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CINQUANTA ANNI
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STORIA ITALI
PUBBLICAZIONE PATTA SOTTO GLI AUSPICH DEL GOVERNO
PER CURA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI
VOL. I.
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1
ULBICO HOBPLI
BDITOBB-LIBBAIO DELLA BBAL CASA
S DSLLA B. AOGADRUIA OBI LINOBI
MILANO
1911
EOMA
TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI
PBOPRIBTÀ DEL GAY. VINCENZO SALTIUCCI
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INDICE
DELLE MONOGRAFIE CONTENUTE IN QUESTO VOLUME
I. Blasbrna Pietro. Introduzione.
II. Db Gbsare Bafifaele. Sommario di storia politica e amministrativa
d'Italia (1861-1910).
III. Benini Rodolfo. La demografia italiana neWultimo cinquantennio.
IV. Celoria Giovanni. - Gliamas Ernesto. Triangolazione geodetica e
cartografia ufficiale del Regno.
V. Ferraris Carlo F. Ferrovie.
VI. Majorana Quirino. Posta, Telegrafo, Telefono.
VII. Colombo Giuseppe. Trasporto delCenergia.
Vili. EoERNBR Guglielmo. L'industria chimica in Italia nel cinquantennio
(1861-1910).
IX. Baldacgi Luigi. La Carta geologica d'Italia.
X. Bava Bbccaris Fiorenzo. Esercito italiano, sue origini, suo succes-
sivo ampliamento, stato attuale (con una tavola).
XI. Bozzoni Gustavo. Marina militare e costruzioni navali.
XII. Roncagli Giovanni. L'industria dei trasporti marittimi.
XIII. MiLLosEviCH Elia. Le principali esplorazioni geografiche italiane
nell'ultimo cinquantennio.
INTRODUZIONE
In data primo dicembre 1909, l'on. Paolo Carcano, ministro del tesoro nel
Gabinetto presieduto dall'on. Giolitti, pubblicava un opuscolo : Sulle condi-
zioni della finanza e della economia pubblica in Italia. La pubblicazione
era corredata da una serie di diligentissime indagini d'indole finanziaria e
statistica, che indussero Tautore a trarne le seguenti conclusioni:
« Abbiamo notato gli indici più significanti della vita economica nazio-
« naie ; e abbiamo voluto stendere lo sguardo anche alle condizioni del mer-
« cato mondiale e a quelle deireconomia pubblica nei paesi più ricchi. E dal
« tutto insieme degli elementi raccolti parmi consentito di considerare con
« fiducia il prossimo avvenire, e di prevedere un nuovo sensibile miglioramento
« nelle condizioni generali del paese nostro.
« Il quale non è tanto ricco come i superficiali e gli allori vorrebbero ;
« ma non è nemmeno così misero come, ad ogni stormir dì fronda, sussurrano
« i piagnoni. Il paese lavora e studia. E poiché i primi passi sono sempre i
« più diflBcili, dal cammino percorso in non lungo periodo di tempo è lecito di
ft trarre i migliori auspicii per l'avvenire.
ft I ricordi del passato incuorano e spronano al meglio. E giustamente
ft r Italia sta apprestandosi, in vari modi, a celebrare degnamente il pros-
« Simo giubileo della sua unità con la eroica e popolare dinastia di Savoia,
« quale fu proclamata, il 4 maggio 1860, nel salpare dallo scoglio di Quarto.
« Sia per omaggio agli uomini sommi e alla plejade di martiri che furono
« i fattori della redenzione della Patria, sia per ammaestramento delle nuove
« generazioni, sorge oggi spontaneo il voto che, in occasione così propizia,
PIETRO BLASBRNA
« venga pubblicata, a spesa e con largo premio dello Stato, un'opera che
« esponga quali progressi abbia fatto nel cinquantenario la nostra Italia, in
« ogni campo deirumana attività. Venga qui messo in piena luce il cam-
K mino percorso fin qui, e si additi quello da percorrere, per il buon governo
• della finanza, come per la diffusione e V intensificazione della coltura; per
« eccitare ogni sorta di produzione intellettuale, come per migliorare sotto
« qualsiasi aspetto la condizione del popolo; per la elevazione morale di
« ogni classe di cittadini, come per l'agguerrimento a fine di vittoria nelle
« lotte della concorrenza; e, in fine, per lo sviluppo della vita economica
« nazionale «.
Sin qui Ton. Garcano. Ritirandosi, pochi giorni dopo, col Ministero a
cui apparteneva, egli mi fece Tenore di rivolgersi a me, nella mia qualità di
Presidente della fi. Accademia dei Lincei, perchè assumessi la direzione di
questo importante e patriottico lavoro. Il programma del ministro era lar-
ghissimo: esso abbracciava tutte le manifestazioni intellettuali dello spirito
umano ed i progressi compiuti in tutte le imprese che, quale più quale meno,
rivestono carattere economico.
IL
Ma quando questo patriottico disegno venne concepito, era troppo tardi
perchè potesse essere attuato in tempo utile. L* idea di restrìngerlo s impo-
neva, anche quando si facesse, come io facevo, largo assegnamento sull'at-
tività degli nomini preclari, che sarebbero stati chiamati ad elaborare i
singoli capitoli, in ragione della loro riconosciuta competenza.
Qui il programma si scinde, in modo naturale, in due parti ben distinte,
che hanno tendenze e comportamenti molto diversi: scienza pura, scienza
applicata.
La prima, la scienza pura, ha carattere internazionale, anzi universale.
Una verità scoperta da chiccliessia ed ovunque, conserva tutto il suo valore,
qualunque sia il fortunato scopritore, qualunque sia il paese da cui emana,
qualunque sia la data in cui fu conosciuta. La grande legge deirattrazione uni-
versale è bensì un titolo di gloria per Isacco Newton e per tutta quanta
l'Inghilterra; ma essa conserverebbe inalterato il suo valore, anche se la
INTRODUZIONE
gloria di tale scoperta spettasse ali* Italia od al Giappone. Per chi contempli
serenamente lo svolgimento storico di una grande idea, risulta chiaramente
che tale svolgimento segue vie bizzarre, salta da un paese allaltro, in modo
da non appartenere esclusivamente ad un paese solo, ma bensì a tutti quelli
che vi hanno collaborato. Per convincersene, basta compulsare la corrìspon-
denza di scienziati insigni, che vissero nei secoli scorsi, quando non esistevano
ancora i giornali scientifici. Questi eminenti cultori sentivano il bisogno di
rivolgersi ai collabi di altri paesi, comunicando i propri pensieri ed entrando
con essi in un proficuo scambio d'idee. Però che uno scienziato che coltivi
una data scienza, si sente assai più vicino ai cultori della stessa scienza,
anche se stranieri, anziché ai cultori compaesani di scienza diversa. Coi primi
egli parla il medesimo linguaggio : coi secondi, egli lo deve mutare e corre
rischio di non intendersi. La scienza pura vola come aquila e non conosce
nò limitazioni di frontiera, nò tariffe doganali e differenziali.
Consegue da ciò, che la storia della scienza pura non potrebbe scriversi
per un paese solo. Essa deve conservare il suo carattere universale, e nel suo
svolgimento figurano nomi stranieri assieme coi nazionali. Pongo, di proposito,
gli stranieri avanti ai nazionali, non per mancanza di quella giusta estima-
zione che i nostri scienziati meritano ed incontrano ovunque, ma perchò gli
stranieri, nel loro insieme, costituiscono un blocco, contro il quale una nazione
isolata non potrebbe lottare, qualunque essa sia.
Per dare una idea del modo in cui Talta coltura si ripartisca nel mondo,
vogliamo esprimerla, nel suo insieme, con 12. Allora, per chi bene esamini la
cosa, la ripartizione non potrebbe essere, secondo noi, diversa dalia seguente:
Paesi dì lingua inglese 3
« » tedesca 3
" » francese 2
" » italiana 1
» » russa 1*
Paesi minori, di altre lingue .... 2
Totale ... 12
Da questa breve tabella sintetica emerge che anche le lingue più forti,
come la inglese e la tedesca, non rappresentano, ciascuna, più di un quarto
6
PIETRO BLASEIINA
nella totalità della coltura universale. Parlare, al giorno d'oggi, di scienza
nazionale, è un* idea antiquata, atta a creare ed a mantenere perniciose il-
lusioni. Ogni paese deve cercare di coltivare la scienza con la maggiore pos-
sibile energia, a fine di ottenere nella ripartizione un fattore di proporzionalità
di più in più favorevole ; ma 1* ignorare ciò che fanno gli altri, produrrebbe
una inevitabile e poco gloriosa decadenza.
Una storia, necessariamente sintetica, della scienza pura, costituirebbe
un lavoro enorme, da oltrepassare le forze di una singola Accademia. Avrei
potuto limitarla ad ima o ad altra scienza, nella quale T Italia principal-
mente si distingue. Ma sarebbe stato difBcile arrestarsi lì, senza urtare contro
giuste suscettibilità. La storia della scienza si farà, forse, in più o meno
lontano avvenire, e probabilmente per capitoli staccati e con limitazione di
date differenti. Essa non avrebbe, dunque, potuto figurare in una pubblica-
zione, che ha più carattere nazionale che universale, e più popolare che
tecnico.
III.
Il comportamento della scienza applicata è alquanto diverso. Per fare
della scienza applicata, occorrono due cose: la scienza, 'e quel talento speciale,
che pochi hanno, di adattarla ad un caso speciale, di scendere in tale adatta-
mento fino ai più minuti particolari, senza perdere però la vista delle grandi
linee, che sono tracciate dalla scienza pura. Nel nostro paese esistono in pro-
posito strane idee : si vorrebbe contrappoiTe la pratica alla teoria, come due
cose che si escludono a vicenda, ostentando per quest'ultima e per i suoi
cultori poco men che disprezzo. Si dice che gli scienziati non imbroccano mai
una vera applicazione ; e ciò può essere anche vero, almeno in moltissimi casi.
Ma una applicazione non è mai possibile, se la scienza non ha prima pre-
parato il terreno.
Noi ammiriamo, e con piacere, V invenzione di Guglielmo Marconi, al
quale l'umanità deve una delle più brillanti applicazioni, quella del tele-
grafo senza fili. Ma se Marconi fosse nato trenta anni addietro, la sua inven-
zione non sarebbe stata possibile. Era necessario che prima venisse Maxwell
a porre, con grande audacia, una nuova teoria sulla natura deirelettricità ;
INTRODUZIONE
era necessario che Hertz le desse una larga base sperimentale e studiasse le
proprietà delle onde dette hertziane ; era, infine, necessaria quella plejade di
sperimentatori insigni, che in breye tempo percorsero tutto il nuovo campo,
togliendo i dubbi e rimovendo gli ostacoli che la novella teoria aveva incon-
trato. E così Marconi trovò tutti i materiali occon-enti, perchè la brillante
sua idea potesse tradursi in atto.
Il paese non sa queste cose, nò può tutte saperle: egli vede soltanto
r ultimo efTetto e vi applaude. Ma quelli che negano l'importanza della
scienza pura, fanno come il bambino che crede di dover tutto a se stesso,
se egli cammina e se parla. Egli dimentica quanto deve a sua madre, la
quale, dopo averlo messo al mondo, lo ha allevato con infinita cura e lo ha
protetto contro i pericoli che ad ogni pie' sospinto minacciavano lo sviluppo
e la giovane esistenza di lui!
Ma nelle applicazioni della scienza entra un elemento locale, senza il
quale l'applicazione stessa riesce impossibile. Un esempio spiegherà la cosa.
Se per V impianto di una data industria occorre un motore, ove questo motore
manchi, l' impianto viene anche esso a mancare. Si presenta quindi la neces-
sità di uno studio particolareggiato, per vedere se e in quali condizioni quel
motore potrebbe esser procurato. È questo uno studio che riveste carattere
locale ed economico. Ne segue che il fiorire di una data industria in un dato
luogo non è soltanto da ascriversi a merito degli uomini che I* hanno esco-
gitata, ma dipende anche dalle condizioni locali, che ne hanno più o meno
agevolato l'impianto.
La scieaza applicata presenta quindi da un lato carattere generale, ma
riveste dall'altro lato carattere locale, senza di cui non potrebbe nò svol-
gersi, nò maturare. E questo carattere non è insito alla scienza pura. Uno
studio sulle condizioni attuali dell'Italia, messe a confronto con quelle del
cinquantennio precedente, deve quindi rivolgersi di preferenza alle scienze
applicate; perchè interessa vedere, se e fino a qual punto T Italia abbia
voluto e saputo approfittare delle sue condizioni locali, per crearsi una solida
vita industriale, posandola sopra larga base economica.
8
PIETRO BLASERNA
IV.
La Beale Accademia dei Lincei ha il vanto di essere la più antica Ac-
cademia del mondo. Essa fu fondata nel l'608 dal principe Federico Cesi,
insieme con Francesco Stellutì, Giovanni Eckio e Anastasio de Filiis, i quali
al 17 agosto di quell'anno sottoscrissero il patto scientifico, con un largo
sentimento di modernità che da tutte parti prorompeva coirapplicazione del
metodo sperimentale, di cui il Galileo era il grande creatore. La nuova So-
cietà acquistò nome pochi anni dopo, nel 1609. Nel 1611 si onorò del nome
di Galileo, di cui pubblicò nel 1613 la lettera sulle Macchie solari, e nel
1622 il Saggiatore. Nel 1624 furono compilate le Praescriptiones Lynceae,
che sono il primo Statuto della nuova Accademia, interamente dedita alle
prescrizioni sperimentali, non negleciis interim amoeniorum musarum et
pMlologiae ornamentisi
Dell'Accademia, Federico Cesi fu non solo il mecenate, ma anche uno
dei più efficaci e provetti collaboi-atori. Era botanico di larghe vedute. Egli
riconobbe la necessità di una classificazione delle piante; e riconobbe, di
più, che tale classificazione doveva &rsi, non sopra una proprietà soltanto, ma
sull'insieme delle proprietà di esse; egli riconobbe infine che il tipo e la
specie potevano variare a seconda delle condizioni dell'ambiente esterno, in
cui la pianta era collocata. Divenne così il precursore di Linneo, di Jossieu
e di De CandoUe, e, infine, di Carlo Darwin ; triplice gloria, che sorprende
quando si pensi al tempo in cui quelle idee erano state svolte.
Ma i tempi e la città non erano propizi alla libera ricerca. L'Acca-
demia, aveva nel suo seno quel Galileo, il quale già nel 1618 ebbe a dire,
che la teologia doveva cercare di accordarsi coi risultati delle scienze speri-
mentali. Morto il Cesi nel 1680, le reliquie dell* Accademia fmono raccolte
da Cassiano Dal Pozzo, il quale (come scrive un suo contemporaneo), « acco-
gliendo senza alcun riguardo di spesa, nel suo museo, le memorie e gli scritti,
e nel suo cuore i disegni e i pensieri di cosi dotta adunanza, prorogò ad
essa, che già languiva, pietosamente la vita « . Cessò colla pubblicazione del
Tesoro Messicano^ compiuta nel 1651.
Nel 1801 TAccademia fisico-matematica, istituita qualche anno prima,
per opera dell'abate Feliziano Scarpellini, assunse il nome di Accademia dei
INTRODUZIONE
Nwvi Lincei, e nel 1804 prese semplicemente il titolo di Lincei in ricordo
deir antica Accademia romana, esistita due secoli prima. Nel 1813 fu pub*
blicato il Linceografo, orna le dodici Tavole delle preserimni dell' Acca"
demia dei Lincei. L'Accademia, specialmente per opera dello Scarpellini,
fiorì fino al 1840, anno in cui av^renne la morte di questo benemerito rein-
tegratore. Fu chiusa per ordine del papa Gregorio XVI; ma nel 1847 Pio IX
la riapri, e le diede uu nuovo Statuto, chiamandola Accademia Ponlificia dei
Nuovi Lincei.
Nel 1870, quando Roma fu unita al Regno d* Italia divenendone la
Capitale, l'Accademia passò sotto la protezione del Governo italiano, col nome
di Beale Accademia dei Lincei. Nel 1878 Ton. Quintino Sella, eletto Pre-
sidente, ne iniziò una vera e grande riforma. Alla classe di scienze fisiche
matematiche e naturali, fu aggiunta una nuova classe, quella di scienze
morali storiche e filologiche, con decreto del 1875. In pari tempo fu aumen-
tata notevolmente la dotazione dell'Accademia, dotazione che, con disposi-
zioni successive, venne, nel 1880, portata ad annue lire 100 mila.
Nel 1880, il Re Umberto, appena succeduto al grande suo padre Vit-
torio Emanuele III, istituì due premi reali, di lire 10.000 ciascuno, da di-
stribuirsi annualmente dalle due classi accademiche ai migliori lavori, merco
il concorso. Dopo la luttuosa morte di Re Umberto, questi premi furono
confermati e resi perpetui con sovrano rescritto dal Re Vittorio Ema-
nuele III.
Sempre per opera di Quintino Sella, nel 1883, il Governo, in conformità
di una legge votata dal Parlamento, acquistò ed assegnò ali* Accademia per
propria sede il palazzo Corsini ; ed in questa occasione il principe Corsini le
fece dono della insigne libreria e della celebre collezione di stampe, raccolte
e custodite nel suo palazzo. Nello stesso anno la R. Accademia riformò ed
ampliò il suo statuto, ripartendo i soci delle due classi per categorie ed anche
per sezioni, allo scopo di meglio assicurare un eguale trattamento per le diverse
scienze. Alla classe di scienze fisiche matematiche e naturali furono asse-
gnati 55 posti per Soci nazionali, 55 posti per Corrispondenti e 110 posti
per Soci stranieri ; a quella di scienze morali storiche e filologiche, 45 posti
di Soci nazionali, 45 di Corrispondenti e 45 di Soci stranieri.
Dopo la dolorosa perdita di Quintino Sella, TAccademia, riconosciuta na-
zionale ed autonoma, attribuì al Sella il carattei-e di Presidente Fondatore
10 PIETRO BLASERNA
6 modificò le norme delle proprie elezioni, al fine di sempre più assicurare
airAccademia il carattere nazionale.
Nel giorno 16 dicembre 1884 essa tenne la prima adunanza nella nnova
sua sede al palazzo Corsini.
V.
Mercè Tiniziativa potente di Quintino Sella, secondata da quella dei
suoi successori, TAccademia ha intrapreso una serie di pubblicazioni di alto
valore. Noi crediamo che sia il momento di abbracciare in uno sguardo
sintetico tutta quanta l'attività deirAccademia in questo ramo tanto impor-
tante della sua vita.
La prima serie contiene gli Atti dell* antica Accademia pontificia. Sono
23 volumi che formano un insieme interessante. Ne fanno parte poi 3 vo-
lumi (voli. XXIV, XXV, XXVI) compilati già dall'Accademia divenuta Beale.
La seconda serie sente già Tinflusso dell'opera riformatrice iniziata da
Quintino Sella; gli otto volumi che la compongono, contengono la separa-
zione degli Atti nelle tre parti sostanziali : Transunti^ che si chiamarono poi
Rendiconti; Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e na-
turali; e infine le Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filo-
logiche.
La terza serie abbraccia gli anni 1876-1884 e contiene: 8 volumi di
Transunti^ 19 volumi di Memorie della Classe di scienze fisiche matema-
tiche e naturali, e 13 volumi di Memorie della Classe di scienze morali
storiche e filologiche.
La quarta sene va dall'anno 1884 fino all'anno 1891. Essa contiene:
7 volumi di Rendiconti*, 7 volumi di Memorie della Classe di scienze
fisiche, matematiche e naturali \ 10 volumi di Memorie della Classe di
scienze morali, storiche e filologiche.
La quinta serie, infine, comprende gli anni 1892-1910. In essa si tro-
vano: 19 volumi di Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche
e naturali, e 19 volumi di Rendiconti della Classe di scienze morali, sto-
riche e filologiche', 8 volumi di Memorie della prima, 12 volumi di Me-
morie della seconda Classe. In questa sene, che arriva fino agli or volgenti
INTRODUZIONE 11
giorni e non è ancora chiusa, stanno nettamente separate tutte le pubblicazioni
d'indole morale da quelle d'indole fisica. La giovane Classe di scienze mo-
rali storiche e filologiche, dopo pochi anni di vita, è giunta ad ottenere,
anche per le sue pubblicazioni, una completa autonomia. Tenendo conto delVin-
dole diversa delle sue pubblicazioni, essa ha potuto per queste stabilire norme
diverse da quella della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali.
Sono in tutto 156 volumi, che costituiscono un importante contributo
al progresso mondiale della scienza, e che dimostrano una rigogliosa vita
scientifica nel nostro paese. E non pertanto, l'enumerazione delle nostre pub-
blicazioni non è completa. Quelle che abbiamo citato, costituiscono soltanto
la parte normale e ordinaria delle nostre pubblicazioni; ma ve ne sono altre
ancora, di molta importanza, che nou si devono preterire. Sono le seguenti:
a) Pianta di Aoma antica.
b) Codice Atlantico di Leonardo da Vinci.
e) Notizie degli Scavi.
d) Monumenti antichi.
e) Papiri greci.
La prima di queste pubblicazioni, quella della Pianta di Roma antica,
preparata dal Socio Lanciani, ò compiuta da tempo. Lo stesso sì dica del
monumentale Codice Atlantico^ che è completamente finito, meno il grande
indice ragionato, intorno al quale si lavora ancora, e che sarà presto ultimato.
Le Notizie degli Scavi, che prima si pubblicavano unite alle Memorie
della Classe di scienze morali storiche e filologiche, ora, da sette anni, si
pubblicano separatamente, in fascicoli mensili, in seguito ad una conven-*
zione intervenuta fra la Direzione Generale di Antichità e Belle x\rti e
l'Accademia, mercè l'opera di una benemerita Commissione nominata di co-
mune accordo. Esse, come dice il loro nome, portano regolarmente le notizie
degli scavi, che il Ministero della pubblica istruzione fa eseguire in ogni
parte d'Italia; notizie obbiettive, di pura descrizione, lasciando ai numerosi
cultori la libertà di foimulare le loro opinioni e le loro ipotesi sul significato
e sulla portata delle singole scoperte, fatte in questo che è il più importante
e più grandioso osservatorio archeologico del mondo.
La pubblicazione dei Monumenti antichi si è iniziata, si ò svolta e
disciplinata successivamente, ed è ora al XXI volume.
Finalmente, i Papiri greci sono ora al li volume.
12 PIETRO BLASERNA
Dairin8ieme di queste pubblicazioni chiaramente è dimostrata la grande
atti?ità del nostro paese in tutti i rami della scienza. Ma TAccademia dei
Lincei, mentre chiede, e con diritto, che si riconosca la grande parte che essa
ha avuto nel promuovere, nell'incoraggiare e nel dirìgere tale attività, è
aliena dal volersene attribuire il merito esclusivo. Al contrario, essa è lieta
nel riconoscere la notevole parto che vi hanno preso e vi prendono le altre
Accademie e Società scientifiche italiane. La Società italiana delle scienze,
detta dei XL; la R. Accademia di Torino; V Istituto Lombardo di scienze
lettere ed arti; Y Istituto Veneto^ pure di scie me lettere ed arti; V Acca-
demia di Bologna; Y Accademia della Crusca e la Società dei Georgofili,
di Firenze; Y Accademia di scienze^ lettere ed arti^ di Napoli; V Acca-
demia di Palermo e la Società d' Incoraggiamento di Palermo^ e molte
altre minori, hanno raccolto e raccolgono molto materiale scientifico, il quale
va accumulandosi intomo alla sorella maggiore. Fra tutte queste devesi
annoverare in modo speciale la Società italiana per il progresso delle
scienze, che in pochi anni ha già preso un posto assai promettente per la
vita scientifica del nostro paese.
Tutte queste Accademie, Istituti e Società si aggruppano intorno alla
B. Accademia dei Lincei ; e come le principali Accademie del mondo si sono
associate, per mettere in comune la loro competenza ed i loro mezzi finan-
ziari, e per rendere così possibili certi lavori che trascendono la potenzialità di
una singola Accademia, giova sperare e desiderare che le principali fra le
Accademie nostre stringeranno vieppiù i vincoli colla loro sorella maggiore,
per riunire i loro sforzi in un programma comune di scienza e di lavoro.
VL
In tale condizione di cose si trovavano il paese scientifico e l'Acca-
demia dei Lincei, quando mi pervenne Tinvito deiron. Carcano, di mettermi
alla testa della pubblicazione patriottica da lui meditata. L*accolsi con
piacere ed ho già esposto le idee che mi animavano in tale riguardo. 11 mìo
desiderio era ed ò quello, di presentare al paese, in forma semplice ed acces-
sibile a molti, una serie di monografie, affidate a quelle persone, scelte fra le
più competenti, che volessero e potessero in breve tempo assumersi Tinte-
INTRODUZIONE 13
ressante e non facile lavoro. Con tale concetto, e coiraiuto di molti amici
e colleghi, elaborai le segaenti norme che inviavo a tatti gli autori, chie-
dendo la loro opera :
Roma, 8 febbraio 1910,
Norme e considerazioiii generali.
Sotto Talto patronato del Rk, cogli aaspicii del GoTcmo e per cura deirAceademia,
sarà pubblicata, nei primi mesi delPanno venturo 1911, un'opera in tre Yolnmi, contenente,
in 25 relaiioni speciali airincirca, la storia dei progressi raggiunti dal Governo Kaslo-
naie, nelle principali manifestazioni della vita pubblica, dalla proclamazione del Regno
d'Italia fino ad oggi.
È, e deve essere, una pubblicazione a volo d'uccello. Quali erano le condizioni del
nostro paese nel 1861, qnkndo varie sue parti si riunirono a formare il Regno d'Italia;
e quali sono le sue condizioni al giorno d'oggi, rispetto ai singoli argomenti trattati
nelle 25 relazioni sopra accennata?
Ciascuna delle relazioni non può eccedere 50 pagine del formato grande ottavo, pre-
scelto per i « Rendiconti della Classe di scienze matematiche, fisiche e naturali ».
Poche cifre, poche statistiche, pochi nomi tranne i primissimi, linguaggio sereno
e obbiettivo. Nessuno, forse, saprebbe ancora ricordare tutti i ministeri che si sono suc-
ceduti ; ciò che importa conoscere è quel che essi han lasciato di definitivo o di concreto.
La presente opera non può contemplare i progressi conseguiti dal giovane Regno
nella scienza pura. Basta percorrere le molte pubblicazioni dell'Accademia ed altre ancora,
per comprendere quanto i limiti presenti dovrebbero estendersi e come il tempo verrebbe
a mancare. Un rendiconto sull'andamento delle scienze pure assumerebbe un carattere
essenzialmente tecnico, contrario alla presente opera, destinata ad un grande pubblico,
che sia in grado di apprezzare le importanti applicazioni.
