 


34  GUSTAVO   BOZZONI 


«Conte  Verde»,  la  1*  a  Castellammare,  le  altre  3  alla  Foce  e  la  4* a  Li- 
vorno, varate;  e  s'iniziava  la  costruzione  delle  navi  «  Principe  Amedeo  «  e 
«  Palestre  »  (nuova),  messe  ip  cantiere  a  Castellammare  ed  a  S.  Bartolomeo 
nel  1865,  studiate  e  destinate  a  portar  corazze  di  12  cm.  come  le  altre  navi 
citate. 

Ma  ci  occuperemo  solo  di  queste,  che  furono  le  ultime  navi  corazzate 
in  legno  costruite  dalla  Marina  Italiana,  per  ricordare  che  rincalzare  dei 
progressi  delle  artiglierie  e  delle  corazze,  fece  si  che  per  le  3  ultime  navi, 
«Venezia*,  «Palestro*  e  «  Principe  Amedeo  « ,  si  addivenisse  a  radicali 
trasformazioni,  mentre  erano  ancora  in  cantiere.  Alla  «  Venezia  «  si  demolirono 
le  estremità  per  ricostruirle  in  ferro  e  restringere  al  ridotto  centrale  la  co- 
razza, portandone  lo  spessore  da  12  a  15  cm. .  Alla  «  Palestre  «  e  al  «  Prin- 
cipe Amedeo  «  si  fece  dapprima  la  stessa  operazione  :  poi,  mutato  criterio,  si 
portarono  i  ridotti  corazzati  alle  estremità,  e  si  rifecero  in  ferro  le  murate 
della  parte  centrale  della  nave. 

21.  In  generale,  le  disposizioni  architettoniche  e  strutturali  delle  prime 
navi  a  scafo  metallico  costruite  dalla  Marina  italiana,  non  presentavano 
alcuno  di  quei  vantaggi  che  furono  di  poi  ottenuti  in  larga  misura  con  le 
costruzioni  metalliche;  che,  di  fatto,  erano  informate  agli  stessi  concetti 
costruttivi  delle  navi  in  legno,  dalle  quali  derivavano. 

Nei  primi  anni  del  Regno  d'Italia  è  assai  notevole  fra  le  costruzioni 
delle  navi  quella  deir^  Affondatore  «,  ariete  corazzato  di  4000  tonn.  e  700 
cav.  nom.,  costruito  a  Milwal  sul  Tamigi  e  varato  nel  1865.  Era  a  scafo 
di  ferro,  con  cintura  corazzata  al  galleggiamento  di  1 1  cm.,  e  con  due  torri 
corazzate  per  i  grossi  cannoni  di  254  mm.,  ed  era  dotato  di  velocità  supe- 
riore alle  navi  allora  in  servizio,  e  munito  di  lungo  e  robusto  sperone. 

È  pure  interessante  notare  il  varo  della  «  Vedetta  «,  avviso  di  830  ton- 
nellate e  660  cav.,  la  prima  nave  in  ferro  costruita  in  Italia:  varo  avvenuto 
alla  Foce,  il  24  ottobre  1866. 

In  complesso,  però,  nello  sviluppo  delle  costruzioni  navali  nei  primi  anni 
del  Regno,  non  si  volle,  come  dice  il  Brin  nel  suo  libro  già  citato,  «  tener 
rocchio  rivolto  ai  probabili  progressi,  ma  si  stimò  meglio  restar  sempre  al 
ii  di  sotto  dello  stato  attuale  »  :  e  le  navi  esistenti  alla  costituzione  del  Regno 
e  quelle  costruite,  tolto  forse  T «  Affondatore  »,  per  lo  svolgersi  degli  eventi 
e  per  il  progresso  delle  artiglierie,  delle  corazze  ecc.,  si  trovarono  ben 
presto  ad  aver  valore  militare  assai  scarso,  e  si  rese  quindi  inevitabile  la 
legge  di  alienazione  del  1875. 

Fin  dal  1867,  discutendosi  il  bilancio  della.  Marina  alla  Camera  dei 
Deputati,  fu  presentato  nn  ordine  del  giorno  per  stabilire  un  servizio  di  na- 
vigazione mercantile  fra  Venezia  e  1*  Egitto,  ed  il  ministro  del  tempo  espresse 
Vintenzione^di  consegnare  a  qualche  Compagnia  di  navigazione  alcune  navi 


MARINA    MILITARE    E    COSTRUZIONI    NAVALI  35 

della  Marina,  noa  atte,  pel  progresso  dei  tempi,  al  servizio  in  guerra.  La  pro- 
posta sollevò  grande  discussione,  ma  fu  messa  poi  in  tacere. 

22.  Il  16  maggio  1869  fu  presentato  alla  Camera  dei  Deputati,  dal 
ministro  Riboty,  un  piano  organico  del  materiale  della  R.  Marina,  il  quale, 
invero,  come  rilevasi  dalla  relazione  che  lo  accompagnava,  non  era  proposto 
in  base  alle  esigenze  marittime  del  paese,  ma  era  piuttosto  subordinato  alle 
ristrettezze  della  finanza,  ed  era  considerato  come  un  principio  per  Y  impianto 
della  futura  marina  italiana. 

Con  tale  piano  organico  si  proponevano  in  tutto  82  navi:  delle  quali, 
20  di  linea,  7  fregate,  5  corvette,  16  cannoniere,  6  avvisi,  8  trasporti, 
10  navi  guardacoste  e  12  rimorchiatori.  Il  proposto  organico  calcolava  in 
60  milioni  la  spesa  occorrente,  da  ripartirsi  in  10  anni  ;  presumeva  in  44  mi- 
lioni la  spesa  totale  ordinaria  annua  per  la  Marina,  ed  in  23  milioni  quella 
da  destinarsi  alla  manutenzione  e  riproduzione  del  naviglio. 

Questo  progetto  di  organico  del  materiale  fu  deferito  al  Comitato  della 
Camera,  il  quale  a  sua  volta  ne  affidò  Vesame  ad  una  sotto-commissione.  Ma, 
nel  frattempo,  il  Ministero  Menabrea  si  ricompose,  e  la  Commissione  dovè 
domandare  al  nuovo  gabinetto  se  riteneva  ammissibile  la  cifra  complessiva 
prevista  nel  bilancio  normale:  intervenuta  poi  la  chiusura  della  sessione,  il 
progetto  di  egge  non  lebbe  altro  sèguito.  Caduto  il  Ministero  Menabrea,  il  pre- 
sidente del  nuovo  gabinetto,  Oiov.  Lanza,  nel  suo  dÌ8Coi*so  alla  Camera  (15  di- 
cembre 1869)  espresse  quali  fossero  gì*  intendimenti  del  Governo  rispetto  alla 
Marina,  e  cioè  che  V  indirizzo  del  g2L\Ayi^i\x^  era  quello  di  economizzare  essenzial- 
mente Bulle  spese  militari,  cioè  sui  due  bilanci  deW Esercito  e  della  Marina. 

23.  Nominato  ministro  della  Marina  il  contrammii*aglio  Guglielmo  Acton 
il  15  gennaio  1870,  i  principi  della  più  stretta  economia  del  programma 
ministeriale  vennero  ampiamente  sviluppati  sotto  la  sua  amministrazione 
durata  per  oltre  un  anno  e  mezzo:  fu  prorogato  da  8  a  18  anni  il  tempo 
fissato  per  il  riordinamento  dell'arsenale  di  Venezia;  fu  definitivamente  ab- 
bandonata r  idea  della  costruzione  del  bacino  di  carenaggio  ad  Ancona,  sta- 
bilita nel  1862. 

Dal  1870  al  1880. 

24.  Questo  periodo  è  particolarmente  interessante,  perchè  in  esso  la 
Marina  cominciò  a  liberarsi  della  depressione  nella  quale  era  caduta  dopo 
la  guerra  del  '66,  e  cominciò  il  fecondo  periodo  del  risorgimento  della  nostra 
flotta  e  delle  nostre  istituzioni  militari  marittime. 

Al  principio  di  questo  periodo  apparvero  in  Italia  vari  opuscoli,  opere 
di  ufficiali  ed  ingegneri,  atti  a  richiamare  l'attenzione  del  paese  sulle  con- 
dizioni materiali  e  morali  della  Marina,  a  dimostrare  la  urgente  necessità 


36  GUSTAVO    BOZZONI 


di  provvedere  a  che  V  Italia  creasse  una  Marina   forte  e  temuta,  per  la  su- 
prema necessità  della  difesa  delle  sae  coste,   dell'esistenza  sua  stessa. 

Il  3  giugno  1871  Tammiraglio  Bìbotj,  ex-ministro  della  Marina,  pro- 
mosse in  Senato  un*  interpellanza  sull'armamento  generale  della  Marina,  dimo- 
strando la  necessità  di  un  piano  organico:  la  discussione  si  chiuse  con 
l'ordine  del  giorno  Cialdini-Menabrea,  col  quale  il  Senato  esprimeva  la  ne- 
cessità di  un  forte  ordinamento  della  Marina. 

25.  Il  31  agosto  1871  il  senatore  Biboty  assumeva  per  la  seconda  volta 
il  portafoglio  della  Marina,  surrogando  il  contrammiraglio  Ouglielmo  Acton  : 
ed  il  6  settembre  emanò  un  lungo  ordine  del  giorno,  nel  quale  diceva  che 
il  governo  era  penetrato  dalla  necessità  di  mantenere  la  marina  in  buono 
stato,  e  capace  di  fare  degnamente  fronte  a  qualunque  evento;  e  che  «  la 
istruzione  del  personale  ed  il  rinnovamento  del  naviglio,  erano  le  due  grandi 
necessità  del  momento*.  Nella  tornata  del  12  dicembre  il  Biboty  presen- 
tava infatti  alla  Camera  un  progetto  di  legge  relativo  al  piano  organico  del 
personale  e  del  materiale  della  Marina,  esponendo  i  criteri  die  lo  avevano 
guidato  a  compilarlo. 

Col  detto  piano  organico,  la  forza  del  naviglio  si  poi-tava  a  73  navi,  di 
cui  12  di  linea,  8  fregate,  7  corvette,  4  cannoniere  di  1^  classe,  8  di 
2*  classe  ecc.,  e  sul  bilancio  della  Marina  si  proponeva  un  aumento  di  lire 
25.750.000,  diviso  in  cinque  esercizi,  dal  1872  al  1876:  con  la  quale  somma 
si  calcolava  di  costruire  2  navi  di  linea,  2  cannoniere  di  1^  classe,  2  di 
2*  classe  e  10  guardacoste. 

La  Giunta,  nominata  dalla  Camera  per  Tesame  di  questo  progetto  di 
legge,  nominò  a  sua  volta  una  sotto-Commissione,  che  portò  da  73  a  102 
navi  il  quadro  della  flotta  ;  ma,  per  varie  vicende,  l'organico  della  flotta  non 
fu  più  portato  in  discussione  alla  Camera. 

26.  Intanto,  il  Consiglio  Superiore  di  Marina,  chiamato  ad  emettere  pa- 
rere sulla  scelta  dei  tipi  di  navi,  propose,  nel  gennaio  1872,  la  costruzione 
di  3  grandi  navi  da  battaglia  a  torri,  2  navi  da  crociera  da  450  cavalli  e 
2  da  160  cav.,  tutte  progettate  dairallora  direttore  del  Genio  navale  Bene- 
detto Brin.  La  corazzata  a  torri  era  armata  con  4  cannoni  da  60  tonn.,  protetta 
con  corazze  di  55  cm.  nella  parte  centrale;  la  velocità  era  prevista  in  15  nodi. 

I  piani  subirono  qualche  modificazione;  poi  vennero  approvati  definiti- 
vamente dal  Consiglio  superiore  nell'agosto  1872,  e  nel  successivo  gennaio 
venne  messo  in  costruzione  a  Castellammare  il  «  Duilio*.  Contemporanea- 
mente veniva  impostata  alla  Spezia  la  nave  gemella  «  Dandolo  « . 

Caratteristica  principale  di  questo  tipo  di  nave,  era  la  riduzione  della 
superficie  corazzata  alla  sola  parte  centrale,  per  proteggere  Tapparato  motore 
e  le  torri  dei  grossi  cannoni;  la  protezione  delle    estremità  era  affidata  ad 


MARINA    MILITARE   E    COSTRUZIONI    NAVALI  37 

una  minuta  suddivisione  in  compartimenti  stagni,  con  concetto  assolutamente 
nuovo.  L'armamento,  che  in  origine  doveva  essere  costituito  da  4  cannoni 
da  60  tonn.,  fu  invece  costituito  di  4  cannoni  da  100  tonn.,  del  calibro  di 
450  mm.,  i  più  potenti  cannoni  (ino  allora  fabbricati  (è  da  ricordare  che  il 
calibro  450  non  è  stato  mai  più  raggiunto  o  superato  nelle  moderne  arti- 
glierie), ad  avancarica  ed  a  caricamento  idraulico. 

Il  «  Duilio  »,  lungo  ra.  103,  largo  m.  19,75,  con  immersione  di  m.  8,20, 
aveva  un  dislocamento  di  11.140  tonn.;  l'apparato  motore  era  costituito  da  due 
macchine  della  potenza  complessiva  di  7000  cav.  ind.,  e  la  velocità  prevista 
era  di  nodi  16,  superiore  di  molto  a  quelle  di  tutte  le  altre  navi  del  mondo, 
in  servizio  od  in  costruzione. 

27.  A  lungo  si  era  discusso  in  Italia  ed  alPestero,  da  tecnici  e  da  incom- 
petenti, circa  questa  nave,  che  da  molti  era  giudicato  un  colossale  errore  ;  se 
ne  riteneva  perfino  impossibile  il  varo.  Ma  il  <<  Duilio  »  fu  varato  felicemente 
rS  maggio  1876,  alla  presenza  dei  Sovrani  e  di  spettatori  deliranti;  e  quattro 
anni  dopo  potè  compiere  brillantemente  le  prove  in  mare,  e  fare  il  giro  dei 
principali  porti  italiani,  dove  si  accorreva  a,i  ammirare  questa  nave  colos- 
sale, che,  da  sola,  elevava  a  potenza  di  primo  ordine  la  Marina  italiana. 

28.  Il  l''  dicembre  1873  il  contrammiraglio  Pacoret  di  Saint-Bon,  suc- 
ceduto al  Biboty  nel  dicastero  della  Marina,  presentò  alla  Camera  un  pro- 
getto di  legge  per  Talienazione  di  ben  25  navi,  delle  quali,  7  corazzate,  9  ad 
elica  e  9  a  vela;  ma  il  progetto  non  fu  discusso,  per  varie  vicende  parla- 
mentari. Convocata  una  nuova  legislatura,  il  23  novembre  1874  il  ministro 
Saint-Bon  ripreseutò  il  progetto  di  legge,  che  fu  discusso  ed  approvato  dalla 
Camera  il  26  febbraio  1875. 

L*ammiraglio  Saint-Bon,  esponendo  francamente  quale  fosse  lo  stato 
della  Marina,  quale  il  materiale  cattivo,  quale  il  buono,  concluse  che  la 
flotta  italiana  possedeva  soltanto  due  navi  di  linea  buone:  il  «  Duilio»  e 
il  «  Dandolo  ».  Si  discusse  lungamente  di  cannoni,  di  corazze,  di  velocità:  fa 
una  lotta  «  acerba  fra  i  sostenitori  ed  oppositori  del  ministro  :  la  lotta  fra 
passato  ed  avvenire  » .  Alla  discussione  prese  parte  anche  il  Gen.  Garibaldi, 
che  si  associò  alle  idee  espresse  dal  ministro,  di  alienare  cioè  le  navi  in- 
servibili, e  costruire  le  navi  corazzate;  ed  il  Saint-Bon  concluse  esponendo  il 
sistema  che  egli  intendeva  seguire  nello  nuove  costruzioni  :  «  esaminare  cioè, 
quando  si  mette  in  cantiere  una  nave,  dove  ci  conduce  la  curva  del  pro- 
gresso, e  prevedere,  al  tempo  in  cui  quel  bastimento  potrà  essere  varato, 
quali  siano  le  idee  che  prevarranno  ». 

29.  Frutto  delle  idee  del  Saint-Bon  fu  la  costruzione  deir«  Italia  »,  pro- 
gettata dal  Brio  ed  impostata  a  Castellammare  nel  gennaio  1876. 


38 


GUSTAVO   BOZZONI 


Il  concetto  del  Saìnt-Bon  era  quello  di  avere  una  nave  potentissima 
per  facoltà  offensive  e  difensive,  dotata  di  velocità  superiore  a  quella  di  tutte 
le  navi  di  battaglia  in  costruzione  od  in  progetto,  di  grande  autonomia, 
ed  atta  ad  intraprendere  qualsiasi  navigazione  oceanica.  Si  trattava,  in  con- 
clusione, di  costruire  una  nave  molto  più  veloce  del  «  Duilio  « ,  più  efficace- 
mente protetta,  più  potentemente  armata;  e  non  potendosi  adottare  efficace 
corazzatura  al  galleggiamento  senza  incorrere  in  dimensioni  assolutamente 
esagerate,  si  rinunziò  alla  protezione  del  bagnasciuga,  assicurando  la  galleg- 
giabilità con  un  ponte  subacqueo  corazzato,  della  grossezza  di  8-10  cm.,  e  con 
la  corazzatura  dei  boccaporti,  ed  assicurando  la  stabilità  con  un  bene  inteso 
sistema  cellulare,  cioè  con  una  suddivisione  minuta  in  compartimenti  stagni, 
della  zona  compresa  fra  il  ponte  dì  corridoio  ed  il  ponte  corazzato,  formando 
la  così  detta  zattera  cellulare,  e  adottando  i  «  cofferdam  • ,  cioè  corridoi  longi- 
tudinali a  murata,  da  riempirsi  con  sughero,  tipba  o  altro  materiale  ingom- 
brante e  leggero,  e  capace  quindi  di  impedire  Ventrata  di  grande  quantità  di 
acqua  in  caso  di  falle. 

Un'altra  importante  innovazione  introdotta  nella  costruzione  dell*  «  Italia  " , 
fu  r adozione  del  ferro  omogeneo  (acciaio  malleabile)  nella  costruzione  dello 
scafo,  allo  scopo  di  alleggerire  lo  scafo  stesso,  realizzandosi  così,  rispetto  al 
ferro,  una  economia,  in  peso,  del  15  Vo-  Furono  dovute  superare  non  poche 
difficoltà  nella  lavorazione  di  questo  materiale  nuovo  ;  ma  i  risultati  furono 
ottimi,  e  da  allora  in  poi  il  ferro  omogeneo  fu  introdotto  nelle  nostre 
costruzioni  navali. 

L'armamento  progettato  per  V  «  Italia  »  era  originalmente  di  2  cannoni 
da  100  tonu.,  montati  entro  due  torri  girevoli  corazzate,  racchiuse  da  un  ri- 
dotto a  murate  verticali  protette  da  corazzo  di  45  cm.  In  seguito,  nel  1878, 
l'armamento  fu  modificato  raddoppiandolo:  e  cioè  fu  stabilito  in  4  cannoni 
da  100  tonn.  (del  calibro  di  431  mm.),  montati  su  piattaforme  girevoli  in 
barbette  racchiuse  nel  ridotto  corazzato;  18  cannoni  da  149  nella  batteria 
ed  in  coperta,  che  furono  poi  ridotti  ad  8  cannoni  da  149  e  4  da  120. 

L'apparato  motore,  della  potenza  complessiva  di  12.000  cav.  ind.,  era 
costituito  da  4  macchine,  ciascuna  a  3  cilindri  agenti  sopra  due  assi  e  due 
eliche,  e  26  caldaie  ellittiche  sistemate  in  6  locali  distinti,  ed  era  calcolato 
per  imprimere  alla  nave  la  velocità  di  nodi  17.  Infatti,  alle  prove,  la  nave 
raggiunse  nodi  17.8.  (La  gemella  «  Lepanto  »»  raggiunse  invece  la  velocità 
di  nodi  18.4,  con  lo  sviluppo  di  circa  16.000  cav.  ind.). 

L'«  Italia»,  lunga  m.  122,  larga  m.  22,54,  immersa  m.  9,30,  ebbe, 
quando  fu  completamente  ultimata,  un  dislocamento  di  tonn.  15.700  circa. 
Essa  fu  varata  il  29  settembre  1880,  ed  entrò  in  servizio  nel  1885. 

30.  Il  26  marzo  1876  l'ing.  Benedetto  Brin,  allora  Ispettore  del  Genio 
navale,  assumeva  il  portafoglio  della  Marina,  sotto  il  primo  Ministero  De- 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI  81) 

pretis.  Questi,  in  un  discorso-progi-amma  pronunziato  ai  suoi  elettori  di  Stia- 
della  nell'ottobre  1876,  diceva,  fra  Valtro,  che  il  ministro  della  Marina 
avrebbe  presentato  anche  esso  il  suo  codice,  cioè  quello  della  Marina  mer- 
cantile, informato  ai  principi  della  maggiore  libertà;  e  inoltre  avrebbe  presen- 
tato »  due  leggi  da  lungo  tempo  desiderate,  cioè  il  piano  organico  del  per- 
«  sonale,  ed  il  piano  organico  del  materiale  della  Marina  militare  » . 

Nel  discorso  della  Corona  del  20  novembre  1876,  discorso  che  fu  l'ultimo 
pronunziato  da  Vittorio  Emanuele  II,  era  confermata  la  promessa  di  restaurare 
la  Marina:  «  Noi  non  possiamo  diminuire  le  spese  già  tanto  parcamente  misu- 
«  rate  per  l'Esercito  e  per  la  Marina  i»,  diceva  il  Gran  Re;  e  piti  oltre: 
«  Converrà  infine  pensare  risolutamente  a  restaurare  la  marineria  t>. 

Benedetto  Brin  presentò  infatti,  entro  un  termine  relativamente  bievo, 
alla  approvazione  della  Camera,  il  progetto  di  piano  organico  del  materiale. 
La  Flotta  italiana,  mercè  tale  progetto,  veniva  ad  essere  così  costituita: 

16  navi  da  guerra  di  1^  classe 

10      »  •       •  2*  » 

20      »  .       •   3*  » 

2      »  sussidiarie  »   1»  » 

8      »  »           »   2*  » 

4      »  »           »   3*  » 

12  navi  di  uso  locale. 

In  totale,  72  navi,  per  un  complessivo  valore  di  L.  275.000.000. 

Con  lo  stesso  progetto  si  fissava  lo  stanziamento  di  L.  146.000.000  per 
le  costruzioni  navali  nel  decennio  1877-1887. 

Questo  progetto,  approvato  dalla  Camera,  divenne  legge  il  1^  luglio  1877. 

Nel  novembre  1876  il  ministro  Brin  aveva  fatto  impostare  nel  Cantiere 
Orlando  di  Livorno  la  «  Lepanto  »,  gemella  dell*»  Italia  «,  dando  così  un 
poderoso  impulso  alla  industria  privata  delle  costruzioni  navali. 

31.  Dovendo  provvedere  alla  costruzione  delle  quattro  navi  di  1*  classe 
previste  nella  legge  organica  del  materiale  ora  citata,  il  ministro  di  Broc- 
chettì,  succeduto  al  Brin  il  24  marzo  1878,  incaricò  gli  Ispettori  del  Genio 
navale  Brin  e  Mattei  di  recarsi  in  Francia  ed  in  Inghilterra  per  studiare 
quali  fossero  le  idee  prevalenti  circa  le  navi  corazzate;  e  nell'ottobre  dello 
stesso  anno,  il  Consiglio  superiore  si  occupò  del  programma  delle  navi. 

Il  Consiglio  prese  a  base  il  tipo  <t  Italia  «  e  discusse  quali  modifiche 
e  varianti  convenisse  apportarvi  ;  e,  per  quanto  all'estero  prevalesse  il  concetto 
di  non  oltrepassare  pei  cannoni  il  peso  di  tonnellate  50,  non  trovò  alcuna 
ragione  perchè  la  nostra  Marina,  dopo  aver  introdotto  nelle  precedenti  navi 
il  cannone  da  100  tonn.,  e  dopo  avere  superato  felicemente  tutte  le  difii- 
coltà  di  istallazione  e  manovra,  dovesse  tornare  indietro,  e  venne  nella  de- 


40  GUSTAVO   BOZZONI 


terroiDazione  di  proporre,  per  le  navi  di  1^  classe,  Varraamento  composto  di 
2  cannoni  di  100  tonn.  e  da  cannoni  di  piccolo  calibro  e  mitragliere;  la 
velocità  eguale  a  quella  deir«  Italia  ";  la  protezione  simile  a  quella  del- 
l'«  Italia».  Si  rimaneva,  in  sostanza,  al  tipo  «  Italia  »,  con  un  dislocamento 
minore. 

Dal  1880  al  1890. 

32.  Questo  periodo  fu  agitato  in  principio  da  un*aspra,  ma  non  inutile 
polemica  sul  tipo  delle  grandi  navi  allora  in  costruzione  od  allestimento,  e 
su  quello  delle  nuove  navi  cbe  si  dovevano  mettere  in  costruzione.  La  po- 
lemica, pur  troppo,  non  si  mantenne  nel  sereno  campo  tecnico  obbiettivo;  vi 
partecipò  largamente  la  stampa  quotidiana  con  articoli  talvolta  violenti  contro 
uomini  e  navi  :  e  la  grave  e  complessa  questione  fu  pure  trattata  in  varie 
riprese  nei  due  rami  del  Parlamento,  con  la  serenità  e  la  ponderatezza  che 
airimportanza  dell'argomento  si  addicevano. 

Ricorderò  che  in  allora,  e  propriamente  dal  novembre  1879  al  maggio 
1883,  era  ministro  della  Marina  quel  valente  e  stimato  tattico  navale,  che 
fu  l'ammiraglio  Ferdinando  Àcton,  elevata  mente  ordinata  e  ordinatrice; 
ricorderò  pure  che  il  «  Duilio  "  compiva  nel  1880  le  prove  di  collaudo  e  le 
sue  prime  navigazioni:  T»  Italia*  veniva  varata  il  29  settembre  1880;  la 
«  Lepanto  •  era  in  istato  di  avanzata  costruzione. 

Si  dovevano  stabilire  le  caratteristiche  delle  navi  di  1*  classe,  da  co- 
struirsi in  base  alla  legge  del  1877,  come  si  è  già  accennato  avanti  :  carat- 
teristiche, delle  quali  si  era  già  occupato  il  Consiglio  superiore  di  Marina; 
ed  appunto  sulle  caratteristiche  di  queste  navi  incominciò  la  polemica,  che 
si  estese,  si  allargò  e  prese  la  forma  di  una  lotta  accanita  fra  i  sostenitori 
delle  navi  grandi  e  quelli  delle  navi  di  dimensioni  moderate, 

I  primi  attacchi  dei  sostenitori  delle  navi  moderate  furono  contro  il 
n  Duilio  *,che  era  dichiarata  nave  fantastica^  con  armamento  sbagliato,  ve* 
lecita  problematica,  mancante  di  stabilità,  di  qualità  evolutive,  ecc.;  ma 
presto  si  riseppero  i  brillanti  risultati  delle  prove  in  mare,  sia  dal  lato  della 
velocità,  sia  da  quello  della  stabilità,  navigabilità  e  qualità  evolutive:  risultati 
che,  riportati  alla  Camera,  furono  considerati  come  una  vittoria  morale,  e  provo- 
carono l'ordine  del  giorno  Crispì,  approvato  all'unanimità  nella  seduta  del 
19  febbraio  1880:  «  La  Camera,  soddisfatta  dal  successo  ottenuto  nella  co- 
«  stmzione  del  «  Duilio  » ,  e  nella  fiducia  che,  con  esso,  la  bandiera  nazionale 
«  sventolerà  gloriosa  a  tutela  della  patria,  esprime  la  gratitudine  del  Parla- 
«  mento  ai  valorosi  che  Io  costruirono  ». 

Ed  allora  gli  strali  dei  denigratori  delle  grandi  navi  si  portarono  più 
specialmente  contro  il  tipo  «  Italia  ". 

La  questione  delle  navi  fu  discussa  alla  Camera  nella  tornata  del  28  aprile 
1880,  alla  quale  presero  pai-te   principalmente  l'ammiraglio    di    Saint-Bon, 


MARINA    MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI  41 

che  ebbe  parole  vibrate  contro  gli  incompetenti,  che  criticavano  le  navi  senza 
conoscerle;  Tispettore  del  Genio  navale  Brin,  che  concluse  esortando  la  Ca- 
mera a  non  mettersi  in  una  vìa  di  regresso  nelle  nuove  costruzioni  ;  ed  il  mi- 
nistro Àcton,  il  quale  affermò  che  «  anche  il  numero  delle  navi  è  un  fattore 
di  potenza  marittima^,  e  che,  per  le  condizioni  del  nostro  bilancio,  era  ne- 
cessario provvedere  navi  più  piccole.  E  la  lotta  per  la  scelta  del  tipo  delle 
navi  di  battaglia,  si  chiuse  con  un  voto  del  Parlamento  che  indicava  la  cifra 
di  10.000  tonn.  come  limite  massimo  pei*  il  tonnellaggio  delle  future  navi. 

33.  È  opportuno  ricordare  che  rUfficio  tecnico  del  Ministero,  al  quale 
era  preposto  1*  ingegnere  navale  Carlo  Vigna,  così  immaturamente  rapito 
all'affetto  dei  suoi  ed  al  bene  della  Marina,  studiava  il  progetto  della 
così  detta  nave  tattica,  nave  di  dimensioni  modeste  e  di  dislocamento  assai 
minore  del  «  Duilio  "  (7000  tonn.);  ma  questo  progetto  non  ebbe  seguito. 
Furono  invece  studiate  dall'ispettore  del  Genio  navale  Micheli  (padre)  i 
piani  delle  navi  tipo  «  Bnggìero  di  Lauria  • ,  che  rappresentavano  un  tipo 
«  Duilio  »  modificato,  cioè  più  veloce  e  più  potentemente  armato,  ma  meno 
corazzato.  Di  queste  navi,  ne  furono  costruite  3,  e  cioè:  il  «  Lauria  «,  im- 
postato a  Castellammare  nelVagosto  1881  e  varato  nel  1884;  il  «  Morosini  «, 
impostato  a  Venezia,  parimenti  nell'agosto  1881,  e  varato  nel  1885;  il 
»  Doria  »,  impostato  a  Spezia  nel  gennaio  1882  e  varato  nel  1885.  Entra- 
rono in  effettivo  servizio  negli  anni  1888-89-91,  rispettivamente:  ebbero  le 
seguenti  caratteristiche  principali: 

Dislocamento:  Tonn.  11200. 

Armamento:  4  cannoni  da  431,  a  retro  carica.  —  2  cannoni  da  152.  — 

4  cannoni  da  120.  —  Numerosi  cannoni  di  piccolo  calibro. 
Apparato  motore  della  potenza  di  10.000  cavalli  ind.  —  Velocità  di  nodi  17. 

Il  sistema  di  corazzatura  di  queste  navi  era  simile  a  quello  del  «  Duilio  «  : 
salvo  che  la  grossezza  delle  corazze  del  ridotto  era  di  cm.  45 

Di  queste  tre  navi,  le  due  prime,  «  Morosini  «  e  «  Lauria  « ,  sono  ormai 
radiate  dal  nostro  naviglio. 

34.  Con  la  costruzione  di  queste  navi,  non  mancava,  a  completare  l'or- 
ganico, che  una  sola  nave  da  battaglia  di  1*  classe.  11  ministro  Acton,  nel 
presentare  alla  Camera  il  bilancio  di  previsione  pel  1883,  prevedeva  l'im- 
postamento  di  2  corazzate  :  una  per  completare  il  detto  organico,  Taltra  per 
sostituire  la  corazzata  «  Venezia  «,  che  aveva  dovuto  essere  radiata  prima 
del  tempo  stabilito.  Le  due  navi  furono  la  «  Umberto  »  e  la  «  Sicilia  « ,  impo- 
state rispettivamente  a  Castellammare  ed  a  Venezia  il  10  luglio  ed  il  3  no- 
vembre 1884.  Un  terzo  esemplare,  la  «  Sardegna  «,  fu  impostata  a  Spezia  il 
24  ottobre  1885  (ministro  il  Brin). 


42  GUSTAVO   BOZZONI 


La  costrazioDe  dell*  »  Italia  »  e  della  «  Lepanto  « ,  nelle  quali  era  stato 
ammirabilmente  sviluppato  il  concetto,  nuovo  ed  ardito,  del  decorazzameuto 
delle  murate,  faceva  assurgere  la  nostra  Marina  ad  una  potenza  di  P  ordine; 
ma  quando  ancora  queste  navi  erano  in  costruzione,  già  si  pensava  a  pro- 
teggere nuovamente  le  murate  delle  navi  contro  gli  attacchi  delle  artiglierie 
a  tiro  rapido.  Il  Brin,  con  la  sua  mente  divinatrice,  aveva,  fin  dairepoca  del 
loro  progetto,  espresso  Tintendimento  di  corazzare  leggermente  le  murate; 
ma  ne  fu  distolto  dal  Saint-Bon.  Constatata  però  la  efficacia  tremenda  delle 
granate  mine,  ed  essendo  progredite  le  artiglierie  a  tiro  rapido,  (acque  il 
convincimento  die  queste  armi  nuove  potessero  vincere  la  nave,  pur  lasciando 
intatte  le  parti  vitali  protette  da  grossa  corazza.  Fu  rimessa  perciò  in  onore 
la  corazzatura  sottile,  con  disposizioni  analoghe  a  quella  delle  prime  navi  co- 
razzate, ma  con  piastre  di  qualità  perfezionata;  e,  conseguentemente,  si  deli- 
berò di  munire  le  navi  tipo  «  Re  Umberto  »,  quando  erano  già  sugli  scali,  di 
una  estesa  corazzatura  di  murata,  con  piastre  di  acciaio  omogeneo.  E  pertanto 
il  sistema  protettivo  di  queste  navi  fu  costituito  da  un  ponte  corazzato  esteso 
da  poppa  a  prua,  come  neir  <»  Italia  »,  e  della  grossezza  di  5-11  cm.;  da  una 
struttura  cellulare  sopra  il  detto  ponte,  estesa  da  poppa  a  prua;  da  una  corazza 
di  murata  di  10  cm.,  elevata  dal  ponte  protetto  alla  coperta  del  cassero 
centrale,  ed  estesa  per  circa  Va  ^^^^^  lunghezza  della  nave,  cioè  per  tutto 
lo  spazio  occupato  dall'apparato  motore  e  dai  depositi  delle  munizioni;  e 
da  due  barbette  corazzate  con  piastre  di  35  cm.,  contenenti  le  piattaforme 
dei  grossi  cannoni. 

L'armamento  di  queste  navi  fu  costituito  da  4  cannoni  di  343  cm.  nelle 
due  torri.  12  cannoni  da  120  nella  batteria  corazzata,  4  cannoni  da  120 
e  8  da  152  in  coperta. 

Le  navi  tipo  «  Re  Umberto  *  furono  varate  fra  il  1888  e  il  1891,  ed 
entrarono  in  servizio  fra  il  1898  ed  il  1896.  Esse  hanno  un  dislocamento  di 
18.900  tonn.;  un  apparato  motore  a  triplice  espansione,  della  potenza  di 
18-19000  cav.  ind.;  e  sono  capaci  di  raggiungere  velocità  di  18- 19  nodi. 
Queste  navi,  Kno  a  pochissimi  anni  or  sono,  constituivano  una  potente  divisione 
della  nostra  flotta. 

Dal  1890  al  1900. 

36.  Questo  periodo  è  caratterizzato  dal  concetto,  mai  più  abbandonato, 
della  cintura  corazzata  completa  al  galleggiamento,  e  di  una  estesa  prote- 
zione delle  murate,  per  opporsi  ai  continui  progressi  delle  artiglierìe  di 
grosso  e  medio  calibro. 

Appunto  in  base  a  queste  direttive,  dall'ispettore  del  Genio  navale 
Giacinto  PuUino,  furono  studiati  i  piani  delle  due  corazzate  «  Emanuele  Fi- 
liberto "  ed  «  Ammiraglio  di  Saint-Bon  »,  la  cui  costruzione,  deliberata  dal 


MARINA    MILITARE   E    COSTRUZIONI   NAVALI  48 

Saint-BoD  nel  1891,  veuoe  poi  iniziata  a  Castellammare  ed  a  Veuezia,  ri- 
spettivamente negli  anni  1893  e  1894. 

Queste  due  navi,  potentemente  armate  e  con  uno  splendido  sistema  di 
protezione,  segnano  una  notevole  riduzione  del  dislocamento,  ottenuta  in  parte 
con  i  perfezionamenti  introdotti  nella  costruzione  dello  scafo,  ed  in  parte  per 
la  velocità  piuttosto  limitata  per  la  quale  le  navi  furono  progettate. 

Le  caratteristiche  principali  sono  le  seguenti: 

Dislocamento  9800.  —  Armamento  costituito  da  4  cannoni  da  254  mm. 
in  due  torri  binate  all'estremità  di  una  cittadella  corazzata  racchiudente  8 
cannoni  da  152  mm.  e  8  cannoni  da  120  sul  ponte  scoperto.  —  Corazzatura 
costituita  dalla  cintura  al  galleggiamento,  dello  spessore  massimo  di  cm.  25, 
completa  da  poppa  a  prua;  murato  della  cittadella  protette  con  piastre  di  15 cm.; 
ponte  corazzato  subacqueo  dì  70  mm.;  coperta  della  cittadella  e  delle  estre- 
mità della  batteria,  protetta  con  doppio  fasciame.  —  Apparato  motore  della  pò* 
tenza  di  14.000  cav.,  calcolato  per  imprimere  alla  nave  una  velocità  di  18  nodi. 

Queste  due  navi  entrarono  in  servizio  fra  il  1902  ed  il  1903. 

36.  Seguirono  alle  navi  tipo  «  Saint-Bon  »  le  due  corazzate  «  Regina 
Mai'gherita  *  e  «  Benedetto  Brin  j*,  concepite  dal  Brin  stesso  negli  ultimi 
tempi  del  suo  ministero,  che  furono  anche  gli  ultimi  della  sua  vita  (Brin 
mori  il  24  maggio  1898,  essendo  ministro),  ed  i  cui  progetti  furono  svilup- 
pati dall'ispettore  del  Genio  navale  Alfredo  Micheli  (figlio). 

Il  concetto  ispiratore  di  queste  navi  fu  l'aumento,  del  calibro  delle  arti- 
glierie medie  e  la  loro  sistemazione  in  torri  :  la  Telocità  superiore  a  quella 
di  qualsiasi  altra  nave  da  battaglia  :  la  corazzatura  assai  estesa,  ma  ridotta 
di  spessore.  Queste  navi  furono  messe  in  costruzione  nel  1898  e  1899  — la 
«  Margherita  »  a  Spezia,  il  «  Brin  •  a  Castellammare  —  ed  entrarono  in  ser- 
vizio nel  1904  e  1905. 

Il  dislocamento  di  queste  navi  è  di  13.400  tonn..  L'armamento  è  costi- 
tuito da  4  cannoni  da  305  in  due  torri  binate  all'estremità  di  una  citta- 
della; 4  cannoni  da  203  in  torrette  sui  fianchi;  12  cannoni  da  152  nella 
cittadella.  La  protezione  è  costituita  dalla  cintura  completa  del  galleggia- 
mento ed  alla  cittadella,  di  15  cm;  ponte  di  protezione  corazzato  di  80  mm., 
e  ponti  superiori  protetti  con  doppio  strato  di  lamiere. 

L'apparato  motore,  costituito  da  2  macchine  a  trìplice  espansione  e  da 
caldaie  a  tubi  d'acqua,  ha  la  potenza  di  19.000  cav.  ind. 

La  velociti^  raggiunta  da  queste  navi  è  di  oltre  19  nodi. 

37.  Altra  caratteristica  del  perìodo  1890-1900  fu  l' introduzione,  nella 
nostra  Marina,  i&ìVincroctalore  corazzato,  concepito  come  piccola  nave  da 
combattimento  con  i  tipi  «  Garibaldi  ",  riprodotti  in  3  esemplari  (Garibaldi, 
Varese,  Ferruccio). 

Questo  tipo  fu  preceduto  dal  «  Marco  Polo  »,  di  4600  tonn.  e  19  miglia 


44  GUSTAVO   BOZZONI 


e  armato  con  6  cannoni  di  152  mm.  e  10  da  120  mm.,  che,  messo  in  can- 
tiere a  Castellammare  nel  1890,  progettato  senza  corazzatura  verticale,  ebbe 
poi  le  murate  corazzate  con  piastre  di  10  cm.  ;  e  poscia  dai  tipi  »  Vettm* 
Pisani»  e  «  Carlo  Alberto  *,  messi  in  costruzione  nel  1892-93,  del  disloca- 
mento di  6800  tonn.,  della  velocità  di  19  nodi,  armate  con  12  cannoni  da  152, 
6  da  120,  e  protetti  con  cintura  da  15  cm.  completa  al  galleggiamento,  ele- 
vata fino  al  corridoio,  e  cintura  nella  parte  centrale  dal  corridoio  alla  co- 
perta, parimenti  di  15  cm. 

Il  tipo  «  Garibaldi  »  ha  il  dislocamento  di  7400  tonn.,  la  velocità  di  20 
nodi,  ed  è  armato  con  1  cannone  da  254  mm.  a  prua  in  torre,  2  cannoni 
da  203  mm.  in  unica  torre  a  poppa,  14  cannoni  da  152,  dei  quali  10  in 
batteria  e  4  in  coperta.  Il  sistema  protettivo  di  queste  navi  è  costituito  da 
cintura  completa  al  galleggiameuto  elevata  fino  al  corridoio,  di  piastre  di 
acciaio  cementato  di  15  cm.  ;  cintura  nella  parte  centrale  dal  corridoio  alla 
coperta  di  piastre,  di  15  cm.;  ponte  protetto  paraschegge;  ponte  di  corri- 
doio raddoppiato  alle  estremità,  e  ponte  di  coperta  raddoppiato  sulla  cit- 
tadella. 

La  costruzione  dei  due  primi  esemplali  di  questo  tipo  di  nave  fu  ini- 
ziata presso  r  industria  privata,  e  precisamente  presso  i  cantieri  Ansaldo  di 
Genova  e  Orlando  di  Livorno,  nel  1893.  £s:>i  però  furono  ceduti,  col  con- 
senso del  nostro  Governo,  alla  Repubblica  Argentina.  Le  nostre  attuali  navi 
«Garibaldi»  e  «Varese»  furono  quindi  costruite  nel  1898,  la  prima  a  Ge- 
nova, la  seconda  a  Livorno  ;  un  terzo  esemplare,  il  «  Ferruccio  » ,  fu  impo- 
stato nel  *99  a  Venezia:  entrarono  in  effettivo  servizio  nel  1901  i  due  primi, 
e  nel  1905  il  terzo. 

Questo  tipo  di  incrociatore,  progettato  dal  tenente  generale  del  Genio 
navale  Masdea  (come  anche  i  precedenti  tipi  «  Pisani  »  e  «  Marco  Polo  «  ),  venne 
giudicato  assai  favorevolmente  in  tutto  il  mondo,  come  quello  che,  in  un  dislo- 
camento moderato,  racchiude  un  potente  armamento  e  ana  valida  protezione  ; 
ed  ancora  al  giorno  d*oggi,  queste  nostre  3  navi  rappresentano  un  valore 
bellico  non  disprezzabile.  —  Non  sarà  inutile  ricordare  che,  oltre  le  due 
navi  costruite  nel  '93  e  cedute  all'Argentina,  ben  altri  5  esemplari  ne  furono 
costruiti  per  marine  estere  :  e  due  di  essi,  il  «  Nisshim  »  e  il  «  Kasuga  • , 
ceduti  al  Giappone,  presero  parte,  e  non  ingloriosa,  alla  battaglia  di  Tsushima. 

Dal  1900  al  1910. 

38.  Questo  periodo,  ad  onta  che  in  principio  fosse  stato  molto  agitato 
per  le  critiche  mosse,  fin  dal  decennio  precedente,  ali* Amministrazione  ma- 
rittima, al  materiale,  al  personale,  —  critiche  che  condussero  alla  nomina  della 
Commissione  d'inchiesta  sulla  B.  Marina  (Legge  27  marzo  1904), —  è  stato 
assai  fecondo  per  le  costruzioni  navali. 


MARINA    MILITARE    E    COSTRUZIONI    NAVALI  45 

39.  Nel  1900,  sotto  il  Ministero  Bettòlo,  furono  iniziati  dal  colonnello 
del  Genio  navale,  ora  maggiore  generale,  Vittorio  Cuniberti,  gli  studi  per 
un  nuovo  tipo  di  nave  da  battaglia:  studi  che,  continuati  sotto  il  Ministero 
Morin,  condussero  alle  navi  tipo  «  Vittorio  Emanuele  ^  costruite  in  4  esem- 
plari, cioè  «  Vittorio  Emanuele  » ,  «Regina  Elena  »,  «Roma»  e  «Napoli» 
—  le  prime  due  impostate  nel  1901  a  Castellammare  ed  a  Spezia,  rispet- 
tivamente ;  le  altre  due  impostate,  due  anni  dopo,  a  Spezia  e  a  Castellammare. 

Queste  quattro  navi,  entrate  in  servìzio  effettivo  fra  il  1907  ed  il  1908, 
hanno  le  seguenti  caratteristiche  principali: 

Dislocamento:  tonn.  12625. 

Velocità:  nodi  22. 

Apparato  motore  della  potenza  di  19,000  cav.  ind.  —  2  motrici  alternative 
a  triplice  espansione.  —  Caldaie  a  tubi  d*acqua. 

Armamento:  2  cannoni  da  305  in  due  torri  sull'asse  longitudinale  della 
nave,  una  a  prora  l'alti-a  a  poppa.  —  12  cannoni  da  203  mm.,  disposti 
in  0  impronti  binati,  3  per  lato.  —  16  cannoni  da  76  mm.  e  10  da  47.  — 
4  tubi  di  lancio. 

Corazzatura:  È  costituita  da  una  cintura  completa  al  galleggiamento,  di 
25  cm.  al  centro  e  10  cm.  alle  estremità;  da  un  ridotto  di  batteria  di 
20  cm.  e  dal  ponte  protetto  esteso  da  poppa  a  prora.  Gl'impianti  da 
305  sono  protetti  con  piastre  da  20  cm.  :  quelli  da  203  con  piastre 
di  15  cm. 

Caratteri  principali  di  queste  navi,  che  furono  giudicate  le  prime  del 
mondo  all'epoca  della  loro  costruzione,  sono  quelli  di  aver  un  potente  aima- 
mento  secondario  ;  la  corazzatura  studiata  in  modo  da  ridurre  al  puro  neces- 
sario la  superficie  protetta,  a  vantaggio  della  grossezza  della  corazza;  la  velo- 
cità elevatissima;  scafo  leggero,  traendo  partito  dairadozione  dell'acciaio  ad 
elevata  resistenza,  usato  per  la  prima  volta  in  Italia  per  queste  navi. 

Queste  quattro  navi,  ad  onta  della  rivoluzione  avvenuta  negli  ultimi 
anni  per  Tadozione,  da  parte  di  tutte  le  marine,  delle  navi  tipo  Dreadnought, 
rappresentano  pur  sempre  una  potentissima  divisione,  sia  per  il  loro  potente 
armamento,  sia  per  la  valida  protezione  e  l'elevata  velocità. 

40.  Nel  1901,  e  propriamente  con  la  data  13  giugno,  ministro  della 
Marina  il  vice-ammiraglio  Costantino  Morin,  fu  promulgata  una  importante 
legge,  con  la  quale  il  bilancio  della  Marina  veniva  consolidato  in  modo  da 
non  eccedere  la  spesa  di  L.  120.000.000  nell'esercizio  1900-1901,  e  quella 
di  L.  121.000.000  nei  quattro  esercizi  successivi,  fino  cioè  al  1905-906. 

Nel  1903,  succeduto  al  ministro  Morin  l'ammiraglio  Carlo  Mirabelle, 
questi,  nel  suo  discorso  alla  Camera,  nella  tornata  del  26  maggio  1904, 
espresse  le  sue  idee  circa  il  naviglio  della  nostra  marina,  dicendo  che  «  nella 


46 


GUSTAVO    BOZZONI 


nostra  Marina  difetta  il  numero  degli  incrociatori  da  6  a  8  mila  tonn.,  e 
manca  in  modo  assoluto  quel  tipo  di  incrociatore  corazzato  dalle  9  alle 
10  mila  tonn.,  che  rappresenta  un  utile  compromosso  con  la  costosa  e 
grande  nave  da  battaglia,  che  può  efficacemente  con  questa  entrare  in 
linea,  e  che  soprattutto  può  fare  il  servizio  di  crociera  e  di  esploMioue,  e 
accettare  all'occorrenza  il  combattimento  con  grandi  incrociatori  delle  altre 

marine  e  anche  con  le  potenti  navi  di  linea  « « .  Queste  navi  da 

battaglia,  relativamente  meno  costose,  fortemente  protette  e  fortemente  ar- 
mate, dotate  di  un  largo  raggio  d'azione,  di  alta  velocità,  di  poca  pesca- 
gione e  di  buona  stabilità  di  piattaforma,  e  adatte  alle  condizioni  idrogra- 
fiche dei  nostri  bacini  strategici,  costituiranno  un  altro  nucleo,  veramente 

■ 

prezioso  per  la  nostra  flotta  •. 

Pertanto  il  ministro  esponeva  il  suo  intendimento  di  costruire  senza 
indugio  alcuni  incrociatori  corazzati  di  9-10  mila  tonnellate,  in  luogo  della 
6^  nave  tipo  «Vittorio  Emanuele ", che  era  prevista  nel  bilancio  precedente;  e 
di  costruire  una  nave  speciale  per  1*  impiego  delle  torpedini  da  blocco,  nave 
di  medio  tonnellaggio  velocissima  e  protetta,  e  numerose  torpediniere  di 
1*  classe  e  battelli  sommergibili. 


41.  Il  tipo  d'incrociatore  corazzato,  propugnato  dall'ammiraglio  Mira- 
bello,  fu  realizzato  dal  tenente  generale  Masdea  col  progetto  del  «San 
Giorgio  »,  del  quale  furono  costmiti  a  Castellammare  due  esemplari,  «San 
Giorgio  «  e  «  San  Marco  « .  È  da  ricordare  che,  contemporaneamente,  il 
comm.  Giuseppe  Orlando  aveva  studiato  e  messo  in  costruzione  un  incrocia- 
tore corazzato,  di  caratteristiche  non  molto  dissimili  dal  tipo  «  San  Giorgio  •; 
e  che,  offerto  V  incrociatore  al  governo,  furono  introdotte  nel  progetto  le  op- 
portune modificazioni  nelV armamento  e  nella  corazzatura,  per  renderlo  per- 
fettamente omogeneo  al  tipo  «  San  Giorgio  "  ;  e  questo  incrociatore,  così  modi- 
ficato, venne  riprodotto  in  2  esemplari:  «  Pisa  »,  costruito  nel  cantiere  Orlando 
di  Livorno  (1903),  e  «  Amalfi  »,  costruito  nel  cantiere  Oderò  di  Genova  (1905). 

Il  «  San  Giorgio  »  ha  le  seguenti  cai-atteristiche  : 


Dislocamento:  tonn.  9800. 

Velocità:  nodi  23. 

Apparato  motore  della  potenza  di  18.000  cav.,  due  motrici  alternative  a  tri- 
plice espansione  e  caldaie  a  tubi  d*acqua. 

Armamento:  4  cannoni  da  254  mm.  in  due  impianti  binati  (uno  a  prora, 
l'altro  a  poppa)  sull'asse  longitudinale  della  nave.  —  8  cannoni  da 
190  mm.  in  4  impianti  binati  al  centro  sui  fianchi. 

Corazzatura:  È  costituita  dalla  cintura  completa,  al  galleggiamento,  della 
grossezza  di  20  cm.  al  centro  e  9  cm.  alle  estremità;  cintura  di  16-18  cm. 
al  corridoio,  e  cintura  di  cm.  18   alla  batteria,   nella  parte  centrale; 


MARINA    MILITARB   E   COSTRUZIONI    NAVALI 


47 


ponte  protetto  esteso  da  poppa  a  prora.  —  Gli  impiantì  da  254  sono 

protetti  con  piastre  di  180  mm.  ;  quelli  da  190  con  piastre  di  160  mm. 

L*incrociatore  «  San  Marco  "  è  geoiello  del  «  San  Giorgio  »,  eccetto  che 
per  l'apparato  motore  che  è  costituito  da  turbine  Paraons  su  quattro  assi. 
Esso  è  la  prima  nave  da  guerra  italiana  con  motrici  a  turbine,  ed  alle  prove 
ha  dato  ottimi  risultati,  ottenendosi  circa  mezzo  miglio  di  velocità  in  più 
del  «  San  Giorgio  » . 

Le  due  navi  «  Pisa  «  ed  <t  Amalfi  «  hanno  caratteristiche  di  arma- 
mento, protezione  e  velocità,  eguali  al  «  San  Giorgio  »  ;  ne  differiscono  per  la 
disposizione  dell*  apparato  motore,  per  la  struttura  dello  scafo,  per  le  sud- 
divisioni interne,  e  per  il  dislocamento,  che  risulta  lievemente  superiore 
(tonn.  10.100). 

Questi  quattro  incrociatori  sono  entrati  in  servizio  fra  il  1909  ed  il  1910, 
ed  hanno  dato  alle  prove  risultati  brillantissimi. 

42.  Con  legge  2  luglio  1905  il  bilancio  della  Marina  fu  aumentato  a 
lire  125,000,000  per  Tesercizio  1904-905;  a  lire  126,000,000  per  Tesercizio 
successivo;  a  lire  133,000,000  per  i  due  esercizi  1906-907  e  1907-908,  ed 
a  lire  134,000,000  per  i  susseguenti  esercizi  fino  al  1916-917. 

L'organico  del  materiale,  quando  fossero  state  compiute  le  costruzioni 
in  corso  e  le  radiazioni  delle  navi  previste  nella  iste.ssa  legge,  era  portato, 
per  quanto  riguarda  le  navi  di  battaglia,  a 


2 

nari  tipo 

«  Benedetto  Brin  > . 

4 

id. 

«  Vittorio  Emanuele  » . 

2 

id. 

»  Pisa  » . 

2 

id. 

«  San  Giorgio  <>. 

1 

id. 

Incrociatore  corazzato-A. 

3 

id. 

«  Be  Umberto  » . 

2 

id. 

«  E.  Filiberto  >. 

3 

id. 

«  G.  Garibaldi  • . 

2 

id. 

«  V.  Pisani  ». 

Neiristessa  legge  era  prevista  la  costruiione  di  una  nave  da  blocco, 
che  fu  studiata  dal  generale  Cnniberti.  Data  però  la  rapida  trasformazione 
della  nave  da  battaglia  nelle  altre  marine,  Tammiraglio  Mirabelle,  confor- 
tato dal  parere  del  Comitato  degli  ammiragli,  stabilì  di  rinunziare  alla 
costruzione  del  5*^  incrociatore  (A)  e  della  nave  da  blocco,  e  di  devolvere  i 
fondi,  assegnati  per  queste  navi,  alla  costruzione  di  una  grande  nave  da 
battaglia  «  potentemente  armata,  con  la  quale  verrà  in  moto  notevole  au- 
mentato d'un  tratto  il  numero  complessivo  dei  cannoni  di  grosso  calibro  della 


48  GUSTAVO    BOZZONI 


nostra  flotta  *>  (Discorso  Mirabello  alla  Camera  dei  Deputati,  nellB   tornata 
del  14  dicembre  1906). 

E  la  nave  progettata  dal  generale  Masdea  è  la  nostra  «  Dante  Ali- 
ghieri » ,  varata  a  Castellammare  il  20  agosto  ed  attualmente  in  allestimento 
a  Spezia.  Essa  ha  il  dislocamento  di  19,000  tonn.  alFincirca:  è  armata  con 
12  cannoni  da  305  mm.,  e  numerosi  cannoni  di  medio  calibro  (120  mm.):  è 
dotata  di  elevatissima  velocità  e  di  estesa  e  grossa  corazzatura. 

43.  Con  legge  27  giugno  (ministro  Mirabello)  il  bilancio  della  Marina 
per  resercizio  1909-910  fu  portato  a  lire  163,437,000,  e  furono  stabiliti 
assegni  straordinari  per  costruzione  ed  acquisto  di  navi,  materiali  e  munizio- 
namento, per  provvedere  al  proseguimento  della  costruzione  della  «  Dante 
Alighieri  » ,  alla  costruzione  di  altre  3  grandi  navi  da  battaglia,  di  3  navi 
per  servizio  di  esplorazione,  e  di  numerosi  cacciatorpediniere,  torpediniere  e 
sommergibili. 

In  forza  di  questa  legge,  si  è  potuta  quindi  iniziare  la  costruzione  delle 
3  grandi  navi  tipo  «  Conte  di  Cavour  «  :  la  prima,  «  Conte  di  Cavour  « ,  alla 
Spezia;  le  altre  due,  «  Giulio  Cesare  «  e  «  Leonardo  da  Vinci  •,  a  Sestri 
Ponente  ed  a  Genova,  rispettivamente  nei  cantieri  Ansaldo  e  Oderò;  come 
pure  si  è  potuto  dar  principio  alla  costruzione  delle  tre  navi  di  esplorazione 
«  Quarto  « ,  «  Marsala  »  e  «  Nino  Bixio  • ,  nei  cantieri  dello  Stato,  ed  alla 
costruzione  del  naviglio  silurante,  presso  i  cantieri  privati  nazionali. 

Le  navi  tipo  «  Conte  di  Cavour",  di  dislocamento  alquanto  superiore 
alla  «  Dante  Alighieri  « ,  furono  l'ultima  opera  del  Masdea,  e  furono  opera 
veramente  perfetta.  Esse,  per  il  potentissimo  armamento  (13  cannoni  da 
305  mm.),  la  geniale  disposizione  delle  artiglierie,  la  efficace  corazzatura, 
l'elevata  velocità,  sono  di  molto  superiori  alle  navi  coetanee  delle  altre 
marine.  Queste  tre  navi  dovranno  entrare  in  servizio  nel  1913;  mentre  la 
«  Dante  Alighieri  •  dovrà  essere  completamente  armata  nel  1912. 

44.  Recentemente,  il  contrammiraglio  Leonardi-Cattolica,  che  regge  ora 
le  sorti  della  nostra  Marina,  ha  chiesto  al  Parlamento  nuovi  fondi  per  la 
costruzione  di  altre  navi  da  battaglia,  ed  ha  bandito  il  concorso  fra  alcuni 
dei  nostri  ingegneri  del  Genio  navale,  per  il  progetto  di  una  grande  nave, 
formidabilmente  armata,  dotata  di  elevatissima  velocità. 


MARINA    MILITARE   E    COSTRUZIONI    NAVALI  49 


Le  corazze. 

45.  Ultimata  questa  breve  rassegna  delle  navi  corazzate,  non  sarà  forse 
inutile  spender  qualche  parola  sull'evoluzione  delle  piastre  di  corazzatura 
per  il  nostro  naviglio. 

La  storia  di  esse  può  dividersi  in  tre  grandi  periodi:  il  I^  che  va 
dairepoca  deiradozìone  delle  piastre  di  corazzatura  in  t'erro  fucinato,  fino 
all'epoca  in  cui  comparvero  le  prime  piastre  di  acciaio  nelle  esperienze  di 
tiro  al  Muggiano  per  la  scelta  delle  piastre  del  «  Duilio  »  (1876);  il  2^  che 
va  fino  al  1890  all' incirca,  e  che  è  il  periodo  nel  quale  si  fabbricarono 
piastre  di  acciaio  dolce  e  piastre  compound;  il  3^  che  è  il  periodo  ultimo 
nel  quale  comparvero  le  piastre  di  acciaio  al  nichel  dapprima,  e  poi  le  piastre 
cementate. 

Le  prime  piastre  di  corazza  furono  fabbricate  in  ferro  fucinato  ;  ebbero 
spessore  da  10  a  12  cm.,  e  tutte  le  corazzate  italiane  anteriori  al  •  Duilio  » 
ebbero  piastre  dì  tale  specie,  di  spessore  non  superiore  a  22  cm. 

Le  piastre  di  acciaio  dolce  fabbricate  dalla  ditta  Schneider  del  Creuzot, 
apparvero  per  la  prima  volta  nel  1876,  e  furono  sperimentate  al  cannone  al 
balipedio  del  Muggiano,  per  la  scelta  delle  piastre  di  corazzatura  del 
•  Duilio  » .  Dimostrarono  la  loro  superiorità  sulle  piastre  di  ferro,  e  furono 
adottate  pel  «  Duilio  «  e  pel  «  Dandolo  « ,  che  ebbero  piastre  dallo  spessore 
di  55  cm. 

Le  piastre  di  acciaio  dolce  avevano  però  il  difetto  di  fendersi  facilmente; 
furono  perciò  fabbricate  piastre  compound,  costituite  cioè  di  due  strati: 
Testerno  di  acciaio,  1* interno  di  ferro  fucinato;  e  queste  piastre  si  contesero 
per  lungo  tempo  il  campo  con  quelle  di  acciaio  dolce  Schneider.  La  nostra 
nave  «  Italia  »  fu  munita  di  piastre  compound  della  ditta  Cammell  ;  la 
ft  Lepanto  » ,  invece,  ebbe  piastre  Schneider. 

46.  Intanto,  nel  1883,  la  società  Terni,  incoraggiata  da  Benedetto  Brìn, 
che  volle  fermamente  emancipare  la  costruzione  navale  italiana  dalla  sogge- 
zione agli  stabilimenti  metallurgici  dell'estero,  assunse  la  fabbricazione  delle 
piastre  di  acciaio  dolce,  che  la  ditta  Schneider  aveva  in  costruzione  per  il 
»  Lauria  »  e  delle  quali  già  aveva  consegnato  una  parte  ;  e  per  un  certo 
tempo  le  piastre  furono  costruite  a  Terni  sotto  la  direzione  degli  ingegneri 
della  ditta  Schneider,  che  aveva  fatto  rimpianto  dell'acciaieria.  Il  «  Lauria  » 
fu  Tultima  nave  che  venne  rivestita  di  corazze  fabbricate,  in  parte,  all'estero: 
da  allora  in  poi,  le  corazze  furono  fabbricate  semj>re  a  Terni,  se  si  eccet- 
tuino quelle  per  l' incrociatore  «  San  Marco  »  che  furono  recentemente  &b- 
bricate  in  America,  presso  la  ditta  Midwale. 

Gustato  Cozzoni.  —  Marina  militart  e  Coslrusioni  navalù  4 


50 


GUSTAVO   BOZZONI 


Dopo  il  1890  sì  cominciarono  a  fabbricare  piastre  di  acciaio  al  nichel, 
al  cromo  nichel  ecc.,  e  piastre  indurite  dalla  parte  estema  mediante  la  tem- 
pera con  vari  sistemi,  o  mediante  la  eemenlasione,  consistente  nel  fabbricare 
la  piastra  di  metallo  omogeneo,  e  sovracarburare  la  faccia  esterna  per  un 
certo  spessore.  Fra  i  vari  sistemi,  tenne  il  primato  per  nn  certo  tempo  il 
sistema  dell'americano  Harvey,  sistema  che  fa  adottato  anche  dalle  acciaierie 
di  Temi  per  le  piastre  delle  nostre  navi  «Filiberto*  e  «Saint- Ben  ». 

Le  navi  precedenti,  tipo  «  Doria  •  e  tipo  «  Be  Umberto  « ,  ebbero  piastre 
di  acciaio  dolce  ;  le  nari  tipo  «  Pisani  « ,  tipo  «  Regina  Margherita  « ,  tipo 
»  Garibaldi  « ,  «  Begina  Elena  «  e  «  Vittorio  Emanuele  » ,  ebbero  piastre  di 
acciaio  al  nichel  a  superficie  indurita,  brevetto  speciale  Temi.  Le  altre  due 
navi  •  Boma  «e  «  Napoli  »,  e  le  successive,  hanno  avuto  piastre  Erapp,  che 
sono  piastre  a  superficie  esterna  indarita  con  un  processo  speciale,  che  con- 
siste neiradoperare  il  gas  illuminante  per  ottenere  la  carburazione. 


MARINA    MILITARE    E   COSTRUZIONI    NAVALI  51 


IL  NAVIGLIO  MINORE 


Senza  riandare  ad  epoca  remota,  ci  limiteremo,  per  il  naviglio  mi- 
nore, a  fare  nn  rapidissimo  cenno  dei  più  recenti  tipi  della  nostra  marina; 
e,  tralasciando  di  occuparci  del  naviglio  onerario,  accenneremo  solo  agli  inero- 
datori,  agli  esploratori  ed  al  naviglio  silurante. 

47.  Incrociatori  -  Esploratori.  —  Il  primo  esemplare  di  incrociatore 
che  la  Marina  italiana  possedette,  fu  il  «  Bausan  «  «  incrociatore  protetto  del 
dislocamento  di  3800  tonn.  e  18  miglia  di  velocità,  armato  con  due  can- 
noni da  254  mm.  e  quattro  da  152  mm.,  e  munito  un  ponte  di  protezione. 
Esso  fu  acquistato  in  Inghilterra,  ed  entrò  in  servizio  nel  1885. 

Dal  «Bausan*  derivarono  le  navi  «Etna*,  «Vesuvio*,  « Fieramosca • , 
«  Stromboli  » ,  progettate  dair  ispettore  del  Genio  navale  Vigna,  ed  entrate 
in  servizio  fra  il  1888  ed  il  1889.  Queste  navi,  che  sono  ormai  tutte  radiate 
dal  naviglio,  furono  denominate  arieti  torpedinieri.  Seguirono  le  navi  «  Pie- 
monte •  e  le  sette  navi  tipo  «  Lombardia  »;  la  prima  costruita  in  Inghil- 
terra, le  altre  in  Italia  fra  il  1890  ed  il  1894,  del  dislocamento  di  2400- 
2500  tono.,  della  velocità  di  18-19  nodi,  armate  con  cannoni  da  152  e  da 
120.  Queste  navi,  che  sono  ormai  in  buona  parte  radiate  dal  naviglio,  furono 
progettate  dal  Masdea  e  furono  classificate  come  incrociatori  protetti. 

48.  Come  navi  di  esplorazione  avemmo  prima  le  navi  «  Tripoli  «  e 
«Ooito*  (1886),  poi  «Montebello*  e  «Monzabano*  (1889),  disegnate  dal 
Brin,  del  dislocamento  di  850  tonn.,  di  velocità  superiori  a  20  nodi  e,  primo 
esempio  nelle  marine  da  guerra,  munite  di  tre  eliche;  quindi  le  navi  tipo 
«  Partenope  *,  di  850  tonn.,  20  nodi,  armate  con  un  cannone  di  120  mm. 
e  munite  di  ponte  protetto,  che  entrarono  in  servizio  fra  il  1890  e  il  1895 
e  si  dissero  incrociatori  torpedinieri. 

Più  recentemente  furono  costruite,  ed  entrarono  in  servizio  nel  1900,  le 
due  navi  «  Agordat*  e  «Coatit*,  progettate  dal  colonnello  del  Genio  navale 
Soliani,  di  1800  tonn.,  23  nodi  circa  ed  armate  con  12  cannoni  di  76  mm.: 
e  queste  navi  sono  veri  tipi  di  esploratori,  per  quanto,  al  giorno  d*oggi, 
la  loro  velocità  sia  scarsa. 


^2  GUSTAVO    BOZZONI 


Attualmente  sono  in  costruzione  tre  navi  per  servizio  di  esplorazione: 
«  Quarto  » ,  «  Marsala  »  e  «  Nino  Bixio  «  r  la  prima  a  Venezia^  progettata  dal 
maggiore  del  Genio  navale  O.  Truccone;  le  altre  due  a  Castellammare,  pro- 
gettate dal  colonnello  del  Genio  navale  G.  Rota.  Queste  tre  navi  avranno 
dislocamento  poco  superiore  a  3000  tonn.,  velocità  di  nodi  28  ;  apparato  mo- 
tore a  turbine  ;  e  saranno  armate  con  cannoni  da  120  mm. 


Naviglio  silurante. 

40.  Cacciatorpediniere,  —  Nel  1886  Benedetto  Brin  disegnò  e  fece 
costruire  la  «  Folgore  » ,  —  nave  di  poco  più  che  300  tonn.,  che  raggiunse  la 
velocità  di  20  nodi,  —  lanciandoCgOsì  V  idea  del  cacciatorpediniere.  Seguirono 
il  «Fulmine»,  di  298  tonn.  e  26  nodi,  disegnato  dal  tenente  generale  del 
Genio  navale  Martinez,  ed  entrato  in  servizio  nel  1900;  quindi  i  sei  tipo 
»  Lampo  » ,  di  320  tonn.  e  30  nodi,  costmiti  ad  Elbing  dalla  ditta  Schichau 
(1900-902);  poi  i  sei  tipo  «Nembo»,  di  330  tonn.  e  30  nodi,  costruiti  nello 
stabilimento  Pattison  a  Napoli  (1902-903);  e  finalmente  i  dieci  tipo  «  Ber- 
sagliere »,  di  370  tonn.  e  20  nodi,  costruiti  a  Genova  nel  cantiere  Ansaldo 
(1906-910). 

Dieci  cacciatorpediniere,  di  620  tonn.  e  30  nodi,  con  motrici  a  turbina, 
sono  attualmente  in  costruzione  presso  il  cantiere  Pattison  di  Napoli  ed  il 
cantiere  Orlando  di  Livorno. 

50.  Torpediniere.  —  La  prima  torpediniera  posseduta  dalla  Marina 
italiana,  fu  il  «Nibbio»,  di  19  tonn.  e  170  cavalli,  costruita  dal  Thornycroft 
in  Inghilterra  nel  1878;  seguirono  altre  piccole  torpediniere  di  13,  25  e 
40  tonn.,  costruite  parimenti  in  Inghilterra  dal  Thornycroft  e  dal  Yarrow 
negli  anni  1881  e  1882.  Nell'anno  1883  fu  incominciata  in  Italia  la  costru- 
zione delle  torpediniere  :  e,  precisamente,  la  prima  di  esse  fu  la  «  Voga  » ,  di 
36  tonn.  e  430  cav.,  costruita  nello  stabilimento  Orlando.  Seguirono  le  ditte 
Pattison,  Oderò  e  Guppy,  che  negli  anni  dal  1883  al  1886  ne  costruirono 
19  delle  stesse  dimensioni. 

La  prima  torpediniera  Schichau,  di  85  tonn.,  1000  cav.  e  20  nodi,  fu 
costruita  nel  1886  ad  Elbing;  nei  successivi  auni,  fino  al  1893,  furono  co- 
struite numerose  torpediniere  tipo  Schichau,  di  80  tonn.  e  1000  cav.,  parte 
ad  Elbing  e  parte  in  cantieri  italiani. 

Tutte  queste  torpediniere  furono  classificate  come  torpediniere  di  2*  e 
3*  classe,  secondo  il  loro  dislocamento;  attualmente,  un  gran  numero  di 
esse  è  stao  radiato  dal  nostro  naviglio. 

Fra  il  1905  e  il  1906  furono  adottate  nella  nostra  Marina  le  torpediniere 
d'alto  mare  tipo  «  Alcione  » ,  «  Orione  » ,  «  Perseo  » ,  «  Cigno  » ,  aventi  disio- 


MARINA    MILITARE    E    COSTRUZIONI    NAVALI  .  «^3 

camento  di   200  tonn.    air  incirca,  e  velocità   di  25  nodi:  furono  costruite 
in  buona  parte  nei  cantieri  nazionali. 

Attualmente  sono  in  costruzione  32  torpediniere,  del  dislocamento  di 
120  tonn.  e  della  velocità  di  30  nodi  circa:  delle  quali,  12  presso  la  ditta 
Pattison,  12  presso  la  ditta  Oderò  ed  8  presso  la  ditta  Ansaldo.  Di  queste 
ultime,  due  avranno  apparato  motore  a  turbine. 

51.  /  sottomarini.  —  Fin  dal  1888  il  ministro  Ferdinando  Acton,  im- 
pressionato dei  successi  ottenuti  con  i  battelli  sottomarini  del  Nurdenfeld  e 
del  Waddington,  costruiti  rispettivamente  in  Svezia  ed  in  Inghilterra  nel 
1885,  volle  che  la  Marina  italiana  intraprendesse  studt  in  rapporto  a  questa 
importante  questione. 

Il  colonnello  del  Genio  navale  Giacinto  Pullino  (poi  tenente  generale 
e  presidente  del  Comitito),  progettò  un  sottomarino,  il  «  Delfino  »,  che  fu 
messo  in  costruzione  a>la  Spezia  nel  1889  e  cominciò  i  suoi  esperimenti  nel 
1892,  quasi  contemporaneamente  ai  primi  esperimenti  iniziati  in  Francia 
col  «  Gymnote  » . 

Gli  esperimenti  del  «  Delfino»  furono  più  volte  sospesi,  poi  ripresi: 
ma,  in  complesso,  la  Marina  italiana,  fino  al  1900,  poco  si  occupò  del  pro- 
blema dei  sottomarini  e  dei  sommergibili. 

Il  B  Delfino  «,  del  dislocamento  di  tonn.  95  in  emersione  e  107  in  im- 
mersione, aveva  motore  elettrico  con  accumulatori  :  la  parte  dello  scafo  che 
emerge  nella  navigazione  sopracquea,  era  protetta  con  piastre  di  5  cm.,  ed 
era  munito  di  torretta  di  bronzo  pel  comandante.  Il  «  Delfino  »  fu  ano  dei 
primi  battelli  sottomarini  ad  avere  il  periscopio  e  la  bussola  a  giroscopio, 
e  fu  il  primo  che  riuscì  a  lanciare  siluri,  stando  fermo  od  in  moto,  con  esito 
felice  (1895);  cosicché  furono  risolte  fin  d*allora  in  Italia  le  questioni,  che 
poi  più  tardi  dovevano  tanto  interessare  l'opinione  pubblica  in  Francia  e 
altrove.  Ma,  come  ho  detto,  la  Marina  italiana,  in  complesso,  non  si  occupò 
molto  di  queste  nuovissime  armi,  fino  a  che,  nel  1898,  il  ministro  Bettole 
bandì  fra  gli  ingegneri  del  Genio  navale  un  concorso  per  il  progetto  di 
un  sommergibile. 

Furono  in  seguito  riprese  le  esperienze  del  •  Delfino  • ,  modificandolo  e 
migliorandolo,  e  aggiungendovi  un  motore  a  scoppio  per  la  navigazione  so- 
pracquea; e,  con  la  scorta  dei  risultati  ottenuti,  furono  costruiti  a  Venezia  i  5 
sommergibili  «  Glauco  « ,  «  Squalo  » ,  «  Narvalo  « ,  •  Otaria  • ,  «  Tricheco  • , 
del  dislocamento  di  150  tonnellate  in  emersione  e  200  tonn.  in  immei-sione, 
provvisti  di  motori  a  scoppio  per  la  navigazione  sopracquea  e  di  motori  elet- 
trici per  la  navigazione  subacquea,  e  capaci  di  raggiungere  la  velocità  di 
14  nodi  navigando  in  emersione  e  7  nodi  navigando  in  immersione.  I  motori 
a  scoppio  servono  anche  a  caricare  gli  accumulatori  per  la  navigazione  sub- 
acquea, cosicché  i  battelli  avendo  in  se  stessi  i  mezzi  di  produzione  della 
energia  elettrica,  non  sono  obbligati  a  ritornare  alla  costa  per  rifornirsene. 


54  GUSTAVO   BOZZONI 


Questi  5  battelli,  entrati  in  serrizio  fra  il  1905  ed  il  1908,  hanno  dato 
ottimi  risultati,  così  da  mostrare  che  ritalia,  per  qnanto  si  fosse  per  un  certo 
tempo  mantenuta  lontana  dal  problema  dei  sommergibili,  ha  saputo  guada- 
gnare il  tempo  perduto,  ottenendo  risultati  ai  quali  le  altre  marine  non  sono 
arrivate  che  dopo  lunghi,  costosi  tentativi  ed  esperimenti.  Autore  dei  pro- 
getti di  questi  sommergibili  è  Tingegnere  Cesare  Laurenti,  ex-uflSciale  del 
Qenio  navale. 

Becen temente  è  entrato  in  servizio  un  altro  sommergibile  :  il  «  Foca  « , 
di  dislocamento  alquanto  superiore  ai  precedenti,  e  di  velocità  anche  supe- 
riore (15  nodi  in  emersione,  9  nodi  in  immersione),  costruito  nel  cantiere 
della  Società  Fiat  San  Giorgio,  alla  Spezia. 

Attualmente  sono  in  costruzione  13  sommergibili,  e  cioè: 

8  presso  la  Società  Fiat  San  Giorgio,  progettati  dall'ing.  Laurenti, 
e  aventi  il  dislocamento  di  tonn.  245  in  emersione  e  800  in  immersione,  e 
la  velocità  di  12  e  8  nodi  rispettivamente. 

2  presso  l'arsenale  di  Venezia,  del  dislocamento  di  225  e  SOOtonn. 
e  della  velocità  di  12,5  e  8  nodi,  progettati  dal  maggiore  del  Genio  navale 
C.  Bernardis. 

2  presso  l'arsenale  di  Spezia,  del  dislocamento  di  320  e  300  tonn.  e 
della  velocità  di  14  e  8  nodi;  progettati  dal  capitano  del  Genio  navale 
V.  Cavallini. 

1  a  Kiel,  presso  il  cantiere  Germania,  della  ditta  Erupp,  di  tonnel- 
late 300  e  tonn.  215,  e  della  velocità  di  12  e  8  nodi. 


MARINA   MILITARE   B   COSTRUZIONI   NAVALI  ^^ 


CONCLUSIONE 


Oiiinto  al  termine  di  questa  arida  esposiziono,  e  considerando  nel  com- 
plesso la  Marina  nel  cinquantennio  deirUnità  dltalia,  specialmente  nei 
riguardi  del  naviglio,  a  me  pare  che  si  debbano  considerare  5  grandi  perìodi  : 

Il  primo,  che  va  fino  alla  battaglia  di  Lissa,  nel  qnale,  predominando 
l'impellente  necessità  di  approntare  la  flotta  per  la  gnerra,  si  ebbe  di  mira 
la  imperiosa  necessità  di  aver  presto  navi,  senza  guardare  troppo  ai  pro- 
babili progressi.  D*altra  parte,  grandi  erano  in  allora  le  incertezze  circa 
i  tipi  delle  navi  e  Tadozione  delle  corazzate  ;  in  ogni  modo,  però,  si  riuscì  a 
formare  in  pochissimo  tempo,  dalla  riunione  delle  due  Marine,  la  sarda  e 
la  napoletana,  una  Marina  che,  in  fatto  di  materiale,  non  aveva  nulla  da 
invidiare  a  quella  delle  altre  nazioni. 

Il  secondo  periodo,  che  succedette  alla  dolorosa  sconfitta  di  Lissa,  fu 
assai  triste:  Paese  e  Parlamento  perdettero  la  fiducia  nella  Marina  e  se  ne 
disinteressarono  ;  i  bilanci  furono  assottigliati  ;  il  naviglio  invecchiava,  né  si 
pensava  a  rinnovarlo  ;  la  Marina,  sentendosi  non  amata  e  poco  apprezzata  nel 
paese,  si  rinchiuse  in  se  stessa.  Ma  dal  suo  seno  dovevano  sorgere  gli  uomini 
che  dovevano  rigenerarla:  e  prima  ufficiali  ed  ingegneri,  con  articoli,  opuscoli, 
libri,  diedero  Tallarme  sulle  condizioni  materiali  e  morali  della  Marina,  poi 
Biboty,  Saint-Bon  e  Brin  richiamarono  il  paese  alla  realtà  delle  cose,  ed  alla 
necessità  di  avere  una  Marina  forte  e  temuta. 

Cominciò  così,  dopo  il  1875,  il  3®  periodo,  nel  quale,  per  opera  di  quei 
grandi,  la  novella  Marina  fu  creata;  e  per  la  genialità  delle  meravigliose 
navi  concepite  da  Benedetto  Brin,  la  nostra  flotta  fu  considerata,  per  vario 
tempo,  seconda  soltanto  alla  flotta  della  Marina  inglese. 

Ma,  pur  troppo,  questo  periodo  d*oro  della  nostra  Marina  non  potè  durare 
a  lungo,  non  essendo  possibile  elevare  il  bilancio  della  Marina  alle  cifre  a 
cui  avrebbe  dovuto  mantenersi  per  essere  in  relazione  con  l'aumento  verti- 
tigìnoso  dei  bilanci  delle  altre  Marine  del  mondo:  la  potenzialità  della 
nostra  flotta  discese,  dal  2^,  al  5^  e  6^  posto  ;  e,  fatalmente,  una  nuova  onda 
di  crìtiche,  di  sospetti  di  sfiducia  si  riversò  suir Amministrazione,  sul  ma- 
teriale, sul  personale  della  Marina,  causando  un  nuovo  periodo  di  depressione 
morale  e  materiale. 

Questo  stato  di  cose  dipendeva,  come  ho  accennato,  da  ragioni  esclusi- 
vamente economiche,  e  non  già  da  deficienza  nel  materiale  o  nel  personale  ; 


56  GUSTAVO   BOZZONI 


che,  in  fatto  di  materiale,  il  Corpo  del  Oenio  navale,  seguendo  le  brillanti 
tradizioni  di  Benedetto  Brin,  ha  saputo  sempre  mantenersi  all'avanguardia 
di  ogni  progresso  nel  campo  delle  costruzioni  navali,  progettando  e  costruendo 
navi  ammirate  e  lodato  ovunque  per  la  genialità  dei  concetti  informativi  e 
per  la  brillante  riuscita.  Ed  in  fatto  di  personale,  i  nostri  ufficiali  e  marinai 
hanno  sempre  dimostrato  in  opere  di  guerra  ed  in  opere  di  pace  le  loro  alte 
qualità  di  valore,  patriottismo  ed  abnegazione,  così  da  mantenere  elevatis- 
simo il  nome  del  marinaio  italiano. 

Ma  anche  questo  nuovo  periodo  di  depressione  della  Marina  è  ormai 
finito  per  opera  di  altri  grandi,  fra  i  quali  è  doveroso  ricordare  il  ministro 
Mirabelle  ed  il  capo  di  Stato  maggiore  ammiraglio  Bettole,  i  quali  hanno 
saputo  dimostrare  quanto  valessero  in  realtà  le  nostre  navi  e  i  nostri  marinai, 
ed  hanno  saputo  far  riacquistare  alla  Marina  la  fiducia  del  Paese,  senza 
la  quale  non  è  possibile  resistenza  di  una  grande  Marina  moderna,  il  cui 
materiale,  costosissimo  ed  in  continua  :tra8formazione,  richiede  gravissimi 
sacrifici. 

Ed  ora,  grazie  a  Dio,  in  questo  nuovissimo  periodo  di  attività,  la  Marina 
nostra  cammina  sicura  sulla  via  dove  la  conduce  il  suo  destino,  per  la  salute 
e  la  grandezza  d'Italia;  e  l'Italia  guarda  con  fede  le  sue  navi,  i  suoi  marinai. 


Ing.  Gustavo  Bozzoni 

Maggiore  del  Genio  Merale. 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI  57 


APPENDICE 


Nei  prospetti  che  seguono,  sono  riimiti  dati  sommari  circa  il  naviglio 
italiano:  le  spese  sostenute  per  la  Marina  e  le  principali  leggi  dì  piani  or- 
ganici, consolidamento  del  bilancio  della  marina,  assegni  straordinarì  ecc.; 
ed  è  infine  riportato  Telenco  dei  ministri  e  dei  sottosegretari  di  Stato  della 
Marina,  dalla  proclamazione  del  Regno  fino  ad  oggi. 

E  propriamente,  per  qaanto  riguarda  il  naviglio,  i  quadri  numeri  1,  2, 
8,  4,  5,  6,  dimostranti  la  composizione  della  flotta  a  diverse  date  del  cin- 
quantenario, —  e  precisamente  al  principio  degli  anni  1861,  1870, 1880,  1890, 
1900,  1911,  —  indicano  il  numero  delle  navi,  il  dislocamento  il  numero  dei 
cannoni,  la  potenza  delle  macchine  per  le  varie  classi  di  navi  secondo  la 
classificazione  ufficiale  dell'epoca; 

il  quadro  n.  7  dimostra  più  dettagliatamente  la  composizione  della 
flotta  al  P  gennaio  1911; 

il  quadro  n.  8  indica  le  date  dell'  impostamento,  del  varo  e  delFen- 
trata  in  servizio  delle  maggiori  navi  costruite  dopo  il  1870. 
E  per  quanto  riguarda  le  spese: 

Nel  quadro  I  sono  presentate  le  spese  effettivameate  sostenute  per 
ramministrazione  della  Marina  nei  vari  esercizi  dal  1861  al  1909-910. 

Nel  quadro  II  sono  indicate  le  spese  sostenute  negli  esercizi  1862, 
1870,  1880,  1889-90,  1899-900,  1809-910,  suddivise  in  parte  ordinaria  e 
parte  straordinaria. 


' 


58 


GUSTAVO  BOZZONI 


Prospetto  N.  1. 


Naviglio  in  servizio  o  in  costruzione 

ALLA     PROCLAMAZIONE     DEL     REGNO     d'ItALIA 


TIPO   DKLLK   HAYI 


Nun«n> 


DìslocAinento 


Porta 
rnsochin* 


Nuiaro 

dei 
cannoBi 


Nayi   COBAZZATB 
Batterìe  corazzate     .... 

Navi  a  elica 

Vascelli  a  elica 

Fregate  di  1*  rango.    .     .     . 

Corrette         »  .    .    . 

n        di  2®  raDgo    .    .     . 

Cannoniere 

Ayyìsì. 

Traspoiti 

Nati  a  ruote 

Pirofregate  di  2®  ningo    .    . 
Pirocorrette  »  .    . 

Piroscafi 

Avvisi 

Trasporti 

Rimorchiatori 

Navi   a  vela 

Fregate  di  1^  rango. 
Corvette         » 

n        di  2^  rango 
Brìgantìni 
Trasporti, 
Golette 
Bovo  . 
Cutter. 

Totale  del  natiolio 


2 


1 

9 
3 
1 
8 
2 
6 


11 
7 
8 
2 
7 
6 


3 
2 
4 
6 
5 
2 
1 
1 


5.400 


97 


3.880 
81.931 
6.514 
1.524 
1.932 
588 
9.065 


15.053 
4.837 
8.002 

495 
7.580 

837 


7.891 

8.042 

2.708 

3.250 

2.830 

330 

80 

137 


112.726 


800 


450 

4.C50 

1.120 

350 

410 

160 

1.590 


3.680 

1440 

860 

160 

1730 

280 


17.710 


40 


64 
450 

60 
10 
32 

4 
12 


80 
24 
24 

4 
14 

2 


Yaloro 
approMimaliTO 


5.238.000 


8  069.000 
27.174.000 
5.736.200 
1.285^00 
2.131.12^ 
822.000 
3.287.000 


14.875.780 
3.791.940 
2.966.344 

450.000 
3.851.000 

796.000 


132 

4.432.650 

40 

1.660000 

52 

1.225.000 

84 

1.514.858 

16 

1.168.476 

— 

135.000 

.~ 

8.000 

2 

54.000 

1.146 

85.071.865 

MARINA   MILITARE   E    COSTRUZIONI   NAVALI 


59 


Prospetto  N.  2. 

Naviglio  in  servizio  o  in  costruzione  al  1^  gennaio  1870. 


TIPO    DSLLE    NAVI 

Numero 

Dialocamento 

Fona 

dolio 

macoli  ine 

Numero 

dei 
cannoni 

Valore 
approBiimatlTO 

Nati  da  battaglia 

Navi  corazzate 

21 

74.742 

11.810 

200 

80.866.848 

»     ad  elìca 

18 

41.296 

6.370 

888 

41.584.147 

n     a  ruota 

18 

1 6.040 

4.180 

80 

16.279.200 

Totale    .    .    . 

57 

182.078 

21.860 

618 

138.729.697 

Nati  da  trasporto 

Navi  ad  elica 

10 

16.811 

2.486 

20 

9.058.868 

n      a  mote 

7 

8.562 

1.080 

6 

2.075.940 

Totale  del  naviglio    .    .    . 

74 

152.451 

25.876 

644 

149.859.000 

Prospetto  N.  8. 


Naviglio  in  servizio  o  in  costruzione  al  P  gennaio  1880. 


tipo  delle  navi 

Numero 

Dislocamento 

Fona 

deUe 

maeeUne 

Yalore 
approeeimatlTO 

Navi  da  battaglia  di  1*  classe 

Id.               2*  classe 

Id.               8*  classe 

Nayi  sussidiarie  di  1*  classe 

Id.              2*  classe 

Id.              8«  classe 

Id.               uso  locale 

14 
10 
20 

2 

4 

11 

12 

96.500 
24.870 
16.880 

7.460 
6.670 
8.859 
1.958 

12.100 
4.200 
4.250 

1.000 
970 
980 
665 

147.920.000 
27.886.000 
18.484.000 

5.200.000 
2.864.000 
3.759.000 
1 .928.000 

Totali    .    .    . 

73 

157.647 

24.165 

206.986.000 

00 


GUSTAVO   BOZZONI 


Prospetto  N.  4. 


Naviglio  in  servizio  o  in  costruzione  al  1**  gennaio  1890. 


TIPO    DELLB   NAVI 


Numero 


DÌHloc*mento 


Forza 

delle 

macchine 


Namero 

d«i 
eannoni 


Yalore 
approsaimaiiTO 


Navi  da  battaglia  di  li^  classe  .    . 


Id. 


Id. 


di  2*  classe  .    . 


di  3*  classe  .    . 


Navi  onerarie  dì  1*  classe 


Id. 


Id. 


di  2*  classe 


di  3*  classe     .    .    . 


Navi  scuole 


Navi  centrali  (difesa  locale)  .    .    . 


Cannoniere  lagunari  a  ruote  .    .    . 


Torpediniere  avviso 


Id. 


di  alto  mare     .    •    . 


Id.  costiere  di  1*  classe. 


Id. 


id.      di  2*  classe. 


Totale    . 


15 


19 


27 


53 


6 


64 


88 


21 


278 


144.521 


53.446 


22.525 


22.292 


7.818 


2.367 


16.365 


30.194 


528 


1.280 


5.540 


1.302 


3.755 


811.923 


1 83.542 


106.243 


58.991 


15.077 


5.391 


1.311 


3.376 


16.287 


890 


880 


67.900 


16.800 


4.128 


429.811 


218 


166 


158 


23 


14 


8 


34 


55 


6 


20 


38  mìtragl. 


587  -  88 


264.426.000 


89.742.000 


40.081.000 


10.129.000 


5.067.000 


1.337.000 


17.682.000 


34.241.000 


312.000 


8.286.000 


20.021.500 


6.643.500 


2.683.000 


495.629.000 


MARINA    MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI 


61 


Prospetto  N.  5. 


Naviglio  in  servizio  o  in  costruzione  al  1*"  gennaio  1900. 


TIPO   DELLE  NAYI 


Namero 


Dislocamento 


Forza 

d«Ile 

macchine 


Namero 

dei 
cannoni 


Valore 
approialraatlTO 


Navi  da  battaglia  dì  1*  classe  . 


Id. 
Id. 
Id. 
Id. 
Id. 
Id. 


2^  classe  . 

8*  classe  . 

4*  classe  . 

5^  classe  . 

6*  classe  . 

7»  classe  . 

Totale  .  . 


Cacciatorpediniere 


18 


6 


9 


15 


55 


176,144 


85.050 


25.950 


17.780 


21.721 


13.712 


771 


291.128 


11 


Torpediniere  di  1*,  2*,  3",  4*  classe      144 


Navi  sussidiarie  di  1',  2*,  8%  4*  classe 


45 


2.538 


10.215 


68.208 


Navi  di  oso  locale  (nei  porti  marittimi)      30  3.751 


Rimorchiatori 


Bette 


25 


9 


Cannoniere  lagunari 


1.645 


4.472 


440 


178.086 


66.875 


28.858 


82.875 


67.053 


61.801 


4.280 


429.778 


64.800 


mltr.« 

684  -  82 


179-10 


178  -  18 


98-10 


228  -  20 


142 


12 


1476  -  85 


221.882.000 


79.000.000 


35.520.000 


27  424.000 


42.381.000 


28.461.000 


1.968.000 


486.686.000 


64 


Totale  generale  del  naviglio  '    324       382.397 


130.193 

202  -  38 

56.950 

189 

2.788 

20 

2.557 

25 

1.468 

— 

•  325 

5 

688.854 

1981-123 

10.198.000 


39.253.920 


69.248.660 


15.076.470 


1349.570 

1.572.080 

260.000 

578.589.700 


62 


GUSTAVO   BOZZONI 


PROSI-KTro  N.  6. 


Naviglio  in  servizio  o  in  costruzione  al  1*^  gennaio  1911 

(riassuntivo) 


TIPO    DELLJB    NAVI 


Namero 


Dislocamento 


Forsft 

d«ll« 

miiochlae 


Nayi  da  battaglia  di  1*  classe 


Id. 


Id. 


Id. 


2*  classe 


8*  classe 


4*  classe 


Id.  5*  cli^se 


Id, 


6*  classe 


Totale    . 


23 


1 


KaYÌ  sassidiarie  di  l*,  2*»  3^,  4*  classe 


Navi  di  uso  locale 


Cacciatorpediniere 


Torpediniere 


«  ..  «.  (  sottomarini 
Battelli  ] 

f  sommergibili 


Tonale  generale  del  naviglio  . 


11 


317.020 


35.050 


4.580 


17.800 


17.370 


10  240 


52 


27 


85 


29 


129 


20 


842 


401.560 


59.390 


416.000 


68.600 


10.600 


90.040 


53.860 


50.000 


Nomerò 

dei 
CAimoni 


Yalore 
«pprOMimatiTO 


689.100 


47.630 


18.032 


12.180 


15.613 


4.980 


506.755 


11.7(»8 


mìtr.* 

940-40 


172-   5 


28-   1 


68-  5 


138-   6 


56-   0 


1402-57 


132-  8 


25-   0 


587.000.000 


79.200.000 


11.820.000 


85.800.000 


87.700.000 


23.880.000 


774.400.000 


45.710.000 


9.720.000 


202.880      118-0 


223.337 


11.670 


1.186.270 


262  - 12 


0-   0 


1939  -  77 


41.985.000 


56.300.000 


20.010.000 


948.075.000 


MARINA   MILITARE   S   COSTRUZIONI   NAVALI 


68 


Probpbtto  N.  7. 


NAYiaLlO   IN   SERVIZIO  0   IN   COSTRUZIONE   AL    1®   GENNAIO    1911. 


TIPO  DELLE  NATI 

Nmn. 

DislOMIIMlliO 

Fona 

d«lle 

macchine 

Numero 

doi 
cannoni 

Talora 
approssimativo 

Nati  da  battaglia  di  1*  classe 

*Tipo  Dante  Alighieri 

*    1»      Ginlio  Cesare 

n      Regina  Margherita.    .    .    . 

1»      Vittorio  Emanuele  .... 

n       Pisa 

1 
3 
2 
4 
2 
2 
2 
8 
2 
1 
1 

19.000 
66.000 
26.000 
50.500 
20.230 
19.670 
19.600 
41.000 
31.550 
11.200 
12.270 

26.000 
72.000 
39.700 
77.700 
38.000 
88.000 
27.800 
52.500 
27.800 
10.300 
6.200 

miir.* 
49  -  2 

156  -  6 

88  -  4 
176  -  8 
64  -  4 
70  -  4 
70  .  2 
120  -  6 
81  -  4 
32  -  0 
34  -  0 

60.000.000 
192.000.000 

59.320.000 
131.300.000 

51.200.000 

n      San  Giorgio 

n      Emanuele  Filiberto    .    .    . 

»      Re  Umberto 

n      Italia 

»      Andrea  Doria 

»      Dandolo     ....... 

53.900.000 
**47.420.000 
86.634.000 
61.750.000 
20.850.000 
23.190.000 

Totale    .    .    . 

Navi  da  battaglia  di  2*  classe 

Tipo  G.  Garibaldi 

n    Carlo  Alberto 

23 

3 
2 

817.020 

22.050 
18.000 

416.000 

42.200 
26.400 

940-40 

102  -  3 
70  -  2 

587.564.000 

49.700.0000 
29.500.000 

Totale    .    .    . 

5 

85.050 

68.600 

172-  5 

79.200.000 

*  Navi  in  costruzione. 


64 


GUSTAVO   BOZZONI 


Prospetto  N.  7  (seguito). 


TIPO   DBLLE  NATI 


Nati  da  battaglia  di  8*  classe 
Tipo  Marco  Polo 

Nati  da  battaglia  di  4*  classe 

*Tìpo  Quarto 

*    »      Marsala.    ....... 

n      Giov.  BaasaD 

n      Etna .    .    . 

Totale    •    .    . 

Navi  da  battaci  ia  di  5^  classe 

Tipo  Piemonte 

n     Etruria 

Totale    .    .    . 

Navi  da  battaglia  di  6^  classe 

Tipo  Agordat 

»     Tripoli 

»     Partenope 

Totale    .    .    . 


Numero 


1 

2 

1 
1 


1 
6 


2 
3 


11 


Dislocamento 


4.580 


8.800 
6.940 
3.830 
3.730 


17.800 


2.640 
14.730 


17.370 


2.620 
2.520 
5.100 


Fori« 

delU 

macchino 


Nnmeio 

dei 
cannoni 


Talora 
approstimatlro 


1 0.240 


10.600 


25.000 

52.000 

6.470 

6.570 


90.040 


12.200 
41.860 


58.860 


16.400 

8.200 

25.400 


50.000 


mitr* 

28  .  1 


18  •  1 
26  -  2 

W-1 

17  -  1 


m^mm 


68  -  5 


19  -  1 
119  -  5 


188  -  6 


24  -  0 
19  -  0 


13  -  0 


56  -  0 


11.820.000 


8.000.000 

16.000.000 

5.500.000 

5.800.000 


35.800.000 


5.700.000 
32.000.000 


87.700.000 


6.980.000 

5.400.000 

11.500.000 


23.880.000 


*  Navi  in  costruzione. 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI  NAVALI 


65 


Prospbtto  N.  7  (seguito). 


TIPO   DELLE    NAVI 

Nmaro 

DÌalocaiii«Bto 

Fona 

d«ll« 

maeehin* 

Nani«ro 

d«i 
cuuoni 

Talora 
approBsimatiTO 

Nati  sussidiarib  di  1*  classe 

Tipo  Trinacrìa 

1 

9.200 

6.120 

mitr.» 

6-0 

3.870.000 

»     Bronte 

2 

18.980 

8.300 

8-0 

5.540.000 

Totale    .    .    . 

3 

28.1 80 

14.420 

14-0 

9.410.00O 

Navi  sussidiarie  di  2*  classe 

Tipo  Verbano 

1 

3.000 

1.000 

4-0 

500.000 

n     Flavio  Gioia 

2 

5.760 

7.440 

22-2 

10.500.000 

»     Vulcano 

1 

2.850 

3.340 

4-0 

4.500.000 

Totale    .    .    . 

4 

11.610 

1 1.780 

30-2 

15.500.000 

Navi  sussidiarie  di  3*  classe     .    . 

7 

10.070 

7.540 

53-4 

10.100.000 

Navi  sussidiarie  di  4*  classe     .    . 

13 

9.530 

1 3.890 

35-2 

10.700.000 

Nati  di  uso  locale 

Piroscafi 

3 

820 

610 

— 

1.190.000 

Cisterne ,    . 

20 
5 

2.530 
255 

1.600 

12-0 

1 .200.000 

Sambuchi 

80.000 

Rimorchiatori 

45 

4.135 

6.528 

21  -0 

8.940.000 

Cannoniere  lagunari 

2 

212 

900 

2-0 

500.000 

Bette 

10 

5.080 

2.080 

— 

2.800.000 

Totale    .    .    . 

85 

13.032 

11.703 

25-0 

9.720.000 

Gustavo  Bozzoni.  ^Marma  militare  e  Coslrusioni  navali. 


66 


GUSTAVO   BOZZONI 


Prospetto  N.  7  (8$guito). 


TIPI   DELLB    NAVI 

Numero 

Dislocamento 

Forca 

delle 

mMoblne 

Numero 

dei 
oaBBoal 

Valore 
approeeimaliTO 

Cacciatorpedinixrb 

Tipo  Bersagliere 

10 

3.920 

61.000 

rnitr.* 
40  -  0 

12.475.000 

n    Lampo 

6 

1.920 

33.600 

36  -  0 

7.100.000 

n     Nembo 

6 

1.960 

31.500 

31  -  0 

7.400.000 

n     Fulmine 

1 

300 

4.730 

5  -  0 

1.160.000 

*  n     Pattison 

6 

4.080 

72.000 

6  -  0 

18.800.000 

Totale    .    .    . 

29 

12.180 

202.830 

118  -  0 

41.985.000 

Torpediniere  d^alto  mare  .... 

28 

6.000 

70.000 

84-  0 

18.800.000 

»            di  1*  classe  .... 

8 

1.500 

18.000 

16-  0 

8.800.000 

n           di  2*  classe  .... 

51 

4040 

50.000 

102-   0 

16.000.000 

*        »           di  3*  classe  .... 

30 

8.600 

81.000 

60-   0 

15.000.000 

»           di  4*  classe  .... 

12 

473 

4.837 

0-12 

2.700.000 

Totale    .    .    . 

129 

15.613 

223.^^37 

262-12 

56.800.000 

Battelli  sottomarini 

1 

100 

150 

262  - 12 

330.000 

n       sommergibili    tipo    Glaaco 

I 

980 

8.720 

4.920.000 

*    n       sommerg.  tipo  Foca,  e  altri 

13 

3.900 

7.800 

— 

14.760.000 

Totale    .    .    . 

20 

4.980 

11.670 

— 

20.010000 

Totali  oenerali  del  naviglio.    . 

342 

506.755 

1.186.270 

1939  -  77 

948.075.000 

*  Navi  in  costraiione  o  in  allestimento. 


MARINA    MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI 


G7 


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68 


GUSTAVO    BOZZONI 


Spese  effettive  sostenute  per  la  B.  Marina 

DAL    1861    AL    1910. 


Quadro  I, 


ANKO 

SPESA 

ANNO 

SPESA 

• 

1861 

50.850.000 

1885-1886 

83.957.490 

1862 

78.234.520 

1886-1887 

95.260.600 

1863 

60.463.340 

1887-1888 

114.154.300 

1864 

59.308.500 

1888-1889 

157.638.330 

1865 

59.738.900 

1889-1890 

123.353.000 

1866 

61.866.230 

1890-1891 

113,028.100 

1867 

45.609.100 

1891-1892 

105.139.100 

1868 

38.769.980 

18921898 

101.758.400 

1869 

32.052.800 

1893-1894 

100.076,300 

1870 

25.072.900 

1894-1895 

95.676.470 

1871 

29.125.120 

1895-1896 

96.069.700 

1872 

31.439.200 

1896-1897 

103.094.500 

1873 

34.783.600 

1897-1898 

107.532.130 

1874 

35.146.870 

1898-1899 

110.381.680 

1875 

36.098.140 

1899-1900 

120.898.000 

1876 

37.998.450 

1900-1901   ..... 

131.524.700 

1877  ...-.,.. 

42.909.990 

1901-1902 

127.850.000 

1878 

48.246.550 

1902-1903 

131.917.633 

1879 

42.718.240 

1903-1904 

131.945.516 

1880 

45.128.417 

1904-1905 

136.179.182 

1881 

44.722.387 

1905-1906 

184  571.820 

1S82 

49.077.700 

1906-1907 

160.135.910 

1S83 

63.085.150 

1907-1908 

168.347.690 

1*  semestre  1884  •  .  . 

29.392.000 

1908-1909 

180.905.065 

1884-1886 

77.157.100 

1909-1910 

158.151.800 

Spesa  totale  nbl  cin^^uantkn.mo    .    .    L.    4.188.542.900 


MARINA   MILITARE   B   COSTRUZIONI   NAVALI 


69 


Quadro  II. 


Spese  accertate  per  la  Regia  Marina. 


SSERCIZII 


Parte  ordinaria 


Parte  straordinaria 


Spesa  totale 


1861      .     . 

1870  .  . 
1880  .  . 
1889-1890 
1899-1900 
1900-1910 


32.500.000 

25.072.900 

41.788.011 

108.700.000 

119.523.000 

139.445.100 


18.350.000 

3.340.406 
14.653.000 

1.375.000 
18.707.700 


50.850.000 

25.072.900 

45.128.117 

123.353.000 

120.898.000 

158.151.800 


Principali  leggi  rignardanti  spese  straordinarie, 
consolidamento  del  bilancio. 


Nel  1871  fu  presentato  dal  ministro  Uiboty  un  progetto  di  piano  or- 
ganico della  flotta,  col  quale  il  naviglio  avrebbe  dovuto  essere  portato  ad 
un  totale  di  73  navi,  delle  quali  12  di  linea,  3  fregate,  7  corvette  ecc.,  ma 
il  progetto  non  fu  mai  discusso  alla  Camera.  La  spesa  straordinaria  occor- 
rente era  prevista  in  L.  25.750.000,  divisa  in  5  esercizi  dal  1872  al  1876. 

Nel  1875  fu  dal  ministro  >Saint-Bon  presentato  ed  approvato  alla  Ca- 
mera il  progetto  di  alienazione  del  naviglio  (Legge  31  marzo  1875).  Le  navi 
da  alienare  erano  in  numero  di  33. 

Nel  1876  il  ministero  Brin  presentò  il  progetto  del  piano  [^organico 
col  quale  veniva  fissata  la  composizione  della  flotta  in  72  unità,  delle  quali 
16  navi  di  1*  classe,  10  di  2^  20  di  3*  ecc.;  con  lo  stesso  progetto  di 
legge,  veniva  fissata  la  durata  delle  navi  in  25  anni,  e  si  prevedeva  quindi 
la  somma  da  stanziarsi  per  la  riproduzione  del  navìglio. 

Tale  progetto  divenne  legge  il  P  luglio  1877,  e  per  essa  si  stanziava 
per  il  decennio  1877-1878  la  somma  di  L.  146.000.000  per  la  costruzione 
del  naviglio,  incluse  le  spese  per  la  riproduzione  del  naviglio  stesso.  Tra- 
scorso il  decennio,  la  somma  per  riproduzione  e  manutenzione  del  naviglio 
veniva  fissata  in  L.  29.150.000. 

Nel  1887  Benedetto  Brin  presentò  un  altro  progetto  di  legge,  concer- 
nente un  aumento  di  fondi  per  le  costruzioni  navali  e  variazione  del  piano 
organico.  Tale  progetto  divenne  legge  il  30  giugno  1887. 


70  GUSTAVO   BOZZONI 


Veniva  con  essa  stabilita  la  spesa  straordinaria  di  85.000.000  in 
aggiunta  agli  assegni  fatti  con  la  precedente  legge  del  1877,  ripartita  negli 
esercizi  dal  1887-88  al  1895-96. 

La  forza  del  nayiglio  era  annientata  rispetto  a  quella  stabilita  nel  piano 
organico  del  1877,  e  portata  da  10  a  20  per  le  navi  di  2*  classe:  da  20 
a  40  per  le  navi  di  8*  classe,  ecc.  Si  aggiungevano  inoltre  190  torpe- 
diniere. 

La  somma  di  L.  85.000.000  era  così  ripartita: 

L.  37.000.000  per  costruzioni  navali. 

»  29.000.000    «    acquisto  artiglierie  e  siluri. 
i>      9.000.000    «    Tarsenale  di  Spezia. 
fi      9.000.000     «    Tarsenale  di  Taranto. 
i>      1.000.000    »    l'arsenale  di  Venezia. 

Con  la  legge  13  giugno  1901  (ministro  Morin),  il  bilancio  della  Marina 
fu  consolidato  nella  somma  di  L.  123.000.000  per  l'esercizio  1900-1901,6 
di  L.  121.000.000  negli  esercizi  successivi,  fino  al  1905-906. 

Con  legge  2  luglio  1905  (ministro  Mii-abello),  il  bilancio  della  Marina 

fu  portato  a 

L..  125.000.000  per  l'esercizio  1904-905 

1»    126.000.000  »  1905-906 

»    133.000.000  »  1906-907 

yi    133.000.000  »  1907-908 

e  per  gli  esercizi  successivi,  fino  al  1916-917,  a  L.  134.000.000. 

Con  i  su  detti  assegni  si  provvedeva  alla  costruzione  di  8  incrociatori  di 
10.000  tonn.,  10  cacciatorpediniere,  7  sommergibili  ecc.,  ed  air  impianto  di 
una  fabbrica  di  siluri  a  S.  Bartolomeo,  nonché  alla  preparazione  del  nuovo 
munizionamento  occorrente. 

Con  legge  27  giugno  1909  (ministro  Mirabelle),  il  bilancio  della  Marina 
per  Tesercizio  1909-910  fu  portato  a  L.  163.427.000;  furono  stabiliti  i  se- 
guenti assegni  per  costruzione  di  acquisto  di  navi,  materiali,  munizionamento  : 

L.  52.370.000  per  l'esercizio  1909-910 

»  60.000.000  »  1910-911 

»  70.000.000  1»  1911-912 

n  70.000.000  «  1912-913 

1»  80.000.000  »  1913-914 

»  80.000.000  »  1914-915 

n  80.000.000  »  1915-916 

In  queste  somme  sono  comprese  le  assegnazioni  derivanti  dalla  legge 
2  luglio  1908. 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI  NAVALI  71 


MINISTBI  DELLA  MARINA 


DALLA    PROCLAMAZIONE    DEL    REGNO   D  ITALIA 


Benso  di  Cavour  conte  Camillo,  deputato  al  Parlamento,  notaio  della  Corona,  ministro 
segretario  di  Stato  per  gli  Afhri  esteri»  presidente  del  Consiglio  dei  ministri  —  dal 
17  marzo  al  4  giugno  1861* 

Menabbba  conte  Luigi  Federico,  luogotenente  generale,  senatore  del  Regno  —  dal  12 
giugno  1861  al  8  marzo  1862. 

Pbllion  di  Pbbsano  conte  Carlo,  vice  ammiraglio,  aiutante  di  campo  onorario  di  S.  M. 
—  dal  8  marzo  air  8  dicembre  1862. 

Ricci  marchese  GHloranni,  capitano  di  vascello  in  ritiro,  deputato  al  Parlamento  —  daU 
r8  dicembre  1862  al  22  gennaio  1863. 

MsNABREA  conte  Luigi,  predetto,  incaricato  della  reggenza  del  Ministero  —  dal  22  al 
2'5  gennaio  1863. 

Di  Negro  marchese  Orazio,  vice  ammiraglio  in  ritiro,  senatore  del  Regno  —  dal  25 
gennaio  al  22  aprile  1863. 

Cuoia  cav.  Eflsio,  maggiore  generale,  deputato  al  Parlamento,  aiutante  di  campo  ono- 
rario di  S.  M.  —  dal  22  aprile  1863  al  24  settembre  1864. 

Ferrerò  della  Mabuoba  car.  Alfonso,  deputato  al  Parlamento,  ministro  segretario  di 
Stato  per  gli  Affari  esteri,  presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  incaricato  interi- 
nalmente  del  portafoglio  della  Marina  —  dal  24  settembre  al  21  dicembre  1864. 

Angioletti  Diego,  luogotenente  generale,  senatore  del  Regno  —  dal  21  dicembre  1864 
al  20  giugno  1866. 

Deprbtis  Agostino,  deputato  al  Parlamento  nazionale  —  dal  20  giugno  1866  al  17  feb- 
braio 1867. 

Biancheri  Giuseppe,  depatato  al  Parlamento  nazionale  —  dal  17  febbraio  al  10 
aprile  1867. 

Pescetto  Federico,  maggior  generale  del  Genio  militare,  deputato  al  Parlamento  nazio- 
nale —  dal  10  aprile  al  27  ottobre  1867. 

Msnabrea  conte  Luigi,  predetto,  incaricato  della  reggenza  del  Ministero  —  dal  27 
ottobre  al  10  novembre  1867. 

Provana  del  Sabbione  conte  Pompeo,  vice  ammiraglio  —  dal  10  novembre  1867  al 
6  gennaio  1868. 

KiBOTT  Augusto,  contr*  ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nazionale  —  dal  6  gen- 
naio 1868  al  14  dicembre  1869. 

Castagnola  aw.  Stefano,  ministro  di  Agricoltura  Industria  e  Commercio,  deputato  al 
Parlamento  nazionale,  incaricato  interinalmeute  del  portafoglio  della  Marina  —  dal 
14  dicembre  1869  al  15  gennaio  1870. 

AcTON  Guglielmo,  co ntr* ammiraglio,  senatore  del  Regno  —  dal  15  gennaio  1870  al  31 
agosto  1871. 


7^  QOSTAVO   BOZZONI 


BiBOTT  Angusto,  predetto,  in  ritiro,  senatore  del  Regno  —  dal  81  agosto   1871   ali*  11 

loglio  1873. 
Pacorbt  db  Saint-Bon    Simone,   contr*  ammiraglio,   deputato   al   Parlamento   nazionale 

—  daini  luglio  1878  al  25  mano  1876. 

Brin  Benedetto,   ispettore  del   Genio   navale,    deputato  al  Parlamento   nazionale  —  dal 

25  marzo  1876  al  23  marzo  1878, 
Di  Brocchetti  Enrico,  vice  ammiraglio,  senatore   del  Regno  —  dal   24  roano   al   24 

ottobre  1878. 
Brin  Benedetto,  predetto  —  dal  24  ottobre  al  19  dicembre  1878. 
Ferracgiù  avv.  Niccolò,  deputato  al  Parlamanto   nazionale  —  dal  19  dicembre  1878  al 

14  luglio  1879. 

BoNELLi  Cesare,  tenente  generale,  senatore  del  Regno,  ministro  della  Guerra,  incaricato 
di  reggere  interinalmente  il  Ministero  della  Marina  —  dal  14  luglio  al  25  novem- 
bre 1879. 

ÀcTON  Ferdinando,  contr*  ammiraglio,  senatore  del  Regno  —  dal  25  novembre  1879. 
Confermato  ministro  con  regio  decreto  29  maggio  1881.  Cessò  il  17  novembre  1883. 

Del  Santo  Andrea,  vice  ammiraglio,  deputato  al  PiMrlamento  nazionale  —  dal  17  no- 
vembre 1883  al  30  marzo  1884. 

Brin  Benedetto,  predetto,  ispettore  generale  del  Genio  navale,  deputato  al  Parlamento 
nazionale  —  dal  30  marzo  1884  al  9  febbraio  1891. 

Starrabba  di  Rudinì  marchese  Antonio,  deputato  al  Parlamento  nazionale,  presidente 
del  Consiglio  dei  ministri,  ministro  segretario  dì  Stato  per  gli  Affari  esteri,  inca- 
ricato interinalmente  di  reggere  il  Ministero  della  Marina  —  dal  9  al  15  febbraio  1891. 

Pacoret  de  Saint-Bon  Simone,  predetto,  vice  ammiraglio,  senatore  del  Regno  —  dal 

15  febbraio   1891.  Confermato   ministro   con   regio   deoreto  del   15    maggio    1892 

—  Morto  il  26  novembre  1892. 

Brin  Benedetto,  predetto,  deputato  al  Parlamento  nazionale,  ministro  segretario  di  Stato 
per  gli  Affari  esteri,  incaricato  di  reggere  interinalmente  il  Ministero  della  Marina 

—  dal  27  novembre  all' 8  dicembre  1892. 

Bacchia  Carlo  Alberto,  vice  ammiraglio,  senatore  del  Regno  —  dairS  dicembre  1892 
al  15  dicembre  1893. 

MoRiN  Costantino  Enrico,  vice  ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nazionale  —  dal 
15  dicembre  1893  al  10  marzo  1896. 

Brin  Benedetto,  predetto,  deputato  al  Parlamento,  ispettore  generale  del  Genio  navale 
in  posizione  ausiliaria  —  dal  10  marzo  1896.  —  Confermato  ministro  con  regio 
decreto  del  14  dicembre  1897  —  Morto  il  24  maggio  1898. 

AsiNARi  DI  S  Marzano  Alessandro,  tenente  generale,  senatore  del  Regno,  ministro  della 
Guerra,  incaricato  di  reggere  interinalmente  il  Ministero  della  Marina  dal  24  maggio 
al  1^  giugno  1898. 

Canevaro  Felice  Napoleone,  vice  ammiraglio,  senatore  del  Regno  —  dal  V  al  29  giu- 
gno 1898. 

Palumbo  Giuseppe,  vice  ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nazionale  —  dal  29  giugno 
1898  al  14  maggio  1899. 

Rettolo  Giovanni,  contr' ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nazionale  — ■  dal  14  mag- 
gio 1899  al  24  giugno  1900. 

MoRiN  Costantino  Enrico,  predetto,  senatore  del  Regno,  dal  24  giugno  1900.  —  Confer- 
mato ministro  con  regio  decreto  15  febbraio  1901.  Cessò  il  22  aprile  1908. 

Rettolo  Giovanni,  predetto,  deputato  al  Parlamento  nazionale  —  dal  22  aprile  al  21 
giugno  1903. 


MARINA   MILITARE   E   COSTRUZIONI   NAVALI  73 

MoRiN  Costantinu  Enrico,  predetto,  senatore  del  Regno,  ministro  segretario  di  Stato 
per  gli  Affari  esteri,  incaricato  di  reggere  interinai  mente  il  Ministero  della  Marina 
dal  21  giugno  al  8  novembre  1903. 

GioLrm  Giovanni,  deputato  al  Parlamento  nazionale,  presidente  del  Consiglio,  ministro 
segretario  di  Stato  per  l'Interno,  incaricato  interi nalmente  del  Ministero  della 
Marina  dal  3  novembre  air  11  dicembre  1908. 

MiBABBLLo  Carlo,  vice  ammiraglio,  senatore  del  Regno,  dallMl  dicembre  1903.  Confer- 
mato ministro  successivamente  con  regi  decreti  del  28  marzo  1905,  24  dicembre 
1905,  8  febbraio  e  29  maggio  1906.  In  carica  fino  al  12  dicembre  1909. 

Bbttòlo  Giovanni,  predetto,  vice  ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nazionale  —  dal 
12  dicembre  1909  al  l^"  aprile  1910. 

Leonardi  Cattolica  Pasquale,  contr*  ammiraglio,  senatore  del  Regno  —  dal  V  aprile  1910. 


GUSTAV.O   BOZZONI  -  MARINA   MILITARB   £   COSTRUZIONI   NAVALI  ^^ 


SOTTOSEGRETAaiI  DI  STATO  PER  LA  MARINA 

(dalla  Istltuione  -  Legge  18  febbraio  1888,  n.  S79S) 


Ragcbia  Carlo  Alberto,  vice  ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nasionale  —  dal  18 
febbraio  al  l""  dicembre  1888. 

MoBiN  Costantino  Enrico,  contr*  ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nazionale  —  dal 
r  dicembre  1888  al  19  febbraio  1891. 

CoRm  Rafbele,  contr*  ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nasionale  —  dal  19  feb- 
braio 1891  al  19  gennaio  1893. 

Palumbo  Giuseppe,  contr*  ammiraglio  —  dal  19  gennaio  al  15  dicembre  1898. 

Sebra  Luciano,  oontr*  ammiraglio  —  dal  15  dicembre  1898  al  9  marzo  1896. 

Palumbo  Giuseppe,  predetto,  vice  ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nazionale  —  dal 
9  marzo  1896  al  29  giugno  1898. 

QuioiNi  PuLiOA  Carlo  Alberto,  vice  ammiraglio  —  dal  29  giugno  1898  al  24  giugno  1900. 

Sbrra  Luciano,  predetto,  yice  ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nazionale  —  dal 
24  giugno  1900  al  21  aprile  1903. 

Retnaudi  Carlo  Leone,  contr*  ammiraglio  —  dal  28  aprile  al  17  dicembre  1908. 

AuBRT  Augusto,  contr*  ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nazionale  —  dal  17  dicem- 
bre 1903.  Confermato  sottosegretario  di  Stato  con  regio  decreto  del  31  marzo  1905. 
Cessò  il  22  dicembre  1905. 

Bianco  Augusto,  contr*  ammiraglio  —  dal  24  dicembre  1905.  Confermato  sottosegretario 
di  Stato  con  regio  decreto  dell*  8  marzo  1906.  Cessò  il  1®  giugno  1906. 

AuBBT  Augusto,  predetto,  yice  ammiraglio,  deputato  al  Parlamento  nasionale  —  dal  1* 
giugno  1906  al  12  dicemabre  1909. 

Chimisnti  prof.  avr.  Pietro,  deputato  al  Parlamento  nazionale  —  dal  15  dicembre  1909 
al  P  aprile  1910. 

Bbroamasoo  ing.  Eugenio,  deputato  al  Parlamento  nazionale  ~  dal  2  aprile  1910. 


L'INDUSTRIA  DEI  TRASPORTI  MARITTIMI 


]. 


Precedenti  storici. 


LVyolozìone  storica  della  Marina  mercantile  e  i  snoi  fattori.  —  Il  vapore  e  le  gerarchie 
marittime.  —  L'Italia  nelle  ìndnstrie  del  mare  prima  dell* invenzione  del  vapore.  — 
Napoli  al  principio  del  secolo  XIX  alla  testa  del  progresso  marittimo  in  Italia.  — 
Prime  Società  italiane  di  navigazione  a  vapore.  —  Origine  delle  convenzioni  ma- 
rittime. —  Marina  libera  e  Marina  sovvenzionata.  —  Le  convenzioni  e  la  coscienza 
marittima.  —  Lotta  tra  la  vela  e  il  vapore  ;  navi  miste.  —  I  cantieri  italiani  e  lo 
prime  costruzioni  in  ferro.  —  Il  vapore  e  i  traffici  siciliani.  —  La  a  Transatlantica  » 
e  i  traffici  italiani  con  TÀmerica  e  col  Levante.  —  Le  Marine  dello  Stato  Pontificio, 
della  Toscana  e  del  Governo  dittatoriale  di  Sicilia. 


L*evoluzioDe  storica  della  Marina  mercantile,  durante  il  secolo  decimo- 
nono,  ebbe  presso  tutti  i  popoli  civili  tre  grandi  fattori  :  T  invenzione  del 
vapore;  la  conseguente  sostituzione  del  ferro  al  legno,  e,  pia  tardi,  dell' ac- 
ciaio, nella  costruzione  delle  navi;  la  politica  coloniale  degli  Stati. 

È  fuor  di  dubbio  che  il  primo  di  questi  fattori  fu  anche  causa  deter* 
minante  degli  altri  due,  in  quanto  che  entrambi  ad  esso  debbono,  in  parte 
notevole,  la  loro  origine.  Infatti:  senza  l'invenzione  del  vapore,  mercè  la 
quale  l'uomo  riesci  a  costringere  in  poco  spazio  e  tradurre  in  moto,  quindi 
in  lavoro,  una  forza  naturale  ingente  che  prima  era  rimasta  inerte,  non  sa- 
rebbero stati  possibili  i  progressi  della  metallurgia  in  generale,  e  della 
siderurgia  in  particolare,  che  condussero  alla  odierna  meravigliosa  facilità  di 
lavorazione  del  ferro  e  dell'acciaio,  in  grazia  della  quale  le  costruzioni  navali 
hanno  oggi  conseguito  l'alto  grado  di  perfezione  e  di  rapidità  che  a  tutti  ò  noto. 

Parimenti,  senza  la  nave  a  vapore  —  che  significa  emancipazione  quasi 
completa  della  navigazione  dalla  servitù  degli   elementi  fisici,  ed  è  ad  un 

Giovanni  Boncaoli.  —  L'industria  dei  trasporti  marittimi,  l 


GIOVANNI   RONCAGLI 


tempo  garanzia  di  sicurezza  e  rispaimio  di  tempo  —  Tespansione  economica 
e  politica  dei  popoli  civili,  che  ha  determinato  la  formazione  di  nuovi  e 
vasti  imperi  coloniali,  non*avrebbe  potuto  essere  così  rapida  e  così  estesa 
come  di  fatto  è  stata.  E  mentre  nel  campo  della  navigazione  Tinvenzione 
del  vapore  dava  luogo  ad  una  semplificazione  sorprendente  di  mezzi,  in 
quello  delle  industrie  in  generale  essa  si  traduceva  in  un  impulso  quanto 
mai  vigoroso  alla  produzione,  sino  a  determinare,  con  una  esuberanza  di 
questa,  o  a  rendere  più  impellente,  per  i  popoli  produttori,  la  necessità  di 
quella  espansione  economica,  per  la  quale  la  Marina  veniva  apprestando  mezzi 
sempre  più  facili  e  sempre  più  efficaci. 

Non  sarebbe  possibile  rendersi  ben  conto  della  evoluzione  compiuta 
dalla  Marina  mercantile  nazionale,  senza  essersi  prima  formato  un  concetto 
chiaro  della  evoluzione  più  genei*ale  compiuta  dalla  civiltà  contemporaoea 
nel  campo  economico  ;  anche  perchè,  pur  dovendosi  ammettere  che  gli  stessi 
fattori  non  esercitarono  sempre  identiche  influenze  presso  le  Marine  dei  di- 
versi Stati,  dobbiamo  però  riconoscere  che,  in  sintesi  generale,  Tevoluzione 
storica  della  Marina,  nel  periodo  che  consideriamo,  ò  stata  presso  tutti  i 
popoli  un  gigantesco  progresso.  Di  guisa  che  può  ben  dirsi  che  gli  effetti 
singoli  differenti,  prodotti  dalle  medesime  cause  presso  nazioni  diverse,  hanno 
condotto  ad  un  risultato  sostanzialmente  identico  per  tutti. 

L'invenzione  del  vapore  venne  d*un  subito  ad  assegnare  un  valore,  prima 
quasi  sconosciuto,  ai  combustibili  fossili;  ed  ecco  determinarsi  un  primo 
spostamento  della  capacità  relativa  dei  singoli  Stati  per  rispetto  al  nuovo 
modo  di  locomozione  sul  mare.  Uguali  prima  tutti  davanti  a  quella  grande 
e  volubile  forza  che  è  il  vento,  forza  che  ben  potrebbe  dirsi  democratica 
perchè  a  disposizione  di  tutti  in  ugual  modo,  Tapplicazione  del  vapore  alla 
industria  crea  d'improvviso  privilegi  e  monopoli:  ed  ecco  i  popoli  dividersi 
in  ricchi  e  poveri,  in  aristocrazie  e  democrazie,  rispetto  al  carbone. 

Poco  più  tardi,  quando  appunto  il  ferro  comincia  a  sostituirsi  al  legno 
nelle  costruzioni  navali,  ecco  determinarsi  nuove  differenze  fra  Stato  e  Stato, 
nuovi  privilegi,  nuovi  monopoli  affermarsi  ed  imporsi.  E  vediamo  nazioni, 
presso  le  quali  prosperava  un  tempo  l'industria  del  costruire  navi,  perchè 
ricca  ne  era  la  terra  di  selve  d'ogni  miglior  legname,  decadere  in  quella 
arte,  soverchiate  dall'onda  nuova  di  ferro  e  di  fuoco,  e  cedere  ad  altre,  meglio 
apparecchiate  da  natura  ai  nuovi  bisogni,  il  posto  onorevole  che  avevano  te- 
nuto per  secoli. 

L'Italia  fu  tra  queste.  Le  costruzioni  navali  italiane,  segnatamente  lo 
liguri,  andavano  celebri  nel  mondo  per  solidità  ed  eleganza  di  forme.  La 
ricchezza  delle  foreste  nazionali  fornendo  materiale  eccellente  e  a  buon  mer- 
cato, prosperavano  i  cantieri  sulle  spiagge,  in  ispecìe  sulle  due  Riviere. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi 


La  prodazione  eccellente  della  canapa  e  del  lino  somministrando  a  sua 
Tolta  materia  ottima  per  i  cordami  e  per  le  vele,  la  nave  italiana  che  an- 
dava in  mare,  signora  dei  traffici  un  pò*  dappertutto  nel  mondo,  quasi  non 
aveva  chiodo  che  non  fosse  fatto  di  materia  casalinga;  non  ima  cordicella, 
fra  le  mille  esili  e  robuste  della  ricca  attrezzatura,  che  non  fosse  stata  torta 
di  canapa  cresciuta  in  casa  ;  non  im  lembo  delle  candide  vele  che  non  fosse 
intessuto  di  canapa  o  lino  nazionale. 

E  la  tradizione  di  secoli,  coltivata  da  costante  lavoro,  aveva  creato 
maestranze  eccellenti  nell'arte  loro  ;  sì  che  anche  in  terra  straniera  non  sol- 
tanto andava  onorata  fama  dei  maestri  d*ascia  e  dei  velai  italiani,  ma  ne 
era  eziandio  ricercata  Topera  e  questa  generosamente  ricompensata. 

Nò  vi  era  uomo  di  mare  che,  avendo  per  alcun  tempo  esercitata  Tarte 
sua,  non  sapesse  riconoscere  a  primo  aspetto,  nei  mari  più  diversi  e  più  tra 
loro  lontani,  la  nave  genovese:  il  barco,  come  questa  soleva  chiamarsi  nel 
gergo  dei  marinai  liguri.  Suoi  caratteri  distintivi:  Teleganza  delle  forme 
dello  scafo  ;  lo  slancio  della  prora,  che  pareva  fatta  più  a  scavalcare  che  a 
frangere  le  onde,  e  la  larghezza  abbondante  del  crociamo,  ossia  dei  pennoni. 
La  quale  non  a  caso  era  diventata  fattezza  spiccatissima  del  veliero  mercan- 
tile italiano,  bensì  per  il  maturato  proposito  di  dare  alle  vele  la  maggior 
possibile  ampiezza  senza  di  troppo  elevare  l'alberatura  a  scapito  della  sta- 
bilità, specialmente  quando  si  navigasse  con  vento  di  lato. 

Così  andavano  le  cose,  quando  nel  1818,  undici  anni  appena  dopo  il 
primo  viaggio  di  Fulton  (^),  il  «  Beai  'Ferdinando  > ,  primo,  a  quanto  si 
crede,  nel  Mediterraneo,  prese  il  mare  da  Napoli,  spaventando,  più  che  me- 
ravigliando, le  ignare  popolazioni  delle  coste  (*). 

0)  Roberto  Falton,  nonostante  i  snoi  esperimenti  vittoriosi  fatti  salla  Senna  il  9 
agosto  del  1803,  era  stato  abbandonato  da  Napoleone  che,  impazientito,  alle  sue  nuove 
richieste  d'ainto  gli  aveva  vòlto  le  spalle,  chiamandolo  sognatore.  Solo  quattro  anni  più 
tardi  egli  giunse  finalmente  a  dimostrare  la  possibilità  pratica  delTapplicazione  del  va- 
pore alla  propulsione  delle  navi;  precisamente  lUl  agosto  1807,  col  vapore  a  Clermont  » 
da  lui  fatto  costruire  suirEast  River,  Fnlton  parti  da  New-Tork,  risalendo  1*  Hudson  sino 
ad  Albany,  donde  tornò  a  New-York.  Egli  percorse  così  in  32  ore  alPandata  e  in  30  al 
ritomo,  quella  distanza,  che  è  di  150  miglia  marine. 

(")  Il  tt  Ferdinando  I  ».  più  comunemente  detto  u  Keal  Ferdinando  »,  fu  costruito 
in  Napoli  per  conto  della  ditta  Pietro  Andriel  e  C.  e  varato  nell'agosto  del  1818.  Era. 
in  legno  ed  a  ruote,  della  portata  di  253  tonn.  con  macchina  di  12  cavalli  nominali. 
Intraprese  il  suo  primo  viaggio  tra  Napoli,  Genova  e  Marsiglia  sul  finire  di  settembre» 
al  comando  delPalfierc  di  vascello  Giuseppe  Libetta,  che  di  quel  viaggio  lasciò  memorie 
piene  d'interesse;  e  si  narra  che  alcuni  pescatori,  presso  Fiumicino,  in  veder  fumo  che 
s'inalzava  da  una  nave  in  vista,  credutolo  dMncendio,  accorressero  con  le  loro  barche. 
Il  volgo,  poi,  détte  a  quella  nave  il  nomignolo  di  Serpentone,  forse  paragonandola  al 
leggendario  serpente  di  mare. 


GIOVANNI   RONCAGLI 


Questa  prima  apparizione  della  nave  a  vapore  sul  mare  nostro  e  sotto 
la  bandiera  di  uno  Stato  italiano,  non  rimase  un  fatto  isolato,  ma  fu  il  prin- 
cipio di  quella  trasformazione  del  materiale  nautico  che  ci  condusse  poi  al- 
l'ordinamento dell*industria  della  navigazione  a  vapore  in  Compagnie  ed  alla 
partecipazione  di  queste  ad  alcuni  servizi  pubblici  prima  esercitati  dagli  Stati. 
Il  nuovo  mezzo  di  locomozione  marittima  non  era  più  gratuito  come  il  vento  : 
il  carbone  costava  caro,  tanto  più  che  si  doveva  farlo  venire  da  fuori;  la 
costruzione  della  nave  a  vapore,  meno  semplice  di  quella  del  veliero^  costava 
notevolmente  di  più,  anche  perchè,  mancando  in  paese  il  ferro  e  i  mezzi  per 
lavorarlo,  bisognava  ricorrere  all'estero,  almeno  per  i  macchinarli  (').  Mutate 
dunque  in  tal  guisa  le  condizioni  finanziarie  per  gl'impianti  e  resercizio, 
non  bastavano  più  le  forze  individuali  ;  onde  nacque  il  bisogno  di  radunarle, 
costituendo  Società  di  navigazione,  che  intrapresero  viaggi  regolari  per  il 
trasporto  delle  merci  e  dei  viaggiatori  (')  e  che  presto  sostituirono  lo  Stato 
nel  trasporto  della  posta.  Si  ebbero  così  le  prime  forme  di  quei  contratti 
fra  Stati  ed  armatori  privati  o  Compagnie,  che  anche  oggi  vanno  sotto  il 
titolo  di  K  convenzioni  marittime  *  ;  loro  sostanza,  il  pagamento  da  parte  dello 
Stato  di  ima  specie  di  nolo  à  forfait  o  commisurato  alla  percorrenza,  sempre 
però  più  elevato  del  nolo  corrente  dì  mercato,  in  considerazione  dei  vincoli 
e  degli  oneri  speciali  derivanti  dal  servizio  postale. 

La  convenzione  tra  il  governo  di  Sardegna  e  la  Società  Rabattino  di 
Genova,  conclusa  poco  dopo  il  1848,  per  il  trasporto  della  posta  fra  Genova 
e  la  Sardegna  e  più  tardi  sino  a  Tunisi  ;  quella  quasi  contemporanea  tra  il 
governo  borbonico  e  la  ditta  Ignazio  e  Vincenzo  Florio  di  Palermo,  per  lo 
stesso  servizio  fra  la  Sicilia  e  le  minori  isole  siciliane;  la  convenzione  del  1853 
fra  il  Piemonte  e  la  Compagnia  Transatlantica^  genovese,  per  servizi  re- 
golari con  le  due  Americhe,  e  laltra  stipulata  poi  nel  1857  dal  Florio  me- 
desimo per  il  servizio  postale  fra  Napoli  e  la  Sicilia,  sono  i  primi  esempi 
di  convenzioni  marittime  italiane,  anteriori  tutti  alla  costituzione  del  Uegno 
d'Italia. 

Con  questi  contratti  la  Marina  mercantile  veniva  a  dividersi  in  due 
grandi  branche:  la  Marina  libera,  e  quella  sovvenzionata.  La  prima,  conti- 
nuando, anche  dopo  T  adozione  del  vapore,  nel  regime  di  assoluta  libertà  che 
era  tradizione  antichissima  della  marineria,  senz* altri  vincoli  oltre  quelli 
imposti  dalle  leggi  marittime  generali,  non  obbediva  che  airinteresse  degli 

(')  Le  prime  macchine  marine  fatte  in  Italia  farono  costruite  a  Napoli  nel  1850 
presso  lo  stabilimento  di  Pietrarsa. 

(')  La  Società  napoletana  detta  delle  Due  Sicilie  è  la  prima  Compagnia  di  navi- 
gazione costituitasi  nel  Mediterraneo;  essa  incominciò  Tesercizio  nel  1828  con  nn  piro* 
scafo  costruito  in  Inghilterra. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi 


armatori,  provvedendo,  di  conse^enza,  a  quello  del  commercio  nazionale, 
che  era  base  del  primo.  La  Marina  sovvenzionata  invece,  vincolata  a  parti- 
colari condizioni  di  materiale,  di  itinerario,  di  orario  ecc.,  perduta  quella 
indipendenza,  si  avviava  a  diventare,  come  divenne  poi,  una  specie  di  organismo 
di  Stato,  Teconomia  del  quale  era  governata  da  privati,  sotto  la  vigilanza 
e  col  sussidio  dello  Stato. 

L'influenza  che  esercitarono  sullo  sviluppo  della  Marina  mercantile 
questi  vincoli  contrattuali  con  lo  Stato,  fu  tale  in  seguito,  che  giova  entrare 
sin  d'ora  in  qualche  particolare.  Ricorderemo,  a  titolo  d'esempio,  i  patti 
principali  della  convenzione  con  la  Transatlantica,  la  prima  che  sia  stata 
conchiusa  in  Italia  per  servizi  oceanici. 