Perchè quest'opera possa presentarsi alla festa commemorativa del 1911, è indispen-
sabile che, entro il mese di giugno o di luglio delVanno corrente, le singole relazioni,
pronte per la stampa, siano consegnate o inviate alla Segreteria dell'Accademia. È pure
indispensabile che le bozze siano rivedute dagli autori colla maggiore possibile solleci-
tudine. Il sottoscritto confida nel sentimento patriottico degli autori, i quali vorranno
considerare che il ritardo di uno di essi può fermare tutta quanta la pubblicazione.
Il Presidente
P. BLA8BRNA.
1^ PIETRO BLASBRNA
La corrispondenza, come era naturale, fu lunga, e ne uscì definitiva*
mente il seguente
Elenco dd
Introdazione Senatore Blaserna
1. 2. Storia politica e amministrativa Senatore Ds Cesare
3. Movimento demografico Prof. Bbnini
4. Triangolazione geodetica e carta topografica . . Senatore Cbloria
5. Bilancio e movimento finanziario Deputato Gargano
6. Ferrovie Deputato Carlo Ferraris
7. Banche e commercio airestero Comm. Stringhsr
8. Agricoltura, bestiame e foreste Prof. Valenti
9. Poste» telegrafia e telefonia Prof. Quirino Majorana
10. Trasporti deireuergia Senatore Colombo
li. Chimica industriale Piof. Koerner
12. Geologia e carta geologica Ing. Baldacci
13. Organizzazione militare Senatore Bava Beggaris
14. Marina militare e costruzioni navali Senatore Masdka (*)
15. Marina mercantile Comandante Eonoagli
16. Geografia e viaggi Prof. Milloseyich
17. Preistoria Prof. Pigorini
18. Archeologia Prof. Gatti
19. Meteorologia e geodinamica Prof. Palazzo
20. Biologia . • . Senatore Grassi
21. Emigrazione Prof. Coletti
22. Colonie Colonnello Ademollo
23. Istruzione pubblica e privata Comm. Masi
24. Giurisprudenza e codici Prof. Brugi
25. Previdenza Comm. Besso
26. Statistica criminale Prof. A schieri
27. Beneficenza privata e pubblica Senatore Caravaggio
(') Il compianto Senatore Masdba ha lasciato ben preparato il suo lavoro, cosi che si spera di poterlo pab-
bllcare, completandolo dove sarA necessario.
All'atto pratico, questo programma non subì che leggiere varianti. Al-
cuni autori domandarono di modificare un poco il titolo del loro lavoro
per indicarne meglio il concetto e la portata. Altri mi spiegarono Timpos-
INTRODUZIONE 15
sibilità, in cui si trovavano, di restringere entro le cinquanta pagine pre-
scritte tutta quanta la materia ad essi aflSdata. Altri ancora domandavano
dì rinunziare al loro turno, allo scopo di guadagnare così un mese di tempo
per la redazione definitiva della loro speciale relazione. II prof. B. Grassi,
infine, con un ardimento degno del vasto suo ingegno, interpretò la Biologia
nel modo più largo, ed assunse il ponderoso compito di svolgere da solo un
argomento che avrebbe altrimenti fornito materia di trattazione per tre e
più autori.
Non ho bisogno di dire che tutti questi desideri furono da me soddisfatti.
La grande opera, che per un momento io credetti di poter restringere a due
soli volumi, dovette necessariamente comprenderne tre. Soltanto, non sarebbe
stato possibile, per varie ragioni, di portare a compimento, nel termine pre-
fisso, anche il terzo volume, che sarà distribuito con qualche ritardo. Rinun-
zia!, come dissi, all'ordine stabilito, lasciando airindice di guidare il lettore
nella ricerca degli autori e d^li argomenti.
Pure in così breve tempo. Topera ha dovuto, purtroppo, risentire i tristi
effetti della morte. L'ammiraglio Masdea, Tinsigne costruttore navale, il
quale si era assunto Tincarico di scrìvere sui progressi della marina militare,
morì air improvviso. Fortunatamente, egli aveva già tiacciato le grandi linee
del suo lavoro, di modo che al suo nipote, Ving. Bozzoni, distinto inge-
gnere del Genio navale, potè essere affidato il compito dì portare a fine il
lavoro iniziato.
VIL
Non voglio chiudere questa breve introduzione, senza richiamare rat-
tensione del lettore sul modo in cui Tesecuzione dell'opera fu assicurata dal
Governo. Ebbi Tonore di esporre al Be il patriottico disegno deiron. Garoano.
L'on. Sennino, allora Presidente del Consiglio, ne comprese subito tutta la
portata; egli riconobbe la giustezza della norma fondamentale dell* Accademia,
che ad ogni spesa nuova si debba provvedere con una risorsa speciale, e con
un impegno formale assicurò airAccademia il fondo riputato necessario e suflB-
16 PIBTRO BLASEBNA - INTRODUZIONB
dente per procedere con fermezza nell* esecuzione del non facile lavoro. Questo
impegno, preso dagli on. Sennino e Salandra, fu accolto con favore dall'ono-
revole Tedesco, ministro del Tesoro, il quale ha cercato in tutti i modi,
d'accordo col ministro della Pubblica istruzione, on. Gredàro, di rimuovere
alcune difficoltà, dandole amministrativa, che intralciavano la esecuzione
deiropera. Devo ad essi un pubblico ringraziamento, vivo e caldo.
Ed è così, che, in quest'anno, il quale per natura sua abbonda di discorsi
e di feste patriottiche, ho Tonore di presentare in forma serena e sintetica
un'opera che viene direttamente dal paese che lavora e col suo lavoro assi-
cura l'assetto normale di questo Segno, il quale, cinquanta anni or sono,
pareva mero sogno di fervidi patrfoti.
Roma, 25 mt^gìo 1911.
Pietro Blaberna
Praaidente d«lU B. AoGadoiniA dei LinoeL
SOMMARIO
DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA D'ITALIA
(1861-1910)
Regno di Vittorio Emanuele II.
Il giorno 18 febbraio 1861, in Torino, nella nuova sala del palazzo
Oarìgnano, destinata a raccogliere in ottava legislatura i rappresentanti del
primo Parlamento Nazionale, il Re Vittorio Emanuele pronunziò il memo-
rabile discorso, che, dopo mezzo secolo, non si rilegge senza commozione.
-Quel discorso, che eccitò salve ripetute di applausi e grida entusiastiche,
dopo aver enumerate le nuove fortune politiche e militari dltalia, e ricor-
dato il Capitano « che riemp) del suo nome le più lontane contrade » , si
chiuse con le parole : « questi fatti hanno ispirato alla Nazione una grande
• confidenza nei propri destini. Mi compiaccio di manifestare al primo Par-
« lamento d* Italia la gioia, che ne sente il mio animo di Re e di soldato «.
Le parole di Vittorio Emanuele contenevano una fede ed un augurio.
L'Italia, nei momenti più difScili degli ultimi cinquantanni, non disperò,
anzi trasse dalle sventure e dagli insuccessi nuova forza per compiere la
sua unità politica, per rifarsi via via nel campo economico, amministrativo e
jnìlitare, e divenire, secondo Taugurio di Vittorio Emanuele, guarentigia di
-ordine e di pace, ed efficace istrumento della civiltà universale. In quel
febbraio del 1861, e proprio cinque giorni prima della seduta reale, la fortezza
di Qaeta capitolò ; e i Sovrani di Napoli, che vi si erano chiusi, sostenendo un
lungo e coraggioso assedio, trovarono rifugio a Roma, ospiti del Pontefice
Pio IX, fino al 1870. Non rimaneva che la cittadella di Messina, la quale si
arrese il 13 marzo, vigilia deiraltra storica seduta, nella quale Vittorio
Emanuele II fu proclamato Re d' Italia. Relatore di quel disegno di legge
fu il deputato Giambattista Oiorgini, che scrisse una delle più magnifiche
j>agine del nostro Risorgimento. Se della resa di Qaeta die* l'annunzio Vit-
torio Emanuele ai Senatori e ai Deputati, esprimendo Taugurìo che, con la
Baftablb Db Cbsarb. — Sommarto di séon'a ecc. 1
RAFFAELE DE CESARE
espugnazione di quella fortezza, si chiudeva per sempre la serie dolorosa dei
nostri conflitti civili, Tannunzio della capitolazione di Messina fu inviato al
Governo dal generale Cialdini, espugnatore dei due ultimi baluardi della
potenza borbonica nell* antico Regno di Napoli. Delle varie Signorie della
Penisola non rimaneva che Roma con le quattro provincie rimaste al Papa ;
e Venezia con quelle di sua più antica dominazione.
Nel febbraio del 1861 il ministero italiano era formato così: Cavour,
presidente del Consiglio e ministro degli esteri e della marina; Marco Min-
ghetti, déirinternò; Giambattista Cassinis, di grazia e giustizia; Saverio
Vegezzi, delle finanze; il generale Manfredo Fanti, della guerra; il conte
Terenzio Mamiani, deiristruzionefUbaldino Per uzzi, dei lavori pubblici;
Tommaso Corsi, deiragricoltui-a industria e commercio. Un mese dopo,
al Vegezzi successe Pietro Bastogi ; al Mamiani, Francesco De Sanctis ; al
Corsi, Giuseppe Natoli ; e fu ministro senza portafoglio Vincenzo Niutta, pre-
sidente della Corte suprema di Napoli.
Il ministero non subì altre modifiche sino alla morte di Cavour. Presi-
dente del Senato fu nominato Ruggiero Settimo, capo glorioso della rivolu-
zione siciliana nel 1848, ma che per la gi*ave età non prese mai possesso
dell'altissimo ufBcio; e presidente della Camera venne eletto, nella seduta
del 7 marzo, Urbano Rattazzi, a quasi unanimità di suffragi. La ottava
legislatura subì posteriormente alcune modifiche nelle sue presidenze, onde
a Ruggiero Settimo, morto nel 1863, successe il conte Federico Sclopis, e
poi il barone Giuseppe Manno; e al Rattazzi successero, via via, il Tecchia
e il Cassinis.
In quel primo semestre del 1861, il nuovo Regno d'Italia era stato
riconosciuto dalla sola Inghilterra: e nel suo discorso del 18 febbraio Vit-
torio Emanuele lo notò con viva compiacenza; ma rivelò pure, con nobili
parole improntate di affetto, che, nonostante, da parte della Francia, il rico-
noscimento non fosse ancora avvenuto, ciò non aveva alterato i sentimenti
della gratitudine italiana verso di essa. Il riconoscimento della Francia avvenne
nel giugno successivo, appena dopo la morte di Cavour, quasi volesse Napo-
leone III confortare l'Italia della perdita del suo grande ministro; e tornò
ministro plenipotenziario a Parigi Costantino Nigra, al quale l'Imperatore
aveva detto nella visita di congedo dell'anno innanzi, quando le relazioni
diplomatiche furono interrotte: au revoir, mori cher Nigra. Gli altri rico-
noscimenti vennero a breve distanza; e alla Francia seguirono la Prussia
e la Russia. Al nuovo Re di Prussia Guglielmo, fondatore più tardi della
unità tedesca, Vittorio Emanuele mandò un ambasciatore, in segno di ono-
ranza a lui e di simpatìa verso il suo Regno; e fu il generale Alfonso
La Marmerà. A Cavour non poteva sfuggire la grande analogia storica e
Tidentità degl' ideali e degli interessi politici fra la nuova Italia e la Prussia,
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'iTALIA 8
predestioata a ricostituire anch*es8ft l'unità della nazione tedesca. La Spagna
riconobbe il Regno nel 1865; e TAustria dopo la guerra del 1866, onde Tex-re
di Napoli seguitò ad avere rappresentanza diplomatica presso le due Corti,
lo quali, alla lor volta, furono rappresentate in Roma presso il principe deca*
duto, sino a che il riconoscimento non avvenne..
»
V Le condizioni interne della Penisola, e singolarmente del Mezzogiorno, ^
erano tanto gravi, da rendere verosimile e temuto il pericolo che Tunità. po-
tesse disfì^si. Pericolo maggiore era il brigantaggio, che aveva apparenza pò- \
litica, ma in realtà era guerra di classe, ed effetto dello stato di abbrutimento
dei lavoratori di campagna, e della loro estrema indigenza. La rivoluzione
aveva spezzato quasi ogni vincolo di gerarchia sociale ; i suoi eccessi, inevi-
tabili in ogni cangiamento di governo, ne provocavano altri ; e gli uni e gli
altri degeneravano nel sangue e nella rapina. Se il brigantaggio rispondeva ad
una condizione storica, esso ebbe alcune cause straordinarie che si sarebbero
potute evitare. Lo sbandamento deiresercito borbonico, dopo le varie capi-
tolazioni, e singolarmente dopo quella di Gaeta, ne fu la cagione principale,
onde in breve s'infiltrò e affermò in tutto Tantico Regno, nel tempo stesso che
divampavano le reazioni, con atti di ferocia da parere leggendarii. Il brigan- ^
taggio, come movimento politico, era alimentato da Roma, cioè dalla parte più
turbolenta di quella larga emigrazione di legittimisti e fuorusciti napoletani,
nobili e borghesi, militari ed ecclesiastici, che avevano accompagnato la Corte
e ne invocavano il ritorno. Il governo pontificio e l'occupazione militare fran*
ceso, per fini e interessi diversi, lasciavano fare, mentre il governo italiano era
quasi disarmato, sia per la scarsità delle forze militari, e col pericolo che
r Austria potesse con qualunque pretesto passare il Mincio ; sia per i riguardi che
doveva imporsi come governo civile e parlamentare. Se l'apparenza del bri* .
gantaggio potè* parere politica, singolarmente nell'anno 1861, quando nell'ex-
Regno calavano avventurieri a combattere per la legittimità, la sostanza
ne fu essenzialmente sociale e criminosa. La politica vi entrava solo per as-
sicurare Timpunità ai capi, nonché il frutto delle rapine, quando la restaura-
zione fosse avvenuta, come si era verificato nel 1799. La triste illusione che
Francesco II potesse riprendere il Regno, col brigantaggio e le reazioni, era
alimentata in lui per il primo dai ricordi di quelVanno stesso. L'esempio
del cardinal Ruffo faceva perdere la esatta visione delle cose. Il brigantaggio
fu soffocato, dopo una guerra di circa sei anui, dal valore dell'esercito e dal
patriottismo delle popolazioni, onde son ricche le cronache di quei tempi.
All'assetto sociale e al ripristinamento deirordine pubblico nelle Provincie
più sconvolte venne provvedendo il nuovo Governo, a misura che si fondava
l'impero della legge, e si iniziavano le opere pubbliche.
Né furono queste sole le difficoltà dei primi tempi della nuova Italia.
La rivoluzione non rientrava nel suo letto, ma permaneva coi suoi ideali e
RAFFAELE DE CBSARB
il SUO spirito di avventura. Molti dei suoi uomini maggiori, con Garibaldi
alla testa, accusavano il Governo di non voler compiere il programma
nazionale, liberando Boma dal Papa e dai francesi, e muovendo guerra
air Austria per la liberazione del Veneto. La rivoluzione non poteva darsi
pace che ad essa fosse sfuggita la direzione del movimento nazionale; per
cui le lotte si manifestavano in vario modo, nella stampa, nel Parlamento e
nelle dimostrazioni popolari, e scoppiarono clamorosamente nel non dimen-
ticato duello parlamentare fra Cavour e Garibaldi, nella seduta del 18 aprile
W 1861. Si venne così formando nella Camera dei deputati quella opposizione
permanente, che fu detta di Sinistra, più politica che amministrativa, ingros-
sata alla sua volta da quanti erano malcontenti del nuovo ordine di cose
per cause e interessi diversi, e da quanti s* illudevano che la nuova Italia
avrebbe abolito o diminuito le imposte, o avrebbe distrutto gli abusi dei
vecchi Governi, o tollerato nuovi abusi in nome della libertà. Non era pos-
sibile provvedere a tutte le deficienze economiche e morali, effetto, alla lor
volta, di una situazione nuova nella storia: cinque Stati, diversi di tradi-
zione e anche di razza, che si fondevano in quello, che aveva avuto la dire-
zione del movimento nazionale, col suo Se, con la sua diplomazia, col suo
esercito e un grande ministro. Il malcontento cresceva, e trovava la sua eco
nelle discussioni parlamentari. Il partito della rivoluzione o di azione, come
si chiamò, cercava diffondere questi convincimenti: che Tunità era stata fatta
a beneficio del Piemonte, e che da parte di questo non vi fosse interesse a
compierla; e che un gran paese, privo di mezzi di comunicazione, non poteva
governarsi da Torino, e per ciò essere impossibile rimetter l'ordine pub-
blico. E tali convinzioni mettevano radici in quasi tutte le classi sociali.
Sino a che visse Cavour le difficoltà parevano non insuperabili. Egli aveva
chiara la visione del problema meridionale, e godeva di un'autorità straor-
dinaria nel paese, nel Parlamento e in Europa ; ebbe oppositori, non un vero
partito di opposizione ; governò come volle ; lottò con la rivoluzione, e la vinse ;
lottò con Garibaldi in quella ricordata seduta del 18 aprile, e fece chiamare
all'ordine l'exdittatore. Volle che Boma fosse acclamata capitale d'Italia,
mentre negoziava un accordo col Papa. E poiché era chiara in lui anche la vi-
sione del problema amministrativo, forse non in tutte le sue parti, ma con tutte
le sue difficoltà, lasciò presentare dal Minghetti nella seduta del 13 marzo 1861
due progetti: uno sull'amministrazione comunale e provinciale, e l'altro sulla
amministrazione regionale : progetti non discussi sino a che egli visse, forse
perchè a lui non pareva fossero di sicura efficacia per l'ordinamento intemo del
nuovo Stato, o perchè erano troppo vivaci i dissensi fra la tendenza unitaria e
accentratrice, e quella che voleva dare una ragionevole espansione alle auto-
nomie locali. I progetti erano stati redatti dal Farini l'anno innanzi, e pre«
sentati alla Commissione, che studiava un nuovo ordinamento amministrativo
presso il Consiglio di Stato, e di cui era presidente il Des Ambrois.
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'iTALIA &
Cavour morì quando era ancora necessaria la sua presenza; morì air apogeo
della gloria, e ancora in verde età. L*annunzio della sua morte al Parlamento
fu grandioso e semplice insieme. Non ombra di rettorica, ma commozione
sincera e profonda. Alla Camera dei deputati parlarono il presidente Rat-
tazzi, il ministro deir interno Minghetti, e Giovanni Lanza: nessun altro.
La Camera e il Senato sospesero le sedute per tre giorni; e le bandiere e
le tribune fiirono abbrunate per una settimana. Già fin dal 2 giugno, quando
la malattia del primo ministro non lasciava àdito alla speranza, Vittorio
Emanuele affidò il portafoglio degli esteri al Minghetti, e quello della ma-
rina al Fanti. E spirato Cavour nella mattina del 6 giugno, il Be incaricò
il barone Bettino Ricasoli di comporre il nuovo ministero ; e nuovi ministri
furono il Bicasoli, che prese il portafoglio degli esteri ; il Miglietti. che sue*
cesse nella giustizia al Gassinis; il Menabrea, che andò alla marina, del
qual dicastero Cavour aveva conservato la reggenza sino a che visse ; e Fi«
lippe Cordova, che sostituì Giuseppe Natoli alVagricoltura.
Le difficoltà interne si rendevano sempre maggiori nelle Provincie meri'
dionali, non solo per il crescente brigantaggio, ma per le nuove leggi prO'
mulgate dalle luogotenenze di Napoli e Palermo ; per i primi aggravi delle
imposte, e per F inesperienza dei nuovi governanti, mandati dalle Provincie
settentrionali. A Napoli, sotto la luogotenenza del principe di Carignano, che
aveva per segretario generale il Nigra, furono promulgate le leggi ecclesia-
stiche, proposte dal Mancini ; le quali sollevarono le alte proteste del clero
secolare e regolare, nonché dell'episcopato, e acuirono le ire contro il nuovo
ordine di cose, concorrendo alFinsuccesso delle trattative intavolate a Roma
a mezzo del Passaglia e del Pantaleoni. Nel tempo stesso il Minghetti, ingegno
meravigliosamente duttile, crede* che si potesse riprendere la sua idea con-
tenuta nei due disegni di legge presentati nel marzo, e che erano in sostanza
una specie di mezzo termine, onde non venivano abolite del tutto le autonomie
amministrative regionali, ed erano divisi i Comuni in classi. Con quei pro-
getti, di certo incompleti, ogni regione era formata dalle Provincie che la com-
ponevano storicamente e, piìl, geograficamente, riunite in consorzi obbligatori
per le opere relative agristituti di istruzione, agli archivi, alle accademie e ai
lavori pubblici per strade, ponti, argini, fiumi e torrenti. Ad ogni regione era
dato un governatore con una Commissione eletta dai Consigli provinciali, ai
quali competeva la facoltà di far regolamenti per le colture irrigue e Teser-
cizio della pesca e della caccia. Ma i progetti non ebbero fortuna negli Uffici,
sempre nel timore o pregiudizio che potessero servire a indebolire l'unità.
Giovanni Barracco, uno dei pochi e gloriosi superstiti di quella Camera, cercò
dissipare le prevenzioni degli avversari, e disse : « le unità, se politicamente
« resistenti da principio, saranno via via spazzate dal grande sentimento
ft unitario : si tratta, in sostanza, di allattare le provinole, dando loro un'auto*
6 RAFFAELE DE CESARE
t/*:
« Domia tutta amministrativa e necessaria in un paese, che non fu mai unito,
« come il nostro «» . La relazione del Tecchio, a nome di una Commissione di
ventisette membri, li seppellì, costringendo il Minghetti a ritirarsi. I progetti
incontravano le più forti resistenze nei fautori più caldi delVunità politica, i
quali temevano che potessero tener vivo il ricordo dei vecchi Stati, ed essere
pericolosi al consolidamento dell'unità nazionale. Un libro polemico di
Luigi Carbonieri, avvocato di Modena e già deputato nella legislatura prece-
dente, contribuì al naufragio del progetto delle regioni. Per effetto, invece, delle
nuove leggi accentratrici, si vennero iniziando le più stridenti contraddizioni e
ingiustizie, che generarono veri disastri amministrativi, ai quali si cercò ri-
y^parare, ma assai tardi, con leggi speciali e regionali. Con grave offesa della storia
e della geografia, il più umile Comune, perduto tra i monti e le valli della
Calabria e della Sicilia, ebbe lo stesso trattamento delle più progredite città.
Si aggiunga che per ogni mediocre provvedimento si doveva far capo al go-
verno centrale di Torino, con grave perdita di tempo, perchè le rapide comu-
nicazioni erano ancora un sogno, e la rete telegrafica appena allMnizio.
Alle difficoltà amministrative per il ministero Bicasoli si aggiunsero le
parlamentari e le diplomatiche. Morto Cavour, la grande maggioranza della
Camera, che riponeva illimitata fiducia in lui e Taveva gagliardamente sor-
retto nella lotta con Garibaldi, cominciò a screpolarsi. Il Rattazzi, il quale,
vivo Cavour, pur mostrandosi non tenero di lui, non osò insorgergli contro,
si venne via via accentuando come oppositore, raccogliendo intorno a so i
vecchi avversari di Cavour, gli elementi fluttuanti di ogni assemblea politica,
e infine i membri del partito di azione, con Garibaldi alla testa, desiderosi
questi ultimi che un ministero debole loro permettesse di compiere il pro-
gramma nazionale rivoluzionariamente. D'altra parte, se l'Impero francese
avea riconosciuto il Regno d*Italia, non si mostrava favorevole al Ricasoli, so-
prattutto nella questione romana, che il Ricasoli tentava risolvere, non trat-
tando con la Corte pontificia direttamente, come aveva preferito Cavom*, ma
con la mediazione dell'imperatore Napoleone. Il contenuto delle trattative era
identico a quello di Cavour : ottenere che il Papa rinunciasse spontaneamente
al potere temporale, e consentisse che Roma fosse la capitale d'Italia, mentre
l'Italia garantiva al Papa l'assoluta indipendenza sua e della Chiesa, e conce-
deva alla Santa Sede onori e appannaggio. Le trattative di Cavour ebbero
varie fasi e parecchi intermediari ; quelle del Ricasoli, nessun vero e proprio
intermediario, perchè egli trattava mercè il nostro ministro a Parigi. I nego-
ziati fallirono, dichiarando l'Imperatore di non volerne sapere, o perchè non
avesse fiducia nel Ricasoli, ritenendolo non abbastanza pieghevole, o perchè
non vedesse ancora opportuno il richiamo delle tinippe francesi da Roma. E
poiché il Ricasoli si sentiva diminuito di autorità, insidiato da ogni parte,
e, si diceva, anche a Corte, mandò nel marzo del 1862 le sue dimissioni al
Re, che le accettò, incaricando il Rattazzi di formare il nuovo ministero.
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'ITALIA
Questo non uscì tatto dalla maggioranza cavouriana. Il Battazzi, oltre alla
presidenza, tenne per sé il ministero dell'interno; affidò gli esteri al gene-
rale Giacomo Durando; la giustizia, prima al Cordova e poi al Conforti; le
finanze al Sella; la guerra al Petitti; la marina al Persane; la istruzione, prinoùi
al Mancini e poi al Mattencci; i lavori pubblici al Depretis, e ragricol-
tura al Popoli. Dei nuovi ministri, il più accentuato di Sinistra era il
Depretis, antico mazziniano e poi querulo avversario di Cavour nella Gamem
subalpina. Era egli che suscitava le maggiori diffidenze nella antica maggio-
ranza cavouriana, onde dal primo giorno un forte nucleo di deputati di Destra
si affermò contro il ministero. Erano ottanta, con a capo Giovanni Lanza.
Si diceva che il Popoli garantisse al nuovo gabinetto la benevolenza
di Napoleone IH, del quale era cugino. Il Cordova aveva fatto parte del
ministero Ricasoli, e la sua permanenza nel ministero Battazzi fu severa-
mente giudicata, così che fu costretto a cedere il portafoglio a Baffaele Con*
forti. Il nuovo ministero veniva su con Tappoggio del partito della rivoluzione,
che sperava guidarlo e dominarlo ; o paralizzarne razione, quando sì fosse op-
posto al movimento per compiere il programma nazionale, movendo guerra al-
TAustria, o tentando un colpo di mano su Roma, con Garibaldi inquieto è
impaziente. Il Battazzi, a sua volta, riteneva di poter rimanere egli Tarbitro
della situazione, e servirsi di quel partito per necessità parlamentari, tenuto
conto del contegno non favorevole della Destra. Cominciarono gli equivoci;
ripresero le agitazioni ; Garibaldi tornò sul continente e si aprirono i primi
comitati di arrolamento. Il ministero lasciò fare. A Sarnico convennero volon-
tari in gran numero; e solo quando si disponevano a passare la frontiera,
furono arrestati e disarmati. Il movimento parve represso, ma risorse con
maggiore intensità nel luglio successivo, non più col proposito di muover
guerra all'Austria, ma di tentare un'impresa su Boma, al grido, non più
di tt Italia e Vittorio Emanuele » ; ma di • Roma o morte « .
Garibaldi scese in Sicilia, e si pose a capo della sommossa, raccogliendo
uomini ed armi. Parecchi ufficiali deiresercito abbandonarono le file e corsero
a lui. Il ministero non osava affrontare il movimento; e benché questo assumesse
sempre più il carattere di una vera insurrezione, lo lasciò ingrossare al punto
che Garibaldi, dopo avere attraversato quasi tutta la Sicilia, sbarcò in Calabria
con circa quattromila uomini di sue milizie, avviandosi a brevi tappe verso
Napoli e Boma. Il pericolo apparve allora in tutta la sua gravità. Garibaldi
invitava i suoi capitani del 1859 e 1860 a unirsi a lui, ma né Cosenz, né
Bixio, né Medici, né Sirtori, né Cadolini risposero all'invito; e Donato Mo-
relli, già suo governatore a Cosenza, gli scrisse una nobile lettera per dis-
suaderlo dairimpresa. Fu inutile. La sommossa straripava, e l'antico Begno era
per andare in fiamme. Nello stesso tempo il governo francese protestava e mi-
nacciava : sicché divenne dolorosa necessità arrestare la rivoluzione con la forza ;
6 RAFFAELE DE CESARE
iniziare la guerra civile ; tirare su Garibaldi e ferirlo ; condurlo prigioniero ;
arrestare i suoi militi, e tutto questo dopo un fiero proclama di Vittorio Ema-
nuele, la dichiarazione dello stato di assedio, e l'arresto a Napoli di tre
deputati, i quali tornavano di Sicilia. Aspromonte fu la tappa più triste
del movimento nazionale. Sì sarebbe potuto evitarla, ma non se ne ebbe
il coraggio. Fu il frutto di equivoci parlamentari, e anche di legittime illusioni
da parte delle popolazioni, le quali credettero, fino al giorno del proclama
del Re, che il Governo fosse di accordo con (Garibaldi.
Alla riapertura della Camera, dopo vivacissimi dibattiti, il Rattazzi
pronunziò un discorso più abile che persuasivo, tentando la sua difesa. Egli
sostenne che aveva voluto seguire una politica di conciliazione col partito
di azione; che non aveva potuto frenare gli arrolamenti, perchè la legge, che li
vietava, era andata in vigore solo alla fine di luglio, e che il marchese
Giorgio Pallavicino fu da lui mandato prefetto a Palermo, per un atto
di conciliazione, essendo egli conosciuto come intimo amico di Garibaldi ; e
che infine aveva fatta concedere dal Re un*ampia amnistia. Si difese animo-
samente, attaccando gli avversari di Destra più che non quelli di Sinistra, e
dichiarò che il ministero preferiva dimettersi, anziché cadere sotto un voto,
che avrebbe consacrato un'anomalia parlamentare: conservatori e rìvoluzio-
nart, com'egli disse, uniti insieme per rovesciare un ministero, che aveva con
mano ferma ristabilito Tordine e domata la rivoluzione.
Luigi Carlo Farini formò il nuovo Governo con elementi presi in gran
parte dagli oppositori di Destra, che si erano affermati fin dal primo giorno
contro il Rattazzi; e fu un ministero di pura Destra. Airinterno andò il
Peruzzi, con Silvio Spaventa segretario generale ; agli esteri Giuseppe Pasolini,
con Emilio Visconti-Venosta ; Giuseppe Pisanelli alla giustizia ; il Mìnghetti
alle finanze ; il Della Rovere alla guerra ; il Ricci alla marina ; Michele Amari
alla istruzione; il generale Menabrea ai lavori pubblici, e Giovanni Manna
all'agricoltura. Per grave infermità mentale, il Farini fu sostituito, tre mesi
dopo, dal Minghetti ; poi il Pasolini dal Visconti-Venosta ; e il Ricci, prima
interinalmente dal Menabrea, e poi definitivamente dal generale Efisio Cugia.
Degli uomini maggiori della deputazione piemontese non entrò nessuno nel
ministero ; e fu un errore, perchè il Lanza e il Lamarmora tennero dal primo
giorno un contegno, se non di diffidenza, di grande riservatezza. Il Lamar-
mora sì ritirò da prefetto di Napoli.
Il nuovo ministero si mise all'opera con molta buona volontà ; e uno dei
suoi primi atti fu una sottoscrizione nazionale per le vittime del brigantaggio,
cui seguì una Commissione parlamentare d'inchiesta, per accertare le cause di
esso e proporre ì provvedimenti adatti. Era da tutti riconosciuto che coi mezzi
ordinari non se ne potesse ottenere T estirpazione; ma quando se ne usciva,
per fatalità delle cose, erano altissime le proteste nella Camera dei depu-
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA D ITALIA »
tati e nei giornali di Sinistra. La Commissione d'inchiesta venne composta
da deputati di ogni colore, e alcuni di grande autorità. Il Sirtori ne fu il presi-
dente, e Giuseppe Massari il relatore. Il Bixio, il Saffi, il Morelli, T Argentino,
il Oiccone e il Romeo ne furono membri. La relazione del Massari rimane
il più esatto studio di quel fenomeno. La Commissione proponeva leggi di
miglioramenti economici, ed una legge speciale di pubblica sicurezza. Venne V^
riconosciuto che il brigantaggio trovava nelle condizioni economiche, mo-
rali e sociali del Mezzogiorno, un ambiente, che ne rendeva impossibile
la distruzione coi mezzi ordinari ; ma non si riconobbe egualmente che, se da \/
una parte era alimentato dalla cospirazione borbonica di Boma e dai legitti-
misti stranieri, dallaltra vi concorrevano le delusioni che procurava il nuovo
regime in fatto di pubbliche gravezze. Queste andavano raggiungendo una
misura, che Tantico Segno, poverissimo, non poteva sopportare.
Il prezzo del sale, che, con decreto di Garibaldi del 16 settembre 1860,
era stato portato a grana sei, dopo essere stato ridotto in Calabria a grana
quattro, salì a quaranta centesimi ; la fondiaria venne aumentata di un primo
decimo, e poi di un secondo ; e sostituendo, senza attenuazioni, alle antiche
tariffe proibitive, le tariffe liberali, le poche fabbriche industriali del Liri, del
Samo, dell'Imo, e varie presso Napoli furono sopraffatte dalla concorrenza e
ridotte a mal partito. Si aumentò la tassa del bollo e quella del r^istro, che
erano minime; si minacciavano la tassa di successione e di ricchezza mobile; ma
quel che fu peggio, ad un sistema di amministrazione, che il più semplice non
era possibile immaginare, né a Napoli soltanto, ma negli altri quattro Stati, se ne
venne sostituendo uno complicatissimo, stranamente fiscale e vessatorio come
era il piemontese. In paesi, le cui leggi amministrative eran poche e sem-
plici, come a Napoli, a Firenze, a Roma, a Parma e a Modena ; e che tolle-
ravano le vecchie Signorie perchè facevano pagar poco, le nuove leggi tribu-
tarie dovevano produrre malcontenti infiniti, e spostamenti di interessi e di
abitudini, singolarmente nel Mezzogiorno. Si aggiunga il corso della rendita
pubblica, già superante la pari, caduto sotto il 70. Il partito di Destra,
essenzialmente politico, ebbe il merito e la gloria di unire e tenere insieme
il nuovo Stato, attraverso difficoltà infinite; ma rivelò nel campo ammi-
nistrativo una vera inconscienza, a confessione dei suoi migliori uomini. Il
problema amministrativo quasi non lo vide. Si sarebbe potuto procedere per
gradi, ispirandosi alle condizioni reali e storiche dell'Italia; ma le preoccu-
pazioni politiche e finanziarie, e il pregiudizio quasi giacobino di far leggi
organiche uniformi, fecero perdere la visione della realtà, e si seguitò con
gli stessi sistemi aprioristici, quasi fino al giorno in cui quel partito
cadde dal potere. Occorrevano più di quarantanni di tristi esperienze, per
dover tornare sopra a tante leggi sbagliate, e tenendo qualche conto della
esperienza, e singolarmente a quella comunale e provinciale, e poi alla elet-
torale, e volendo tacere delle leggi d'imposta, che formarono un vero labi-
10 RAFFAELE DE CESARE
^^rinto. Occorre ricordare die, essendo stata concessa ai piccoli Comuni la più
ampia libertà di governarsi da sé, senza tutela concludente da parte dello
Stato, essi si abbiandonarono alle tendenze più pazze, per compiere opere più
di lusso 0 superflue, che non di vera urgente utilità. E avvenne che si co-
prirono di debiti, elevarono la imposta fondiaria al massimo, distrussero i
boschi di loro proprietà, o alienarono terre, distribuendole ai nullatenenti.
Nell'aprile del 1861 il disavanzo era di 314 milioni, e si cercò rimediarvi
con un primo prestito di 500 milioni; ma occorsero tredici anni di sacri-
fìzii veramente eroici, prima che il pareggio fosse raggiunto.
Ma necessità imprescindibile di esistenza era rimettere Tordine. Ad
iniziativa di parecchi deputati, di accordo col ministero, fu approvata, dopo
r inchiesta, una legge eccezionale per combattere il brigantaggio : legge che
prese nome dal deputato Pica, che la svolse, e della quale fu affidata Tesecu-
zione al giovine generale Emilio Pallavicini, che sotto molti rapporti richiamò
alla memoria il generale Hoche, pacificatore della Yandea. In meno di cinque
anni, il grande brigantaggio, cui la legge eccezionale privò dei suoi manuten-
goli mandati a domicilio forzoso, fu distrutto. Restò il piccolo malandrinaggio,
soprattutto in Sicilia ; ma bastavano le leggi ordinarie. Fu questo il maggior
merito del ministero Minghetti, il quale affrettò pure la costruzione delle fer-
rovie meridionali, delle quali aveva ottenuto la concessione, durante il mini-
stero Battazzi, Pietro Bastogi, d'iniziativa e volontà della Camera, onde più
tardi, nel 1864, era stata provocata una inchiesta parlamentare, che colpì il
Bastogi stesso ed altri deputati, che in quella concessione avevano avuto
mano. Una grande linea di circa 900 chilometri, da Bologna a Otranto,
e di altri 200 circa da Napoli a Foggia, per Benevento: lunghe linee com-
piute in pochi anni, e alle quali seguirono costruzioni minori e quella impor-
tantissima da Napoli a Taranto, squarciando la Basilicata. Nel novembre
del 1863 Vittorio Emanuele inaugurò il primo tronco da Ancona a Foggia.
Non poche difficoltà parlamentari travagliarono la vita di quel ministero.
Nel dicembre del 1863 Garibaldi si dimise da deputato, per fare atto di ostilità
al Governo e di protesta contro Napoleone III, e incitando i suoi amici a se-
guirne Tesempìo. Si dimisero quasi tutti i deputati del partito d'azione, tranne
il Crispi, che in una lettera di recente pubblicazione, diretta al barone Vincenzo
Favara, die* conto del suo rifiuto con parole piuttosto severe per Garibaldi.
Ma la questione di Roma appassionava molta parte del paese. Non si re-
putava sicura l'unità, fino a quando fosse lecito ai Borboni ed ai loro parti-
giani di cospirare, sotto la protezione del governo pontificio e delle armi fran-
cesi. Al Minghetti, bolognese e già ministro di Pio IX nel periodo costi-
tuzionale, assai coceva il desiderio di riprendere i negoziati per la questione
romana. Le relazioni fra il Governo italiano e il francese erano divenute migliori,
per la politica assennata del ministero, e per l'opera efficace del conte Fran-
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA D'ITALIA H
Cesco Àrese presso Napoleone III. Il Minghetti e il Visconti-Venosta decisero di
fare i primi passi ?erso l'Imperatore, che si mostrò disposto benevolmente.
Egli riconosceva essere causa d'imbarazzi per la Francia queiroccupazione, ma
non voleva buttare il Papa in balìa della rivoluzione, né tollerare che gli
Tenisse strappato quell'ultimo resto di territorio, che il Ooverno italiano
avrebbe invece, secondo lui, dovuto garantirgli. Con tali disposizioni dell'Im-
peratore non era difiBcile venire ad una possibile intesa, agevolata dall'opera
di Gioacchino Popoli, il quale, recandosi nell'estate di quell'anno a Pietro-
burgo dove era ministro, e passando da Parigi, era stato invitato dall'Impe-
ratore a passare qualche giorno a Fontainebleau, dove era pure il Nigra.
Nelle istruzioni date dal Minghetti e dal Visconti al Pepoli, non entrò in
alcun modo la condizione del trasporto della Capitale da Torino, come mag-
giore garenzia per la Francia e per il Papa. Fu V Imperatore a volerla per dar
maggior affidamento ai cattolici francesi, o fu il Pepoli a proporla? È un dato
storico non bene accertato. Al ministero la condizione venne dichiarata come
imprescindibile; e il ministero Faccettò, pur non nascondendosi le gravi diffi-
coltà alle quali si andava incontro, e che si avverarono, appena la cosa fu
nota, con i tumulti sanguinosi di Torino nelle giornate del 21 e 22 settembre,
provocati dalla condotta dissennata di quel municipio, dalla imprevidenza
del ministero, e dalla convinzione che il Re fosse contrario al traspoi*to della
Capitale. Vittorio Emanuele, difatti, seppe della Convenzione dopo che fu
tutta imbastita; e il Minghetti, nel suo documentato libro sull'argomento
riferisce il vivacissimo colloquio avuto col Be, dopo avergli annunziato che,
per effetto della Convenzione, Firenze sarebbe divenuta la Capitale del Regno.
È noto che, dopo le giornate di settembre, a placare l'opinione pubblica a
Torino, Vittorio Emanuele, di sua autorità, depose il ministero.
La Convenzione, che, essendo stata firmata il 15 settembre, portò quel
nome, venne accolta assai bene nel resto d'Italia; e a Milano e Napoli furono
pubbliche manifestazioni di plauso. Per effetto di essa le truppe francesi ab-
bandonavano Roma, e il Papa veniva posto, con i propri mezzi di difesa, in
conspetto dei suoi sudditi. Trasportandosi la Capitale a Firenze, veniva à
cessare la causa prima del malcontento; il Ooverno italiano si impegnava,
e questo era il punto più difficile, a garantire la integrità del territorio
pontificio, e ad impedire che la rivoluzione in qualunque forma vi pene-
trasse, mentre la Santa Sede rimaneva estranea alla Convenzione, che con*
teneva in so molti dubbi e perìcoli.
Del nuovo ministero, il Lamarmora ebbe la presidenza e gli esteri ; Gio-
vanni Lanza Tinterno ; Giuseppe Vacca, e poi Paolo Cortese, la giustizia ; Ste-
fano Jacini i lavori pubblici; Quintino Sella le finanze; Giuseppe Natoli
l'istruzione; il generale Petitti la guerra; il generale Diego Angioletti la
marina, e Luigi Torelli Tagricoltura. Il ministero cercò dì metter pace fra
^2 RAFFAELE DE CESARE
i Yarì elementi della vecchia maggioranza, ma non vi riuscì, perchè gran
parte della deputazione piemontese, malcontenta per il trasporto della Capi-
tale, inclinava manifestamente a Sinistra. La Convenzione fu eseguita con
grande lealtà dal ministero, benché il Lamarmora, il Lanza e il Sella non ne
fossero entusiasti. Quel ministero ebbe il merito di promulgare il codice ci-
vile, in gran parte apparecchiato dal ministero precedente ; la legge sul con-
tenzioso amministrativo ; quella sulle opere pubbliche e sulle espropriazioni
per causa di pubblica utilità; e presentò varie leggi di finanza, compresa
quella del macinato, tutte dirette a colmare il disavanzo, che nella esposizione
finanziaria del 6 novembre 1864 il Sella dimostrò ascendere a 316 milioni.
E volendo egli che Tesempio del sacrifizio venisse dairalto, persuase il Re
a rinunziare a tre milioni della lista civile, nel tempo stesso che i ministri
riducevano i loro stipendi. A causa dei gravi tumulti avvenuti a Torino, in
occasione del ballo dato dal Re la sera del 30 gennaio 1865, — tumulti che
il ministero non aveva saputo prevenire, né reprimere, — il Lanza dette le
dimissioni, le quali non furono accettate: ma le ripetette nelV agosto per dis-
sensi col Sella. Gli successe il Natoli.
Nel settembre dello stesso anno fu sciolta la Camera dei deputati. Le
elezioni generali riuscirono disastrose alla vecchia Destra, nelle Provincie
meridionali. Caddero Carlo Poerio, Giuseppe Massari, Ruggiero Bonghi,
Giuseppe Pisanelli, Francesco de Sanctis, Sigismondo Castromediano, Oronzo
de Donno, Saverio Baldacchini, Francesco Antonio Mazziotti, Nicola Schiavoni,
e Michele Pironti. Alcuni trovarono posto via via in altri collegi, o in Senato.
Prevalsero in quelle Provincie i così detti « uomini nuovi « , che Massimo
d'Azeglio aveva evocato, facendosi molte illusioni, ma prevedendo anche la
incipiente degenerazione del sistema elettorale. D'Azeglio scrisse un opuscolo,
che venne alla luce a Firenze nell'agosto del 1865, e nel quale parlò della
necessità che la nuova Camera intendesse e curasse gli affari più che la
politica. Il ministero preferì la riuscita di questi uomini nuovi, illudendosi di
trovarli della stessa fede nell'amore della cosa pubblica, e della stessa yirtil
di sacrifizio nell'affrontare la impopolarità cagionata dalle nuove imposte.
Da quelle elezioni la Sinistra uscì rafforzata di numero.
Il Parlamento si aprì a Firenze il 18 novembre nel salone dei Cinquecento,
in Palazzo Vecchio. Vittorio Emanuele disse: « nella città, che seppe custodire
« i destini dell'Italia nella ricrescente sua fortuna, le mie parole furono mai
« sempre d'incoraggiamento e di speranza ». Accennò poi alFinsuccesso dei
negoziati con Roma, obietto della missione Vegezzi, e dichiarò che si do-
vettero troncare « quando ne potevano restare offesi i diritti della Corona e
« della Nazione ». E dopo aver detto che la forza ineluttabile degli eventi
avrebbe sciolto le vertenze fra il Regno d'Italia e la Santa Sede, aggiunse:
« a Noi pertanto incombe questa fede alla Convenzione del 15 settembre, cui
« la Francia darà pure, nel tempo stabilito, esecuzione completa «. Unico ac^
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA D*ITALIA IB
cenno, che ebbe interpretazioni diverse, anche perchè vi fecero sèguito le pa-
role: «la virtù dell'aspettare è oggidì, più che pel passato, resa agevole
K airitalia «. Annunziava i riconoscimenti, che la Spagna e quasi tutti gli
Stati d'Europa e delle Americhe avevano fatto del nuovo Regno; prometteva
altre leggi per dare compiuto assetto airunificazione legislativa e nuova
spinta ai lavori pubblici e per migliorare il credito; annunziava maggiori sa-
crifizi ai contribuenti, ma raccomandando di ripartire gli oneri nel modo
più equo e men gravoso possibile. Annunziava infine la separazione dello
Stato dalla Chiesa e la soppressione delle corporazioni religiose. Il discorso
ebbe accoglienza non entusiastica. Seguì un periodo fecondo di riforme legisla-
tive, nelle quali si distinsero particolarmente i ministri Jacini, Sella e Torelli.
Il ministero Lamarmora si modificò sostanzialmente nel dicembre 1865: al
Natoli fu sostituito Desiderato Chiaves ; a Paolo Cortese, Oiovanni de Falco ;
al Sella, Antonio Scialoja; al Petitti, il generale Di Pettinengo ; al Natoli,
Domenico Berti, e ne uscì anche il Torelli, sostituito dal Berti sino alla nuova
e più radicale crisi del giugno del 1866, quando scoppiò la guerra. Il mi-
nistero aveva chiesto che i nuovi provvedimenti finanziari, raccolti in uno di
quei così detti omnibu$^ che erano il terrore dei contribuenti, fossero sottoposti
alV esame non degli UfBcì, ma di una Commissione straordinaria di quindici de-
putati eletti dalla Camera. La qual Commissione ebbe celebrità, perche compì
il suo ufficio con sollecitudine e indipendenza; ritoccò e attenuò i provvedi-
menti, che si risolvevano in nuovi aggravi, ma respinse la tassa sui tessuti,
che il Sella proponeva. La Commissione era formata dalle maggiori autorità
in fatto di finanza, e ne fecero parte i deputati Cordova, Depretis, Casaretto,
De Cesare, De Luca, Correnti, Vincenzo Ricci, Rattazzi, Crispi, Devincenzi,
Lanza, Minghetti, Sella, Mordini e Musolino. Il Minghetti ne fu il presidente
e il relatore.
Al ministero Lamarmora non era ignoto il pensiero del governo prus-
siano e del suo primo ministro, di sostituire la propria egemonia a quella
deir Austria nella confederazione Germanica ; sostituirsi all'Austria, avviando
gli Stati tedeschi all'unità dell' Impero. Quell'analogia di sentimenti e di
interessi fra le due nazioni, che Cavour aveva veduto fin dal 1861, apparve
manifesta alla mente del primo ministro del Re di Prussia. Ma le difficoltà
da superare non erano poche; maggiori le diffidenze fra i due Governi, più che
fra i due popoli, alimentate dalle rispettive diplomazie. Ma poiché un grande
interesse s'imponeva, e premeva al conte di Bismarck venire a pronta conclu-
sione, e al Governo italiano di acquistare la Venezia, il ministero, in pieno
accordo col Re, mandò a Berlino il generale Giuseppe Govone, al quale il
Lamarmora die' istruzioni minute e precise. Il Govoue vide Bismarck il 14
marzo per la prima volta, e il giorno 8 aprile fu sottoscritto un trattato
offensivo e difensivo, seguito da una convenzione militare. Nonostante il trattato,
14 RAFFAELE DB CESARE
le difficoltà, alle quali andavano incontro i dae Groverni, aumentavano per effetto
del contegno ambiguo dell'imperatore Napoleone, indeciso tra la Prussia e
l'Austria, ma disposto a benevolenza verso di questa; non favorevole alla
guerra, ma non risoluto ad opporvisi ; favorevole al trattato di alleanza, ma
non per venire alle armi. Egli vagheggiava una. soluzione pacifica, per la
quale l'Austria potesse cedere all'Italia il Veneto, e la Prussia avere i
Duoati dell'Elba o altro piccolo Stato, mentre lasciava intendere, senza
determinazione d' idee, la convenienza di un compenso alla Francia, dandole
il Belgio 0 la Svizzera francese. Napoleone, circondandosi di silenzio, si
lasciava variamente penetrare, mentre il Re Guglielmo, dopo sottoscritto il
trattato, esitava a rompere le ostilità, giudicando la guerra all'Austria quasi
guerra civile; e chiedeva almeno che l'Italia fosse prima a scendere in
campo. La volontà di Bismarck trionfò, ma dopo non pochi ^conforti da parte
sua, così come era avvenuto a Cavour nel 1859. Il lavoro della diplomazia
prussiana fu più arduo di quello della diplomazia italiana, la quale era
ispirata al concetto che la guerra si facesse, consenziente la Francia, mentre
di tal consenso non mostrava troppo occuparsi la diplomazia prussiana, benché
solo in apparenza. La guerra cominciò due mesi dopo che il trattato era
stato sottoscritto; e T Italia fu prima ad attaccare.
Pochi giorni avanti che scoppiassero le ostilità, il ministero si modificò*
Lamai'mora, nominato capo dello stato maggiore, restò ministro al campo
senza portafoglio; Visconti-Venosta, chiamato da Costantinopoli dov'era mi-
nistro, ebbe il portafoglio degli esteri; Bicasoli, dell'interno; Depretis, della
marina ; Cordova, dell'agricoltura ; Borgatti, della giustizia. Dei vecchi ministri
restarono Scialoja, Di Pettinengo, Berti e Jacini, sostituiti nel febbi-aio 1867
dal Depretis, che passò alle finanze, da Giuseppe Biancheri, che andò alla ma-
rina, da Cesare Correnti, da Giuseppe Devincenzi e dal generale Cugia, che
andarono rispettivamente all'istruzione, ai lavori pubblici e alla guerra.
La guerra non fu fortunata per l'Italia, benché non si possa veramente af-
fermare che l'esercito e l'armata siano stati sconfitti. Il generale Lamarmora
perdette la testa ; altri comandanti non fecero il loro dovere, e così il grosso
dell'esercito rimase inerte durante la battaglia. E il capo supremo dell'ar-
mata, dopo un combattimento durato meno di due ore, rivelò tale pro-
fonda inconscienza, da tel^rafare rettoricamente di essere rimasto « padrone
delle acque « , mentre rimase immobile per molte ore dopo la zuffa, inviando
ordini incomprensibili ai comandanti delle navi, rifuggendo di dar l'esempio
col mettersi alla testa della flotta e inseguire il nemico, e tornando l'in-
domani in Ancona, dopo aver seppellito nell'Adriatico due delle migliori
navi, e, con esse, circa un migliaio di giovani vite! L'insuccesso lo provocò lui>
per incapacità e viltà. Il Senato, raccolto in Alta Corte di giustizia, escluse
la viltà, ma lo condannò come incapace. Il Persane perdette grado e repu-
tazione, e morì nell'oblìo, sotto il peso di una delle più grandi respon-
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA DITALIA 15
sabilità storiche. Però la responsabilità di Lissa non rimonta a lui soltanto, ma
a chi lo volle capo supremo delFarmata, e più ancora a chi ve lo tenne, dopo che
si era mostrato riluttante ad afl&ontare il nemico nella temeraria dimostrazione
del 27 giugno, che quegli fece nelle acque di Ancona. Il Persano si decise
a muoversi, solo quando vi fu costretto da un ordine perentorio, venuto da
Ferrara, dove si era riunito il Consiglio dei ministri sotto la presidenza del Re :
ordine che il Depretis andò a portargli in Ancona il 15 luglio, e che consisteva
nel consigliargli T impresa di Lissa: impresa dissennata, trattandosi di mandar
la flotta a sciupare la propria energia contro le batterie di un'isola rocciosa
e ben fortificata, di accesso difficilissimo e d'importanza strategica più
ohe dubbia.