Secondo  quella  convenzione,  che,  stipulata  il  5  aprile  1858,  divenne  ese- 
cutiva con  legge  dell' 11  luglio,  la  Compagnia  si  obbligava  a  costruire  sette 
piroscafi  ad  elica,  di  non  meno  di  1500  tonn.  e  con  macchine  della  forza 
minima  di  250  cavalli,  capaci  di  trasportare  almeno  80  passeggeri  di  prima 
classe  e  100  «  di  prua  >,  come  dice  il  testo  ufficiale;  e  assumeva  impegno 
di  intraprendere,  entro  un  anno  dalla  promulgazione  della  legge,  viaggi  re- 
golari mensili  fra  Genova  e  New-Tork,  toccando  Marsiglia,  Barcellona,  Ma- 
laga, Gibilterra  e  Madera,  e  fra  Genova  e  Montevideo,  toccando,  oltre  glK 
scali  precedenti,  anche  Fernambuco,  Bahia  e  Bio  Janeiro.  La  durata  det 
viaggio,  comprese  le  fermate  nei  porti,  non  doveva  superare  i  22  giorni  fra 
Genova  e  New-Tork  e  i  88  fra  Genova  e  Montevideo.  Ogni  viaggio  per 
TÀmerica  del  Nord  sarebbe  stato  ricompensato  con  un  sussidio  di  L.  22,000, 
mentre  ogni  viaggio  per  l'America  del  Sud  avrebbe  dato  diritto  ad  una 
sovvenzione  di  L.  30,000.  In  complesso,  dunque,  la  Compagnia,  qualora 
avesse  compiuto  effettivamente  un  viaggio  al  mese  per  ciascuna  destinazione, 
avrebbe  percepito  la  sovvenzione  annua  totale  di  L.  624,000,  equivalente  a 
poco  più  di  due  lire  per  miglio.  Inoltre  le  sue  navi,  equiparate  in  ciò  a 
quelle  della  Marina  Beale,  sarebbero  state  esenti  dalle  tasse  d'ancoraggio  e 
consolari.  La  convenzione  doveva  durare  15  anni. 

Questa  citazione  alquanto  particolareggiata  dei  patti  della  prima  con- 
venzione italiana  per  servizi  oceanici  ò  utile  per  collocare  in  conveniente 
situazione  cronologica  l'orìgine  di  certi  privilegi  e  di  certe  forme  di  mono- 
polio che,  come  si  vedrà  nel  seguito,  esercitarono  una  influenza  notevole 
sulle  sorti  della  Marina  mercantile  a  vapore  e  più  ancora  sulla  coscienza 
stessa  della  nazione,  dopo  la  proclamazione  del  nuovo  Begno.  Infatti,  da  questi 
provvedimenti  d'ordine  politico  ed  economico,  diventati  necessari  soltanto 
perchè  lo  Stato  non  poteva  più  provvedere  direttamente,  come  in  passato,  in 
causa  delle  aumentate  esigenze,  ebbe  origine  la  credenza  generale  che  la 
contribuzione  dello  Stato  fosse  una  necessità  per  lo  sviluppo  della  Marina 
mercantile.  Vedremo  in  seguito  quali  effetti  abbia  prodotto  sul  progresso 
della  Marina,  e  in  generale  sull'economia  nazionale,  questa  credenza. 


6  GIOVANNI   RONCAGLI 


¥     ¥ 


L* adozione  della  macchina  a  vapore  per  la  propnlsìone  delle  navi  non 
giunse  però  così  presto  a  generalizzarsi  in  Italia,  come  forse  erasi  pensato 
sni  primordi  della  nuova  èra  della  navigazione.  Jl  veliero  pareva  vedesse  di 
mal  occhio  il  suo  giovane  compagno  dalle  viscere  ardenti  ;  e  mentre  veniva 
contestandogli  a  palmo  a  palmo  il  campo,  pur  retrocedendo  lentamente,  volle 
ad  esso  associarsi,  quasi  per  sorvegliarlo,  se  non  per  dominarlo  un  giorno: 
in  apparenza,  per  aiutarlo.  Così  le  prime  navi  a  vapore  furono  tutte  navi 
miste  ;  e  se  ne  ebbero  di  due  tipi  :  quello  della  nave  a  vapore  con  velatura 
ausiliaria,  durato  lungamente  e  scompai-so  appena  da  pochi  anni  dal  servizio 
mercantile,  e  l'altro  della  nave  a  vela  con  macchina  ausiliaria.  Quest'ultimo 
tipo,  meno  generalizzato  dellaltro,  è  però  sopravvissuto,  e  certo  vivrà  lunga- 
mente ancora,  in  quanto  che  rappresenta  oggi  l'espressione  più  logica  del 
primitivo  connubio  e  la  sua  più  pratica  applicazione.  Il  vapore  non  ucci- 
derà mai  del  tutto  la  vela;  e  ciò,  non  tanto  a  cagione  di  quelle  incancel- 
labili differenze  fra  Stato  e  Stato  delle  quali  fu  fatto  cenno  da  principio, 
quanto  perchè  la  forza  naturale  e  gratuita  del  vento  esisterà  sempre.  L'uomo 
è  incline  per  natura  ad  utilizzare  tutto  quaoto  cade  in  suo  potere:  in  mare 
il  vapore  non  sostituirà  mai  del  tutto  il  vento,  come  in  terra  non  sostituirà 
mai  la  forza  idraulica  anch'essa  inesauribile.  Vediamo  ancora  oggi  mulini 
a  vapore,  idraulici  ed  a  vento,  coesistere  accanto  ai  mulini  elettrici  che  rap- 
presentano l'ultima  conquista  dell'uomo  nella  meccanica  industriale:  coesi- 
stere non  solo,  ma  progredire  e  perfezionarsi  di  pari  passo,  solo  dividendosi 
il  campo  anziché  contenderselo.  Così  in  mare:  il  vapore,  che  ha  già  total- 
mente soppiantato  la  vela  nelle  Marine  militari,  non  farà  mai  altrettanto 
in  quelle  mercantili.  Ristretto,  sì,  rimarrà  il  campo  riservato  alla  nave  ve- 
liera; né  sarà  quel  campo  interdetto  mai  al  piroscafo;  ma  rimarrà.  Ed  in 
quello  il  vento  servirà  sempre  la  navigazione,  in  omaggio  ad  un  principio 
immutabile  di  equilibrata  economia:  sarà,  quel  campo,  costituito  negli  oceani 
dalle  grandi  zone  dei  venti  costanti  o  periodici,  e,  nei  mari  che  dovrebbero 
dirsi  territoriali,  dalle  zone  frequentate  dal  piccolo  cabotaggio,  dalle  navi- 
celle pescherecce  ecc.;  ma  sarà  campo  perpetuo  che  nessuna  scoperta  chiu- 
derà mai  se  non  sarà  di  forza  altrettanto  perpetua,  generale,  libera  e  gra- 
tuita quanto  è  quella  del  vento. 


Mentre  nelle  Marine  di  Sardegna  e  del  Reame  di  Napoli,  soli  Stati 
veramente  marittimi  della  penisola,  a  quel  tempo,  venivano  prendendo  posto 
le  navi  a  vapore,  continuavano  i  cantieri  italiani,  in  particolare  quelli  della 
Liguria,  a  fabbricar  velieri  in  legno,  e  gli  armatori  a  mandarne  un  po'  per 
tutti  ì  mari.  La  costruzione  in  ferro  non  fece  che  più  tardi  la  sua   appari- 


l'industria  dei  trasporti  marittimi 


zione  siccome  quella  che  richiedeva  impianti  nuovi  e  maestranze  nuovamente 
addestrate,  oltre  al  materiale  da  lavoro  che  si  doveva  far  venire  da  fuori. 
Pare  che  Y  «  Azzardoso  « ,  brigantino  in  ferro  della  Marina  Sarda,  costruito  a 
Genova  nello  storico  cantiere  della  Foce,  verso  il  1859,  sia  stato,  nel  campo 
deirarchitettura  navale,  il  primo  saggio  dì  costruzione  metallica  paesana. 

I  velieri  napoletani  e  siciliani  trafficavano  attivamente  coi  porti  degli 
Stati  Uniti,  dove  trasportavano  zolfo,  agrumi  e  sommacco,  tornandone  in  gran 
parte  carichi  di  quelle  esili  tavolette  onde  gli  agrumai  fanno  poi  le  casse, 
nelle  quali  spediscono  i  loro  prodotti. 

La  intensità  di  questi  traffici  fece  sin  d^allora  pensare  alla  convenienza 
di  sostituire  il  vapore  alla  vela  su  quelle  linee;  ma  l'avversa  fortuna  incon* 
trata  da  due  armatori  palermitani,  il  De  Pace  ed  il  Tagliavia,  che  succes- 
sivamente vollero  tentare  la  prova,  indusse  gli  spiriti  meglio  intraprendenti 
ad  aspettare  tempi  più  maturi.  Non  si  può  dire  che  di  questo  insuccesso 
abbia  avuto  a  soffrire  gran  danno  il  commercio  di  quelle  regioni,  perchè  sa- 
bito dopo,  sotto  la  bandiera  inglese,  chiamatavi  dal  Tagliavia  medesimo,  fu 
istituita  quella  comunicazione  regolare  che  ancora  oggi  VAnchor  Line  man- 
tiene con  suo  profitto,  nonostante  la  concorrenza  che  sul  mercato  degli  Stati 
Uniti  fanno  oggi  alla  Sicilia  gli  agrumi  della  California  e  gli  zolfi  della 
Luisiana  e  del  Giappone.  Ma  se  non  ebbe  a  soffrirne  il  commercio,  certa- 
mente ne  sofferse  V economia  generale;  perchè  tutto  l'utile  che  poteva  oflfrire 
la  nuova  industria  di  trasporti  per  via  di  mare  esulò  dalla  Sicilia  e  dal 
Napoletano,  e  questo  danno  certamente  non  fu  mai  compensato  col  maggior 
benefizio  che  traevano  pochi  enti  locali  dal  maggior  traffico  in  alcuni  porti. 

• 

Le  vicende  della  guerra  per  T  indipendenza,  ed  alcune  difficoltà  sdrte 
nella  costruzione  delle  navi,  ritardarono  anche  Tesecuzione  dei  progetti  ma- 
rittimi approvati  dal  Parlamento  subalpino  mediante  la  convenzione  con  la 
Transatlantica.  Soltanto  il  20  ottobre  del  1856  la  Compagnia  potè*  veramente 
stabilire  una  comunicazione  regolare  col  Bmsile,  dopo  avere  migliorato  la 
propria  situazione  finanziaria,  ricorrendo,  con  Taiuto  del  governo,  al  capitale 
inglese.  Stipulata  il  23  maggio  dello  stesso  anno  una  nuova  convenzione,  in 
luogo  della  precedente,  la  Transatlantica  assumeva  i  servizi  con  TAmerica 
Meridionale  e  col  Levante,  sino  a  Trebisonda,  con  un  sussidio  annuo  di  oltre 
un  milione,  riducibile  a  poco  meno  di  un  milione  dopo  i  primi  anni.  La 
linea  per  gli  Stati  Uniti  fu,  di  comune  accordo,  abbandonata,  in  causa  della 
troppo  attiva  concorrenza  straniera. 

Se  non  che,  non  ostante  le  migliorate  condizioni,  la  Compagnia,  per  de- 
ficiente ordinamento,  per  indisciplina  degli  equipaggi  e  per  sinistri  patiti  in 
mare,  lungi  dal  consolidarsi,  venne  troppo  presto  a  dissolversi.  La  sua  fiotta, 
composta  in  origine  dei  quattro  piroscafi  •  Genova  »,  «  Torino  i»,  •  Conte  di 


8  GIOVANNI   RONCAGLI 


Cavour  »  e  «  Vittorio  Emannele  v»,  tutti  press'a  poco  uguali  (circa  1500  ton- 
nellate di  dislocamento  e  700  cavalli  indicati  di  forza),  al  1860  erasi  ridotta 
a  due  soli,  il  «Cavour*  e  il  «Vittorio  Emanuele».  Il  •  Torino  «,  che  era 
stato  acquistato  dalla  Marina  siciliana  durante  Tepopea  garibaldina,  investito 
sugli  scogli  della  costa  calabrese  il  20  agosto  di  quell'anno,  era  stato  messo 
a  fuoco  da  Bixio,  acciò  non  cadesse  preda  del  Borbone  ;  il  «  Genova  «  era  pa- 
rimenti andato  distrutto  dairincendio  in  un  porto  di  Spagna,  mentre  era  in 
viaggio  per  il  Piata,  carico  di  materie  esplosive.  Gli  altri  due  passarono  a  far 
parte  delFarmata  del  nuovo  Regno  :  il  secondo,  mutando  in  quello  di  «  Volturno  « 
il  suo  nome  di  «  Vittorio  Emanuele  «,  già  portato  da  una  bella  e  gloriosa 
fregata  di  linea. 

Cadeva  per  tal  modo,  si  può  dire  appena  nato,  il  frutto  della  sapiente 
iniziativa  presa  dal  Conte  di  Cavour  ;  la  marina  a  vapore  della  nascente  Italia 
si  rattrappiva  un'altra  volta,  dopo  un  tentativo  di  espansione  che  era  forse 
stato  alquanto  prematuro. 

Accanto  alle  Marine  di  Sardegna  e  del  Bearne  di  Napoli,  poc'altra  cosa 
rimaneva  degli  altri  Stati  minori. 

La  Marina  mercantile  dello  Stato  pontifìcio  veniva  terza  per  numero  di 
navi  e  per  tonnellaggio,  ma  era  ben  lontana  da  quella  importanza  che,  a 
malgrado  delle  difScoltà  dei  tempi,  avevano  le  altre  due. 

Due  litorali  disgiunti,  due  marine  distinte.  Tale  la  condizione  generale 
di  quella  Marina;  la  quale,  al  l""  gennaio  1847,  cioè  poco  dopo  Tassunzione 
di  Pio  IX  al  soglio,  possedeva  —  come  narra  il  Cialdi  —  1323  Davi  del 
tonnellaggio  complessivo  di  26280.59  tonnellate. 

Queste  cifre  stanno  a  dirci  che  nel  numero  tramandatoci  dal  valente 
scrittore  di  cose  di  mare,  andavano  comprese  le  navicelle  del  piccolo  cabo- 
taggio e  della  pesca;  ed  era  appunto  il  piccolo  cabotaggio  ragion  d'essere 
principale  di  quella  Marina:  il  tonnellaggio  medio  non  giungeva  alle  20  ton- 
nellate, uguale  nel  Tirreno  come  neirAdriatico  ;  mentre  a  questo  mare  tro- 
vavansi  ascritte  1136  navi  di  22437.21  tonnellate,  in  quello  non  se  ne  avevano 
che  187,  con  3843.38  tonnellate. 

Tuttavia,  la  Marina  del  litorale  adriatico,  quella  che  poi  si  aggiunse 
subito  alle  altre  nel  foimare  la  Marina  del  nuovo  Regno,  era,  più  della  so- 
rella tirrena,  dedita  ai  viaggi  di  lungo  corso  e  di  gran  cabotaggio.  E  mentre 
navi  pontifìcie  del  compartimento  di  Ancona,  condotte  da  capitani  in  gran 
parte  anconitani,  traflBcavano  in  tutto  il  Mediterraneo  e  specialmente  col 
Levante,  con  Vlnghilterra,  la  Scandinavia,  il  Baltico  e  coi  porti  delle  due 
Americhe,  le  piccole  navi  tirrene  facevano  a  mala  pena  qualche  viaggio  per 
la  Spagna  o  verso  qualche  altro  porto  del  Mediterraneo  occidentale.  Dallo 
Stato  romano  si  esportavano  a  Napoli  e  a  Genova  cereali,  lane,  legname  e 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  ^ 

carbone  di  legna,  prodotti  di  pastorìzia  e  droghe,  e  su  questi  trafSci  locali 
yi7e?a  la  piccola  Marina  tirrena  dei  pontefici. 

Il  Granducato  di  Toscana  vantava  ottimi  marinai  nelle  popolazioni  lito* 
ranee  di  Livorno  e  Viareggio  e  in  quelle  deirisola  d'Elba;  e  i  velieri  toscani 
facevano  più  generalmente  vis^gi  di  gran  cabotaggio.  La  Marina  a  vapore 
ebbe  anche  essa  i  suoi  rappresentanti  sotto  la  bandiera  granducale  in  alcuni 
piroscafi  che  come  il  «  Giglio  »,  il  «  Castore  «  ed  il  «  Polluce  « ,  costruiti 
in  Livorno  nel  piccolo  cantiere  detto  dei  Quattro  Mori,  facevano  specialmente 
viaggi  per  TÀrcipelago  toscano  e  la  vicina  Genova. 

Finalmente,  va  ricordata  la  Marina  siciliana  del  periodo  dittatoriale, 
che,  allestita  con  patriottico  slancio  da  Luigi  e  Paolo  Orlando,  fu  strumento 
importantissimo  della  storica  rivoluzione.  Militare  e  mercantile  al  bisogno: 
i  nomi  gloriosi  dei  «  Washington  « ,  dei  «  Cambria  »,  dei  •  Rosolino  Pilo  »  e 
di  altri,  sono  ad  un  tempo  legati  al  risorgimento  politico  della  nazione  italiana, 
e  a  quello  pia  umile,  ma  non  meno  benefico,  della  sua  Marineria  mercantile. 


II. 
Periodo  iniziale,  dal  1860  alle  Convenzioni  del  1877. 

La  sitaazione  marittima  generale  della  nuova  Italia  nel  1860.  —  Intervento  dello  Stato  ; 
convenzioni  con  le  ditte  Florio  e  Rubattino;  prime  forme  rudimentali  di  credito 
navale.  —  Il  Canale  di  Suez  e  i  trafori  alpini  ;  conseguenze  sui  traffici  marittimi  del 
Mediterraneo.  —  Pregiudizi  della  consuetudine  velica.  —  La  Società  anglo-italiana 
AdriaticO'Orieniale,  —  La  Valigia  delle  Indie.  —  La  linea  Genova-Bombay  isti- 
tuita da  Rubattino.  —  La  Trinacria.  —  Ripresa  delle  comunicazioni  con  T America 
meridionale.  —  Evoluzione  della  pubblica  coscienza  in  materia  di  sovvenzioni  ma- 
rittime. —  Le  conyenzioni  del  1877. 


Tale  era  la  situazione  della  Marina  mercantile  presso  gli  Stati  marit- 
timi d'Italia  all'alba  del  risorgimento  nazionale. 

Compiuto  finalmente  il  voto  secolare  degli  Italiani,  occorreva  dar  mano 
a  riordinare  la  situazione  economica  del  paese,  molto  depressa  per  le  lunghe 
servitù  politiche  e  disordinata  dalla  rivoluzione;  e  i  nuovi  reggitori,  non 
ostante  la  immensa  congerie  di  cose  alle  quali  dovevasi  provvedere,  non  tar- 
darono a  dare  le  loro  cure  anche  alla  Marina,  mostrando  di  intendere  quale 
alta  funzione  essa  eserciti  neireconomia  generale  della  nazione. 

Il  bisogno  di  creare  una  forte  Marineria  mercantile  risultava  da  alcuni 
fatti  generali,  che  contribuivano  a  determinare  la  situazione  economica  della 
nuova  Italia.  A  parte  la  necessità  di  stabilire  comunicazioni  regolari  tra  il 
continente  e  le  isole,  e  di  assicurare  così  il  servizio  della  posta,  la  confor- 


10  GIOVANNI   RONCAGLI 


inazione  corografica  del  territorio  e  la  sua  struttura  orografica,  messe  in  rap- 
porto con  la  popolazione,  già  sin  da  allora  così  intensa  in  qualche  parte  da 
dar  luogo  ad  una  emigrazione,  facevano  dell* Italia  un  paese  di  importazione. 
I  prodotti  paesani  più  necessari  alla  vita  erano  insufficienti  ;  le  industrie  si 
trasformavano  in  conseguenza  dellMnvenzione  del  vapore  ;  altre  nuove  sorge- 
vano, come  ad  esempio  quella  delle  costruzioni  metalliche,  aiutate  da  uno 
spirito  di  intraprendenza  assai  promettente,  cui  favoriva  con  grande  efficacia 
il  progredire  della  scienza  in  tutti  i  rami,  anch^esso  agevolato  in  parte 
dalla  nuova  libertà.  Nuovi  bisogni  si  fecero  pertanto  sentire,  e  fra  i  primi 
quello  di  introdurre  da  fuori,  per  le  nascenti  industrie,  il  ferro  e  il  carbon 
fossile  che  mancavano  in  casa. 

D*altro  canto,  il  risveglio  industriale,  sebbene  ancora  al  suo  inizio,  deter- 
minava Topportunità  di  ricercare  per  tempo  mercati  di  sbocco  per  alcune  esu- 
bei-anze  di  produzione  che  si  sarebbero  presto  verificate  :  donde  il  traffico  di 
esportazione.  Al  quale  doveva  più  tardi  aggiungersi  quello  specialissimo  del 
trasporto  degli  emigranti,  quando,  per  il  rapido  incremento  della  popolazione, 
e  per  tante  altre  cause  diverse,  questo  fenomeno  venne  ad  assumere  quelle 
rilevanti  proporzioni  che  perdurano  ancora. 

Finalmente,  favorendo  il  nuovo  stato  politico  ogni  sorta  di  transazioni 
fra  popoli  liberi,  il  commercio  in  generale  veniva  riguadagnando  quella  forza 
d'espansione  in  tutti  i  sensi  che  la  lunga  oppressione  politica  aveva  in  gran 
parte  depressa  ;  cadute  le  barriere  protezionistiche  degli  antichi  Stati  italiani, 
gli  scambi,  anche  interni,  si  rianimavano,  e  il  generale  progresso  della  mec- 
canica e  della  costruzione  navale,  secondando  il  forte  spirito  avventuriero  dei 
nostri  marinai,  generava  una  forza  nuova  che  bisognava  volgere  a  profitto 
della  economia  nazionale. 

La  navigazione  a  vapore,  sebbene  in  via  di  generalizzarsi,  era  però  an- 
cora in  periodo  di  esperimento:  dominatrice  del  mercato  marittimo  un  po'  da 
per  tutto  nel  mondo,  ma  in  Italia  specialmente,  era  sempre  la  vela:  e  nono- 
stante Teloquenza  dei  fatti  e  dei  risultamenti  già  ottenuti  in  poco  meno  di  mezzo 
secolo  dalla  prima  comparsa  del  piroscafo  nel  Mediterraneo,  la  forza  della 
consuetudine  contrastava  ancora  il  trionfo  del  vapore;  soltanto  generazioni 
nuove  avrebbero  potuto  renderlo  intero. 

Data  questa  situazione  di  fatto,  era  naturale  che  ad  aiutare  lo  sviluppo 
della  navigazione  a  vapore  dovesse  intervenire  lo  Stato;  tanto  più  che,  do- 
vendosi provvedere  a  stabilire  comunicazioni  marittime  regolari  fra  le  diverse 
regioni,  e  con  le  isole,  non  c'era  ormai  da  esitare  nella  scelta  del  mezzo. 

Fra  i  primi  atti  del  Governo,  dopo  la  proclamazione  del  nuovo  Regno, 
vanno  registrati  la  conferma  per  altri  otto  anni  del  contratto  con  la  ditta 
Florio  per  i  servizi  fra  Napoli  e  la  Sicilia,  e  la  convenzione  del  21  no- 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  11 

yembre  1861  oon  la  ditta  Rubattino  di  Genova,  per  il  servizio  postale  della 
Sardegna. 

Seguirono  quella  del  3  dicembre  1861  con  la  ditta  Accossato  e  Pei- 
ranOy  pure  di  Genova,  per  il  servizio  postale  fra  il  Tirreno  e  TAdriatico,  al 
quale  furono  adibiti  quattordici  piroscafi,  e  Taltra  dell'S  aprile  1862,  con  la 
ditta  Florio,  già  ricordata,  per  sistemare  in  modo  definitivo  il  servizio  postale 
fra  i  porti  della  Sicilia  e  quelli  del  continente. 

È  da  notarsi  che  con  queste  convenzioni,  tutte,  dal  più  al  meno,  uguali 
nella  sostanza  e  nella  forma,  mentre  provvedeva  ad  assicurare  l'esercizio  della 
navigazione  marittima  fra  certi  determinati  porti,  mediante  l'assegnazione  di 
un  compenso  proporzionale  alla  percorrenza,  il  Governo  veniva  fortemente  in 
aiuto  delle  ditte  armatrici,  fornendo  loro  capitali  sotto  forma  di  anticipazioni 
senza  interessi,  con  lo  scopo  di  aiutare  la  formazione  delle  nuove  flotte  a 
vapore  (').  Sostanzialmente,  per  quanto  in  forma  rudimentale,  trattavasi  di 
atti  di  vero  credito  navale,  a  condizioni  di  favore,  giustificate  dalla  ecce- 
zionalità del  momento  ;  essi  non  furono  però  mai  integrati  e  disciplinati  con 
la  creazione  di  un  istituto  di  vero  credito  navale,  che,  ove  fosse  sdrto  a 
tempo,  avrebbe  forse  potuto  agevolare  la  costituzione  della  Marina  a  vapore 
del  nuovo  Regno  e  favorirne  il  successivo  sviluppo. 

In  grazia  di  questi  provvedimenti,  ebbe  vita,  in  breve  tempo,  una  Manna 
sovvenzionata,  composta  all'incirca  di  una  quarantina  di  piroscafi  eccellenti, 
tutta  dedicata  ai  servizi  marittimi  interni. 

Ma  con  l' insuccesso  della  Transatlantica,  il  primo  tentativo  di  stabilire 
servizt  oceanici  era  andato  fallito  ;  le  comunicazioni  regolari  con  le  due  Ame- 
riche venivano  a  mancare;  soltanto  più  tardi,  il  gagliardo  e  illuminato  pro- 
posito del  Conte  di  Cavour  doveva  tradursi  durevolmente  in  atto  ('). 

Intanto,  ad  estendere  sempre  più  gli  effetti  della  rivoluzione  determinata 
nel  campo  dei  traffici  marittimi  dall'invenzione  del  vapore,  contribuiva  la 
grande  idea  di  Ferdinando  Lesseps.  Concepita  nel  1854,  essa  era  già  entrata 
nel  campo  dei  fatti.  La  Compagnia  universale  del  Canale  marittimo  di 
Suez  aveva  cominciato  ad  emettere  le  sue  azioni;  e  i  lavori  per  la  esca- 
vazione del  Canale,  intrapresi  nel  1862,  erano  proseguiti  alacremente. 

Il  tenue  filo  d'acqua  già  veniva  distendendosi  sulle  sabbie  ardenti  del- 
l'Istmo di  Suez,  e  in  breve  volgere  di  tempo  si  sarebbe  allacciato  dall'un 
capo  al  Mediterraneo,  bmlicante  di  navi,  dall'altro  al  solitario  Mar  Bosso, 
dominio  ancora  quasi  esclusivo  dei  piloti  arabi  e  indiani. 

(*)  La  somma  di  5,800,000  di  lire  così  distribuita:  al  Florio  un  milione,  al  Rubat- 
tino 1,800,000  lire,  e  alla  ditta  Accossato  e  Peirano  3,000,000. 

(')  Promovendo  la  costituzione  della  Tran$atlantica,  il  Conte  di  Cavour  aveva 
voluto  che  ritalia,  risorgendo,  stendesse  le  proprie  braccia  sui  due  emisferi;  e  questo  suo 
proposito  era  dimostrato  dalle  convenzioni  per  le  linee  di  America  e  del  Levante. 


12  GIOVANNI   RONCAGLI 


L'unione  dei  due  mari  voleva  dire  Tinaugurazione  di  una  nuova  èra  di 
attività  mediterranea.  Il  mare  deirantichità  classica  e  medievale,  il  mare 
dei  traflBci  per  eccellenza,  rimasto  per  secoli  senza  competitori,  e  che  aveva 
veduto  le  grandezze  di  Atene  e  di  Boma  e,  più  tardi,  degli  Arabi,  dei  Nor- 
manni e  delle  Repubbliche  italiane,  stava  per  entrare  in  un  periodo  nuovo 
di  importanza  e  di  prosperità.  Bacino  chiuso  sino  a  quel  tempo,  era  allora 
presso  a  diventare  un  tratto  importantissimo,  anzi  il  più  importante  della 
nuova  via  per  le  Indie. 

Lltalia  che,  in  grazia  dei  primi  trafori  alpini,  si  apprestava  ad  entrare 
in  più  intimi  rapporti  con  l'Europa  centrale,  comprese  bens)  Timportanza 
deiravvenimento  che  stava  per  compiersi,  ma  non  così  da  trarne  subito  par- 
tito con  alcuno  di  quegli  atti  di  energia  collettiva  che  furono  talvolta  la  for- 
tuna di  un  popolo. 

Il  Governo  del  tempo,  preoccupandosi  appunto  delle  conseguenze  che 
avrebbe  avuto  sull'economia  nazionale  l'apertura  del  Canale  di  Suez,  ebbe 
in  vista  due  cose:  attirare  sul  territorio  nazionale  il  commercio  di  transito 
dell'Europa  con  gli  scali  dell'India  e  dell'estremo  Oriente,  cui  sperava  avreb- 
bero favorito  i  passi  ferroviari  alpini;  preparare  la  Marina  mercantile  nazio- 
nale a  prendere  posto  onorevole  nella  nuova  gara  che  indubbiamente  si  sa- 
rebbe accesa  all'aprirsi  del  Canale. 

Ma  il  paese  non  corrispose  che  troppo  imperfettamente  alle  chiare,  seb- 
bene ottimistiche,  vedute  dei  suoi  reggitori.  Ancora  sotto  Tìnfluenza  della  per- 
turbazione generale  che  avevano  cagionata  i  fatti  della  rivoluzione  e  le  guerre 
deir indipendenza,  forse  anche  cedendo  troppo  ad  un  bisogno  di  raccoglimento, 
il  paese  mostrò  di  non  rendersi  esatto  conto  dell'importanza  di  ciò  che  stava 
per  accadere. 

D'altra  parte,  poi,  anche  in  questa  occasione  venne  a  palesarsi  tutta 
intera  la  fatale  forza  ritardatrice  della  consuetudine. 

Una  delle  grandi  obbiezioni  clie  da  molti  si  movevano  allora  contro 
la  vantata  utilità  del  Canale  di  Suez,  non  certo  ad  impugnarla,  bensì  a 
scemarla,  era  questa  :  la  nuova  via  non  sarebbe  stata  utile  alle  navi  a  vela, 
perchè  troppo  gravosa  la  tassa  di  transito  e  perchè  il  Mar  Rosso,  a  cagione 
del  clima  inclemente  e  dei  vènti  che  vi  dominano,  non  era  adatto  alla  na- 
vigazione a  vela  di  lungo  corso. 

Tutto  ciò  era  esatto,  ma  non  così  la  conseguenza  che  da  quelle  premesse 
fu  tratta:  doversi  cioè  affidare  mediocri  speranze  a  quella  nuova  via,  perchè 
non  opportuna  per  i  velieri.  Se  fin  d'allora  si  fosse  dato  mano  ad  una  più 
vigorosa  trasformazione  del  materiale,  affrettando  lo  sviluppo  della  naviga- 
zione a  vapore,  la  Marina  mercantile  italiana  avrebbe  potuto  prepararsi  un 
ben  diverso  avvenire. 

Bene  intesero  invece  altri  popoli  questa  necessità;  onde  quando  la 
congiunzione  dei  due  mari  fu  compiuta,  numerose  si  incamminarono  le  navi 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  13 

di  altre  bandiere  per  l'angusto  solco,  che  nella  sua  picciolezza  veniva  a 
compiere  fatto  sì  grande  ;  ed  ebbe  vita  quella  fìtta  rete  di  ricchissimi  traf- 
fici che  oggi  è  fonte  principale  di  prosperità  per  chi  seppe  osare  allora. 

Il  Governo,  come  già  fu  detto,  aveva  bene  misurato  sin  da  principio 
la  portata  economica  della  grande  opera;  e  prevedendo  quella  deviazione  dei 
trafBci  che  si  ebbe  subito,  da  ponente  verso  levante,  per  la  nuova  via  ma- 
rittima, il  2  gennaio  del  1862  concludeva  con  Tindustriale  inglese  Sir 
Charles  M.  Palmer  una  convenzione  per  quindici  anni,  in  virtù  della  quale 
ebbe  vita  la  Società  anglo-italiana  Adriatico' Orientale  per  i  servizi  regolari 
tra  Venezia  e  TEgitto;  porto  d'armamento,  Ancona. 

Intendimento  degli  uomini  preclari  che  dettero  vita  a  questa  prima  na- 
vigazione italo-egizìa,  ei*a  quello  di  far  s)  che  Tltalia  prendesse  posizione  in 
quella  grande  fiumana  di  trafSci  che  —  sin  d'allora  lo  si  intuiva  —  sa- 
rebbe venuta  a  stabilirsi  tra  TEuropa  centrale,  le  Indie  e  l'Estremo  Oriente, 
avvolgendo  intera  la  penisola.  E  mentre  provvedevano  ad  assicurare  coi  servizi 
della  Adriatico- Orientale  la  parte  marittima  del  tragitto,  con  l'apertura 
della  Galleria  del  Fréjus  ed  il  completamento  della  linea  ferroviaria  lungo 
il  lido  adriatico,  tendevano  alacremente  a  dare  all'Italia  quella  posizione  che 
la  natura  e  l'arte  cooperanti  le  avevano  assegnata  nel  movimento  dei  tra£Bci 
indo-europei.  Natura  ed  arte  cooperavano  a  fare  dell'Italia  il  paese  di  tran- 
sito per  eccellenza,  siccome  situato  precisamente  sull'asse  della  grande  fiumana 
e  ricco  di  incanti  e  di  seduzioni  che  favorivano  il  passaggio  dei  viaggiatori 
per  le  sue  terre  e  le  sue  città.  E  con  questa  chiara  visione  delle  cose  e  dei 
fatti,  si  preparava  sin  d'allora  la  via  a  quella  Valigia  delle  Indie  che,  se  mag- 
giore fosse  stato  a  quel  tempo  lo  slancio  italiano  verso  la  navigazione  a  vapore, 
avrebbe  forse  potuto  diventare  trafiBco  italiano  per  il  transito  mediterraneo. 

Come  per  le  convenzioni  da  prima  ricordate,  anche  con  questa  conchiusa 
con  la  Adriatico- Orientale,  il  Governo  faceva  alla  Società  un'anticipazione 
di  un  milione  e  mezzo  di  lire,  senza  interessi,  e  al  tempo  stesso  concedeva 
un  sussidio  di  35  lire  per  lega  navigata,  riducibile  a  32  dopo  i  primi  cinque 
anni  e  a  trenta  nell'ultimo  quinquennio. 

Nel  primo  anno  di  esercizio,  che  fu  il  1863,  quattro  piroscafi  in  ferro 
e  ad  elica,  del  tonnellaggio  di  poco  meno  che  1000  tonnellate,  i  primi  in 
Italia  che  fossero  mossi  da  macchine  composite  {compound),  furono  messi 
in  linea  e  percorsero,  durante  Tanno,  35.904  leghe,  trasportando  967  pas- 
seggeri e  1566  tonnellate  di  merci. 

«  D'allora  in  poi  —  scrive  il  Raineri  (0  —  essi  eseguirono  i  loro 
viaggi  puntualmente,  con  soddisfazione  del  pubblico,  e,  per  la  bontà  e  cele* 

(>)  S.  Raineri,  Storia  tecnica  e  aneddotica  della  navigazione  a  vapore,  Roma,  1888. 


14  GIOVANNI   RONCAGLI 


rità  del  materiale,  per  la  disciplina  ed  emulazione  dei  capitani  ed  equipaggi, 
qnasi  tutti  d* Ancona,  porto  d'armamento;  per  il  buon  trattamento  dei  pas- 
seggeri, la  Società  si  meritò  ben  presto  una  bella  riputazione  nel  porto  di 
Alessandria « . 

Compiuta,  poco  dopo,  la  ferrovia  litoranea  Ancona-Brindisi,  la  linea  fece 
capo  a  quest'ultimo  porto,  proseguendo  però  fino  a  Venezia;  e  Ancona  di- 
venne porto  di  scalo. 

Ma  l'impresa  era  straniera,  e  per  questa  ragione,  non  ostante  l'ottimo 
servizio,  il  contratto  non  fu  rinnovato  alla  scadenza,  nò  altro  vi  fu  sosti- 
tuito sotto  bandiera  nazionale,  se  non  molto  più  tardi,  e  in  condizioni  meno 
vantaggiose  (0- 

A  secondare  l'azione  del  Governo  nel  promuovere  e  neirassicurare  co- 
municazioni marittime  in  armonia  coi  tempi  nuovi,  un'ardita  iniziativa  li- 
gure intervenne.  Quando  nel  1869  le  navi  di  tutto  il  mondo  convennero  in 
Egitto  a  festeggiare  l'apertura  del  Canale  di  Suez,  tra  quelle,  e  tra  le  prime 
a  passare  dall'uno  all'altro  mare,  furono  i  bei  piroscafi  di  Baffaele  Bubat- 
tino,  coi  quali  fu  inaugurata  quella  linea  fra  Genova  e  Bombay  che,  dopo 
avere  meritato  le  simpatie  e  la  preferenza  degli  stessi  Inglesi,  decaduta  più 
tardi  per  mancata  rinnovazione  del  materiale,  è  ancora  oggi  nel  novero  delle 
linee  sovvenzionate  dallo  Stato,  con  le  stesse  caratteristiche  di  tonnellaggio 
e  velocità  con  le  quali  essa  era  stata  istituita  dall'intraprendente  armatore 
ligure.  Questa  linea  fu  poi  prolungata  sino  a  Singapore  e  a  Giava,  con  di- 
ramazioni per  Calcutta,  nel  Mar  Rosso  ed  alle  coste  della  Palestina. 

Poco  prima  dell'apertura  del  Canale,  la  Compagnia  Rubatlino  aveva 
stipulato  un  patto  col  Governo,  in  forza  del  quale  essa  si  impegnava  ad  ese- 
guire un  servizio  regolare  tra  Genova  ed  Alessandria  d'Egitto,  che,  insieme 
con  quello  fatto  dalla  Adriatico- Orientale^  veniva  a  dotare  l'Italia  di  un 
sistema  di  comunicazioni  eccellenti  con  l'Egitto,  sempre  basato  sul  concetto 
che  il  transito  euro-indiano  avesse  a  prendere  la  via  dell'Italia.  A  quel 
tempo  non  era  stata  ancora  immaginata  quella  sapiente  politica  ferroviaria 
che,  frustrando  ogni  ragione  geografica,  fece  più  tardi  la  fortuna  della  Ma- 
rina germanica;  la  stessa  Germania  doveva  ancora  compiere  la  sua  unità 
politica.  Nessuno,  pertanto,  poteva  allora  prevedere  che  il  vantaggio  della  mi- 
nore distanza  itineraria  sarebbe  stato  un  giorno  quasi  annullato  da  una  politica 
di  tariffe  ferroviarie  e  doganali  ;  e  che,  contro  quell'elemento  geometrico  na- 
turale, sarebbe  sórto  ciò  che  fu  chiamato   la   disianza   economica,    per  la 


(^)  Sino  al  1891  la  linea  Venezia-Alessandria  fa  esercitata  dalla  Peninsular  ^  Orientai 
Steam  Ship  Company,  che,  facendo,  per  conto  del  Governo  inglese,  il  servizio  della  Fa- 
ligia  delle  Indie  fra  Brindisi  e  Alessandria  d^Egitto,  aveva  stipulato  un  contratto  col  Go- 
verno italiano  per  il  prolungamento  della  linea  fino  a  Venezia.  Dopo  il  1891  quel  servizio 
fu  assunto  dalla  Navigazione  Generale  Italiana  che  lo  esercitò  fino  al  1910. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  15 

quale,  posto  in  seconda  lìnea  il  fattore  «  tempo  * ,  avrebbe  trionfato  invece 
il  fattore  «  tariffa  » . 

Per  ristituzioue  del  nuovo  servizio  con  TEgitto,  il  Governo  italiano  aveva 
concesso  alla  Compagnia  Rttbattino  un  prestito  senza  interessi,  continuando 
in  quella  politica  marittima  che  era  stata  inaugurata  da  Cavour.  Dopo  la 
apertura  del  Canale,  prolungato  il  servizio  sino  a  Bombay,  il  nuovo  tronco 
della  linea  dalFltalia  alle  Indie  fu  dapprima  esercitato  per  conto  della 
Compagnia,  e  solo  alcuni  anni  più  tardi,  in  seguito  ad  una  nuova  conven- 
zione, anche  a  quel  tronco  fu  assegnata  una  sovvenzione  annua  ed  il  rim- 
borso delle    tasse  per  il  passaggio  del  Canale. 

Nel  dicembre  del  1869  erasi  costituita  in  Palermo  una  Società,  la  Tri- 
nacria,  principalmente  per  i  servizi  del  Levante,  e  il  Governo,  mediante 
convenzione  sottoscritta  il  14  aprile  1872,  le  concedeva  una  sovvenzione  per 
un  servizio  settimanale  da  Messina  e  da  Venezia  a  Costantinopoli. 

Dati  i  tempi,  la  sua  flotta,  composta  di  ottimi  piroscafi,  che,  come  il 
«  Pelerò  «,  il  «  Solunto  »,  il  «  Segesta  «,  il  «  Simeto  »  ed  altri,  stazzavano 
intorno  alle  1800  tonnellate,  poteva  dirsi  una  delle  piti  importanti  per  numero 
di  unità  e  tonnellaggio  totale  ;  essa,  pertanto,  sin  dal  suo  nascere,  veniva  a 
costituire  una  concorrenza  temibile  per  la  Società  Florio,  rimasta,  sino  a 
quel  tempo,  quasi  dominatrice  assoluta  delle  comunicazioni  marittime  sici- 
liane. 

Quasi  nello  stesso  tempo,  il  Governo  concedeva  speciali  facilitazioni  alla 
Compagnia  genovese  G-  B.  LavarellOy  che  con  piroscafi  di  elevato  tonnel- 
laggio (sopra  le  3000  tonn.),  quali  il  «  Nord  America  »  (^),  il  «  Sud  America  » , 
i*  K  Europa  » ,  bellissimi  quattr* alberi,  che  ebbero  giusta  fama  ai  tempi  loro, 
aveva  istituito  comunicazioni  regolari  con  VAmeiica  meridionale,  specialmente 
per  il  trasporto  dei  passeggeri  e  degli  emigranti,  riprendendo  in  tal  modo  i 
traffici  rimasti  interrotti  per  l'insuccesso  della  Trafisatlantica. 

Contemporanee  di  queste  sono  altre  iniziative  marittime,  come  quella 
della  Compagnia  Ilalo-platense,  che,  colFaiuto  dei  governi  italiano  e  argen- 
tino, fece,  per  qualche  tempo,  viaggi  regolari  dall'Italia  al  Bio  della  Piata, 
ma  fallì  anch'essa  quasi  allo  stesso  momento;  quella  del  Lloyd  italiano, 
detto  di  Calcutta,  ch'ebbe  vita  molto  breve,  e  l'altra  dell'armatore  Tom- 
maso Pertica,  che  col  piroscafo  «  Bianca  Pertica  ",  di  circa  1000  tonnellate, 
fece  alcuni  viaggi  da  Genova  a  Bosario  di  Santa  Fé,  trasportando  la  posta 
per  conto  del  Governo.  Anzi,  il  «  Bianca  Pertica  »  va  ricordato  in  modo  spe- 
ciale siccome  primo  piroscafo  che,  proveniente  da  porti  esteri,  approdasse  a 
Bosario. 


(*)  Naufragato  nel  1883  sulle  secche  di  Capo  Palos  (Murcia),  nel  luogo  stesso  dove 
23  anni  dopo  naufragò  il  a  Sirio  «  della  Navigazione  Generale  Italiana. 


16  GIOVANNI   RONCAGLI 


Così,  dopo  il  1862,  insieme  con  alcune  iniziative  nel  campo  della  Ma- 
rina libera,  si  erano  venuti  sviluppando  i  servizi  sovvenzionati,  regolati  poi 
definitivamente  con  le  convenzioni  del  1877.  Concessionari  principali  di  questi 
rimanevano  sempre  le  Società  Florio   di   Palermo  e  Rabattino  di  Genova. 

Le  condizioni,  in  base  alle  quali  il  Governo  aveva  stipulato  le  diverse 
convenzioni  durante  questo  periodo,  erano  venute  modificandosi  alquanto,  man 
mano  che  la  rete  dei  servizi  si  estendeva.  Non  si  trattava  più  soltanto  di 
ricompensare  il  servizio  postale,  cioè  di  pagare  un  nolo,  per  quanto  spe- 
ciale, dati  gli  oneri  speciali  :  bensì  di  aiutare  le  Compagnie  contraenti  a  so- 
stenere le  spese  di  comunicazioni,  che  in  buona  parte,  anche  sotto  il  titolo 
di  «  postale  « ,  rivestivano  di  fatto  un  vero  carattere  commerciale.  La  misura 
del  compenso  veniva  ora  determinata  sulla  base  di  un  bilancio  presuntivo 
dell'esercizio;  e  il  concetto  informatore  del  provvedimento  da  parte  dello 
Stato,  era  quello  di  compensare  la  perdita  con  sufficiente  larghezza,  affinchè 
l'esercizio  potesse  equamente  rimunerare  il  capitale. 

Il  bisogno  per  T  Italia  di  prendere  posizione,  nel  Mediterraneo  special- 
mente,  come  potenza  marittima;  la  deficienza  di  capitali;  il  carattere  alea- 
torio delle  imprese  maiittime  in  generale,  e  particolarmente  di  quelle  che 
la  ragione  politica  suggeriva  comò  più  importanti,  resero  necessaria  questa 
forma  d'intervento  dello  Stato,  senza  la  quale  difficilmente  la  Marina  mer- 
cantile, avrebbe  potuto  battere  certe  linee  e  frequentare  certi  mercati. 

Il  concetto  della  integrazione  del  bilancio  industriale  mediante  una  sov- 
venzione, che  fu  poi,  più  0  meno  imperfettamente,  messo  in  pratica  ad  ogni 
nuova  occasione,  può  dirsi  abbia  avuto  orìgine  in  questo  periodo.  Prima  del 
1862  —  come  già  fu  detto  a  suo  luogo  —  esso  era  soltanto  quello  di  ri- 
compensare il  servizio  postale,  ritenuto  allora  come  la  sola  necessità  alla 
quale  lo  Stato  dovesse  provvedere. 

Nel  1876  la  Trinacria^  male  amministrata,  dovette  dichiarare  falli- 
mento. La  sua  flotta,  composta  allora  di  tredici  piroscafi,  fu  tutta  rilevata, 
per  il  prezzo  di  L.  9,154,000,  dalla  ditta  Florio,  la  quale,  in  seguito  ad  accordo 
col  Governo,  subentrò  anche  nel  contratto  per  le  linee  sovvenzionate. 

Con  questo  cospicuo  incremento  del  materiale,  la  Florio  assumeva  quella 
posizione  di  preponderanza  che  doveva  poi  condurla  alla  fusione  con  la  Ru- 
ballino;  dalla  quale,  come  vedremo,  ebbe  origine  la  Navigazione  Generale 
Italiana. 

Venute  a  scadere  le  convenzioni  del  1877,  si  trattava  di  rinnovarle,  e 
sino  d'allora,  sebbene  prevalesse  il  concetto  di  perseverare  nel  sistema  delle 
sovvenzioni  postali  e  commerciali,  si  cominciava  a  discutere  se  fosse  vera- 
mente utile  sovvenzionare  linee  di  carattere  prevalentemente  commerciale. 
L'opinione  pubblica  era  favorevole  a  questo  concetto:  contrario  invece  si  mo- 


L*INDUSTBIA  DEI  TRASPORTI  MARITTIMI  17 

straya  il  Ooyerno,  presieduto  allora  dal  Mingbetti,  il  quale  riteneva  doversi 
limitare  le  sovvenzioni  tlìe  linee  interne  di  carattere  prevalentemente  postale. 
Quando  però  si  dice  •  opinione  pubblica  « ,  bisogna  riferirsi  al  tempo  del  quale 
si  parla;  ed  a  quel  tempo  non  si  può  dire  che  esistesse  una  vera  coscienza 
marittima  nel  paese;  la  quale  anche  oggi,  sebbene  assai  più  d'allora  svi- 
luppata, non  è  tuttavia  così  chiara  e  sicura  come  si  potrebbe  desiderare. 
L'opinione  pubblica  intorno  al  1877  in  materia  di  traffici  marittimi  era,  più 
che  altro,  Tespressione  della  tendenza  prevalente  presso  le  Compagnie  dì  na- 
vigazione e  gli  armatori,  naturalmente  rivolta  verso  la  conservazione  di  uno 
statu  quo  già  sperimentato  con  profìtto;  la  nazione,  si  può  dire,  era  a  ciò 
completamente  estranea.  E  quella  tendenza  degli  armatori  veniva,  dopo  circa 
tre  lustri  di  esperienza,  a  dimostrare  come  il  metodo  della  sovvenzione  fissa, 
troppo  laicamente  applicato  sin  d* allora,  esercitasse  un'azione  deprimente 
nello  spirito  d'iniziativa. 

Caduto  nel  1876  il  Minghetti,  e  succedutogli  il  Depretis,  prevalse  il 
concetto  di  mantenere  le  sovvenzioni  alle  linee  intemazionali  di  carattere 
commerciale.  Le  linee  commerciali  inteme  erano  ormai  diventate  in  gran 
parte  parallele  a  linee  ferroviarie,  per  la  qual  cosa  poteva  ritenersi  che  esse 
fossero  ormai  superflue;  ma  in  &tto,  sebbene  allom  il  corso  dei  noli  fosse 
abbastanza  elevato,  le  tariffe  ferroviarie  erano  quasi  proibitive,  specie  per  il 
trasporto  delle  merci  povere,  al  quale  particolarmente  servivano  le  linee  ma- 
rittime inteme. 

Su  queste  basi  furono  stipulate  le  convenzioni  del  1877,  con  le  quali, 
ridotti  alquanto  i  servizi  intemi,  si  estendevano  invece  quelli  internazionali. 
Fu  istituita  la  linea  da  Genova  a  Singapore  ;  altre  ne  furono  create  tra  la 
Sicilia  e  i  porti  dell* Arcipelago  e  fra  questi  e  Venezia,  intensificando  cosi 
le  comunicazioni  col  Levante,  dove  1*  influenza  italiana,  stabilitasi  fin  dal 
tempo  delle  gloriose  repubbliche  marinare  di  Genova  e  di  Venezia,  non  era 
ancora  stata  soverchiata  dall'influenza  francese  e  da  quella  germanica  venuta 
poi.  Altre  comunicazioni  internazionali  furono  aggiunte  più  tardi  (1879)  per 
eollegare  l'Italia  meridionale  alla  costa  tripolina,  migliorando  ancora  i  nostri 
scambi  con  la  Reggenza  di  Tunisi. 

Con  le  convenzioni  del  1877,  la  materia  dei  servizi  marittimi,  d'in- 
teresse generale,  veniva  ad  essere  per  la  prima  volta  organicamente  siste- 
mata. 


OtovANNi  KoNCAOLi.  ^  L'itidiutria  dei  trasporti  tnorittimu 


18  GIOVANNI   RONCAGLI 


III. 

Periodo  dì  maturità.  La  egemonìa  della  N.  G.  L 


Uoione  delle  Società  Florio  e  Ruòattino.  —  La  Navigazione  Generale  Italiana  e  Topera 
saa.  —  La  Veloce  a  V  Italia.  —  Influenza  germanica  sulle  industrie  marittime  ita- 
liane. —  Iniziative  marittime  in  Adriatico;  risveglio  di  Venezia;  la  Società  Vene' 
giana  di  Navigaiione  a  vapore,  —  Nuove  imprese  di  navigazione  nel  Tirreno; 
Navigazione  Alta  Italia,  Società  Meridionale  di  Trasporti  marittimi,  i  due  Lloyd. 
—  Armatori  privati.  —  La  Società  Reale  italo-britannica.  —  Le  convenzioni  del 
1893.  .—  Riflessioni  sulle  convenzioni  in  generale. 


Nel  1881  le  dae  ms^giori  Compagnie,  la  Florio  e  la  RubaUUo^  ven- 
D6ro  ad  accordi  tra  loro  e,  col  favore  del  Governo  che  vedeva  di  buon 
occhio  la  formazione  di  un  forte  organismo  navale,  riunitesi  in  unica  So- 
cietà, costituirono  quella  Navigazione  Generale  Italiana  che  doveva  poi, 
per  oltre  28  anni,  tenere  quasi  assoluto  il  privilegio  dei  servizi  sovvenzio- 
nati dallo  Stato. 

La  Società  Florio,  centro  a  Palermo,  raccoglieva  ormai  tutto  il  movi- 
mento della  navigazione  a  vapore  del  mezzogiorno. 

La  vecchia  Società  delle  Due  Sicilie,  male  diretta  e  male  ammini- 
strata, a  stento  aveva  potuto  sostenersi  fino  al  1862;  non  avendo  voluto 
prendere  impegni  col  Governo  italiano,  perchè  pare  che  i  suoi  reggitori,  fe- 
deli ancora  al  Borbone,  sperassero  in  una  prossima  restaurazione,  dovette 
dichiarare  il  fallimento*  Il  quale  non  fu  soltanto  il  fallimento  di  una  So- 
cietà, ma  la  cessazione  per  lunghi  anni  di  ogni  industria  marittima  propria- 
mente napoletana. 

La  Florio  nel  1881  possedeva  43  piroscafi,  quasi  tutti  in  ferro,  staz- 
zanti in  complesso  82.809  tonnellate  di  registro  (nette)  ed  era  valutata  in 
26.790.000  lire.  Fra  le  migliori  unità  figuravano,  oltre  quelle  provenienti 
dalla  fallita  Trinacria,  che  in  parte  erano  di  costruzione  nazionale,  il 
e  Vincenzo  Florio  *  e  il  «  Washington  «  di  oltre  2800  tonnellate  lorde,  co- 
struiti in  Inghilterra  nel  1880,  i  quali,  a  quel  tempo,  rappresentavano  quasi 
Tultima  espressione  del  progresso,  anche  sotto  laspetto  dello  comodità  per 
il  trasporto  dei  passeggeri  di  classe. 

La  Rubattino,  centro  principale  del  movimento  marittimo  nel  Tirreno 
superiore,  contava  nel  1881  40  piroscafi  della  complessiva  stazza  netta  di 
26.918  tonnellate,  valutata  in  23.086.000  lire.  Anch^essa  comprendeva  unità 
importanti  come  il  •  Manilla  »  di  3900  tonnellate  di  stazza  lorda,  e  il 
«  Singapore  »  di  3685  tonnellate,  entrambi  di  costruzione  inglese. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  19 

La  Navigazione  Generale  Italiana  fu  legalmente  costituita  in  Roma 
il  4  settembre  1881  con  rogito  del  notare  Giuseppe  Balbi  e  per  la  durata 
di  80  anni  a  datare  dal  1^  luglio  di  queiranno.  Il  suo  statuto  fu  appro- 
vato con  decreto  reale  il  16  marzo  1882  (^).  Il  capitale  sociale  fu  fissato 
in  cento  milioni  di  lire  italiane,  rappresentato  da  200.000  azioni  del  valore 
singolo  di  L.  500,  divise  in  due  serie  di  50  milioni  ciascuna,  delle  quali 
la  prima  soltanto  fu  emessa  allatto  della  costituzione,  con  versamento  di 
sette  decimi  (35  milioni). 

La  sede  della  Società  fu  stabilita  in  Boma;  due  sedi  compartimentali 
furono  erette,  Tuna  in  Oenova,  l'altra  in  Palermo,  trasformando  le  direzioni 
colà  preesistenti  delle  due  Compagnie;  sedi  succursali  furono  create  a  Na- 
poli e  a  Venezia. 

La  fiotta  iniziale  delle  Società  riunite  era  dunque  costituita  da  88  pi- 
roscafi, del  tonnellaggio  netto  complessivo  di  59.727  tonnellate,  con  19.246 
cavalli  nominali  dì  forza,  e  del  valore  di  L.  49.876.000. 

A  questa  si  aggiunsero  nell'anno  stesso  altri  sei  piroscafi:  «  Archi- 
mede » ,  s  Jonio  « ,  «  Faro  « ,  •  Oiava  » ,  «  Abissinia  »  e  «  Calabria  « ,  coi 
quali  la  stazzatura  totale  fu  portata  a  67.029  tonnellate  ed  il  valore  a 
L.  54.744.971. 

Dati  i  tempi,  questa  flotta  era  indubbiamente  una  delle  più  importanti 
del  Mediterraneo,  non  superata  che  dalle  Messageries  Maritimes.  Essa  si 
accrebbe  più  tardi,  in  parte  per  nuove  costruzioni  e  in  parte  per  nuovi 
acquisti,  anch«  da  altre  Compagnie  minori  venute  man  mano  a  cessare. 

L'esercizio  non  comprendeva  soltanto  i  servizi  sovvenzionati,  ma  pochi 
anni  dopo  la  sua  costituzione,  la  Compagnia  aveva  già  sviltippato  anche  una 
larga  rete  di  servizi  lìberi  commerciali  e  d'emigrazione.  Per  tal  modo  la 
'  sua  bandiera  si  spingeva  verso  oriente  fino  ai  porti  dell'  India,  della  Cina 
meridionale  e  delI'Australasia,  e  verso  occidente  fino  alle  eoste  atlantiche 
delle  due  Americhe. 

Fra  i  concetti  ai  quali  s'inspirarono  i  pubblici  poteri  neUassecondare 
l'unione  delle  due  Società  non  ultimo  era  quello  di  contribuire  a  c^iientare 
sempre  meglio  l'unità  nazionale,  stabilendo  una  comunione  d'interessi  eco- 
nomici fra  regioni  che,  come  la  Liguria  e  il  cessato  regno  delle  Due  Si- 
cilie, rappresentavano,  anche  prima  della  fondazione  del  nuovo  Begno,  i  due 
madori  centri  di  attività  commerciale  della  penisola. 

Ventotto  anni  di  storia  dimostrano  ora  che,  favorendo  queir  unione,  si  ot- 
tenne bensì  che  fosse  costituita  una  flotta  numericamente  forte,  ma  si  venne 


(*)  Con  la  legge  23  luglio  1881,  n.  839,  il  Governo  era  stato  autorizzato  a  permet- 
tere Tunione  delle  due  Società. 


20  GIOVANNI  RONCAGLI 


anche  ad  s^evolare  Taffermazione  di  un  monopolio,  gli  effetti  del  quale,  non 
intrayvednti  allora,  si  manifestai'ono  soltanto  più  tardi. 

La  Navigazione  Generale  Italiana^  data  la  sua  posizione  privilegiata, 
venne  man  mano  orientando  la  propria  azione  verso  un  obbiettivo  ben  chia- 
ramente definito:  quello  di  intensificare  sempre  di  più  i  servizi  liberi,  ed 
in  modo  particolare  quelli  per  le  due  Americhe,  per  trasporto  di  emigranti 
e  di  passeggeri  di  classe.  Con  la  solida  base  che  loro  fornivano  il  largo  pri- 
vilegio dei  servizi  sovvenzionati  e  più  tardi  il  premio  di  navigazione,  le  linee 
libere  non  tardarono  a  prosperare. 

Così  avvenne  che  il  materiale  adibito  ai  servizi  sovvenzionati  fu,  in  gene- 
rale, meno  curato  di  quello  ch'era  assegnato  ai  trafSci  liberi  con  rAmerica. 
Fatte  poche  eccezioni,  fra  le  quali  è  giusto  ricordare  quella  delle  linee  postali 
Napoli-Palermo  e  Napoli-Messina,  esercitate  sempre  con  ottimi  vapori  e  con 
ottimo  servizio,  la  flotta  sovvenzionata  divenne  una  specie  di  asilo  dove  un 
pò*  per  volta  andavano  a  finire  la  vita  loro  le  navi  che  non  potevano  più  essere 
utilizzate  in  altro  modo.  La  Compi^nia,  nella  sua  lunga  gestione  dei  ser- 
vizi sovvenzionati,  a  traverso  parecchie  convenzioni,  da  quelle  del  1877  alle 
ultime  del  1898,  informò  sempre  l'opera  propria  a  due  criteri  fondamentali: 
quello  di  utilizzare  fino  all'estremo  limite  il  materiale,  sopportando  rilevanti 
spese  di  manutenzione,  riparazione,  trasformazione  ecc.,  e  l'altro  di  tenere 
alte  le  tariffe,  pur  mantenendole,  talvolta  anche  notevolmente,  al  di  sotto 
dei  limiti  massimi  fissati  dai  contratti  col  Governo. 

Le  convenzioni  stabilivano  bensì  codesti  limiti  massimi  ;  però  se  il  prin- 
cipio generale  di  questa  limitazione  era  eccellente,  non  si  può  ugualmente 
dire  che  fossero  convenienti  i  valori  numerici  adottati;  i  quali  in  pratica 
risultarono  eccessivi,  e,  appunto  perchè  tali,  consentirono  alla  Compagnia  di 
praticare  quella  sua  «  politica  dei  noli  ». 

Non  mancarono  in  proposito  le  lagnanze  dei  caricatori  e  delle  Camere 
di  commercio,  ma  queste  non  valsero  mai  ad  ottenere  miglioramenti  :  la  legge 
dava  alla  Compagnia  il  diritto  di  praticare  quella  «  politica  » ,  essa  lo  eser- 
citava; soltanto  un'altra  legge  avrebbe  potuto  privamela.  Avvenne  così  che 
non  di  rado  le  merci  nazionali  trovassero  la  convenienza  a  preferire  altre 
bandiere  a  scapito  del  prestigio  marittimo  nazionale  e  dell'interesse  gene- 
rale, rispetto  al  quale  ogni  sottrazione  di  noli  è  sempre  un  danno. 

La  utilizzazione  del  materiale  veniva  spìnta  a  tal  s^no  che  tra  il  1895 
e  il  1904  la  spesa  annuale  di  manutenzione  ordinariia  si  elevò  sino  a  rap- 
presentare il  23  Vo  d^l  valore  d' inventario  e  il  16  Vo  ^^^^^  spesa  totale  di 
esercizio,  pure  distribuendosi  agli  azionisti  dividendi  che  variarono  da  un  mi- 
nimo di  4,5  Vo  Ad  un  massimo  di  7  Vo  sul  valore  di  borsa  delle  azioni  ;  il  quale, 
durante  quel  decennio,  si  mantenne  sempre  notevolmente  sopra  la  pari  ('). 

(')  Nel  1896  il  capitale  sociale  era  stato  ridotto  a  60  milioni,  rappresentati  da 
200.000  azioni  di  300  lire  ciascuna:  versati  88.000.000.  Il  valore  della  flotta,  che  al  30 
giugno  1895  era  di  L.  56.196.402,96,  era  stato  di  conseguenza  ridotto  a  L.  82.896.585. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  21 


In  conseguenza  di  questa  utilizzazione  ad  oltranza,  la  flotta,  già  in 
parte  composta  di  elementi  non  giovani  sin  dairinizio,  si  trovò  presto  ad 
essere  costituita  in  prevalenza  da  veterani  del  mare,  e,  nel  complesso,  molto 
in  arretrato  eoirincalzante  progresso. 

Nel  1893,  stipulate  le  nuove  convenzioni  col  governo,  il  naviglio  so- 
ciale fu  sottoposto  a  visita  accurata,  in  seguito  alla  quale  la  Società  dovette 
sopportare  una  spesa  straordinaria  di  oltre  quattro  milioni  e  mezzo  per  met- 
tere le  sue  navi  nelle  condizioni  stabilite  dai  capitolati. 

Undici  anni  dopo,  al  30  giugno  1904,  sopra  102  navi  che  componevano 
la  flotta,  per  un  tonnells^gio  complessivo  di  224.142,98  tonnellate  di  stazza 
lorda,  72  avevano  da  20  a  40  e  più  anni  di  età,  cinque  sole  contavano  da 
10  a  20  anni,  e  25  erano  di  età  inferiore  a  10  anni.  Ma  le  navi  di  più 
recente  costruzione  erano  quasi  esclusivamente  adibite  ai  servizi  liberi. 

Un  vero  avviamento  industriale  moderno  deiropera  sociale  non  si  palesò 
che  dopo  il  1903,  quando,  anche  in  seguito  alla  legge  suH'emigrazione,  la 
Compagnia  sentì  la  necessità  di  dare  un  grande  sviluppo  al  materiale  per 
i  trasporti  oceanici,  così  da  poter  meglio  sostenere  la  lotta  contro  la  bandiera 
estera,  entrata,  piena  di  forze  nuove,  in  concorrenza.  Da  quel  tempo  Torien- 
tamento  verso  i  servizi  liberi  venne  ad  essere  risolutamente  affermato,  e  fln 
d'allora  la  Compagnia  cominciò  a  far  sapere  che  alla  scadenza  delle  con* 
venzioni  in  corso,  cioè  nel  1908,  essa  non  avrebbe  partecipato  ai  futuri  con- 
tratti col  governo. 


Durante  il  periodo  che  qui  consideriamo,  la  Navigoiione  Generale  aveva 
esteso  la  propria  rete  d*  interessi,  assicurandosi  il  controllo  su  due  altre  So- 
cietà sòrte  specialmente  per  i  trafSci  d'emigrazione:  la  Veloce  e  Yllalia, 
entrambi  con  sede  in  Genova. 

La  prima,  fondata  con  un  capitale  di  13  milioni,  interamente  nazio- 
nale, non  ebbe  vita  prospera,  e  in  breve  volgere  di  anni  era  quasi  diven- 
tata proprietà  straniera,  essendo  le  sue  azioni  passate  in  massima  parte  nelle 
mani  di  capitalisti  germanici.  La  seconda  era  notoriamente  un'appendice  di 
una  grande  Compagnia  tedesca,  la  Hamburg  Amerika  Linie^  creata  per  trarre 
partito  dal  grande  movimento  d'emigrazione  dall'Italia  e  profittare  dei  premi 
di  navigazione  :  esempio  di  quella  vigorosa  invadenza  economica  della  Ger- 
mania sui  mercati  principali  del  mondo,  che  è  base  principale  della  politica 
del  giovane  impero. 

La  stessa  Navigazione  Generale  appoggiata  alla  Banca  Commerciale^ 
notoriamente  invasa  da  capitale  tedesco,  non  potè  sfuggire  a  quell*  influenza. 

Le  condizioni  poco  liete  nelle  quali  si  svolgevano  gli  afikri  della  Ve- 
loce^  una  certa  delusione  patita  dai  promotori  dell*  Aa/ta  favorirono  l'inter- 
vento della  Navigazione  Generale^  la  quale  s'impadronì  di  tutte  e  due  le  So- 


22  GIOVANNI   RONCAGLI 


cietà,  facendone  due  proprie  dipendenze,  ch'essa  però  mantenne  amministra- 
tivamente distinte. 

• 

Sino  dalla  sua  fondazione,  la  Navigazione  Generale  estendeva  i  suoi 
traffici  anche  air  Adriatico,  e,  appunto  per  questo,  aveva  stabilito  una  suc- 
cursale a  Venezia. 

Ma  le  aspirazioni  locali  di  Venezia  e  dei  paesi  adriatici,  in  generale, 
erano  piuttosto  verso  una  marineria  propria,  sebbene  alle  aspirazioni  non 
corrispondessero  precisamente  le  iniziative  pratiche.  Venezia,  specialmente, 
che  già  da  parecchi  anni  dava  un  contributo  assai  modesto  di  navi  e  di  uomini 
alla  Marina  di  lungo  corso,  pareva  stanca  del  mare  e  quasi  non  possedette 
una  sola  nave  a  vapore  propria,  sino  a  quando,  nel  1900,  fu  costituita  la 
Società  Veneziana  di  Navigazione  a  vapore  che,  con  un  capitale  di  4  mi- 
lioni e  con  una  sovvenzione  dallo  Stato,  intraprese  servizi  commerciali  con 
Calcutta. 

A  Bari  si  era  costituita  sino  dal  1876  una  piccola  Società  denominata 
Paglia,  con  un  capitale  di  un  milione  e  per  la  durata  di  dieci  anni,  che  fu 
poi  piti  volte  prorogata  con  aumenti  di  capitale  sino  a  raddoppiarlo.  Questa 
Società  esercitava  servizi  di  cabotaggio  sulle  due  sponde  deirAdriatico  e 
lungo  le  coste  del  Tirreno;  tentò  anche,  ma  con  poca  fortuna,  qualche 
viaggio  verso  l'America  meridionale,  e  dovette  rinunziarvi  nel  1901  in  causa 
della  concorrenza. 