Qui bisogna ricordare che, dopo 1* insuccesso di Custoza, il paese chie-
deva a buon diritto una rivincita, e la chiedeva la nazione alleata, le
cui sorti guerresche- procedevano di vittoria in vittoria. In Prussia cominciò
a insinuarsi il sospetto, che queirarrèsto di azione militare da parte nostra
simulasse un accordo segreto con la Francia, per cui non dovesse Tltalia com-
battere seriamente, per lasciare all'Austria la libertà di piombare con tutte
le sue forze sulla Prussia, e schiacciarla. I sospetti ingiuriosi e mal fondati
furono fatti palesi in pubblicazioni quasi ufficiali, e sollevarono polemiche e
proteste da parte del Lamarmora, singolarmente preso di mira. Se Sadowa
aveva deciso le sorti della campagna in Boemia, e l'avanguardia dell'esercito
prussiano era quasi in vista del campanile di Santo Stefano, la guerra non
era finita, accingendosi T esercito vincitore a marciare su Vienna; e quando,
airindomani doUa grande battaglia, fu comunicata ai due campi la proposta
francese di una sospensione di ostilità, cedendo l'Austria all'imperatore Na-
poleone la Venezia, fu immenso lo stupore. La Prussia concluse l'armistizio il
giorno 22 luglio a Nìkolsburg, ma senza darne avviso alla potenza alleata, la
quale si trovò per alcuni giorni nel tormentoso bivio di dover far altrettanto, o
continuare la guerra da sola. Vi era una corrente assai forte nello spirito pub-
blico, che voleva la continuazione della guerra; e si assicurava che a tale
opinione inclinasse il Bicasoli. Fu per questo che si era imposto al Peraano di
uscire dalla sua paurosa immobilità. Una vittoria sul mare, distruggendo i
sospetti della nazione alleata, avrebbe messo l'Italia in condizioni favorevoli
per trattare la pace, nel tempo stesso che il Cialdini marciava nel Veneto e
Oaribaldi nel Tirolo. Ma Tesito sfortunato di Lissa affrettò la conclusione
degli armistizi; e la tregua fra 1* Italia e l'Austria, che scadeva agli 11 di
agosto, venne prorogata di quattro settimane, fino alla pace definitiva. Alla
divisione Medici, che si era spinta sino a Primolano, si ordinò di tornare
indietro; ed egual ordine fu inviato a Garibaldi, che marciava da Bez-
zecca sopra Trento. Egli rispose col famoso « obbedisco y» . L' Italia ebbe
la Venezia, ma per mezzo di Napoleone III, mediatore non richiesto;
16 RAFFAELE OE CESARE
mentre alla Prussia riuscì, in seguito alle sue vittorie, cacciar TAnstria
dalla Confederazione, afFermarsi arbitra dei destini del popolo tedesco, ed
avviarsi alla unità dell' Impero, compiutasi dopo quattro anni. Lo scopo del-
l'alleanza era, di fatto, conseguito : ma con quanta diversa fortuna !
Il ministero Bicasoli, indebolito dagli avvenimenti, non fu fortificato
dalle nuove elezioni, che indisse nei febbraio del 1867. Il Parlamento si adunò
il 22 marzo ; e nel discorso del Be non si fece alcun cenno alla guerra, né
alVaequisto della Venezia, ma si preferì polemizzare con Garibaldi, che per-
correva le Provincie venete, proclamando la necessità di una impresa su Roma.
Il Re disse : « fu già tempo degli audaci propositi e delle ardite imprese « .
E poi: « l'Italia vi chiede che nelle intemperanze e nelle gare non si di-
sperda la vigorìa delle menti e degli animi «. Il discorso lasciò freddo il
Parlamento. Pochi giorni dopo, il Ricasoli presentò le dimissioni sue e dei mi-
nistri, senza neppur interrogare questi ultimi, e Vittorio Emanuele ajDBdò al
Rattazzi l'incarico di comporre la nuova amministrazione.
Si verificava, dopo cinque anni, una situazione quasi identica a quella
del 1862. Al Ricasoli succedeva il Rattazzi, con un ministero di uomini di
varia provenienza politica: dal conte Pompeo di Gampello, ministro degli
esteri, al generale Di Revel, ministro della guerra, cattolici ferventi ambedue;
da Francesco de Blasiis, che usciva dalla Destra, nominato ministro di agri-
coltum, a Francesco Ferrara, al Tecchio, al Ceppino, al Pescetto e al sena-
tore Oiovanola, da pochi conosciuto, che andò ai lavori pubblici. Il ministero
ebbe l'appoggio della Sinistra, come allora; lasciando intendere che il patto
della Convenzione di settembre, col quale l'Italia garantiva al Pontefice la
incolumità dello Stato, fosse difficilmente osservabile. Il Ferrara presentò
il progetto per la tassa del macinato, proposto già dal Sella. Per effetto
del nuovo indirizzo politico di compiacenza e di debolezza verso il partito di
azione, questo prese animo per iniziare i lavori di un' impresa insurrezionale
nello Stato Pontificio. Garibaldi era sul continente, insoddisfatto di come
erano andate le vicende della guerra; percorreva il Veneto, agitando e in-
citando. Si riaprirono gli arrolamenti e poi i comitati di soccorso. Garibaldi
andò in Toscana, e nel settembre si die' a percorrere i paesi limitrofi alla
frontiera pontificia, abbandonandosi a discorsi eccessivi contro il Papa e
l'imperatore Napoleone, e proclamando la legittimità dell'insurrezione. Infine
decise di entrare egli stesso nelle Provincie pontificie, e da Arezzo si avviò
verso Perugia. Il ministero, sotto le minaccie della Francia, lo arrestò a
Sinalunga il 25 settembre, e Io tradusse nella fortezza di Alessandria. Di là
fu scortato a Caprera.
L'arresto produsse qualche feimento a Firenze, dove aveva sede il Co-
mitato insurrezionale, del quale era anima il Crispi. Garibaldi scriveva da
Caprera ai suoi amici di non abbandonare V impresa di Roma, e che al mo-
SOMMARIO DI STORU POLITICA B AMMINISTRATIVA D'ITALIA 17
mento opportuno sarebbe giunto in mezzo a loro. E tenne la promessa. Elu-
dendo la crociera, scese alla Maddalena, dorè s' imbarcò, a giunse a LiTomo su
' un piccolo legno. Da Livorno andò a Firenze; e poi, s»za alcuna opposizione da
parte del Governo, parlando sempre con violenza e noir nascondendo 1 suoi pro-
positi, andò in treno speciale da Firenze a Perugia; e poi a T^mi e a Rieti;
e sconfinò il 24 di ottobre a Scandriglia, .marciando su Monterotòndo.. L'in-
surrezione nello Stato Pontificio divampò da ogni parte, tranne a Boma^ dove,
nonostante Topera di giovani e audaci cospiratori andati di Toscana, non si
riuscì a fare insorgere la popolazione. Correva voce, e si accreditava che se
Soma fosse insorta, le truppe italiane avrebbero passato il confine. Quel po' di
movimento determinatosi nella città, fu soffocato dalla polizia pontificia; nia
nelle Provincie entravano armati da ogni parte, con comandanti nominati da
Garibaldi, o che s improvvisavano tali. Queste bande lavavano contribuzioni ;
proclamavano decaduto il governo pontificio; d^ecrètavano il plebiscito. Fu-
rono occupate Viterbo, Fresinone e Velletri. In Francia le proteste del cat-
tolici non ebbero più limite ; le rampogne contro il Governo italiano, che non
osservava la Convenzione di settembre, divennero altissinie ; tutti invocavano
l'intervento militare, per impedire che il Papa cadesse in mano della rivolu-c
zione. Il Governo imperiale esaurì i mezzi diplomatici ; minacciò anche Y in-
tervento, ma parve contentarsi delle assicurazioni di Vittorio Emanuele al-
l'Imperatore. Ma allorché questi vide che, avendo il Battazzi dato le di^
missioni, il nuovo ministero non si liusciva a formarlo e le cose precipitavano;
ordinò che la spedizione, da parecchi giorni allestita a Tolone, partisse per
Civitavecchia, dove giunse il 31 ottobre. Era una divisione di cinque mila
uomini al comando del generale De Failly, con artiglierie e fucili « chas"
sepots « . E poiché il quartiere generale della insurrezione divenne Mon>
terotondo, dove Garibaldi concentrò le sue forze, quasi tutto Tesercito pon-
tificio al comando del generale Eanzler, con una brigata francese, marciò
nella notte del 3 novembre verso quella direzione. Arrivò a Mentana nel mo-
mento che Garibaldi attendeva alla ritirata dei suoi volotitaìl: sópra Tivoli :
ritirata divenuta indispensabile dopo il proclama di Vittorio Emanuele e la
formazione del nuovo ministero, presieduto dal generale Menabrea ; dopo Io
sbarco dei francesi e la più inverosimile indifferenza regnante in Boma. Lo
scontro fu sanguinoso ; Tesercito della rivoluzione venne sbaragliato, con morti
e feriti d'ambo le parti. Garibaldi trovò rifugio a Passo Corese, dove passò la
notte; e di là, il giorno dopo, dichiarato prigioniero a Figline, fu condottò
al Varignano, e dopo tre settimane rimbarcato per Caprera.
La Camei*a si riapiì come airindomani di Aspromonte. Il ministero Mena-
brea, succeduto al dimissionario ministero Battazzi, era accusato dalla Sinistra
e da tutto il partito garibaldino, di essere poco meno che responsabile del
disastro di Mentana, e del ritorno dei fiancesi a Boma. Furono dibattiti di
Raffaele De Crsare. — Sommano di storia ecc. 2
18 RAFFAELE DE CESARE
ana violenza estrema; e il Rattazzi, accusato dagli oratori di Destra come
il principale responsabile di quanto era avvenuto, e difeso o giustificato da
quelli di Sinistra, pronunciò un discorso che durò tre giorni. Ricorse alla dia-
lettica più sottile per difendere l'opera sua, e riversò ogni responsabilità sul
ministero che gli era succeduto. Questo vinse, ma con un sol voto di maggio-
ranza, e fu costretto a modificarsi. Al Gualterìo succedette il senatore Carlo
Cadorna ; al Mari, il De Filippo ; al Cantelli, il Pasini ; e Antonio Ciccone
andò air agricoltura. Altre crisi travagliarono quel ministero; e furono suc-
cessivamente ministri deirinterno Luigi Ferraris e il marchese Antonio di
Budini; ministri di giustizia il Pironti e il Yigliani; ministro dell* istru-
zione pubblica il Bargoni ; dei lavori pubblici il Mordini, e Marco Minghetti
ministro deiragrìcoltura con Luigi Luzzatti segretario generale, che contava
ventott'anni, ed era professore di economia politica neiristituto tecnico di
Milano, ed enfatico banditore di credito e di cooperazione. Il ministero, logoro
dalle crisi e dalle lotte, fii abbattuto nelVelezione del presidente della Camera,
in dicembre del 1869, e sostituito da un ministero Lanza, poiché nella lotta
per l'elezione del presidente il Lanza venne eletto da tutte le opposizioni,
.contro il Mari, candidato del ministero e della Destra.
Neiraprile di quell'anno 1868 si compirono a Torino con lusso di feste,,
ripetute poi a Firenze, le nozze fra il principe di Piemonte, erede della Co-
rona, e sua cugina la principessa Margherita, fresca di gioventù e di bel-
lezza, ricca dì talento e di coltura; e nel novembre dell'anno appresso^
nasceva a Napoli l'erede della Corona, cui venne dato il nome dell'avo, o
tenuto a battesimo dal sindaco Onglielmo Capitelli. Tutto il paese fu lieto di
quelle nozze: il principe contava ventiquattro anni, e la principessa noa
aveva compiuto i dieciassette.
Il ministero Menabrea, di cui fu parte principale il conte Guglielmo de
Cambray-Digny, ebbe l'incontestabile merito di restaurare le finanze, appli-
cando la tassa sul macinato, e via via le leggi sulla riscossione delle imposte,
sulla contabilità dello Stato e sulle intendenze di finanza. E poiché il disa-
vanzo era sempre forte, e i fondi pubblici discesi al 43, il Dignv immagina
anche una operazione finanziaria, con cui si davano in pegno i tabacchi ad una
Società privata, per un prestito di 150 milioni. A quel contratto, che gli oppo-
sitori giudicavano rovinoso per lo Stato, si ripeteva aver preso parte alcuni
deputati amici del ministero, e si facevano i nomi di tre, senza mistero. Il
deputato Lobbia dichiarò di avere le prove della corruzione, e le depose in
piego chiuso sul banco della presidenza. Poche sere dopo, avvenne che quel
deputato fosse aggredito e lievemente ferito; e si levò gi*an clamore, afferman-
dosi che fosse stato il ministero e i suoi amici a tentarne l'assassinio, ricono-
sciuto più tardi simulato da una sentenza del tribunale di Firenze, confermata
dalla Corte di appello. Una inchiesta parlamentare venne decisa, e ne fu presi-
dente Giuseppe Pisanelli e segretario Giuseppe Zanardelli. La Commissione
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'iTALIA 19
d^inchiesta, che fu la seconda, dopo quella delle ferrovie meridionali, tenne pa-
recchie sedute pubbliche, con grande solennità, nel salone di Palazzo Vecchio;
e se riconobbe che non vi erano stati atti di corruzione e di indelicatezza da
parte di quei deputati, dichiarò pure che qualche documento intimo aveva pro-
dotto « penosa impressione « . Le conclusioni dell'inchiesta parvero non ispirate
ad assoluta giustizia, ma invece ad un mezzo termine, il quale, lasciando
ano strascico di rancori e di agitazioni, prolungò le aspre polemiche.
Il nuovo ministero si costituì il 14 dicembre 1869; e furono ministri
il Lanza alla presidenza e all' interno, il Visconti- Venosta agli esteri ; Matteo
Baeli, e poi il De Falco, alla giustizia; il Sella alle finanze; il Govone, e
poi Cesare Ricotti, alla guerra ; Guglielmo Acton, e poi Augusto Bibotty, alla
marina; Cesare Correnti, e poi Antonio Scialoja, all'istruzione; Giuseppe
Gadda, e poi Giuseppe Devincenzi, ai lavori pubblici, e Stefano Castagnola
all'agricoltura. Presidente della Camera fu eletto Giuseppe Biancherì, depu-
tato di Centro sinistro, e già oppositore di Cavour, ma senza acredine, nel Par-
lamento subalpino, e amicissimo del Lanza. La numerosa Sinistra meridio-
nale ebbe la sua prima rappresentanza in persona di Francesco Levito, no-
minato s^retario generale al ministero di agricoltura ; carica, che il Levito
non tenne a lungo. Alla nuova amministrazione era serbata la fortuna dì
portare l'Italia a Roma, senza proteste, nò opposizioni degli Stati cattolici; ed
ebbe il merito incontestabile di aver tenuta neutrale l'Italia nel tremendo
conflitto tra la Germania e la Francia. Le condizioni economiche e mili-
tari nostre eran tali, che una partecipazione alla guerra, fortemente voluta
dal re Vittorio Emanuele e da alcuni generali, non avrebbe impedito ciò
che purtroppo avvenne: che, merco un'azione militare proceduta con ful-
minea rapidità, dopo soli quarantacinque giorni, l'esercito francese veniva scon-
fitto a Sédan, l'Imperatore era fatto prigioniero e l'Impero napoleonico crollava.
Proclamata la repubblica in Francia, la Convenzione di settembre non aveva
più ragione di essere; e il Governo italiano si affrettò a compiere il pro-
gramma nazionale, ma abilmente, impedendo ogni tentativo rivoluzionario,
sia da parte di Mazzini che di Garibaldi. Mazzini fu arrestato a Palermo,
e condotto nella fortezza di Gaeta ; Garibaldi non si mosse da Caprera. Il
proclama nazionale fu compiuto dalla Monarchia e dal suo Governo ; e V im-
presa militare, da uno dei generali di maggiore moderazione e intelligenza.
Il ministero s'illuse, forse anche troppo, che la Santa Sede avrebbe ceduto
senza resistenza; e resistenza vi fu. Le mura agguerrite protrassero di cinque
ore una inutile difesa. A porta Pia venne aperta una breccia ; e per essa e
per la porta sfondata dalle artiglierie, alle 10 antimeridiane del giorno 20
settembre 1870, le truppe nazionali entrarono in Boma. Il generale, che con-
giunse il nome suo alla storica impresa, onde era compiuta l'unità della
patria, fu Baffaele Cadorna.
20 RAFFAELE DE CESARE
Il Parlamento si aprì il 27 novembre 1871 nel palazzo di Montecitorio:
e fu spettacolo grandioso, che non hanno dimenticato i superstiti. Nessun
discorso della Corona ebbe così frenetico successo. Le prime parole del Be:
«Topera alla quale consacrammo la nostra vita, è compiuta*, suscitarono
un vero delirio di applausi e di grida. Ma a Boma vi erano difficoltà spe-
ciali da superare; e innanzi tutto si affacciava quella delle corporazioni
religiose e di tutta la manomorta ecclesiastica. Con grandissimo tatto il
Parlamento aveva votato la legge per le prerogative del Sommo Pontefice,
promulgata a Firenze nel maggio del 1871 ; legge di libertà e di profondo sa-
pere politico, e la cui sostanza era identica alle offerte fatte da Cavour al Pon-
tefice e ripetute dal Bicasoli : legge, la quale nelle fiere lotte combattute tra
la Santa Sede e la nuova Italia nei due pontificati di Pio IX e di Leone XIII,
fu Tarma più efficace contro le intemperanze clericali, onde il Governo e
il Parlamento, anche nei momenti più difficili, non pensarono mai di so-
spenderla, né di ricorrere a misure di eccezione. Tutto il mondo liberale rico-
nobbe che ritalia non poteva fare al Papa e alla Chiesa concessioni più
larghe, per garantirne la libertà e T indipendenza nel campo spirituale. E
per la soppressione della manomorta, così numerosa e varia di orìgine e di
scopi, si fece una legge speciale, non improntata a fiscalità, né a pregiudizi
giacobini. Venne soppressa sì, ma gradatamente e coi riguardi dovuti alle
esigenze della Chiesa cattolica e dei suoi dommi, nonché al culto e alla be-
neficenza. Della prima legge fu relatore Francesco Bestelli, deputato di Gal-
larate; della seconda, Buggiero Bonghi, che associò il suo nome e la sua
«itraordinaria dottrina a tutta la moderna legislazione ecclesiastica.
Il ministero Lanza cadde nel giugno 1873 sopra alcuni provvedimenti
di finanza, domandati dal Sella. Questi chiedeva un terzo decimo sul registro
e bollo e la avocazione allo Stato dei quindici centesimi di sovraimposta sui
fabbricati, concessi nel 1870 per un triennio. Prive le provinole di tale
risorsa, se ne sarebbero rivalute sulla fondiaria. Il Sella si prometteva di
ottenere dai due provvedimenti altri 32 milioni ; ma essi incontrarono oppo-
sizione a Destra ; e Bomualdo Bonfadini e il Minghetti, in eloquenti discorsi,
pregarono il Sella di non insistere, ma egli rispose che la finanza domandava
nuovi sacrifici, richiesti dall'aumento delle spese. Fu incrollabile, dichiarando
ohe « preferiva morire di morte violenta, anziché di etisia » . Lamentò di
non avere più la fiducia della Camera; e ricordando il voto sulFarsenale di
Taranto, per cui il ministero si era trovato in minoranza, disse: « dopo Taranto,
« io non m' intendo più con la Camera » . Si venne al voto il 25 giugno, e il mi-
nistero fu rovesciato da una maggioranza composta da tutta la Sinistm e da
una parte della Destra. Il di seguente, il Lanza annunziò le dimissioni del mi-
nistero; e il 12 luglio il Minghetti compose la nuova amministrazione, formata
da lui, presidente del Consiglio e ministro delle finanze; dal Cantelli al-
SOMMARIO DI STORTA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'ITALIA 21
r interno; dal Yigliani alla giustizia; da Silvio Spaventa ai lavori pubblici;
dal Saint-Bon alla marina e da Gaspare Finali airagricoltura. Dei vecchi
ministri rimasero il Visconti -Venosta, il Ricotti e lo Scialoja.
Il nuovo gabinetto non era saldo parlamentarmente; e nel novembre,
del 1874 bandi le elezioni generali, dalle quali non uscì rafforzato. Dopo le
elezioni, si tornò a parlare di un connubio fra il ministero e quella parte
della Sinistra detta « giovane « , la quale mostrava di non dividere le idee
radicali deiraltra parte, detta « storica « . Della giovane Sinistra erano mag-
giori personaggi il Depretis, il De Sanctis e il De Luca. Urbano Rattazzi,
infermo da piili tempo, era morto Tanno innanzi. Il connubio non si fece;
e il ministero, che aveva presentato inconsultamente il progetto per la nullità
degli atti non registrati, fu battuto dopo limgo e assai vivace dibattito, nel
quale assai si distinse il Mantellini, capo dell* avvocatura erariale. Anche gli
altri giuristi della Destra, col Pisanelli alla testa, erano contrari a quel pro-
getto, e inclinavano invece ad una larga riforma della tassa sul macinato, per
cui, mutandosi il criterio della riscossione, si sostituisse al contatore altro con-
gegno meno vessatorio, e più sicuro nei suoi risultati. Ma uno dei maggiori
meriti di quel ministero fu l'inizio della radicale riforma della marina da
guerra : la sostituzione, cioè, delle grandi navi potenti di offesa e di difesa,
alle navi mezzane, le quali non avevano fatto buona prova a Lìssa. La riforma
allarmò da principio : ma Teloquenza e la dottrina del Saint-Bon vinsero i
dubbt; e i suoi progetti vennero accolti dal Parlamento, che mostrò fiducia
neir audace ministro.
Ma assai maggiori difBcoltà furono create al ministero da un'altra circO"
stanza. Silvio Spaventa, che aveva altissima Tidea dello Stato e assolute le
convinzioni circa i doveri di esso, prendendo occasione da alcuni dissidi fra il
Governo e la Società delle ferrovie delTalta Italia, concepì il disegno di
riscattare quelle linee, le quali erano in mano di una Società francese rap-
presentata da Alfonso e Gustavo Rothschild. Lo Spaventa aveva maturato
tutto un piano per procedere al riscatto generale delle ferrovie italiane ; e a
quelle dell* Alta Italia dovevano far seguito le linee delle Romane, ridotte a
mal partito, e il cui esercizio lasciava tutto a desiderare : linee di suprema
importanza, dopo che Roma era divenuta Capitale dltalia. Al riscatto doveva
naturalmente accompagnarsi Tesercizio di Stato in quel modo che egli rivelò
nel suo mirabile discoi^so, quando venne discussa alla Camera la convenzione
di Basilea da lui conclusa, negoziatore il Sella, per il riscatto della rete
dell'Alta Italia.
Col pretesto di tal riscatto, e indispensabile esercizio governativo, si venne
distaccando dal ministero la maggior parte della deputazione toscana, quasi
tutta di Destra, in nome di principi economici contrarii all'accentramento
nello Stato di così importanti servizi pubblici. Ma in verità, quella deputazione,
rimasta malcontenta pel trasporto della Capitale a Roma, era fortemente
^2 RAFFAELE DE CESARE
agitata dalla gra^e situazione finanziaria del municipio di Firenze, che non
poteva più pagare i suoi debiti. Il ministero Minghetti ebbe il torto di non
dare alla cosa l'importanza che meritava; e quella deputazione, stringendo
alleanza coi più irrequieti deputati di Sinistra e unendosi a quelli del
Centro, col Correnti alla testa, contribuì a formare la maggioranza contro il
ministero, il quale cadde nella seduta del 18 marzo 1876. Il ministero fu
battuto non sul riscatto delle ferrovie, né sulle riforme amministrative e
tributarie, ma sopra una piccola questione o pretesto per abusi non puniti
e piccole vessazioni non represse sulla tassa del macinato. Il Minghetti
parlò con meravigliosa eloquenza ; annunziò che alla fine, dopo tanti sacrifici,
era raggiunto il pareggio nel bilancio di competenza, con un avanzo di
dieci milioni, e che tutte le imposte erano in aumento. Chiese un'ampia di-
scussione su tutto rindirizzo politico del Governo ; riscosse grandi applausi
anche dalle tribune ; ma il rinvio, da lui proposto sulla mozione per il ma-
cinato, fu respinto con 242 voti contro 181.
Col Minghetti cadde Tultimo ministero di Destra ; e la Sinistra fu chia-
mata al governo. Si creava un nuovo ordine di cose, che a molti non pareva
duraturo. Agostino Depretis, incaricato di formare il ministero, ritenne lui
le finanze e afSdò gli affari esteri ad Amedeo Melegari; Tinterno a Gio-
vanni Nicotera ; la giustizia a Pasquale Stanislao Mancini ; i lavori pubblici
a Giuseppe Zanardelli; la guerra al generale Luigi Mezzacapo; la maiìna
a Benedetto Brin; Tistruzione a Michele Ceppino, e Ts^ricoltura a Salva-
tore Majorana Calatabiano. Ministero di pura Sinistra, con marcata esclusione
degli alleati di Desti-a e del Centro. Al Correnti fu dato il ministero dei
SS. Maurizio e Lazzaro ; e al municipio di Firenze quarantanove milioni per
rimettere la sua finanza.
Il nuovo ministero aveva contro di sé Topera del suo partito in tanti
anni di opposizione negativa ; ma, guidatp da un uomo di molta esperienza e
di scettica furberia, fece un programma piuttosto moderato, anzi punto aliar*
mante in fatto di finanza, che condensò nella frase : « né una lira di più, né
una lira di meno » . Ma nel mutare, anzi per essere più esatti, nello scon-
volgere Tamministrazione, non ebbe affatto misura. I prefetti delle grandi
Provincie dettero le dimissioni ; gli altri tutti cambiarono di residenza; e così
pure avvenne nelle altre amministrazioni dello Stato. Parecchi generali furono
collocati a riposo: e fra gli altri, il Cadorna, il Petitti, il Valfré e il Carini;
vennero nominati nuovi senatori ; e pochi mesi dopo fu sciolta la Camera dei de-
putati. Le elezioni del novembre 1876 segnarono quasi la fine della Destra. Il
ministero ne combattette gli uomini maggiori e minori, con una violenza tanto
più deplorevole, quanto non necessaria. Il paese, soprattutto il Mezzogiorno,
aveva salutato con puerili entusiasmi quella mutazione politica, tanto che, sopra
dugento deputati, ne riuscirono solo quattro di Destra: Donato Morelli a
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d' ITALIA 28
Bogliano e Giuseppe Ceci ad Andrìa; ed in Sicilia, il Di Budini a Cani-
catti, e Calcedonio Inghilleri a Monreale. Cadde il Visconti-Venosta a Treviso;
cadde il Minghetti a Bologna, ma potè restare alla Camera perchè eletto a Le-
gnago. Silvio Spaventa tornò deputato, ma da Bergamo ; Bonghi, da Cone-
gliano ; Massari, da Foligno ; Pisanelli, da Manduria, e altri non tornarono più,
così che i ministeri successivi furono tutti di Sinistra, sino al noto * trasfor-
mismo « iniziato dal Depretis e mal seguito dai successori suoi, nessuno escluso.
Ma quel primo ministero di Sinistra visse una vita assai agitata, per
r irrequietezza quasi morbosa del ministro deirinterno, che prodigava fiivori
agli amici, non concedeva quartiere agli avversari, commetteva molte legge-
rezze, flit le quali levò scandalo la concessione di oltre settanta alte deco-
razioni, con un sol decreto, ad altrettanti deputati . della maggioranza, e
da lui stesso ostentatamente distribuite al palazzo Braschi. A quei deputati
egli concedeva il premio del voto favorevole da essi dato alla tassa sugli
zuccheri. Per tali leggerezze e imprudenze, e per altre ancora, furono mosse
interpellanze alla Camera, e il ministero subì una prima mutazione. Ne usci-
rono il Nicotera e il Melegari, come ne era uscito poco tempo prima lo Za-
nardelli; e vi entrarono Francesco Crìspi, che andò air intemo, Agostino Ma-
gliani alle finanze. Angelo Bargoni al tesoro e Francesco Perez ai lavori pub-
blici. Il Depretis passò al ministero degli esteri. La ricostituzione del gabi-
netto avvenne il 26 dicembre; e il 9 gennaio successivo morì, dopo breve
infermità, Vittorio Emanuele. L* Italia sentì di perdere la sua maggior forza
morale airintemo e air estero. Il suo funerale fu un'apoteosi, e venne, senza
iperbole, paragonato a quello di Germanico descritto da Tacito. Tutte le Po-
tenze vi si fecero rappresentare. Il Gran Be fu sepolto nel Pantheon. Quattro
giorni prima em morto a Firenze, quasi nell'oblìo, il generale Lamarmora.
Regno di Umberto I.
La successione al trono si compì con rapidità e nel maggior ordine;
e il merito ne va dovuto al Crispi, ministro dell'interno. Il nuovo Be prestò
giuramento nell'aula di Montecitorio, e il discorso destò profonda commozione.
Il Crispi aveva concenti*ato in sé quasi tutti i poteri dello Stato, e se ne
avvalse, con grande energia e non minore fortuna, un mese dopo, quando morì
Pio IX. Il Papa più sentimentale e più impulsivo che conti il pontificato
romano, e che governò la Chiesa per trentadue anni, e il cui nome è associato alle
maggiori vicende della storia nostra, seguì nella tomba il primo Be d' Italia,
a soli ventotto giorni di distanza. Non erano poche le preoccupazioni fum
d' Italia circa il Conclave. Non si sapeva se esso avrebbe avuto luogo a Boma,
0 in una città di Spagna o di Austria. Il ministero fece sapere che avrebbe garan-
tito la libertà dell'elezione, nonché la sicurezza dei Padri ; e tenne l'impegno.
■24 . . RAFFAELE DE CESARE
Giammai, forse, elezione papale si compì in tanta tranquillità e indipendenza;
e addì 20 febbraio, dopo soli tre giorni di Conclave, fu eletto Papa il cardi-
nale Gioacchino Pecci, che prese il nome di Leone XIII. Furono fatti lieti
•prognostici circa le disposizioni d*animo del nuovo pontefice rispetto airitalia;
si ricordava il suo lungo governo episcopale di Perugia, nonché la mo-
derazione, di cui aveva dato prova ; e se ne decantava la coltura umanistica.
I documenti di quella elezione, la prima che avesse luogo a Roma, in con-
jdizioni storicamente nuove, furono da me raccolti nella storia che scrissi di quel
Conclave. Ma ben presto si verificarono le delusioni circa il nuovo Papa ; anzi
-la prima fa questa: che, mentre una immensa folla gremiva la piazza di
•San Pietro per assistere alla benedizione, ch*egli avrebbe dato, secondo il
vecchio costume, dalla loggia esterna della Basilica, il nuovo pontefice pre-
ferì darla dalla loggia interna. , Leone XIII nominò il cardinale Alessandro
branchi segretario di Stato ; e nel governo della Chiesa cominciò a rivelare
indirizzo diverso da quello di Pio IX, e anche nella scelta degli uomini;
ma, per quanto concerneva Tltalia, Tindirizzo restò immutato sino al giorno
della sua morte.
Non ostante il buon governo fatto dal ministero nei due avvenimenti
riferiti, scoppiò una crisi impreveduta, non pai'lamentare, né politica. Per
EAgioni affatto intime fu necessario al Crispi, che di quel ministero era la
maggior forza, dimettersi. Il Depretis assunse il portafoglio dell* intemo;
ma, pochi giorni dopo, nel marzo, rassegnava le dimissioni di tutto il
ministero, considerata, egli disse, la situazione parlamentare e la elezione
del nuovo presidente della Camera in persona di Benedetto Cairoli. Questi
fu incaricato di comporre il nuovo ministero; e lo formò, dando il portafoglio
deirinterno a Giuseppe Zanardelli; gli esteri al conte Luigi Corti; la giu-
stizia al Conforti; le finanze e il tesoro al deputato Federico Seismit-Doda; al
generale Bruzzo, e poi al generale Bonelli, la guerra; air ammiraglio di Broc-
chetti, e poi al Brin, la marina ; al De Sanctis Tistruzione ; al deputato Alfredo
Baccarini i lavori pubblici, e al senatore Enrico Pessina ragricoitura.
Questo primo ministero Cairoli nacque con le simpatie della Destra,
perchè esso afiidava di governare senza violenze, né spiiito di parte, onde si era
malamente distinto il primo ministero di Sinistra. Nel suo programma pro-
metteva la riforma tributaria e la riforma elettorale, dichiarando che questa
era « un pegno d*onore » per esso ; prometteva la ricostituzione del ministero di
agricoltiua, soppresso dal Crispi. Un ministero, disse il Cairoli, creato con
legge, non può sopprimersi con decreto reale, e concordava con Silvio Spa-
venta, il quale pronunciò un notevole discorso sulFargomento. E poiché il
macinato era sempre il maggior oggetto delle riforme finanziarie, e le con-
dizioni dell'erario non ne permettevano Vabolizione, il ministero lasciò sperare
la sostituzione del pesatore al contatore, che il Depretis aveva promessa, ma
non mantenuta.
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'iTALIA 23
Il ministero Cairoli goverDava col favore della parte estrema della Si-
nistra, molto ad essa concedendo circa l'indirizzo della politica intema, che
yeniya vìa vìa allarmando gli spiriti conservatori, e più quella parte della
Sinistra raccolta intorno al Depretis. Le due disgrazie di quel ministero
furono il Congresso di Berlino, e l'attentato contro la vita del Be, a Napoli.
Al Congresso di Berlino, del quale fu grande manipolatore il principe di
Bismarck, l'Italia rappresentò una parte puramente passiva : il Governo non
seppe intenderne l'importanza, né penetrare gli accordi del dietroscena, per i
quali si dava alla Francia pie' libero in Tunisia; all'Austria il possesso prov-
visorio della Bosnia e dell'Erzegovina, che poi divenne definitivo, e l'isola di
Cipro all'Inghilterra. Ma ciò che parve addirittura inverosimile, fu questo,
che il ministero si die' merito di quella politica, chiamandola delle mani
nette, nel tempo stesso che con pretesti e menzogne la Francia si avviava
a Tunisi e vi s'installava, iniziando tutto un lavoro di sostituzioni delle
influenze sue alle italiane, aiutata dalla Santa Sede e dalle coi*porazioni re-
ligiose, col cardinal Lavigerie alla testa. L'esasperazione nazionale contro
la Francia e contro il ministero toccò il colmo in quella circostanza.
Nel novembre di quell'anno stesso avvenne di peggio. Reduci da un viaggio
nelle Provincie meridionali, il Be e la Regina andarono a Napoli ; e in via Car-
riera Orando un insensato si accostò alla carrozza reale, e vibrò alcuni colpi di
coltello al Be, che per fortuna restò incolume. Il Cairoli, il quale era nella
vettura reale, cercò difendere il Sovrano, e fu ferito. Orandìssìma la com-
mozione a Napoli e in tutta Italia, anzi in tutto il mondo civile. Il ministero
era accusato d'imprevidenza; e il delitto ritenuto come l'effetto più naturale
delle dottrine sue. Gravi dispute alla Camera. Lo Zanardelli, principalmente
preso di mira, si difese con forense abilità, distinguendo fra la politica del
prevenire e quella del reprimere, e dichiarandosi fautore della seconda. Il mini-
stero fu rovesciato; e il Depretis ebbe l'incarico di formare il nuovo gabinetto.
Furono ministri con lui, che tenne il portafoglio dell' interno, Diego Tajani per la
giustizia; Agostino Magliani per le finanze e il tesoro; il generale Mazè de la
Roche per la guerra ; Nicolò Ferracciù per la marina; il Ceppino per Tistruzione ;
il deputato Mezzanotte per 1 lavori pu1)blici. Il Majorana tornò ministro della
agricoltura.
Questo ministero fu di breve durata ; anzi s'iniziò un piccolo giuoco di
altalena, che durò due anni, fra il Cairoli e il Depretis, prima da soli a
presiedere i propri ministeri, e poi insieme. Il Cairoli, nel luglio del 1879
tornò al governo, col Villa all'interno, il Vare alla giustizia, il Grimaldi alle
finanze e al tesoro, il Bonelli alla guerra e alla marina, il Perez all'istruzione,
e il Bacoarini ai lavori pubblici. Ma neppure questo ministero ebbe vita
lunga; e il Cairoli tentò un rimpasto col Depretis, che andò all'interno. Du-
rarono insieme fino al 1881, nel quale anno il Depretis si disfece del Cairoli, e
26 RAFFAELE DE CESARE
tornò solo a capo del ministero, col Mancini agli esteri ; lo Zanardelli alla giu-
stizia; il Magliani alle finanze e al tesoro; il generale Ferrerò alla guerra; Tarn-
miraglio Ferdinando Acton alla marina; il deputato Genala ai lavori pubblici,
e il Berti all'agricoltura. Ministero con tinta conservatrice, e di maggiore
autorità dei precedenti gabinetti di Sinistra. Ad esso non sfuggiva la gravità
della situazione nei rapporti con la Francia, divenuti apertamente ostili. La
Francia si era insediata a Tunisi e mostravasi pronta ad attaccar briga, se
r Italia avesse insistito nelle sue pretese sulla Beggenza. Alla Francia era
riuscito tirare dalla sua Leone XIII, non mai stanco di reclamare la sua indi-
pendenza territoriale, che confidava riprendere in una guerra europea, e la cui
diplomazia lavorava a tale intento. La Francia ne alimentava le illusioni. Fu in
tale situazione politica che il Mancini concepì il disegno di un*alleanza fra
ritalia, la Qermania e TAustria Ungheria: alleanza puramente difensiva, diretta
a garantire la pace e lo statu quo» Stipulata nel maggio del 1882, dopo un
viaggio del Be a Vienna, venne rinnovata neiraprile del 1887 dal Bobilant,
ministro degli esteri, succeduto al Mancini ; e poi dal primo ministero Di Bu-
dini nel 1891; e infine nel 1902 da Giulio Prinetti, ministro degli esteri
nel gabinetto Zanardelli, per dodici anni. Scadrà nel 1914.
Allo stesso ministero Depretis-Mancini fu mosso rimprovero, certo non
privo di consistenza, che il Governo italiano rifiutasse Tinvito delllnghilterra
di prendere parte alFoocupazione dell'Egitto per rimettervi l'ordine, turbato
da una sommossa civile e religiosa ; ma vero invito non fu fatto. Lord Gran-
ville, parlando al Nigra, allora ambasciatore a Londra, della necessità in cui si
trovava l'Egitto di sgombrare i suoi possedimenti del mar Bosso, lasciò in-
tendere se l'Italia non « dovesse profittare delloccasione ». Il Nigra, rife-
rendo qnesto colloquio del Granville, non manifestava l'opinione sua. Mancini
e Depretis avrebbero sentito il consiglio del Bicotti, ministro della guerra, circa
le condizioni dell'esercito, e non ne sarebbero stati confortati. Si era nella estate
del 1888; e il ministero, che non seppe o non potè profittare di quell'occasione,
poco tempo dopo, incalzato dagli avvenimenti d'Africa dopo l'eccidio della
spedizione di Gustavo Bianchi nell'autunno del 1884, alla vigilia della ria-
pertura del Parlamento, decise la spedizione a Massaua, piccolo possesso
turco sul mar Bosso, privo di ogni risorsa, e dì clima malsano per gli este-
nuanti calori : da Massaua si sarebbe dovuto penetrare nell'Harrar, si diceva.
Al Mancini fu attribuita la frase che nel mar Bosso si sarebbero trovate le
chiavi del Mediterraneo.
Le interpellanze circa il non accolto invito di andare in Egitto, benché fatto
nella forma che si è detto; l'eccidio della spedizione del Bianchi e" la febbre ge-
nerale, manifestatasi in Europa, di nuove e audaci avventure in Africa, decisero
dunque la spedizione a Massaua, la quale, per la imprecisione degli scopi
e il modo misterioso con cui fu allestita, non sollevò entusiasmi ; anzi, dal
primo giorno, il partito avanzato e quanti erano avversi al ministero trova-
SOMMARIO DI STORTA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'iTALIA 27
rono in essa naoye cause o pretesti di viraci attacchi al decadente Depretis,
che alla spedizione si era deciso di mala voglia, quasi con rincrescimento.
Alla Camera l'opposizione era guidata dai cinque deputati di maggior se-
guito nella Sinistra, già (*>olleghi del Depretis nei ministeri precedenti ; anzi
lo Zanardelli ed il Baccarini ne erano usciti nella crisi del maggio 1883,
sostituiti, il primo da Bernardo Giannuzzi Savelli, magistrato di gran nome,
e il secondo dal Genala, ritenuto il più atto a far le convenzioni per Teser-
cizio delle strade ferrate, che il Depretis voleva ad ogni costo. Gli altri tre,
dei cinque che costituirono quella che fu chiamata « pentarchia « , erano il
Grispi, il Cairoli e il Nicotera. Il Depretis, cui veniva meno Tappoggio di
questi suoi ex-coUeghi, che non voleva riavere nel Governo, iniziò e compì
quello che con barbara parola fu detto « trasformismo » ; e così egli cercò a
Destra, tra i suoi antichi avversari, queirappoggio che perdeva a Sinistra,
ma concedendo politicamente quasi nulla ai nuovi alleati, che pur gli davano
fin troppe prove di abnegazione. Unica concessione parve la nomina del Ricotti
a ministro della guerra, e poi del Bertele- Viale e del Robilant agli esteri. Per
effetto del trasformismo si videro inaugurati due sistemi di governo : uno con le
riprese tradizioni del partito moderato neiralta Italia, benché timidamente,
quasi senza parere; e un altro nelle Provincie meridionali, dove seguitarono
ad imperversare Tioframmettenza parlamentare e gli stessi sistemi corruttori.
Fu anche per questo, che il trasformismo non ebbe fautori tra i pochi de-
putati di Destra di quelle Provincie. Silvio Spaventa vi era apertamente
avverso; ed il Di Budini, il Barracco, il Serena, Tlnghilleri e il Morelli
con lui. Il Bonghi non vi era contrario, perchè, scrivendo nella Perseveranza^
risentiva l'ambiente milanese; ma faceva spesso rilevare con pungente sar-
casmo la differenza dei due sistemi di governo, che si accentuò nelle elezioni
generali del 1886, quando il Depretis favorì non pochi candidati moderati
nell'alta e nella media Italia, che si dichiaravano ministeriali, e combattè
acremente ogni candidatura di Destra nel Mezzogiorno.
Il trasformismo segnò la rovina dei vecchi partiti parlamentari cn^.
del carattere politico. La Destra e la Sinistra, abbandonate le antiche!
non ingloriose tradizioni, presero ad alimentarsi di tornaconti ed egoismi
del momento. I futuri ministeri perdettero via via ogni vero colore di
partito, e le elezioni generali non fhrono più &tte con guida di principi
e di convinzioni, ma di accomodamenti e tornaconti personali col ministero
che le bandiva. L'opposizione costituzionale quasi disparve dal Parlamento;
e unica opposizione restò la repubblicana, guidata dal Cavallotti, dal-
l'Imbrianì, dal Pantano e dal Colajanni; poi la socialista, col Ferri, il
decotti e il Turati. La pentarchia stette insieme sino alla crisi del
4 aprile 1887, quando il Depretis, sentendosi mancare le forze, e non più
reggendo agli assalti dell'opposizione dopo il disastro di Dogali, richiamò
28 RAFFAELE DE CESARE
nel ministero il Crispi e lo Zanardellì, ridando al prinfio il portafoglio del-
Tinterno e Yinferim degli esteri ; la giustizia al secondo, ed al Saracco i
lavori pubblici. Parve an ministero più resistente, e Io fu dopo la morte
del Depretis, avvenuta il 29 luglio 1887. Il Crispi, cumulando la presidenza,
Tinterno e gli esteri, impresse un'azione più vigorosa al Governo e alla po-
litica coloniale, ma rese più acuto il dissidio col Vaticano, dopo che si
era mostrato disposto ad un*intesa col Papa, e dopo aver trattato, mercè
il tramite del padre Tosti, non sulla base di una conciliazione politica, ma
su quella di concessioni parziali dirette ad attenuare il dissidio. È da ri-
cordare il gran rumore che levò Topuscolo del padre Tosti su questo argo-
mento, e come il Vaticano smentisse ogni trattativa bruscamente e obbligasse
ril lustre benedettino a ritrattarsi.
Il Robilant, prima di lasciare il Governo, aveva rinnovato la triplice
alleanza. Egli, non africanista, accettò di essere ministro degli esteri, solo
per ubbidienza al Re. Non era un parlamentare; e la nessuna pratióa di
discorrere in pubblico gli suscitò nella Camera non dimenticate tempeste.
Si aggiunse la fallita missione del generale Giorgio Pozzolini presso il Negus
Giovanni. Il Robilant, che presentiva il grave pericolo di una rottura coii
l'Abissinia, potente d'armi e fiera della propria indipendenza, decise di man-
dare una deputazione diplomatica a queir Imperatore, per dissipare gli equi-
voci e propiziarlo all'Italia; ma la deputazione, con a capo il Pozzolini,
non potè vedere il Negus, per intrigo, si disse, della Russia. Il Robilant
stette al Governo meno di due anni; e rimastone fuori nella crisi del l'aprile
del 1887, andò ambasciatore a Londra, dove morì neirottobre del 1888.
Negli anni che corsero dal 1870 al 1890, furono parecchi gli avveni-
menti degni di nota, lieti e tristi. Il colera a Busca, e quello più tre-
mendo a Napoli, a Palermo e a Messina; il terremoto di Casamicciola ;
le eruzioni devastatrici dell'Etna e del Vesuvio; i cicloni, le alluvioni, e
le tempeste nelVItalia settentrionale. A Casamicciola, a Busca e a Napoli
corse Umberto I, dando prova di vera grandezza d'animo e concorrendo con
r esempio suo a dar coraggio alle popolazioni atterrite. A Napoli gli fu
compagno quell'arcivescovo, cardinal San felice, che, nell'adempimento del
dovere cristiano, dimenticò ogni dissidio fra Chiesa e Stato, e si unì al
Re nella grande opera di misericordia. Le condizioni inverosimili di tanta
parte della città apparvero in tutto il loro desolante squallore, onde nel Re
e nei ministri che lo accompagnavano, e negli altri personaggi e soprattutto nel
sindaco Nicola Amore, si maturò il proposito di distruggere le vergogne e
le sozzure dei bassi quartieri della città; di costruire abitazioni sane ed a
buon mercato per la povera gente; di squarciare quel lurido labirinto di chias-
suoli e di fondachi, facendovi penetrare la luce e la vita ; di chiedere allo Stato
l'esecuzione dell'opera, che venne detta del Risanamento. Cento milioni fu-
rono concessi dal Parlamento; ma nell'esecuzione si perde' di vista il concetto
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'iTALIA 29
informatore, e si compi un'opera edilizia, non sociale e tntt* altro che com-
pleta. Le case per la povera gente non si costruirono ; e questa, che a Na-
poli rappresenta non meno di due quinti della popolazione, cacciata dalle
vecchie tane, fetide sì, ma a buon mercato, si accatastò peggio di prima a
destra e a sinistra delle nuove fabbriche. Ma, nonostante tale errore di mas-
sima, le condizioni igieniche della città grandemente migliorarono, per
effetto soprattutto delle acque sane e fresche di Scrino, che vi furono con-
dotte in gran copia e inaugurate con pubbliche feste.
Il 2 giugno 1882, alle 6 e venti minuti di sera, morì a Caprera Giu-
seppe Garibaldi. Benché da qualche anno la memoria di lui non fosse più
cosi viva negli animi degl* italiani, la sua morte destò profonda commozione.
Ultimo della triade, che fece l'uaità italiana, Garibaldi assistette ancor
vivo alla propria apoteosi. Mori su quella rude roccia dell'arcipelago della
Maddalena, da lui acquistata sin dal 1856, dove ampliò lo stazzo primitivo, che
sembra Tabituro di un romito, e che oggi si visita con curiosità e reverenza.
Morì a 75 anni. Cavour ne contava 51, e Vittorio Emanuele 60, quando spa-
rirono dalla scena del mondo. Garibaldi aveva disposto per la cremazione della
sua salma, ma la volontà di lui non venne rispettata. Il corpo fu chiuso in
un sarcofago di granito di Caprera, e questo collocato a pochi passi dalla
casa bianca, in un romantico viale, tra fiorì e ulivi. Tre mesi prima era
morto a Boma, in una modesta camera d'albergo, Giovanni Lanza, com-
memorato da Silvio Spaventa in un nobile discorso a Casale Monft;rrato.
E tre anni appresso, nel marzo del 1885, a un giorno di distanza, mori-
rono Giuseppe Massari e Quintino Sella. Al Sella, fondatore dell* Accademia
dei Lincei, che presiedette finché visse, fu innalzato un monumento in Boma; e
al Massari i concittadini e gli amici ne eressero uno più modesto nella città
nativa. Nel dicembre deiranno seguente morì Marco Minghetti, il quale,
con nobile orgoglio, aveva disposto di non voler commemorazioni uflBciali.
Egli sentiva di lasciare troppi gloriosi ricordi di sé, come uomo di Stato e
come scrittore, per aver bisogno di rimpianti convenzionali. Il Parlamento gli
votò un monumento a Boma, e il municipio di Bologna altro monumento nella
città nativa. E Tanno appresso morirono a Napoli nella villa di Capodimonte,
a cinque mesi di distanza. Pasquale Stanislao Mancini e Benedetto Cairoli.
Tra gli avvenimenti lieti vanno ricordate le Esposizioni nazionali del
1881 a Milano, del 1884 a Torino e del 1892 a Palermo, le quali rive-
larono i grandi progressi economici deiritalia nelle sue varie regioni; l'inizio
del grande monumento in Campidoglio a Vittorio Emanuele e il pellegri-
naggio nazionale alla sua tomba. E se i limiti di questo sommario non fos-
sero così rigorosamente prescritti, dovrei ricordare le rumorose e bizzarre vi-
cende giornalistiche, elettorali e parlamentari di Pietro Sbarbaro e di
Francesco Cocoapieller, che tennero agitata, singolarmente in Boma, la curio-
30 RAFFAELE DE CESARE
sita pubblica per qualche anno ; e ricordare altresì la serie delle dimostraziooi
irredentiste e socialiste, e quelle in particolare di Toiioo, di Napoli, di
Palermo e di Bomagna ; e più gravi ancora quelle di Berna, in piazza Sciarra.
Il movimento irredentista andò ingrossando un insieme di malumori contro
r Austria, tino al segno che ne) 1881, durante il terzo ministero Cairoli,
parve dovesse scoppiare la guerra. Le relazioni diplomatiche risentivano in
generale quella specie di malessere senile, che aveva invaso il Governo nei
sei anni non interrotti dei ministeri del Depretis, il quale, tra ripieghi parla-
mentari e crescenti concessioni ai partiti estremi, consumava ogni sua atti-
vità. Lltalia si trovò in una specie d'isolamento, anche dopo la triplice
alleanza ; e col bilancio in disavanzo, nonostante i rosei calcoli del ministro
Magliani, e una burlesca legge per l'abolizione del corso forzoso. Alla tassa
sul macinato, che si abolì a cuor leggero quando già rendeva ottanta milioni,
non fu sostituita nessuna imposta a larga base, ma ima serie di piccole
tasse, più moleste che produttive. Il Saracco rivelò in Senato coraggiosa-
mente, ma inutilmente, tutta la vacuità di queir indirizzo finanziario.
Incaricato il Crispi di formare il nuovo ministero, egli ritenne il Bertolò-
Viale, il Brin, il Saracco e il Grimaldi, sostituendo il Magliani col Grimaldi e
col Perazzi, e il Ceppino col Boselli. La nomina del Perazzi e del Boselli, già
intimi del Sella, rivelò che anche il Crispi pagava il suo tributo al trasformi-
smo; però, volendo tener la bilancia in bilico, chiamò airagricoltura Luigi Mi-
celi, uno dei più schietti campioni della Sinistra storica ; e nella crisi del 9
gennaio 1889 il Crispi accentuava il trasformismo, nominando ministro dei
lavori pubblici in luogo del Saracco, il senatore Finali, già collega del
Minghetti neir ultimo ministero di Destra; e con decreto del 18 marzo 1889,
essendo stato istituito il ministero delle poste e dei telegrafi, mise a capo
di questo il deputato Lacava ; e in luogo del Perazzi, il deputato Giolitti, cui
affidò anche Yinierim delle finanze, dopo che, in seguito a un imprudente
discorso irredentista detto dal Seismit-Doda a Udine, questi fu esonerato dal-
l'ufficio. Occorre ricordare che sottosegretario di stato del Perazzi fu Sidney
Sennino, il quale fece in tal modo le sue prime prove nel Governo.
Ma non correvano lieti giorni pel ministero alla Camera. Le notizie
d'Africa parevano più rassicuranti dopo il trattato di Uccialli del 2 maggio
1889, per l'opera altamente avveduta e feconda del generale Antonio Bal-
dissera, che, sostituendo il San Marzano, aveva dato alla Colonia un prin-
cipio di organizzazione civile e militare, e relativa pace e stabilità. Ma l'op-
posizione parlamentare non cessava di creare difficoltà al ministero, ed
erano in essa parecchi deputati di Destra, i quali non si credevano in
obbligo di essere col ministero perchè ne facevano parte il Finali, il Bo-
selli e il Bertolè-Yiale. Senza spiegare un contegno di decisa opposizione,
quei deputati cercavano di creare difficoltà al Crispi, non solo per le cose
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA D*1TAMA 31
d'Africa, ma per alcuni provvedimenti finanziari di poco conto. E fa nella
seduta del 81 gennaio, che il Crispi, natura impulsiva, rispondendo a un
discorso mordace del Bonghi, apostrofò i suoi oppositori di Destra, impu-
tando a questo partito « i danni di una politica servile verso lo straniero » :
onde si levò nell'aula gi-an tumulto, con grida di proteste e d'ingiurie al
presidente del Consiglio, che ne fu per un momento smarrito, mentre il mi-
nistro dei lavori pubblici, Gaspare Finali, lasciava, in segno di protesta, il
banco del Governo. Fra i deputati che si distinsero in queir episodio, il
quale produsse la caduta del ministero, sono da ricordare il giovine deputato
di Modica, principe di Camporeale, ora senatore, e il Di Budini, il quale
disse al Grìspi: « vergognatevi; noi non abbiamo servito che la politica del
nostro paese e il Re 9. E il Grispì : « io sto qui a disagio, e a fretto con
tutta l'anima un voto che me ne liberi «. Il Luzzatti evocò con appassionate
parole le memorie della Destra e dei suoi uomini.