A  Brindisi  nel  1902  era  sorta  un'altra  piccola  Società  anonima  detta 
dei  Caricatori  Riuniti  (*)  con  un  capitale  di  700.000  lire,  rappresentato 
da  700  azioni  di  lire  mille  ciascuna,  con  lo  scopo  di  esercitare  principal- 
mente il  cabotaggio  delle  coste  adriatiche  e  verso  il  nord  d'Europa. 

Le  iniziative  marinaresche  in  Adriatico  non  andavano  più  oltre,  seb- 
bene l'approssimarsi  della  scadenza  delle  Convenzioni  del  1893  venisse  de- 
terminando  una  situazione  particolare  che,  se  non  poteva  dirsi  a  priori  fa- 
vorevole alle  imprese  marittime,  perchè  non  si  poteva  sapere  quali  provve- 
dimenti sarebbero  stati  adottati,  era  tuttavia  tale  da  dimostrare  la  neces- 
sità di  tenersi  pronti. 

Di  questa  necessità  si  erano  invece  preoccupati  da  tempo  i  centri  ma- 
rittimi del  Tirreno.  Tonno,  in  seguito  alla  legge  dei  premi  aveva  dato 
l'esempio  d'una  Società  creata  per  profittare  di  quelli,  con  servizi  commer- 
ciali lìberi  :  la  ditta  Luigi  Capuccio  e  C.  —  che  prese  poi  il  nome  di  Navi- 
gazione Alta  Italia  —  la  quale  con  un  capitale  di  10  milioni,  oggi  possiede 
una  bella  fiotta  di  cargo  boats,  composta  di  dieci  unità,  tutte  di  costru- 
zione italiana,  tranne  le  macchine,  stazzanti  in  complesso  42.800  tonnellate 
di  stazza  lorda,  e  le  più  vecchie  delle  quali  hanno  appena  dieci  anni  di  età. 

(*)  Oggi  Caricatori  e  Scaricatori  Riuniti. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  23 

A  Napoli,  press*a  poco  allo  stesso  momento,  era  sorta  la  Società  meridio* 
naie  di  Trasporti  marittimi,  con  quattro  piroscafi  da  carico  del  comples- 
sivo tonnellaggio  lordo  di  oltre  16.000  tonnellate. 

A  breve  intervallo  tra  loro  erano  sorti  in  Genova  il  Lloyd  Italiano^ 
con  capitale  di  20  milioni,  e  in  Torino  il  Lloyd  Sabaudo,  con  30  milioni  ; 
Tuno  e  l'altro  principalmente  per  il  traffico  degli  emigranti,  ma  con  ogni 
possibilità  di  partecipare  in  seguito  anche  ai  servizi  sovvenzionati. 

Il  Lloyd  Italiano  era  stato  fondato  nel  1904  dal  senatore  Erasmo 
Piaggio,  già  amministratore  delegato  della  Navigazione  Generale  Italiana. 
La  sua  flotta  iniziale  comprendeva  sei  piroscafi  per  emigranti,  dei  quali 
quattro  costruiti  in  Italia  nel  cantiere  di  Biva  Trigoso,  e  gli  altri  due  di 
costinizione  inglese.  Il  tonnellaggio  complessivo  era  di  circa  32.500  tonnel^ 
late.  Nel  1909  vi  fu  aggiunto  il  piroscafo  «  Principessa  Mafalda  »,  gemello 
del  «  Principessa  Jolanda  »,  sventuratamente  naufragato  al  varo.  Il  «  Ma- 
falda *  di  9210  tonnellate  (stazza  lorda)  e  dotato  di  una  velocità  massima 
di  quasi  19  miglia,  è  uno  dei  piroscafi  più  importanti  che  battano  la  linea 
del  Piata  in  servizio  di  passeggeri  di  classe,  ed  è  inscritto  fra  gì'  incrociatori 
della  B.  Marina. 

Il  Lloyd  Sabaudo,  fondato  nel  1906,  mise  in  mare  una  flotta  di  cinque 
vapori,  del  tonnellaggio  lordo  totale  di  oltre  34  mila  tonnellate,  tutti  a 
doppia  elica  e  tutti  inscritti  nei  ruoli  del  naviglio  ausiliario:  dotati  di 
buone  velocità  ;  i  più  veloci,  il  «  Tommaso  di  Savoia  »  e  il  «  Principe  di 
Udine  »,  entrambi  di  circa  7700  tonnellate  di  stazza  lorda  con  18  miglia 
di  velocità,  appartengono  alla  categoria  «  incrociatori  ». 

I  premii,  i  trasporti  di  emigranti,  ì  servizi  sovvenzionati,,  furono  le  tre 
grandi  leve  che,  senza  certamente  produrre  tutti  gli  effetti  che  se  ne  atten- 
devano, giunsero  tuttavia  a  stimolare  le  energie  latenti  e  a  fare  notevoU 
mente  accrescere  il  naviglio  nazionale  a  vapore,  aggiungendovi  anche  unità 
notevoli  quali  non  si  erano  avute  mai.  Basti  ricordare  che  fino  al  1906  il 
tonnellaggio  massimo  delle  navi  a  vapore  inscritte  nelle  matricole  non  arri- 
vava alle  6000  tonnellate,  mentre  oggi  siamo  poco   distanti   dalle  10.000. 

A  questo  movimento  dì  progresso  avevano  partecipato  anche  armatori 
diversi,  come  i  Fratelli  Peirce  di  Messina,  i  Ciampa  di  Sorrento,  i  Parodi 
e  gli  Zino  di  Genova,  ecc.,  mettendo  in  mare  piroscafi  da  carico  importanti, 
come  r  «  Italia  »  dei  Fratelli  Peirce,  magnifico  cargo  boat  di  6366  ton- 
nellate lorde,  il  «  Dinnamare  »  della  stessa  ditta,  di  4137  tonnellate,  il 
«  Delphine  »  dell'armatore  W.  F.  Becker  di  Torino,  di  5271  tonnellate,  ecc., 
tutti  in  acciaio,  di  costruzione  nazionale. 

È  pure  da  ricordarsi,  sebbene  non  abbia  avuto  fortuna,  la  Società  Real^ 
Italo- Britannica  con  sede  in  Londra,  incoraggiata  da  Francesco  Crìspi,  in  ser- 


W  GIOVANNI  RONCAGLI 


vizio  postale,  ma  specialmente  per  favorire  il  commercio  degli  agrumi  e  delle 
frutta  in  generale  tra  la  Sicilia  e  V  Inghilterra.  Impiantatasi  con  una  flotta 
di  cinque  piroscafi  ( »  Carlo  Poerio  « ,  «  Francesco  Crispi  »,  «  Il  Principe  di 
Napoli  it ,  «  Buggero  VII  « ,  <t  Silvio  Spaventa  »  )  stazzanti  in  complesso 
11.400  tonnellate  lorde,  vuoi  perchè  il  suo  tonnellaggio  fosse  eccessivo  in 
rapporto  al  traffico,  vuoi  per  la  stessa  concorrenza  britannica,  nonostante 
gli  aiuti  del  governo  dovette  cessare  Tesercizio  nel  1894.  Il  suo  materiale 
passò  tutto  sotto  bandiera  inglese. 

Venute  a  scadere  nel  1893  le  Convenzioni  del  1877  e  le  successive 
aggiunte  di  poi,  il  Parlamento  dava  nuovamente  facoltà  al  Oovemo  di  appro- 
vare con  decreto  reale: 

a)  due  convenzioni  stipulate  con  la  Navigazione  Generale  Italiana: 
la  prima  per  i  servizi  con  la  Sardegna,  la  Sicilia,  la  Tripolitania,  la  Tunisia, 
Malta,  la  Corsica,  il  Levante,  l'Egitto,  il  Mar  Bosso  e  le  Indie;  la  seconda 
per  i  servizi  con  le  isole  dell'Arcipelago  toscano  e  con  Pantelleria  e  le 
Pelagio  ; 

b)  una  convenzione  con  la  Puglia  per  servizi  di  cabotaggio  fra  le 
due  sponde  dell'Adriatico; 

e)  una  convenzione  con  la  Società  Napoletana  di  Navigazione  per 
il  servizio  del  Golfo  di  Napoli  e  delle  isole  Pontine; 

d)  una  convenzione  con  la  Società  Siciliana  di  Navigazione  per  il 
servizio  tra  la  Sicilia  e  le  isole  Eolie; 

e)  una  convenzione  con  la  Compagnia  olandese  Nederland  per  un 
servizio  tra  Genova  e  Batavia. 

I  servizi  erano  per  la  prima  volta  divisi,  a  seconda  del  loro  carattere, 
nelle  tre  categorie  di  postali,  misti  postali  commerciali,  e  commerciali > 

II  metodo  seguito  era  quello  della  sovvenzione  a  forfait,  tranne  per  la 
prima  delle  convenzioni  con  la  Generale,  quella  che  radunava  tutti  i  prin- 
cipali servizi  nel  Mediterraneo  ed  al  di  là  di  Suez,  secondo  la  quale  la 
sovvenzione  era  corrisposta  in  ragione  di  lega  effettivamente  navigata,  da 
computarsi  in  base  a  distanze  nautiche  preventivamente  calcolate,  il  cui 
elenco  faceva  part«  del  quaderno  d'oneri  annesso  alla  convenzione. 

A  tutte  le  condizioni  d'esercizio  provvedevano  i  quaderni  d'oneri,  ai 
quali  andavano  unite  anche  le  tabelle  dei  limiti  massimi  delle  tariffe  dei  noli 
per  le  merci  e  dei  biglietti  di  passaggio  per  i  passeggeri,  oltre  «He  condi- 
zioni per  il  trattamento  da  corrispondersi  a  questi  durante  il  viaggio. 

La  Navigazione  Generale  ebbe  cosi  riconfermato  il  privilegio  quasi 
assoluto  dei  servizi  sovvenzionati,  per  altri  quindici  anni,  poiché  la  durata 
delle  nuove  convenzioni  era  stabilita  fino  al  80  giugno  1908. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  25 

Nella  sostanza  le  convenzioni  del  1893  non  differivano  sensibilmente 
da  quelle  del  1877,  salvo  per  qualche  miglioramento  nelle  velocità  e  nelle 
caratteristiche  tecniche  dei  piroscafi.  La  rete  delle  linee  sovvenzionate,  presso 
a  poco  era  rimasta  quale  era  risultata  dopo  le  convenzioni  addizionali  del 
1888,  con  le  quali  si  erano  migliorati  i  servìzi  per  la  Sardegna,  e  quelle  del 
1888,  che  rendevano  definitive  le  comunicazioni  con  gli  stabilimenti  colo- 
niali del  Mar  Bosso,  istituite  in  via  provvisoria  nel  1885,  particolarmente 
per  il  servizio  delle  truppe  durante  quel  primo  periodo  della  nostra  politica 
coloniale.  Sistemate  cosi  le  comunicazioni  marittime  mediterranee  e  quelle 
con  le  Indie  e  con  le  Colonie,  restava  da  provvedere  per  Venezia  che  insi- 
stentemente domandava  un  coll^amento  diretto  con  le  Indie.  La  linea 
Venezia-Alessandria  d'Egitto,  data  in  concessione  alla  Navigazione  Gene- 
rale^ obbligava  il  commercio  di  Venezia  con  le  Indie  ad  un  trasbordo 
in  Alessandria,  e  Venezia  reclamava  un  provvedimento  che  valesse  ad 
evitarlo. 

Nel  1895  fu,  a  questo  scopo,  stipulata  una  convenzione  con  la  Pentn- 
sular  &  Orientai  S.  S.  CK,  che  già  faceva  il  servizio  postale  inglese  fra 
Brindisi  e  Alessandria  d*  Egitto  ;  ma  quattro  anni  più  tardi,  essendosi  rico- 
nosciuto che  quel  servizio  non  corrispondeva  ai  bisogni  del  commercio,  la 
convenzione  fu  annullata,  e  le  somme  risparmiate  furono  devolute  a  miglio- 
rare le  comunicazioni  con  la  Tunisia  e  ad  istituire  un  servizio  per  Bengasi 
e  la  costa  di  Soria. 

Poco  dopo,  nel  1901,  in  seguito  a  convenzione  speciale,  la  Navigazione 
Generale  assumeva  Tobbligo  di  prolungare  quattro  volte  Tanno,  sino  a 
Bombay,  la  linea  Venezia-Alessandria.  Ma  anche  questo  provvedimento  non 
soddisfece  gli  interessi  di  Venezia;  per  la  qual  cosa,  nel  1908,  il  Governo, 
presi  accordi  con  la  Società  Veneziana  di  Navigazione  a  vapore  che,  come 
fu  detto,  si  era  costituita  nel  frattempo,  le  afSdò  il  servizio  Venezia-Calcutta, 
mediante  una  sovvenzione  di  L.  1.100.000,  da  corrispondersi  fino  alla  sca- 
denza delle  convenzioni  del  1898. 

Questa  concessione  alla  Veneziana  fu  alquanto  contrastata  dalla  Navi- 
gazione  Generale,  la  quale,  appoggiandosi  a  particolari  clausole  dei  suoi 
contratti  col  Governo  (art.  4  dei  quaderni  d'oneri),  invocava  in  proprio  fa- 
vore un  diritto  di  prelazione.  Ma,  dopo  un  dibattito,  portato  anche  sulla 
pubblica  stampa,  la  concessione  ebbe  corso,  e  con  essa  furono  soddisfatti  le 
aspirazioni  e  i  legittimi  interessi  di  Venezia,  la  quale,  dopo  molti  anni,  ac- 
cennava ad  un  promettente  risv^lio  di  attività  marinara. 

Le  convenzioni  del  1893  subirono  poi  col  tempo  parecchie  varianti: 
principali  tra  queste  gli  ampliamenti  dei  servizi  adriatrìci  afBdati  alla  Puglia 
ed  attuati  nel  1899  e  nel  1901;  la  soppressione  delle  linee  costiere  della 
Calabria  e  della  Sicilia  nel  mare  siculo,  dopo  l'apertura  delle  ferrovie  lito- 
ranee di  quelle  regioni,  e  finalmente  la  istituzione  di  un  servizio  mensile 


26  GIOVANNI   RONCAGLI 


fra  Genova  e  rAmerica  Centrale,  mediante  convenzione  speciale  con  la  Veloce^ 
e  dietro  concessione  di  un  sussidio  annuo  di  L.  550.000. 

In  questo  assetta)  dato  ai  servizi  marittimi,  la  spesa  complessiva  sop- 
portata annualmente  dallo  Stato  era  di  oltre  dodici  milioni,  dei  quali  più 
di  nove  erano  assorbiti  dalla  Navigazione  generale. 

Non  considerato  il  contratto  con  la  Nederland  per  i  servizi  con  Batavia 
(di  carattere  specialissimo,  che  si  potrebbe  chiamare  di  pai-zìale  noleggio  a 
forfait,  perchè  in  sostanza  la  Compagnia  si  obbligava  soltanto  a  trasportare 
la  posta  e  i  passeggeri  e  a  riservare  un  certo  spazio  della  stiva  per  le  merci 
italiane),  la  percorrenza  totale  annua  sulle  linee  sovvenzionate  con  le  con- 
venzioni del  1893  era  di  2.388.460,4  miglia  nautiche,  onde  la  spesa  media 
per  miglio,  posta  a  carico  del  bilancio  dello  Stato,  veniva  ad  essere  di 
L.  5,17. 

Il  periodo  dal  1893  in  poi,  durante  il  quale,  mediante  convenzioni  sup- 
pletive, variazioni  ai  primitivi  contratti  ecc.,  si  venne  man  mano  regolando 
r  intervento  dello  Stato  in  rapporto  alle  necessità  via  via  riconosciute,  è  in 
sostanza  un  periodo  di  esperimento.  Nei  riguardi  del  commercio  marittimo 
nazionale  non  si  può  dire  che  i  risultati  abbiano  compensato  interamente 
il  grave  onere  sopportato  dair erario:  nei  riguardi  poi  del  contributo  ali* in- 
cremento della  Marina  nazionale,  i  fatti  sono  ancora  meno  soddisfacenti. 
Dai  tempi,  che  diremmo  classici,  delle  Compagnie  Florio  e  Rubattino,  cia- 
scuna delle  quali  aveva  in  mare  flotte  che,  per  i  tempi  loro,  erano  flotte 
di  primo  ordine,  ai  giorni  nostri  nei  quali  la  flotta  sovvenzionata  ci  dà  lo 
spettacolo  d' un  asilo  di  veterani,  per  quanto  in  parte  ancora  validi,  il  cam- 
mino fatto,  per  quel  che  riguarda  la  consistenza  del  materiale  nautico,  non 
potrebbe  dirsi  di  progresso.  Ma  la  storia  di  50  anni  di  questo  regime  vale 
a  dimostrare  che  non  bisogna  chiedere  al  regime  delle  convenzioni  ciò  che 
non  può  dare.  Si  tratta  unicamente  di  contratti  che  hanno  per  iscopo,  non 
già  di  far  progredire  la  Marina,  come  erroneamente  si  crede,  ma  di  assicu- 
rare certe  comunicazioni  marittime  di  utilità  generale,  in  determinate  condi- 
zioni tecniche,  di  tariffe,  di  periodicità  ecc.  Data  la  natura  unicamente  con- 
trattuale, è  ben  naturale  che  il  materiale,  a  fine  del  periodo,  venga  a  trovarsi 
in  condizioni  peggiori  che  all'inizio  del  medesimo,  tanto  peggiori,  poi,  se 
nemmeno  da  principio  esso  non  era  in  condizioni  ottime,  come  fu  spesso  il 
caso  nelle  convenzioni  diverse  stipulate  in  Italia  dal  1862.  Un  impulso  vero, 
naturale,  alla  industria  dei  trasporti,  e  quindi  di  riflesso  un  incremento  ed 
un  miglioramento  vero  del  materiale,  non  possono  essere  determinati  da 
alcuna  legge  oltre  quella  economica  generale  della  domanda  e  dell'offerta. 
I  provvedimenti  legislativi  possono  disciplinare  il  fenomeno  e  regolarne  il 
corso:  non  certamente  provocarlo. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  27 


IV. 


Il  protezionismo  marittimo  in  Italia. 


La  politica  marittima  deir  Italia.  —  Inchiesta  parlamentare  sulla  Marina  mercantile.  — 
Protezionismo  marittimo.  —  I  premi  di  navigazione.  —  Effetti  delle  leggi  protet- 
tive sullo  sviluppo  e  la  trasformazione  del  naviglio  nazionale  ;  speculazioni  favorite 
dal  premio.  —  L^allarme  per  la  pubblica  finanza,  e  i  decreti-catenaccio.  -^  Arma- 
tori e  costruttori. 


Sino  verso  il  1880  non  si  può  dire  che  1*  Italia,  per  ciò  che  riguarda 
la  sua  Marina  mercantile,  abbia  seguito  un  programma  e  &tto  una  politica 
marinara  sistematica  :  i  bisogni  generali  erano  troppi  e  si  doveva  provvedere 
d'urgenza;  donde  la  impossibilità  di  anteporre  studi  metodici  e  di  coordi- 
namento, e  di  soddisfare  alle  più  svariate  necessità,  senza  imperfezioni  nei 
provvedimenti  e  senza  lasciare  lacune. 

Verso  il  1877  la  nostra  Marina  mercantile  occupava  bensì  il  terzo 
posto  fra  le  grandi  Marine  d'Europa,  venendo  essa  subito  dopo  la  Francia 
per  numero  e  tonnellaggio  di  navi  ;  ma  la  parte  presa  dalla  nostra  bandiera 
nei  trasporti  mondiali  non  era  che  del  5  Vo  (0  ^  ^&  ^^^^  predominava  ancora. 

Sopra  un  valore  di  poco  superiore  ai  200  milioni  di  lire  attribuito  a 
tutto  il  naviglio  mercantile  italiano  allora  in  servizio,  la  Marina  a  vela 
rappresentava  ancora  un  capitale  di  130  milioni. 

Nel  1880  la  nostra  Marina  mercantile  era  decaduta  dal  terzo  al  quinto 
posto,  e  la  situazione  era  tale  da  lasciar  comprendere  che,  date  le  vicende 
del  mercato  generale  e  il  basso  corso  dei  noli,  avrebbe  corso  rischio  d'essere 
in  breve  soverchiata  del  tutto  dalle  concorrenti  straniere,  alcune  delle  quali, 
come  la  germanica,  progredivano  con  ragione  annuale  da  impensierire  ;  mentre, 
per  la  protezione  onde  godevano  da  parte  dei  rispettivi  Governi,  erano  in 
grado  di  meglio  far  fronte  alle  c^i. 

Questo  stato  di  cose  e  la  preoccupazione  per  l'avvenire,  indussero  a  pen- 
sare alla  opportunità  di  venire  in  aiuto  alla  Marina  nel  duplice  intento  di 
affrettare  la  trasformazione  del  materiale,  riducendo  sempre  più  11  naviglio 
veliero,  e  di  metterla  in  grado  di  lottare  vantaggiosamente  contro  la  con- 
correnza straniera. 


(')  La  sola  Marina  ligure  assorbiva  il  3,5  Vo*  Questa  situazione  durò  pres8*a  poco 
dal  1866  al  1880. 


28  GIOVANNI   RONCAGLI 


Si  venne  così  alla  nomina  della  Commissione  parlamentare  d*  inchiesta 
sulla  Marina  mercantile,  ch*ebbe  a  presidente  il  conte  Codronchi  e  a  rela- 
tore Paolo  Boselli  (0- 

La  Commissione  fece  le  sue  indagini  fra  il  1880  e  il  1882,  esaminando 
con  grande  cura,  con  metodo  e  profondità  d'analisi,  tutti  gli  aspetti  del  pro- 
blema che  le  era  stato  proposto.  I  suoi  studi,  che  sono  un  prezioso  docu- 
mento di  dottrina  e  di  spirito  pratico,  furono  la  culla  di  quella  serie  di 
disposizioni  legislative  note  sotto  il  titolo  di  «  Provvedimenti  a  favore  della 
Marina  mercantile  «  che  dal  1885  in  poi  sono  venuti  regolando  la  delicjita 
materia  del  «  protezionismo  marittimo  ».  E  molte  delle  imperfezioni  riscon- 
trate poi  nelle  disposizioni  di  legge,  come  molte  delle  lagnanze  anche  pre- 
senti che  partono  dalla  voce  pubblica,  sono  forse  dovute  al  non  aver  tenuto 
quegli  studi  in  tutta  quella  considerazione  ch'essi  meritavano. 

Con  la  legge  del  6  dicembre  1885,  n.  3547,  serie  III,  fu  inaugurato 
in  Italia  il  protezionismo,  sostanzialmente  concretato  in  due  ordini  di  prov- 
vedimenti. Il  primo  era  diretto  ad  iocoraggiare  le  costruzioni  navali  paesane, 
con  lo  scopo  di  determinarne  il  predominio  sulle  straniere,  neiresercizio  dei 
traspoi-ti  sotto  bandiera  nazionale;  col  secondo  si  premiava  la  navigazione 
in  ragione  del  cammino  percorso  e  della  capacità  della  nave  (stazza),  nel- 
r  intento  di  assicurare  in  certo  modo  al  capitale  investito  in  imprese  di 
navigazione,  se  non  un  minimo  d' interesse,  almeno  un  contributo  sul  quale  l'ar- 
matore potesse  contare  con  sicurezza.  Eccezionalmente  si  premiava  il  trasporto 
del  carbone,  in  ragione  del  peso  trasportato  da  porti  oltre  lo  Stretto  di  Gi- 
bilterra, purché  il  carico  non  fosse  inferiore  ai  tre  quinti  della  stazza;  e 
questa  eccezione  mirava  ad  accordare  sotto  altra  forma  un  premio  ai  viaggi 
verso  porti  atlantici  e  settentrionali  dell'  Europa,  che  erano  stati  esclusi  dal 
premio  di  navigazione. 

Questa  ultima  disposizione,  abrogata  poi  con  la  legge  successiva  (*),  fu 
ed  è  rimasta  la  sola  che  si  ispirasse,  per  quanto  in  forma  empirica,  al  con- 
cetto di  comprendere  il  criterio  del  carico  effettivamente  trasportato  fra 
quelli  da  servire  alla  determinazione  del  premio,  anzi  del  diritto  al  premio* 
prima  che  della  misura  di  questo. 

Tutte  le  leggi  venute  dopo  questa,  sino  a  quella  del  16  maggio  1901, 
con  la  quale  il  premio  di  navigazione  fu  abolito,  non  presero  mai  per  base 
del  premio  altri  elementi  oltre  la  percorrenza  e  la  stazza. 

(0  La  proposta  di  legge  per  an*  inchiesta  sulle  condizioni  della  Marina  mercantile 
italiana,  e  sai  mezzi  più  acconci  ed  efficaci  per  assicnrarne  TarTcnire  e  promaoverne  lo 
svolgimento,  fa,  d*  iniziativa  parlamentare,  presentata  alla  Camera  dei  Deputati  il  26 
giugno  1880;  l'inchiesta  fu  ordinata  con  legge  23  marzo  1881,  e  affidata  ad  una  Com- 
missione di  15  membri,  cinque  dei  quali  nominati  dalla  Camera,  cinque  dal  Senato  e 
gli  altri  cinque  per  decreto  reale. 

(»)  23  luglio  1896,  n.  318. 


L  INDUSTRIA   DEI  TRASPORTI   MARITTIMI  29 

Il  Regolamento  per  Tapplicazìone  della  legge  del  1885  aveva  stabilito 
che,  per  godere  del  diritto  al  premio,  le  navi  dovessero  dimostrare  d*avere 
trasportato  merci  per  un  decimo  della  stazza,  o  passeggeri  per  un  ventesimo. 

Nel  1896  il  ministro  della  Marina,  ammiraglio  Morin,  col  disegno  di 
legge  presentato  al  Parlamento  il  3  luglio,  propose  di  aumentare  del  10  ^U 
il  premio  di  navigazione  a  quelle  navi  che  avessero  imbarcato  nei  porti 
dello  Stato  tante  merci  per  almeno  la  metà  della  stazza.  Era  questo  un  altro 
tentativo,  per  quanto  embrionale,  di  vincolare  parzialmente  il  premio  al  traf- 
fico effettivamente  compiuto;  ma  la  Commissione  parlamentare,  relatore 
Ton.  Randaccio,  si  oppose  al  provvedimento;  il  quale  fu  abbandonato,  allo 
stesso  modo  come,  col  Regolamento  per  Tesecuzione  della  nuova  legge,  fu 
abbandonata  la  condizione  posta  dal  Regolamento  del  1885  per  la  determi- 
nazione del  diritto  al  premio.  Con  ciò  rimaneva  definitivamente  stabilito  che 
il  premio  di  navigazione  era  accordato  alla  nave  per  la  nave,  con  assoluta 
indipendenza  dal  trafBco,  cioè  dalla  vera  sua  ragion  d'essere. 

Assolutamente  i  tempi  non  erano  ancora  maturi  per  intendere  Timpor- 
tanza  delFassociazione  del  fatto  del  trafBco  a  quello  della  navigazione,  nei 
riguardi  del  premio. 

Nel  decennio  stabilito  dalla  l^ge  del  1885,  le  cose  della  Marina  mer* 
cantile  non  corrisposero  troppo  bene  alle  speranze.  Dal  punto  di  vista  del 
materiale,  di  piroscafi  superiori  a  500  tonnellate,  appena  11  ne  furono  co- 
struiti sui  cantieri  nazionali,  per  una  stazza  lorda  complessiva  di  19.438 
tonnellate;  se  ne  acquistarono  invece  ben  107  all'estero  (sempre  di  tonnel- 
laggio superiore  alle  500  tonnellate)  per  una  stazza  lorda  complessiva  di 
201.522  tonnellate,  più  che  decupla  di  quella  della  costruzione  nazionale. 

Accanto  a  questa  introduzione  di  nuovo  materiale  a  vapore,  va  ricor- 
data anche  quella  di  materiale  veliero  in  acciaio,  per  un  tonnellaggio  lordo 
di  86.1 16  tonnellate,  tutto  costruito  in  Italia. 

Appare  da  tutto  questo  che  la  sostituzione  del  materiale  a  vela  con 
altro  a  vapore  fu  largamente  conseguita,  in  quanto  che,  non  tenuto  conto 
delle  navi  in  legno,  che  rappresentano  una  parte  assai  piccola,  il  tonnellaggio 
del  naviglio  a  vela  aggiunto  nel  decennio  alla  nostra  flotta  mercantile  fu 
meno  di  un  sesto  di  quello  aggiunto  al  naviglio  a  vapore. 

Nel  complesso,  cioè  tenuto  conto  simultaneamente  delle  nuove  inscri- 
zioni nelle  matricole  e  delle  cancellazioni,  fra  il  1886  e  il  1894  il  tonnel- 
laggio delle  navi  a  vapore  in  Italia  aumentò  di  82.930  tonnellate. 

Non  lo  stesso  si  può  dire  a  riguardo  deirimpulso  dato  alle  costruzioni 
nazionali.  Sebbene  la  legge  avesse  esplicitamente  escluso  dal  premio  di  na- 
vigazione le  navi  di  costruzione  straniera  che  non  fossero  risultate  inscritte 
nelle  matricole  nazionali  entro  un  anno  dalla  promulgazione  della  legge,  gli 
acquisti  all'estero  furono,  come  abbiamo  detto  piti  sopra,  straordinariamente 
numerosi. 


30  GIOVANNI   RONCAGLI 


Questo  fatto,  preso  in  se  stesso,  sembra  tanto  meno  esplicabile  in  quanto 
che,  contrariamente  a  ciò  che  si  potrebbe  pensare  circa  gli  effetti  stimolanti 
del  premio  di  navigazione,  i  piroscafi  inscritti  per  concorrere  al  premio  furono 
sempre  assai  pochi,  e  il  loro  numero,  anziché  crescere  durante  il  decennio, 
andò  costantemente  diminuendo  sino  a  ridursi,  negli  ultimi  anni,  a  poco  più  di 
un  terzo  di  quello  delle  prime  inscrizioni  (^). 

Una  spiegazione  si  ritrova  invece  nella  così  detta  speculazione  dei 
«  ferri  vecchi  « ,  quella  che  fece  dire  ad  un  nostro  insigne  ammiraglio  e  sta^ 
tista,  essere  la  Marina  mercantile  italiana  diventata  una  «  Marina  di  rigat* 
tieri  9 .  Amara,  ma  giusta  definizione.  Nonostante  la  lusinga  del  premio,  gli 
armatori  preferivano  comperare  all'estero  navi  vecchie,  e  ad  ogni  modo  di 
tile  età  da  non  poter  più  aspirare  al  premio.  Considerato  il  tenore  medio 
del  menmto  dei  noli,  allora  relativamente  alto,  l'esiguità  del  capitale  esposto^ 
la  mite  spesa  d'esercizio,  ridotta  a  limiti  estremi,  anche  a  scapito  del 
benessere  degli  equip^^,  gli  armatori  andavano  quasi  sicuri  di  fare  un 
buon  impiego  del  loro  danaro,  molto  migliore  di  quello  che  avrebbero  potuto 
fare  se,  per  concorrere  al  premio,  avessero  fatto  costruire  nuove  navi  sui 
cantieri  nazionali,  pagandole  assai  più  care.  Naturalmente  la  speculazione 
fu  possibile  grazie  ad  una  vera  pletora  di  materiale  in  vendita,  specialmente 
sul  mercato  inglese,  in  parte  dovuta  al  generalizzarsi  delle  costruzioni  in 
acciaio;  ma  dal  complesso  delle  cose  sembra  logico  dedurre  ohe  la  trasfor- 
mazione della  Marina  mercantile,  durante  il  periodo  considerato,  e  il  suo 
incremento  assoluto,  assai  più  che  conseguenza  dei  provvedimenti  l^islatìvi 
di  tutela,  fossero  effetto  di  cause  generali  e  delle  condizioni  generali  del 
mercato  mondiale  a  quel  tempo. 

Considerati  in  se  medesimi,  gli  effetti  della  legge  del  1885  furono  assai 
meschini;  ma  è  giusto  ricordare  che,  come  osservava  lo  stesso  relatore  della 
Commissione  parlamentare,  la  legge,  dati  i  mezzi  finanziari  dei  quali  sì  di<- 
sponeva,  non  aspirava  ad  altro  se  non  a  preservare  la  Marina,  a  difenderla,  in 
quanto  era  possibile,  dalla  schiacciante  concorrenza  straniera  :  non  si  trattava 
di  creare,  ma  soltanto  di  non  lasciar  deperire. 

Sono  86,725,000  lire,  in  cifra  tonda,  che  risultano  pagate  in  quel  pe- 
riodo di  tempo,  in  esecuzione  della  legge  e  del  R.  Decreto  del  22  marzo  1888, 
n.  5872  ('),  che,  in  conseguenza  della  nuova  legge  doganale  del  14  luglio  1887, 
modificava,  aumentandoli,  i  compensi  alla  costruzione.  Ma  se  da  tale  somma 
si  detrae  quella  erogata  in  rimborsi  e  restituzioni  di  dazi  pagati  sui  mate- 
riali da  costruzione,  che  ammontò  nel  decennio  a  lire  8,844,000,  la  somma 
effettivamente  spesa  dallo  Stato  a  profitto  della  Marina  mercantile  si  riduce 
a  lire  27,881,000,  donde  una  media  annua  di  poco  più  di  due  milioni  e  mezzo. 

(*)  Le  inscrizioni  ebbero  un  massimo  di  86  piroscafi  nel  1887,  per  nna  stazza  netta 
complessiva  di  63.297  tonn.,  ed  un  minimo  nel  1895,  di  13  piroscafi  per  tonn.  15.575. 
(■)  Convertito  poi  nella  legge  30  giugno  1889,  n.  6200,  serie  III. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  31 

Era  dunque  naturale  che,  con  mezzi  così  limitati,  il  legislatore  non 
potesse  proporsi  che  il  modesto  scopo  chiaramente  definito  dal  relatore  della 
legge.  Tuttavia  ciò  non  basta  a  giustificare  la  continua  decadenza  della  Ma- 
rina, non  ostante  l'incremento  assoluto  del  materiale.  À  parte  le  altre  cause, 
anzi  le  maggiori,  dovute  al  rapido  e  gigantesco  progresso  delle  Marine  con- 
correati,  non  è  provato  che  una  maggiore  spesa  avrebbe  potuto  produrre 
effetti  migliori.  Anzi  l'esperienza  fatta  poi,  e  segnatamente  Tesempio  della 
Francia,  la  quale,  pure  spendendo  con  grande  liberalità,  non  è  mai  riescila 
ad  ottenere  che  risultati  meschini,  stanno  a  dimostrare  come  i  provvedimenti 
finanziari  del  tipo  di  questi  descritti,  non  servano  a  creare  ed  anche  val- 
gano mediocremente  a  sostenere. 

Alla  scadenza  della  legge  del  6  dicembre  1885,  nonostante  i  risultati 
poco  incoraggianti,  Governo  e  Parlamento  ammisero  la  opportunità  di  per- 
severare nel  sistema  dei  premi,  a  ciò  indotti  specialmente  dagli  esempi  che 
ci  davano  altri  Stati,  come  la  Francia,  l'Austria .  e  TQngheria,  i  quali,  pres- 
soché simultaneamente,  avevano  votato  nuove  leggi  protettive  delle  loro  Ma- 
rine, a  base  di  sussidio  finanziario  (^).  Si  ebbe  così  la  nuova  legge  del  23 
luglio  1895,  n.  318,  sostanzialmente  simile  alla  precedente,  ma  ispirata  ad 
una  maggiore  libertà  e  ad  una  notevole  maggiore  larghezza  di  aiuti  finan- 
ziai! nei  riguardi  del  premio  di  navigazione. 

Soppressa  ogni  esclusione  dal  premio  per  viaggi  in  servizio  di  traffici 
internazionali,  esteso  anzi  il  benefizio  del  premio  a  qualunque  viaggio  anche 
neirinterno  dello  Stato,  limitatamente  però  ai  piroscafi;  aumentata  la  mi- 
sura unitaria  del  premio;  presa  a  base  del  computo  la  stazza  lorda,  in 
luogo  della  netta  come  era  stato  stabilito  nella  legge  precedente;  prolun- 
gato il  limite  d'età  delle  navi  per  acquistare  il  diritto  al  premio,  ecc., 
confidavano  Governo  e  Parlamento  che  la  Marina  mercantile  potesse,  sotto 
questo  nuovo  regime  più  libero  e  più  liberale,  raccogliere  quei  benefizi  che 
la  legge  del  1885  non  aveva  in  pratica  potuto  dare. 

Ma  questa  fiducia  posava  tutta  sopra  un'idea:  quella  che  il  progresso, 
la  prosperità,  la  fortuna  della  Marina  mercantile,  potessero  essere  regolati 
da  provvedimenti  d'ordine  amministrativo  e  finanziario,  indipendenti  affatto 
dal  principale  dei  fattori  economici  del  traffico,  cioè  dal  movimento  d'uomini 
e  cose  sulle  vie  del  mare.  La  stessa  idea  che  in  Francia  aveva  dato  già 
risultati  negativi,  copiata  da  noi  e  adattata  ai  nostri  mezzi  più  limitati, 
persisteva,  nonostante  l'eloquenza  dei  fatti  in  contrario. 

Quali  furono  gli  effetti  di  questa  nuova  legge  ? 

Parve  da  principio  che  gli  armatori  non  si  rendessero  ben  conto  della 
portata  delle  nuove  disposizioni  legislative  riguardanti  il  premio  di  naviga- 
ci) In  Francia  con  la  legge  del  30  gennaio  1893;  in  Austria  con  la  legge  del  27 
dicembre  1893;  in  Ungheria  con  la  legge  del  30  giugno  1893. 


32  GIOVANNI   RONCAGLI 


zione,  io  confronto  delle  precedenti  (^).  Ma  non  andò  molto  che  si  videro 
Compagnie  ed  armatori  affrettarsi  a  commettere  nnoTO  navi  ai  cantieri  na- 
zionali, nnove  Società  costituirsi  per  esercitare  la  navigazione  sotto  Tala  be- 
nefica del  premio,  nuovi  cantieri  sorgere  sulle  nostre  spiagge;  tutto  un  mo- 
vimento nuovo  e  gagliardo  di  capitale  e  di  lavoro  verso  Tindustria  dei  tras- 
porti marittimi. 

Sotto  il  regime  della  legge  in  parola,  fu  più  attiva  la  sostituzione  del 
materiale  a  vela  con  piroscafi,  che  aveva  subito  un  rallentamento  dopo  il 
primo  slancio  del  quale  già  abbiamo  parlato  ;  e  reputati  armatori,  quali  la 
ditta  F.  S.  Ciampa  e  Figli  di  Oastellamare  di  Stabia,  i  Fratelli  Dall'Orso 
e  gli  Accame  di  Qenova,  la  ditta  Peirce  Becker  e  Hardt  di  Messina,  ed 
altri,  presero  ad  armare  piroscafi  per  trafSci  liberi  di  mercanzie^  Furono 
fondate  in  Genova  la  Società  Commerciale  Italiana  {E.  Raggio  e  C),  più 
particolarmente  per  il  trasporto  dei  carboni,  e  con  capitale  tedesco,  la  Italia^ 
per  servizi  liberi  regolari  fra  Genova  e  il  Rio  della  Piata,  Società  che  (U 
italiano  non  aveva  nulla  oltre  il  nome  e  la  bandiera,  essendo  essa  noto- 
riamente una  dipendenza  della  potente  Hamburg  Amerika  Linie  di  Am- 
burgo; in  Venezia  la  Società  Veneziana  di  navigazione  a  vapore  per  il 
trafBco  delle  merci  —  segnatamente  cotoni  e  juta  —  fra  Venezia  e  le  Indie 
inglesi;  a  Torino  la  ditta  Luigi  Capuccio  e  C,  divenuta  poi  la  Naviga^ 
itone  Alta  Italia,  per  trafSci  liberi  di  merci  ;  e  a  Napoli  la  Società  meri- 
dionale di  trasporti  marittimi.  Quest'ultima  però  ebbe  vita  brevissima  ed 
effimera,  perchò  a  pochi  mesi  di  distanza  dalla  costituzione,  e  quando  appena 
uno  dei  suoi  quattro  piroscafi  da  carico  era  entrato  in  servizio  (gli  altri  non 
erano  ancora  pronti),  per  ragioni  di  scissure  fra  gli  azionisti,  ne  fu  decretato 
lo  scioglimento;  e  il  suo  materiale,  passato  nelle  mani  del  Florio,  andò  a 
far  parte  della  fiotta  della  Navigazione  Generale  Italiana  (*). 

Questo  risveglio  d'attività  marinara  fece  sorgere  nuovi  cantieri  navali 
a  Palermo,  ad  Ancona,  a  Biva  Trigoso  sulla  Riviera  di  levante,  e  gli  altri 
già  esistenti  condusse  a  migliorare  i  loro  impianti,  aumentando  il  numero 
degli  scali,  rinnovando  i  macchinari  e  adottando  mezzi  e  metodi  di  lavora- 
zione piti  conformi  alle  nuove  esigenze. 

Le  statistiche  ufficiali  ci  mostrano  che  mentre  fra  il  1882  e  il  1896  si 
ebbe  un  massimo  di  produzione  di  tonnellate  7.113  di  stazza  lorda  di  piro- 

(^)  In  pratica,  il  premio  di  nayigazione,  in  molti  casi,  renira  ad  essere  più  che  rad- 
doppiato. 

(')  La  Navigazione  Alta  Italia  e  Tarmatore  Becker,  già  socio  della  Ditta  Peirce 
Becker  e  Jlardi  di  Messina,  il  20  settembre  del  1910  sottoscrissero  ana  convenzione  col 
Consorzio  autonomo  del  porto  di  Genova,  per  la  quale  fa  isiitaito  un  regolare  servizio 
commerciale  libero  per  T  importazione  dei  cotoni  dairAmerica  del  Nord  e  Tesportazione 
dei  prodotti  nazionali  dai  vari  porti  italiani  agli  Stati  Uniti.  La  flotta  iniziale  delle  ditte 
consorziate  si  componeva  di  14  piroscafi  della  portata  complessiva  di  86|985  tono.  La 
linea,  denominata  La  Creola,  fu  inaugurata  un  mese  dopo. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  33 

scafi  in  aceiaio,  sùbito  dopo  la  promalgasione  della  legge  del  1896  la  pro- 
duzione aumentò  rapidamente,  sino  a  raggiungere  nel  1900  il  massimo  di 
68.294  tonnellate  di  stazza  lorda,  mai  superato  in  seguito.  E  mentre,  come 
già  fu  detto,  sotto  r impero  della  l^ge  del  1885  la  costruzione  dei  yelieri 
in  ferro  ed  acciaio  ebbe  una  grande  prevalenza  su  quella  dei  piroscafi  ('),  essa 
4MSSÒ  invece  improvvisamente  appena  promulgata  la  nuova  le^e,  sì  che  fino 
al  1902  non  fu  costi-uita  una  sola  tonnellata  di  velieri  a  scafo  metallico, 
ed  anche  più  tardi  queste  costruzioni  furono  scarsissime  ed  intermittenti. 

Tutto  questo  materiale  nuovo  andò  naturalmente  inscritto  per  concor- 
rere al  premio  di  navigazione  man  mano  che  fu  pronto  ;  però,  in  causa  delle 
cancellazioni  che  avvenivano  di  navi  giunte  al  limite  d*età  stabilito  dalla 
^^S^j  il  numero  dei  piroscafi  ammessi  al  godimento  del  premio  venne  a  di- 
minuire nel  quadriennio  1897-1900,  mentre  il  loro  tonnellaggio  totale  si  man- 
tenne pressoché  invariato.  Per  le  navi  a  vela  invece,  mentre  la  diminuzione 
numerica  fu  assai  maggiore,  anche  il  tonnelUggio  complessivo  subì  una  di- 
minuzione notevole,  conseguenza  naturale  della  sospesa  costruzione  di  velieri 
a  scafo  metallico,  della  quale  si  ò  già  parlato. 

Dal  complesso  di  questi  fatti  parve  che  la  Marina  mercantile  nazionale 
avesse  finalmente  trovato  la  via  del  rinascimento  e  vi  si  fosse  incamminata 
sotto  promettenti  auspici:  l'accresciuto  tounellaggio,  e  soprattutto  Timpulso 
4ato  al  suo  rinnovamento  ;  Testendersi  delle  costruzioni  metalliche,  e  segna- 
tamente di  quelle  in  acciaio  ;  il  degradare  della  costruzione  di  navi  a  vela, 
ormai  limitata  ai  piccoli  legni  destinati  al  cabotaggio  interno,  alle  barche 
peschereccie  ed  altri  galleggianti  d'uso  locale,  parevano  altrettanti  segni  non 
dubbi  d*una  ripresa  vigorosa  di  espansione  marinara. 

Il  Bernardi  (*),  dal  cui  diligente  riassunto  cronologico  dei  provvedimenti 
a  favore  della  Marina  mercantile,  in  Italia,  tra  il  1885  e  il  1901,  sono 
tratti  in  buona  parte  i  dati  di  fatto  ricordati  in  queste  note,  dopo  aver  messo 
in  chiaro  che  nel  quadriennio  1897-1900  fu  erogata  in  premi  di  naviga- 
zione la  somma  di  lire  12.842-202,84,  corrispondenti  ad  una  media  annua 
4ì  oltre  3,200,000  lire,  mentre  la  media  annua  del  decennio  1886-95  era 
stata  soltanto  di  2,390,000  lire;  dopo  aver  notato  che  erano  stati  spesi  in 
compensi  alla  costruzione  circa  nove  milioni,  mentre  sotto  il  regime  prece- 
dente se  ne  erano  spesi  appena  poco  più  di  sette  in  tutto  il  decennio, 
conchiude  dichiarando  evidente  la  maggiore  efScacia  della  legge  del  1896 
in  confronto  della  precedente  del  1885,  ed  esclama: 

«  Orbene,  questi  risultati  della  legge  1896  i  quali,  nonostante  Tonare 
derivante  alTerario,  avrebbero  dovuto  essere  accolti  con  manifesta  soddisfa- 

(^)  35,116  tonn.  di  stazza  lorda  per  i  velieri. 

19,438     n  n  n      piroscafi  superiori  a  500  tonn. 

(<)  G.  Bernardi,  /  provvedimenti  a  favore  della  Marina  mercantile,   in  «  Rivinta 
Marittima  n,  aprile  1905. 

Giovanni  Bonoagli.  —  L'industria  iti  trasporti  marittimi,  8 


34  GIOVANNI  RONCAGLI 


zione,  sia  per  la  loro  benefica  influenza  sali' economia  generale  dello  Stato, 
sia  perchè  mostravano  che  finalmente  l'Italia  aveva  una  legge  atta  ad  aiu- 
tare validamente  il  risorgimento  della  propria  Marina  mercantile,  questi 
risultati,  ripetiamo,  produssero  invece  nella  gran  maggioranza  del  paese  un 
vivo  senso  di  sgomento  « . 

Un  allarme  infatti  ci  fu,  e  nel  Parlamento  e  nel  Governo,  determinato 
non  tanto  dagli  effetti  accertati,  quanto  dalle  previsioni  che  si  facevano  sugli 
ulteriori  effetti  finanziari  della  legge. 

Se  non  che  tanto  i  mediocri  risultati  della  legge  del  1885,  quanto  gli 
altri,  assai  promettenti,  di  quella  del  1896,  erano,  in  realtà,  molto  meno 
dovuti  alle  leggi  stesse  che  a  particolari  condizioni  del  mercato  generale,  e 
principalmente  al  corso  dei  noli,  molto  depresso  durante  il  regime  della 
prima  legge,  notevolmente  risollevato  più  tardi  durante  quello  della  seconda. 

Una  prova  della  scarsa  relazione  tra  questi  provvedimenti  e  il  risveglio 
determinatosi  nella  Marina  intoiiio  al  1897,  sta  nel  fatto  che,  mentre  nel 
quadrienno  1897-900  si  costruirono  nei  nostri  cantieri  38  piroscafi  in  aeciaìo 
di  tonnellaggio  superiore  a  500  tonnellate,  per  un  complesso  di  quasi 
128,000  tonnellate,  nello  stesso  periodo  ne  furono  acquistati  ali* estero  ben 
108,  tutti  superiori  a  500  tonnellate,  e  tutti  destinati  all'esercizio  della  na-* 
vigazione,  per  un  tonnellaggio  complessivo  di  oltre  212.000  tonnellate. 

Ebbero  forse  torto  Governo  e  Parlamento  di  impressionarsi  delle  conse- 
guenze finanziarie  alle  quali  avrebbe  dato  luogo  la  legge  del  1896,  qualora 
non  fosse  stata  temperata  opportunamente  ;  ma  di  fronte  alla  proporzione 
fra  il  materiale  costruito  in  Italia  e  quello  introdotto  dalFestero,  che  non 
aveva  diritto  ad  alcuno  dei  vantaggi  concessi  dalla  legge,  non  si  poteva  non 
riconoscere  che  la  Marina  aveva  trovato  da  vivere  e  prosperare  senza  il 
premio  di  navigazione,  il  quale  quindi,  perdurando  quelle  condizioni,  sarebbe 
diventato  superfluo. 

Con  la  preoccupazione  finanziaria  prevalse  anche  questo  pensiero;  e 
più  tardi,  a  traverso  alcuni  decreti  reali,  coi  quali  si  limitava  Tapplicazione 
di  taluno  dei  benefizi  della  legge  ('),  si  giunse  alla  legge  del  16  maggio  1901^ 
n*  176,  oggi  ancora  vigente,  con  la  quale  veniva  fissata  in  otto  milioni  al- 
l'anno la  somma  da  erogarsi  a  favore  della  Marina  mercantile.  Provveduto 
ad  xin- equo  trattamento  che  rispettasse  i  diritti  ormai  acquisiti,  la  legge 
aboliva  di  netto  il  premio  di  navigazione  per  l'avvenire,  e  per  le  costruzioni 
navali  ripristinava  il  regime  della  importazione  in  franchigia  di  dazio.  E  il 
regolamento  del  13  novembre  1902  per  l'esecuzione  della  legge,  determi- 
nava limiti  minimi  di  carico,  al  di  sotto  dei  quali  non  si  faceva  luogo  a 
concessione  di  premio  alle  navi  che  conservavano  il  diritto  a  concorrervi. 

(')  R.  Decreto  8  aprile  1900,  n.  135  (decreto  catenaccio),  decaduto  per  fine  di  le-- 
gislatura;  R.  D.  17  giugno  1900,  n.  220;  R.  D.  16  novembre  l&OO,  n.  877. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  35 

Il  principio  che  aveva  indotto  airabolizione  del  premio  di  navigazione 
non  eia  però  tanto  la  persuasione  della  inutilità  del  premio,  quanto  il  concetto 
della  possibilità  di  fare  in  modo  che  di  un  benefìzio  accordato  alla  costru- 
zione avesse  a  godere  di  ritiesso  anche  l'industria  della  navigazione,  la  quale 
—  si  diceva  allora  —  avrebbe  potuto  ottenere  dai  cantieri  nazionali  condi- 
zioni più  vantaggiose  per  provvedersi  delle  navi.  Ma  la  pratica  non  corri- 
spose alla  teorica  :  i  cantieri,  favoriti  dalla  legge  e  quasi  contemporaneamente 
anche  dai  provvedimenti  riguardanti  Temigrazione,  per  la  quale  si  fece  luogo 
ad  una  maggior  richiesta  di  tonnellaggio,  assunsero  di  fronte  airindustria 
dell'armamento  una  posizione  di  imperio  che,  se  non  le  fu  di  danno,  certa- 
mente non  le  riesci  di  vantaggio. 

Ed  anche  oggi,  mentre  altri  principi  s'invocano  per  provvedere  alle  sorti 
della  Marina  mercantile  in  modo  più  razionale  ed  efficace,  una  lotta  sorda 
fra  costruttori  ed  armatori  perdura;  ed  è  questo  forse  il  maggiore  degli 
ostacoli  che  si  oppongono  air  adozione  di  un  regime  di  protezione  più  con- 
facente ai  bisogni  veri  del  commercio  marittimo  e  dell*  industria  delVarma- 
mento. 


V. 


La  Marina  e  l'emigrazione. 


I  trasporti  degli  emigranti.  —  Arfliatorì  e  noleggiatori.  —  La  legge  del  1901.  —  La  con- 
correnza straniera.  —  La  flotta  di  emigrazione  ai  giorni  nostri. 


Una  delle  maggiori  basi  per  l'industria  libera  dei  trasporti  marittimi 
era  ed  è  tuttora  l'emigrazione. 

Dalla  costituzione  del  nuovo  Segno  in  poi  questo  efflusso  di  vita  e  di 
lavoro  nazionale  verso  terre  straniere,  e  specialmente  verso  le  due  Americhe, 
ò  venuto  intensificandosi  fino  a  raggiungere,  nel  1905,  la  cospicua  cifra  di 
726,000  persone.  La  popolazione  in  continuo  aumento;  la  terra  produttiva 
e  messa  a  produzione,  insufficiente  ;  il  costo  della  vita  in  progressivo  aumento  ; 
la  speranza  di  far  fortuna;  le  lusinghe  che  venivano  dall'esempio  di  chi 
già  Taveva  tentata  con  qualche  vantaggio,  erano  tutte  cause  concorrenti  a  de- 
terminare quell'esodo  e  ad  accrescerne  le  proporzioni. 

Il  trasporto  degli  emigranti  a  traverso  l'Atlantico  era  stato  uno  degli 
scopi  della  navigazione  mercantile  degli  Stati  italiani  anche  prima  della 
costituzione  del  nuovo  Begno.  Già  le  navi  della  Marina  sarda  facevano  viaggi 
trasportando  emigranti,  specialmente  verso  l'America  del  Sud,  in  massima 
parte  contadini  e  valligiani  delle  Alpi  ;  ma  a  quel  tempo  si  trattava  di  tra- 


36  GIOVANNI   RONCAGLI 


sporti  occasionali:  la  partenza  avveniva  soltanto   quando   c*era   abbastanza 
gente  da  trasportare  perchè  il  viaggio  fosse  rimunerativo. 

L'origine  dei  servizi  regolali  per  Temigrazione  si  può  stabilire  intomo 
al  1870.  La  Società  di  navigazione  G-  B,  Lavarello  e  C.\  la  Compagnia 
R.  Piaggio  e  figli,  coi  bellissimi  vapori  «  Umberto  I  «  e  «  Regina  Margherita  »  : 
più  tardi  la  Veloce,  fondata  con  capitale  in  massima  parte  genovese,  oggi 
una  delle  nostre  maggiori,  sono  tutte  imprese  sorte  appunto  fra  il  1870  e 
il  1880,  principalmente  per  il  trasporto  degli  emigranti,  agli  speciali  bi- 
sogni dei  quali  cominciarono  sin  d'allora  ad  adattarsi  le  navi. 

A  questo  genere  di  trasporti  parteciparono  sempre  ad  un  tempo  Com- 
pagnie libere  ed  altre  assuntrici  di  servizi  sovvenzionati,  queste  ultime  però, 
come  la  Navigazione  Generale  Italiana,  impiegando  generalmente  un  ma- 
teriale fatto  apposta  e  distinto  dal  resto  delle  loro  flotte.  A  queste,  poi, 
come  a  quelle,  si  aggiungeva  una  terza  categoria  d'industriali  marittimi, 
quella  dei  noleggiatori;  i  quali,  prendendo  a  nolo  piroscafi  generalmente 
stranieri,  quasi  sempre  vecchi  e  male  andati,  spesso  al  limite  legale  di  tol- 
leranza in  fatto  di  requisiti  nautici  e  di  adattamenti,  riescivano  anche  essi  a 
fare  viaggi  lucrosi. 

La  speculazione,  dalla  sua  forma  più  umile  del  noleggio,  a  quella  più 
elevata  del  trasporto  fatto  con  navi  apposite,  diventava  dì  anno  in  anno  più 
rimunerativa.  L'Argentina,  il  Brasile,  gli  Stati  Uniti  domandavano  a  vicenda 
braccia  e  braccia  per  le  vastissime  loro  terre  da  dissodare,  per  le  cento 
opere  gigantesche  di  miglioramento  civile  alle  quali  si  metteva  mano  in 
quei  giovani  paesi;  in  Italia  il  disagio  economico,  conseguenza  naturale  del 
rapido  cammino  della  nazione  sulla  via  del  progresso,  era  in  continuo 
aumento.  Fra  questi  due  poli,  positivo  Tuno,  negativo  l'altro,  svolgevasi 
sempre  più  intensa  la  corrente  umana.  Le  navi  partivano  sovraccariche,  bene 
spesso  in  condizioni  pietose  dal  lato  della  comodità  e  dell'igiene;  le  autorità 
preposte  a  vigilare  chiudevano  un  occhio,  e  la  speculazione  prosperava; 
mentre  accanto  ad  essa,  ausiliaria,  o  complice  che  si  voglia  dire,  ne  pro- 
iiperava  un'altra,  quella  dell'incetta  degli  emigranti  :  una  vera  tratta. 

Preoccupatasi  la  pubblica  opinione  un  po'  alla  volta,  vuoi  per  i  lagni 
che  sollevava  nei  centri  d'emigrazione  l'ingordigia  degl'incettatori,  vuoi  per 
lo  spettacolo  di  miseria  immonda  che  si  rinnovava  di  continuo  nei  grandi 
porti  d' imbarco,  vuoi  ancora  per  quello  pietoso  di  coloro  che  rimpatriavano 
respinti  o  in  fuga  davanti  al  disinganno,  vuoi  finalmente  per  la  severità  di 
nuove  leggi  emanate  nei  paesi  d'immigrazione,  tali  da  impensierire  sulla 
aorte  che  avrebbero  incontrato  i  partenti  al  loro  arrivo  a  destino,  si  recla- 
marono provvedimenti  atti  a  regolare  in  forma  più  civile  ed  umana  le  di- 
verse fasi  dell'esodo  penoso,  ma  inevitabile.  E  venne  la  legge  del  31  gen- 
naio 1901,  della  quale  conviene  riassumere  i  concetti  principali,  specialmente 
per  quanto  riguarda  la  disciplina  del  trasporto  marittimo. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  37 

Dettate  ottime  norme  per  impedire,  fin  doy*ò  umanamente  possibile,  la 
trista  speculazione  degl* incettatori  di  carne  umana,  due  concetti  predomina- 
rono nei  riguardi  del  trasporto  :  quello  di  migliorare  sino  al  massimo  possi- 
bile le  condizioni  del  trasporto  dal  punto  di  vista  della  sicurezza,  della  co- 
modità e  dell'igiene,  e  l'altro  di  ridurre  contemporaneamente  la  misura  del 
prezzo  di  noleggio.  Queste  coudizioni  sarebbero  contradditorie  se  si  dovesse 
riconoscere  che  nel  passato  l'equità  abbia  presieduto  alla  speculazione  del 
trasporto  marittimo.  Ma  in  fatto  era  tutt'altra  cosa  :  cattive  e  sovente  anche 
pessime  le  condizioni  materiali  e  morali  nelle  quali  compievasi  il  viaggio  ; 
elevati  i  noli,  Vemigrante,  lusingato,  attratto  nella  rete  degl'incettatori,  era 
spesso  trattato  molto  male  a  bordo  e  pagava  cara  la  sua  volontaria  prigionia 
in  mare. 

11  legislatore  mostrò  dunque  di  vedere  assai  chiaro  nelle  cose  quando 
stabil)  come  base  i  due  concetti  che  abbiamo  testé  ricordati  e  che,  rispetto 
alle  condizioni  di  quel  tempo,  solo  in  apparenza  sono  contradditori. 

Se  non  che,  a  conseguire  quel  duplice  intento,  parve  non  sarebbero 
bastate  disposizioni  specifiche  di  legge.  E  piti  che  a  queste  si  volle  incor- 
rere ad  un .  agente  indiretto,  stimolante  di  emulazione,  che  si  riteneva  dovesse 
essere  altamente  benefico  :  la  concorrenza. 

La  legge,  pareggiando  nei  diritti  e  nei  doveri  la  bandiera  nazionale  e 
la  straniera,  in  base  a  quel  principio  della  libera  bandiera  del  quale  forse 
abbiamo,  in  diverge  occasioni,  abusato  a  nostro  danno,  venne  in  sostanza  a 
rivolgere  alle  imprese  nazionali  di  trasporti  marittimi  una  sfida.  «  Emulate 
gli  stranieri,  che  vengono  ai  porti  nostri  con  navi  grandi,  sontuose,  veloci!  ': 
ecco  il  cartello. 

La  sfida  non  rimase  certamente  senza  effetto  :  dalla  promulgazione  della 
legge  in  poi,  le  nostre  maggiori  Compagnie  di  navigazione,  come  la  Navi- 
gazioiie  Generale  Italiana,  la  Veloce,  Yltalia^  hanno  messo  in  mare  flotte 
intere  di  navi  nuove,  belle  e  veloci,  in  parte  costruite  appositamente  per  il  tra- 
sporto degli  emigranti,  e  fornite  di  tutto  punto,  secondo  le  più  raffinate  esigenze 
deirigiene.  Altre  Compagnie  sono  soiie,  come  il  Lloyd  Italiano  e  il  Lloyd 
Sabaudo  già  ricordati,  appunto  per  dedicarsi,  come  si  sono  dedicate,  princi- 
palmente a  quel  traffico.  Ma  è  assai  difficile  dire  oggi  se  non  sia  stata  ecces» 
siva  r  interpretazione  data  al  principio  della  uguaglianza  delle  bandiere, 
nell'applicazione  che  ne  fu  fatta  a  questo  ramo  particolare  del  trasporto 
marittimo. 

Riservare  alla  Marina  nazionale  certi  determinati  trasporti  è  concetto 
vecchio,  che  ha  molti  ed  autorevoli  sostenitori,  come  ha  molti  e  parimenti 
autorevoli  contradditori.  Tuttavia  fra  queste  due  diverse  tendenze,  ugual- 
mente assolutistiche  ma  contrarie  Tuna  all'altra,  protezionista  Tuna,  liberista 
l'altra,  vi  è,  come  sempre,  la  via  di  mezzo;  e  questa  è  rappresentata  dal- 
l'opinione di  coloro  i  quali,  senza  voler  escludere  la  bandiera  straniera  dai 


38  GIOVANNI   RONCAGLI 


servizi  di  emigrazione,  ne  Yorrebbero  convenientemente  limitata  la  parteci- 
pazione, con  qualelie  provvedimento  che,  senza  offendere  i  trattati,  favorisse 
la  bandiera  nazionale. 

Sino  ad  oggi,  però,  prevalenti  in  questa  competizione  di  principi  sono 
rimasti  i  metodi  liberistici  ai  quali  la  legge  è  informata.  E  gli  effetti  di 
questo  liberismo,  nonostante  T aumento  ragguardevole  del  naviglio  nazionale 
in  servizio  di  emigrazione  e  il  suo  notevole  miglioramento,  si  riassumono  in 
una  persistente  preponderanza  della  bandiera  estera.  Le  flotte  straniere  in 
servizio  della  nostra  emigrazione,  protette  dai  governi,  o  almeno  non  così  gra- 
vate d'oneri  come  la  Marina  nazionale,  formate  a  prezzo  di  minori  sacrifizi 
iniziali,  per  il  minor  costo  del  denaro  e  dei  materiali  da  costruzione,  ven- 
gono a  trovarsi  di  fronte  alla  nostra  in  condizioni  di  effettivo  privilegio,  a 
malgrado  di  ogni  principio  teorico  d'uguaglianza  tra  le  bandiere.  Quella 
parte  della  nostra  Marina  mercantile  che  si  dedica  al  trafSco  degli  emigi-anti 
ha  bensì  progredito  in  via  assoluta,  sia  per  numero  e  tonnellaggio  di  navi, 
sia  per  velocità,  sia  infine  per  adattamenti  e  trattamento  in  generale  :  e  tutto 
oiò  pure  essendo  stato  sempre  mantenuto  relativamente  basso  il  tenore  medio 
dei  noli,  e  non  essendo  mancate  le  crisi;  ma  l'invadenza  della  bandiera  stra- 
niera e  la  sua  prepotenza,  spinta  sino  a  determinare  una  vera  guerra  dì  ta- 
riffe nel  1907  e  1908,  avevano  quasi  convertito  in  regresso  relativo  il  pro- 
gresso assoluto. 

Certamente  del  cammino  se  n'ò  fatto,  e  grazie  all'energia  spiegata  dalle 
Compagnie  nazionali  e  mercè  l'opera  savia  dei  corpi  amministrativi  preposti 
alla  disciplina  legale  dell'emigrazione,  la  partecipazione  straniera  ai  tra- 
sporti di  emigranti  dall'Italia  è  diminuita  alquanto  negli  ultimi  anni;  ma 
siamo  ancora  lontani  abbastanza  da  quel  limite  al  quale  la  bandiera  nazio- 
nale può  ragionevolmente  aspirare,  senza  venir  meno  al  rispetto  che  si  deve 
ai  trattati. 

La  nostra  flotta  d'emigrazione  comprende  oggi  più  di  quaranta  grandi 
piroscafi,  per  un  tonnelli^gìo  complessivo  di  oltre  250,000  tonnellate,  dotati 
di  velocità  che  variano  da  un  minimo  di  11  miglia  airora  ad  un  massimo 
di  oltre  16  miglia,  capaci  di  trasportare,  per  ogni  viaggio,  più  di  60,000 
emigranti,  ciascuno  di  essi  convenientemente  fornito  di  cuccetta  nelle  bat- 
terie e  nei  ponti  di  corridoio,  oltre  a  3500,  circa,  passeggeri  di  classe. 

Questa  flotta  è  ripartita  fra  sette  ditte  armatrici  che  sono:  la  Naviga- 
zione Generale  Italiana^  la  quale  possiede  da  sola  un  terzo  del  tonnel- 
laggio totale;  Y Italia  Q\9k  Veloce^  che  vengono  subito  dopo  per  importanza, 
la  prima  con  42.000,  l'altra  con  48.000  tonnellate;  il  Lloyd  Sabaudo  con 
34.000  e  il  Lloyd  Italiano  con  32.500  ;  e  finalmente  la  Siculo-Americana 
e  la  Ligure  Brasiliana,  con  un  tonnellaggio  complessivo  di  21.000  ton- 
nellate. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  39 


Parecchie  navi  della  flotta  d'emigrazione  sono  inscritte  nei  ruoli  del 
naviglio  ausiliario  dello  Stato,  e  alcune  di  esse  nella  categoria  incrociatori 
ausiliari,  dati  i  loro  requisiti  di  velocità. 

Il  tonnellaggio  della  nostra  flotta  d'emigrazione  è  oggi  di  poco  infe- 
riore alla  metà  di  quello  totale  delle  navi  a  vapore  inscritte  nelle  matricole 
del  Segno. 

Ciò  prova  che  i  trasporti  a  vapore  veramente  commerciali  sono  ancora 
relativamente  limitati  in  rapporto  al  commercio  marittimo  nazionale,  tanto 
più  se  si  pensa  che  nel  tonnellaggio  totale  sono  compresi  i  piroscafi  delle 
linee  sovvenzionate,  alcune  delle  quali,  pur  essendo  di  carattere  commer- 
ciale, hanno  piuttosto  funzione  politica  e  fanno  in  realtà  poco  trafiSco.  L'ele- 
vata partecipazione  della  bandiera  estera  ai  nostri  traffici  commerciali  è 
altra  e  maggiore  testimonianza  di  questo  stato  di  cose,  a  modificare  il  quale 
non  basta  certamente  l'azione  dei  pubblici  poteri:  questa  in  massima  può 
secondare  e  favorire,  ma  non  creare  ciò  che  non  esiste. 


VI. 


Periodo  di  trasformazione. 
La  scuola  liberista  e  le  convenzioni  marittime. 


I  servizi  amminÌ3tratiyi  per  la  Marina  mercantile.  —  La  scaola  liberista;  suo  contrasto 
con  la  tradizione  del  metodo  della  sovvenzione  fissa.  —  La  Commissione  Reale  per 
i  servizi  marittimi.  —  Il  credito  navale.  —  Dal  progetto  Baccelli  alla  legge  del  5 
aprile  1908.  —  I  servizi  marittimi  di  Stato.  —  L'insaccesso  della  legge  del  1908.  ~ 
Difficoltà  della  situazione;  trattative  con  le  Compagnie  di  navigazione  e  gli  arma- 
tori. —  La  convenzione  col  Lloyd  lùaliano.  —  Intervento  degli  armatori  Peirce  o 
Parodi,  —  La  sospensiva  e  le  aste.  —  Le  influenze  locali  e  Timpreparazione  gene- 
rale del  paese.  —  I  porti  minori  e  le  linee  di  concentramento. 