Crispi cadde, e il Be affidò al Di Budini l'incarico di comporre il nuovo
ministero ; ed egli lo formò, accentuando le tradizioni trasformistiche del De-
pretis e del Crispi. Diede il portafoglio deirinterno al Nicotera ; le finanze
al deputato Giuseppe Colombo; il tesoro al Luzzatti; la giustizia al sena-
tore Ferraris, e poi al deputato Bruno Chimirri ; la guerra al generale Luigi
Pelloux; la marina al De Saint-Bon; Tistruzione al senatore Villari; i la-
vori pubblici al deputato Ascanio Branca, con Vinterim delle poste e te-
legrafi. Il Budini prese per sé la presidenza e il ministero degli esteri.
Era un Governo nel quale prevalevano elementi di pura Destra, che si
erano mostrati men teneri del Depretis e del Crispi. Ma la forza del mi-
nistero era in mano del Nicotera; e di qui frequenti malumori, equivoci e
contraddizioni : tutte cose che, dando buon giuoco agli avversar!, paralizzavano
razione del Governo nella politica intema e nella coloniale. Il Baldissera
chiese di essere richiamato, e fu sostituito per breve tempo dal generale
Orerò e poi dal generale Gandolfi, che vi stette anche poco, non trovandosi di
accordo con la Commissione d'inchiesta parlamentare sulle cose d Africa,
eletta dalla Camera, e della quale fece parte il deputato Ferdinando Mar-
tini. Nell'assenza del Gandolfi, chiamato a Boma per dare informazioni, il
Budini nominò il colonnello Oreste Baratieri governatore interiuale; e nel
marzo dell'anno successivo, anche governatore civile. Chi avesse consigliato
al Budini la scelta del Baratieri non si seppe. Il Baratieri aveva fatto la
sua coltura negli uflSc! dei giornali ; era indole vanitosa e subdola e di non
larga intelligenza. Il comando delle truppe fu dato al colonnello Arimondi.
Benché il ministero contasse uomini eminenti, non navigava in acque
tranquille. Si affermò ministero delle economie fino all'osso, 0 della « lesina * ,
come si disse per ironia, forse perchè si affaticava a mettere un argine alle
spese ; e più avrebbe potuto, se non fosse stato internamente discorde, e se il
32 RAFFAELE DE CESARE
sao capo avesse saputo tenere in freno l'irrequieto collega dell'interno, ed eser-
citare su tutti una necessaria autorità. 11 ministero visse quindici mesi. Ne
uscì il Colombo; e nel maggio 1892, in seguito ad un voto della Camera, al
quale concorsero tutte le opposizioni, il ministero si dimise, e il Be incaricò
il Giolitti di formare la nuoya amministrazione. Questi chiamò il Brìn agli
esteri, Teodorico Bonacci alla giustizia, Vittorio EUena alle finanze, Fer-
dinando Martini alla istruzione, il Qenala ai lavori pubblici, il Lacava
airagricoltura e Camillo Finocchiaro Aprile alle poste e ai telegrafi. Dei
vecchi ministri restarono il Pelloux e il Saint Bon. Il Giolitti prese l'in-
terno e Yinterim del tesoro.
Un ministero più disgraziato non ebbe forse l'Italia. Morirono l'EUena,
il Saint-Bon, il Oenala e l'Eula. Furono sostituiti, il primo dal deputato
Lazzaro Gagliardo, il secondo dall'ammiraglio Bacchia, e il terzo dal Giolitti
stesso. Si dimise il Bonacci, cui la Camera aveva respinto il bilancio, si disse
per suggerimento del Giolitti, non volendosi il Bonacci piegare ad alcune esi-
genze di lui nel processo della Banca Romana, già iniziato.
Furono ministri di giustizia, successivamente dopo TEula, il Santa-
maria e l'Amò ; e fra grandi meraviglie venne assunto al ministero del tesoro
Bernardino Grimaldi, che col Nicotera aveva assunto contegno di vivace opposi-
tore del nuovo ministero. Della vecchia pentarchia nessuno entrò. Cairoli e Bac-
carini erano morti, e furono oppositori dal primo giorno il Nicotera con la
consueta violenza, e il Crispi con ostentato disprezzo. Il ministero non poteva
dirsi di Sinistra, ma piuttosto di Centro ; gli mancava ogni deciso colore po-
litico, e, di certo, non era nato vitale. Si voleva dargli una n^aggioranza ; e
benché la Camera non contasse che due anni di vita, fu sciolta, e il 6 no-
vembre 1 892 vennero convocati i comizii. Il ministero combattette con in-
credibile violenza avversarìi di Destra e di Sinistra. Ad esso bastava che i
candidati gli si dichiarassero favorevoli, perchè li appoggiasse senza vagliarli,
con ogni mezzo ed arte. La vera degenerazione del carattere politico si af-
fermò da quelle elezioni. Ne venne una Camera ibrida, che abbandonò il
ministero quando era più doveroso che l'appoggiasse, e ne fu presidente lo
Zanardelli, accomodatosi alla nuova situazione.
Aprendosi il Parlamento il 23 novembre 1892, Umberto pronunziò un
discorso fiorito di belle promesse e di troppo rosee assicurazioni. Disse:
fc la Colonia Erilrea non è più argomento di preoccupazione, né per la
« sicurezza sua^ né per le nostre finanze. Pienamente pacificata^ ci fa spe-
li' rare non lontano il tempo nel quale potremo trovare i vantaggi desiderati*;
ma questa parte concernente TAfrica non strappò un applauso. Dopo che il
Baldissera lasciò la Colonia, il paese si mostrò poco fiducioso di ogni assi-
curazione ottimista, ma inclinato, perfino esageratamente, ad ogni pessi-
mismo. La questione africana si considerava meno in sé stessa, quanto in
SOMMARIO DI STORIA POLITICA B AMMlMISTRATirA d'ITALIA 33
rapporto al ministero : tutti gli oppositori di questo erano antiafricanisti, ma
pochi in verità la capivano.
Nel settembre del 1892 era morto a Livorno il generale Enrico Cial-
dini, il quale, affranto da inesorabile malore, non faceva più parlare di so. Fu
commemorato forse non quanto meritava. E nella notte del 21 giugno 1898
morì a Roma, nel generale compianto, Silvio Spaventa, che dal 1889
faceva parte del Senato piuttosto nominalmente, perchè, colpito da male
inesorabile, non vi andò che di rado. Egli fu uno dei maggiori personaggi del
nostro tempo, e uno dei più caldi fiiutori deirunità italiana. La storia del
patriottismo, del carattere e del disinteresse, e quella della politica militante
e dell'amministrazione civile, avranno per lui pagine che il tempo non can-
cellerà. Il suo nome è legato alla maggiore riforma amministrativa, la cui
giurisprudenza riposa ancora sui cardini fondamentali da lui fìssati, con
decisioni rimaste fine ad ora insuperate. Furono, dopo di lui, presidenti di
quel supremo tribunale amministrativo Francesco Bianchi, Giorgio Giorgi,
Adeodato Bonasi e Calcedonio Inghilleri; e oggi, a presiedere la quinta
Sezione, creata accanto alla quarta nel 1907, per rispondere ai sempre mag-
giori bisogni del contenzioso amministrativo, trovasi Ottavio Serena.
Le difBcoltà, nelle quali il ministero Giolitti si dibatteva, erano di varia
natura, ma tutte gravissime ; sarebbero state forse vinte, se non fosse scoppiata
la tempesta delle Banche, e se la lettura della relazione della Commissione
d* inchiesta parlamentare, presieduta da Antonio Mordini, non avesse provo-
cato alla Camera la drammatica catastrofe del 24 novembre 1898, quando
i ministri furono obbligati, dalle grida e dalle minacce deirestrema Sinistra
e della estrema Destra, ad uscire dall'aula e a rassegnare le dimissioni.
È corso troppo breve tempo da quei tristi giorni, e son vive ancora troppe
persone, perchè se ne possa scrivere la storia, e colpire con rigorosa giustizia
le varie responsabilità; ma i documenti non mancano per gli storici futuri, e ba-
sterebbero i volumi dell'inchiesta, le discussioni della Camera e gli atti proces-
suali del dibattimento, innanzi alla Corte d'Assise di Roma, nonché alcune
speciali pubblicazioni. Fu quello un periodo della vita nazionale, che bisogne-
rebbe quasi cancellare dalla storia. Si vissero giorni di trepidazioni e di sorprese.
Arrestato Bernardo Tanlongo, dopo la sua nomina a senatore, la quale parve
quasi una sfida al sentimento pubblico, il procuratore del Re aveva chiesto di
procedere contro il deputato Rocco de Zerbi, ma si assicurava che vi sarebbero
state altre domande di autorizzazione, e correvano i nomi di varii deputati;
ma altra autorizzazione non fu chiesta. Con gli arresti si avvicendavano le
accuse, onde Tatmosfera s' impregnò tutta di sospetti, non solo per quanto
concerneva la Banca Romana, ma anche per quanto riguardava il Banco di
Napoli e la Banca d' Italia : accuse e sospetti, che, inquinando tutta la vita
politica, colpivano deputati, senatori e giornalisti, ministri in carica ed ei-
Bafkablk De Cesarb. — Sommario di storia ecc. 3
34 RAFFAELE DE CESARE
ministri, i quali tutti avrebbero contratto impegni con quegFistituti, giovandosi
della loro posizione politica. Si asseriva enorme il numero dei debitori morosi
nel mondo parlamentare, ma qual fosse risultò dall'inchiesta ; come risultarono
del pari le forti circolazioni clandestine e le magagne, che alcune Banche
compivano, aiutandosi a vicenda nelle operazioni della riscontrata e nelle
verifiche di cassa.
Le condizioni del paese furono, in quel periodo, di una gravità eccezio-
nale. Cresciuto il disavanzo, precipitavano i fondi pubblici; salì Taggio al
16, e la rendita scese al 90 in Italia e al 79 a Parigi. 11 Credito Mobi-
litare e r Immobiliare, potenti istituti una volta, e con essi la Banca Gene-
rale, chiesero la moratoria ; le condizioni della Banca Nazionale e del Banco
di Napoli, come risultò da speciali inchieste, si erano fatte assai diflScili, per
effetto dei crediti fondiarii delle banche stesse. In Sicilia si apparecchiava
alla luce del sole la rivoluzione sociale e la politica, con la diffusione dei
• Fasci » . L*episodio di Aigues-Moi-tes concorse ad eccitare la pubblica opi-
nione contro il ministero. A tuttociò si aggiungevano le allarmanti notizie di
Africa, nonostante le . assicurazioni ottimiste. Fallita la missione Traversi per
ottenere da Menelik una più esplicita interpretazione del trattato di Uccialli,
si seppe che BasAlula, nbellatosi a Mangascià, aveva catturato il residente
J)e Martino; e in fine, nel febbraio 1893, Menelik denunziò alle potenze
quel trattato. Il Brin aveva chiamato il Baratieri a Roma; questi venne,
e vi restò sino a quando non fu formato il secondo ministero Crispi. Egli
afferma nelle sue memorie d'Africa, di aver dato le dimissioni da governatore^
perchè non si trovava di accordo col nuovo ministero; ma il Crispi non le
accettò, ed egli ripartì per la Colonia, senza essere riuscito neppure ad otte-
nere, secondo confessò nel suo libro, che il ministero s'impegnasse a non
diminuire le forze in Africa.
Incomprensibile leggerezza di un uomo sul quale pesava tanta responsa-
bilità; ma queiruomo era così inconsistente!
Nel novembre 1893, dimesso il ministero Qiolitti, il Re incaricò lo Zanar-
delli di formare il nuovo gabinetto ; ma lo Zanardelli non vi riuscì, desiderando
egli che ne facesse parte il Baratieri come ministro degli esteri, e non con-
sentendovi il Be. Le trattative durarono parecchi giorni e fallirono; e al-
lora fu incaricato il Crispi di comporre il ministero ; ed egli lo formò, dando gli
esteri al senatore Alberto Blanc ; il tesoro e le finanze a Sidney Sennino ; la
giustizia al senatore Vincenzo Calenda ; i lavori pubblici al Saracco ; Tistni-
zione al Baccelli ; la marina al Morin ; la guerra al Mocenni ; Tagricoltura,
prima al Boselli e poi ad Augusto Barazzuoli, e le poste e i telegrafi a
Maggiorino Ferraris. Ministero relativamente omogeneo, che si mise con co-
raggio all'opera di ricostituzione politica e finanziaria. Il Crispi, con una
energia di cui la storia gli terrà conto, ristabilì l'ordine in Sicilia, sciogliendo
i Fasci; e il Sennino riparava con provvedimenti radicali e coraggiosi ai
bisogni dell'erario, i quali erano veramente gravissimi, poiché il disavanzo
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA D*ITALIA 35
per queir esercizio salì a 177 milioni. L'opera del Sennino potè riassumersi
in tre proposizioni: bilancio sincero, pareggio senza debiti e tesoro rinvi-
gorito con circolazione riordinata e avviata al risanamento.
Ma le diflScoltà, superate in Italia, rinascevano in Africa, e ancora più
gravemente. La guerra con TAbissinia era ritenuta quasi inevitabile. Mancata
la mente ordinatrice del Baldissera, le cose della Colonia erano tornate ad im-
brogliarsi. Il successo di Coatit, e poi quello di Senafè, sollevarono le speranze ;
e al Baratieri, tornato in Italia, procurarono teatrali dimostrazioni, come al
Persane dopo Ancona. Quando egli giurò come deputato, dall'assemblea e dalle
tribune si gridò: viva Baratieri! Fu promosso tenente generale a scelta;
ma la fiducia, che il Governo poneva in lui, era forse più apparente che
reale, poiché prevedendo che si andava incontro ad una guerra, come con-
fessa nel suo libro, egli chiedeva altri milioni e soldati, che non ebbe nella
misura che voleva. E scrivendo a sua difesa che il ministero gli imponeva
una politica equivoca, fedifraga e incoerente^ e a tutto ciò attribuendo
il disastro dì Adua, dimenticava che il governo della Colonia era afBdato
a lui con ogni potere; che tutto passava per le sue mani; che era deputato,
e poteva, vedendo avviarsi le cose al disastro, andare alla Camera e com-
piere il proprio dovere. Non lo fece, e seguì la politica che affermò es-
sergli imposta dalla Consulta, e che era poi quella, secondo lui, di mettere i
Capi abissini gli uni contro gli altri, promovendo ribellioni contro il Negus,
aizzando costui contro i ribelli, e cercando di ottenere a qualunque costo un
successo militare. Se il ministero non gli concesse tutti i milioni che domandava,
sostenne spese enormi per i trasporti di nuove truppe; trasporti eseguiti, è vero,
assai male, a spizzico, senza unità d'indirizzo, mettendo soldati di ogni prove-
nienza al comando di ufficiali, che non conoscevano. L*amministrazione militare
si mostrò incapace ed esitante ; e Adua fu l'epilogo di due anni di errori e di
illusioni. Bisogna però riconoscere che entrarono fra le cause le fatali e folli esi-
genze parlamentari ; e il disastro non si sarebbe avuto, se il ministero, de-
ciso di togliere il comando al Baratieri, in seguito alla sua inettitudine, e
sostituirlo col Baldissera, non lo avesse eccitato all'azione. È certamente de-
plorabile che, qualche giorno prima del decreto di sostituzione, il Ciispi in-
viasse al governatore il famoso telegramma : codesta è una tisi militare, non
una guerra : telegramma che conteneva un rimprovero cocente, e una spinta
fatale all'azione. Quando il Baldissera giunse a Massaua, il 4 marzo, la im-
mane tragedia di Abba Carima era avvenuta da quattro giorni ! L' impressione
nel paese fu terribile; furono organizzati comitati di soccorso per le famiglie
dei caduti e per la liberazione dei prigionieri, trascinati ad Adis Abeba e
trattati come bestie : vi furono dimostrazioni clamorose nelle vie e nelle
piazze. L'Italia non mostrò in quella occasione animo superiore alla
sventura.
36 RAFFAELE DE CESARE
Le responsabilità vennero accertate, ma non interamente. Il Baratieri, sot-
toposto al tribunale di guerra, fu assoluto dall'accusa di viltà; ma venne con-
dannata come insipiente e imprevidente la sua condotta. A propria difesa stampò
quel libro di rivelazioni accusatrici, di cui si è parlato. Il ministero si dimise,
non potendo più reggere alVonda di sfiducia sollevata contro di lui, e il Re
incaricò il generale Ricotti di comporre il nuovo gabinetto. Di questo, ebbe la
presidenza e il portafoglio deirinterno il Budini ; e furono ministri il Caetani
di Sermoneta per gli esteri; il Costa per la giustizia; il Branca per le finanze;
il Colombo per il tesoro ; il Ricotti per la guerra ; il Brin per la marina ;
Emanuele Gianturco per 1* istruzione ; il Perazzi per i lavori pubblici ; Fran-
cesco Guicciardini per Tagricoltura, e Pietro Carmine per le poste e i telegrafi.
Il Budini annunziò una politica di raccoglimento, la rinunzia al Tigre, al pro-
tettorato Etiopico e al trattato di Uccialli; chiese 140 milioni per continuare
la guerra o per ottenere dal Negus anche mediocri condizioni di pace, e il ri-
scatto dei prigionieri principalmente. Espresse fiducia nel Baldissera, il quale,
trovata in Africa una condizione addirittura spaventosa, con grande energia e
prudenza la veniva rimettendo, liberando con audaci e gloriose spedizioni
Cassala e Adigrat, che dopo Adua si trovavano in condizioni quasi disperate.
Dopo sei mesi il ministero Budini subì una prima crisi, e ne uscirono
il Bicotti, il Caetani, il Colombo, il Perazzi e il Carmine. Causa del dis-
sidio fu questa: che il Bicotti era fautore di un ordinamento dell'esercito,
a base di otto corpi d'armata, ma in completo assetto di guerra ; e il Bu-
dini mostravasi favorevole ai dodici corpi. Il Bicotti non volle recedere e
preferi ritirarsi; e i colleghi a lui aderenti lo seguirono. Il Caetani aveva
iniziato quella politica di conciliazione con la Francia, che il Visconti-
Venosta ebbe il merito di condurre felicemente a termine, per la quistione
di Tunisi. Il Tornielli, nostro ambasciatore a Parigi, non cessava di ammo-
nire il governo italiano che oramai, per riprendere i buoni rapporti con la
Francia, convenisse mettere una pietra sepolcrale su quanto era avvenuto a
Tunisi, e chiedere in altro campo, soprattutto nel commerciale, una serie di
compensi. Il Billot, ambasciatore di Francia a Boma, si mostrava disposto
a favorire questa politica.
Poiché il Budini credeva che le varie questioni, le quali tenevano sossopra
la Sicilia, nonostante le repressioni, si potessero meglio risolvere con un
governo locale più al contatto delle popolazioni, nominò il senatore Gio-
vanni Codronchi commissario civile per l'Isola, col grado di ministro; ma
la missione durò solo un anno; e, se si eccettuino parecchi provvedimenti di
amministrazione tutta locale e il sindacato per gli zolfi, non produsse nulla di
veramente notevole. I ministri lavoravano con ardore nei rispettivi dicasteri,
e il Visconti-Venosta conduceva con l'abituale tatto i negoziati con la Francia,
al fine di rimettere le buone relazioni fra i due paesi, convinto che conve-
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA D'ITALIA 37
Disse stabilire con la Repubblica \m proprio trattato, allo scopo di regolare
nettamente la condizione giuridica degli italiani nella Reggenza e dei tunisini
in Italia, con concludenti e determinate garanzie. E il giorno 28 settembre
fu firmata a Parigi una convenzione fra il Tornielli e il ministro degli esteri
della Repubblica, Hanotaux, con la quale la condizione degl* italiani a Tunisi
e dei tunisini in Italia veniva ampiamente regolata, con soddisfazione da
ambo le parti. Furono così ristabilite le buone relazioni, che avevan subito
una grave e brusca perturbazione sotto i due ministeri Crispi, al punto che,
oltre ai danni commerciali che determinarono la rovinosa crisi del vino nelle
Puglie, si fu al punto di venire alle armi addirittura.
Fu un periodo fecondo di goyerno ; e sarebbe stato maggiore, se il presi-
dente del Consiglio avesse saputo trarre, dalle nuove elezioni Mte nel marzo
1897, maggiori vantaggi. Le elezioni riuscirono favorevoli al ministero, ma il
Rudinì non se ne credeva sicuro ; e volle che presidente della Camera fosse
eletto lo Zanardelli. Nel discorso della Corona del 5 aprile 1897, il Eie, dopo
aver ringraziato il Paese delle dimostrazioni di simpatia per il matrimonio
del prìncipe ereditario con la principessa Elena di Montenegro, che si era
compiuto nellottobre del precedente anno a Bari, pronunciò frasi rassicuratrici
circa le condizioni normali dell* Eritrea, « le quali permettono, disse, di
prendere libere risoluzioni sulle sorti della Colonia » .
Il Rudinì ebbe la mano felice, scegliendo Ferdinando Martini come
governatore della Colonia. Il Martini aveva sostenuto che non fosse necessario
abbandonare Taltipiano, come il Rudinì aveva dichiarato che si dovesse fare
nei primi sgomenti dopo Adua. Il Martini governò la Colonia per dieci anni
con acume e prudenza; vi ristabilì l'ordine e la fiducia; compì varie opere
pubbliche, pur realizzando economie nel bilancio; sviluppò, come meglio
potè, le risorse deiragrìcoltura e delle nascenti industrie; scrisse interessanti
relazioni e si ritirò volontariamente dal governo della Colonia col plauso
generale. Gli successe il Salvago-Raggi, che si era trovato in Cina airepoca
della sollevazione dei Boxer, e aveva dato prova di senno e di fermezza.
Non contento dì aver voluto presidente della Camera lo Zanardelli, il Ru-
dinì lo volle nel ministero, provocando un'altra crisi, per la quale lo Zanardelli
successe al Costa, e il deputato Giuseppe Pavoncelli al Prinetti ; al Gian-
turco, Nicolò Gallo, e al Pelloux, il generale San Marzano. Un tale mutamento
non détte vigore al ministero, che anzi a Destra si formò un forte gruppo decì^
samente ostile, di cui facevano parte gli amici del Prinetti, malcontenti del con-
tegno tenuto dal Rudinì verso dì lui ; e i quali non approvavano la irresistibile
inclinazione sua verso lo Zanardelli e fin verso il Cavallotti. E in tali condizioni
di governo avvennero nel maggio i tumulti di Milano, impreveduti e repressi
con un'energia che le anime timide giudicarono eccessiva; tumulti seguiti da
esagerate condanne dei tribunali militari e dalla sospensione di vari giornali
38 RAFFAELE DE CESARE
politici. Furono giorni di trepidazione in tutto il paese. I Sovrani erano a Torino
per festeggiare il cinquantesimo anniversario delVapertura del Parlamento sub-
alpino, che ricorreva agli 8 di maggio. Le notizie di Milano, pur essendo gravi,
giungevano esagerate; furono sospese le feste, e molti deputati e senatori la-
sciarono Torino. Neiropera delle repressioni il Rudinl ebbe sagace colla-
boratore il generale Achille Afan de Bivera, sotto-segretario di Stato alla
gueri-a. LA fan de Rivera, ordinando con rapida misura preventiva la mili-
tarizzazione dei ferrovieri, impedì lo sciopero generale da questi minacciato.
Le cause della sommossa di Milano son difficili a determinare. Certo, nessuno
poteva prevederla due mesi prima, quando si celebrava con tanta concordia
di spiriti l'anniversario delle Cinque Giornate, benché il funerale del Cavallotti,
ucciso in duello da Ferruccio Macola, rivelasse nello stesso tempo un*organiz-
zazione rivoluzionaria impressionante. Però si era ben lontani dal credere che
la piii ricca e la più industre città italiana avrebbe dato Tesempio di una
insurrezione, scoppiata quasi improvvisamente, e che solo poteva dirsi pro-
mossa dal fine di abbattere il Governo della Monarchia, contro il quale si
era andato formando da più tempo un malcontento più morale che politico.
Il Budini, ripugnante ad affrontare le battaglie parlamentari, tornò a
dimettersi: il Be tornò a dargli T incarico; ed egli compose un nuovo mi-
nistero, senza base parlamentare, dando gli esteri al deputato Cappelli, la
giustizia al Bonacci, i lavoii pubblici ali* Afan de Bivera, al Branca il tesoro,
al Luzzatti le finanze, e l' istruzione al Cremona. Dopo ventotto giorni si ritirò
definitivamente ; e il generale Pelloui formò un primo gabinetto con prevalenza
di uomini di Sinistra. Tenne egli T interno, e fu ministro degli esteri l'am-
miraglio Canevaro ; il Finocchiaro della giustizia, il Baccelli dell* istruzione,
il Fortis dell'agricoltura. Nunzio Nasi delle poste e l'ammiraglio Giuseppe Pa-
Inmbo della marina. Nel successivo ministero, che compose con prevalenza di
uomini di parte temperata, il Visconti-Venosta fu ministro degli esteri; il So-
nasi andò alla giustizia, il Salandra all'agricoltura, il Carmine alle finanze, il
generale Mirri, e poi il Ponza di San Martino, alla guerra. Giovanni Bettole
fu ministro della marina, e il San Giuliano delle poste. Dei vecchi ministri di
Sinistra restarono il Baccelli e il Lacava. La formazione di questo secondo mi-
nistero Pelloux suscitò malumori nella parte avanzata; ma avvenne di peggio.
I fatti di Milano, ai quali erano seguiti quelli della Lunigiana e gra-
vissimi tumulti a Napoli e in altre provinole, consigliarono il Governo
a ricorrere a provvedimenti speciali di pubblica sicurezza, diretti a regolare
il diritto di riunione e la libertà della stampa, e a rendere più efficace
qualche misura di polizia preventiva. Il Pelloux li presentò alla Camera;
ma quando si arrivò alla discussione, non ostante che una larga maggioranza
si mostrasse favorevole, l'estrema Sinistra vi oppose, per la prima volta in
Italia, l'ostruzionismo nella sua forma più violenta. Fu allora che il mini-
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'ITALIA 89
stero ricorse al partito di fissare per decreto reale un termine, decorso il
quale, il disegno di legge avrebbe avuto vigore, anche prima dell'approva-
zione del Parlamento. Ma al termine non si arrivò, perchè le violenze as-
sunsero tale carattere facinoroso, da impedire addirittura ogni lavoro parla-
mentare. Il ministero, decorso il termine, applicò i provvedimenti, benché
in pochissimi casi ; e questi, aiTivati al giudizio della Cassazione, trovarono
l'Alta Corte stranamente discorde, poiché una sezione giudicò valido il de-'
creto-legge, e l'altra lo giudicò « caducato « .