Sino  da  quando  si  discatena  in  Parlamento  la  legge  del  1901  sui  prov- 
vedimenti a  favore  della  Marina  mercantile,  la  coscienza  pubblica  aveva 
cominciato  a  sentire  la  necessità  di  dare  al  protezionismo  marittimo  un  in- 
dirizzo diverso.  Eravamo  allora  alla  metà  del  periodo  di  durata  delle  con? 
venzioni  del  1893  per  i  servizi  postali  e  commerciali,  che  avrebbero  dovuto 
scadere  nel  1908;  e  quest'altro  importante  problema  da  risolvere  cominciava 
ad  occupare  le  menti.  Oià  sino  d'allora  il  legislatore,  bene  misurando  la 
gravità  della  questione,  aveva,  coU'art.  15  della  legge,  &tto  obbligo  al  Oc- 
verno  di  presentare  entro  Tanno  1903  il  nuovo  disegno  di  legge  per  i  ser- 
vizi marittimi  sovvenzionati  dallo  Stato.  Cosi  tutto  il  problema   marittimo. 


40  GIOVANNI   RONCAGLI 


della  nazione  avrebbe  potuto  a?ere  una  soluzione  organica,  tale  che  rispon- 
desse, meglio  delle  precedenti,  alle  mutate  condizioni  generali  del  paese 
dal  punto  di  vista  dei  suoi  commerci  e  dei  suoi  traffici  interni  ed  intema- 
zionali. Sino  d'allora  cominciavano  a  farsi  strada  neiropinione  pubblica  al- 
cuni concetti  nuovi,  come  quello  della  concentrazione  dei  servizt  marittimi 
sotto  una  unica  amministrazione,  Taltro  deirunificazione  dei  due  problemi, 
andati  sinora  distinti,  dei  provvedimenti  a  favore  della  Marina  mercantile  e 
delle  convenzioni  marittime,  e  finalmente  quello  del  «  premio  raziooale  »  airin- 
dustrìa  dei  trasporti,  cioè  di  un  contributo  di  Stato  che  fosse  proporzionato  con 
equo  criterio  al  benefizio  arrecato  da  queir  industria  all'economia  nazionale. 

La  opportunità  di  radunare  sotto  una  direzione  unica  tutti  i  diversi 
rami  deiramministrazione  della  Marina  mercantile,  tenuti  fino  allora  divisi 
fra  parecchi  Ministeri,  appariva  evidente,  per  dare  unità  d'indirizzo  alle  cose 
della  Marina  in  generale  e  per  meglio  preparare  la  soluzione  dei  problemi 
che  incombevano.  Se  non  che,  difficoltà  di  varia  indole,  non  ultime  quelle 
create  dalla  lunga  consuetudine  burocratica,  contrastavano  fortemente  la  via 
verso  riforme  di  questo  genere. 

La  convenienza  di  radunare  in  una  serie  unica  di  provvedimenti  legis- 
lativi tutta  razione  dello  Stato  in  rapporto  alla  Marina  mercantile  ed  a 
vantaggio  della  medesima,  parve  anch'essa  evidente,  per  le  grandi  affinità 
che  esistono  fra  i  vail  servizt  ai  quali  la  Marina  mercantile  provvede,  qua- 
lunque sia  il  regime  sotto  il  quale  essa  svolge  l'opera  propria.  In  questo 
senso  si  ebbero  notevoli  scritti  d'uomini  di  alta  competenza,  quali  l'am- 
miraglio Bettole  e  il  senatore  Piaggio  (');  e  la  stessa  «  Commissione  Beale 
per  i  servizi  marittimi  »,  nominata  col  B.  Decreto  del  13  settembre  1902, 
interpretando  largamente  il  proprio  mandato,  estese  le  proprie  indagini  a 
tutto  intero  il  problema  marittimo,  e  propose  misure  ch'essa  ritenne  atte  a 
risolverlo  integralmente. 

Le  delusioni  alle  quali  aveva  dato  luogo  l'applicazione  delle  leggi  suc- 
cedutesi per  ì  provvedimenti  a  favore  della  Marina  mercantile,  e  la  scarsa 
soddisfazione  data  al  pubblico  interesse  dalle  varie  convenzioni  per  i  servizt 
postali  e  commerciali,  spianarono  la  strada  a  nuove  idee,  rimaste  lunga- 
mente latenti,  o  germogliate  lungo  il  cammino  spinoso  dell'esperienza. 

Cosi  si  formò  quella  «  scuola  liberista  «  die,  accettando  il  concetto  della 
sovvenzione  fissa  (a  forfait  o  per  lega  di  percorrenza,  o  per  viaggio)  sol- 
tanto come  una  necessità,  quando  siavi  l' interesse  generale  di  sostenere 
ad  ogni  costo  una  data  linea,  propugna  oggi  vigorosamente  la  opportunità 
di  rivolgere  le  maggiori  cure  alla  Marina  libera,  perchè  in  essa  riconosce 
la  maggiore  forza  fattiva  della  Marina  mercantile,  senza  alcuni  di  quei  carat- 

(*)  G.  Bettòloy  Siato  e  Marina  mercantile,  in  «  Nuova  Antologia  »,  voi.  104  (marzo- 
aprile  1908),  p.  454  e  segg.  ~  E.  Piaggio,  Lo  Stato  e  La  Marina  mercantile,  in  «  Nuova 
Antologia**,  voi.  112  (luglio -agosto  1904),  p.  288  e  he^g. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  41 

teri  che  fanno  della  Marina  sovvenzionata,  postale  e  commerciale,  un  orga- 
nismo più  0  meno  statale,  tardo  e  poco  produttivo. 

Questa  scuola,  alla  quale  con  un  recente  voto  aderiva  anche  il  Senato 
del  Segno  (^),  propugna  sostanzialmente  due  principi,  l'uno  all'altro  indis- 
solubilmente associati:  quello  di  limitare  l'applicazione  del  regime  delle 
sovvenzioni  fìsse  ai  soli  servizi  veramente  indispensabili  neirinteresse  gene- 
rale del  paese,  quando  sia  accertato,  o  si  presuma  con  fondamento,  che  non 
possano  offrire  una  base  alKesercizio  industriale  libero,  perchè  non  rimune- 
rativi; Taltro,  di  provvedere  alle  sorti  della  Marina  libera  con  metodo  ra- 
zionale, a  base  di  premio  commisurato  al  traffico  da  essa  effettivamente 
compiuto,  di  mitigazione  d*oneri  fìscali,  di  eventuali  privilegi  nei  trasporti 
per  conto  dello  Stato,  di  tariffe  ferroviarie  protettive,  ecc. 

Col  sorgere  delle  idee  liberiste,  si  determinò,  come  era  naturale,  una 
reazione.  Il  regime  della  sovvenzione  fissa  aveva  abituato  il  ceto  marittimo 
in  generale  a  considerare  il  sussidio  dello  Stato  come  un  diritto,  quasi  come 
un  titolo  fisso  di  reddito,  da  computarsi  nel  bilancio  presuntivo  di  qualunque 
impresa  regolare  di  navigazione.  D'altra  parte  la  consuetudine  aveva  fatto 
nascere  una  infinità  d'interessi  locali  più  o  meno  estesi,  da  quelli  regionali 
e  municipali  a  quelli  del  personale  navigante  e  dei  lavoratori  dei  porti;  e 
tutti  questi  interessi  coalizzati  si  opponevano  anch'essi  accanitamente  all'idea 
nuova. 

In  questo  contrasto,  i  pubblici  poteri  si  mostrarono  perplessi,  e  l'opera 
del  Governo  e  del  Parlamento,  pur  essendo  stata  molto  intensa,  non  poteva 
non  portare  le  stimate  della  incerta  coscienza  che  la  dirigeva.  La  materia 
marittima,  in  generale,  era  famigliare  a  pochi;  si  può  quasi  dire  che  la 
grande  maggioranza  fosse  costituita  dagVindifferenti  :  esigendo  gli  argomenti 
marittimi  un  corredo  di  conoscenze  tecniche  ed  economiche  piuttosto  esteso, 
pochi  si  affaticavano  a  procurarselo.  Inoltre,  non  pareva  che  la  questione 
marittima  fosse  abbastanza  politica  per  infervorare  gli  animi,  e  invogliare 
a  prenderla  a  cuore. 

(>)  L'ammiraglio  Canevaro,  relatore  per  TUfiicio  centrale  del  Senato  sul  disegno  di 
legge  per  le  «  Convenzioni  provvisorie  e  definitive  pei  servizi  postali  e  commerciali  ma- 
rittimi, ed  altri  provvedimenti  a  favore  delle  industrie  marittime  n,  nella  sua  relazione 
deiril  giugno  1910  cosi  si  esprime: 

tt . . . .  gli  Uffici  e  li  Commissione  tengono  a  dichiarare  che  non  escludono  il  regime  delle 
sovvenzioni,  ma  che  intendono  esso  sia  limitato  soltanto  a  quelle  linee  che  hanno  carattere 
postale  e  politico,  e  che  per  il  rimanente  si  cerchi,  per  quanto  è  possibile,  di  essere  larghi 
neiraccordare  aiuti  alla  marina  libera:  a  qaella  marina  libera  che  non  può  lasciarsi 
abbandonata  a  se  stessa  di  fronte  alle  vigorose  concorrenze  di  altri  paesi,  ma  che  deve, 
con  opportune  provvidenze  e  con  facilitazioni  finanziarie  di  vario  genere,  essere  messa  in 
condizioni  di  lottare,  senza  rimanere  in  quello  stato  di  inferiorità  che  oggi  da  ogni  parte 

si  lamenta v  (v.  Atti  parlamentari,  Senato  del  Regno;   Legisl.   XXIII,  I  Sessione 

1909-910  ecc.,  n.  258  A). 


42 


GIOVANNI   RONCAGLI 


Quando,  adunque,  nel  febbraio  del  1906,  la  Commissione  Beale  pre- 
sentò le  sue  conclusioni,  concretate  in  una  serie  di  proposte  che  ritarda- 
vano insieme  il  riordinamento  dei  servizi  sovvenzionati  e  i  provvedimenti  a 
favore  della  Marina  mercantile  in  generale,  il  Governo  non  si  trovò  prepa- 
rato ad  affrontare  tutto  intero  il  complesso  problema;  mise  da  parte  le  pro- 
poste della  Commissione  Beale,  e  solo,  accettandone  il  concetto  di  mettere 
air  asta  per  piccoli  gruppi  ì  servizi  da  sovvenzionare,  stralciò  il  quadro  di 
questi  e,  modificandolo  in  qualche  parte,  lo  prese  per  base  d*un  disegno  di 
logge  per  i  servizi  postali  e  commerciali,  che  fu  presentato  al  Parlamento 
il  5  aprile  del  1906. 

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¥     ¥■ 

Già  da  quando  erano  state  pubblicate  le  proposte  della  Commissione 
Beale,  l'opinione  pubblica  si  era  pronunziata:  quel  progetto,  grandioso  nella 
sua  concezione  tecnica,  esubei-ante  anzi  per  tonnellaggi  e  velocità,  in  qualche 
parte  eccessivi,  appariva  poi  assolutamente  inadeguato,  per  la  parte  finanziaria, 
alla  vastità  ed  alla  somma  delle  esigenze  che  in  esso  erano  concretate.  Per  la 
parte  finanziaria  il  progetto  considerava  due  specie  di  provvedimenti,  cioè  una 
sovvenzione  fissa  per  ciascuna  linea,  commisurata  al  tonnellaggio  ed  alla  per- 
correnza, ed  un  beneficio  indiretto,  proporzionato  alla  spesa  d'impianto  del 
materiale,  per  mezzo  di  un  «  Credito  navale  » .  Questo  istituto,  mezzo  privato, 
mezzo  di  Stato,  avrebbe  fornito  capitali  agli  armatoli  e  alle  Compagnie  ad 
un  saggio  d'interesse  stabilito  e  dietro  opportune  garanzie  e  riserve  sulla 
proprietà  delle  navi;  e  al  pagamento  delle  somme  dovute  dai  mutuatari 
avrebbe  contribuito  lo  Stato,  corrispondendo  loro  una  quota  annua  calcolata 
in  base  al  valore  del  naviglio,  variabile  a  seconda  dei  servizi  ai  quali  questo 
doveva  essere  adibito. 

Calcolato  tutto,  sovvenzione  e  credito  navale,  il  progetto  della  Commis- 
sione reale  veniva  a  concedere  un  compenso  di  lire  2,63  per  miglio,  cioè  la 
metà  circa  della  sovvenzione  media  per  miglio  concessa  dalle  convenzioni 
ancora  vigenti. 

L'opinione  pubblica  aveva  dunque  dichiarato  inaccettabili  le  proposte 
della  Commissione  Beale  ;  ma  il  Governo,  forse  anche  perchè  impedito  d'ap- 
profondire  la  questione  per  mancanza  di  tempo,  in  causa  del  lungo  ritardo 
frapposto  dalla  Commissione  nel  presentare  la  propria  relazione,  pure  avendo 
elevato  a  lire  3,88  il  contributo  medio  per  miglio,  mantenendone  le  due 
componenti  (sovvenzione  fissa  e  compenso  per  interessi  sul  credito  navale), 
aveva  contenuto  le  sue  proposte  in  limiti  troppo  inferiori  alla  più  mo- 
desta pratica  possibilità,  date  le  condizioni  tecniche  che  si  pretendevano 
nelle  navi  e  neiresercizio  della  navigazione  ('). 

(*)  Disegno  di  le^ge  n.  409  A  (Baccelli  A.),  presentato  alla  Camera  dei   Deputati 
nella  seduta  del  5  aprile  1906. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  43 

Se  non  che,  caduto  nel  giugno  dello  stesso  anno  il  Gabinetto  (Sonnino), 
il  disegno  non  potè  essere  discusso.  Il  governo  succeduto,  Ministro  delle  poste 
l'on.  Schanzer,  ripresone  Tesarne,  presentò  poi  una  serie  di  emendamenti  [in 
forza  dei  quali,  rimandandosi  Tistìtuzione  del  Credito  navale,  si  ritornava 
al  vecchio  concetto  unico  della  sovvenzione  fissa,  e  nel  tempo  stesso  si  mo- 
dificava parzialmente  anche  il  piano  delle  linee.  Ma  la  sovvenzione  media 
per  miglio,  da  lire  3,89,  siccome  proposta  dal  disegno  di  legge  del  5  aprile 

1906.  discendeva  a  lire  3,75. 

Sebbene  il  Governo  fosse  già  in  ritardo  di  tre  anni  rispetto  al  limite 
d\  tempo  fissatogli  dalla  legge  del  1901,  per  presentare  le  nuove  proposte 
pei  servizi  sovvenzionati,  la  Commissione  parlamentare,  nominata  per  riesa- 
minare il  disegno  di  legge  5  aprile  1906  e  gli  emendamenti  Schanzer,  non 
presentò  la  sua  relazione  alla  Camera  dei  Deputati  che  il    22  giugno   del 

1907.  E  il  disegno  fu  approvato  dieci  mesi  più  tardi,  diventando  legge  sol- 
tanto il  5  aprile  1908,  cioè  esattamente  due  anni  dopo  la  presentazione 
alla  Camera  del  primo  progetto  (Baccelli),  e  con  cinque  anni  di  ritardo  su 
quanto  era  stato  stabilito  con  l'art  15  della  legge  16  maggio   1901. 

• 

¥     ¥■ 

Frattanto  un  certo  timore  di  supposti  occulti  accordi  fra  Banche  e  So- 
cietà di  navigazione  a  danno  dello  Stato,  l'esistenza  dei  quali  non  fu  però 
mai  bene  accertata,  aveva  fatto  nascere  ed  accreditata  presso  alcuni  l'idea 
che  lo  Stato  medesimo  dovesse  farsi  armatore  per  assumere  l'esercizio  diretto 
delle  linee  postali.  A  conforto  dell'idea,  si  argomentava  essere  queste  linee 
una  continuazione  marittima  della  rete  ferroviaria  (^):  non  esservi  dunque 
ragione  di  mantenerle  in  regime  d'esercizio  privato,  visto  che  già  lo  Stato 
aveva  assunto  l'esercizio  delle  Strade  Ferrate.  Fosse  questo  ragionamento 
frutto  di  maturo  pensiero,  o  soltanto  seduzione  di  novità,  non  è  possi- 
bile dire;  il  fatto  sta  che  si  giunse  persino  a  suggerire  che  lo  Stato, 
abbandonate  le  Compagnie  al  loro  destino,  senz'altro  esercitasse  diretta- 
mente tutti  i  servizi  postali  e  commerciali,  né  mancò  chi  si  mostrasse 
propenso  ad  afiidargli  anche  il   monopolio  del   trasporto  degli  emigranti. 

Propugnatrice  della  statizzazione  dei  servizi  postali  interni,  per  le  co- 
municazioni fra  il  continente  e  le  grandi  isole,  era  stata  la  Commissione 
Beale.  Il  suo  relatore,  nella  elegante  relazione,  come  nei  suoi  discorsi  in 
Parlamento  e  sulla  pubblica  stampa,  compiè  opera  di  vero  apostolato  della 
nuova  idea  ;  alla  quale  non  era  forse  estranea  la  spiccata  tendenza  dei 
tempi   verso  ciò  che  fu  detto  il  «  socialismo  di  Stato  >. 


(')  Cfr.  E.   Piaggio,   Lo  Stato  e  la  Marina   mercantile,   in  u  Naova  Antologìa  » 
16  luglio  1904. 


44  GIOVANNI   RONCAGLI 


La  cosa  fa  luni^amente  dibattuta  in  pubblico,  talvolta  anche  con  asprezza  ; 
i  pareri,  in  argomento,  erano  molto  divisi,  e  una  prova  di  questo  conflitto 
di  opinioni  si  ebbe  specialmente  nel  fatto  dell'alternata  vicenda  che  questa 
parte  dei  provvedimenti  ebbe  a  subire  nei  diversi  disegni  elaborati  dai 
Ministri,  prima  che  il  Parlamento  giungesse  a  discuterne  uno,  il  primo,  che 
fu  poi  approvato  e  tradotto  in  legge  il  5  aprile  del  1908.  Proposto  dalla 
Commissione  Reale,  il  progetto  d'esercizio  di  Stato  delle  linee  per  la  Si- 
cilia e  per  la  Sardegna  fu  abbandonato  dal  Gabinetto  Sennino  (progetto 
Baccelli),  e  ripreso  poi  dal  Gabinetto  Giolitti  (emendamenti  Schanzer). 
Il  dibattito,  se  non  pervenne  mai  a  mettere  d'accordo  le  opinioni  in 
contrasto,  valse  però  a  far  bene  risultare  un  fatto  importante:  quello 
cioè  che  lo  Stato  avrebbe,  con  l'esercizio  diretto  delle  linee  interne,  pa- 
gato ad  assai  più  caro  prezzo  il  servizio  postale  marittimo.  Onde,  non  molto 
dopo  l'approvazione  della  legge  del  5  aprile  1908  n.  IH,  che  istituiva 
la  Navigazione  di  Stato,  e  ne  affidava  l'esercizio  ali* Amministrazione  delle 
Strade  Ferrate,  ed  ancora  prima  che  l'esercizio  fosse  inaugurato,  si  leva- 
rono voci  autorevoli  in  Parlamento  e  fuori,  ad  ammonire  a  riguardo  della 
spesa  eccessiva  che  stava  per  aggravare  il  pubblico  erario. 

Per  effetto  della  legge  del  5  aprile  1908,  ebbe  vita  una  flottiglia  di 
piroscafi,  alcuni  dei  quali  molto  veloci  ed  eleganti,  ma  assai  costosi,  che 
oggi  servono  le  linee  di  Stato  fra  Napoli  e  la  Sicilia,  e  fra  Civitavecchia  e 
la  Sardegna.  Sono  in  tutto  nove  piroscafi,  per  un  dislocamento  complessivo 
di  22.260  tonnellate.  Quattro  di  questi,  cioò  i  vapori  «  Città  di  Catania  « 
«  Città  di  Palermo  »,  «  Città  di  Messina  »,  «  Città  di  Siracusa  »,  di  circa  3500 
tonnellate  di  stazza  lorda  ciascuno,  assegnati  ai  viaggi  per  la  Sicilia,  sono 
dotati  della  velocità  normale  di  20  miglia,  mediante  apparati  motori  della 
forza  massima  di  12.500  cavalli  indicati;  i  due  primi,  anzi,  sono  i  primi 
piroscafi  di  bandiera  italiana  sui  quali  siano  stati  applicati  motori  a  turbina  (^). 
Altri  tre,  ossia  il  «  Caprera  ».  il  «  Città  di  Sassari  »  e  il  «  Città  di  Cagliari  » ,  di 
circa  1500  tonnellate  di  stazza  lorda,  addetti  ai  servizi  per  la  Sardegna,  sulla 
linea  Civitavecchia-Golfo  Aranci,  dispongono  di  una  forza  di  3800  cavalli  in- 
dicati e  di  una  velocità  normale  di  15  miglia.  Finalmente  i  due  nltimi,  il 
«  Terranova  »  e  il  «  Maddalena  » ,  di  circa  500  tonnellate  di  stazza  lorda, 
e  12  miglia  di  velocità,  sono  adibiti  al  servizio  locale  fra  La  Maddalena  e 
Terranova.  Tutti  gli  apparati  motori,  non  a  turbina,  sono  a  triplice  espan- 
sione, eccezione  fatta  per  il  «  Caprera  »  che  ha  una  macchina  a  quadruplice 
espansione  con  quattro  cilindri.  I  piroscafi  sono  tutti  di  costruzione  nazionale, 
tranne  il  «  Terranova  »  costruito  a  Glasgow  nei  cantieri  della  ditta 
A.  Sf,  J.  Inglis  Ltd. 


(*)  Turbine  Parsons  compound. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  45 

Le  condizioni  tecniclre  ed  economiche  di  questi  servizi  di  Stato  non  sono 
per  ora  note,  giacché  siamo  appena  al  loro  inizio  ;  ma,  se  nel  campo  tecnico 
si  possono  fare  previsioni  abbastanza  buone,  nel  campo  economico  una  sola 
previsiono  è  possibile  e  sicura  :  quella  cioè  che  essi  costeranno,  c<^me  si  du- 
bitò da  prima,  assai  più  di  quanto  sarebbero  costati  sotto  quel  regime  di 
sovvenzione  che  si  volle  abbandonare. 

Sebbene  esercitati  direttamente  dallo  Stato,  questi  servizi  conservano  in- 
tero il  loro  carattere  mercantile,  e  in  ciò  si  differenziano  dai  servizi  di 
Stato  del  Segno  delle  Due  Sicilie  e  di  quello  di  Sardegna  che,  come  è  stato 
detto  a  suo  luogo,  erano  afBdati  a  navi  della  Marina  militare,  condotte  e 
servite  da  ufficiali  ed  equipaggi  r^.  Una  sola  eccezione  è  stata  fatta  con 
l'art.  5  della  legge,  che  stabilisce  non  essere  i  piroscafi  delle  linee  di  Stato 
e  tutto  il  corredo  loro  di  attrezzi,  provviste  ecc.,  come  pure  le  officine  ed  il 
materiale  di  porto  adibito  al  servizio  dei  piroscafi  stessi,  soggetto  a  pignora- 
mento 0  sequestro,  né  a  vendita  giudiziale.  Questa  eccezione  era  necessaria 
per  mettere,  di  fronte  ai  terzi,  la  Navigazione  di  Stato  in  condizioni  giuri- 
diche analoghe  a  quelle  di  altre  aziende  di  Stato  che  esercitano  pubblici 
servizi,  come  le  Ferrovie,  le  Poste,  i  Telegrafi,  i  Telefoni  ecc.,  per  le  quali 
tutte  il  materiale  di  esercizio  e  le  relative  dipendenze  sono  protetti  da  dispo- 
sizioni consimili.  E^sa  non  muta  la  natura  mercantile  e  industriale  delFim- 
presa  e  solo  costituisce  un  privilegio  necessario  per  assicurare  la  continuità 
e  la  regolarità  dei  servizi. 

L'accoglienza  fatta  dal  paese,  e  in  particolai-  modo  dal  ceto  marittimo 
alla  legge  del  5  aprile  1908,  fu  delle  più  sfavorevoli.  Era  unanime  il  sen- 
timento della  impossibilità  di  trovare  Compagnie  ed  armatori  che  fossero 
disposti  ad  assumere  i  servizi  voluti  da  quella  legge,  alle  condizioni  che 
essa  determinava,  le  quali  apparivano  manifestamente  troppo  onerose,  sia  per 
la  gravità  degli  impegni  dipendenti  dagli  impianti  che,  come  fu  già  detto, 
avrebbero  dovuto  essere  grandiosi  ed  in  qualche  parte  eccessivi,  sia  per  le 
molte  limitazioni  della  libertà  industriale,  specie  per  riguardo  alle  tariffe, 
sia  finalmente  per  la  esiguità  della  sovvenzione,  la  quale  non  avrebbe  in  alcun 
modo  consentito  agli  assuntori  quel  ragionevole  lucro  al  quale  dava  loro  di- 
ritto la  loro  qualità  di  industriali.  Tutti  previdero  la  completa  diserzione 
delle  aste,  e  la  previsione  si  avverò.  Indette  queste  durante  Testate  del  1908, 
una  sola  domanda  di  concorso  fu  presentata  ed  una  sola  aggiudicazione  ebbe 
luogo,  quella  per  il  minuscolo  gruppo  di  linee  fra  il  porto  di  Bavenna  e 
quelli  di  Trieste  e  di  Fiume,  da  esercitarsi  con  due  piroscafi  del  complessivo 
tonnellaggio  lordo  di  640  tonnellate  e  per  una  sovvenzione  annua  totale  di 
di  lire  60.000.  L'insuccesso  della  legge  non  avrebbe  potuto  essere  più 
completo. 


46  GIOVANNI   RONCAGLI 


Dopo  tauti  anni  di  studi,  sarebbe  stato  dunque  impossibile  di  provvedere 
alla  sistemazióne  dei  servizi  marittimi  alla  scadenza  dei  contratti  vigenti,  se 
il  Governo,  in  previsione  di  un  ritardo,  non  avesse  in  tempo  stipulato  e  fatto 
approvare  dal  Parlamento  convenzioni  provvisorie  con  gli  assuntori,  per  una 
proroga  di  due  anni,  cioè  sino  al  30  giugno  1910. 

Però,  non  ostante  la  dilazione,  era  urgente  trovare  una  via  d'uscita,- 
tanto  più  che,  Tesperimento  delle  aste  easeiìdo  stato  fatto  durante  le  vacanze 
parlamentari,  il  Governo  non  aveva  modo  di  interpellare  il  potere  legi- 
slativo. 

Ma  la  legge  del  5  aprile  1908  non  permetteva  di  modificare  le  condi- 
zioni per  la  concessione  dei  servizi,  pure  dando  la  facoltà  di  ricorrere  alla 
trattativa  privata  in  caso  d'insuccesso  delle  aste.  Il  Governo  si  trovava 
pertanto  di  fronte  ad  un  dilemma  :  o  rimanere  inoperoso  sino  alla  ripresa  dei 
lavori  parlamentari,  o  preparare  una  soluzione  extra-legale  della  grave  que- 
stione, da  sottoporsi  a  suo  tempo  all'esame  del  Parlamento.  Fu  preferita 
qnesta  seconda  via. 

Cominciò  così  una  sene  di  trattative  con  le  Compagnie  di  navigazione, 
risultato  delle  quali  fu  la  conclusione  di  accordi  con  le  minori  Società,  per 
alcuni  gruppi  di  linee  secondarie,  a  condizioni  alquanto  diverse  da  quelle 
della  legge. 

Ma  rimaneva  da  provvedere  al  blocco  principale  delle  linee,  per  il  quale 
un  appello  del  Governo  agli  aimatori  era  rimasto  senza  effetto. 

Un  gruppo  finanziario,  rappresentato  dall'armatore  cav.  Luigi  Capuccio 
di  Torino  e  dal  prof.  Brunelli  direttore  della  Veloce,  propose  allora  al  Go- 
verno di  esaminare  la  questione;  e  avendo  questo  annuito,  nuove  trattative 
furono  incamminate. 

Da  prima,  e  come  primo  passo,  il  Governo  invitò  i  i-appresentanti  del 
gruppo  a  far  conoscere  a  quali  patti,  per  riguardo  alla  sovvenzione,  essi 
avrebbero  ritenuto  possibile  di  assumere  tutto  il  blocco  residuato  dei  servizi, 
ferme  restando  le  condizioni  tecniche  e  di  esercizio  volute  dalla  legge. 

La  risposta  risultò  inaccettabile. 

A  questa  tennero  dietro  due  proposte  di  iniziativa  del  gruppo,  secondo 
le  quali,  fatte  alcune  riduzioni  nel  piano  organico  delle  linee,  e  modificata 
qualche  altra  condizione,  l'onere  per  sovvenzioni  sarebbe  stato  notevolmente 
ridotto. 

Ma  il  Consiglio  dei  Ministri,  avendo  riconosciuto  di  non  poter  accettare 
le  proposte,  perchè  sempre  troppo  gravose  per  l'erario,  deliberò  di  rinunciare 
al  proposito  di  trattare  per  questa  via,  e  autorizzò  il  Ministro  delle  poste 
a  prendere  accordi  col  senatore  Erasmo  Piaggio,  la  cui  alta  competenza  era 
notoria,  per  elaborare,  di  concerto  con  lui,  un  nuovo  disegno  di  legge  da 
presentarsi  al  Parlamento. 


l/lNOUSTRIA    DEI   TRASPORTI    MARITTIMI  47 

Già  in  un  importante  opuscolo  da  lui  pubblicato  nel  1906  {^),  Tautorevole 
e  intraprendente  armatore  aveva  esposto  alcun i  suoi  concetti  sul  modo  dì  ri- 
solvere la  difficile  quistione  delle  convenzioni  marittime;  e  mentre  in  esso 
illustrava  quel  principio,  che  fu  poi  accettato  ed  introdotto  nella  legge  del  1908, 
secondo  il  quale  il  governo  delle  tariffe  marittime  avrebbe  dovuto  esse  ri- 
servato allo  Stato,  alla  stessa  guisa  delle  tariffe  ferroviarie,  delineava  per 
sommi  capi  tutto  un  sistema,  in  base  al  quale,  a  suo  parere,  si  sarebbe 
dovuto  provvedere. 

Aderendo  alFinvito  del  Governo,  il  Piaggio  studiò  da  prima  ud  progetto 
limitato  ai  servizi  più  necessari,  d'indole  postale  e  politica  ;  poscia,  abbando- 
nato questo,  e  trattando  non  più  come  privato,  esperto  dei  traffici  marittimi, 
ma  come  presidente  del  Lloyd  Italiano,  del  quale  era  fondatore,  elaborò,  di 
concerto  col  Ministro  delle  poste  e  telegrafi,  on.  Schauzer,  un  progetto  com- 
pleto per  i  servizi  che  ancora  non  erano  oggetto  di  altre  convenzioni,  e  in 
base  a  questo,  il  23  aprile  1909,  stipulò  una  convenzione  col  Governo,  nella 
quale  erano  sviluppati  in  tutti  i  loro  particolari,  ed  applicati,  i  concetti 
appena  delineati  neiropuscolo  del  1906. 

Il  disegno  di  legge  presentato  alla  Camera  dei  deputati  dal  Ministro 
delle  poste  e  telegrafi  1*8  maggio  1909,  oltre  a  convenzioni  di  minor  conto 
per  alcune  comunicazioni  d'ordine  secondario,  cioè  con  la  Società  Veneziana 
di  Navigazione  a  Vapore  per  servizi  commerciali  tra  Venezia  e  Calcutta  ; 
con  la  Puglia  per  servizi  di  cabotaggio  in  Adriatico;  con  altre  minori  per 
piccoli  servizi  locali  nell* Arcipelago  Toscano,  nel  Golfo  di  Napoli  ecc.,  ;  e 
con  la  Nederland  per  i  servizi  con  Batavia,  proponeva  al  Parlamento  di 
approvare  la  convenzione  stipulata  col  senatore  Piaggio  in  nome  del  Lloyd 
Italiano,  per  la  durata  di  25  anni,  secondo  la  quale  il  Lloyd  si  impegnava 
ad  esercitare  tutti  i  servizi  postali  e  commerciali  interni  ed  internazionali 
nel  Mediterraneo,  compresi  i  servizi  di  cabotaggio  mediterraneo-adriatico  ;  le 
grandi  linee  per  le  Indie  e  la  Gina  ;  i  servizi  per  il  Mar  Bosso  e  TOceano 
Indiano  sino  a  Zanzibar,  e  finalmente  quelli  per  TAmerica  Centrale.  La  con- 
venzione esigeva  T impiego  di  80  piroscafi,  del  tonnells^gio  lordo  complessivo 
di  197.200  tonnellate:  stabiliva  gli  itinerari  e  la  perìodicità  dei  viaggi,  cosi 
che  ne  sarebbe  risultata  una  percorrenza  annua  totale  di  2.711.714  miglia; 
e  fissava  in  lire  17.322.000  la  sovvenzione  iniziale  da  corrispondersi  per  i 
primi  cinque  anni,  che  erano  detti  di  esperimento,  salvo  poi  a  deliberarne 
la  misura  definitiva  quando,  in  base  ai  risultati  industriali  del  quinquennio 
di  prova,  si  sarebbe  potuto  determinare  la  media  passività  effettiva  dei  ser- 


(«)  E.  Piaggio,  Lo  Stato  e  le  convenzioni  marittime,   Roma,   Casa   Editrice   Ita- 
liana, 1906. 


48  GIOVANNI  RONCAGLI 


vizi,  considerati  nel  loro  complesso  (^).  Era  inoltre  stabilito  che  lo  Stato  ga- 
rantirebbe le  obbligazioni  emesse  dalla  Società  per  un  massimo  corrispon- 
dente al  triplo  del  proprio  capitale  (stabilito  in  20  milioni),  e  assicurerebbe 
un  minimo  d'interesse  al  capitale  azionario;  esso  però  avrebbe  una  ingerenza 
diretta  nell'azienda  sociale  per  mezzo  di  suoi  delegati  nel  Consiglio  d'ammi- 
nistrazione, e  parteciperebbe  agli  utili  della  medesima  secondo  certe  deter- 
minate norme,  a  parziale  sollievo  dell'onere  finanziario  che  assumeva. 

* 

Se  la  legge  del  5  aprile  1908  era  stata,  come  fu  detto,  male  accolta 
dal  pubblico,  che  la  giudicò  subito  inapplicabile,  quale  in  pratica  si  addi- 
mostrò poi,  il  nuovo  disino  di  legge  incontrò,  sino  dal  suo  primo  apparire 
in  forma  frammentaria  sui  giornali  quotidiani,  una  decisa  ed  energica  oppo- 
sizione. La  durata  della  convenzione  col  Lloyd  Italiano^  più  lunga  di  dieci 
anni  di  ogni  altra  pid  lunga  diventata  esecutiva  dalla  costituzione  del  Regno 
in  poi,  appariva  manifestamente  eccessiva,  specialmente  perchè,  dato  il  ra- 
pido trasformarsi  del  materiale  ai  tempi  nostri,  in  causa  dell'incessante  pro- 
gresso, era  evidente  la  opportunità  di  non  interdirsi  per  legge  la  possibilità 
di  migliorare  sempre,  in  avvenire,  i  servizi  sovvenzionati.  La  grande  estensione 
dei  servizi  stessi  e  la  situazione  di  privilegio  che,  per  diversi  aspetti,  veniva 
ad  essere  assicurata  all'assuntore,  conferivano  alla  convenzione  una  spiccata 
fisonomia  di  monopolio,  contraria  allo  spirito  dei  tempi.  Le  sorti  della  Ma- 
rina libera  apparivano  specialmente  compromesse  da  questa  larga  concessione 
monopolistica,  in  quanto  che  i  servizi  sovvenzionati,  aiutati  in  ciò  anche  da 
disposizioni  particolari  del  disegno  di  legge  sui  provvedimenti  a  favore  della 
Marina  mercantile,  che  era  stato  quasi  contemporaneamente  presentato  dal 
Ministro  della  Marina  (Mirabelle)  ('),  venivano  ad  esercitare  di  fatto  una 
potente  concorrenza.  L'esperimento  quinquennale  non  affidava  in  alcun  modo 
dal  punto  di  vista  dei  criteil  che  se  ne  volevano  ricavare;  sembrava  piut- 
tosto un  periodo  di  tolleranza  concesso  all'assuntore  per  utilizzare  sino  al- 

* 

l'estremo  il  materiale  vecchio,  del  quale  si  sarebbe  provveduto  da  principio. 
E  sebbene  le  opinioni  fossero  concordi  nel  riconoscere  l'opportunità  di  un 
periodo  di  tolleranza,  cinque  anni  parevano  troppi.  Le  stesse  due  convenzioni 
private,  passate  fra  il  Lloyd  Italiano  e  la  Navigazione  Generale  Italiana, 
l'una  per  la  cessione  di  48  dei  piroscafi  che  questa  avrebbe  avuto  disponibili 
alla  cessazione  dei  contratti  in  corso,  l'altra  per  la  vendita  di  35  mila  azioni  del 

(')  L^articolo  14  del  disegno  di  legge  definiva  questa  media  passività  siccome  di£Ee- 
renza  fra  la  media  delle  spese  (escluse  le  quote  per  il  fondo  delle  grandi  riparazioni  e 
miglioramenti  del  materiale)  e  la  media  dei  prodotti  (escluse  le  sovvenzioni). 

(')  L*art.  11  del  disegno  di  legge,  presentato  dal  Ministro  Mirabelle  alla  Camerali 
12  maggio  1900,  escludeva  dal  godimento  del  contributo  i  viaggi  liberi  che  risultassero 
paralleli  e  concorrenti  ai  servizi  sovvenzionati  o  esercitati  dallo  Stato. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  49 

Lloyd  Italiano,  delle  qaalì  la  Navigazione  Generale  Italiana  era  in  possesso, 
foroBa  wxgamaaào  di  ^«deli»  diSSanza  che,  fondata  o  no,  non  giovò  certamente 
ai  propositi  del  Goveiiio.  Il  fatto  che  la  misura  della  sorvenzione  definitiva 
fosse  lasciata  indeterminata,  senza  nemmeno  un  limite  prudenziale  qualsiasi, 
era  interpretato  come  un  pericolo  per  Terario.  L'ingerenza  diretta  dello  Stato 
nell'azienda,  con  tutto  il  complesso  di  controlli  che  la  legge  del  1908  affi- 
dava all'Ispettorato  dei  servizi  marittimi,  oltre  ad  ispirare  una  mediocre  fiducia, 
avrebbe  tolto  all'azienda  stessa  quasi  ogni  carattere  industriale  ed  ogni  ne- 
cessaria elasticità,  per  trasformarla  in  una  specie  di  azienda  statale  larvata. 
La  garanzia  delle  obbligazioni  e  di  un  minimo  di  interesse  appariva  sic- 
come onere  gravoso,  non  compensato  dal  vantaggio  della  partecipazione  agli 
utili,  ritenuta  più  illusoria  che  reale;  e  il  dominio  delle  tariffe  per  parte 
dello  Stato  era  giudicata  una  eccessiva  limitazione  di  quella  libertà  ohe  è 
la  prima  tra  le  condizioni  necessarie  a  determinare  il  buon  esito  di  una  im- 
presa marittima  a  base  internazionale,  esposta  piti  di  qualunque  altra  alle  vi- 
cende della  concorrenza.  Questa  delicata  materia  delle  tariffe  era  dalla  legge 
affidata  ad  un  «  Gomitato  per  i  servizi  marittimi  « ,  costituito  in  prevalenza 
da  funzionari.  A  prescindere  da  ogni  considerazione  di  competenza,  il  concetto 
medesimo  di  un  imperio  statale  su  ciò  che  costituisce  la  miglior  arma  di 
lotta  nella  concorrenza  mondiale,  non  era  accettato  dalla  coscienza  pubblica. 
C*era  bensì  qualche  solitario  che  mostrava  di  ammettere  una  identità  che 
non  esiste  fra  le  Strade  Ferrate,  che  sono  un  servizio  assolutamente  intemo, 
governabile  per  atto  di  imperio,  e  i  servizi  marittimi,  che  sono  di  continuo 
esposti  alla  concorrenza  straniera,  anche  sulle  linee  di  cabotaggio  interno: 
ma  questo  concetto  non  trovava  che  scarsi  seguaci. 

La  energica  pressione  della  pubblica  opinione  sul  Governo  e  sulla  Com- 
missione parlamentare  per  l'esame  del  disegno  di  legge,  esercitata  per  mezzo 
della  stampa  e  di  pubbliche  e  private  adunanze,  produsse  subito  qualche  ef- 
fetto, quali  la  fissazione,  per  parte  della  Commissione  parlamentare,  di  un 
limite  insuperabile  per  la  sovvenzione  definitiva  (circa  venti  milioni)  ;  la  sop- 
pressione del  privilegio  stabilito  dall'articolo  11  del  disegno  di  legge  sui 
provvedimenti  a  favore  della  marina  mercantile  ecc.  Ma  non  per  questo  mutò 
il  contegno  sfavorevole  del  paese,  reso  anche  più  vivace  dalle  cupidigie 
politiche,  le  quali  trovavano  ormai,  nella  vasta  e  difficile  quistione,  terreno 
favorevole  per  espandersi. 

Mentre  la  Commissione  parlamentare  proseguiva  il  suo  esame,  due 
ditte  di  ben  noti  armatori,  i  fratelli  Peirce  di  Messina  e  Napoli  e  Angelo 
Parodi  di  Genova,  insieme  associate,  l'il  giugno  presentavano  al  Governo 
una  proposta  concreta  per  assumere  tutti  i  servizi  considerati  nella  conven- 
zione col  Lloi/d  Italiano,  a  condizioni  che  in  generale  parvero  notevolmente 
piii  vantaggiose,  e  per  una  sovvenzione  complessiva  (a  forfait)  di  18  mi- 
lioni per  25  anni. 

GiovAMMi  BoKcAQLi.  —  L'indutMa  dn  trasporti  marittimi,  4 


50  GIOVANNI   RONCAGLI 


Questa  proposta  contribuì  ad  accendere  maggiormente  gli  animi,  anche 
perchè,  avendo  il  Governo  dichiarato  di  non  poterla  prendere  in  considera* 
zione,  il  rifiuto  fu  variamente  interpretato. 

Tuttavia  la  cosa  ebbe  come  conseguenza  il  trionfo  del  concetto  della 
rinnovazione  delle  gare  d'appalto,  sebbene  combattuto  apertamente  alla  Ca- 
mera dei  deputati  dallo  stesso  Ministro  delle  poste.  Di  fronte  alla  vigorosa 
opposizione  che  incontrava  la  convenzione  col  Lloyd  Italiano,  il  Qoverno  si 
sarebbe  trovato  in  serio  imbarazzo  se  il  rappresentante  di  questa  Società, 
con  dichiarazione  del  7  luglio,  comunicata  dal  Presidente  del  Consiglio  alla 
Camera  nella  seduta  del  giorno  successivo,  non  avesse  acconsentito  a  che  fos- 
sero aperte  nuove  gare  sui  servizi  considerati  nella  convenzione  da  lui  sot- 
toscrìtta, solo  riservando  intatto  il  diritto  del  Lloyd  nel  caso  che  le  aste 
fossero  andate  deserte.  In  seguito  a  questo  atto,  il  Ooverno  prese  impegno 
di  indire  nuove  aste,  prima  della  ripresa  dei  lavori  parlamentari. 

Queste,  bandite  il  3  ottobre,  per  tre  gruppi  di  servizi  rispettivamente 
denominati  del  «  Tirreno  Superiore  > ,  del  «  Tirreno  Inferiore  >  e  dell*  «  Adria- 
tico »,  ebbero  luogo  il  23  dello  stesso  mese.  Aggiudicatari  del  primo  e  terzo 
gruppo  rimasero  le  Ditte  consorziate  Peirce  e  Parodi,  e  del  secondo  il 
Lloyd  Sabaudo. 

Soccombente  nella  gara  per  il  gruppo  adriatico  era  rimasta  la  Società 
Veneziana  di  Navigazione  a  Vapore.  Questo  fatto  contribuì  a  riaccendere 
la  competizione  fra  Tirreno  e  Adriatico,  ossia  tra  Liguri  e  Veneti,  che,  sino 
dal  principio  della  lunga  discussione,  era  stata  la  nota  prevalente  ed  uno  dei 
più  forti  ostacoli  incontrati  dal  disegno  di  legge. 

Ma  durante  il  lungo  dibattito,  era  intanto  venuta  acquistando  sempre 
maggior  vigore  la  scuola  liberista,  la  quale,  profittando  della  ostilità  che 
incontrava  in  generale  il  disegno  del  Governo,  non  perdeva  occasione  per 
affermarsi  sempre  meglio.  Discorsi  notevoli,  informati  ai  concetti  della  nuova 
scuola,  erano  stati  pronunziati  alla  Camera  da  parecchi  oratori  ;  e  lo  stesso 
ammiraglio  Bettòlo,  a  buon  diritto  considerato  il  capo  della  scuola,  in  un  breve 
ma  eloquente  discorso  pronunziato  il  4  luglio,  aveva  apposto  il  suggello  della 
sua  grande  autorità  alla  tendenza  nuova. 

Da  tutto  ciò  e  dal  fatto  che,  non  ostante  le  aste  e  la  divisione  in  tre 
gruppi,  la  sostanza  delle  convenzioni  rimaneva  invariata,  Topposizione  trasse 
sempre  maggior  forza.  Aggiungevansi  lo  scontento  generale  deirAdriatico,  e 
quello  particolare  di  Napoli  e  di  Palermo,  che  ritenevansi  danneggiati,  e 
una  infinità  di  minori  lagni  per  approdi  desiderati  o  per  altro.  La  situazione 
si  presentava  dunque  assai  difficile. 

Dal  complesso  delle  cose  appariva  manifesta  la  impreparazione  politica 
del  paese,  che  si  dibatteva  in  mezzo  ad  una  serie  infinita  di  questioni  par-^ 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  51 

ziali  6  perdeva  così  di  vista  la  principale.  Le  grandi  comunicazioni  ocea- 
niche, quelle  che  più  drogai  altra  sono  destinate  a  fare  la  fortuna  di  un 
popolo  intraprendente  nei  commerci  marittimi,  parevano  dimenticate.  Le  esi- 
genze dei  porti,  specialmente  secondari,  erano  quanto  si  può  dire  eccessive: 
non  ve  n*era  uno  che  non  avesse  buone  ragioni  da  mettere  innanzi  per  do- 
mandare il  tale  0  tal  altro  servizio  non  considei'ato  nel  disegno  di  legge,  o 
l'approdo  dei  piroscafi  addetti  a  tale  o  a  tale  altra  grande  linea  oceanica. 
Ognuno  di  essi  voleva  avere  il  modo  di  comunicare  direttamente  con  tutto 
il  mondo  quasi  senza  trasbordi;  in  una  parola:  1* interesse  generale  della 
nazione  era  soffocato  sotto  un  fitto  mantello  intessuto  d*  una  infinità  d' in- 
teressi parziali  più  o  meno  estesi,  ma  in  gran  parte  limitatissimi  e  molto 
localizzati. 

Il  concetto  di  avere  pochi  grandi  porti  specialmente  adibiti  al  servizio 
delle  grandi  linee  oceaniche  aveva  trovato  benefica  e  tranquilla  applicazione 
nel  caso  dei  servizi  transatlantici  d'emigrazione:  Napoli,  Genova  e  Palermo 
sono  oggi,  in  forza  di  questo  principio,  i  tre  porti  dove  si  accentra  tutto  il 
movimento  degli  emigranti  in  Italia.  E  questo  fatto,  assai  provvido  per  T eco- 
nomia generale  dell'emigrazione  e  particolare  del  trasporto  degli  emigranti, 
si  è  determinato  spontaneamente,  senza  difficoltà,  e  senza  conflitti. 

Il  concetto  analogo  applicato  più  generalmente  ai  servizi  mercantili  per 
merci  e  passeggeri,  in  movimento  su  grandi  linee  di  lungo  corso,  incontra 
invece  difBcoltà  gravi  in  quei  porti  e  in  quelle  regioni  che  si  credono  ta- 
gliati fuori  dal  movimento  generale  dei  traffici,  soltanto  perchè  non  compresi 
in  quegl*  itinerari. 

Il  disegno  di  legge  delle  aste,  considerava,  quasi  come  appendice,  un 
servisio  così  detto  «  di  ooncentramento  »,  il  quale,  sebbene  applicato  con 
interpretazione  restrittiva,  e  limitatamente  ai  litorali  inferiori  della  penisola, 
si  inspirava  all'ottimo  principio  di  far  dipendere  i  porti  minori  dai  maggiori, 
stabilendo,  o  piuttosto  regolando  meglio,  una  gerarchia  necessaria,  che  già 
in  gran  parte  esisteva  di  fatto  e  contro  la  quale  si  protestava  soltanto  in 
nome  d'interessi  ristrettissimi. 

Ma  questa  ottima  disposizione,  seppellita  a  sua  volta  in  mezzo  alle 
altre  m^giori,  e  troppo  poco  sviluppata,  come  fu  detto,  passò  quasi  inosser- 
vata, travolta  dal  tmbine  dell'opposizione  che  involgeva  tutto  intero  il  di- 
segno di  legge,  e  che  oramai,  lasciato  indietro  il  suo  carattere  tecnico,  era 
diventata  opposizione  schiettamente  politica. 


^2  GIOVANNI   RONCAGLI 


VII. 


Seconda  fase  della  lotta  per  le  Convenzioni. 


I  servizi  della  Marina  mercantile  concentrati  al  ministero  della  Marina.  —  Nuova  fase 
della  questione  marittima.  —  Una  soluzione  intermedia.  —  Interessi  adriatici  in 
conflitto.  —  Il  contributo  di  nolo,  —  Sintesi  delPopera  parlamentare  in  materia 
marittima.  —  Contegno  delle  Compagnie  di  Navigazione.  —  La  legge  Lazzatti.  — 
La  Società  Nazionale  dei  servili  marittimi. 


La  crisi  del  Gabinetto  Giolittì,  avvenuta  il  2  novembre,  interruppe  la 
lunga  disputa. 

Il  nuovo  Gabinetto,  presieduto  dal  deputato  Sidney  Sonnino  e  con  Gio- 
vanni Bettole  ministro  della  Marina,  parve  a  molti  promessa  di  lieta  fine 
della  vexata  quaestio. 

Nessuno  dubitava  che  il  capo  della  scuola  liberista  non  avrebbe  saputo 
trovare  la  soluzione  atta  a  conciliare  gli  animi;  per  la  qual  cosa  un  senso 
generale  di  fiduciosa  aspettativa  venne  tosto  a  sostituirsi  alla  agitazione  del 
periodo  precedente. 

Una  delle  condizioni  poste  dal  Bettole  per  accettare  il  portafogli  della 
Marina,  in  momento  cosi  diflScile,  era  stata  —  a  quanto  si  afferma  —  quella 
che  il  Governo  provvedesse  prima  d'ogni  altra  cosa  alla  unificazione  dei  ser- 
vizi  della  Marina  mercantile,  radunandoli  tutti  presso  il  ministero  della  Ma- 
rina. Trovato  in  ciò  consenziente  il  Parlamento,  il  2  gennaio  1910  veniva 
promulgata  una  legge  speciale  in  forza  della  quale  i  servizi  marittimi  e  gli 
altri  ad  essi  immediatamente  attinenti,  eccettuati  quelli  riguardanti  1* emigra- 
zione, erano  concentrati  nel  ministero  della  Marina.  Parve  che  Tatto  soddisfa- 
cesse una  necessità  lungamente  sentita;  ma  la  fiducia  con  la  quale  esso  era 
stato  salutato  fu  alquanto  scossa  quando,  nella  pratica  applicazione,  codesta 
unificazione  apparve  ridotta  al  passaggio  dei  soli  servizi  sovvenzionati,  con 
poche  altre  cose  di  minor  conto,  dal  ministero  delle  Poste  a  quello  della 
Marina.  Già  Tesclusione  del  trasporto  marittimo  degli  emigranti  non  era 
apparsa  giustificata  da  alcun  serio  motivo;  quando  poi  si  cominciò  a  sapere 
che  i  servizi  della  pesca  marittima  e  quelli  dei  porti,  spiagge,  e  fari  sareb- 
bero di  fatto  rimasti  presso  i  ministeri  d'Agricoltura  e  dei  Lavori  Pubblici  e 
che  il  trasferimento  della  Navigazione  di  Stato  dalle  Ferrovie  alla  Marina 
non  si  sarebbe  compiuto,  quel  senso  generale  di  fiducia  che  aveva  accolto  la 
riforma  lungamente  invocata  venne  di  molto  attenuato. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  53 


Intaoto,  però,  soggetto  della  maggiore  attenzione  di  tutti  era  sempre  il 
problema  delle  6on?enzioni  marittime  e  dei  provvedimenti  a  favore  della 
Marina  mercantile;  tutti  amavano  confidare  che  la  soluzione  di  questo  sa- 
rebbe stata  agevolata  dalla  unificazione  compiutasi,  per  quanto  imperfetta  ; 
perocché  in  grazia  di  essa  il  problema  era  posto  nelle  mani  del  Bettole,  che 
riscuoteva  unanime  la  fiducia  del  paese  e  del  Parlamento. 

Postosi  egli  airopera,  trovossi  innanzi  tutto  di  fronte  ad  una  situazione 
profondamente  pregiudicata  da  due  fatti  Tuno  più  grave  deiraltro:  da  un 
lato  Tavvenuta  aggiudicazione  dei  gruppi  di  servizi  ai  vincitori  delle  gare  ; 
dair altro  gl'interessi  regionali  e  locali  fortemente  acuiti  nella  lunga  con- 
tesa e  attentamente  vigili  nel  momento  presente. 

In  questa  contingenza  sarebbe  stato  impossibile  troncare  di  un  colpo 
qualsiasi  legame  col  passato  e  inaugurare  tutta  in  una  volta  una  politica 
marinara  basata  sulle  idee  propugnate  dalla  scuola  liberista.  Quando  si  pensi 
alle  clamorose  proteste  che  sollevò  in  Napoli  il  fatto  che,  secondo  il  pro- 
getto Schanzer  per  le  aste,  i  minuscoli  servizi  del  Golfo  e  delle  isole  Pon- 
tine, vera  continuazione  di  linee  tramviarìe  cittadine,  erano  stati  assegnati 
al  gruppo  del  Tirreno  superiore,  che  gravitava  necessariamente  su  Genova, 
^rà  facile  comprendere  che  sarebbe  stato  atto  di  poca  prudenza  tentare  di 
un  colpo  il  passaggio  dalle  vecchie  consuetudini,  diventate  tradizioni,  ai  con- 
cetti nuovissimi;  i  quali,  oltre  tutto,  presentavano  un  punto  debole  dal  lato 
dell'esperienza,  che  mancava  del  tutto. 

Bisognava  dunque  ricercare  una  soluzione  intermedia,  la  quale,  tenendo 
in  giusto  conto  l'eredità  del  passato,  provvedesse  all'avvenire  secondo  lo  spi- 
rito dei  tempi  nuovi  ed  aprisse  alla  Marina  nazionale  la  via  per  linnovarsi 
e  riconquistare  quel  posto  che,  per  forza  di  circostanze,  aveva  da  tempo 
perduto. 

Il  disegno  di  legge  presentato  dal  ministro  Bettole  alla  Camera  dei 
deputati  TU  febbraio  1910,  aveva  per  l'appunto  il  carattere  di  una  soluzione 
conciliativa;  perchè,  mentre  limitava  alquanto  i  servizi  da  mantenersi  in 
regime  di  sovvenzione  fissa,  faceva  una  piii  larga  parte  alla  Marina  libera, 
preparandole  anche  la  via  per  partecipare  vantaggiosamente  ad  alcuni  servizi 
pubblici  regolari,  senza  assumere  vincoli  perentori  come  imponeva  il  vecchio 
regime;  tutto  ciò  mediante  l'applicazione  di  un  metodo  nuovo  detto  del 
«  contributo  di  nolo  »  del  quale  sarà  detto  in  appresso. 

Superata  mediante  accordi  con  le  ditte  Peiree  e  Parodi  e  col  Lloyd 
Sabaudo  la  diflScoltà  dipendente  dall'awenuta  aggiudicazione  dei  gruppi  se- 
condo il  disegno  Schanzer,  il  Governo  promosse  la  costituzione  di  una  nuova 
Società,  la  quale  avrebbe  assunto  l'esercizio  di  tutte  le  linee  postali  e  com- 
merciali, cosiddette  politiche,  comprese  nella  categoria  dei  servizi  maggiori, 


54  GIOVANNI   RONCAGLI 


Tale  a  dire  con  esclusione  dei  servizi  del  Golfo  di  Napoli  e  delle  isole  Pon- 
tine, delle  Eolie,  dell*  Arcipelago,  todcano  ecc.,  che  erano  oggetto  di  conyen- 
zioni  speciali  con  singoli  assuntori.  Era  fatta  eccezione  soltanto  per  una 
parte  dei  servizi  postali  e  commerciali  interni  deirAdriatico,  che  sarebbe 
stata  concessa  in  esercizio  alla  Società  Puglia  di  Bari. 

L'eccezione  parve  determinata  da  un  atto  di  condiscendenza  verso  inte- 
ressi locali  piuttosto  che  da  utilità  rispetto  alla  struttura  organica  del  di- 
segno; la  quale  anzi  veniva  a  scapitarci.  Infatti  suo  effetto  immediato  fu 
quello  di  inasprire  la  competizione  latente  fra  T Adriatico  superiore  rappre- 
sentato da  Venezia  e  1*  inferiore  rappresentato  da  Bari  e  Brindisi  unite. 

In  sostanza  TAdriatico,  che  contro  il  primo  disegno  Schanzer  era  in- 
'sorto  compatto,  in  nome  di  un  interesse  veramente  nazionale,  quale  è  quello 
della  lotta  economica  contro  T  invadenza  della  bandiera  austriaca,  venutosi 
alle  gare  col  secondo  disegno,  aveva  cominciato  a  mostrare  che  la  cosid- 
detta «  quistione  adriatica  »  era  forse  meno  internazionale  che  nazionale: 
una  questione  di  prevalenza  tra  Nord  e  Sud  divideva  talmente  animi  ed  in- 
teressi che  non  era  stato  nemmeno  possibile  radunare,  a  momento  opportuno, 
sufficienti  forze  finanziarie,  per  riescire  neiraltro  intento  di  dare  all'esercizio 
dei  servizi  adriatici  in  genere  un  preponderante  carattere  locale.  Per  questo, 
solo,  come  è  già  stato  detto,  la  Veneziana  era  rimasta  soccombente  alle  aste. 

Ora,  Teccezione  fatta  in  favore  della  Puglia  avendo  acuito  la  compe- 
tizione regionale,  indebolì  ancora  le  già  deboli  forze  adriatiche  e  soprat- 
tutto contribuì  fortemente  a  compromettere  anziché  a  facilitare  la  soluzione 
generale. 

D*altro  canto  Napoli  e  la  Sicilia  non  si  tenevano  soddisfatte  della  parte 
loro  fatta  nella  assegnazione  delle  linee  sovvenzionate  e  mostravano  di  rite- 
nere che  il  contributo  di  nolo  avrebbe  giovato  più  agi'  interessi  liguri  che  a 
quelli  del  mezzogiorno,  data  la  proporzione  esistente  fra  gli  armamenti  liberi 
delle  due  regioni. 

Il  metodo  del  contributo  di  nolo  era  in  sostanza  la  prima  forma  pra- 
tica che  si  tentava  per  l'applicazione  di  uno  dei  principi  generali  della 
scuola  liberista,  quello  di  comprendere  tra  i  fattori  determinanti  di  un  qual- 
siasi contributo  dello  Stato  a  favore  della  Marina  mercantile  il  traffico  effet- 
tivamente compiuto. 

Le  merci  sarebbero  state  classificate  secondo  un  criterio  che  si  potrebbe 
chiamare  del  merito  economico,  cioè  del  benefizio  che  il  loro  movimento 
in  importazione  od  esportazione,  per  le  vie  del  mare,  arreca  alla  economia 
generale  della  nazione;  e  in  relazione  a  codesto  merito  sarebbe  stato  deter- 


LINDUSTRIA   DEI   TRASPORTI   MARITTIMI  55 


minato  il  contributo  da  corrispondersi  per  tonnellata  di  peso  e  per  mille 
miglia.  Questo  il  concetto  generale.  Ti  erano  poi  delle  particolari  disposi- 
zioni che  stabilivano  esclusioni  o  trattamenti  speciali  di  massima,  come  per 
esempio  Tesclasione  dei  trafBci  mediterranei,  intesa  a  favorire  con  preferenza 
quelli  oltre  Suez  e  oltre  Gibilterra,  e  la  concessione  di  una  maggiore  ali- 
quota di  contributo  (doppia  al  massimo)  alle  navi  che  fossero  impegnate 
per  non  meno  di  cinque  anni  su  linee  regolari  in  base  a  speciali  conven- 
zioni con  lo  Stato. 

La  scelta  delle  merci,  la  loro  ammissione  al  godimento  del  contributo, 
la  determinazione  della  misura  di  questo  e  la  periodica  revisione  di  tutta 
questa  materia,  in  dipendenza  del  movimento  generale  dei  trafSci,  erano  affi- 
date ad  un  «  Comitato  pei  traffici  marittimi  » ,  presieduto  dal  presidente  del 
Consiglio  superiore  della  Marina  mercantile  e  composto  in  parti  uguali  di 
funzionari  delle  pubbliche  amministrazioni  e  di  rappresentanti  del  Commercio 
e  della  Marina  mercantile. 

Il  contributo  di  nolo  come  compenso  diretto,  lo  sgravio  di  alcuni  oneri 
fiscali  (abolizione  dei  diritti  consolari,  riduzione  delle  tasse  di  ricchezza  mo- 
bile e  di  registro,  esenzione  dalle  tasse  di  bollo)  come  compenso  indiretto, 
ed  il  rimborso  della  tassa  per  il  Canale  di  Suez  per  le  navi  impegnate  su 
linee  regolari,  costituivano  il  sistema  ideato  dal  Bettole  per  venire  in  aiuto 
alla  Marina  libera. 

Finanziariamente  il  disegno  assegnava  15  milioni  di  lire  alle  linee 
sovvenzionate  e  altrettanti  alla  Marina  in  generale,  dei  quali  4.750.000  ri- 
servati air  industria  delle  costruzioni  navali  e  10.250.000  a  quella  dei  tras- 
porti (*). 

La  novità  e  l'arditezza  della  cosa  prestando  facile  esca  ai  commenti  e 
alle  interpretazioni  le  piti  svariate,  spianarono  la  strada  agli  oppositori;  e 
la  pubblica  opinione,  fattasi  più  che  mai  incerta  in  mezzo  a  tanta  convul- 
sione d' interessi,  agitata  anche  nel  frattempo  dalle  passioni  politiche  tutt  altro 
che  acquetate,  parve  divisa.  Da  una  parte  coloro  che,  pur  non  riunendo  i 
principi  della  scuola  liberista,  volevano  conciliare  questi  con  la  politica  ge- 
nerale, preponderante  sempre,  rimproveravano  al  Bettole  di  avere  quasi  rinne- 
gato sé  stesso  facendo  una  parte  ancora  troppo  larga  ai  servizi  sovvenzionati  ; 
dall'altra  i  difensori  del  metodo  della  sovvenzione  fissa  s'affannavano  a  fare 
confronti  coi  disegni  precedenti,  prendendo  generalmente  per  base  questo  o 
quel  particolare,  e  conchiudevano  per  la  minore  convenienza  del  nuovo  disegno, 
quale  ad  essi  appariva  attraverso  le  loro  minute  analisi  parziali. 

Sopra  le  due  parti,  anzi  l'una  e  l'altra  dominando,  incombeva  la  pas- 
sione politica  ;  onde  si  può  ben  dire  che  il  Bettole,  inalzato  al  potere  dalla 

(')  In  questa  somma  erano  comprese  L.  1.750.000  come  previsione  deirammontare 
de^li  sgravi  d*oneri  fiscali. 


56  GIOVANNI   RONCAGLI 


unanime  fiducia  del  pubblico  italiano,  si  trovasse  d*  un  tratto  solo,  investito 
da  una  corrente  di  ambizioni  e  di  cupidigie  politiche,  per  la  quale  non  era 
scopo  la  soluzione  del  problema  marittimo. 

In  un  memorabile  discorso  da  lui  pronunziato  alla  Camera  il  20  marzo 
1910,  egli  dette  ampio  conto  deiropera  sua,  illustrando  in  ogni  suo  parti- 
colare il  progetto,  e  la  Camera,  nonostante  Tostilità  generale  ormai  aperta- 
mente dichiarata  contro  il  Gabinetto  Sennino,  lo  ascoltò  con  religioso  con- 
tegno. Ma  egli  stesso  sapeva  ormai  che  ogni  sua  perorazione  non  avrebbe 
potuto  condurre  che  ad  un  successo  oratorio,  e  che  il  suo  discorso  sarebbe 
stato  il  «  canto  del  cigno  «.  Di  ciò  persuaso,  egli  chiuse  il  suo  dire  con 
questa  raccomandazione:  «  Dopo  circa  due  anni  di  discussione,  lunga,  appas- 
sionata, fate  che  le  risoluzioni  della  vostra  maggioranza  rappresentino  le 
direttive  che  voi  volete  siano  date  alla  nostra  politica  commerciale  marit- 
tima, la  quale  non  può  vivere  di  dubbi  e  di  polemiche  negative.  Condan- 
nate il  nostro  programma,  ma  indicatene  un  altro  » . 

In  queste  parole  sta  tutta  una  sintesi  dell'opera  parlamentare  svoltasi 
da  quattro  anni  :  opera  incerta  quanto  mai,  che  vale  a  dimostrare  la  gene- 
rale impreparazione  del  paese. 

L' indomani  il  Gabinetto  rassegnava  le  'proprie  dimissioni,  e  la  grave 
quistione  piombava  nuovamente  nel  vuoto. 

Durante  questo  avvicendarsi  di  studi  e  di  progetti,  le  maggiori  Com- 
pagnie di  Navigazione,  cioè  la  Navigazione  Generale  Italiana,  la  Veloce 
e  Y  Italia  che,  come  già  è  stato  detto,  formano  sostanzialmente  un  coi-po 
unico,  avevano  tenuto  palesemente  un  contegno  di  assoluto  disinteresse.  Già 
neirassemblea  generale  degli  azionisti  del  19  dicembre  1908,  la  Naviga- 
zione Generale  Italiana  aveva  deliberato  di  dedicarsi  unicamente  a  traffici 
liberi  alla  scadenza  dei  contratti,  e  uguale  contegno  aveva  assunto  la  Ve- 
loce^ sola  delle  due  appendici  della  Generale  che  godesse  d*nna  sovven- 
zione dallo  Stato  per  la  linea  del  Centro  America.  Sino  dal  1907  la  Navi- 
gazione Generale  Italiana,  fedele  al  suo  programma  di  radunare  in  un 
solo  fascio  quante  più  forze  armatrici  fosse  possibile,  mediante  remissione 
dell*  ultima  quota  del  suo  capitale  sottoscrìtto  (20  milioni),  erasi  assicurata 
la  maggioranza  delle  azioni  del  Lloyd  Italiano,  prendendo  così  una  parte 
preponderante  in  queirazienda.  Questa  condizione  di  vassallaggio  privava  il 
Lloyd  di  quella  libertà  d'azione  della  quale  aveva  bisogno  per  trattare  in 
nome  proprio  col  Governo,  quando  vi  era  stato  invitato.  Era  perciò  corso  fra 
le  due  Società  il  compromesso  già  ricordato,  secondo  il  quale,  simultaneamente 
alla  cessione  dei  piroscafi,  la  Navigazione  Generale  avrebbe  nuovamente  ceduto 
al  Lloyd  le  85  mila  azioni  acquistate  nel  1907;  anzi,  come  è  stato  già 
detto,  anche  questo  compromesso  fu  argomento  di  qualche  diffidenza,  ^e 
nocque  alla  situazione  generale  della  quistione  che  si  trovava  sub  Judice. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  57 

Scaduto  col  31  dicembre  1909  il  termine  di  validità  del  compromesso, 
e  col  81  marzo  saccessivo  quello  di  un  successivo  impegno  preso  dalla  Na- 
vigazione  Generale  per  invito  del  Governo  (Giolitti),  di  tenere  il  proprio 
materiale  a  disposizione  di  chiunque  diventasse  entro  quel  giorno  concessio- 
nario di  servizi  sovvenzionati,  la  Navigazione  Generale  Italiana  rimaneva 
di  fotte  padrona  del  Lloyd  Italiano,  come  già  lo  era  della  Veloce  e  del- 
l'/to/m. 

Alla  caduta  del  Gabinetto  Sennino  la  situazione  si  presentava  dunque 
nel  modo  che  segue  :  le  quattro  maggiori  Società,  strette  in  un  fascio,  costi- 
tuivano un  gruppo  che,  per  dichiarazioni  più  volte  ripetute,  non  avrebbe 
partecipato  a  servizi  sovvenzionati. 