I provvedimenti furono riportati alla Camera e provocarono più vio-
lente scene di ostruzionismo, schierando contro il ministero, per cause
confessabili e inconfessabili, uomini politici di vario colore e di opposti pre-
cedenti, dal Budini al Giolitti, dallo Zanardelli al Prinetti, dal Ferri al
Pantano. Tumulti in permanenza, che l'autorità del presidente Colombo non
riusciva a domare; discussioni che non avevano fine; grida sediziose da
ricordare la Convenzione francese. Fu modificato il regolamento, allo scopo
di offrire al presidente il mezzo di rimettere l'ordine nell'assemblea; ma il
presidente non se ne servì, e il ministero fu costretto a sciogliere la Camera.
Ma, per impreparazione da parte sua, le elezioni fatte in fretta e furia, forti-
ficarono gli avversari. Abbattuta la grande aula di Montecitorio, perchè si disse
mal sicura, il discorso della Corona fu pronunziato nell'aula del Senato, il
16 giugno. Il Re Umberto accennò all'acuto dissidio fra la maggioranza e
la minoranza, il quale, « oltrepassando i limiti delle pacifiche e ordinate
discussioni «, arrestò ogni opera legislativa. E aggiunse, fra gli applausi
dell'assemblea : • vana sarebbe tuttavia ogni speranza per tradurre in atto
« gli aspettati benefica, senza il retto funzionamento dell' Istituto parla-
« mentare; e faccio appello a tutti gli uomini di buona volontà^ devoti alla
1^ patria e alla mia Casa, che con la patria ha sempre avuto comuni le
« sortii. Dichiarò suo dovere difendere le istituzioni da ogni pericolo che
potesse minacciarle. Discorso breve, ma adatto alla circostanza. Fu eletto
presidente della Camera Nicolò Gallo, che si disse disposto ad affrontare le
nuove tempeste ; ma poi gliene mancò Tanimo. Il Pelloux offrì le dimissioni
del ministero, le quali vennero accolte con visibile rincrescimento dal Sovrano,
che diede incarico' al Saracco di comporre il nuovo gabinetto.
II Saracco lo formò, tenendo per sé il ministero dell' interno, e dando al
Chimirri le finanze, al Gallo l'istruzione, al Branca i lavori pubblici, al
Gianturco la giustizia, al Pascolato le poste. Del vecchio ministero resta-
rono il Visconti- Venosta e il generale Ponza di San Martino. Se il nuovo
gabinetto non ebbe accoglienze molto favorevoli dalla Camera, neppure le
ebbe ostili ; anzi il Saracco, parlando con semplicità e sentimento, fu ascoltato
con molta deferenza. Le discussioni vennero riprese, e la pace parve ritornata.
Ai 9 di luglio il Re ricevette la deputazione della Camera, che gli presentò
r indirizzo di risposta al discorso della Corona. Feci parte di quella deputa^*
40 RAFFAELE DE CESARE
xione, e ricordo che il Sovrano sembrava di umor lieto, parlando con tutti e rive-
lando la compiacenza che si fosse usciti dal torbido perìodo deirostnizionismo.
Il Parlamento prese le vacanze, e il Re partì per Monza la sera del 20, dopo
una corsa a Napoli, dove andò a salutare le truppe che partivano per la Cina,
e dove non era più andato dopo il disastro di Abba Carima. La sera del
29 luglio venne assassinato, mentre usciva da una palestra ginnastica, a
breve distanza dalla villa reale. Vi era andato per assistere ad una distribu-
zione di premii. Compiuta la cerimonia, mentre la carrozza lentamente mo-
veva, uno sciagurato gli sparò contro, quasi a bruciapelo, tre colpi di rivol-
tella, due dei quali non fallirono. Il Re non pronunziò parola. Giunse alla
Reggia morto, o spirò mentre era portato nelle sue camere, fra le grida di
strazio della Regina e le lacrime di tutti. Spettacolo più tragico non re-
gistra la storia d* Italia. Immensa ne fu V impressione in tutto il mondo.
Si credeva ad un complotto ; ma, se pur questo vi fu, non si riuscì a scoprirne
la trama. L^assassino era un anarchico venuto apposta d'America per assas-
sinare il Sovrano. La salma del Re fu portata a Roma, dove ebbe grandiose
e commoventi esequie, e venne sepolta nel Pantheon.
Regno di Vittorio Emanuele III.
La successione al trono si compì alcuni giorni dopo il misfatto, poiché il
prìncipe ereditario era in viaggio ; sbarcò il 5 agosto a Reggio di Calabria, e
direttamente andò a Monza. Il giorno 11 di quel mese prestò giuramento
neiraula del Senato ; e con voce interrotta dalla commozione, disse : « Il mio
« primo pensiero è per il mio popolo, ed è pensiero di amore e di grati-
« indine. Il popolo ha pianto sul feretro del suo Re, ed affettuoso e fidente
• si è tutto raccolto intorno alla mia persona, e ha dimostrato quali salde
• radici abbia nel paese la monarchia liberale « . E fra gli applausi molto
caldi dell'assemblea, chiuse il discorso così: « Impavido e securo ascendo
« al trono con la coscienza dei miei diritti e doveri di Re: l'Italia abbia
« fede in me, come ho io fede nei destini della patria • .
11 ministero restò in carica sino al novembre successivo, quando per
intrighi misteriosi intervenuti fra una parte della Destra, del Centro e della Si-
nistra, cadde, in seguito ad un voto parlamentare. Solo cento furono i depu-
tati che votarono a favore del gabinetto Saracco ; ma, contrariamente ai calcoli
e alle speranze di molti di coloro che avevano concorso a rovesciarlo, il
nuovo Re incaricò lo Zanardelli, che non aveva partecipato né alla discus-
sione né al voto, di formare il nuovo gabinetto; e questi lo foimò, dando
al Oiolitti il portafoglio dell' interno, al Prinetti quello degli esteri, al
WoUemborg le finanze, al deputato Girolamo Oiusso i lavori pubblici, al
SOMMÀRIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'iTALIA 41
Di Broglio il tesoro, al Nasi T istruzione; al San Martino, e poi airotto-
lengbi la gaerra, e al Morin la marina. Parve enorme che in quel ministero
entrassero uomini di Destra e principalmente il Prinetti, che si era accen-
tuato avversario indomabile dello Zanardelli, e più del Giolitti, da lui at-
taccato con veemenza un anno prima, in una memorabile seduta. Il Prinetti,
che, pochi giorni avanti di morire, aveva cominciato a dettare le sue me-
morie al presente ministro di Casa Beale, Alessandro Mattioli, suo fido se-
gretario, lasciò scritto di avere accettato « per ragioni di equilibrio politico,
a ciò che tutta Fazione del nuovo ministero non fosse improntata a prin-
cipii e tendenze radicali « .
Si attribuiva, non senza fondamento, al nuovo ministero il proposito di
presentare una legge sul divorzio e di voler seguire una politica intema favo-
revole alle tendenze socialiste e radicali. I tre ministri di Destra non riusci-
rono ad impedire che un progetto sul divorzio fosse annunziato dal Re nel
discorso del 20 febbraio 1902, aprendo la seconda sessione della XX legi-
slatura; né che s'inaugurasse nella politica interna un indirizzo di assoluta
acquiescenza verso i partiti estremi e le dottrine più radicali. Dal banco
del Governo fu proclamato il diritto allo sciopero, ed il libero attentato al
lavoro, e se ne decantarono persino i vantaggi. Molto sangue fu versato,
e reso più profondo il conflitto fra capitale e lavoro. E i tristi effetti della
politica interna oscurarono quelli della politica estera, ottenuti dal Prinetti,
che riuscì a dare ad essa un contenuto di dignità e di coerenza, e fece com-
piere dal Be i viaggi a Pietroburgo e a Berlino. Il Prinetti uscì dal mi-
nistero, in seguito a grave e improvviso malore che lo colse al Quirinale,
in presenza del Be e dei colleghi, la mattina del 29 gennaio 1908. Ebbe
r interim degli esteri il Morin fino al 22 aprile ; e poi ne divenne titolare,
succedendogli nella marina il Bettole. In quello stesso mese il re Edoardo
d'Inghilterra sbarcò a Napoli e venne a Boma, dove fu ricevuto con grandi
simpatie. Il nostro Be gli restituì la visita a Londra nel novembre, un mese
dopo aver visitato a Parigi il Loubet, presidente della Bepubblica, che era
venuto a Boma in quello stesso periodo.
Ma il Sovrano che tornò più volte a Boma, fu V imperatore Guglielmo II
di Germania. Suo padre vi era stato da prìncipe ereditario in occasione della
morte di Vittorio Emanuele, e poi nel 1883. Il figliuolo venne nel 1888,
pochi mesi dopo Tassunzione al trono; e vi tornò nel maggio del 1903.
Ebbe sempre accoglienze festose e cordiali. Non mancò di visitare il Papa,
ma non in carrozze della Corte italiana. Nel 1896 Guglielmo passò per Ve-
nezia, diretto in Sicilia; e vi tornò nel 1898, diretto in Oriente; e Tuna
e l'altra volta i Sovrani d'Italia si recarono a salutarlo. Nella primavera
del 1905 si trovava in Puglia, ma, per la coincidenza del viaggio in Italia
del Loubet, la venuta dell'Imperatore in Boma non ebbe luogo; ed egli
andò direttamente da Bari a Venezia.
42 RAFFAELE DE CESARE
Nel febbraio deiranno innanzi si era dimesso il Giiisso da ministro dei
lavori pubblici. Fa chiamato a succedergli l'attuale senatore Nicola Ba-
lenzano. Se il primo ebbe Y incontestabile merito di dare forma concreta al
progetto di un grande acquedotto per le Puglie, derivando l'acqua dal fiume
Sole, e facendovi concorrere lo Stato per ottanta milioni, il secondo rese
più attuabile l'idea, elevando a cento milioni il concorso dello Stato. Il di-
segno di legge fu approvato dalla Camera il 6 giugno 1892, e io ne fui il
relatore ; e dal Senato il 24 dello stesso mese, su relazione del senatore Serena.
Questa opera, unica nella storia e diretta a dissetare due milioni di abitanti,
è oggi in via di esecuzione, ed è fi*a le maggiori che onorano la nuova Italia.
Rendendosi sempre più gravi le condizioni della politica interna, e più
vivaci gli attacchi in Parlamento e nella stampa, il Giolitti si ritirò dal
ministero, e lo Zanardelli prese il portafoglio dell'interno. Fu durante questo
periodo che Leone XIII morì; e nel breve Conclave, la cui sicurezza e indi-
pendenza furono pienamente tutelate dal Governo, venne eletto Papa il
cardinale Giuseppe Sarto, patriarca di Venezia, trionfando in lui la tendenza
più moderata del sacro Collegio. L'Austria si servì del diritto di « veto «
per colpire il cardinal Rampolla, che aveva nei primi scrutiuii riportato
ben la metà dei suffragi.
Zanardelli morì nell'ottobre del 1903, e il Re chiamò il Giolitti a suc-
cedergli. Questi affidò le finanze al deputato Rosane, che si uccise a Napoli
sei giorni dopo, e poi ad Angelo Majorana ; il tesoro al Luzzatti ; i lavori
pubblici a Francesco Tedesco; l'istruzione all'Orlando. Il generale Pedotti
andò alla guerra, il contrammiraglio Mirabello alla marina, e restò il Tittoni
agli eàteri. Giolitti fece le elezioni generali nel novembre del 1904, con la
stessa procedura adoperata in quelle del 1892. Combattette, senza esclusione
di mezzi, quei deputati che avevano votato contro il ministero neirappello
nominale del 1^ luglio 1904, e singolarmente gli amici del Sennino. Benché
del ministero facessero parte vecchi moderati, come il Luzzatti e il Tittoni,
prevaleva su tutti la volontà del presidente del Consiglio, il quale raccolse
una copiosa maggioranza, non tenuta insieme da principi o da convinzioni,
ma da interessi minuscoli e personali. Gli effetti di una politica di acquie-
scenza ai partiti estremi cominciavano a rivelarsi; si dava per certo uno scio-
pero generale di ferrovieri ; e il Giolitti, che in quei giorni si disse infermo,
si dimise; e poiché non fu possibile trovargli un successore, il Re incaricò
il Tittoni di prender lui, con un interinato di governo, la difiBcile eredità
e provocare un voto della Camera che chiarisse la situazione. Il voto vi
fu; e tra il decreto che nominava il Tittoni presidente interinale del
Consiglio e ministro dell'interno, e quello che nominò Alessandro Fortis,
corsero soli dodici giorni. Il Fortis modificò il vecchio ministero, chiaman-
dovi il Finocchiaro Aprile alla giustizia e il Carcano al tesoro, Carlo Fer-
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA D'iTALIA ^3
raris ai lavori pubblici e Leonardo Bianchi all'istruzione. Conservò il Pedotti
e il Mirabelle, e, navigando alla meglio fra le difficoltà lasciategli dal Giolitti,
riusciva a scongiurare lo sciopero dei ferrovieri, promettendo Tesercizio di
Stato: promessa che mantenne. Fu durante questo ministero, nel giugno 1905,
che s'inaugurò a Bari il grande monumento equestre alla memoria di £e
Umberto, il primo nel Mezzogiorno, il secondo in tutta Italia: monumento
decretato da quel Municipio e da quel Consiglio provinciale, ed eseguito da
uno scultore pugliese, il Cifariello. Alla cerimonia, riuscita assai solenne,
intervennero i Sovrani, alcuni ministri e le presidenze del Senato e della
Camera. Io ebbi Tenore di leggere il discorso inaugurale.
Il ministero Fortia ebbe dalla Camera un voto contrario, in seguito ad
un grossolano e quasi inverosimile errore, compiuto da tre dei suoi mi-
nistri, il così detto modus vivendi con la Spagna, onde si concedeva a quella
nazione la facoltà di introdurre in Italia vini ed olii con tariffa eccezionale,
piii bassa della tariffa generale, e senza alcun serio corrispettivo dall'altra
parte. Si levarono altissime voci di protesta e di sdegno, singolarmente nella
Italia meridionale, percossa dalla crisi del vino e dell'olio, quest'ultima per
il tenue dazio d'introduzione concesso alla nazione più favorita. Il decreto reale
del 18 novembre 1905, che sanciva questo inverosimile accordo commerciale,
die' occasione ad una vivacissima disputa alla Camera, nella quale il deputato
Giuseppe Pavoncelli pronunciò un geniale discorso. Àltiù oratori, facendo notare
Tenorme differenza fra l'esportazione italiana in Spagna e l'importazione
spagnuola in Italia, spiegarono come le premure fossero legittime da parte
di quella nazione, che voleva assicurare i vantaggi che già godeva, rispetto ai
suoi olii d*oliva, e ottenerne altri per i suoi vini : ma che le concessioni erano
dissennate da parie dell'Italia. I ministri difesero il trattato infelicemente;
e la Camera, dando prova ancora una volta di quelle farisaiche contraddi-
zioni ond'è inquinata da un pezzo la vita parlamentare, votò la fiducia al
ministero, ma respinse il modus vivendi \ Il ministero rassegnò le dimissioni;
e il Fortis ne formò un altro, nel quale entrarono il San Giuliano, il Tedesco,
il De Marinis, e Nerio Malvezzi, che vi rappresentò, come disse il Fortis con
scettica arguzia, la puniarella di Destra. Ma questo ministero, fatto nel di-
cembre, cadde ai primi del febbraio 1906; e fu allora che il Be incaricò il
Sennino, che riscuoteva le più larghe simpatie nel paese, di formare il nuovo
gabinetto. È da ricordare che si deve al ministero Fortis la scelta del senatore
Visconti-Venosta a rappresentante dell'Italia alla conferenza di Algesiras. Il
Visconti, per l'autorità del nome e dei precedenti, esercitò una preponderante
e conciliante influenza nei dibattiti e conclusioni della conferenza, che lascia-
vano temere gravi conflitti fra la Germania e la Francia; ma non bisogna
obliare che qnel ministero mandò in vigore l'esercizio di Stato di tutte le
ferrovie senza alcuna preparazione, per cui si lamentarono infiniti e gravi in-
convenienti, che spaventarono nei primi tempi, e non assicurano neppnre oggi.
44 RAFFAELE DE CESARE
dopo cinque anni di esperimento; e quel che fu peggio, senza alcuna adeguata
previsione delle conseguenze finanziarie, che in breve tenipo si verificarono.
E non dico di più, perchè il ponderoso problema ferroviario à trattato in
questa opera da un ex-ministro dei lavori pubblici, che fece paite del primo
ministero Fortis.
Negli anni che corsero dal novembre 1903 al febbraio 1908, si svolsero
fra la pubblica curiosità le vicende del processo a carico dell* ex-ministro
Nunzio Nasi, le quali cominciarono con interpellanze alla Camera. Ma fu in se-
guito alle accuse contenute nella relazione del deputato Saporito, membro della
Commissione del bilancio per i consuntivi, che la Camera deliberò un in-
chiesta, i cui risultati produssero rinvio degli atti all'autorità giudiziaria
e Tautorizzazione a procedere contro Tex-ministro, che si sottrasse con la fuga.
Ma avendo la Cassazione dichiarato Tincompetenza del magistrato ordinario, la
Camera pronunziò Taccusa, del^ando tre dei suoi membri a sostener questa
innanzi al Senato, costituito in alta Corte di giustizia. Il 12 luglio 1907
fu costituita l'alta Corte; e tre giorni dopo, il Nasi, il quale aveva fatto ri-
torno in Roma, fu arrestato e condotto a Regina Coeli. Avvennero dimostra-
zioni di protesta, e conflitti abbastanza gravi a Palermo e a Trapani, ritenen*
dosi che il Nasi fosse vittima di odii regionali. A Ti*apani si seguitò a rieleg-
gerlo come deputato. Il 5 novembre cominciò con grande solennità il dibat-
timento, che ebbe fasi e incidenti impressionanti, anche per la circostanza
che sedeva come imputato il Lombardo, già segretario e amicissimo del Nasi.
Risposero all'appello centoquarantuno senatori, ma centodue pronunziarono
la condanna, che fu per peculato, con pena di undici mesi e giorni venti
di carcere, e la interdizione dai pubblici ufBcii per la durata di anni
quattro e mesi due. Le prime dieci sedute si tennero sotto la presidenza
di Tancredi Canonico, il quale, affranto dall'età e dal lavoro, si fece sosti-
tuire dal vicepresidente Pietro Blaserna. Il processo venne ripreso il 24
febbraio sotto la presidenza di Giuseppe Manfredi, che rivelò energia gio-
vanile ed equanimità di vecchio magistrato. Le sedute dell'alta Corte fu-
rono trentasei ; eloquenti le difese degli avvocati ; la condanna per peculato
venne pronunciata con 74 voti favorevoli e 23 contrarli. Dopo il processo
del Persano, l'alta Corte non aveva avuto occasione di pronunziare verdetto
più solenne, in materia di interesse pubblico !
Sidney Sonnino formò il nuovo ministero con uomini di riconosciuto va-
lore. Détte le finanze al Salandra, il tesoro al Luzzatti, al Carmine i lavori
pubblici, gli esteri al Guicciardini ; conservò alla marina il Mirabelle, e serbò
per sé il ministero dell'interno. E poiché ogni tradizione dei vecchi partiti ò
distrutta; e per assicurarsi la maggioranza della Camera, divenuta arbiti-a
esclusiva della vita di ogni Governo, si cerca di mettere insieme deputati di
origine divei-sa, o militanti addirittura in campo opposto, il Sonnino, volendo
SOMMARfO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d' ITALIA ^5
aoche tener conto delle varie parti della Camera che si erano coalizzate nella
opposizione al ministero Fortis, chiamò Ettore Sacchi, capo del gruppo radicale,
e gli affidò il portafoglio della giustizia; ed Edoardo Pantano, militante sino
allora nel campo repubblicano, e gli affidò Tagricoltura, forse non considerando
abbastanza ohe la nomina di quest* ultimo avrebbe sconcertato i conservatori,
non abbastanza gamntiti dal fatto di vedere nel ministero, oltre al Sennino,
uomini come il Salandra, il Carmine e il Guicciardini. Un gruppo di Destra
colse Toccasione di attaccare il ministero, il quale, anche per il modo come
era formato, non riusciva a trovar molto sèguito nella Camera, non ostante
la promessa di leggi sociali, di riforme radicali e della conversione della ren-
dita. Si andava alla ricerca di pretesti per rovesciare il gabinetto. In verità
si temeva cbe il Sennino, rigido e austero, non avrebbe governato con i me-
todi dei suoi predecessori, ne più avrebbe tollerata la inframmettenza dei
deputati nelle cose del governo. Sopra un futile pretesto di procedura parla-
mentare, approfittando delle dimissioni di tutto il gnippo socialista, avvenute
in seguito ad uno sciopero imposto e voluto dal partito, nonché della asten*
sione del gruppo repubblicano e di molti radicali, con pochi voti di minoranza
il ministero fu rovesciato, dopo soli cento giorni ; e il Giolitti, ristabilito in
salute, tornò al governo.
Yi tornò col Tittoni, con T Orlando, con Angelo Majorana, col Gianturco,
col Gallo, col Massimini e col Vigano. Majorana ebbe la fortuna di eseguire
la conversione della rendita, preparata, come si è detto, dal ministero
precedente. Lasciò il Governo per grave infermità, che lo trasse alla
morte giovanissimo, assai compianto per Tanimo buono e le qualità della
mente. Di quest'altro ministero Giolitti, morirono il Gallo e il Gianturco,
e fu colpito da apoplessia il Massimini. Al Gianturco, che, se avesse avuto la
saldezza del carattere politico pari all'altezza della mente, alla dottrina giu-
rìdica e all'eloquio geniale, avrebbe potuto prender posto fra i maggiori
uomini di Stato, successe il deputato Bei-tolini, già sottosegretario airinterno
nel secondo ministero Pelloux. Il ministero sciolse la Camera nel 1909 ; e le
elezioni, fatte in odio ai candidati di estrema Sinistra, e di quanti non invo-
carono la protezione del Governo, dichiarandosi suoi soggetti per la vita e per
la morte, procurò al Giolitti una grossa maggioranza personale.
Le maggiori difficoltà di questo ministero furono procurate dalla politica
estera e dalle convenzioni marittime. II Tittoni, in un discorso tenuto in
Lombardia nell'ottobre del 1908, aveva lasciato ritenere, che l'annunziata
annessione della Bosnia e dell'Erzegovina all'Austria si facesse quasi di ac-
cordo con l'Italia, la quale ne avrebbe ricevuto larghi compensi. L'an-
nessione si compì, ma dei compensi non si vide Tombi-a : onde furono
assai vivaci i dibattiti nella Camera e nel Senato. Il Tittoni, che mala-
mente si difese, fu sul punto di dare le dimissioni ; ma il Giolitti lo salvò.
Però non riuscì a salvare le convenzioni marittime, le quali furono argomento
40 RAFFAELE DE CESARE
di dibattiti violenti ed eloquenti. L'estrema Sinistra rìeyocò i ricordi della
Banca Romana, e seminò il campo di sospetti e di accnse, a carico di quanti
si credeva che avessero avuto mano in quelle convenzioni. Il ministero chiese
un rinvio a novembre, per impedire violenze e scandali, tanto erano accesi gli
animi ; ma riaprendosi la Camera, il Giolitti presentò di sua iniziativa alcuni
provvedimenti finanziarii, che suscitarono proteste nel paese e forti opposi-
zioni negli Uffici, i quali a maggioranza li respinsero. Il Oiolitti détte le
dimissioni, e il Re chiamò nuovamente il Sennino, capo deiropposizione, a
formare il nuovo ministero.
Il Sennino ebbe il torto di non chiedere al Re la facoltà di sciogliere
una Camera, la cui maggioranza, fedele ai precedenti governi, non gli avrebbe
permesso di vivere. Formò un ministero pia omogeneo del primo, e ne furono
personaggi principali il Salandra, il Bettole e il Luzzatti. Il generale Spin-
gardi restò ministro della guerra, Enrico Arietta andò alle finanze, Oiulio Ru-
bini ai lavori pubblici, e tornò il Guicciardini agli esteri. Le affermate tregue
degli avversari erano fìnte, perchè contro il ministero lavoravano tutti, dal
primo giorno, più o meno insidiosamente. Le convenzioni marittime presen-
tate dal Bettole, e da lui sostenute con gagliarda eloquenza in un discorso
durato più ore fra lunanimità degli applausi e la commozione dei presenti, che
sapevano il Bettole colpito due giorni innanzi da un grave lutto in famiglia,
non furono più fortunate delle altre. SI trattava dì rovesciare il ministero,
non le convenzioni ; e il momento parve propizio. Il ministero, convinto che
sarebbe stato battuto, non ostante un altro trionfo parlamentare, riportato
dal Salandra nella sua onesta e geniale esposizione finanziaria, non affrontò
il voto. E poiché il Sonnino non volle chiedere al Re la facoltà di sciogliere
la Camera, il Giolitti — i cui amici, di accordo con l'estrema Sinistra, avevano
maturata la crisi — non essendo ancora disposto a riprendere il Governo,
indicò al Re il Marcerà, presidente della Camera ; e poi il Luzzatti. Questi
compose il gabinetto, chiamando il San Giuliano agli esteri, il Tedesco al
tesoro, il Fani alla giustizia, il Facta alle finanze, il Raineri all'agricoltura,
il Sacchi ai lavori pubblici, e il Credaro all' istruzione. Ritenne lo Spingardi
alla guerra, e chiamò uno dei più reputati ammiragli, il Leonardi-Cattolica,
alla marina. Con Tappoggio della maggioranza giolìttiana, dalle cui fila usci-
vano parecchi ministri, il Luzzatti, che tenne per sé il portafoglio deirinterno,
cominciò a navigare fra incerti scogli, non senza qualche abilità da prin-
cipio, ma assai concedendo ai partiti estremi, che non gli negarono il loro
appoggio. E chiusa la Camera, riuscì a prolungare la vita ministeriale, non
ostante che tutto congiurasse contro il Governo: colera, scioperi, agitazioni
agrarie, carestia, inondazioni. Aveva fatto approvare dal Parlamento un pro-
getto di convenzioni provvisorie per tre anni, obbligandosi di presentare, col
primo dicembre dell'anno corrente, la sistemazione definitiva dei servizi ma-
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d' ITALIA 47
rittimi; e farono prese le vacanze nei primi giorni di luglio, dopo lo svolgi-
mento di un interpellanza del senatore Arcoleo sulla riforma del Senato.