Di  probabili  assuntori  di  questi  non  restavano  che  il  Lloyd  Sabaudo, 
la  Puglia  e  la  Società  Veneziana,  che,  insieme  unite,  rappresentavano  una 
potenzialità  capitalistica  di  86  milioni,  cioè  meno  di  un  terzo  di  quella 
rappresentata  dalle  quattro  maggiori  di  fatto  congiunte,  la  quale  era  ormai 
di  111  milioni.  . 

Air  infuori  di  queste  Compagnie  già  in  essere,  e  delle  società  Naviga- 
zione Alta  Italia  di  Torino,  Commerciale  Italiana  di  Genova,  e  Caricatori 
e  Searitori  riuniti  di  Brìndisi,  quest^ultima  di  assai  modesta  potenzialità, 
specializzate  in  trasporti  unicamente  commerciali,  e  dì  alcune  altre  minori 
dedite  esclusivamente  al  trasporto  degli^emigranti  o  a  piccoli  sei-vizi  locali 
0,  come  il  Servizio  Italo- Spagnuolo,  fomite  di  materiale  decrepito,  non  vi 
erano  in  tutta  V  Italia  altri  possibili  assuntori  oltre  le  Ditte  Peirce  e  Parodi, 
già  note  per  la  parte  presa  nelle  precedenti  competizioni. 

D'altra  parte  il  disegno  di  legge  del  Bettole,  quando  anche  fosse  stato, 
in  fondo,  ritenuto  preferibile,  non  poteva  essere  ripresentato  alla  Camera 
senza  che  questo  atto  assumesse  un  significato  troppo  palese  di  avversione 
politica  contro  il  capo  del  cessato  Gabinetto. 

Per  tutte  queste  ragioni,  aggravate  poi  dair  urgenza,  perchè  al  30  giugno 
scadeva  il  termine  ultimo  delle  convenzioni  in  corso,  ed  ogni  tentativo  ftitto 
dal  Governo  per  ottenere  una  nuova  proroga  era  fallito,  il  Presidente  del 
Consiglio,  on.  Luzzatti,  si  appigliò  al  partito  di  prendere  tempo,  adottando 
una  misura  provvisoria  che  bastasse  ad  assicurare  la  continuità  dei  servizi, 
sino  a  quando  si  fosse  potuto,  dopo  ulteriori  studi,  provvedere  definitiva- 
mente. 

L' impressione  che  produsse  in  paese  la  dichiarazione  fatta  in  proposito 
dal  Luzzatti  nell* esporre  al  Parlamento  il  suo  programma  di  Governo,  fu 
di  sorpresa.  Dopo  otto  anni  di  studi  e  di  discussioni,  male  si  comprendeva 
la  necessità  di  studiare  ancora.  D*alti-a  parte  la  sospensiva  non  implicava 
soltanto  la  questione  dei  servizi  sovvenzionati,  ma  tutto  il  problema  marit- 
timo, in  quanto  che  il  Luzzatti,  nello  esporre  il  suo  divisamente,  aveva 
illnstrato  la  asserita  necessità  di  compiere  nuovi  studi  con  la  incertezza 


58  GIOVANNI   RONCAGLI 


che  regaava  ancora  sulla  scelta  del  metodo  da  preferire,  cioè  fra  le  idee 
della  vecchia  scuola,  a  base  di  sovvenzione  fìssa,  e  quelle  della  scuola  li- 
berista. 

Ma  l'impressione  non  condusse  ad  alcuna  azione  che  contraddicesse  il 
proposito  del  Governo. 

Per  opera  specialmente  personale  del  Luzzatti,  fu  subito  promossa  la 
costituzione  di  una  nuova  Società  anonima,  detta  Società  nazionale  di  ser- 
vizi marittimi,  con  un  capitale  di  almeno  15  milioni,  la  quale  avrebbe 
assunto  temporaneamente  i  servizi  postali  e  commerciali  per  la  Sicilia  e  la 
Sardegna,  la  Tunisìa,  la  Tripolitania,  T  Egitto,  il  Levante,  il  Mar  Rosso, 
lo  Zanzibar,  T  India  e  la  Cina,  in  base  ad  una  convenzione  stipulata  il  27 
aprile  1910,  da  approvarsi  dal  Parlamento,  per  la  durata  massima  di  tre 
anni  (1  luglio  1910-30  giugno  1913),  con  facoltà  di  risoluzione  di  anno  in 
anno  da  parte  del  Qoverno,  mediante  preavviso  di  sei  mesi  e  contro  paga- 
mento di  una  sovvenzione  annua  complessiva  di  9.200.000  lire.  Speciali 
clausole  regolavano  la  costruzione  di  materiale  nuovo  per  2Ì.000  tonnellate, 
in  due  periodi,  e  la  cessione  di  questo  e  di  tutto  il  rimanente  materiale 
in  servizio  ai  nuovi  concessionari,  quando  sarebbero  state  approvate  per 
legge  convenzioni  definitive. 

Contemporaneamente  erano  state  stipulate  le  convenzioni: 

a)  con  la  Società  Veneziana  di  navigazione  a  vapore,  per  il  servizio 
commerciale  tra  Venezia  e  Calcutta:  con  la  sovvenzione  di  1.000.000; 

b)  con  la  Veloce,  per  la  linea  del  Centro  America:  con  la  sovven- 
zione di  500.000  lire; 

e)  con  la  Puglia,  per  alcuni  servizi  deirAdriatico  e  di  concentra- 
mento (raccoglitori  e  distributori  da  e  per  piccoli  porti)  :  sovvenzione 
1.250.000  lire; 

d)  col  sig.  Carlo  Allodi  di  Livorno,  per  i  servizi  deirArcipelago 
Toscano:  sovvenzione  400.000  lire; 

e)  con  la  Società  Siciliana  di  navigazione  a  vapore,  per  servizi 
con  le  isole  Eolie  e  di  concentramento  sulle  coste  siculo:  sovvenzione 
385.000  lire; 

/)  con  altra  Società  da  costituirsi  per  i  servizi  del  Golfo  di  Napoli 
e  delle  isole  Pontine:  sovvenzione  220.000  lire; 

g)  con  la  Sicania,  per  le  comunicazioni  con  le  Egadi  e  le  Pelagio  : 
sovvenzione  305.000  lire; 

h)  col  Banco  di  Roma,  per  il  servizio  fra  Tripoli  e  Alessandria 
d'Egitto:  sovvenzione  195.000  lire; 

i)  con  la  Società  olandese  Nederland,  per  il  servizio  postale  e  com* 
mereiaio  fra  l' Italia  e  le  Indie  Neerlandesi  (linea  Genova-Batavia)  :  sovven- 
zione 70.000. 


l/lNDUSTRIA   DEI   TRASPORTI   MARITTIMI  59 

Le  convenzioni  con  la  Veneziana  e  la  Veloce  non  erano  che  proroghe 
per  tre  anni  di  quelle  in  corso;  tutte  le  altre  avevano  la  durata  di  15  anni, 
eccetto  quella  con  la  Nederland,  che  era  limitata  a  10  anni. 

Camera  e  Senato,  mossi  dal  desiderio  di  non  prolungare  ancora  la  ormai 
troppo  lung^  e  varia  vicenda  ;  compresi  più  che  altro  della  necessità  di  evitare 
una  sospensione  di  servizi,  gli  effetti  della  quale  non  si  potevano  prevedere, 
approvarono  frettolosamente  il  disegno  di  legge  presentato  dal  Ministro  della 
Marina,  ammiraglio  Leonardi- Cattolica,  di  concerto  col  Luzzatti.  I  due  rami 
del  Parlamento  si  limitarono  a  richiedere  al  Governo  dichiarazioni  esplicite  di 
impegno  a  presentare  un  progetto  definitivo  alla  ripresa  dei  lavori  parla- 
mentari; e  Ton.  Luzzatti,  non  avendo  esitato  ad  impegnarsi  (\),  la  legge  fu 
promulgata  il  13  giugno. 

Essa  provvedeva  anche  a  prorogare  sino  al  31  dicembre  1911  le  dispo- 
sizioni vigenti  a  favore  della  Marina  mercantile  ;  aboliva  i  diritti  consolari; 
riduceva  le  tasse  di  registro  e  bollo;  prorogava  al  30  giugno  1911  il  ter- 
mine stabilito  dalla  legge  del  5  aprile  1908  per  presentare  al  Parlamento 
proposte  di  riordinamento  della  Cassa  Invalidi  della  Marina  mercantile; 
regolava  finalmente,  con  disposizione  speciale,  la  posizione  fatta  dalle  sopray- 
yenute  vicende  agli  aggiudicatari  delle  linee  Ravenna-Trieste  e  Bayenna- 
Fiume,  soli  rimasti  tali  in  seguito  alle  aste  del  1908. 

La  nuova  Società  nazionale  di  servizi  marittimi,  alla  quale  avevano 
aderito,  oltre  diverse  ditte  industriali  e  bancarie  nazionali,  anche  la  Società 
commerciale  italiana  di  navigazione  di  Genoya,  fu  legalmente  costituita 
in  Boma  il  19  giugno  1910,  con  rogito  del  notaio  Umberto  Serafini,  e  col 
P  luglio  1910,  contemporaneamente  a  tutti  gli  altri  assuntori  di  servizi 
nuovi  0  prorogati,  e  mentre  s*  inaugurava  il  servizio  di  Stato  fra  il  conti- 
nente e  le  maggiori  isole,  intraprese  Tesercizio  con  62  piroscafi  cedutile 
dalla  Navigazione  Generale  Italiana  al  prezzo  di  22  milioni,  e  mantenendo 
la  rete  di  ufBci  e  di  agenzie  già  impiantata  da  quella  Compagnia  per  le 
linee  ch'essa  abbandonava. 

Il  resto  della  flotta  già  impiegata  dalla  Generale  nei  servizi  sovven- 
zionati, andava  ripartito  fra  alcuni  dei  nuovi  assuntori  e  altri  armatori  na- 
zionali :  soltanto  i  piroscafi  che  avevano  seryito  sulle  linee  della  Sicilia,  ora 
passate  allo  Stato,  emigi-arono  sotto  la  bandiera  spagnuola. 


(*)  Con  Tart.  18  era  fatto  obbligo  al  Governo  di  presentare  entro  il  1  dicembre  1910 
un  disegno  di  legge  per  Tordinamento  definitivo  dei  servizi  sovvenzionati  e  per  i  prov- 
vedimenti a  favore  delle  industrie  marittime,  e  nn  altro  per  Tistitazione  del  Credito 
Navale. 


60  GIOVANNI   RONCAGLI 


Vili. 

La  situazione  generale  nel  1910. 

La  Manna  mercantile  nazionale  nel  1910,  paragonata  con  le  Marine  straniere.  -  Conclnsionì. 

Con  questo  atto  della  volontà  uazìonale  si  chiude  la  cronistoria  dei 
trasporti  marittimi  italiani  dalla  fondazione  del  Regno  ai  giorni  nostri. 
Trattasi  di  un  atto  provvisorio,  consigliato  da  circostanze  delle  quali  nessuno 
è  responsabile  individualmente,  ma  che  sono  la  conseguenza  d' uno  stato  gene- 
rale della  coscienza  pubblica,  determinato  da  insufiBciente  esperienza. 

Le  aspirazioni  nazionali  sono  per  un  ordine  di  cose  deUnitivo,  adeguato 
ai  grandi  interessi  dei  quali  si  tratta,  degno  della  storia  marittima  che  vanta 
la  nazione  e  tale  da  rianimare  le  forze  presenti,  facendone  zampillare  delle 
nuove  dalle  fonti  oggi  latenti. 

Per  fare  che  queste  aspirazioni  siano  soddisfatte  è  anzitutto  necessario 
che  gl'Italiani  si  raccolgano  e,  temprandosi  nell* esempio  di  popoli  più  forti, 
guardino  anche  con  occhio  imparziale  il  cammino  percorso  in  questo  mezzo 
secolo:  vedranno  che,  dopo  tutto,  vi  ha  motivo  a  compiacersi.  Se  lo  stato 
presente  della  nostra  Marina  mercantile  non  è  ancora  quale  lo  dobbiamo 
desiderare,  esso  tuttavia  ci  mostra  che  un  notevole  progresso  assoluto,  per 
quanto  riguarda  il  materiale,  è  stato  fatto  :  e  non  è  né  utile  né  giusto  rim- 
proverarci da  noi  stessi  di  un  regresso  relativo,  che  si  deve  unicamente  allo 
straordinario  slancio  di  altre  nazioni  marinare  assai  più  ricche  e  più  potenti 
di  noi,  e  a  cause  generali  che,  come  l'invenzione  del  vapore  e  Tadozione  del 
ferro  e  dell'acciaio  per  le  costruzioni  navali,  ci  hanno  messo  in  condizioni 
di  inferiorità  rispetto  ad  altri  paesi  più  favoriti  dalla  natura.  È  utile  piut- 
tosto valutare  serenamente  questo  nostro  regresso,  sorvegliarlo,  studiarne 
meglio  le  cause,  ma  col  proposito  di  scoprire  i  rimedi  e  di  adottarli.  È  vero 
che  razione  tutoria  dello  Stato  fu  incerta,  insufficiente,  errata  forse  anche 
qualche  volta;  ma  non  per  questo  dobbiamo  vedere  il  male  più  grande  di 
quello  che  é,  e  tanto  meno  disperare  di  dominarlo. 

Quando  ricordiamo  con  amarezza  che  Tltalia  ebbe  un  tempo  la  prima 
Marina  mediterranea,  abbiamo  torto  di  dolerci  di  una  decadenza  che  non  é 
avvenuta  mai,  perché  anche  oggi,  come  allora,  la  Marina  mercantile  italiana 
é  la  prima  nel  Mediterraneo  per  numero  di  navi  a  vela  ed  a  vapore  e  per 
tonnellaggio  totale  :  l'austriaca  é  inferiore  alla  metà  come  tonnellaggio,  e  la 
francese,  che  nel  totale  ci  supera  a]»pena  per  poco  più  di  Vb  ^ol  totale  nostro 
tonnellaggio,  gravita  forse  più  suU* Atlantico  che  sul  Mediterraneo,  o  almeno 
in  misura  presso  a  poco  uguale. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  61 

La  nostra  inferiorità  rispetto  ali* Austria  consiste  piuttosto  nella  propor- 
zione tra  il  naviglio  a  vela  e  quello  a  vapore.  L'Austria  è  fra  tutte  le  na- 
zioni d'Europa  quella  che  ha  fatto  la  più  ampia  sostituzione  del  vapore  alla 
vela,  superando  di  molto  anche  la  Qran  Bretagna.  Essa  infatti,  non  conside- 
rate le  navi  inferiori  a  100  tonn.,  conta  oggi  un  tonnellaggio  netto  di  velieri 
che  oltrepassa  di  poco  la  millesima  parte  di  quello  dei  piroscafi,  mentre  per 
la  Gran  Bretagna  la  stessa  proporzione  è  ancora  oggi  di  circa  un  decimo, 
per  la  Francia  di  poco  più  di  cinque  decimi  e  per  noi  di  oltre  sei  decimi. 

E  non  dobbiamo  dimenticare  che  se  ci  fanno  difetto  il  ferro  ed  il  car- 
bone, per  contro  abbiamo  in  casa  una  ricchezza  che  ci  fu  sempre  e  ci  è 
ancora  invidiata  :  i  nostri  marinai.  Le  attitudini  ataviche  della  nostra  gente 
di  mare  al  lavoro  professionale  sono  così  vaste  e  varie  che  la  formazione  della 
Marina  a  vapore  non  ha  creato  mai  spostati  nella  Marina  italiana  :  i  vecchi 
nostromi  e  i  marinai  del  periodo  velico,  alla  stessa  guisa  dei  carpentieri 
dell'età  del  legno,  non  hanno  dovuto  £are  grandi  sforzi  di  adattamento  per 
educarsi  alle  esigenze  del  nuovo  mestiere  ;  i  nostri  capitani  che  un  tempo,  a 
buon  diritto,  ebbero  fama  di  abilissimi  condottieri  di  navi  a  vela,  audaci  e 
prudenti  a  tempo  debito,  manovratori  sicuri  ed  eleganti,  hanno  riversato  nel 
campo  dell'arte  nuova  del  navigare  a  vapore  tutto  il  prezioso  capitale  delle 
loro  qualità  professionali.  E  tutti,  dal  capitano  al  mozzo,  dal  direttore  di 
macchina  all'umile  carbonaio,  hanno  conservata  intatta  quella  virtù  invidiabile 
che  ò  la  sobrietà,  garanzia  suprema  per  gli  uomini  e  le  cose  che  ad  essi  deb- 
bono affidarsi  nel  grande  toiiieo  mondiale  dei  traffici:  la  statistica  degli  in- 
fortuni marittimi  è  documento  che  parla  molto  alto  per  il  buon  nome  del 
marinaio  italiano. 

Tutto  questo  è  forza  :  forza  produttiva  quanto  mai,  che  domanda  soltanto 
un  sapiente  sistema  di  utilizzazione.  Verso  questa  forza  il  paese  ha  il  dovere 
di  rivolgere  le  sue  cure  più  amorevoli  e  costanti,  per  conservarla  e  maggior- 
mente renderla  feconda. 

La  storia  di  questi  primi  cinquantanni  di  vita  marittima  nazionale,  vista 
nel  suo  insieme  con  occhio  sereno,  ci  dice  che  Tltalia  è  sulla  via  del  pro- 
gresso, nonostante  le  incertezze,  nonostante  gli  errori,  a  malgrado  di  parti- 
colari avarizie  della  natura  stessa,  sì  prodiga  invece  sotto  altri  aspetti  verso 
di  noi. 

Nel  1862,  primo  anno  per  il  quale  si  abbia  una  regolare  statistica, 
l'Italia  possedeva  57  navi  a  vapore  per  un  tonnellaggio  complessivo  di  10.228 
tonnellate;  nel  1908,  ultimo  delle  statistiche  pubblicate,  le  navi  a  vapore 
provviste  di  atto  di  nazionalità  sono  626,  e  il  loro  tonnellaggio  totale  è  di 
566.738  tonnellate.  11  tonnellaggio  medio  unitario  dei  piroscafi,  che  nel 
1862  era  di  180  tonnellate  appena,  nel  1908  era  salito  a  più  di  900  ton- 
nellate; e  la  variazione  annuale,  sia  numerica,  sia  del  tonnellaggio  totale, 
durante  l'intero  perìodo  è  stata  sempre  un  incremento. 


62  GIOVANNI   RONCAGLI 


Dei  piroscafi  inscritti  al  31  dicembre  1908  nelle  matricole  del  naviglio 
nazionale  (626,  come  è  stato  detto),  343  sono  di  tonnellaggio  lordo  superiore 
alle  500  tonnellate,  e  31  superiori  alle  5000,  sino  oltre  le  9000  tonnellate 
di  stazza  lorda;  soltanto  185  sono  inferiori  alle  100  tonnellate. 

Parimenti  nel  1862  i  velieri  inscritti  erano  9356,  per  tonnellate  643.946; 
crebbero  in  numero  e  tonnellaggio  sino  a  superare  la  cospicua  cifra  di  un 
milione  di  tonnellate  negli  anni  1876  e  1877;  poi  diminuirono,  riducendosi 
a  poco  più  di  mezzo  milione  di  tonnellate  nel  1896  ;  ebbero  un  lieve  incre- 
mento fra  il  1896  e  il  1903  per  effetto  specialmente  della  legge  sui  premi, 
poi  ripresero  il  cammino  della  decadenza  in  numero  e  tonnellaggio.  Questa 
degradazione  avviene,  da  quel  tempo  in  poi,  con  ragione  annuale  quasi 
costante. 

Nel  1908  i  velieri  non  rappresentavano  più  che  453,324  tonnellate, 
delle  quali  95.730  appartenenti  a  navicelle  inferiori  a  100  tonnellate,  in 
massima  parte  costituenti  il  naviglio  peschereccio. 

Oggi  oontiamo  anche  velieri  di  oltre  2000  tonnellate  a  scafo  metallico  ; 
il  tonnellaggio  medio  dei  velieri  di  stazza  superiore  a  100  tonnellate,  che 
sono  in  tutto  628,  è  di  570  tonnellate,  mentre  nel  1880  era  di  425. 

Tutto  ciò  significa  che,  ove  perdurino  le  condizioni  attuali  per  rispetto 
al  movimento  annuale  del  tonnellaggio,  la  proporzione  fra  il  naviglio  a  vela 
e  quello  a  vapore  potrà,  in  un  decennio,  discendere  a  due  decimi  appena, 
ossia  al  doppio  di  quella  che  si  verifica  presentemente  nella  Gran  Bretagna: 
e  quel  giorno,  se  verrà,  avremo,  da  questo  punto  di  vista,  superato  la  Francia, 
se  essa  non  avrà  in  quest'ordine  di  fatti  mutato  le  odierne  sue  condizioni, 
che  sono,  del  resto,  da  lungo  tempo  stazionane. 

Tra  le  Marine  d'Europa,  la  nostra  occupava  nel  1872  il  quarto  posto 
per  tonnellaggio  complessivo,  superando  la  Germania  e  non  essendo  superata 
che  dalla  Qran  Bretagna,  dalla  Norvegia  e  dalla  Francia  :  da  quest'ultima 
per  meno  di  60,000  tonnellate  soltanto.  Ed  era  la  quinta  tra  le  Marine  del 
mondo,  perchè  superata  anche  dagli  Stati  Uniti,  che  venivano,  come  sempre 
vengono,  secondi.  Oggi  la  Marina  italiana,  quinta  per  tonnellaggio  complessivo 
fra  le  Marine  d'Europa  perchè  superata  e  di  molto  anche  dalla  Germania, 
è  al  settimo  posto  tra  le  più  grandi  Marine  del  mondo,  superata  di  recente 
anche  dal  Giappone,  e  superando  a  sua  volta  la  Spagna,  la  Russia,  l'Olanda, 
la  Svezia  e  rAustria-Ungheria.  Ma  per  considerare  la  forza  e  la  vitalità 
dì  un  organismo  come  quello  della  Marina  mercantile,  non  basta  il  pamgone, 
unicamente  statico,  dei  tonnellaggi  :  vi  è  un  altro  elemento  che  più  importa 
tenere  in  conto,  e  questo  è  la  ragione  aritmetica  dell'incremento  annuale  del 
tonnellaggio.  Sotto  questo  punto  di  vista  la  Marina  italiana  è  la  quarta  in 
Europa,  superando  —  e  in  misura  notevole  —  anche  la  Fi-ancia  ;  ed  è  la  sesta 
del  mondo.  Uguale  posizione  le  spetta  se,  invece  di  considerare  l'incremento 
del  tonnellaggio,  si  considera  quello  nimierico  del  naviglio. 


l'industria  dei  trasporti  marittimi  63 


L^inferiorìtà  dell'Italia,  incorreggibile  forse  perchè  fatale,  consiste  assai 
meno  nella  potenzialità  della  sua  Marina  mercantile  che  nella  partecipazione 
della  bandiera  estera  ai  traflSci  nazionali.  Il  legame  tra  questi  due  elementi 
della  nostra  economia  marittima  è  assai  meno  intimo  di  quel  che  appaia  a 
prima  giunta;  perchè  l'invadenza  della  bandiera  straniera  nei  nostri  porti,  fa- 
Yorita  in  modo  eccezionale  dalla  nostra  posizione  geografica,  non  soltanto 
rispetto  al  Mediterraneo,  ma  anche  rispetto  alle  grandi  vie  del  traffico  in  ge- 
nerale ed  a  quella  deirEsti-emo  Oriente,  per  il  Canale  di  Suez,  in  parti- 
colare, non  è  tanto  determinata  dalla  massa  del  tonnellaggio,  quanto  dalle 
tariffe  più  miti  che  la  bandiera  estera  può  fare  per  i  nostri  trasporti.  E 
finché  noi  saremo  costretti  a  pagare  il  carbone  a  prezzi  così  elevati  come 
quelli  che  pagammo  sinora,  in  confronto  delle  Marine  che  lo  hanno  in  casa 
propria  a  mitissime  condizioni,  anche  un  notevole  aumento  del  tonnellaggio 
nazionale  non  potrebbe  avere  sul  fenomeno  della  partecipazione  straniera  ai 
nostri  traffici  marittimi  tutta  la  ripercussione  che  si  potrebbe  credere.  Né  il 
regime  di  liberismo  commerciale  che  noi  abbiamo  adottato  dalla  fondazione 
del  nuovo  Regno,  e  i  conseguenti  criteri  generalmente  seguiti  nella  stipula- 
zione dei  trattati  di  commercio  e  di  navigazione  potrebbero  facilmente  con- 
sentire misure  protettive  senza  esporci  a  rappresaglie,  sia  pure  fuori  del  campo 
strettamente  marittimo. 

La  Marina  mercantile  della  Terza  Italia,  ha  certamente  davanti  a  sé 
un  avvenire  di  lotta  ;  e  se  molto  debbono  ancora  fare  Governo  e  Parlamento, 
perchè  essa  lo  affronti  preparata,  molto  ancoi'a  spetta  agli  Italiani  di  fai-e 
da  sé  ;  e  a  spronarli  verso  una  migliore  utilizzazione  delle  loro  energie,  che 
non  sono  piccole,  può  giovare  uno  sguardo  al  passato  che  abbiamo  qui  a 
grandi  linee  riassunto. 

Non  siamo  lontani  dal  giorno  in  cui  la  influenza  di  un  altro  avveni- 
mento mondiale,  simile  a  quello  che  fu  Tapertura  del  Canale  di  Suez,  si 
farà  sentire.  La  nazione  italiana,  appena  ricomposta  allora,  turbata  ancora 
economicamente  dagli  strascichi  delle  guerre  per  la  indipendenza,  non  seppe, 
né  potè  prepararsi  come  sarebbe  stato  necessario,  pure  avendo  chiara,  seb- 
bene forse  esagerata,  la  visione  di  ciò  che  sarebbe  stato  Tindomani  del  gran 
fatto. 

Quando  anche  Panama  aprirà  il  passo  alle  navi,  questo  nostro  Medi- 
terraneo acquisterà  importanza  ancora  maggiore  che  esso  oggi  non  abbia, 
come  tratto  della  grande  fiumana  di  traffici  che  dalle  coste  atlantiche  del- 
l'America, per  Gibilterra  e  Suez,  e  di  là  per  le  Indie,  la  Cina  e  l'Australia 
e  traverso  al  Pacifico  si  ricongiungerà  in  Panama  alla  sua  origine.  Questo 
enorme  fiume,  che  percorrerà  il  mondo  intero  quasi  secondo  un  circolo  mas- 
simo, e  verso  il  quale  convergeranno  infiniti  affluenti  dai  due  emisferi,  riverserà 
nel  Mediterraneo  un'onda  sempre  piii  gagliarda  di  traffici;  i  nostri  porti, 
se  saranno  bene  preparati  a  riceverla,  come  oggi  non  sono,  ne  trarranno  ampio 


64  GIOVANNI   RONGAGLI  -   L'iNDUSTRU  DEI  TRASRORTI   MARITTIMI 

Tantaggio  ;  ma  d*alka  parte  la  concorrenza  straniera  jì  ai  preBentnà  con  forze 
nuove,  contro  le  quali  dovrà  lottare  la  noatra  Marina.  La  nostra  pania^ 
che  è  paese  di  transito  per  eccellenza,  che  è  stata  in  tempi  anche  recenti 
paese  di  invasione  bellica,  e  lo  è  oggi  di  invasione  economica,  vedrà  intensifi- 
carsi quelli  fra  codesti  suoi  caratteri,  che  sono  conseguenza  della  sua  posi- 
zione geografica,  della  conformazione  topografica  delle  sue  spìaggie  e  dei  suoi 
porti,  del  suo  clima  che  ne  fa  un  paese  desiderato,  della  sua  storia,  della 
genialità  del  suo  popolo,  che  alle  bellezze  e  alle  risorse  naturali  della  propria 
terra,  altre  bellezze,  altre  risorse  ha  saputo  aggiungere  durante  secoli  e  secoli 
dì  civiltà. 

Da  questo  progredire  dei  traflSci  marittimi,  che  avranno  per  mòta,  o  per 
origine,  o  per  luogo  di  sosta  i  nostri  porti,  l'Italia  può  trarre  grande  profitto 
come  può  ricavare  notevole  danno.  Andare  incontro  all*uno  o  all'altro  è  cosa 
che  dipende  assai  meno  da  circostanze  che  da  sapienza  e  volontà  di  uomini  : 
Tavvenire  dell*  Italia  sul  mare  non  ò  in  balìa  del  caso,  ma  nelle  mani  del 
suo  popolo. 


Roma,  30  luglio  1910. 

Gomanduite   0.  BoNOAOU. 


LE  PRINCIPALI  ESPLORAZIONI  GEOGRAFICHE  ITALIANE 

NELL'  ULTIMO  CINQUANTENNIO 


L 


La  Società  Geografica  Italiana  (S.  G.  !.)• 


Dairitalia  irradiò  il  lume  del  sapere,  e  della  civiltà  classica  approfit- 
tarono i  popoli  tutti  d'Europa,  mentre  erano  costituiti  o  si  costituivano  in 
nazione.  Ammirato  il  nostro  paese  ed  ambito  da  tutti,  trovò  in  ciò  il  sa- 
premo ostacolo  per  conseguire  la  propria  indipendenza;  a  cui  va  aggiunto,  per 
fatalità  storica,  che  in  Italia  ebbe  sede  il  papato. 

Mentre  i  popoli  d'Europa,  aggruppati  in  nazioni  distinte,  avocarono  a  so 
tutti  i  beneficii  che  i  commerci  e  la  evoluta  civiltà  seppero  elargire,  noi, 
asBai  tardi^  per  sforzo  supremo  di  volontà  popolare,  coadiuvato  dalla  di- 
nastia di  casa  Savoia,  abbiamo  conseguito  la  libertà  e  la  ìndipendeaza. 

Sedemmo  al  banchetto  delle  nazioni,  ma  le  esigenze  del  tempo  tro- 
varono noi  mal  preparati,  con  mezzi  economici  scarsi,  con  bisogni  urgenti 
da  soddisfare  in  casa  nostra  e  con  tradizioni  secolari  cattive;  d'onde,  a 
scopo  d'imprese,  manchevole  o  nulla  l'offerta  pecuniaria  individuale,  della 
quale,  più  che  dei  mezzi  dello  Stato,  si  valsero  e  si  valgono  le  grandi 
nazioni  straniere  in  imprese  a  scopo  di  ricerche  scientifiche  e  di  esplo- 
razioni. 

Debbo  esporre  in  poche  pagine  la  parte  presa  dall'Italia  nelle  «  esplo- 
razioni geografiche  «  nel  cinquantennio  di  nostra  unità,  e  dire  dell'azione 
esercitata  dalla  S.  G.  I.  e  dalle  Società  consorelle,  nonché  dell'ausilio  even- 
tualmente offerto  dai  Poteri  dello  Stato;  questo  io  debbo  narrare  per  vo- 
lontà di  chi  ha  iniziata  l'opera,  della  quale  questa  monografia  fa  parte. 

Doveva  essere  l'illustre  decano  dei  nostri  geografi  il  narratore,  egli  che 
lumi  e  consiglio  apportò  nelle  maggiori  nostre  esplorazioni  e  nelle  più  glo- 
riose :  ma  le  sue  occupazioni  di  dovere  e  la  matura  età  ne  lo  sconsigliarono  ; 

Elia  Millosbvich.  —  Le  principali  tiplorasiom,  ecc.  1 


ELIA    MILLOSBVICH 


ed  io,  pur  sapeado  che  altri  meglio  di  me  avrebbe  detto,  geografo  io  non 
essendo,  dovetti  obbedire  all'invito. 

La  prima  cosa  che  interessa  mettere  in  luce  è  che  non  mancarono  in  Italia 
nomini  animati  da  alte  idealità,  da  sodi  propositi,  da  coltura  appropriata,  da 
spirito  di  abnegazione,  e  da  coraggio  personale,  ai  quali  la  natura  aveva  donato 
il  talento  esplorativo  ;  ed  è  proprio  di  questa  falange  che  dobbiamo  occuparci, 
perocché  i  meriti  di  essa  tanto  avanzano  in  eccellenza  quanto  scarso  trova- 
rono l'appoggio  morale  e  materiale  esteriore,  e  per  le  ragioni  sopraddette  e 
perchè  tanto  più  faoile  ed  eflScace  è  Tiniziativa  personale  quanto  è  più  ele- 
vata la  coltura  media  di  una  nazione;  e  l'Italia,  per  sforzi  che  pur  abbia 
fatti,  troppo  di  recente  consegui  TiDdipendenza  per  raggiungere  la  linea  di 
livello  di  altre  nazioni;  e  il  problema  educativo  la  affanna,  incerta  se  il 
pane  della  coltura  media  debba  mantenere  il  lievito  classico  o  sostanziarsi 
di  fermento  scientifico  moderno. 


A  sorreggere  Tiniziativa  personale,  ad  incoraggiarla,  ad  illuminarla,  e, 
nell'assenza  quasi  completa  di  mecenati,  a  fornire  i  mezzi  materiali  per  la 
esplicazione,  è  benemerita,  per  quasi  l'intero  periodo  del  cinquantennio  di 
libertà,  la  Società  Geogra/iea  Italiana  (S.  G.  L),  della  quale  intendiamo 
occuparci  prima  di  parlare  e  delle  esplorazioni  geografiche  proprio  nostre, 
e  dell'opera  di  italiani  in  esplorazioni  esotiche  ('). 

Quando  nel  1867  sorgeva  a  Firenze  la  S.  Q.  I.,  avendo  per  suo  primo 
presidente  il  barone  Cristoforo  Negri  (1867-72),  già  esistevano  numerose  So- 
cietà geografiche  anche  fuori  d'Europa  :  alcune,  come  quelle  di  Parigi,  Ber- 
lino e  Londra,  di  antichissima  data  (1821-80). 

Tentativi  di  una  Istituzione  consimile  non  erano  mancati  nei  tempi  che 
precedono  il  nostro  risorgimento:  ma  la  psiche  italica  anelava  alla  propria 
libertà,  gli  ideali  di  studio  e  di  ricerca  parendo  ed  essendo  in  fatto  subor* 
dinati  al  grande  concetto  della  redenzione  della  patria. 

La  Società,  fino  dalle  origini  sue,  si  presentò  come  un'accolta  di  per* 
Bone  amanti  le  cose  geografiche,  non  mai  come  un  manipolo  di  tecnici  atti 
a  dirigere  o  un'Accademia  geografica  o  un  organo  di  geografia  assolutamente 
scientifica;  questo  suo  carattere  le  permise  l'aggregazione  numeiiosa,  le  fornì 
meno  stentati  mezzi  economici,  le  agevolò  la  rinomanza  e  le  diede  facile  e 
fruttifero  accesso  presso  i  poteri  dello  Stato;  i  veri  geografi  v'erano,  come 
vi  sono  oggi,  e  la  loro  autorità  diede,  come  dà  anche  ora,  lustro  all'Istitu- 
zione. A  questi  uomini  insigni,  donatisi  esclusivamente  alla  scienza,  parve 
qualche  volta  non  sempre  elevata  la  produzione  resa  pubblica  dall'organo 
della  Società  (Bollettino  della  Società  Geografica  Italiana  —  Boll.  S.  G.  I.), 
dimenticando  l'indole  e  gli  intenti  dell'Istituzione,  e  astraendo  dal  sentimento 
e  dalla  coltura  tecnica  della  grande  maggioranza  dei  soci. 


LE   PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE    ITALIANE  o 

È  opportuna  ancora  un'altra  riflessione  (^).  Scintitelo  la  Società  col 
nome  di  «  geografica  italiana  »  ;  cioè,  i  fondatori  vollero  che  avesse  più  ca- 
rattere generale  che  locale,  o,  meglio,  più  carattere  estensivo  che  intensivo^ 
quale  sarebbe  stata  una  Società  «  corografica  italiana  *.  Lo  studio  di  ea$a 
nostra^  nei  primi  anni  dell'unità  nazionale,  doveva  essere  rivolto  ai  grandi 
fattori  corografici,  che  non  potevano  essere  assunti  che  dai  poteri  dello  Stato  ; 
trattavasi  nientemeno  che  di  rilevare  1* intera  Italia,  coste  e  terre  interne,  su 
basi  scientifiche  nuove  ;  trattavasi  d'iniziare  la  Carta  Oeologica,  di  re^imen- 
tare  su  elementi  scientifici  la  statìstica,  e  che  so  io:  cose  tutte  che  più  tardi, 
0  complete  o  già  bene  incoate,  fornirono  la  materia  prima  per  studi  parti- 
colareggiati ed  intensivi,  ai  quali  possono  tendere  i  geografi  con  le  forze 
personali  e  con  modesti  sussidi. 

Dunque:  obbietto  geografico  estensivo,  con  che  le  adesioni  sarebbero 
state,  come  furono,  fin  da  principio  numerose;  iniziare  Téra  delle  esplora- 
zioni là  dove  oravi  da  esplorare  con  speranza  di  gloria  alla  patria  e  di  be- 
neficio. 

Con  prudenza  e  con  audacia,  secondo  T indole  dei  reggitori:  con  fortuna 
0  meno,  secondo  i  tempi  :  col  soccorso  pronto  ed  intenso,  oppure  lento  e  sten- 
tato, dei  poteri  dello  Stato,  la  S.  G.  I.  mantenne  sempre  il  suo  programma, 
ebbe  trionfi  e  sconfitte,  gioie  e  lutti  ('),  gravi  ma  fallaci,  anzi  stolte  e  col- 
pevoli, accuse,  sincere  e  valide  difese;  ma,  tirate  le  somme,  sema  di  essa^ 
buona  parte  della  gloria  che  venne  all'Italia  da  esplorazioni  geograficlie  no- 
strali sarebbe  mancata. 

Se  la  forma  usuale  della  sua  non  interrotta  pubblicazione  (il  bollet- 
tino) (^)  doveva  avere  un  carattere  tale  da  soddisfare  la  maggioranza  dei  soci, 
ciò  non  impedì  che  in  esso  trovassero  posto  Memorie  originali,  che  fin 
da  principio  venissero  create  fondazioni  di  premi  per  meriti  geografici,  che 
sussidi  si  elargissero  a  viaggiatori,  e  si  offrissero  medaglie  d'oro  e  titoli  ono- 
rifici. I  premi  Principe  Umberto,  poi  Re  Umberto,  e  il  premio  Canevaro,  in- 
formino. Del  resto,  la  Società,  o  meglio  chi  ne  resse  le  sorti,  seppe  provve- 
dere, colla  pubblicazione  delle  Memorie  (I-XIII),  alla  diffusione  di  lavori  di 
ampia  mole  e  tecnici,  che  male  avrebbero  trovato  posto  nel  Bollettino,  anche 
perchè,  di  necessità,  sbocconcellati. 

Ancora  quando  la  Società  dimorava  a  Firenze,  venne  da  essa  iniziata  la 
sua  prima  spedizione  geografica,  come  a  suo  tempo  diremo. 

Frattanto  l'Italia  completava  la  sua  unità  il  20  settembre  1870,  e  la 
Società,  un  anno  e  mezzo  dopo,  si  trasportava  a  Boma,  e  un  po'  più  tardi 
eleggeva  a  suo  presidente  Cesare  Correnti  (1878-79). 

Questo  periodo  della  S.  0.  I.  è  certamente  uno  dei  più  splendidi  e 
dei  più  fecondi;  tribntansi  onoranze  a  benemeriti  viaggiatori,  di  cui  in  ap- 
presso far  dovremo  i  nomi;  sussidi,  intercessioni,  incoraggiamenti  non  man- 
carono; affermasi  nobilmente  la  Società  con  l'opera  Gii  studi   bibliografici 


ELIA     MILLOSEVICH 


e  biografici  sulla  storia  della  geografia  in  Italia,  e  ciò  al  Congresso  geo- 
grafico internazionale  a  Paiigi,  nel  1875  (^). 

Ma  l'opera  più  grandiosa  della  presidenza  Correnti  è  la  spedizione  di 
esplorazione  col  proposito  di  raggiungere  i  laghi  equatoriali  africani,  col  pro- 
posito quindi  di  arrivare  prima  allo  Scioa  e  poi  spingersi  fra  i  regnuncoli 
di  mezzodì,  in  paesi  appena  appena  noti  di  nome.  Non  è  questo  il  momento 
di  parlarne;  qua  devesi  soltanto  dire  che  l'impresa  grandiosa  e,  per  fatali 
circostanze,  le  appendici  di  essa,  uscirono  bentosto  dall'ambito  scientifico, 
perocché  i  mezzi  finanziali  non  poterono  di  necessità  essere  forniti  dalla  sola 
Società,  ma  vi  concorsero  S.  M.  il  Be,  il  Governo,  e  l'intero  paese.  L'im- 
presa, di  conseguenza,  ebbe  il  pubblico  italiano  non  soltanto  quale  ascolta- 
tore, ma  quale  giudice,  non  sempre  benigno,  perchè  quasi  sempre  male  in- 
formato, e,  nolenti  la  Società  e  i  suoi  maggiorenti,  le  cose  assunsero  tinta 
politica,  della  quale  non  si  avvantaggiò  certo  la  istituzione  ;  anzi  voglio  sog- 
giungere esser  da  qualche  tempo  che  il  pubblico  italiano,  o,  più  esattamente, 
la  stampa  pubblica,  nelle  imprese  gloriose,  e  a  puro  scopo  scientifico,  della 
Società,  vide  spesso  un'azione  politica,  quasiché  la  Società,  nelle  cose  di 
Africa,  dovesse  o  volesse  coprire  col  suo  nome  l'opera  dei  poteri  dello  Stato, 
mentre  la  Società  camminò  sempre  per  la  sua  via,  spesso  dallo  Stato  sor- 
retta, e  a  questo  dando  in  compenso  i  lumi  del  suo  sapere,  quando  questi 
lumi  vennero  richiesti,  giammai  facendone  offerta. 

Né  l'opera  grandiosa  della  esplorazione  al  Sud  dello  Scioa  distolse  la 
Società  da  altre  più  modeste  spedizioni,  ma  non  senza  importanza,  le  quali 
passarono  senza  rumore,  durante  e  subito  dopo  la  partenza  della  missione 
diretta  all'Africa  equinoziale. 

Cesare  Correnti  era  uomo  politico;  l'impresa  d'Africa  veniva  giudicata 
con  ardore  di  parte,  d'onde  la  nomina  a  presidente  della  Società  di  don 
Onorato  Caetani,  allora  principe  di  Teano  (1879-1887). 

La  foga  di  esplorazioni  esotiche,  ma  soprattutto  l'eccitazione  provocata 
dalle  vicende,  pur  gloriose,  ma  luttuosissime,  delle  spedizioni  verso  TAMca 
equatoriale,  non  fu  ultima  causa  che  numerosi  progetti  venissero  presentati 
da  volonterosi  ed  arditi  giovani  ;  e  però  l'opera  della  Presidenza  e  del  Consiglio 
direttivo  nel  periodo  che  consideriamo,  fu  assai  bene  spesa  nel  vagliare  le 
proposte,  e  nel  venire  in  aiuto  di  quelle  che  erano  serie  e  promettevano 
buoni  risultati;  a  suo  tempo,  caso  per  caso,  di  questa  importante  fun- 
zione esercitata  dalla  Società  dovremo  parlare.  Di  iniziativa  sua,  almeno 
diretta  e  palese,  non  era  il  caso  di  discorrere;  appena  adesso  rientra  in 
Italia  il  superstite  della  esplorazione,  di  necessità  fermatasi  al  sud  imme- 
diato dello  Scioa  ;  egli  è  festeggiato  come  merita,  e  la  Società  cura  la  pub- 
blicazione della  grande  opera  Da  Zeila  alle  frontiere  del  Caffa.  È  di 
questo  tempo  che  si  accentua  in  Italia  la  corrente  espansionista  ;  né  questo 
sentimento    della  nazione   era   fuor  di   proposito,    poiché,   ancora  tardando, 


LE    PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE   ITALIANE  ^ 

neppure  un  briciolo  coloniale  sarebbe  rimasto  all'Italia,  se  pur  questa  non  do- 
vesse accontentarsi  dei  rifiuti  esotici  ;  e  poiché  i  bricioli  meno  contestati  e  meno 
difficili  a  cogliere,  ancora  si  trovavano  nell* Africa  orientale,  proprio  nel  campo 
delle  ricerche  scientifiche  cui  tendeva  la  Società,  essa  ebbe  cura  suprema  di 
rimanere  in  terreno  affatto  estraneo  alla  politica,  pur  rendendo  allltalia 
e  ai  poteri  dello  Stato  grandi  benefici,  lumeggiando  di  scienza  le  vie,  che 
pi  il  tardi  sarebbero  state  aperte  ai  commerci  ed  alle  colonie. 

Un  fatto  notabile,  che  può  parer  estraneo  ai  nostri  propositi,  ma  che 
pure  merita  di  essere  ricordato,  per  il  grande  credito  alla  Istituzione,  è  la 
parte  suprema  presa  dalla  Società,  non  tanto  nel  Congresso  internazionale 
a  Venezia,  quanto  nell'organizzazione  della  celebre  Mostra,  pur  internazionale, 
di  carte  documenti  ecc.  ecc.  ;  una  settantina  di  sale  del  suo  palazzo  offerse 
S.  M.  il  Be  Umberto,  e  il  mondo  geografico  straniero  ben  non  sapeva,  in 
quella  solenne  circostanza,  se  più  ammirare  la  Mostra  o  lo  spettacolo  che, 
dalle  finestre  del  palazzo,  Venezia  sapeva  offrire. 

Nel  1887  la  Presidenza  della  Società  ò  assunta  dal  marchese  Francesco 
Nobili- Vitelleschi  (1887-91).  Qui  siamo  in  pieno  periodo  della  colonizzazione 
deirEritrea.  Nel  1889,  oltre  Massaua^  oltre  Àsmara,  oltre  Keren,  il  Governo 
fa  riconoscere  le  regioni  fino  airAthaiti  (Gassala).  È  dichiarato  e  si  estende  il 
protettorato  italiano  lungo  la  costa  della  Somalia;  già  si  parla  di  sfera  di  in- 
fluenza dietro  la  costa  del  Benadir,  neirinterno,  in  un  interno  alVincirca  ignoto. 
Spedizioni  parziali,  alcune  importantissime,  come  avremo  occasione  di  vedere, 
si  svolgono  proprio  allora,  e  coi  sussidi  della  Società  ;  esse  dimostrarono  che 
era  scientificamente  necessaria  una  esplorazione  di  quelle  regioni,  delle  quali 
già  si  occupavano  l'opinione  pubblica  e  i  legislatori:  ma  nò  Topinione  pubblica, 
né  le  Camere,  nò  lo  Stato,  sapevano  di  più  di  quanto  le  parziali  esplora- 
zioni avevano  detto;  in  una  parola,  era  da  riconoscere  l'intera  regione  nel- 
rinteiiio  della  Somalia,  i  corsi  dell' Uebi  Scebeli  e  del  Giuba,  le  regioni  fra 
il  Nilo  Bianco,  i  laghi  Bodolfo  e  Stefania  e  il  Sud  dello  Scioa. 

Quanta  gloria  e  quanti  pericoli  erano  riservati  ai  volonterosi  ! 

E  i  volonterosi  trovarono  un  grande  ed  autorevole  sostenitore  nel  mar- 
chese Giacomo  Doria,  insigne  naturalista,  esploratore  egli  pure  ragguarde- 
volo;  egli  assumeva  la  Presidenza  della  Società  Geografica  in  sul  principio 
del  1891,  e  la  tenne  fino  al  1900.  Le  glorie  scientifiche  più  sostanziali 
(sotto  il  riflesso  delle  esplorazioni  di  iniziativa  completa  della  Società)  fu- 
rono còlte  in  questo  periodo,  nel  quale,  per  dolorosa  fatalità,  ebbe  luogo  la 
disastrosa  campagna  contro  TAbissinia.  Gli  accordi  colla  Società  di  Esplc 
razione  di  Milano,  i  sussidi  avuti  da  S.  M.  il  Be  e  dallo  Stato,  che  aveva 
grande  interesse  di  conoscere  l'intero  corso  del  Giuba,  l'uomo  adatto  a  di-* 
rigore  l'impresa  e  l'entusiasmo  di  Giacomo  Doria,  entusiasmo  a  cui  s'aggiun- 
geva l'incontestata  autorità,  permisero  la  grande  impresa  della  così  detta 
«  prima  spedizione  Bottego  «,  di  cui  dovremo  a  suo  tempo  dire:  esplorazione. 


ELIA    MILLOSEVICH 


questa,  magnifica,  che  di  un  tratto  allargò  la  nostra  coltura  geografica  sul  com- 
pleto corso  di  un  fiume,  di  cui  non  conoscevasi  che  il  tratto  dalla  foce  a  Bai*- 
dera.  E  poiché  sentivasi  il  bisogno  di  creare  a  Lugh  una  stazione  commerciale 
italiana,  se  ne  interessò  (ben  inteso,  ofSciata)  la  Presidenza  della  Società,  colla 
•condizione  che  mezzi  economici  in  aggiunta  ai  propri  le  venissero  offerti  per 
risolvere  un  grande  problema  geografico  che  tormentava  la  scienza,  il  pro- 
blema del  corso  del  fiume  Omo,  d'onde  l'eventualità  di  esplorare  Tignota 
regione  fra  il  Nilo  Bianco,  il  Sobat  e  il  lago  Rodolfo.  La  gloria  scientifica 
raggiunta  dalla  Società  Geografica  Italiana  nella  seconda  spedizione  Bottego 
si  mescola  ad  ineffabili  dolori  e  a  lutti,  poiché  la  guerra  scoppiava  dopo  che 
la  spedizione  era  partita,  e  la  battaglia  di  Adua,  alle  calende  di  marzo  del 
1896,  aveva  luogo  quando  T  intrepido  parmense  era  sul  Daua,  a  Sàlole. 

Nella  passione  politica  del  momento,  nel  cuore  esulcerato  degli  italiani 
per  l'onta  subita,  devesi,  oggi  che  tante  lune  ci  separano  da  quei  dì,  trovar 
ragione  delle  cose  stolte  e  offensive  pronunziate  in  àmbiti  autorevoli  e  scritte 
contro  la  Società,  a  cui  si  affibbiarono  responsabilità,  delle  quali  essa  seppe  con 
tutta  facilità  scagionarsi  e  sulle  quali  presto  le  fu  fatta  piena  giustizia  ;  ma  in- 
tanto Giacomo  Doria,  compiuta  l'opera  sua,  curata  la  pubblicazione  anche  della 
spedizione  «  all'Omo  »,  dati  consigli  alla  Società  di  soffeimarsi  un  momento 
nell'aìre  delle  esplorazioni  per  rivolgere  la  sua  attività  anche  a  ca$a  nostra, 
come  un  valoroso  soldato,  che  ha  strenuamente  combattuto  e  vinto,  chiese, 
e,  solo  insistentemente  richiedendo,  ottenne  il  permesso  di  riposarsi.  A  lui 
successe  nella  Presidenza  della  Società  il  nostro  primo  geografo,  il  prof.  Dalla 
Vedova,  oggi  senatore  del  Regno  (1900-1906).  Nessuno  più  competente  di  lui 
a  reggere  gli  organismi  dell'Istituzione,  che  egli  aveva  per  tanti  anni  scienti- 
ficamente e  tecnicameate  guidati,  quale  Segretario  generale.  L'opera  sua  é 
in  buona  parte  nascosta;  ti  si  pre^^enta  sotto  l'anonimo,  o  di  sfuggita,  nei  Bol- 
lettini della  Società,  ma  valse  a  far  rifulgere  di  gloria  l'Istituto. 

Al  nascere  del  ventesimo  secolo,  dopo  una  ricerca  affannosa  ed  esten- 
siva di  tutte  le  nazioni  allo  scopo  di  conoscere  quanto  della  nostra  terra 
ignoravamo,  i  grandi  problemi  geografici,  quelli  nei  quali  occorre  e  basta 
l'opera  del  pioniere,  parvero  risoluti,  se  pur  si  eccettuino  le  calotte  polari  e 
le  aride  e  desolate  regioni  dell'interno  Australiano.  Comincia  ora  l'opera  in- 
tensiva, per  la  quale  occorrono  preparazione  e  metodi  diversi.  Di  più,  Tantro- 
pogeografia  einsegna  quale  fonte  di  ricchezza  nazionale  sia  il  commercio, 
quando  esso  venga  reggimentato  sopra  nozioni  e  basi  sicure.  E  però  le  esplo- 
razioni commerciali  nell'Asia  Turca  compiute  da  Lamberto  Vannutelli,  dietro 
consiglio  ed  ispirazione  del  prof.  Dalla  Vedova,  debbono  essere  giudicate 
come  un'azione  altamente  importante,  compiuta  dalla  Società  Geografica. 

Nel  1906,  per  brev'ora,  ebbe  la  Società  Geografica  Italiana  per  presi- 
dente il  marchese  di  S.  Giuliano,  il  quale,  chiamato  dalla  fiducia  di  S.  M.  il 
Re  ad  alte  funzioni,  cedette  il  posto  al  marchese  Raffaele  Cappelli,  sotto  la 


LE   PRINCIPALI   ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE   ITALIANE  7 

presidenza  del  quale  ebbe  luogo  uoa  ricognizione  deir  altipiano  Etiopico  fino 
alla  regione  del  lago  Tzana  e  del  Nilo  Azzurro,  riservandosi  ad  un  prossimo 
avvenire  una  esplorazione  importante  nella  mal  nota  regione  della  Dankalia. 
Oli  accenni  che  precedono  in  riguardo  alla  Società  Geografica  Italiana 
parvero  proprio  necessari  aflSnchò  il  lettore  potesse  bene  giudicare  della  fun- 
zione di  essa  nel  campo  delle  esplorazioni  geografiche  compiute  da  italiani 
neirultimo  cinquantennio,  la  Società  essendosi  costituita  ben  tre  anni  prima 
dell'occupazione  di  Boma  da  parte  dell'esercito  nazionale. 


IL 
La  Società  Italiana  di  Esplorazioni  geografiche  e  commerciali. 

Sooietà  consorelle  minori. 

Consorelle  di  minore  potenzialità,  ed  anche  con  scopi  diversi,  ebbe  la 
Società  Geografica  Italiana;  ricordo  la  Società  di  studt  geografici  e  coloniali 
di  Firenze,  e  la  Società  Africana  di  Napoli.  La  prima  Istituzione  fu  in  ori* 
gine  una  sezione  della  seconda,  ma  poi,  col  volgere  del  tempo,  divenne 
Istituto  autouomo,  che  ha  per  obbietto  gli  studii  geografici  e  coloniali  ;  la 
sua  pubblicità  è  oggidì  collegata  colla  pubblicità  della  Bivista  geografica 
italiana,  un  organo  di  carattere  tecnico,  diretto  da  Olinto  Marinelli  e  At- 
tilio Mori,  e  che  fa  onore  all'Italia.  La  Società  Africana  di  Napoli,  benché 
con  mezzi  modesti,  pur  tuttavia  incoraggiò  e  rese  di  pubblica  ragione  nel 
suo  organo  viaggi  di  esplorazione  a  scopo  specialmente  commerciale,  così  che 
qualche  volta  noi  dovremo  ricordare  il  suo  Bollettino  quando  tratteremo  in 
modo  speciale  delle  esplorazioni  italiane  in  Africa. 

Ma  la  Società  italiana  di  esplorazioni  geografiche  e  commerciali  di 
Milano,  nella  sua  azione  diretta  o  indiretta  a  favorire,  soccorrere  e  incorag- 
giare esploratori  e  esplorazioni  italiani,  ha  un*importanza  così  notevole,  e 
così  spesso  l'opera  sua  intrecciasi  con  quella  della  Società  Geografica 
Italiana  che  credo  mio  dovere  dire  due  parole  di  essa. 

Il  suo  precipuo  scopo  fu  quello  di  far  conoscere  le  vie  migliori  al- 
l'Italia per  gli  scambi  di  commercio  coli' Africa;  Topera  sua  quindi  non  fu 
quella  d*incoraggiare  1* esplorazione  del  pioniere,  ma  quella  che  immediata- 
mente ne  segue. 

Il  cap.  Manfredo  Camperio  fondava  in  Milano,  nel  luglio  del  1877,  una 
Bivista  mensile,  V  Esploratore,  un  periodico  in  due  parti  distinte,  la  scien- 
tifica e  la  commerciale.  Uno  dei  primi  atti  ioìV  Esploratore  fu  quello  di  co- 
stituire in  Milano  una  Società  commerciale  per  lo  Scioa  e  paesi  limitrofi  (*)• 


S  ELIA    MILLOSEVICH 


Ben  presto  la  prima  Società  sì  trasformò  nella  «  Società  di  Esplora* 
zione  commerciale  in  Africa  »  (1879).  L*azione  con  iscopo  specialmente  com- 
merciale s'intrecciò  beneficamente,  in  non  poche  esplorazioni,  colla  ricerca 
puramente  scientifica  e  geografica,  venendo  designate  nuove  vie  inesplorate, 
rettificati  molti  errori  e  recati  benefici  a  spedizioni,  o  inviate  in  Africa  dalla 
Società  Geografica  Italiana,  o  colà  intraprese  per  iniziativa  individuale.  Noi 
dovremo,  a  suo  tempo,  segnalare  quelle  esplorazioni  cbe  debbonsi  ali*  iniziativa 
della  Società  di  Milano. 

Nel  1887  Y  Esploratore  si  fonde  colla  nuova  sene  delle  pubblicazioni 
sociali,  col  titolo  Esplorazione  Commerciale.  La  Società,  sórta,  come  di- 
cemmo, col  proposito  di  indicare  le  vie  e  le  fonti  per  cui  ed  a  cui  dirigersi 
ed  attingere  dovevano  i  commerci  fra  Italia  ed  Africa,  con  lo  scorrere  del 
tempo  allargò  il  campo  suo  di  dominazione,  specialmente  per  la  cresciuta 
importanza  dei  commerci  e  delle  relazioni  coi  paesi  del  Nuovo  Mondo,  dove 
si  dirigono  e  si  svolgono  le  energie  dei  più  forti  nuclei  dei  nostri  emigranti. 

Ebbe  ristituzione  momenti  lieti  e  tristi;  soddisfazioni  e  lutti  assai  gravi, 
attività  ed  arresti:  ma  i  nomi  del  Camperio,  dell'Erba,  del  Pozzo,  del  Vi- 
goni  e  di  tanti  altri,  vanno  ricordati  a  titolo  di  lode,  avendo  costoro  impiegato 
mezzi,  tempo  ed  ingegno,  avendo  sopportato  polemiche  e  spesso  lotte,  sempre 
coUalto  proposito  di  giovare  alla  patria  nostra. 

Un  notabile  patrimonio  di  coltura  geografica,  di  benefici  insegnamenti 
a  prò'  dei  commerci,  e  di  norme  di  cui  profittò,  o  di  cui  avrebbe  dovuto 
profittare  il  paese  nella  sua  energia  espansionale,  trovansi  nelle  pubblicazioni 
di  una  Istituzione  che  conta  ben  trentatrè  anni  di  vita  e  che  giova  sperare 
possa  aggiungerne  molti  altri. 


III. 
Le  Esplorazioni  geografiche  italiane  nell'ultimo  cinquantennio. 

Nel  saggio  statistico  che  segue,  sono,  in  ordine  di  tempo,  in  modo  molto 
conciso  e  con  una  suddivisione  razionale,  indicate  le  principali  esplorazioni 
geografiche  italiane  nell'ultimo  cinquantennio;  un  collegamento  con  date 
anteriori,  in  qualche  caso  fu  necessario  e  anche  doveroso.  Testi  e  fonti,  con 
numero  di  guida,  trovansi  indicati  in  fine  del  lavoro. 

1.  Europa. 

Esplorazioni  geografiche  italiane  in  Europa,  comparabili  con  quelle 
fatte  da  italiani  nelle  altre  parti  della  terra,  trattandosi  dei  tempi  nostri, 
non  possono  esservi,  poiché  la  coltura  geografica  nei  riguardi  dell'Europa  ò 


LE   PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE   ITALIANE  9 

tale  che  le  ricerche  moderne  hanno  carattere  strettamente  intensivo;  esse 
sono  compiute  dai  geografi,  dai  geologi,  dai  naturalisti  dei  singoli  paesi,  a 
cui  può  essersi  aggregato  o  chiamato  ad  aggregarsi  qualche  dotto  italiano. 
Ed  in  verità  la  geografia  fisica  e  la  geografia  antropica  dltalia.  appunto  nel 
suo  moderno  tipo  intensivo,  è  fatta  o  dovrebbe  esser  stata  fatta  tutta  da 
geografi  italiani,  proprio  come  avviene  e  deve  avvenire  per  gli  altri  paesi 
europei. 

Nel  campo  archeologico  il  genio  italiano,  anche  fuori  d7talia,  ma  in 
Europa,  compiva  esplorazioni  importanti  nel  periodo  che  ci  occupa;  ma  esse 
escono  del  tutto  dal  carattere  geografico  :  come  ad  esempio  quelle  recentissime 
e  classiche  fatte  a  Creta  da  Federico  Halbherr  e  dai  suoi  giovani  compagni 
di  lavoro,  se  pur  non  si  voglia  trovarne  un  nesso  colla  stona  della  geografia 
antica.  Senonchè  su  questa  via  difficilmente  saprebbesi  trovare  il  limite; 
troveranqo  esse  nobile  posto  in  altra  monografia. 

Forse  non  è  fuor  di  proposito  ricordare,  anche  per  il  tempo  nel  quale 
si  compirono,  le  classiche  esplorazioni  di 

1.  Luigi  Palma  di  Gbsnola,  a  Cipro  (1860-70).  Era  il  Cesnola  un 
antico  ufficiale  dell'esercito  sardo,  e  le  sue  scopeite  archeologiche  a  Cipro 
possono  competere  in  importanza  con  quelle  di  Layard,  di  Bolzoni,  di 
Botta,  ecc.  ecc. 

La  sua  opera:  Cyprus,  iis  ancients  Cities,  Tombs,  ecc.,  London  1877- 
1878,  ebbe  onori  europei  C). 

2.  Possono  considerarsi  frutto  di  esplorazioni  geogiafiche  fatte  da  ita- 
liani in  Europa  le  comunicazioni  che  leggonsi  nel  Boll.  S.  G.  L  ^mW Epiro, 
del  console  E.  Db  Gdbkrnatis  (1870-75)  (^),  e  il  viaggio  di 

8.  Guido  Cora  in  Albania  (1874),  narrato  nel  Cosmos  e  in  Boll.  S.G.I. 
Esso  è  quasi  simultaneo  col  viaggio  dal  medesimo  compiuto  a  Tripoli  (^). 

Ricerche  pure  in  Europa  potrebbero  qui  essere  ricordate  quando,  fatte 
a  scopo  naturalistico,  aumentarono  le  nostre  raccolte  nei  Musei  nazionali. 
Così  ad  esempio  :  La  crociera  del  «  Violante  »  fatta  dal  cap.  Enrico  d'Al- 
BERTis  nel  1876  (suo  libro,  e  voi.  XI  degli  Annali  Museo  Genova,  ecc.),  e 
altre  di  simile  tipo. 

In  quanto  riguarda  TEuropa,  non  crediamo  opportuno  altre  citazioni  di 
«  esplorazioni  »,  facilmente  confondendosi  «  viaggi  »  con  «  esplorazioni  », 
anche  se  in  viaggi  in  regioni  ben  note  siano  per  avventura  stati  aggiunti 
particolari  di  carattere  intensivo,  forse  sfuggiti  da  prima,  anche  se  la  men- 
talità originale  del  viaggiatore  seppe  cavare  legami  etici  per  lo  innanzi  pas- 
sati senza  osservazione.  La  demarcazione  peraltro  è  difficile,  e  però  detur 
coaciori  venia. 

Il  nostro  modesto  lavoro  comincia  ora  colle  esplorazioni  nelle  regioni 
polari. 


10 


ELIA    MILLOSEVICH 


2.  Begioni  Polari. 

Esplorazioni    polistiche. 

Le  esplorazioni  in  Africa  assorbirono  baona  parte  deirenergia  italiana. 
Era  saggio,  era  giusto  che  così  fosse  ;  ed  in  verità,  se  il  nostro  paese  ò  oggi 
conosciuto  come  Stato  coloniale,  lo  ò  solo  per  le  sue  due  colonie  in  Africa. 
Scarso  quindi  è  il  contributo  italiano  in  esplorazioni  polari. 

Nel  Congresso  geografico  internazionale  di  Londra,  parlando  delle  esplo- 
razioni polari,  appena  appena  si  fece  il  nome  di  Qiacomo  Bovb  quando  si 
accennò  all'Italia  ;  non  era  proprio  così  che  si  doveva  dire,  ma  presso  a  poco 
era  vero. 

Con  orgoglio  possiamo  soggiungere  che,  cinque  anni  dopo,  un  italiano 
piantava,  il  25  aprile  1900,  il  vessillo  tricolore  in  latitudine  -{*  86^34',  cioè 
a  chilometri  382  dal  polo  nord,  una  distanza  di  poco  superiore  a  quella  che 
corre  da  Bologna  a  Castellammare  Adriatico;  soltanto  un  americano  più  tardi 
lo  avanzava,  il  Peary,  che  ebbe  poi  la  fortuna  di  avvicinarsi  così  al  polo 
nord,  il  6  aprile  1909,  da  esserne  lontano  di  una  quantità,  per  la  soluzione 
del  problema,  trascurabile.  Procediamo  peraltro  con  ordine. 

4.  Nella  spedizione  austro-ungarica,  diretta  da  Carlo  Weyprecht  e 
Giulio  Payer  col  Tegetthoff  (1872-74),  la  quale  ebbe  per  massima  sco- 
perta quella  dell* arcipelago  «  Terra  Francesco  Giuseppe  »,  si  fa  grande  lode 
ai  marinari  del  piroscafo,  quasi  tutti  italiani  (coste  Istria  e  Dalmazia)  ('^). 

5.  Nelle  esplorazioni  allo  Spitzberg,  della  quinta  spedizione  svedese,  par- 
tita da  TromsO  il  21  luglio  1872,  troviamo,  per  iniziativa  della  S.  G.  I.,  un 
delegato  del  Governo  nostro,  Tufficiale  della  R.  Marina  Edoenio  Parent. 

Questa  spedizione  è  una  di  quelle  di  prova  che  il  grande  NordenslgOld 
premise  prima  di  tentare  il  giro  della  costa  nord  del  continente  asiatico,  cioè 
il  classico  passaggio  di  NE  ('')• 

6.  Ed  eccoci  al  fugace  accenno  di  una  delle  più  classiche  esplorazioni 
del  secolo  testò  revoluto,  a  quella  cioè  che  rivelò,  in  via  di  fatto,  essere  ac- 
cessibile il  passaggio  di  NE. 

L'alta  direzione  deirimpresa  tenne  A.  Nordenskjòld  ;  Palander  comandò 
la  Vega,  e  un  manipolo  di  dotti  vi  fece  corona. 

Tra  essi,  con  orgoglio,  ricordiamo  Giacomo  Bove,  tenente  della  marina 
italiana.  Il  celebre  problema  del  passaggio  trovò  pratica  soluzione  il  20 
luglio  1879,  avendo  la  Vega  transitato  in  quel  dì  lo  stretto  di  Bering,  dopo 
essere  rimasta  serrata  fra  i  ghiacci  a  cii'ca  200  chilometri  ad  W  dello  stretto 
per  ben  nove  mesi.  Devesi  alla  S.  G.  I.  se  Giacomo  Bove  potè*  salire  a 
bordo  della  Vega  (»*). 


LE   PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE   ITALIANE  H 

7.  L'ufiRciale  Alberto  db  Bensis,  nel  1882-83,  fece  parte,  in  seguito 
ad  azione  efficace  della  S.  0.  I.,  della  spedizione  artica  danese  colla  nave 
Dijmphna  al  comando  del  capitano  A.  Hovgaard.  La  spedizione,  cosi  avven- 
turosa, sì  svolse  nel  mare  di  Cara;  si  deve  ad  essa  la  scoperta  dell'isola 
Bujs  Ballot,  dell'isola,  cioè,  chiamata  col  nome  del  celebre  meteorologo,  al 
quale  devesi  lo  studio  del  moto  dei  cicloni  (^^). 

8.  Nansbn,  aggiungendo  al  coraggio  la  scienza,  sicuro  della  sua  teoria 
della  deriva  de'  ghiacci,  il  24  giugno  1SÌ)3  paitiva  colla  Fram  da  Cri- 
stiania. 

La  sua  esplorazione  è  nota  a  tutti.  Egli  raggiunse,  con  battelli  e  slitte  ti- 
rate dai  cani,  la  latitudine  di  86^  4'. 

Un  principe  di  Casa  Savoja,  S.  A.  R.  il  duca  degli  Abruzzi,  già 
maestro  in  esperimenti  difficili,  concepisce  Tidea  dì  una  esplorazione  polistica. 

Educato  nella  scienza  ed  alla  scuola  di  Nansen,  provvede  in  modo  mi- 
rabile airapprovvigionamento  della  sua  spedizione,  e  lascia  l'Europa  il  3 
luglio  1899,  raggiungendo,  17  giorni  dopo,  l'isola  più  meridionale  del  gruppo 
Francesco  Giuseppe. 

Le  vicende  di  quella  esplorazione  con  la  Stella  Polare  sono  narrate  dal 
prìncipe  stesso  ;  qui  è  inutile  riassumerle. 

Il  manipolo  illustre  destinato  alla  scalata  al  polo  nord  componevasi  di 
S.  A.  R.  Luigi  Amedeo  dì  Savoja,  del  comandante  Cagni,  del  tenente  di  va- 
scello Querini,  del  medico  militare  Cavalli  Molinelli,  delle  valorose  guide 
alpine  e  di  due  marinai,  tutti  questi  italiani;  aggiungasi  il  norvegese 
Stòkken. 

Al  comandante  Cagni  toccò  la  gloria  di  superare  di  30'  la  latitudine 
raggiunta  da  Nansen.  Ciò  ebbe  luogo,  come  già  dicemmo;  il  giorno  di  S.  Marco 
dell'ultimo  anno  del  secolo  passato;  un  infortunio  impedì  all'ultimo  mo- 
mento a  S.  A.  R.  di  guidare  la  decisiva  esplorazione  veiso  Nord  con  slitte 
e  battelli,  partendo  dalla  baja  di  Teplitz.  Tutto  d'un  tratto  l'Italia  era 
alla  testa  di  tutte  le  nazioni  nelle  esplorazioni  polistiche.  Grande  fu  la  gloria 
conseguita;  importanti  i  risultati  scientifici  raggiunti  in  un  brevissimo  pe- 
riodo di  tempo  ;  essi  vennero  sagacemente  discussi.  Solo,  in  tanta  soddisfazione 
nazionale,  la  scomparsa  fatale  del  Querini  cagionò  luttuosa  sensazione  (^^). 

9.  Giulio  Schoch,  tenente  di  vascello.  Note  prese  a  bordo  della  bale- 
niera norvegese  Hertha,  Riguardano  una  campagna  alla  caccia  delle  foche  e 
delle  balene  nel  mare  Polare  (III-V,  1899)  con  una  così  detta  nave  bale- 
niera da  ghiaccio  (^^). 

10.  La  bandiera  d'Italia  è  inalberata  in  una  vetta  alta  3910  m.,  vetta 
Savoja,  nel  gruppo  delle  Spitzberg,  mentre  S.  M.  la  regina  Margherita 
compie  colà  un'escursione  nell'estate  del  1903.  Già  un  anno  prima  che 
S.  A.  R.  Luigi  Amedeo  di  Savoja  compiesse  il  mirabile  suo  viaggio,  il  nostro 
re,  allora  Principe  di  Napoli,  insieme  colla  sua  augusta  sposa,  la  princi- 
pessa Elena,  aveva  visitato  il  gruppo  suddetto  coir  «  yacht  *  Jela  (*^). 


12  ELIA    MILLOSEVICH 


N.B.  Ud  ricordo  della  spedizione  antartica  Scott  (1903),  allo  scopo  di 
eseguire  un  rilievo  magnetico  attraverso  la  Terra  Vittoria,  deve  qui  essere 
fatto,  perchè  uno  degli  scienziati  della  spedizione  era  Tastronomo  Luigi  Ber- 
nacchi,  nato  in  Australia,  ma  di  famiglia  italiana.  Cfr.  Boll.  S.  G.  L,  1905, 
luglio  [Emilio  Oddone]. 


3.  Viaggi  di  circxixnnavigazione. 

Io  credo  di  dover  limitare  Taccenno  di  viaggi  di  circumnavigazione  ai 
due  colla  Magenta  e  colla  Vettor  Pisani^  in  vista  del  tempo  nel  quale  Yen- 
nero  compiuti  e  dei  risultati  conseguiti.  A  nazione  matura,  tali  viaggi  di 
circumnavigazione  entrarono  nei  metodi  di  Governo  anche  per  esigenze  poli- 
tiche, e  però  divennero  numerosissimi,  né  riguardano  quindi  questo  lavoro. 

11.  La  Magenta  fu  la  prima  nave  da  guerra  del  nuovo  regno  d'Italia 
che  abbia,  nel  1865,  compiuta  la  circumnavigazione  del  globo.  Ne  fu  coman- 
dante Vittorio  Arminjon  ;  ebbe  a  bordo  come  naturalista  Enrico  Hillybr 
GioLioLi  (n.  1845;  m.  1909)  che  sostituì  Filippo  de  Filippi.  I  frutti  furono: 
raccolte  naturalistiche;  osservazioni  di  fisica  terrestre  e  di  fisica  marina;  un 
trattato  di  commercio  col  Giappone,  e  parecchie  Opere  (^''). 

12.  Dall'Italia  alla  Nmva  Guinea,  all'Australia,  alla  Nuova  Zelanda 
e  a  Montevideo  è  il  viaggio  della  R.  corvetta  Vettor  Pisani,  nel  periodo 
1871-73.  Comandante  fu  Loyera  de  Maria.  È  noto  Taiuto  apportato  a 
0.  Bbccari  e  a  L.  M.  d'Albertis  in  seguito  alle  ricerche  e  al  loro  ritro- 
vamento ad  Amboina.  Notevoli  i  rilievi  idrografici;  rettifiche  importanti  nella 
costa  meridionale  della  Nuova  Guinea.  L'opera  che  descrive  tutto  il  viaggio 
fu  pubblicata  a  Roma  nel  1873,  col  titolo  di  cui  sopra  (*'). 


4.  America. 

Due  grandi  esploratori  italiani  campeggiano  gloriosamente  in  America 
in  tempi  vicini  all'epoca  del  nostro  riscatto;  è  doveroso  iniziare  con  questi 
la  breve  statistica  delle  esplorazioni  italiane  nel  nuovo  mondo. 

13.  Nella  prima  metà  del  secolo  passato  noi  troviamo  in  G.  B.  Codazzi 
(Lugo  1793-Pueblito  1859),  ufiìciale  d'artiglieria  nelle  armate  di  Napoleone, 
un  celebre  cartografo  del  Venezuela  e  della  Nuova  Granata,  dove  aveva 
quasi  continuamente  soggiornato  dopo  la  caduta  del  primo  Impero.  Le  opere 
sue  ebbero  le  lodi  di  E.  de  Beaumont,  di  F.  Arago  e  di  A.  de  Humboldt  (^^). 

14.  Un  altro  grande  italiano  crediamo  doveroso  ricordare,  Antonio 
Raimondi,  che  fu  detto  il  secondo  esploratore  del  Perù  (Milano  1826 -S,  Pe- 


LE    PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE   ITALIANE  13 

diro  1890).  Dal  1851  al  1869  percorse  il  Perù  in  tutte  le  direziòiii.  Inge- 
gnere e  naturalista  insieme  (l'ideale  per  un  esploratore),  le  sue  ricerche,  spe- 
cialmente quelle  mineralogiche,  giovarono  sommamente  all'economia  del  paese. 
Fauna,  flora,  reliquie  antropologiche,  armi  primitive,  indumenti  di  selvaggi, 
tutto  osservò,  tutto  studiò,  tutto  raccolse  quest'uomo  straordinario. 

Compiute  le  sue  grandi  escursioni,  Teminente  geografo  si  accinse  alla 
opera  sua  descrittiva  monumentale.  Il  Perù,  pur  rimasta  incompleta.  Se  la 
opera  del  Codazzi  precede  in  ordine  di  tempo  il  limite  di  partenza  del 
nostro  lavoro,  quella  del  Raimondi  Io  invade;  ma  mi  è  parso  giusto  comin- 
ciare col  cartografo  insigne  di  Lugo  (*®). 

15.  LaciÒLi  Bartolommeo,  da  Macerata.  Raccolta  etnografica  peruviana, 
specialmente  del  bacino  deirUcayali  (Museo  preistorico  di  Roma).  Era  il 
Lnciòli  un  uomo  dato  ai  commerci  e  che  si  era  stabilito  nel  Perù  dal  1856 
in  poi  (**).  Cfr.  gli  scritti  del  dott.  Colini  G.  A. 

16.  In  altra  regione  dell'America  (alto  Amazzoni),  dal  1869  a  circa 
il  1876,  il  padre  Luioi  Pozzi,  missionario,  raccoglieva  oggetti  etnografici 
appartenenti  a  selvaggi  che  abitano  le  rive  del  Morena,  del  Pastassa  e  del 
Napo.  Museo  preistorico  di  Roma  ;  cfr.  scritti  del  dott.  Colini  6.  A.  ("). 

17.  Nella  spedizione  L.  Wyse,  ad  esplorare  il  Darien,  prese  posto  (1876) 
Oliviero  Bixio,  nipote  di  Nino  ;  soccombette  alle  fatiche  ed  al  clima  (*^). 

18.  Pippo  Vigoni  e  Alfonso  Garovaolio,  nella  Pampa  e  nelle 
Ande  (*^). 

19.  Sotto  gli  auspici  della  S.  G.  I.,  Ermanno  Strabelli  di  Piacenza 
nel  1879  giungeva  dal  fiume  delle  Amazzoni  al  Para  e  poi  a  Manàos. 
Negli  anni  1880-83  imprese  numerosi  viaggi  nelle  regioni  interne,  portando 
molta  luce  e  facendo  vere  scoperte  sui  corsi  affluenti  dell' immane  fiume. 
Visitò  alcune  delle  regioni  più  ignorate  fra  il  Venezuela  e  il  Brasile,  e,  col 
marchese  Adgosto  Serra  dei  Duchi  di  Cardinale,  compieva  Timportante 
ricerca  delle  scatuiigini  dell'Orenoco  (1887)  {*^), 

20.  Nel  1880,  Giovanni  Pellbschi  esplora  nel  Gran  Chaco  il  Rio 
Vermejo,  un  grosso  affluente  del  Paraguai,  che  in  esso  sbocca  a  monte  dello 
sbocco  del  Paraoà  in  quello  ('^). 

21.  Giacomo  Bove,  Giovanni  Roncagli,  Decio  Vinciguerra,  Do- 
menico LovisATo,  C.  Spegazzini  e  P.  de  Gerardis.  Spedizione  argen- 
tino-italiana (1882)  diretta  dal  tenente  Giacomo  Bove,  a  bordo  della  nave 
Cabo  de  Bornos  e  della  goletta  San  José.  Esplorazione  della  Terra  degli 
Stati,  dei  canali  dell'arcipelago  di  Magellano  e  della  costa  adiacente  del 
Pacifico.  Nozioni  importanti  etnografiche  sulla  Terra  del  Fuoco.  Collezioni 
naturalistiche  di  valore.  Nel  frattempo  G.  Roncagli  si  reca  da  Punta  Arenas 
a  Santa  Cruz,  rettificando  le  carte  anteriori  al  suo  viaggio  in  detta  percor- 
renza. La  spedizione  ebbe  valido  appoggio  dalla  S.  G.  I.,  e  le  raccolte  etno- 
grafiche si  trovano  nel  Museo  preistorico  a  Roma  (*"). 


14  ELIA    MILLOSEVICH 


22.  Illuminato  Giuseppe  Coppi.  Missionario  nel  Brasile,  fornisce  alla 
S.  G.  I.  una  relazione  contenente  interessanti  notizie  geografiche  ed  etnogra- 
fiche (1882-83)  sopra  la  rf^ione  del  Bio  Negro  nel  Brasile.  Relazioni  del 
dott.  a  A.  Colini  ("), 

23.  Roberto  Pandolfini.  Una  Relazione  che  riguarda  una  visita  nel 
1884  alle  isole  delle  Tartarughe  [Galapagos],  spettanti  alla  repubblica  del- 
rEqaatore.  Un  gruppo  di  sei  isole  maggiori,  alcune  minori  e  molti  isolotti  (**). 

24.  Giacomo  Bove.  Note  di  un  viaggio  importante  neiralto  Paranà 
(1883-84).  Visita  delle  Alte  e  Basse  Missioni;  studio  del  corso  del  Paranà, 
dalla  sua  confluenza  coiri-guazù  fino  alla  cascata  del  Guayrà,  ecc.  ecc.; 
compagni  di  viaggio,  Bossetti  e  Lucchesi  delle  Missioni  ('®).  Raccolta  etno- 
grafica in  Museo  preistorico  di  Roma. 

25.  Luigi  Balzan  (n.  1865;  m.  1893).  Nel  1885  ad  Asuncion  nel  Pa- 
raguai  (Conferenza  alla  S.  G.  I.  il  14  febbraio  1889).  Più  tardi,  con  sussidi 
della  S.  G.  I.,  auspice  Giacomo  Doria,  esplora  le  regioni  Boliviano;  attra- 
versato il  gran  Chaco,  ritorna  dalla  Bolivia  ad  Assuncion.  Collezioni  etio- 
grafiche  ed  antropologiche  (Conferenza  alla  S.  G.  I.  il  28  maggio  1893)  ('^). 

26.  Carlo  Vedovelli.  Relazione,  dietro  invito  della  S.  G.  L,  del 
viaggio  da  Puerto  Colombia  a  Bogotà  (1891).  Dimora  di  quattro  anni  nella 
regione  (^*). 

27.  Guido  Bogoiani,  pittore  ed  etnologo  esploratore  (1861-1902).  De- 
vesi  a  lui  la  preziosa  raccolta  etnografica  (in  Museo  preistorico  dì  Roma) 
deiralto  Paraguai.  Le  sue  ricerche  etnografiche  furono  giudicate  prozio* 
sissime. 

Una  prima  dimora  (1887-1894)  fruttò  le  opere  /  Ciamacoco  ed  i  Ca- 
duvet.  Nel  1896  ritornava  nelle  pianure  Platensi,  e  fino  alla  sua  tragica 
morte  divise  assai  sapientemente  il  suo  tempo  fra  Asuncion  e  le  foreste  del 
Ciaco,  inviando  in  Italia  e  altrove  collezioni  e  studi.  E  Guido  Boggiani  una 
delle  più  interessanti  figure  italiane  di  artista,  geografo  ed  etnografo.  La 
S.  G.  I.  lo  animò  e  lo  sorresse  fino  dai  primi  suoi  vit^gi  ('^). 

28.  S.  A.  R.  il  Duca  degli  Abruzzi,  in  compagnia  del  dott.  Filippo 
Filippi  e  di  Vittorio  Sella,  compie  lascensione  del  Monte  Sant^Elia  (1897) 
neir Alasca,  quella  vetta,  alta  sopra  5500  m.,  della  quale  un  altro  italiano,  per 
primo,  aveva  dal  mare  rilevata  e  calcolata  Taltezza  nel  1791  [Alessandro  Ma- 
laspina:  n.  1749,  m.  1810]  ("). 

29.  Cesare  Cipollbtti.  Sistema  idrografico  del  Rio  Negro  e  elei  Rio 
Colorado;  missione  del  governo  Argentino  (1899)  C). 

80.  BusGALioNE  Luigi.  Viaggio  in  Amazzonia  (1899)  per  studi  bota- 
nici; teoria  suirorigine  dei  campos,  sulla  Mirmecofilia,  ecc.  ecc.;  accenni 
etnografici.  Le  Relazioni  hanno  molta  importanza  scientifica.  La  esplorazione 
fu  sussidiata  dal  Governo  e  dalla  S.  6.  I.,  auspice  il  botanico  Romualdo 
Pirotta  (3«). 


LE   PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE   ITALIANE  15 

31.  Gregorio  Ronca.  Colla  B.  nave  Dogali  va  alle  Antille,  alle 
Qniane  e  percorre  a  ritroso  rAmazzoni,  giuugendo  sino  a  Santa  Fé,  per  oltre 
4000  chilometri  dal  mare.  Bilievo  accanito  del  percorso;  informazioni  sva- 
riate, specialmente  economiche  (1904-05)  (^''). 


5.  Asia  -  AtLstralasia  -  Melanesia. 

82.  Don  Paolo  Abbona.  Un  missionario  piemontese  che  dimorò  molti 
anni  in  Birmania  (fra  il  1857  e  il  1864)  e  che  fu  in  rapporti  con  Cristoforo 
Negri  che  ne  tessè  il  necrologio.  Attivò  nn  trattato  di  commercio  fra  il  re 
di  Sardegna  e  il  re  di  Birmania,  e  diede  qualche  notizia  geografica  sul  corso 
deir  Jrawaddj,  per  quel  t^mpo  importante.  Facilitò  i  rapporti  fra  l'Italia  e 
la  Birmania  (^^). 

83.  M.  Gavazzi,  Litta  e  Meazza.  Con  iscopo  commerciale,  per  stu- 
diare Tallevamento  dei  bachi  e  raccogliere  sane  sementi,  questi  tre  viaggia- 
tori milanesi,  nel  1868,  si  recarono  ad  Oremburgo,  ad  Orsk,  a  Casalà  sul 
Sir  Daria  (Jaxartes),  e  a  Bucara.  Loro  prigionia  (^*). 

34.  GuARMANi  Carlo,  di  Livorno.  Inviato  in  Arabia,  per  acquisto  di 
cavalli,  dal  governo  di  Napoleone  III,  penetrò  in  regioni  delFArabia  (fino 
a  Easim)  quasi  del  tutto  ignote  (1861-65).  Scrisse  l'opera  intitolata:  Sedici 
anni  di  studii  in  Siria,  Palestina,  Egitto  e  nei  deserti  dell* Arabia  (1864); 
più  tardi  dettò:  Gli  italiani  in  Terra  Santa  {!%!%)  (*^). 

35.  Odoardo  Bbccari  e  Giacomo  Doria.  Appare  nel  nostro  lavoro  per 
la  prima  volta  il  nome  insigne  di  Odoardo  Beccari  (n.  Firenze  1843),  e  lo 
troviamo  associato  a  Giacomo  Doria  (n.  a  Spezia  1845),  esploratore  e  na- 
turalista pur  insigne,  e  grande  mecenate  (nelFalto  senso  della  parola)  degli 
esploratori  italiani. 

Dopo  il  rilievo  di  Borneo  iniziato  dal  Wallace  (1854-62),  sono  questi 
due  illustri  naturalisti  che  ne  continuarono  Topera.  È  esplorata  la  parte  NW 
di  Borneo,  specialmente  con  intensi  studt  di  zoologia  e  di  botanica  (1865-68), 
con  una  lunga  dimora  di  Odoardo  Beccari  fra  i  Dajacchi  di  Borneo.  Il  libro 
del  Beccari  si  pubblicò  sotto  gli  auspici  e  col  concorso  della  S.  G.  I.  (^0- 

36.  Manfredo  Camperio.  Un  viaggio  a  Ceylan  (1866)("). 

87.  Alfonso  Garavaqlio  e  Pippo  Vigonl  Un'escursione  nel  1869 
ad  est  del  Giordano;  descrizione  di  antichi  monumenti,  specialmente  di 
Gerasa  ("). 

38.  Giulio  Adamoli.  Bicordi  di  un  viaggio  nelle  steppe  dei  Kirghisi  e 
nel  Turkestan  (1869)  (**). 

89.  Carlo  Bacchia.  Nel  Siam  e  nella  Birmania  (1869-73).  Una  mis- 
sione italiana  nel  Siam;  la  missione  alle  corti  di  Ava  e  Siam.  Viaggio  da 
Aden  a  Bangun  e  da  Rangun  a  Mandalay.  Opera:  La  Birmania  (*% 


16  ELIA   MILLOSEVIGU 


40.  Pietro  Savio.  Per  studiare  rallevamento  del  baco  da  seta,  insieme 
col  conte  Sallier  de  La  Tour,  recasi  in  Giappone  (1869).  Kaccolta  etno- 
grafica (Museo  di  Torino).  Pubblicò:  //  Giappone  nella  sua  vita  pubblica 
e  privata,  nella  politica  e  commerciale.  Lo  scritto  è  interessante  per  poter 
istituire  il  raffronto  con  lo  stato  attuale  del  Giappone,  dopo  40  anni  di  energia 
nazionale  ("). 

41.  Missione  Italiana  in  Persia  (1862).  Prìncipali  membri:  Mar- 
cello Cerruti  in?iato  straordinario  allo  Scià  di  Persia,  Giacomo  Doria,  Mi- 
chele Lessona,  F.  de  Filippi,  Orio,  Lignana,  Ferrati,  ecc.  ecc.;  in  tutto,  17 
persone.  Dai  nomi,  subito  appare  Teletta  rappresentanza  della  scienza  ita- 
liana. Il  celebre  geologo  De  Filippi  pubblicò  la  relazione.  In  quelTocca- 
sione  Giacomo  Doria  compì  da  solo  un  viaggio  nelle  provinoie  orientali  e 
meridionali  della  Persia,  specialmente  per  scopo  naturalistico.  Acquisti  scien- 
tifici in  zoologia,  geologia  e  geografia  (*'^). 

42.  G.  Emilio  e  Fedele  Fr.lli  Cerruti,  e  Giuseppe  di  Lbnna. 
Un  tentativo  dell'Italia  per  cercare  un  luogo  di  colonia  nell'Insulindia;  ten- 
tativo, pur  troppo,  senza  esito  felice  (1869). 

Coir  «  yacht  »  Alexandra  la  spedizione  toccò  le  Molucche  ;  poi,  fra  i  mari 
di  Banda  e  degli  Arafura,  le  isole  Kei  e  Arù.  Dopo  gravi  peripezie,  non 
potendo  la  spedizione  sbarcare  nella  Papuasia  (Nuova  Guinea),  per  la  biya 
di  Mac  Cluer,  passò  a  studiare  le  isole  di  Salavatti  e  Batauta.  Da  Celebes, 
toccando  l'isola  Bavian,  la  spedizione  tornò  in  Italia  (^^). 

43.  Lorenzo  Insilveni  (1870).  È  un  viaggio  attraverso  l'Asia,  fatto 
valendosi  di  commendatizie  della  S.  G.  I.  Si  attraversa  la  Russia  e  la  Mon- 
golia, fino  in  Cina  e  Giappone  (^^). 

44.  G.  Messedaglia  (1873-76),  in  Siria  (^^). 

45.  Felice  Giordano.  Del  viaggio  di  questo  geologo,  in  Asia  e  Au- 
stralasia  (1872-73),  si  hanno  lettere  da  Dargiling  presso  Tlmalaja,  e  da  Kandy 
(Ceylan).  Sua  esplorazione  a  Borneo  (1873)  (^0- 

46.  Odoardo  Bbccari  e  Laioi  Maria  D'Albertis  (1872-73).  Nella 
Nuova  Guinea.  Questa  esplorazione  è  una  delle  più  gloriose  che  conti  l'Italia; 
vale  quanto,  più  tardi  assai,  in  Africa  valsero  le  spedizioni  celebri  nella  So- 
màlia. Benché  le  coste  della  Nuova  Guinea  fossero  state  toccate  e  ritoccate 
le  cento  volte  prima  di  questa  epoca,  pure,  la  prima  vera  ricognizione  del- 
l' «  hinterland  «  tra  feroci  selvaggi  e  fra  gli  uccelli  del  paradiso,  spetta  ai  due 
nostii  naturalisti.  Era  loro  intenzione  di  rimontare  il  fiume  Utanata  ;  ma  il 
monsone  d'Est  lo  impedì.  Sbarcarono  a  Eapoar.  Più  tardi,  lasciata  l'isola 
di  Sorong,  presero  terra  sulla  costa  settentrionale  della  Papuasia,  e  vi  si 
internarono  compiendo  quella  maravigliosa  raccolta  di  piante  e  di  animali, 
che  rese  celebre  nel  mondo  questa  esplorazione.  Col  dicembre  1872,  L.  M. 
D'Albertis  ritornava  in  patria;  ma  in  quei  luoghi  rimaneva  0.  Beccari,  che 
nel  1872  esplorava  le  isole  Arù  e  le  isole  Kei,  e  si  proponeva  una  seconda 
esplorazione  nella  Nuova  Guinea  (^*). 


LE    PRINCIPALI   ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE   ITALIANE  17 

47.  LoiGi  Maria  D*Albertis  e  Biccardo  Tomasinelll.  La  seconda 
esplorazione  di  L.  M.  D'Albertis  nella  Nuova  Guinea  (1875-77).  CoU'aiuto 
dei  missionari  di  Somerset,  il  valoroso  naturalista,  dopo  aver  fatto  centro  di 
numerose  escursioni  l'isola  di  Yule  presso  la  costa  orientale  del  golfo  di 
Papua,  e  dopo  che  il  suo  compagno  fu  costretto  ad  abbandonarlo  per  ragioni 
di  infermità,  rimontò  in  due  tempi  il  grande  fiume  Fly,  giungendo  in  vista, 
nel  cuore  del  continente  Papuano,  della  grande  catena  di  montagne,  da  cui 
trae  origine  il  grosso  fiume.  Nel  primo  tempo  potè  risalirlo  fino  a  circa  800 
chilometri  dalla  costa  (latitudine  5®  47'  Sud).  Soltanto  Mac-Gregor  soi-passò' 
nel  1890  il  punto  al  quale  era  giunto  il  nostro  insigne  ligure.  La  sua  opera 
classica  è  intitolata:  Alla  Nuova  Guinea:  ciò  che  ho  veduto  e  ciò  che  ho 
fatto.  Raccolte  straordinarie  naturalistiche  in  Museo  civico  di  Genova;  antro- 
pologiche, in  Museo  nazionale  di  Firenze;  etnografiche,  in  Museo  preistorico 
di  Soma  ("). 

4b.  Odoakdo  Beccari.  Seconda  esplorazione  nella  Papuasia  (1875). 
Come  è  detto  al  n.  46,  Odoardo  Beccari,  riposatosi  a  Macassar,  dopo  le 
esplorazioni  nelle  isole  Àrù  e  Kei,  compie  nella  parte  NW  della  Nuova 
Guinea  l'ascensione  delle  montagne  che  sembra  accompagnino  tutta  la  costa 
al  nord  del  paese,  detto  Papua  Onim  ;  scopre  il  fiume  Wa-Samson,  il  quale 
trae  origine  nei  monti  Arfak.  Visita  quindi  alcuni  luoghi  della  costa  occi- 
dentale della  baja  Geelvink  e  parecchie  isole.  Collezioni  natumlistiche  ;  rac- 
colta etnografica  (Museo  preistorico  di  Boma)  (*^). 

49.  Renzo  Manzoni.  Tre  viaggi  successivi  (1877-1880),  esplorando  lo 
Jemen  da  Aden  a  Sana  (per  l'esploraz.  in  Somalia,  vedi  dopo).  Suo  libro  (^^). 

50.  Odoardo  Bbccari.  In  giugno  1878  è  a  Padang,  sulla  costa  occi- 
dentale di  Sumatra.  Il  proposito  del  viaggio  è  naturalistico,  cioè  quello  di 
far  raccolta  di  uccelli,  mammiferi  (spoglie  e  scheletri),  pesci,  coleotteri, 
ecc.  ecc.  La  scoperta  classica  è  stata  il  gigantesco  Amorphophallus  Titanum, 
Àroidea  spettacolosa,  che  di  gran  lunga  sorpassa  per  grandezza  quanto  an- 
cora si  conosceva  di  analogo  nel  regno  vegetale  (^*). 

51.  Luchino  conte  Dal  Verme.  Note  di  un  viaggio  nell'estremo  oriente^ 
Milano,  1885.  È  la  brillante  ed  istruttiva  descrizione  di  un  viaggio  notevole, 
specialmente  nel  ritorno  dal  Giappone,  perchè,  lasciata  la  nave  Vetlor  Pisani 
a  Nagasaki,  il  viaggiatore  ritornò  in  patria  per  la  via  della  Siberia,  da  Wla- 
divostok  per  Ircutsk,  Tomsk,  Tobolsk  e  Jecaterinenburg,  ora  in  piroscafo,  ora 
in  tarantdss,  percorrendo  circa  9000  chilometri  (*').  Suo  libro. 

52.  S.  A.  R.  il  duca  Tommaso  di  Genova,  in  Corea.  Relazioni  di  com- 
mercio fra  ritalia  e  la  Corea,  iniziate  dal  nostro  Governo  ed  affidate  a  S.  A.  R. 
<luando  la    Vettor  Pisaai  trovava^^i  nel  1880  nelle  acque  giapponesi   (^*). 

53.  Stefano  Sommier.  Percorre  in  barca  l'Ob  (Siberia),  dal  punto  dove 
rirtish  vi  si  getta,  fino  all'Oceano  (1880).  Relazione  interessante  ed  istrut- 
tiva; suo  libro.  Scopo  precipuo.  licerche  botaniche  e  antropologiche  ('®). 

Elia  Milloskvk  ir.  —  Le  p^-incip-ih'  esjilot'a'toni,  ecc.  2 


18  ELIA    MILLOSEVICH 


54.  Leonardo  Fea.  Missione  affidata  dalla  S.  G.  I.  per  iniziativa  di 
Giacomo  Dona.  Viaggio  scientifico  in  Bairmnia,  specialmente  per  collezioni 
zoologiche  (1885  e  segaenti).  EUccolte  preziose  in  Museo  civico  a  Genova;  saggi 
etnografici  locali  (Birmania  e  Indo-Cina)  in  Museo  preistorico  di  Roma  (**). 

55.  Elio  Modigliani.  Fra  le  tante  isole  disposte  parallelamente  alla 
costa  NW-SE  di  Sumatra,  Tesploratore  si  consacrò  allo  studio  della  grande 
isola  di  Nias  (1886).  Importanti  note  geografiche  suirisola.  Apprezzatissime 
collezioni  botaniche,  zoologiche  e  antropologiche.  Musei  (Civico  di  Genova, 
Antropologico  di  Firenze,  ecc.  ecc.).  Il  viaggio  e  gli  studi  si  trovano  de- 
scrìtti in  uno  splendido  volume,  che  porta  il  titolo  Esplorazione  a  Nias,  tipi 
Treves  (•»)• 

56.  Lodovico  Nocentini.  Il  celebre  nostro  maestro  di  cinese,  testò  de- 
funto, nel  1885  visitò  le  isole  Quelpart-ce-Giù  e  Port-Hamilton.  Queste  isole 
si  trovano  al  sud  della  penisola  Coreana,  ali* imboccatura  del  mar  Giallo  (**). 

57.  Leonardo  Fea,  nel  Tenasserim.  Viaggio  con  appoggio  morale  e 
materiale  della  8.  G.  I.  Iniziativa  di  Giacomo  Doria  (vedi  n.  54). 

Lungo  soggiorno  nelFalta  Birmania  e  poscia  nel  Tenasserim  e  nel 
Pegù.  Viaggio  da  Moulmein  al  monte  Mulai.  Esplorazione  del  Carin  indi- 
pendenti. Lettere  deiresploratore  a  Giacomo  Doria.  Biografia  e  viaggi  in  Gestro 
(A.  Museo  Civico  di  Genova,  1904).  Collezioni  zoologiche  di  eccezionale  impor- 
tanza (Museo  Civico  di  Genova);  epoca,  1886-88  (®^). 

58.  Vittorio  ed  Erminio  Sella  (1889).  Un  viaggio  nel  Caucaso  cen- 
trale.  Ascensioni  deirElbruz  e  del  Mala-tau  (4660  m.).  Collezioni  fotogra- 
fiche (uno  dei  primi  saggi  di  valore)  (^^). 

59.  Lamberto  Loria.  Dopo  le  glorie  còlte  da  Odoardo  Beccari  e  Luigi 
Maria  De  Albertis  nella  Papuasia,  appare  terzo  in  tanto  onore  il  dott.  Lam- 
berto Loria  (1889-90).  Nutrito  di  buoni  studi,  si  reca  nella  Papuasia.  Da 
Port  Moresby  (1889),  capoluogo  della  Nuova  Guinea  Britannica,  invia  la 
prima  lettera  a  Giacomo  Doria,  ai  consigli  e  suggerimenti  del  quale  noi 
dobbiamo  questa  nnova  esplorazione  nella  Papuasia.  Il  teatro  delle  ricerche 
deiresploratore  fu  il  SE  della  Nuova  Guinea  e  gli  Arcipelaghi  che  geogra- 
ficamente ne  dipendono. 

Ritornato  in  Italia  per  ragioni  di  salute  nel  novembre  1890,  ripartì 
quasi  subito  (1891)  per  il  suo  secondo  viaggio  per  la  Nuova  Guinea  Bri- 
tannica. Quasi  sette  anni  visse  Lamberto  Loria  in  Papuasia,  e  narrò  le  sue 
esplorazioni  il  5  aprile  1898  in  una  ammirata  Conferenza.  Dice  Giacomo 
Doria  che  la  quantità,  la  bellezza  e  la  ricchezza  delle  collezioni  che  Lam- 
berto Loria  ha  riportato  dai  suoi  viaggi,  hanno  destato  l'ammirazione  di 
tutto  il  mondo  scientifico.  Raccolta  etnografica  ìq  Museo  preistorico  di 
Roma  («»). 

60.  Elio  Modigliani.  Neirinterno  di  Sumatra  al  lago  Toba,  e  nel  paese 
dei  Batacchi  indipendenti;  Tesploratore  attraversa  Sumatra  da  W  ad  E;  let- 


LE    PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE    ITALIANE  19 


tere  ad  Artaro  Issel  e  a  Giacomo  Doria  (1890-91);  esplorazione  dell'isola 
di  Eogano.  Conferenza  alla  S.  G.  I.  il  6  febbraio  1892.  Raccolte  naturali- 
stiche ed  etnografiche  importanti.  Sue  pubblicazioni  :  Fra  i  Batacchi  mài- 
fendenti  \  L'isola  delle  donne  \    Viaggio  ad  Engano  (**). 

61.  Felice  de  Bocca.  Nel  Pamir  e  regioni  contermini  (1893).  La  ca- 
tena dell'Alai,  il  pianòro  del  Palmir.  Gli  affluenti  dell'Osso  (^0. 

62.  Elio  Modigliani.  Dopo  l'esplorazione  dell'isola  di  Nias,  dopo  quella 
nell'interno  di  Sumatra  e  dell'isola  d'Eogano,  viene  la  terza  esplorazione  nel 
1894  alle  isole  Mentawei.  Sono,  le  isole  Mentawei,  situate  fra  Nias  ed  En- 
gano, ed  erano  mal  conosciute  piima  dell'esplorazione  Modigliani.  Lettere 
alla  sorella,  a  Giacomo  Doria,  ecc.  ecc.;  materiale  per  lo  studio  delFisola 
Sipòra  (una  delle  Mentawei);  lingua  dei  Mentawei.  Modigliani,  in  tutte  le 
esplorazioni,  si  mostrò  all'altezza  della  sua  missione  quale  naturalista  e  glot- 
tologo (•*). 

63.  Alfonso  Garav aglio.  Un  viaggio  nella  Siria  centrale  e  nella 
Mesopotamia  (1895)  ("). 

64.  Amedeo  Giù  li  anetti.  Il  noto  naturalista  fonda  una  stazione  zoo- 
logica nella  Nuova  Guinea  Britannica,  nella  catena  Wharton,  all'altezza  di 
m.  3300  :  riconosce  che  il  ramo  principale  del  Vauapa  non  trae  origine 
dal  monte  Vittoria,  bensì  dalla  catena  Wharton  e  dal  monte  Alberto 
Edoardo  (1897)  f«). 

65.  y.  ed  E.  Sella.  Nella  spedizione  Douglas  Freshfield  neirHimalaja,  i 
fratelli  V.  ed  E.  Sella  compiono  un  viaggio  tutto  airintorno  del  Kaneiu- 
ginga  (1899)  CO- 

66.  Spedizione  del  principe  Scipione  Borghese  (1900).  Da  Tashkent  par- 
tono gli  esploratori  don  S.  Borghese,  il  prof.  Giulio  Brocherel,  la  guida  Mattia 
Zurbriggen  ed  un  dragomanno. 

Esplorazione  nel  Tien  Scian  centrale.  Relazioni  di  Brocherel,  da  Tashkent 
a  Prscevalsk;  l'altipiano  di  Sarigìass,  il  Gan-Tengri  (la  suprema  vetta  del 
Tien  Scian)  ;  sulla  frontiera  cinese,  sul  ghiacciaio  di  Caende,  nella  valle  di 
Irtash. 

Sulla  prima  parte  del  viaggio,  compiuto  in  compagnia  della  moglie  e 
di  due  amici  francesi,  il  principe  Borghese  scrisse  un  libro:  In  Asia:  Siria^ 
Eufrate  e  Babilonia  (""). 

67.  Luiai  Rossetti.  Otto  mesi  in  Corea;  raccoglie  informazioni  geo- 
grafiche, etnografiche  ecc.,  sul  paese.  Due  Conferenze  ed  un'  opera  in  due  vo- 
lumi (1902)  ("). 

68.  Lamberto  Vannutelli.  Dietro  iniziativa  del  prof.  Dalla  Vedova, 
allora  presidente  della  S.  G.  I.,  e  coi  mezzi  della  medesima,  compionsi  due 
importantissime  esplorazioni  intensive,  una  nell'Asia  minore  settentrionale 
(1904)  e  l'altra  nella  meridionale  e  nella  Mesopotamia  (1906),  con  obbietto 
esclusivamente  economico,  allo  scopo  di  rendere  più  facili  e  più  proficui  gli 


20  ELIA     xMlLLOSfiVICH 


scambi  di  quelle  regioni  coli' Italia.  Cfr.  il  libro  di  Vannutelli:  Anatolia  C^). 
La  descrizione  e  i  risultati  della  seconda  esplorazione  saranno  pubblicati  fra 
breve. 

69.  S.  A.  R.  il  Doga  degli  Abruzzi  (1909),  in  compagnia  del  mar- 
chese Negrotto,  di  Vittorio  Sella,  del  dott.  Filippo  De-Filìppi  e  di  tre  guide, 
nella  sua  quarta  esplorazione,  tentò  Vascensione  del  monte  Es  (Godwin  Austen), 
che  è  la  vetta  più  eccelsa  del  Karakoram  nell'Himalaja  W.  La  vetta  pre- 
scelta vieue,  in  altezza,  subito  dopo  l'Everest  (8840  m.  i±i).  Salita  del  Bride^ 
fino  a  m.  7493.  Rilievi  topografici  (panorami  fotogrammetrici).  Conferenza 
alla  S.  G.  L,  detta  da  S.  A.  R.  il  22  febbraio  1910  C^). 

70.  Dott.  Giuseppe  de  Luigi  (1909).  Dalla  Società  di  esplorazioni  geo- 
grafiche e  commerciali  di  Milano  inviato  in  Cina  in  missione  per  obbietti 
sopra  tutto  economici  C'^), 


6.  Africa. 

Le  esplorazioni  geografiche  di  carattere  este/isivo  in  Africa,  e  le  sco- 
perte da  parte  di  nostra  gente  neirultimo  cinquantennio,  furono  di  tale 
importanza,  che  una  forma  meramente  statistica  di  esploratori  in  ordine  di 
tempo,  forma  che  era  la  sola  possibile  per  le  altre  parti  del  mondo,  male 
si  adatterebbe,  e  addimostrebbe  insipienza  neir espositore. 

Nelle  altre  parti  del  mondo,  Topera  dell'Italia  è  esìgua,  in  rapporto 
all'opera  degli  stranieri;  soltanto  le  nostre  esplorazioni  in  Australasia,  e, 
meglio,  nella  Nuova  Guinea,  avrebbero  diritto,  per  la  loro  eccezionale  im- 
portanza, al  raffronto  straniero. 

Per  l'Africa,  premetto  adunque,  un  rapidissimo  sguardo  storico,  il  quale 
colleghi  le  scoperte  straniere  con  le  nostre,  e  metta  bene  in  luce  le  glorie 
italiche,  specialmente  per  quanto  si  riferisce  alla  ricerca  delle  regioni  sorgenti- 
fere Niliache,  e  alla  conquista  dello  sterminato  territorio  fra  il  Sobat,  il  Nilo 
Bianco,  i  laghi  Rodolfo  e  Stefania,  l'Oceano  e  le  regioni  al  sud  dell'Abissinia. 

Quando  la  Società  delle  missioni  anglicane  fondò  a  Mombasa  uno  sta- 
bilimento di  missionari,  due  di  questi,  verso  il  1848,  avanzandosi  neir  in- 
terno, scoperti  il  Eilimangiàro  e  la  Eenia,  ebbero  notizia  che  grandi  laghi 
interni  eranvi  in  Africa  intorno  all'equatore;  le  quali  vaghe  notizie,  come 
fantasmi  giranti,  fino  dall'epoca  del  classicismo,  erano  pervenute  al  mare  e 
all'Egitto. 

Apparve  manifesto  essere  più  facil  cosa  pervenire  alle  scaturigini  del 
grande  Nilo  con  viaggio  da  levante  a  ponente,  che  non  con  la  lunga  percor- 
renza da  tramontana  ad  ostro.  Per  quest'ultima  strada,  a  quel  tempo,  si  era 
peivenuti  fino  a  Gondòkoro,  a  560  chilometri  dall'equatore. 


l.E    PRINCIPALI    ESPLORAZIONI    GEOGRAFICHE   ITALIANE  21 

Verso  il  1858  Bqrton  e  Spekb  scopersero,  provenendo  da  Zanzibar,  il 
lago  Tatigagnica  ;  anzi  Spekb,  nel  ritorno,  vide  le  rive  meridionali  di  un  im- 
menso lago,  XUkerevè,  a  cui  impose  il  nome  di   Vittoria, 

Un  grande  e  sfortunato  esploratore  italiano,  proprio  adesso  interviene; 
ognuno  prevede  che  parlar  voglio  di  Giovanni  Miani  (Rovigo  1810  —  Africa 
1872).  Il  primo  memorabile  viaggio  compiva  egli  nel  1859-60  insieme  col 
maltese  Andrea  de  Bono,  un  commerciante  d'avorio  nelle  regioni  dell'alto 
Nilo.  Da  Qondòkoro,  quest'ultimo  raggiunse  il  parallelo  -f-  3®  12',  e  Miani 
s'arrestò  a  GaluflS,  a  -[-  8®  32',  sulla  sponda  sinistia  dell'Un-y-Huè,  affluente 
del  Nilo  ;  ove  la  fortuna  avesse  arriso  sempre  all'uno  e  all'altro,  il  lago  Al- 
berto^ distante  dallo  storico  «  Albero  di  Miani  »  appena  120  chilometri, 
porterebbe  un  altro  nome. 

Nel  periodo  fra  il  1860  e  il  1868,  Spkke,  in  compagnia  di  Grant, 
esplora  le  rive  orientali  del  lago  Vittoria,  e  accerta  che  un  fiume  esce  dal 
nord,  ed  è  proprio  il  ramo  principale  del  Nilo,  che  prima,  peraltro,  dovrà 
entrare  nel  lago  Alberto. 

Intanto  Baker,  da  Gondòkoro,  spingesi  a  sud  per  raggiungere  il  lago 
designato  da  db  Bono  e  da  Miani,  e  che  Speke,  per  le  ostilità  degli  in- 
digeni, provenendo  dal  lago  Vittoria,  non  aveva  potuto  accertare. 

Il  viaggio  di  Baker,  che  l'esploratore  compie  con  la  moglie  in  condizioni 
penosissime  e  pericolose,  è  confortato  dal  raggiungimento  del  lago  Alberto. 

Stanley,  prima  di  compiere  il  maraviglioso  percorso  di  tutto  il  Congo 
(1874-76),  completò  l'esplorazione  del  lago  Vittoria  nella  parte  occidentale, 
e  potè'  definirò  quale  sia  il  fiume,  che,  immettendo  nel  lago  Vittoria,  debba 
ritenersi  quale  captU  Nili;  oggi  bene  sappiamo  essere  il  fiume  Rugherà 
con  tutti  i  suoi  rami,  la  prima  origine  Niliaca. 

E  a  Stanley  pur  devesi  la  prima  ricognizione  del  lago  Alberto  Edoardo  ; 
e  fu  dopo  questo  accertamento  che  egli  imprese  a  risolvere  la  grande  que- 
stione dei  corsi  del  Congo ^  mentre,  quasi  contemporaneamente,  Pietro  B razza, 
italiano  (famiglia  nobile  Friulana)  d'origine  (nato  a  bordo  della  nave  Venus 
in  rada  di  Rio  Janeiro  il  26  gennaio  1852,  morto  a  Dakar  il  14  settembre 
1905),  ma  naturalizzato  francese,  esplorava  VOgouè,  della  importanza  del 
qual  fiume  ben  sanno  coloro  che  conoscono  la  storia  moderna  della  esplora- 
zione, civilizzazione  e  colonizzazione  del  Congo. 

L'intricato  sistema  degli  affiuenti  del  Congo  da  parte  di  sinistra,  e  spe- 
cialmente dell'  Uelle,  che  tanto  s'accosta  al  Nilo  e  a  un  corso  del  Bar-el- 
Ghasàl  (fiume  delle  Garzelle),  i  nostri,  Orazio  Antinori  (Perugia  1811  — 
Let-Marefià  1882)  e  Carlo  Piaggia  (Badia  di  Cantignano  1826?  — Cartum 
1882)  esplorarono  fin  dal  1860,  giungendo  alle  frontiere  dei  Niam-niam.  Vi 
entrò  quest'ultimo  intorno  al  1864,  proprio  toccando  TUèlle;  e  nel  1871 
Giovanni  Miani,  nel  suo  secondo  memorando  viaggio,  traversò  il  Monbottù 
fino  a  Bakangai,  la  morte  soltanto  avendo  voluto  che    all'Italia   la   gloria 


22  ELIA    MILLOSBVICH 


non  venisse  di  delineare  i  bacini  del  fiume  delle  Gazzelle  e  del  corso  dello 
Uòlle,  gloria  che  il  tedesco  ScHWfiiNFORT,  che  peraltro  riconobbe  i  grandi 
meriti  delfinsigne  esploratore  rodigino,  divide  col  russo  Junker. 

Romolo  Gessi  (nato  a  Ravenna;  morto  a  Suez  nel  1881),  verso  il  1876 
circoscriveva  il  lago  Alberto,  d'onde  soppesi  per  lui  che  esso  è  ben  di- 
stinto dal  lago  Alberto  Edoardo  trovato  da  Stanley. 

£  proprio  nel  tempo  delle  esplorazioni  di  Junker  che  avviene  la  ter- 
ribile rivoluzione  del  Mahdì,  per  la  quale  TEgitto  perdeva  le  sue  con- 
quiste del  sud;  la  capitale  del  Sudan  cadeva  in  mano  del  vincitore,  e 
poche  truppe  Egiziane,  segregate  da  tutto  il  mondo,  erano  prigioni,  nella 
provincia  detta  Equatoria,  con  Emin. 

I  viaggiatori,  che  esploravano  nelle  regioni  colpite  dal  flagello,  na- 
turalmente si  ricoverarono  presso  Emin  ;  fra  essi,  Jùncker  e  il  nostro  Ca- 
sati. Un  lustro  di  distacco  dal  mondo  !  !  Juncker  rivela,  fuggendo,  l'esi- 
stenza dei  nostri  in  Equatoria,  e  il  grande  Enrico  Stanley  riporta  a  Zan- 
zibar, nel  viaggio  mirabile  dal  1887  al  1889,  sani  e  salvi,  e  Emin  e 
Casati. 

In  quel  viaggio,  Stanley  c'insegnò  esistere  fra  i  due  laghi,  l'Alberto 
6  l'Alberto  Edoardo,  il  gruppo  del  Ruvenzori  (forse  le  montagne  della  Luna, 
di  Tolomeo),  gruppo  che  ben  più  tardi  doveva  essere  asceso  dal  Duca 
degli  Abruzzi.  L'ultima  notabile  scoperta  nella  regione  fu  quella  del  lago 
Kivti,  fra  l'Alberto  Edoardo  e  il  Tangagnica,  con  spartiacque  che  lo  fa 
appartenere  al  sistema  del   Congo. 

Quando  alla  fine  del  secolo  mancavano  due  lustri,  la  geografia  esten- 
siva dell'Africa  era  rilevata,  salvo,  per  il  Nilo,  il  corso  del  Sobat  e  de' 
suoi  affluenti,  e  tutta  la  regione  che  da  Berbera  va  al  lago  Rodolfo,  e 
dal   Rodolfo  a  Eisimajo  (penisola  dei  Somali). 

Sapevasi,  dal  superstite  della  grande  spedizione  all'Africa  Equatoriale, 
Antonio  Cegchi,  che  dall'acrocoro  etiopico  correva  a  sud,  nel  paese  dei 
Galla,  un  considerevole  fiume,  prima  detto  Ghibiè^  poi  Omo,  Il  francese 
Giulio  Borblli  perseguiva  il  fiume  ben  più  avanti  di  Cocchi  :  ma,  in  ve- 
rità, a  tutti  era  ignoto  dove  esso  defluisse:  neppure  il  Negus  sapevalo. 

Del  Sobat,  breve  tratto  aveva  rimontato,  fin  dal  1855,  il  già  ricor- 
dato Andrea  De  Bono:  nulla  più  se  ne  sapeva;  del  fiume  Giuba,  quanto 
VoN  Deh  Decken  ci  aveva  insegnato  fino  dal  1865  (insegnamento  pagato 
con  la  morte),  sapevamo,  cioè  fino  a  Barderà^  gloria  e  tomba  di  lui. 

Pareva  impossibile  attraversare  la  penisola  dei  Somali,  la  ferocia  dei 
€ui   abitanti  spaventava  il  mondo. 

Nel  1888  una  spedizione  austro-ungarica  (Teleki  e  von  H5hnel),  da 
Pangàni,  per  il  Eilimangiaro  e  la  Eenia,  scopre  i  due  laghi  Rodolfo  e 
Stefania,  e  sa  che  un  fiume  definisce  a  nord  del  primo  lago:  fiume  che 
essere  potrebbe  anche  l'Omo. 


LE   PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE   ITALIANE  23 

Se  la  grande  spedizione  alVÀfrìca  Equatoriale,  per  fatalità  di  cose,  non 
raggiunse  gli  scopi  che  pur  aveva  diritto  di  conseguire,  e  per  gli  uomini  che 
la  componevano  e  per  le  cure  reiterate  della  S.  G.  L,  ora,  nella  risoluzione 
dei  grandi  problemi  sopra  indicati,  l'Italia  colse  splendide  palme,  miste  pur 
di  dolori  e  lutti,  palme  che  gli  stranieri  c'invidiano,  e  delle  quali  noi  non 
avemmo,  in  qualche  caso,  la  giusta  consapevolezza. 

Il  primo  tentativo  dì  un  bianco  di  traversar  la  Somalia,  spetta  ai  fra- 
telli James  che,  partendo  da  Berbera  sul  golfo  di  Aden,  ra^ungono  un 
aflSuente  dell*  Uebi  Scebeli  e  arrivano,  fra  le  ostilità  dei  selvaggi,  a  Faf,  ma 
non  più  in  là  (1876).  Passano  molti  anni  prima  che  si  verifichi  un  nuovo 
tentativo,  la  Somalia  essendo  lo  spavento  dei  viaggiatori;  ma  due  italiani, 
nel  1891,  Baudi  di  Vbsmb  e  Oandeo  (1859-99),  con  larghi  sussidi  della 
S.  G.  I.,  da  Bèrbera,  sulla  via  dei  fratelli  James,  raggiungono  l'Uebi  Sce- 
beli, e  per  Barri  e  Goddei  arrivano  fino  ad  Imi  e,  attraversando  V  Ogaden, 
ritornano  ad  Barrar.  Fu  importante  questo  viaggio  :  il  pregiudizio  fu,  almeno 
presso  di  noi,  in  parte  sfatato  ;  ma  la  fama  di  quel  viaggio  subì  inevitabile 
eclisse,  perocché  nello  stesso  tempo  aveva  luogo  la  prima  traversata  che  un 
bianco  felicemente  compiva.  Questa  è  gloria  tutta,  proprio  tutta,  nostra;  devesi 
a  Bricchetti-Bobecchi  il  viaggio  ardimentoso.  Provatosi  con  due  precedenti 
escursioni,  parte  da  Mogadiscio,  esplora  il  corso  inferiore  deirUebi  Scebeli, 
ritorna  alla  costa  ad  Obbìa,  poi  prende  rotta  a  maestro,  proprio  neirassoluta- 
mente  ignoto;  ad  un  certo  punto  piega  a  libeccio  e  raggiunge  un'altra  volta, 
più  a  monte,  l'Uebi  Scebeli  ;  da  Barri  passa  a  Faf,  fa  una  punta  verso  Barrar, 
si  rivolge  poscia  a  levante,  tocca  Milmil  e  rivede  il  golfo  di  Aden  a  Bèrbera. 
Quando  Bricohbtti-Bobbcchi  arrivò  là,  al  primo  momento  gVinglesi  non 
crederono  che  egli  fosse  partito  da  Mogadiscio  e  avesse  salvata  la  pelle,  così 
profonda  presso  gli  stranieri  era  ancora  la  superstizione  sulla  Somàlia.  In- 
tanto, su  per  giù,  rUebi  Scebeli  e  qualche  suo  affluente  erano  geograficamente 
delineati  per  opera  di  Baudi  di  Vesme,  di  Gandeo  e,  soprattutto,  di  Bobeccbi. 

E  il  Giuba  e  VOmo?  E  Vallo  corso  del  Sobat?  La  S.  G.  L,  che  inco- 
raggiò, onorò  e  diede  mezzi  materiali  a  quasi  tutti  i  nostri  esploratori,  poco 
fortunata  nella  grande  impresa  all'Africa  equinoziale,  volle  a  sé  Talto  onore 
di  risolvere  gli  ultimi  tre  grandi  problemi  di  geografia  Africana,  cioè  acqui- 
stare la  conoscenza  dei  corsi  del  Giuba,  dell'Omo  (medio  e  inferiore)  e  del 
Sobat,  e  loro  affluenti,  donde  le  due  magnifiche  esplorazioni  guidate  dal  ca- 
pitano Vittorio  Bòttego  (Parma  1860-Jellem  1897).  Prima  di  dire  due 
parole  di  queste,  crediamo  conveniente  accennare  ad  un'altra  spedinone  ita- 
liana, che  si  intreccia  con  esse  e  che  aveva  il  proposito  di  risolvere  il  pro- 
blema della  defluenza  dell'Omo. 

Eugenio  de'  Principi  Ruspoli  (Ziganosk  1866 -Gubala  Giuda  1893), 
già  esperto  nelle  esplorazioni  della  Somalia  per  avere  compiuto    un   primo 


24  ELIA    MILLOSEVICH 


viaggio  nella  parte  nord  del  paese  dei  Sondali,  nel  1893  imprende  una  se- 
conda spedizione,  dalla  quale  la  geografia  imparò  essere  VUeb  un  affluente 
del  Giuba,  le  si  rivelò  in  prima  approssimazione  il  tracciato  del  Dana,  altro 
grande  affluente  dello  stesso  fiume,  e  acquistò  il  lago  detto  di  Abbaja,  che  è  poi 
il  damò,  visto  dall'alto  dei  monti  un  po'  più  tardi  da  Vittorio  Bòttego. 
Eugenio  Ruspoli  spirava  (ucciso  da  un  elefante)  credendo  che  il  fiume  Sagan 
trovato  di  qua  dal  lago,  fosse  VOmo,  L'Omo  non  era;  TOmo  bisognava 
cercarlo  di  là  dai  monti,  a  ponente  di  200  chilometri  dal  Sagan,  che  in- 
vece muore  nel  lago  Stefania. 

Vittorio  Bòttego,  nella  sua  prima  grande  esplorazione,  si  spinge  fino  alle 
scaturigini  del  Giuba  (Ganale  Guddà)  dopo  aver  percorso  il  grosso  suo  af- 
fluente, il  Ganale  Diggò.  Giunge,  stremato  di  forze,  proprio  fin  là  dove  il 
fiume  è  un  rigagnolo,  nei  Giam-Giam  tra  i  feroci  Sidama,  con  poca  gente  e 
malconcia;  e  intanto  lo  lascia  lassù  il  suo  compagno  di  viaggio,  il  capitano 
Grixoni,  in  pessime  condizioni  di  salute  e  di  forze,  per  ritornarsene  in  Europa 
con  33  uomini  della  scorta. 

Grixoni  percorre  per  primo  il  Daua  da  nord  a  sud  e  poi  da  ovest  ad  est, 
e  accerta  la  deflnenza  di  esso  nel  Giuba,  a  monte  di  Lugh.  Egli  fu  il 
primo  bianco  che  entrò  a  Lugh,  visitato  da  poi,  per  un  intreccio  curioso 
della  seconda  spedizione  Buspoli  e  prima  e  seconda  Bòttego,  tante  volte  da 
italiani,  in  un  periodo  di  tempo  relativamente  corto. 

Il  ritorno  di  Bòttego  dai  Sidama  a  Lugh  ebbe  strazi  epici  ;  nuove  per- 
dite ebbe  a  subire  l'intrepido  esploratore,  e  più  voUe  fu  in  pericolo  di 
morir  di  fame. 

Egli  era  partito  da  Bèrbera  il  30  settembre  1892,  e  l'8  settembre  1893 
toccava  la  costa  dell'Oceano  Indiano,  a  Brava.  Sterminate  regioni  intatte,  e 
popolazioni  fino  allora  ignote  Bòttego  fece  conoscere  nelle  prime  linee  ge- 
nerali; tutto  il  tratto  fra  i  monti  Ando  e  il  Daua,  fra  la  catena,  da  cui 
emerge  il  Faches,  fino  a  Lugh,  lungo  quel  Giuba,  per  lui  oggi  noto,  in  una 
cci  corsi  affluenti  precipui  dalle  scaturigini  fino  a  Barderà. 

Né  Eugenio  Ruspoli,  né  Donaldson  Smith  avevano  raggiunto  l'Omo; 
di  esso,  nulla  di  più  sapevamo  nel  1895  di  quanto  ci  avevano  insegnato 
Cocchi  e  Borelly:  cioè  conoscevamo  il  tratto  del  corso  superiore  del  fiume. 

S.  M.  il  Re  Umberto,  il  Governo  e  la  Società  geografica  italiana  pensa- 
rono alle  spese  della  seconda  grande  spedizione.  Potendo  Lugh  divenire  una 
stazione  commerciale  (allo  scopo  di  far  affluire  alle  coste  dell'Oceano  Indiano 
e  a  punti  determinati  le  mercanzie  dell' interno),  Ugo  Perrandi,  clie  dubito 
ritalia  non  aver  mai  quanto  merita  apprezzato,  doveva  a  Brava  associarsi 
alla  spedizione,  che  di  là  sarebbe  partita,  per  poi  egli  dirigere  la  stazione  di 
Lugh.  Ugo  Ferrandi  era  bene  adatto  a  compiere,  come  compì,  la  sua  difficilis- 
sima missione,  egli  che  già  nel  1891  e  poi  nel  1892,  in  due  viaggi  da 
Brava,  aveva  esplorato  il  basso  Giuba  fino  a  Barderà. 


LE    PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE    ITALIANE  25 

Lamberto  Vannutelli,  Maurizio  Sacchi  e  Carlo  Citerni  sono  designati 
quali  compagni  di  Vittorio  Bottego. 

Il  fulmine  della  guerra,  nella  primavera  del  1895,  così  vicino  a  scop- 
piare sembra  che  il  Governo  non  prevedesse,  se  tanto  premevagli  la  istitu- 
zione della  stazione  commerciale  a  Lugh  ;  donde  il  suo  appoggio  alla  mis- 
sione e  ^incarico  affidatole.  Questo  breve  e  ftigace  accenno  valga  a  disperdere 
financo  il  rìcordo  di  insensate  accuse  e  di  insinuazioni,  alle  quali  fu  fatto 
segno  due  anni  dopo  il  C.  D.  della  S.  G.  1.,  allorché  tristi  notizie  perven- 
nero in  Italia. 

Bottego  parte  da  Brava  il  12  ottobre  1895,  lascia  a  Lugh  Ugo  Fer- 
randi  ;  dieci  giorni  prima  della  battaglia  di  Adua,  i  nostri  mandano  le  ultime 
dirette  loro  notizie  in  Italia  dai  pozzi  di  Sancurar,  La  spedizione  raggiunge 
gli  Amhara  BurgU  onora  la  tomba  di  Eugenio  Buspoli,  vede  il  damò  sco- 
perto da  lui,  e  vi  aggiunge  l'importante  ritrovamento  del  lago  Pagadè  o 
Margherita  ;  valica  le  montagne  a  ponente  del  lago,  rileva  il  monte  Uosciò, 
mal  designato  dal  grande  geodeta  Antonio  d*Àbbadie  ;  trova  nella  vallata 
VOmo  quasi  nel  punto  toccato  da  Borelly,  lo  segue  in  tutto  il  suo  corso 
verso  il  sud  e  rivela  al  mondo  che  il  tiume  misterioso  defluisce  nel  lago  Ro- 
dolfo. Indi  la  spedizione,  esplorata  la  costa  ovest  del  lago,  riprende  la  via 
del  nord  per  studiare  i  lontani  corsi  del  Sobat. 

Maurizio  Sacchi,  staccatosi  dai  compagni  per  portare  alla  costa  le  rac- 
colte scientifiche,  trova  la  morte  il  7  febbraio  1897. 

I  tre  valorosi,  Bottego,  Vannutelli  e  Citerni,  s'avanzano  nelle  stermi- 
nate regioni  paludose  e  pianeggianti  a  ponente  del  Gaffa,  accertano  affluenti 
importanti  del  Sobat  e  arrivano  a  Jellem,  in  influenza  Àmarìca,  il  16 
marzo  1897. 

Quale  ecatombe  sia  là  avvenuta  tutti  sanno;  appena  appena,  dopo  se- 
vera prigionia,  si  salvarono  Vannutelli  e  Citerni;  Vittorio  Bottego  pugnando 
moriva:  ma  morendo,  si  sottrasse  da  morte! 

Possiamo  ora  continuare  anche  per  l'Africa  il  metodo  statistico  in  ordine 
di  tempo,  che  abbiamo  seguito  nel  rìcordo  delle  pììi  notevoli  esplorazioni 
nelle  altre  parti  del  mondo. 

II  lettore  adesso  è  istruito  dell'opera  de'  nostri,  e  l'accenno  può  correr 
rapido  senza  timore,  anche  parlando    delle    esplorazioni  nostre   più   insigni. 

Vogliamo  rifarci  un  momento  più  indietro  del  memorando  nostro  1861. 

71.  Sapkto  Giuseppe  e  Stella,  missionari.  Esplorano  negli  anni  1851  e 
seguenti  il  paese  de'  Mensa^  dei  Bogos  e  degli  Habab^  che  vengono  messi  in 
luce  per  la  prima  volta,  perchè  tutte  le  esplorazioni  da  Massaua  alI'Abis- 
sinia,  nella  prima  metà  del  secolo  XIX,  si  fecero  da  sud.  I  due  missionari 
toccarono  nelle  loro  importanti  esplorazioni  proprio  buona  parte  di  quelle 
terre,  che  oggi  formano  la  nostra  Colonia  Eritrea  i^"'). 


26  ELIA    MILLOSEVICH 


72.  Beltrame  Giovanni  (1854  e  seguenti).  Questo  celebre  missionario 
e  lìngìiìstd,  (Grammatica  della  lingua  Denka^  Firenze,  1870)  fece  importanti 
escursioni  tra  ì  Beni  Sciangol  e  a  Gondokoro  ;  fra  gli  Scillnk  e  i  Denka.  La 
missione  iniziata  da  Chartnm  a  ritroso  del  fiume  (1859-60),  è  importante 
(raccolte  etnografiche  in  Museo  preistorico  a  Roma),  benché  non  abbia  rag- 
giunto le  basse  latitudini  toccate  da  Miani  e  da  De  Bono.  G.  Beltrame  era 
nato  a  Taleggio  nel  1824,  e  morì  a  Verona  nel  1906  ('*). 

78.  Angelo  Castelboloonesi,  di  Ferrara.  Navigando  a  ritroso  del  Nilo, 
esplora  (1856-57)  il  fiume  delle  Gazzelle  in  barca,  e  poi  fa  una  escursione 
interna  fra  le  popolazioni  dei  Bek,   degli  Adiak  e  dei  Giur  (Danka)  C^). 

74.  GoaiiELMO  Massaja  (Piova  nelV Astigiano  1809;  S.  Giorgio  in 
Cremano  1889).  Questo  eminente  missionario  africano,  che  mori  cardinale 
di  S.  M.  C,  dimorò,  con  una  breve  interruzione,  circa  35  anni  in  Africa. 
La  sua  opera,  /  miei  trentacinque  anni  nell'Alta  Miopia,  è  ricchissima  di 
preziose  informazioni  geografiche,  etnografiche  e  storiche.  Sarà  sempre  con- 
sultata piti  ancora  nell'avvenire,  perchè  precede  il  periodo  del  contatto  im- 
mediato e  continuo  dell* Abissi nia  col  mondo  moderno  europeo.  Fondò  missioni 
cattoliche  specialmente  nello  Scioa,  nel  Gimma  e  fino  nel  Gaffa,  ai  tempi  dei 
regnuncoli  dispotici  chiusi  da  palizzate,  al  sud  dello  Scioa. 

Fu  rincitatore  e  il  consigliere  presso  la  S.  G.  I.  nella  esplorazione  verso 
l'Africa  Equatoriale;  e  il  capo  di  quella,  Orazio  Antinori,  mise  in  luce  i 
grandi  benefici  alla  spedizione  prodigati  dairillustre  prelato. 

Fu  il  primo  europeo  che  neirottobre  del  1858  giungesse  a  Bonga  nel 
Gaffa.  Maestio  in  amarico  e  oromonico,  pubblicò  a  Parigi  le  sue  Lections 
grammaticales  ecc.  (*•). 

75.  Orazio  Antinori,  già  ricordato  di  sopra  e  soprattutto  nello  sguardo 
storico  precedente,  fino  dal  1859  da  Chartum  si  reca  a  Sennar,  poi  nel  Ka- 
labat  e  alle  montagne  abissine.  Nel  1860,  con  Guglielmo  Lejean  visita  il 
Cordofan  e  naviga  il  fiume  delle  Gazzelle.  I  viaggi  del  celebre  naturalista 
avevano  obietto  specialmente  ornitologico,  e  le  collezioni  preziose  da  lui  re- 
cate in  Italia  adornano  i  nostri  Musei;  ma  le  quattro  esplorazioni,  fra  il  1859 
e  il  1861,  ebbero  anche  notevole  importanza  geografica.  Dell'opera  di  luì  in 
tempi  posteriori  diremo  in  seguito  (^0- 

76.  Giambattista  Scala.  La  costa  nella  Guinea,  già  visitata  verso  il 
1885  dairitaliano  Tito  Omboni  (  Viaggio  nell'Africa  Occidentale^  Milano, 
Givelli,  1835),  è  descritta  diffusamente  dal  genovese  G.  B.  Scala  con  obbietto 
commerciale  ed  umanitario,  facendo  peraltro  conoscere  per  primo  quel  tratto 
che  per  180  chilometri  in  linea  retta  va  da  Abbeokuta  all'Oceano  (1852- 
1859)  ("). 

77.  Giovanni  Miani.  In  ordine  di  tempo  devesi  qui  ricordare  il  primo 
memorabile  viaggio  dell'illustre  Rodigino,  del  quale  facemmo  cenno  nello 
sguardo  storico. 


LE   PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE    ITALIANE  27 

È  il  viaggio  fatto  col  maltese  De  Bono  nel  1859-60.  Si  può  leggere 
eoa  interesse  qnanto  ne  scrive  Gaetano  Branca  nel  suo  libro  {St  viagg. 
itaL). 

Il  celebre  «  albero  di  Miani  «  e  la  stazione  di  De  Bono  furono  i  primi 
indizi  di  mano  europea  che  preseutaronsi  più  tardi  a  Speke,  a  Orant  e  a 
Baker.  Il  «  Miani  's  Baum  «  di  Petermann  era  in  latitudine  -)~  S^32',  sulla 
sponda  sinistra  deirUn-y-Huè,  affluente  del  Nilo.  Sovente  leggesi  detto  posto 
a  +  2**30'  (Hugues,  C.  S.  E.  G.,  226)  ;  ma  vi  è  errore  di  un  grado.  Notevo- 
lissima è  la  raccolta  etnografica  africana  di  G.  Miani  in  Museo  Civico  Correr 
a  Venezia,  ordinata  da  Vincenzo  Lazari  poco  prima  dell'immatura  morte  di 
quel  grande  numismatico  {^%  ad  un  tempo  traduttore  del  Cosmos  di  Ales- 
sandro Humboldt. 

78.  BoRGHERO.  Un  contributo  importante  allo  studio  del  delta  del 
Ntger  e  della  costa  degli  Schiavi  devesi  al  missionario  Borohero,  che  vi 
dimorò  quattro  anni,  fra  il  1862  e  il  1867.  Si  legga  la  lettera  di  lui  (1866), 
diretta  al  Presidente  della  S.  G.  di  Parigi  (^^). 

79.  D*Ori.  Un  viaggio,  fra  il  1860  e  il  1866,  in  parecchi  distretti,  al- 
lora poco  conosciuti,  del  Nilo  Azzurro,  specialmente  nel  paese  di  Taka  {^^). 

80.  Carlo  Piaggia.  Un  ardito  e  straordinario  esploratore,  di  cui  fa- 
cemmo cenno  nello  sguardo  storico  sull'Africa.  La  sorte  non  gli  permise  la 
coltura  ;  la  natura  diedegli  le  grandi  e  rare  qualità  dei  pionieri  nelle  esplo- 
razioni geografiche,  un  campo,  che  neiravvenire  sarà  tema  di  collegio.  Leggi 
su  lui  G.  Branca,  St.  viagg.  itaL,  410.  Già  compagno  di  Antinori  nel 
viaggio  sopra  ricordato,  compie  nel  periodo  1863-65  quell'ardita  penetra- 
zione nei  Niam-Niam  e  spingesi  fino  al  bacino  dell'Huelle  (affi.  Congo),  se 
pur  non  si  spinse  più  a  sud,  certamente  superando  il  parallelo  nord  del  lago 
Alberto,  ma  ad  W  di  esso,  avendo  raccolto  notizie,  in  verità  assai  confuse, 
e  di  un  lago  (Alberto?)  e  di  un  gran  fiume  collegato  con  quello  a  quattro 
giornate  da  Kifa,  dove  egli  era  giunto.  Non  è  facile  orientarsi  sul  percorso 
del  Piaggia  (•*). 

81.  Giuseppe  Forni  (1865-69).  Soggiornò  per  ragioni  industriali  in 
Egitto,  all'epoca  dei  lavori  del  taglio  dell'istmo  di  Suez;  esplorò,  con  qualche 
beneficio  alla  scienza,  il  tratto  fra  Keneh  ed  Assuan  sul  Nilo  e  il  mar 
Rosso  (»■'). 

82.  Egidio  Osio.  In  Abissinia,  al  seguito  dell'esercito  inglese  (1868), 
per  incarico  del  Governo  (••). 

83.  Orazio  Antinorl  Odoardo  Bbccari,  Arturo  Issbl.  Nell'occa- 
sione che  il  grande  naturalista  Antinori,  per  incarico  del  Governo,  assi- 
steva nel  1869  alla  inaugurazione  del  Canale  di  Snez,  egli,  associatosi  ad 
0.  Beccari  e  ad  A.  Issel  ai  quali  si  aggregò  anche  G.  Sapete,  va  da  Aden 
alla  baja  di  Assab,  da  Assab  alle  isole  Dahlak,  e,  per  Massaua,  spingesi  a 
Kerea  (Bogos).  Poi  con  Carlo  Piaggia  arriva  (1870-72)  fino  a  Cassala  (*•). 


28  ELIA    MILLOSEVICH 


84.  Giovanni  Miani.  In  questo  tempo  (1871-72)  ha  luogo  rarditissìma 
e  sfortunata  seconda  grande  esplorazione  del  nostro  viaggiatore,  della  quale 
facemmo  cenno  nel  ricordo  storico. 

Parte  da  Kartum  il  15  maggio  1871;  dopo  inaudite  sciagure,  valicato 
il  Gadda,  arriva  a  MonbuttU  nel  maggio  del  1872.  Si  spinge  fino  al  Sulta- 
nato di  Bakangoi^  senza  poter,  come  voleva,  inoltrarsi  verso  Tequatore,  e 
muore  d'inedia  nel  novembre  1872  nella  residenza  di  un  piccolo  sultano 
detto  Numa.  Come  già  dicemmo,  i  meriti  di  lui  come  coraggioso  esplora- 
tore vennero  riconosciuti  dagli  stranieri.  Monumento  a  Rovigo,  auspice  la 
S.  G.  I.  (^•). 

85.  Carlo  Piaggia.  Dopo  il  viaggio  fino  a  Cassala  con  Àntinori  (cfr.  83), 
Tardito  esploratore  presta  Topera  sua  a  viaggiatori  stranieri;  purtroppo  non 
ne  ebbe  che  a  pentirsi.  Tu  questa  circostanza  (1873-75)  visita  molti  distretti 
dell'Abissinia  e  naviga  il  lago  Tsana,  dal  quale  trae  alimento  il  Nilo  Az- 
zurro (®').  Forse  non  è  da  dimenticare  qua  il  tentativo  di  un  viaggio  fatto 
dall'ing.  Conte  Ferdinando  dal  Verme  nel  1873,  a  scopo  dì  esplorazione,  nel- 
l'Africa  orientale,  tentativo  fatalmente  mancato,  perchè  le  febbri  colsero  il 
viaggiatore  a  Bagamojo  appena  lasciato  Zanzibar,  dove  morì  due  mesi  dopo 
iniziata  l'esplorazione  (luglio  1873). 

86.  Orazio  Antenori,  Oreste  Baratibri,  G.  Bellucci,  De  Gal- 
VAGNO,  A.  Vanzetti,  G.  B.  Lamberth,  G.  Ferrari,  L.  Tuminello.  Nel 
1875,  mentre  la  S.  G.  I.  preparava  la  grande  spedizione  all'Africa  Equato- 
riale, organizzava  pure  una  piccola  spedizione  negli  Sciott  tunisini  per  accer- 
tare se,  con  lo  scavo  di  un  canale  dal  golfo  di  Gabes  fino  al  primo  Sciott 
nell'interno,  si  potesse  utilmente  inondare  parte  del  deserto  e  guadagnarvi  una 
facile  via  d'accesso  e  terreni  per  le  intense  colture  tropicali.  Determinazione 
dell'altitudine  dello  Sciott  El  Fegiei;  i  risultati  furono  tali  da  far  ritenere 
che  il  problema  posto  non  era  attuabile  (^•). 

87.  Romolo  Gessi.  Cfr.  il  riassunto  storico. 

In  una  conferenza  memoranda  alla  S.  G.  L,  l'il  marzo  1877,  l'esplo- 
ratore rendeva  conto  del  suo  classico  viaggio  (1876),  del  periplo  del  lago  Al- 
berto, missione  compiuta  per  ordine  del  colonnello  Gordon.  Ordunque,  la  prima 
circum -navigazione  e  il  primo  rilievo  del  lago  Alberto,  toccato  la  prima  volta 
da  Baker,  spettano  all'italiano  Romolo  Gessi,  il  quale  accertò  essere  il  lago 
separato  dall'Alberto  Edoardo  e  ben  più  piccolo  di  quanto  credeva  Samuele 
Baker.  Difatti  il  lago,  lungo  82  km.  e  largo  40,  finisce  al  sud  in  lat.  -[-  P12' 
(rilev.  Mason-Bey  1877)  (»3). 

88.  Carlo  Piaggia.  Il  sesto  viaggio  di  Piaggia  sul  Nilo  Bianco  nel 
1876  si  collega  coll'esplorazione  precedente  di  Gessi,  poiché,  d'ordine  di 
Gordon,  Piaggia  compie  una  parte  dell'esplorazione  del  lago  Albei-to  con 
Gessi,  ma  da  Magungo  sull'Alberto  risale  il  fiume  Anfina,  e  si  spinge  fino 
a  Moroli\  esplorazione  del  lago  da  lui  detto  Cappechi  (^^). 


LK    PRINCIPALI    ESPLORAZIONI    GEOGRAFICHE    ITALIANE  29 

89.  Credo  che  un  ricordo  dell'opera  di  Pietro  Sarvognan  di  Brazzà 
debba  qui  trovai*  posto,  aucoicliè  Tillustre  viaggiatore  sia  stato  naturalizzato 
francese.  Cfr.  riassunto  storico.  Dopo  molte  esplorazioni  nell'Africa  occidentale, 
ai  servizi  di  Francia,  fu  nel  1876  a  capo  della  grande  esplorazione  del- 
VOgou-e  tino  agli  Aduma.  Baggiunse  Y Alima,  affluente  di  destra  del  Congo; 
ma  per  le  ostilità  degli  indigeni  non  potè*  toccare  il  gran  fiume.  Ritor- 
nato in  Europa,  consapevole  delle  grandi  scoperte  di  Stanley,  il  grande  rive- 
latore del  corso  del  Congo,  con  mezzi  possenti  riprese  nel  1879  le  ricerche 
interrotte,  vedendo  nel T Alima  un  mezzo  di  collegamento  fra  l'Atlantico  e  il 
medio  Congo.  Sono  noti  i  classici  risultamenti  di  questo  viaggio,  la  fondazione 
della  stazione  di  Franceville,  Tesplorazione  di  varii  affluenti  del  Congo,  che 
raggiunse  a  Baluba.  Vicino  a  Stanley  Pool  viene  fondata  la  seconda  stazione 
(Brazzaville)  nel  1880.  Le  esplorazioni  posteriori  lungo  il  Congo,  di  nuovo 
uélV  Ogou-e:  la  fondazione  della  stazione  dell'alto  Alima,  ecc.  ecc.  ecc.,  costi- 
tuiscono un  insieme  così  glorioso,  da  collocare  Brazzà  di  Sarvognan  al  posto 
dei  più  grandi  esploratori  dell'Africa  occidentale.  Nominato  nel  1883  «  com- 
missario della  Repubblica  francese  nell'ovest  africano  « ,  dedicò  tutta  la  sua 
energia  al  Congo,  e,  stabilitosi  a  Kinshasa  sul  fiume,  estese  a  poco  a  poco 
il  dominio  francese  nel  bacino  del  gran  fiume.  Conferenza  di  Berlino  (1885); 
Stato  indipendente  del  Congo,  colonie  francesi  (Congo  francese  e  Gabon), 
protettorato  del  Belgio,  recente  annessione,  ecc.  ecc.  ecc.  (^^). 

90.  Orazio  Antinori  e  la  spedizione  italiana,  per  cura  della  S.  G.  I., 
nell'Africa  Equatoriale  (1876-1882). 

Il  grande  problema,  affidato  dalla  S.  G.  I.  ai  suoi  esploratori,  era  il 
seguente:  <«  provenendo  da  Greco,  cioè  attravei-sando  lEtiopia,  esplorare  le 
regioni  incognite  fra  il  declivio  meridionale  etiopico  e  i  già  noti  laghi  equa- 
toriali Vittoria,  Alberto  e  Alberto  Edoardo  » . 

Se  la  sorte  avesse  favorito  la  spedizione,  i  laghi  Rodolfo  e  Stefania 
sarebbero  diversamente  nominati.  Assieme  col  comandante  (0.  A.)  partirono 
Giovanni  Chiarini  (Chieti,  1849  —  Cialla,  1879)  e  Sebastiano  Martini.  Questo 
ultimo,  presto  ritornò  in  Italia  per  rifornire  la  spedizione  che  già  gravi  perdite 
aveva  subite,  e  ripartì  per  lo  Scioa  con  Antonio  C^^^Ae  (Pesaro,  1849  —  La- 
folè,  189(5).  Le  vicende  della  così  detta  seconda  spedizione  italiana  nell'Africa 
Equatoriale,  che  si  fonde  colla  prima,  sono  narrate  nell'opera  pubblicata  a  spese 
della  S.  G.  I.,  Da  Zeila  alle  frontiere  del  Gaffa.  Traversìe,  pericoli,  disgrazie, 
prigionìa,  tutto  parve  cooperare  perchè  l'alto  scopo  non  venisse  raggiunto!  Chia- 
rini muore  di  stenti  e  di  inedia,  prigioniero  della  regina  di  Ghera,  nelle 
braccia  di  Cocchi,  a  Cialla,  il  5  ottobre  1879.  Cecchi  resta  due  lunghi  anni 
captivo  di  quella  regina,  e  Gustavo  Bianchi,  solo  nel  luglio  del  1880  ne  ot- 
tiene la  liberazione  dal  re  del  Goggiam;  il  ti  marzo  1881  Cecchi  rientra  nello 
Scioa,  e  a  Let  Marefià  rivede  Antinori.  Tuttavia  la  scienza,  e  nelle  raccolte 
etnografiche  (Museo  preistorico  a  Roma)  e  nelle  raccolte  zoologiche,  dovute 


30  ELIA    MILLOSBVICH 


specialmente  ad  AntÌDori,  e  nei  rilievi  di  Cecchi  e  Chiarini  e  nella  lingua 
Oromica  sulle  note  di  Masssya,  Chiarini  e  Leon  des  Avanchers,  ben  ne 
avvantaggiò.  Il  fiume  Ghibiè  percorsero  e  transitarono  Cecchi  e  Chiarini 
prima  di  raggiungere  i  piccoli  regni  di  Ennaria,  di  Gomma  e  di  Ghera,  intoino 
ai  quali  abbiamo  imparato  molte  cose.  Il  Ghibiè^  come  si  sa,  è  Y  Omoy  che 
tanto  più  tardi  Vittorio  Bòttego  obbligava  a  sfociare  nel  lago  Rodolfo  (*^). 

91.  Giulio  Adamoli.  Un  viaggio  in  Marocco,  con  proposito  di  studiare 
i  vantaggi  di  una  fattoria  commerciale  in  faccia  a  Lanzarotta  e  Forteven- 
tura  delle  Canarie  (*''). 

92.  Renzo  Manzoni.  Furono  a  suo  luogo  ricordati  i  tre  via^  successivi 
del  Manzoni  (1877-1880),  dedicati  alla  esplorazione  dello  Jemen  (cfr.  n.  49). 
Un  tentativo  di  esplorazione  della  Somalia  egli  fa  tra  il  secondo  e  il  terzo 
viaggio  [vedi,  per  le  fonti,  (*^)]. 

93.  G.  Messbdaolia,  nel  Darfur  (1878-1883)  (*»). 

94.  Romolo  Gessi  e  Pellegrino  Matteucci  (Bologna,  1850  —  Londra, 
1881).  Quando  Romolo  Gessi,  dopo  il  periplo  del  lago  Alberto  e  il  suo  ri- 
torno dall'Europa  a  Eartum,  voleva  dar  mano  nel  Kaffa  a  Chiarini  e  a 
Cecchi,  Pellegrino  Matteucci  vi  si  associò. 

Da  Eartuni  passano  a  Senaar  sul  Nilo  Azzurro,  e  si  spingono  fino  a 
Fadasiy  in  regioni  allora  sconosciute  (1878).  Non  possono  oltrepassare  lo  Jabos, 
nò  lisolvere  la  questione  se  esso  defluisca  nel  Sobat  o,  come  oggi  si  sa,  nel 
Nilo  Azzurro  (•'). 

[Colgo  questa  occasione  per  accennare  alle  Raccolte  etnografiche  in 
Museo  preistorico  a  Roma,  dovute  alle  cure  di  Romolo  Gessi]. 

95.  Prima  spedizione  commerciale  in  Abissinia  (1879).  Leggere  il 
libro  di  Pippo  Tigoni  :  Abissinia.  La  spedizione  è  di  iniziativa  della  Società 
milanese  di  esplorazione  commerciale  in  Africa.  Vi  prendono  parte:  Pippo 
Vigoni,  Tagliabue,  Gustavo  Bianchi,  Pellegrino  Matteucci  (dopo  il  suo  viaggio 
con  Gessi),  Legnani  e  Ferrari.  Da  Massaua,  per  il  Tigre  e  il  Goggian,  oltre 
Baso,  fino  a  Monoorer  (Nilo  Azzurro).  Matteucci  e  Bianchi  fanno  importanti 
ricerche  naturalistiche  e  geologiche.  Ferrari,  Legnani  e  Yigoni  al  lago 
Tzana  (*••). 

96.  Giuseppe  Narbtti  (1879).  Viaggio  da  Massaua  a  Debra-Tabor, 
presso  re  Giovanni.  Descrizione  di  Gondar  (^^'). 

97.  Giuseppe  Maria  Giulietti,  Martini-Bernardi,  Pietro  Anto- 
NELLI.  Nel  1879,  da  Zeila,  cercano  i  tre  esploratori  di  raggiungere  lo  Scioa: 
ma  spogliati  di  tutto  dagli  indigeni,  sono  obbligati  al  ritorno.  Poco  dopo, 
Giulietti  compie  con  esito  felice  la  traversata  da  Zeila  all'Harrar  (Relazione 
scientifica,  per  quel  tempo,  importante). 

Nel  1881  Giulietti  imprese  una  esplorazione  da  Assab  al  fiume  Guali-ma 
fra  gli  Assabo-Galla.  Assalito  a  tradimento  dai  Danakil,  vi  periva  insieme 
con  G.  Biglieri  e  10  marinai  ieìVMlore  Fieramosca  (*••). 


LE    PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   GKOGRAFICHE    ITALIANE  ol 

98.  Pellegrino  Mattbocci,  Alfonso  Maria  Massari  e  don  Gio- 
vanni Borghese.  Una  celebre  traversata  deirAfrica,  primi  fra  gli  europei, 
compiono  i  due  esploratori  Pellegrino  Matteucci  e  Alfonso  Maria  Massari,  da 
Saakin,  nel  Mar  Bosso,  fino  all'Atlantico,  al  golfo  di  Guinea.  Vi  si  associa 
don  Gio.  Borghese,  che  concorse  in  gran  parte  alle  spese  di  viaggio  e  ac- 
compagnò gli  esploratori  fino  alle  poi*te  dell'  Uadai.  La  spedizione  ebbe  sus- 
sidi materiali  e  morali  dal  Governo  e  dalla  Soc.  Geogr.  It.  (1880-1881). 

Da  Suakin,  per  Eartum,  si  diressero  al  Gordofan  (Euca),  poi  a  Eano  nel 
Socoto,  d  onde  raggiunsero  gli  stabilimenti  inglesi  del  Niger.  Pellegrino  Mat- 
teucci moriva  appena  giunto  di  ritorno  a  Londra  (8  agosto  1881).  Questa 
traversata  ha  destato  molta  ammirazione  fra  gli  stranieri  (^*^). 

99.  Gaetano  Casati  (1880-1889).  Abbiamo  fatto  il  nome  di  lui  al- 
lorché parlammo  del  celebre  viaggio  di  Stanley.  Le  esplorazioni  del  Casati 
in  Africa  durarono  quasi  un  decennio,  compresa  la  ben  nota  prigionia  con 
Emin  (Edoardo  Schnitzer)  e  con  Jùncker. 

Egli  esplorò  il  bacino  dell'Alto  Nilo,  la  parte  NE  del  bacino  del  Congo, 
e  poi,  con  Stanley,  dal  lago  Alberto  all'Oceano  Indiano. 

La  esplorazione  importante  e  personale  si  svolse  dall'ottobre  1880  al 
gennaio  1885.  Ma  anche  durante  l'isolamento  dal  mondo,  da  Ladò  fece  im- 
portanti ricerche  riguardanti  i  corsi  d'acqua  spettanti  al  lago  Alberto  e  al 
lago  Alberto  Edoardo,  e  studiò  come  potè*  il  gruppo  celebre  del  Buvenzori, 
che  prima  di  Stanley  vide  e  sommariamente  riconobbe. 

Gaetano  Casati  deve  essere  considerato  come  uno  dei  più  notevoli  pionieri 
deirAfrica,  allora  semi-ignorata;  era  nato  a  Lesmo,  in  Brianza,  nel  1838; 
morì  a  Monticello  nel  1902  (^•^). 

100.  Manfredo  Camperio,  Mamoli,  Pastore  ed  Haimann.  Bileva* 
menti  importanti  in  Cirenaica  (1881). 

[M.  Camperio:  n.  Milano  1826,  m.  Napoli  1899].  Leggere  la  biografia 
di  questo  ragguardevole  uomo  in  Boll.  Soc.  Geogr.  It.  del  febbraio  1900  {^^% 

101.  Daniele  Comboni  [n.  1831,  m.  1881].  Un  missionario  di  grandi 
meriti,  nella  Nubia  superiore.  Esplora  nel  1881  il  Dar  Nuba,  a  SW  del  Cor- 
dofan  ("«). 

102.  Eraldo  Dabbene.  Nel  1882  questo  naturalista  italiano  esplora 
i  paesi  dell'alto  Nilo  fino  a  SE  di  Lado  (raccolte  entomologiche)  {^^'^). 

103.  Luigi  Pknnazzi,  avv.  Gugl.  Godio  e  dott.  Magrbttl  Un  viaggio 
nel  1882-83  da  Snakin  a  Cassala  e  Metemma  (108). 

104.  Missione  italiana  governativa  Branchi  (1883-84). 
[Giovanni  Branchi,  nostro  console,  quando  era  in  Australia,  dimorò  tre  mesi 
alle  isole  Figi,  Di  lui  possediamo  un  libro  (Le  Mounier,  1878)  col  titolo 
Tre  mesi  alle  isole  dei  cannibali  nell'arcipelago  delle  Figi.  Poi  in  Nuova 
Antologia,  1873,  Una  escursione  in  Tasmania.  Importante  collezione  etno- 
grafica in  Museo  preistorico  a  Roma].  Questa  nota   abbiamo  qua  collocato 


32  ELIA    MILLOSEVICH 


per  presentare  al  lettore  il  capo  della  missione  italiana  governativa  a  re 
Giovanni. 

Accordi  conamerciali  fra  Giovanni  re  d'Abissinia  e  Tltalia.  Compongono 
la  missione,  oltre  al  capo,  Gustavo  Bianchi,  Diana,  Monari,  e  Salimbeni. 
A  quest'epoca  l'Italia,  già  in  possesso  della  baja  d*Assab,  sente  il  bisogno  di 
conoscere   una  buona  vìa  di  comunicazione  fra  TAbissinia  orientale  e  la  baja. 

Dalle  esplorazioni  di  Gustavo  Bianchi  impariamo  i  caratteri  di  pendenza 
generale  dellacrocoro  etiopico  verso  levante,  e  vengono  definiti  parecchi  corsi 
d'acqua. 

Il  7-8  ottobre  1884  Gustavo  Bianchi,  assalito  dai  Dankali,  periva  vit- 
tima della  scienza,  insieme  con  due  suoi  fidi  compagni  (Romagnoli  e  Blandino). 
Nel  1886,  A.  Gagliardi,  da  Beilul,  penetra  nei  Danakil  e  giunge  al  luogo 
dell'eccidio  di  Gustavo  Bianchi  (^•*). 

105.  Pietro  Antonelli  [n.  1854,  m.  1900),  già  ricordato  per  il  suo 
viaggio  con  Giulietti  e  Martini  nel  1879,  e  ben  noto  per  la  sua  azione  in 
favore  di  Cocchi  quando  questi  era  prigione  a  Gialla,  imprese  un  importante 
viaggio  nel  1882-83  da  Assab  ad  Ancober  per  una  nuova  via  nell'Aussa.  Sono 
ben  conosciute  le  funzioni  politiche  dal  conte  Antonelli  esercitate  presso  il 
Negus,  col  quale  ebbe  gmnde  dimestichezza;  l'azione  di  lui  presso  Timperatore 
dell'Etiopia  fu  assai  discussa  nel  sonso  se  sia  stata  benefica  o  no  all'Italia. 
Questo  non  è  il  luogo  di  esaminare  la  delicatissima  questione  ;  certamente  il 
conte  Antonelli  operò  ispirato  al  piti  alto  amore  pel  proprio  paese  (^^^). 

106.  Leopoldo  Traversi,  insieme  con  Pietro  Antonelli  (1886),  in  una 
ricognizione  militare  contro  gli  Arussi  Galla,  determina  l'esatta  posizione  del 
lago  Zuai,  che  Stecker  e  Hénon  avevano  visto  qualche  anno  prima  (^^0- 

107.  Pietro  Sacconi.  È  ucciso  dai  Somali  il  12  agosto  1883,  mentre 
da  Harrar  era  giunto  ad  un  affluente  dell'Uebi  Scebeli  nell'alto  suo  corso; 
una  delle  tante  vittime  nelle  esplorazioni  della  Somalia!  ('**). 

108.  Augusto  Pranzoi.  Nel  1883  proponesi  di  andare  dall' Abissiuia 
ad  AfalLò  (missione  cattolica  presso  Gialla  nel  regno  di  Ghera),  col  pietoso 
proposito  di  esumare  i  resti  dello  sfortunato  e  benemerito  Giovanni  Chiarini 
(cfr.  n.  90).  Riesce  nell'impresa  ardua,  ed  esuma  il  cadavere  il  26  settembre 
1883. 

A  la  città  di  Ghieti,  che  già  aveva  eretto  un  monumento  a  Chiarini, 
Augusto  Pranzoi  consegna  le  preziose  reliquie  ("^). 

109.  Leopoldo  Traversi,  prima  dell'esplorazione  al  lago  Zuài  col 
conte  Antonelli,  va  da  Entotto,  allora  residenza  dell'imperatore  dell'Etiopia, 
al  bacino  sorgentifero  dell' Hauash  (1885).  Lettera  di  L.  T.  al  conte  A.  Bou- 
turline,  che  fu  suo  compagno  di  viaggio,  credo  fino  allo  Scioa  (*^^). 

110.  Vincenzo  Ragazzi,  direttore  della  stazione,  allora  italiana,  di 
Let  Marefià,  dà  notizie  mediche  raccolte  nel  viaggio  da  Assab  all'Abissinia 
(1885)  (^^'). 


LB   PRINCIPALI   ESPLORAZIONI   OBOORAFIGHE   ITALIANB  33 

111.  Alfonso  Maria  Massari,  già  ben  noto  per  la  traversata  dell'Africa 
da  Est  ad  Ovest  (v.  n.  98),  nel  novembre  1884,  da  Léopoldville  (Stanley  Pool) 
si  diresse  nell'alto  Congo  e  risalì  il  M'he  fino  all'equatore  (Licuala)  (^^'). 

112.  L.  Gapucci  e  L.  Cicognani.  Un  viaggio  da  Assab  all'Àussa;  questo 
ultimo,  nei  Bancali  (1885-86)  ('''). 

118.  Weitzbcker  Giacomo*  missionario  nel  Basuto-Land.  Suoi  viaggi 
nell'Africa  Australe  (terreni   diamantiferi  del  West-Orìqua-Land,  ecc.  ecc.). 

Sotto  gli  auspici!  della  S.  G.  L  Perìodo  1885-88.  Questo  missionario  val- 
dese fornì  al  Museo  preistorico  di  Boma  collezioni  etnografiche  riguardanti 
i  Boscimani,  i  Zulà,  i  Basuti  e  gli  indigeni  dello  Zambesi  ('^^). 

114.  L.  Bricchetti-Bobecchi  (1886).  Il  primo  viaggio  di  questo  for- 
tunato e  valoroso  esploratore,  che  più  tardi  doveva  essere  primo  fra  i  bianchi 
ad  attraversare  la  temuta  Somalia.  Egli  fa  un'escursione  attraverso  il  deserto 
Libico,  all'oasi  di  Siuva  ;  ne  diede  notizia  in  una  Conferenza  alla  Società  Geo- 
grafica Italiana  (^^*). 

115.  Vincenzo  Ragazzi,  nel  suo  viaggio  a  Let  Marefià,  dimostra  che  il 
Do  fané  non  è  un  vulcano  attivo  (1886),  contro  l'opinione  generale  sancita 
dalle  indicazioni  di  Roberto  d'Héricourt  (1840)  ('*<>). 

116.  La  Società  di  Esplorazioni  commerciali  in  Milano  (1886),  col  con- 
corso della  S.  G.  I.  e  della  Società  Africana  di  Napoli,  organizza  una  spe- 
dizione con  iscopo  commerciale  e  destinata  all'Harrar.  Ne  fanno  pai'te:  il 
col.  G.  Porro  ed  i  signori  P.  Bianchi,  Cocastelli,  Gottardi,  Licata,  Romagnoli 
e  Zannini.  • 

L'emiro  di  Barrar,  assalendo  il  posto  militare  di  Gildessa  (Gialdessa), 
fece  trucidare  1*  intera  spedizione,  che  là  era  giunta  o  prossima  a  giungere  ; 
altro  grave  lutto  italiano!  (*•*)• 

117.  Cesare  Nerazzini,  medico  della  R.  Marina,  in  missione  al  Negus 
Neghest  (Giovanni)  col  cap.  V.  Ferrari,  da  Massaua  a  NE  del  lago  Tana 
(Ambaciarà).  Nel  ritorno,  per  una  via  non  mai  percorsa  da  prima,  giungeva 
a  Macallè  ("«). 

118.  Giacomo  Bove,  già  ricordato  con  alto  onore  ai  nn.  6,  21  e  24, 
insieme  col  cap.  G.  Fabrello,  imprende  una  missione  con  iscopo  commer- 
ciale ad  eventuale  interesse  italiano,  nel  Congo. 

Esame  del  basso  Congo  e  delle  fattorie  straniere  (1885-86). 

L'esimio  esploratore  mancava  tragicamente  ai  vivi  nel  1887.  Era  nato 
a  Maranzana  d'Acqui  nel  1852;  ebbe  recentemente  onorata  tomba  in 
Acqui  ('«^). 

119.  Vincenzo  Ragazzi,  nel  1886-87,  continuando  le  sue  esplorazioni, 
determina  la  linea  di  displuvio  tra  affluenti  occidentali  del  Webi  superiore 
e  l'Hauas  (»«^). 

120.  E.  Cortese  (1887).  L'unica  esplorazione  italiana  nel  Madagascar 
che  io  conosca,  è  quella  dell'  ing.  E.  Cortese.  Nozioni  generali  sulla  grande 

Elia  Millosbvicu.  —  L«  principali  etplortuiom,  eee.  8 


84  BUA    MILLOSEVICH 


isola,  siilla  Boa  struttura  geologica;  antropografia  dell'isola,  piante,  animali, 
colonizzazione  europea,  viaggi  neirisola.  Esplorazione  del  distretto  fluviale 
del  Betsiboka^  e  deir/éoAa,  suo  principale  affluente  (''^). 

121.  Leopoldo  Traversi,  essendo  medico  dell*  imperatore  dell'Etiopia, 
ottenne  di  poter  pai'tire  per  una  escursione  nel  Oimma  e  quindi  all'alto  corso 
deirOmo  (1887-88).  Il  Traversi  non  ebbe  mezzo  di  poter  sapere  giusta- 
mente del  corso  medio  del  fiume,  che  Giulio  Borelly  toccò  Tanno  dopo,  e  del 
quale  divinò  la  defluenza,  identificata  pib  tardi  assai  da  Vittorio  Bottego  (^*'). 

122.  L.  Bobbgghi-Brigchetti.  Cfr.  n.  114.  Secondo  suo  viaggio  in 
Africa  (1888);  da  Zeila  alTHanar;  lilievi  alla  bussola,  distanze  a  passo  di 
cammello,  raccolta  di  animali  e  di  piante.  Suo  libro;  Conferenza  alla  S.  G.  I. 
il  26  giugno  1889.  Baccolte  etnografiche  in  Museo  preistorico  a  Boma  i}^'^), 

123.  Giulio  D.  Cocorda  (1888-89),  durante  il  suo  viaggio  nell'Africa 
Australe  manda  alla  S.  G.  I.  una  relazione  sul  Transwaal  e  sui  campi  d'oro  (^*'). 

124.  Manfredo  Gamperio.  Cfr.  n.  100.  L'illustre  uomo,  nel  1889-90, 
nei  suoi  viaggi  in  Eritrea,  giunge  all'altipiano  dei  Mensa,  che  studia  dal 
lato  agricolo  e  commerciale  (^'*). 

125.  Il  conte  Salimbeni,  che  aveva  fatto  parte  della  missione  italiana 
Branchi  nel  1883-84,  è  di  nuovo  iu  Abissinia  nel  1890  e  compie  un  viaggio 
da  Adua  a  Socota  (^^®). 

126.  Ing.  Lumi  Baldacci.  In  Eritrea,  per  studi  geologici  (1890).  Suo 
libro.  Colà  ritorna,  per  lo  stesso  scopo,  nel  1909  (^'0* 

127.  G.  Corona,  primo  console  italiano:  informazioni  commerciali  sul 
Congo  (»^«). 

128.  Giovanni  Da  vico.  Da  Ancober  ad  Harrar,  e  di  là  a  Zeila  attra- 
verso il  deserto  degli  Issa  Somali  (1890)  ('^'). 

Benché  numerosi  tentativi  di  esplorazione  della  Somalia  si  abbiano 
prima  del  1890,  stranieri  e  anche  nostrali,  con  esito  infruttuoso  o  quasi, 
con  spaventevoli  catastrofi,  tuttavia  devesi  fissare  a  quella  data  la  sistematica 
esplorazione  della  temuta  penisola.  L'esplorazione  era  assai  seducente  perchè 
nessun  bianco  era  riuscito  ad  attraversarla;  donde  la  nostra  ignoranza  sui 
corsi  dei  due  grandi  fiumi,  VUebi  Scebeli  e  il  Giuba. 

129.  E.  Baudi  di  Vesme.  Migliorando  le  nozioni  dateci  dagli  esplo- 
ratori f.Ui  Jame!<,  il  capitano  Baudi  di  Vesme,  da  Berbera  in  direzione  S-SE, 
giuDse  fino  a  Labaghardei  e  anche  più  in  là,  cioè  al  fianco  meridionale  dei 
monti  Bui-dap  (1890),  neirOgaden  ("^). 

130.  L.  Bricchetti-Robecchi  (1890)  percorre  il  litorale  del  paese  dei 
Somali  da  Obbia  ad  AUula  (il  vertice  N  della  penisola). 

Questa  regione  era  quasi  del  tutto  inesplorata,  e  il  viaggiatore  fornisce 
importanti  notizie  naturali  ed  etnografiche;  queste  ultime,  assieme  colle  rac- 
colte che  si  procurò  nella  celebre  traversata,  figurano  nel  Museo  etnografico 
e  preistorico  a  Roma.  Il  viaggio  del  Robecchi,  del  1890,  pronunzia  la  grande 
sua  traversata  della  Somalia  (^^^). 


LE   PRINCIPALI    ESPLORAZIONI   aEOORAFICHE   ITALIANE  35 

181.  II  missionario  valdese  G.  Weitzecker  (1890),  già  prima  ricordato, 
comunica  le  sue  impressioni  geografiche  intorno  alle  contrade  del  Natal  (^^'). 

132.  Vittorio  Botteqo.  Nel  1891  il  grande  esploratore  italiano  inizia 
i  suoi  viaggi.  Essendo  a  Massaua,  primo  fra  gli  europei,  percorre  la  costa  dei 
Danachili^  da  Massaua  ad  Assab  (^^''). 

133.  E.  Baudi  di  Yesmb,  insieme  con  Giuseppe  Candeo,  nel  febbraio  del 
1891  parte  da  Berbera  per  continuare  le  esplorazioni  nella  Somalia;  di- 
rigendosi verso  SW,  raggiungono  ambedue  TUebi  Scebeli  (Cfr.  Sguardo 
storico  suWAfrica). 

Sulla  via  dei  fratelli  James  (vedi  n.  129)  arrivano  fino  ad  Imi;  non  po- 
tendo superare  le  difficoltà  create  loro  dagli  indigeni,  ritornano  ad  Harrar. 
Dopo  gravi  peripezie  causate  dalla  prepotenza  Amarica,  possono  rimpatriare 
perla  via  di  Zeila;  questo  viaggio  importante  preludia  alle  glorie  italiane 
nella  Somalia  (*''). 

134.  Due  spedizioni  italiane  si  incrociano  in  questo  momento  (1891), 
proprio  nel  centro  dell'Ogaden:  quella  memoranda  della  traversata  della  So- 
malia, compiuta  da  Robecghi-Bricchetti,  e  Taltra,  in  senso  inverso,  tentata 
da  Eugenio  Buspoli  nella  sua  prima  esplorazione  nella  penisola. 

Della  traversata  della  Somalia,  compiuta  dal  Bobegghi-Buicohbtti, 
abbiamo  detto  nella  Relazione  storica,  per  l'eccezionale  importanza  di  quella. 
La  Conferenza  riguardante  quel  viaggio  venne  tenuta  dal  Bricchetti  alla 
S.  G.  I.,  il  22  febbraio  1892  (^^•). 

135.  Eugenio  dei  Principi  Ruspoli,  nella  sua  prima  esplorazione 
nella  Somalia,  superate  gravi  difScoltà  e  pericoli,  da  Berbera  (8  luglio  1891) 
raggiungeva  e  passava  l'IIebi  Scebeli  col  proposito  di  esplorare  gli  ignoti 
corsi  del  medio  ed  alto  Giuba.  Per  defezione  del  capo  dei  soldati,  l'impresa 
fallì,  e  Ruspoli,  insieme  col  suo  compagno  Keller,  dovette  ritornare  in  Europa. 
Sua  opera:  Nel  paese  della  mirrai  Roma,  1892  (^"). 

136.  Nel  frattempo,  Ugo  Perrandi  (1891-92),  che  ricordai  con  gran 
compiacimento  nella  Relazione  storica,  vuol  rs^giungere  Barderà  da  Brava 
lungo  la  sinistra  deirUebi  Scebeli,  e  giunge  soltanto  fino  a  Mansur;  ma  vi 
riesce  in  un  secondo  viaggio.  Ugo  Perrandi  è  il  primo  bianco  che  entra  a 
Bardem,  il  13  gennaio  1893,  dopo  la  catastrofe  toccata  a  Von  der  Decken 
nel  18G5.  Ha  luogo  l'incontro  con  Grixoni,  che  si  era  allontanato  dal  coman- 
dante Vittorio  Bòttego  nell'alto  Giuba  (cfr.  Relazione  storica)  (*^'). 

137.  Eugenio  dei  Principi  Ruspoli.  Imprende  la  sua  seconda  esplo- 
razione partendo  a  due  mesi  di  distanza  dalla  partenza  di  Vittorio  Bottego 
da  Berbera.  Suoi  compagni  furono  Ting.  Borcbardt,  il  dott.  Riva,  il  signor 
Lucca  ed  Emilio  Dal  Senno  ((5  dicembre  1892). 

Un  accenno  di  questo  viaggio  fu  fatto  nella  Relazione  storica. 
L'accertamento  che  l' Ueb  è  un  affluente  del  Giuba  :  la  percorrenza  di  una 
parte  del  Daua,  affluente  del  Giuba:    Tarrivo   nei   Giam-Giam,   poi   negli 


36  BLIA    MILLOSEVICH 


Amhara  Burgì  :  la  scoperta  del  lago  Abbaja  (il  Ciamò  di  Bottego),  danno  im- 
portanza non  lieve  al  viaggio,  così  tragicamente  finito  (*^^). 

138.  In  questo  frattempo  (1892X  A.  Terracciano  fa  mi'esplorazione 
botanica  delle  isole  Dahlac  (di  fronte  a  Massana)  e  delVEritrea  (^^^). 

Qui  è  il  posto,  coi  numeri  139  e  140,  che  spetterebbe  per  il  riassunto 
delle  due  classiche  esplorazioni  compiute  sotto  gli  auspici  diretti  della  S.  G.  I. 
(col  concorso  anche  dei  poteri  dello  Stato),  essendo  Presidente  della  Società 
il  marchese  Giacomo  Doria,  da  Vittorio  Bottkgo. 

Le  due  gloriose  esplorazioni,  che  di  un  tratto  recarono  tanto  lume  alla 
geografia  delF Africa  orientale,  sono  state  succintamente  accennate  nella  Re- 
lazione storica  riguardante  VAfrica. 

Consultare  le  due  opere:  Il  Giuba  esplorato^  e  L'Orno^  edite  sotto  gli 
auspici  e  coi  mezzi  della  S.  G.  I. 

Al  grande  esploratore  parmense  fu  inaugurato  il  monumento  in  patria, 
il  27  settembre  1907.  Chi  scrive  queste  righe,  ebbe  il  piacere  di  discutere 
tutte  le  osservazioni  astronomiche  fatte  da  Lamberto  Vannutelli  durante  la 
seconda  esplorazione,  e  di  più  Talto  onore  di  commemorare  a  Parma  l'illustre 
estinto,  nel  giorno  solenne  della  sua  glorificazione.  Due  memorande  Conferenze 
debbono  essere  ricordate  :  la  prima  è  la  narrazione  dell* esplorazione  dei  corsi 
del  Giuba,  narrazione  fatta  da  Vittorio  Bottego  il  17  marzo  1894;  Taltra, 
riguardante  il  corso  delVOmo  e  le  scoperte  geografiche  a  quella  ricerca 
strettamente  collegate,  tennero  i  superstiti  Lamberto  Vannutelli  e  Carlo  Gi- 
temi, il  9  aprile  1898  {''% 

141.  Ugo  Fbrkandi.  Come  è  detto  nella  Relazione  generale,  da  Eisi- 
majo  passa  a  Brava  e  sì  unisce  colla  spedizione  Bottego  per  compiere  a 
Lugh  la  missione  governativa  di  carattere  commerciale.  Suo  ritorno  a  Brava 
da  Lugh  nel  1897,  dopo  la  pace  con  TAbissinia  (^^^). 

142.  Leonardo  Fea.  Già  ricordato  per  i  suoi  viaggi  a  scopo  special- 
mente zoologico  in  Birmania,  compie  una  esplorazione  nelle  isole  del  Capo 
Verde  e  nella  Guinea  Portoghese,  col  medesimo  scopo.  La  esplorazione  scien- 
tifica durò  ben  cinque  anni  (dicembre  1897  -  marzo  1903).  Raccolte  zoologiche 
in  Museo  Civico  di  Genova;  leggere  il  necrologio  scritto  da  Gestro  (^^'). 

143.  Curzio  Masb-Dari,  che,  dal  1892,  per  ragioni  commerciali 
viaggiò  nell'Eritrea  ovest,  incomincia  (1899)  ad  inviare  corrispondenze  alla 
Società  Africana  di  Napoli,  sui  Bara  o  Cunama  (^^^). 

144.  F.  Sylos-Sersalb.  In  Somalia  settentrionale  (1902)  fra  i  Migiur- 
tini,  fra  Obbia  e  AUula  (»«). 

145.  Il  maggiore  A.  Pedretti.  In  escursione  nella  Cirenaica.  Sue  Note 
di  viaggio  (Bengasi-Derna)  ("•). 

146.  Ferdinando  Martini.  Viaggio  con  grossa  carovana  e  molti  europei 
neirovest  dell'Eritrea  (regione  dei  Cunama).  Descrizione  geografica  e  itine- 
rarii  (autore  Umbeiio  AdamoUo),  aprile  1902  (^^^). 


LE   PRINCIPALI   ESPLORAZIONI   GEOGRAFICHE   ITALIANE  37 

147.  Col.  6.  Colli  di  Felizzano.  Nei  paesi  Galla,  a  sud  dello  Scioa. 
Bilievo  topograQco  deiritinerarìo.  Cenni  etnografici,  polìtici  e  commerciali. 

Il  viaggio  venne  fatto  con  una  spedizione  inglese.  Dagli  ufficiali  inglesi 
vennero  eseguite  triangolazioni  e  determinazioni  astronomiche  fino  al  lago 
Rodolfo.  Dal  lago  Rodolfo  ad  Addis-Abeba,  il  col.  G.  Colli  di  Felizzano 
esegui  da  solo  rilievi  alla  bussola  (novembre  1902  -  maggio  1903)  Q^^), 

148.  Il  capitano  medico  della  R.  Marina  Eduardo  Baccari,  per  in- 
carico del  Governo  (1903),  penetra  nello  Stato  del  Congo  fino  ai  grandi 
laghi  Kivù  e  Tangagnica^  studia  la  regione  sotto  più  aspetti  e  ne  pubblica 
un  libro  apprezzatissimo.  Tiene  una  Conferenza  sui  grandi  laghi  Africani,  il 
30  aprile  1905  alla  S.  G.  I.  ("«). 

149.  ViNASSA  DB  Rbgnt  0  Ugo  Fbrrandi.  Nella  Tripolitania  setten- 
trionale, da  Tripoli  ad  Homs  (1902)  (*'^»). 

150.  Olinto  Marinelli  e  Giotto  Dainelli,  nel  1905,  nelPoccasione 
del  Congresso  Coloniale  ad  Asmara,  insieme  con  Lamberto  Loria,  percor- 
rono buona  parte  dell'Eritrea;  i  primi  due  giungono  anche  neirAssaorta. 
Ricerche  geografiche;  determinazioni  altimetriche,  ecc.  ecc.  (^^^). 

151.  S.  A.  R.  il  Doga  degli  Abruzzi,  con  Umberto  Cagni,  Vittorio 
Sella,  Achille  Cavalli  Molinelli,  Alessandro  Rocoati  ed  Edoardo 
Winspeare,  nel  1906,  compie  Tesplorazione  del  Ruvenzori  (nella  parte  più 
alta),  la  catena  di  montagne  fra  il  lago  Alberto  ed  il  lago  Alberto  Edoardo, 
catena  che  Stanley  per  primo  fece  conoscere  con  esatta  ubicazione,  benché 
probabilmente  da  Baker  e  Gessi  fosse  stata  prima  intravista.  Un  volume  di 
narrazione  del  viaggio  (De  Filippi),  e  due  volumi  di  risultati  scientifici. 

S.  A.  R.  il  Duca  degli  Abruzzi  lesse  la  sua  Conferenza,  riguardante  la 
prefata  espici  azione,  alla  S.  G.  I.,  il  7  gennaio  1907.  La  vetta  più  elevata, 
vetta  Margherita,  risultò  alta  m.  5125;  essa  appartiene  al  gruppo  «  monte 
Stanley  «,  ecc.  ecc.  (^^^).  A  1100  chilometri  di  distanza,  in  Africa,  un  monte 
altissimo  e  un  bel  lago,  il  primo  quotato  da  un  Principe  di  Casa  Savoja,  il 
secondo  scoperto  da  uno  dei  più  celebri  nostri  esploratori,  portano  il  nome 
augusto  di  Margherita. 

152.  Il  cap.  A.  M.  Tancredi,  G.  Ostini  e  M.  Rava  (1908).  Nell'Etiopia 
settentrionale,  fino  al  lago  Tsana  e  alle  cascate  del  Nilo  Azzurro.  Quadretti 
della  regione,  eseguiti  dal  pittore  M.  Rava.  Lo  stesso  Tancredi  (1909) 
compie  una  escursione  nell'Assaorta,  per  conto  della  S.  G.  I.  (^^^). 


Sono  giunto  alla  fine  del  modesto  mio  lavoro;  possa  Tamore,  che  mi 
sorresse  nello  studio,  velare  la  poca  competenza,  che,  in  verità,  era  meglio 
assai  che  Tillustre  decano  fra  i  nostri  geografi,  e  non  un  astronomo,  lo  dettasse. 


38  BLU    MILLOftEVIOH 


Nelle  pagine  che  seguono,  vi  sono  le  fonti  e  i  teiti.  Dopo  ogni  esplo- 
razione trovasi  nn  numero  in  parentesi,  a  cui  corrisponde  identico  numero 
nelle  pagine  delle  fonti  e  dei  testi:  questi  e  quelle  possono  essere  una 
buona  guida  per  lo  studioso  che  desiderasse  conoscere  minutamente  la 
portata  di  ciascuna  esplorazione.  Un  semplice  sguardo  anche  alle  sole  fonti 
insegna  al  lettore  il  più  ignaro  dell'opera  della  Società  Geografica  Italiana, 
quale  parte  essa  abbia  avuto,  in  otto  lustri,  nella  funzione  di  consiglio,  di 
aiuto,  di  guida  e  di  diffusione,  a  vantaggio  delle  esplorazioni  geografiche  ita- 
liane, e  quanto  bene  essa  abbia  recato  alla  scienza. 

Sia  r Italia  fiera  di  questa  sua  Istituzione,  e  le  porti  gratitudine! 

Elia  Millosevich 

Dir.  deli'Oss.  Asir.  al  Collegio  Romano. 


LB   PRINCIPALI  ESPLORAZIONI  OBOQRAFICHB  ITALIANE  89 


FONTI   E   TESTI 


Q)  La  Società  geografica  italiana  e  Vopera  sua  nel  secolo  XIX.  G.  Dalla  Vedova, 
Roma,  1904,  ^  Dalla  Vedova,  La  S,  0.  I.  ecc. 

(•)  Dalla  Vedova,  La  S,  Q.  /.,  pag.  17. 

(•)  G.  Dalla  Vedova,  /  recenti  lutti  della  S.  0.  /.,  Roma,  1898, 

(*)  Bollettino  della  S.  G.  L,  "=.  Boll.  S.  G.  I.  L*intera  collezione,  fino  al  1909  com- 
preso, volami  46.  Quattro  serie  di  12  volumi;  3  serie  complete  e  la  FV  che  finisce  con 
Tanno  1911.  —  Memorie  della  Società  geografica  italiana,  ^  Mem.  S.  G.  I.  Sono  pubbli- 
cati 13  volumi. 

(*)  Sttdt  biografici  e  bibliografici  sulla  storia  della  geografia  in  Italia  ecc.  ecc. 
Due  volumi;  due  edizioni  (1875-82).  I.  Amat  di  S.  Filippo,  Biografia  dei  viaggiatori 
italiani  ecc.  ecc.  ^  Amat,  i^.  B.  B,  S»  0.  L 

(*)  E.  Pini,  Cenni  storici  sulla  S.  I.  di  esploranioni,  ecc.  ecc.  Boll,  della  S.,  ecc.  ecc. 
Anno  16*.  fase.  VII,  1901,  Milano. 

(»)  Dalla  Vedova,  biogr.,  Luigi  Palma  di  Cesnola,  Rivista  d'Italia,  1889;  Amat, 
Studi  biogr.,  I,  598. 

(•)  Boll.  S.  G.  L,  1872,  1;  1873,  124;  1876,  8. 

(•)  Cosmos,  1875.  Boll.  S.  G.  L,  J874,  752;  1875,  113. 

(»*')  G.  Ricchieri,  La  «  Stella  Polare  »  nel  mare  Artico.  Relasione,  ecc.  ecc.  Mes- 
sina, 1903;  6.  Ved.  anche  (")  Giglioli. 

(^^)  E.  ed  I.  Gìglioli,  Oli  odierni  viaggiatori  italiani,  Milano,  1874;  21  (estratto 
dall'Ann.  Se.  ital  ).  G.  Cora,  Cosmos,  Torino,  1878  ;  A^^cr.  di  Parent,  in  «Esploratore», 
1885,  164. 

(")  Hngues,  Cronologia  delle  scoperte  e  delle  esplorazioni  geografiche,  Hoepli, 
Milano,  1903,  815.  316  =  Hugues,  C.  S.  E.  G.;  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.  L,  1882,  632-633; 
Boll.  S.  G.  L,  1877,  450;  1878,  3,  78;  Riv.  Maritt.,  1878-80. 

(>•)  Hugues,  0.  S.  E.  G.,  348;  Boll.  S.  G.  I.,  1883-1884;  G.  Ricchieri,  ut  supra. 

(**)  La  «  Stella  Polare  »  nel  mare  Artico  (1899-1900)  e  Ouervasioni  scientifiche 
eseguite  durante  la  spedizione  polare  di  S.  A.  R  Luigi  Amedeo  di  Savoia  Duca  degli 
Abruzzi  (due  volumi,  ecc.  ecc).  Conferenza  di  S.  A.  R  .e  del  comandante  Cagni,  Boll.  S.  G.  L, 
febbr.  1901;  Recensioni,  giudizi,  commenti,  ecc.  ecc.  (passim)',  Hugues,  C.  S.  E.  G., 
460,  61;  G.  Ricchieri,  ut  supra,  ecc.  ecc. 

(»)  Boll.  S.  G.  I.,  1900,  in,  IV  e  V. 

(»•)  Boll.  S.  G.  I.,  1904,  232;  Mem.  S.  G.  L,  IX,  82,  104. 

(«')  Boll  S.  G.  I.,  voi.  I,  71;  1868,  215-242.  Arminjon,  Il  Giappone  e  il  viaggio 
della  corvetta  «  .Magenta  »  nel  186 6,  Genova,  1869.  Giglioli  E.  H.,  Viaggio  intomo  al 
globo  della  pirocorvetta  «  Magenta  n,  Milano,  1876;  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.,  603.  Per  Ar- 
minjon, cfr.  G.  Dalla  Vedova,  /  recenti  lutti  (ut  supra).  Per  E.  Giglioli,  cfr.  Boll.  S.  G.  I., 
1910,  64  e  Annali  Museo  di  Genova,  1910  (Vinciguerra). 

(>•)  Rivista  marittima,  luglio  e  ottobre  1872,  ottobre  1873;  G.  Cora,  «  Cosmos  «,  1878, 
I,  48;  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.,  613;  E.  ed  L  Giglioli,  ut  supra,  11-15. 


^  ELIA   MILLOSBVIGH 


(■*)  Amai,  Oli  illustri  viaggiatori  italiani,  Roma,  1885,  418-415  ^  Amat,  I.  V.  I.  ; 
C.  Bertacchi,  Oeogra/i  italiani  alVestero,  Roma,  1899|  33-38  (estratto)  ^  Mem.  S.  6. 1., 
n,  vili,  1898. 

(*o)  e.  Bertacchi,  ut  supra,  38-46  (estratto);  Hugaes,  C.  S.  E.  G.,  244  e  249. 

(")  Boll.  S.  G.  L,  1888,  600,  833,  880;  1884,  528. 

(•■)  Boll.  S.  G.  I.,  1878,  97;  1883,  287. 

(••)  Hugaes,  C.  S,  E.  G.,  297;  Boll.  S.  G.  I,  1877,  172. 

C^)  Espi.  Milano,  sett.  1877. 

(")  P.  DonazBolo,  St.  della  geogr.  Feltre,  1902,  201-202;  Bull.  S.  G.  1 ,  1887,  354. 
500;  1888,  715,  832;  1889,  1890,  1900. 

(■•)  Hagaes.  C.  S.  E.  G.,  326;  Boll.  S.  G.  L,  1881,  609. 

(■')  Huguea,  C.  S.  E.  G.,  343-344;  Boll.  S.  G.  I.,  1881,  803;  1882,  805;  1883,  passim] 
1884,  670. 

(*•)  Boll.  S.  G.  I.,  noY.  1884;  febbr.  e  marzo  1885. 

(«•)  Boll.  S.  G.  L,  1885,  618-626. 

(■•)  Boll.  S.  G.  I.,  1884,  nov.  e  die. 

(•')  Boll.  S.  G.  I.,  1889,  HI;  1891,  VI,  VÌI,  IX,  XI;  1892,  III,  IV,  VI,  VII,  X,  XI; 
1893,  919;  1894,  695.  In  1893,  819,  Necrologia. 

(»■)  Boll.  S.  G.  I.,  I,  VI,  1892. 

(»•)  Boll.  S.  G.  I.,  1894,  VI,  VII;  1897,  X,  XI;  1902,  XII;  Necrologia  (Giglioli). 

(•«)  Boll.  S.  G.  I.,  1898,  IV;  Conferentadi  Filippi,  8  marzo  1898;  Relazione  ori- 
ginale; Hagaes,  C.  S.  E.  G.,  449. 

(••)  Boll.  S.  G.  L,  1901,  VII,  Vra,  IX. 

(••)  Boll.  S.  G.  L,  1901,  I,  II,  m,  IV,  V. 

(")  Boll.  S.  G.  I.,  1907,  V,  XU;  1908,  I,  III. 

(»•)  Boll.  S.  G.I.,  1872,  VII;  1877,  161-168. 

(>•)  G.  Branca,  St.  dei  viaggiatori  ital,  470476;  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.,  I,  602. 

(«•)  Hagaes,  C.  S.  E.  G.,  243;  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.,  601-602. 

(«<)  Hagaes.  0.  S.  E.  G.,  248;  Giglioli,  in  N.  Antologia,  settembre  1872;  Boll. 
S.  G.  I,  1868.  193.  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.,  604. 

(*•)  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.,  605.  Per  Necrologia,  vedi  Espi,  comm.,  Milano,  1900,  1. 

(*•)  Hagaes,  C.  8.  E.  G.,  259;  Boll.  S.  G.  L,  1870,  V,  61-106;  Necr,  Qarovaglio,  in 
Espi,  comm.,  1905. 

(**)  Hagaes,  C.  S.  E.  G.,  260;  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.,  609;  Boll.  S.  G.  I..  1:ì72,  95. 

(*•)  Boll.  Cons.  regno  Italia,  1870;  Riv.  maritt.,  febbr.  e  marzo  1873;  Boll.  S.  G.  I, 
1872,  85. 

(*•)  Amat.  S.  B.  B.  S.  G.,  609. 

i*"*)  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.,  600-601.  Relazione  sommaria  in  Branca,  i^^  viagg., 
455-470. 

(^)  E.edl.  Giglioli,  ttT  supra,  15-17  (estratto  dalFA.  S.  I.,  1874);  Amat,  S.  B.  B.  S.  G., 
509-610. 

(*•)  Boll.  S.  G.I.,  1871,  86-100;  Amat,  S.  B.B.  S.  G.,  612. 

(■•)  Esploratore,  1879-1880. 

(»)  Amat,  S.  B.  B.  8.  G.,  615;  Boll.  S.  G.  I.,  1874,  182-216;  G.  Cora,  in 
«  Gosmos  »,  1878. 

(•■)  E.  ed  I.  Giglioli,  ut  supra,  2-11  (estratto  dall'A.  S.  1, 1874);  Hagaes,  C.  S.  E.  G., 
278.  Boll,  S.  G.  I.,  1873,  67-71;  1874,  137  e  311;  1875,  488.  Secrologia  di  L,  Af.  D'AI- 
bertis  dettata  da  Decio  Vinciguerra,  in  Boll.  S.  G.  I.,  ott.  1901.  L.  M.  D^Albertis,  n.  a 
Voltri  in  Ligaria  il  21  nov.  1841,  m.  sett.  1901. 


LB    PRINOIPALI   ESPLORAZIONI   OBOGRAFIGHB   ITALIANB  ^1 

(•>)  Decio  Vincigaerra,  ut  supra;  Hugnes,  C.  S.  E.  G.,  292,  298;  868  (Spedizione 
aastraliana  Everill).  Boll.  S.  G.I.,  1879,  11;  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.  I,  615,  ecc.  ecc. 

(•*)  Hugaes,  C.  S.  E.  G.,  294. 

(»»)  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  308;  Esploratore,  1878;  Boll.  S.  G.  I.,  1879,  176,  432. 

(••)  Boll.  S.  G.  I.,  1880,  300-302. 

(•»)  Boll.  S.  G.  1 ,  1885,  ott.,  776-778. 

(••)  Boll.  S.  G.I.,  1881,  28-39;  Riv.  Mariti.  (1879-1880;  sul  viaggio  totale  della 
Vettor  Pisani,  1879-1881). 

(••)  Boll.  S.  G.  T.,  1881,  851-378. 

(••)  Boll.  S.  G.  I.,  1885,  aprile-agosto. 

(•»)  Boll.  S.  G.  I.,  agosto  e  settembre  1887;  Hugaes,  C.  S.  E.  G.,  375.^Volumi  Museo 
Civico  Genova. 

(•«)  Boll.  S.  G.  I.,  maggio  1887. 

("J  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  380;  Boll.  S.  G.  I.,  1888,  627,  854;  Annali  Musco  Civico 
Genova. 

(•*)  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  401. 

(••)  Boll.  S.  G.  I.,  1890,  maggio  e  giagno;   1891,  830,  905;  1898,  maggio,  ecc.  ecc. 

(••)  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  414;  Boll.  S.  G.  L,  1891,  201,  367,  588,  683;  1892, 117. 

(")  Boll.  S.  G.  I.,  sett.-nov.  e  die.  1894. 

(••)  Boll.  S.  G.  I.,  1894,  387  e  seg ,  543  e  seg.;  1898,  256  e  seg. 

(••)  Esploratore  1895;  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  439. 

('•)  Boll.  S.  G.  I.,  luglio  1898;  Hugues,  C.  8.  E.  G.,  448. 

(")  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  457. 

(»■)  Boll.  S.  G.  L,  1904;  V,  VI,  VII. 

(")  Boll.  S.  G.  1 ,  1904,  VI,  VII. 

('*)  Boll.  S.  G.  L,  1906,  IX,  X;  1907,  III. 

('•)  Boll.  S.  G.  I.,  1910,  IV. 

(»•)  Lettere  nell'Espl.  di  Milano,  1909-1910. 

(")  Branca,  St.  viaggiai,  itaL,  358  ;  Sapete,  Etiopia,  introd.,  Necr,,  in  Espi.  1895, 
288;  Sulla  colonia  del  p.  Stella  nei  Bogos,  vedi  Boll.  S.  G.  I.,  1869,  469;  Hugues, 
C.  S.  E.  G.,  205. 

('•)  Branca,  St>  viaggiai.  itaL,  382;  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  213;  Boll.  S.  G.  I.,  1906, 
488-490. 

('*)  Branca,  St.  viaggiai,  ital,  365.  Tour  de  monde,  Paris.  1862,  n.  129;  Pet.  Miti. 
Gotha,  1862,  356. 

(w)  Boll.  S.  G.  I.,  1889,  935;  Hugaes.  C.  S.  E.  G.  223,  ecc.  ecc. 

("}  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  224  e  232;  Branca,  St.  viaggiai.  itaL,  373;  Boll.  S.  G.  1., 
1868,  91  ;  Malte-Brun,  Nouv.  Ann.  des  voyages,  1863, 1,  312;  Pet.  Mitt  Ergftnz.,  n.  10,  1862. 

(*')  Branca,  St.  viaggiai.  itaL,  423. 

(*')  Amat,  ///.  viaggiai.,  441;  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.,  I,  582;  G.  Branca,  St.  viaggiai. 
Hai..  389;  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  226.  Per  De  Bono,  vedi  Amat,  S.  B.  B.  S.  G.,  I,  591;  Malte- 
Brau,  Nouv.  Ann.  1862,  5-38;  Bull.  Soc.  géogr.,  Paris,  IV.;  Recenti  eeoperte  $ul  fiume 
Bianco  fatte  da  Andrea  De  Bono  e  da  lui  stesso  descritte,  Alessandria  d*£gitto,  1862. 

(•♦)  G.  Branca,  i^^  viaggiai.  Hai.,  431;  Malte-Brun,  Nouv.  Ann.  1865,  II,  141. 

(••)  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  233;  Pet.  Mitt.  1867,  73. 

(**)  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  242  ;  Branca,  come  in  testo. 

(*^)  G.  Branca,  Si.  viaggiai.  itaL,  355.  Sua  opera,  Milano;  ecc.  ecc. 

(")  Boll.  8.  G.  I.,  1869,  IL 

(••)  Boll.  S.  G.  L,  1870,  43;  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  270;  Amat,  IlL  viaggiai.  itaL,  527 
(biografia  Antinorì). 


42  BLIA   MILLOSBVIGH 


(^)  Amat.  III.  viaggiai,  ital,  441;  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  272-273;  Note  di  viaggio 
al  MonòuUù  (Camperio),  Boll.  S.  G.  I. 

(•»)  Hugaes,  C.  8.  E.  G.,  277;  Amat,  HI  viaggiai.  Hai.,  biografia  di  Carlo  Piaggia, 
511;  Araat,  S.  B.  B.  S.  G.,  724. 

(»■)  Dalla  Vedova,  La  Soc.  geogr.  ital,,S2;  Boll.  S.  G.  I.,  Xn,  227,  437,  app.  alle 
pp.  452,  453,  619,  676;  Boll.  S.  G.  I.,  1876,  17,  347;  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  291. 

(•»}  Boll.  S.  G.  I,  1877,  49;  Hugaes,  C.  S.  E.  G.,  295-306;  Ainat,  Ili  viaggiai.  Hai, 
465;  Amat,  S.  B.  B.  8.  G.,  I,  619;  ecc.  ecc.  ecc. 

(•♦)  Amat,  III  viaggiai.  Hai,  514;  Hugues,  C.  S.  E.  G ,  295. 

(")  Fonti  su  Brazzà  numerosissime,  Boll.  8.  G.  I.,  1876-77-78-79-80-81  e  seg.,  1905 
(necrologìa);  Amat,  8.  B.  B.  8.  G.,  L  624;  Hugues,  C.  S.  E.  G.,  301  e  seg.;  ecc.  ecc.  ecc. 

(••)  Hugaes,  C.  S.  E.  G.,  304-305;  Amat,  8.  B.  B.  8  G.,  625-627  (G.  Chiarini)  ;  Am  t, 
III.  viaggiai,  t7flZ.,  473-494 (G.  Chiarini);  Hugues,  359.  A.  Cecchi,  Boll.  S.  G.  L,  1897,8; 
Espi.,  1897,  1  ;  Da  Zeila  alla  froniiera  del  Caffa  (tre  voi.)  Loescher,  1886,  1887.  Cfr.  An- 
nali Museo  Civico  di  8c.  Nat.  di  Genova;  cfr.  Memorie  S.  G.  I.;  cfr.  Boll.  S.  G.  I.,  da 
voi.  X  in  poi,  passim. 

(•')  Boll.  S.G.  I.,  1876,  630.   Espi.  1877,  3;  1878-1879,  25. 

(*^)  Rspl.  189:),  necrologia  scritta  da  Casati. 

(••)  Hagues,  C.  8.  E.  G.,  310;  Amat,  III.  viaggiai.  Hai.  (Gessi),  465,  494;  (Matteucci), 
495,  509;  Amat,  8.  B.  B.  S.  G.,  I,  639;  Espi.,  I  e  II;  ecc.  ecc. 

(«•»)  Espi.  1878,  die;  1879,  pp.  25  e  145;  Hugaes,  C.  8.  E.  G.,  318. 

(»«•)  Boll.  8.  G.  I.,  1879,  536. 

(»«•)  Amat,  8.  B.  B.  8.  G.,  I,  635;  Boll.  8.  G.  I.,  1880-1881  ;  Hugues,  C.  8.  E.  G., 
319,  330. 

(>")  Boll.  S.  G.  I.,  1880,  passim\  1881,  811.  Cfr.  Massari,  18  die.  1881;  Amat, 
8.  B.  B.  8.  G.,  640;  Hugues,  C.  8.  E.  G..  326. 

(»•♦)  Hugues,  C.  8.  B.  G.,  328;  Espi.  1880-1883;  Boll.  8.  G.  I.,  1880,  ecc.  qcc, passim. 
Per  necrol.  vedi  Dal  Verme,  Boll.  8.  G.  I.,  1902,  305;  Espi.  1902,  65. 

(10»)  Hugues,  C.  8.  E.  G.,  329;  Espi,  di  Milano,  da  consultare  sempre  per  conoscere 
l'opera  del  Camperio;  Boll.  S.  G.  L,  1882,  83,  ecc.  Necrol.  Haimann,  Boll.  8.  G.  I., 
1883,  765. 

("•)  Amat,  8,  B.  B.  8.  G.,  I,  732;  Hugues,  C.  8.  E.  G.,  329;  Espi.  1881,  872;  Boll. 
8.  G.  I,  1881. 

("^}  Boll.  8.  G.  I.,  1882,  772;  Hugues,  C.  8.  E.  G.,  345. 

(«o«)  G.  Cora,  in  «  Cosmos  »,  1884;  8oc.  Afric.  Napoli,  1883;  Hugues,  C.  8.  E.  G.,  345. 

{'»»)  Hugues,  C.  8.  E.  G.,  353,  373;  Espi.,  1883;  Espi.,  necrol.  Bianchi,  1885,  4. 
Per  Salimbeni  vedi  Boll.  8.  G.,  I,  1885,  326,  907;  1886,  279;  ed  Espi.,  1891,  186. 

(»••)  Boll.  8.  G.  I.,  1883,  1889,  1901,  passim-,  Hugaes,  C.  8.  E.  G.,  349;  Neer. 
(Cardon),  Boll.  8.  G.  I.,  1901. 

(••«)  Hugues,  C.  8.  E.,  313;  Boll.  8.  G.  I,  1887,  581. 

("■)  Hugues,  C.  8.  E.  G.,  349;  Amat,  8.  B.  B.  8.  G.,  App.,  30. 

("»)  Hagues,  C.  8.  E.  G.,  359;  Boll.  8.  G.,  I.  1883,  511;  1884,  die.  919. 

("*}  Boll.  8.  G.  I.,  1886,  800;.  Hugues,  C.  8.  E.  G.,  366.  [Hugues  dice  che  il  viaggio 
airHauash  fu  fatto  in  compagnia  del  Co.  Butturlin  (Boutturline)]. 

("•)  Boll.  8.  G.  I.,  1885,  744. 

("•)  Boll.  8.  G.  I.,  1885,  337;  Hugues,  C.  8.  E.  G.,  366. 

("')  Boll.  Soc.  Afr.  Napoli,  1885,  138,  171;  1886,  32,61,  270;  1887,34,  127,  173. 

("«)  Boll.  8.  G.  I.,  1885,  889;  1886,  839;  1887,  56,  350  e  seg. 

(»••)  Boll.  8.  G.  I.,  1889,  388,  468. 

("»)  Hugues,  C.  8.  E.  G.,  878.