Nell'ultimo decennio furono deliberate parecchie inchieste; e sono da
ricordare quelle sulle amministrazioni della guerra e della marina; e l'altra,
più recente, sulla pubblica istruzione : tutte e tre provocate da vivaci dibat-
titi e da più vivaci polemiche, da sospetti e da accuse. I risultati delle
inchieste, contenuti in ponderosi volumi, determinarono provvedimenti nei due
primi dicasteri; e quelli per Tistruzione generarono un comitato, che fu detto
epuratore del personale di un ministero sconvolto in varii anni di pessimi
governi ; e provocheranno, è da sperare, riforme coraggiose che valgano a dare
assetto a quei servizii. La Commissione d'inchiesta sulla guerra fu presieduta
dal senatore Rinaldo Taverna; quella sulla marina, dal deputato Giusso; e la
iena, sull'istruzione, dal senatore Serena. Vi fu anche un'inchiesta sulla con-
dizione dei contadini nel Mezzogiorno, da molti ritenuta superflua, dopo la
grande inchiesta agraria, che ebbe per relatore Stefano Jacini. Le conclusioni
delle tre prime inchieste suscitarono dibattiti meno vivaci, e, di certo, meno
accesi dalle passioni che le avevano provocate, anche perchè provarono che
non poche accuse erano esagerate, e non pochi sospetti privi di fondamento.
Leggi organiche amministrative e sociali
Se la quantità delle leggi amministrative, in ogni ramo delFazienda
pubblica, fu addirittura enorme, la causa va ricercata principalmente nel pec-
cato di origine, per cui si fecero leggi organiche le quali prescindevano dalla
realtà delle cose; anzi, come già dissi, dalla storia e dalla geografia. Il bi-
sogno di correggere gli effetti funesti di leggi malfatte consigliava nuove
leggi, le quali, essendo quasi rappezzature empiriche delle prime, di rado
riuscivano a migliorarle. La legge elettorale politica fu più volte emendata,
non mai in maniera da evitare le violenze, le frodi, onde la funzione eletto-
rale è divenuta quasi una menzogna. Dal collegio uninominale e dal suffragio
ristretto si passò allo scrutinio di lista a suffragio allargato, quasi a suffragio
universale, sotto la peggior forma; poi si tornò al collegio uninominale; e
dopo le tristissime recenti esperienze, si vorrebbe tornare a un nuovo e più
deplorevole allargamento di suffragio; ma dai mezzi concludenti per evitare
le ribalderìe si ripugna, per quel senso di paura rettorica ch'è tanta parte
deir esser nostro. Basterebbe colpire, non con vane minaccie, il reato elet-
torale; sottrarre gli scruti ni i agl'interessati e la convalidazione ai membri
della stessa Camera. Io non dubito che la forza delle cose imporrà la riforma
della legge elettorale nella sua procedura difettosa e addirittura deficiente ; la
^8 RAFFAELE DE CESARE
imporrà quello stesso movimento deiropioione pubblica, che produsse nel 1880
la maggior riforma compiuta nel nostro diritto amministrativo, riforma che
s'imperniò tutta nel nome di Silvio Spaventa, il quale, in un magistrale di-
scorso, pronunciato a Bergamo il 7 maggio 1880, mise nettamente il pro-
blema, cui rimase, in omaggio a lui, il nome di giustizia neW amministra-
zioae. Rilevate le difiScoltà, che incontrano la giustizia e la legalità nelle
pubbliche amministrazioni sotto i governi parlamentari, e specialmente in
Italia, egli notava come i quattro anni di esperimento della Sinistra al potere
le avessero rese più gravi ed evidenti.
Distingueva lo Spaventa governo da amministrazione; e riconoscendo che
l'indirizzo governativo deve soggiacere alla mutabilità delle correnti rappre-
sentate dalla maggioranza, affermava la necessità che l'amministrazione non
fosse secondo l'arbitrio e l'interesse di partito, ma secondo la legge, applicata
a tutti, e con giustizia ed equanimità verso tutti. Quel discorso fu una vera re-
quisitoria contro il governo di Sinistra, detta non da un uomo di parte, ma da
un giustiziere supremo, che parlava in nome dei più alti piincipi di un diritto
pubblico civile. L'impressione fu enorme ; e divenne postulato dei nostri giu-
risti e pubblicisti più eminenti, da Giovanni de Falco a Marco Minghetti, al
Mantellini, a Pasquale Turiello, a Vito Sansonetti, ad Antonio Salandra,
la conclusione del discorso di Bergamo, cioè « la necessità di sottoporre
« tutte le pubbliche amministrazioni ai freni più severi della giustizia, im-
« pedendo che si corrompano le nostre istituzioni, nelle quali solamente il
« popolo italiano, con la libertà, può raggiungere il suo maggiore benessere » .
Lo Spaventa proponeva che organo di questa giustizia amministrativa
fosse il Consiglio di Stato riformato nelle sue attribuzioni; e tale fu Tidea
informatrice del progetto presentato da Francesco Crispi il 22 novembre 1887,
che divenne la legge 2 giugno 1889. Questa istituì nel Consiglio di Stato
la IV sezione, inauguratasi il 18 marzo 1890, e il Crispi vi chiamò a capo
lo stesso Spaventa, il quale ne tenne la presidenza Ano alla morte. Dairalto
di quel supremo tribunale amministrativo, abbandonata la politica militante,
perchè le sue nuove funzioni di giudice non ne fossero o apparissero tur-
bate, egli tornò a comandare in nome della giustizia, formando una giuris*
prudenza che rappresenta anche oggi la base della nostra giustizia ammi-
nistrativa ; e così fu posto un freno agli abusi del potere esecutivo. Ma , non
bastava. Il triennio 1888-89-90 resta memorabile per le leggi fondamen-
tali promulgate: quella per la sanità pubblica, del 22 dicembre 1888;
le due del 1889 e 1890, che crearono gli istituti della giustizia ammi-
nistrativa, con la IV Sezione del Consiglio di Stato e con la Giunta Pro-
vinciale amministrativa, stabilita con funzioni non solo contenziose, ma so-
prattutto di vigilanza, e di tutela concludente sui Comuni, messi ora sotto il
governo di una buona legge, la quale stabilisce un limite nella misura del
sovraimporre e dello spendere, distingue le spese in obbligatorie e fa-
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA D*ITALIA ^^
coltative, 6 fissa buone norme a tutela dei patrimonii comunali e della con-
sistenza dei bilanci.
Con la legge sulla sanità pubblica venne disciplinata tutta la materia
relativa airigiene, e completata con regolamenti, i quali formano con la legge
un codice, che può star bene a confronto della legislazione sanitaria di qua-
lunque Stato, e le cui disposizioni ebbero discreti effetti nella invasione
recente del colera in Puglia. E con la legge sulle istituzioni pubbliche di
beneficenza, del 17 luglio 1890, completata dall'altra del 1904, che istituì
le commissioni provinciali e il Consiglio superiore, Tenorme patrimonio delle
opere pie viene non solo sottratto alla rapacità di amministratori disonesti,
ma, secondo le occasioni, anche accresciuto, disponendosi trasformazioni e
concentramenti, riforme e revisioni di statuti, al fine di coordinare tutte le
varie forme antiche e moderne della pubblica carità, renderne meno costosa
Vamministrazione e maggiore TefiScacia a vantaggio dei poveri. Anche le
opere pie di culto e le confraternite laicali vennero rivolte a scopo di bene-
ficenza; e se non sempre lattuazione di questa l^ge fu immune da indirizzo
paiiigiano, che in alcuni momenti le si détte, non si può dire che abbia fallito
allo scopo suo, che fu quello di fare delle Congregazioni di carità il centro
di irradiazione della pubblica beneficenza, e di avviare questa, dalle sue pri-
mitive forme elemosiniere e generiche, a forme specifiche più evolute, e princi-
palmente a vantaggio dei bambini e degrinfermi.
Però, ammaestrati dall'esperienza dopo circa mezzo secolo dall'unità
politica, si cominciò a sentire la necessità di leggi speciali e frammentarie,
provocate o da pubblici infortuni, o da minacce di sedizioni. E furon fatte quelle
per la Calabria e per Messina, dopo i ripetuti terremoti devastatori ; per la Ba-
silicata, per il Mezzogiorno e per la città di Napoli : leggi informate a concetti
più pratici, nonché ad una più chiara conoscenza delle cose, e ad una più di-
retta azione dello Stato. Tutta l'opera del Ooverno nelle Provincie meridionali,
per effetto dell'assurda uniformità delle leggi organiche amministrative, era
riuscita dissanguatrice economicamente, e moralmente disastrosa. La Basili-
cata ridotta quasi una landa, denudata, dai suoi boschi, impoverita dai debiti,
dalla crescente diminuzione dei suoi armenti e da una più crescente emigra*
zione dei suoi lavoratori. E così le Calabrie, dove le varie leggi per i lavori
pubblici non erano eseguite per mancanza di mezzi, e perfino di progetti.
Il problema, poi, della città di Napoli, apparve in tutta la sua triste evidenza.
Se la più popolosa città d'Italia ha conseguito importanti miglioramenti
edilizi ed igienici, resta sempre un gran centro di povertà, di disquilibrio eco-
nomico e di minaccia perenne dell'ordine politico. Le sue risorse non bastereb-
bero a trasformarla in un centro di attività industriale, e a scemarne via via
il nimiero dei disoccupati. Non é già che le nuove leggi abbiano comple-
tamente risoluto questi problemi; ma li hanno posti e definiti. Esse non
Rkkiaflb Db Orbare. — Sommario it storia ecc. 4
50 RAFFAELE DE CESARE
furono sempre preparate con suflSciente elaborazione, e di rado i mezzi vennero
proporzionati al fine. Così per le ferrovie, le strade, le bonifiche e il governo
delle acque ; così per i rimboschimenti e il credito. Esistono ancora contraddi-
zioni strìdenti e quasi inverosimili. Si vuole il rimboschimento, e si lascia
devastare gli ultimi resti dei vecchi boschi; si vogliono strade, indispen-
sabili nelle regioni del latifondo, e nelle leggi per il Mezzogiorno non si son
resi obbligatori! i consorzi per farle : quei consorzi, che sono oggi nelle Pro-
vincie meridionali una derisione. Non si è posto mente che il problema del lati-
fondo non si risolve senza le strade vicinali e comunali: problema, cui sono
strettamente connessi ben due altri: spopolare i grossi centri di abitazione,
fomiti perenni di disordini politici e di infezioni, e popolare la campagna coi
suoi lavoratori. Di tali mancanze è conseguenza logica la emigrazione, col suo
male e col suo bene, perchè se la emigmzione spopola le campagne, le eco-
nomie degli emigrati cominciano a formare nel Mezzogiorno una nuova ric-
chezza territoriale, che sarà più resistente di quella, la quale si vien liqui-
dando per effetto soprattutto dei crediti fondiari che seminarono di rovine
quelle contrade; mentre altri crediti, sotto forme più bugiarde e seducenti di
cooperazione, compirono il disastro. Nei prestiti fondiarii non si tenne presente
la circostanza che il denaro avuto in mutuo non dovesse servire che alla
terra; e che, per T impossibilità di pagarlo a scadenza semestrale in lunga
serie di anni, prescindendo da tutti i possibili infortunii, si sarebbe venuti
presto 0 tardi airinevitabile precetto ed alla espropriazione. Però, tutto com-
preso, è da convenire che solo coi nuovi concetti, che cominciano a prevalere
nella legislazione amministrativa ed economica, si può risolvere il problema
meridionale, causa di debolezza di tutta la vita organica dello Stato, dando
a quelle regioni il benessere e la pace, elevandone il carattere morale e
risolvendo, un pò* per volta, altre questioni minori, che non furono mai
risolute, ma piuttosto mutate ed acuite in circa mezzo secolo di quel con-
venzionalismo teoretico, che informò la legislazione amministrativa della
nuova Italia.
Della legislazione amministrativa di carattere sociale io non parlerò di
proposito ; della previdenza, discorrerà in questa opera istessa un uomo di
riconosciuta autorità. Mi limiterò a discorrere di quelle leggi, che hanno
più spiccatamente carattere sociale, e la cai esecuzione è competenza dello
Stato. Se V Italia in fatto di legislazione sociale è appena ali* inizio, questo
inizio è segnato da due leggi, che potrei chiamare organiche e fondamen-
tali: la legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, e Taltra sugli infor-
tunii del lavoro. La prima, iniziata fin dal 1886, riguardava il lavoro dei
soli fanciulli, ma divenne nel 1902 anche legge per le donne. Si estende
alla sola industria estrattiva e manifatturiera, per ora, e protegge fanciulli
d'ambo i sessi, dai 13 ai 15 anni; fanciulle minorenni dai 16 ai 21; e donne
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'ITALIA 51
superiori ai ventuno anni. Contiene una serie di provvedimenti amministrativi
circa la limitazione degli orail Tobbligo dei riposi e divieti di lavori not-
turni; e per le donne il riposo durante il puerperio. La legge sulla cassa
di maternità e Taltra sul lavoro notturno delle donne completano la prima.
Il fondo che sì riferisce alla maternità, viene costituito coU'assicurazione
delle interessate ad una Cassa, alla quale contribuiscono i proprietari delle
manifatture. È limitato inoltre il lavoro notturno femminile, in attuazione
della convenzione di Berna del 26 settembre 1905, dalle ore 22 alle 5.
L*altra legge fondamentale è quella del 31 gennaio 1904 sugi' infortuni
del lavoro. Ha due scopi: la riparazione degl* infortuni mercè compensi
pecuniarìi, e la determinazione di norme, destinate a diminuirne la frequenza:
si occupa cioè dell'assicurazione e della prevenzione. La prima deve esser
fatta dair imprenditore presso un istituto di sua scelta, e con le norme di
polizza libere, in quanto le disposizioni legislative o regolamentari diretta-
mente non provvedano. La seconda si esplica in misure preventive, per
disposizione, illuminazione dei locali, uscite per incendi, riparo di organi
pericolosi delle macchine operatrici, precauzioni imposte agli operai, isola-
mento dei motori, sorveglianza delle trasmissioni, segnale di messa in marcia:
misure comprese in regolamenti speciali, detti appunto preventivi.
Fra le leggi minori sono da ricordare quella sui probiviri, del 15 giugno
1893, che limita la sua azione agli operai dell* industria e ai trasporti del-
Tagricoltura, e stabilisce la istituzione dei collegi per decreto reale, su ri-
chiesta degl'interessati; e Taltra sul riposo settimanale e festivo, corredata
da due regolamenti, il primo riguardante il commercio, ed il secondo l'in-
dustria. Mira ad assicurare 24 ore settimanali di riposo non interrotto agli
operai, con esclusioni ed eccezioni, cercando di conciliare, e non sempre
riuscendovi, le ragioni di necessità pubblica coi riposi che si vorrebbe assicu-
rare. Sono anche da ricordare la legge sul lavoro delle risaie, e quella
suir abolizione del lavoro notturno nell' industria della panificazione. Bicordo
anche la più recente, che die' luogo a vivaci dibattiti fra i competenti in
Senato, circa il divieto di usare fosforo bianco nella fabbricazione dei fiam-
miferi: legge sanzionata il 10 luglio dell'anno scorso, e che non sarà appli-
cabile prima del 1915. È anch'essa risultato della convenzione di Berna.
Questa è la legislazione sociale finora attuata in Italia, compresa la Cassa
nazionale di previdenza. É innanzi al Parlamento un disegno di legge su gl'in-
fortunii degli operai addetti al lavoro neiragricoltura, la cui prima iniziativa
fu del senatore Emilio Conti, e che il Governo ha fatto suo nella sostanza, mo-
dificandolo in varii punti. E innanzi al Parlamento è pure un più modesto
progetto snir ispettorato del lavoro, per Tesecuzione delle leggi votate finora;
e un altro, infine, sul contributo dello Stato contro la disoccupazione invo-
lontaria, progetto respinto dagli Ufliciì del Senato, perchè incompleto e infor-
52 RAFFAELE DE CESARE
mato a principii troppo discutìbili. È infine da ricordare che, sin dal 1902,
Tenne costituito, alla dipendenza del ministero di agricoltura industria e com-
mercio, un Ufficio detto del lavoro, che ha per iscopo di studiare tutte le que-
stioni operaie e sociali, e di provvedere airapplicazione delle leggi relative. Si
rimprovera all'Italia che questa legislazione sia ancora scarsa, e s'insinua
che è tale, perchè la borghesia seguita ad essere la classe dirigente del paese.
Certo, le altre nazioni hanno fatto di più ; ma si deve notare che esse sono eco-
nomicamente più progredite; e nessuna è ricca, come T Italia, di tante opere
pie, che compiono funzioni sociali, utili e notevoli, e sono alimentate da
un'enorine fortuna accumulata da secoli: beneficenza in tutte le sue forme,
dovuta alla pietà e alla fede religiosa delle vecchie generazioni. Se è vero
che in Italia il povero non ha nessun diritto legale, come in Inghilterra, non
è men vero che la beneficenza non l'abbandona in qualunque infortunio della
vita, dalle malattie all'educazione e sussistenza dei suoi figli, come non
abbandona gli orfani, i derelitti e quanti sono miseri nella vita. Ma il do-
loroso è questo veramente: che la beneficenza abbonda nelle regioni più
ricche, e scarseggia nelle più povere. Nel Mezzogiorno è concentrata nelle
grandi città; ed una perequazione non è possibile, poiché la beneficenza
è, per sua natura, strettamente locale, né può mutarsi senza offendere la vo-
lontà del fondatore e i legittimi interessi regionali. In quelle provincie la
beneficenza venne a mancare dal giomo in cui cominciò a deperire il sen-
timento religioso : mentre nelle provincie del Nord accenna a cambiar forme,
conciliando i lasciti generosi agli ospedali con la fondazione di opere ri-
chieste dalle più impellenti esigenze sociali. Anche nel Mezzogiorno ora pre-
vale la abitudine di provvedere, mercè lotterie, a molti bisogni della benefi-
cenza. Ed è laggiù che dovrebbe rivolgersi l'attenzione di quanti si occupauo
del grande problema di rialzare le condizioni economiche dei lavoratori; e
laggiù sono lavoratori della campagna in grandissima parte. Sarebbe do-
vere dell' Ufiicio del lavoro e della Direzione della previdenza, che sono i
due organi amministrativi della legislazione sociale, studiare provvedimenti
più opportuni e conclusivi, per venire in aiuto, ad esempio, di quella nu-
merosa classe di lavoratori giomalieri della terra, condannati ad un ozio
di miseria nei crudi inverni, e messi neiralternativa tra la fame e la som-
mossa. Occorre una sapiente e radicale opera di reintegrazione dello Stato
a propria difesa, e a tutela dell'ordine. Dopo tanti disastri di terremoti e
di stagioni avverse, e il continuo esodo di quelle popolazioni nelle Ame-
riche, e l'espropriazione della terra ai proprietari indebitati, è stoltezza
credere che quelle provincie possano da sé riparare alle proprie miserie.
Deve provvedervi il paese, col Govemo alla testa, non trascinato da vio-
lenze parlamentari o da tumulti popolari, ma illuminato dalla visione del
pericolo, dal sentimento del bene e dell'onore, e soprattutto dalla coscienza
di compiere un'azione pacificatrice e redentrice per tutta l'Italia.
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'iTALIA ^^
Proposta di riforma del Senato e della legge elettorale.
Tra le riforme politiche, che si affacciarono nei primi giorni del nuoTO
ministero, fu quella del Senato, promossa da tendenze indeterminate e quasi
opposte. Mentre la corrente più radicale Yuole un Senato eletto a suffragio
piuttosto largo, dicendone quasi una succursale della Camera dei deputati, la
corrente conservatrice ne vagheggia uno, che abbia effettiva partecipazione
alla vita politica dello Stato, ed eserciti il suo ufficio moderatore con serenità
ed efficacia, rimanendo assemblea vitalizia, indipendente da Governi e da
torbide maree elettorali. Da più tempo sì lamentava che il Senato avesse
perduto ogni vigore di azione politica ed ogni ombra di resistenza al
potere esecutivo, anche quando il Oovemo più accentuava la sua noncuranza
per esso. Ministeri senza scrupoli non avevano avuto freno nelle nomine, ispi-
rate 0 da male esigenze parlamentari, o da paure immaginarie; o, peggio
ancora, da inconfessabili baratti di favori. Si chiedeva una riforma che fre-
nasse soprattutto l'arbitrio governativo, contro il quale il Senato aveva cre-
duto di trovare un'arma in un regolamento con cui esso può rifiutare a scru-
tinio segreto qualunque nominato, senza dar conto a nessuno. Eccesso di
difesa, provocato dal timore di peggiori abusi.
Una delle difficoltà della riforma era il metodo da seguire neirintrodurla.
Essendo i senatori di nomina regia, ma effettivamente di nomina ministe-
riale, ogni mutazione appariva come uno strappo ai diritti del Sovrano, in
apparenza : ma ai poteri e capricci del governo, in sostanza ; e perciò nessun
ministero promosse la riforma, o ne apparve tenero, eccetto il gabinetto
Luzzatti, che veniva al potere col favore manifesto dei radicali e dei socia-
listi. Biformare il Senato, significa riformare lo Statuto, considerato finora come
una specie di arca santa dei vecchi diritti della Monarchia, cui costituzio-
nalmente apparterrebbe la facoltà di modificare quel che ha concesso. Lo Sta-
tuto sardo del 1848, copia meccanica di quello del 1830 in Francia, creò il
piccolo Senato piemontese, di cui potevano essere fra i titoli un censo di
lire tremila dlmposta diretta ; tre elezioni alla presidenza di quelli che allora
si chiamavano Consìgli di divisione, ed ora son detti provinciali, e la de-
putazione politica con soli sei anni dì esercizio. Gli altri tìtoli erano e sono
alti gradì civili, militari, accademici ed ecclesiastici, distribuiti in varie ca-
tegorie, senza numero determinato per ciascuna, onde piena balìa al governo
nelle scelte, e disquilibrio enorme nello stato dei senatori, essendo sempre
in gran maggioranza i fnnzìonarìì in servizio o in riposo. Sopi-a ventuno
categorie, sei soltanto sono di cittadini non appartenenti agli uni o agli
altri.
Essendo così strìdenti le anomalie, appena il potere passò dalla Destra
alla Sinistra, si cominciò dai conservatori a sentire la necessità di una ri-
^^ RAFFAELE DE CESARE
forma : necessità, che crebbe dopo le scandalose « infornate « . La quistione
fu studiata più volte : ma a nessuna conclusione si era mai venuti, per dif-
ficoltà di forma e di sostanza. Fu nella tornata del 6 maggio di questa) anno
che il senatore Giorgio Arcoleo, di accordo col presidente del Consiglio Luz-
zatti, svolse un interpellanza « su gl'intendimenti del Governo circa le riforme
politiche, che riguardano la costituzione dei due rami del Parlamento « . Parlò
bene ; fu udito con simpatia e applaudito quando dimostrò la necessità di una
riforma, con ragioni tratte dalla realtà delle cose. Non presentò proposte
concrete, e solo un ordine del giorno per la nomina di nove membri, « con
l'incarico di studiare e proporre quali riforme possano adattarsi sulla com-
posizione e funzionamento del Senato » . Rispose il Luzzatti aderendo, sopra-
tutto in vista di un maggior allargamento di suffragio nella elezione dei de-
putati: allargamento non lontano, egli disse, che troverebbe posto in un disino
di nuova riforma elettorale. E lasciò troppo intendere che considerava la ri-
forma Game correttivo di una più larga partecipazione di cittadini all'elet-
torato, con relative e prevedute conseguenze. Accettò la proposta della Com-
missione, che il presidente Manfredi nominò, e della quale fu presidente il
Finali e relatore TArcoleo.
La riforma nasce, perchè nasconderlo ?, sopra un equivoco. I partiti estremi,
messi in sull'avviso dalle imprudenti dichiarazioni del Governo, non saranno
soddisfatti del progetto di riforma della Commissione; e il Senato vedrebbe
non senza suo rodimento, quasi come un'offesa delle prerogative sue, che la
riforma dovesse essere discussa e approvata dalla Camera elettiva. I conflitti
non sarebbero pochi, né facilmente componibili; e può facilmente preve-
dersi che la riforma si ridurrà semplicemente a rendere elettiva la presi-
denza, con l'iniziativa apparente della Corona.
Biaprendosi la Camera, il ministero presentò varii disegni di legge, fra
i quali sono da ricordare quelli sui servizi marittimi e sulla riforma elet-
torale. Con essa, il suffragio politico è esteso a quanti possano dare la prova
di saper leggere e scrìvere. Si calcola che, per effetto di tale riforma, il nu-
mero degli elettori sarebbe accresciuto di un milione e mezzo. Né il tem-
peramento, addirittura assurdo, della obbligatorietà del voto attenuerebbe gli
effetti dell'allargamento del suffragio: nuova concessione al pregiudizio dei
partiti estremi, che credono di elevare il livello politico e morale di un po-
polo, chiamando a partecipare alla sovranità moltitudini d'ignoranti, i quali
non vedono nel voto che l'arma per pretendere dallo Stato beneficii mate-
riali e immediati di persone, di classi o di clientele. Da qui un maggiore ab-
bassamento della funzione legislativa, cui le folle elettorali pretenderanno
di partecipare sempre più direttamente, non solo imponendosi ai proprìi rap-
presentanti, ma mutando costoro, peggio che non lo siano oggi, in faccendieri
senza dignità; facendo esulare dalla vita politica ogni sentimento di sacri-
fizio, ogni tendenza alle grandi idealità, onde fu potuta formare l'Italia; e
SOMMARIO DI STORIA POLITICA E AMMINISTRATIVA d'iTALIA 55
disarmando lo Stato di ogni suo potere atto a garantire la esistenza del di-
ritto. Anche questa riforma, di certo meno innocua di quella del Senato, non
è intesa dalla parte più intelligente e piti sana del paese, ma piuttosto
voluta da quelle esigenze parlamentari, cui l'Italia deve le sue maggiori
sciagure.
Nel novembre si celebrarono a Napoli le feste commemoranti il ple-
biscito, con rintervento dei Sovrani che vi ebbero festose accoglienze. Furono
in quella occasione inaugurati i monumenti al Re Umberto, al generale Enrico
Gosenz e a Paolo Emilio Imbriani. I Sovrani si recarono in alcuni istituti
di beneficenza, di antica e recente fondazione, e assai si compiacquero dei
raggiunti progressi igienici ed educativi. La Begina visitò due delle istitu-
zioni nuove, dovute alla pietà illuminata e magnanima della duchessa Teresa
Bavaschierì. Il Re visitò alcuni dei nuovi stabilimenti industriali, consta-
tando che accenna a sorgere anche per Napoli, dopo tanti errori e abban-
doni, un'era di prosperità e di conforto, che sarà affrettata dalla nuova legge,
dovuta alla tenacia del sindaco Del Garretto e al buon volere dei mi-
nistri Luzzatti, Tedesco e Sacchi. I Sovrani sovvennero molte miserie, e la
loro presenza quasi cancellò il trìste ricordo di un'epidemia, che la legge-
rezza e la paura avevano esagerata. Certo il 1910 fu uno dei più nefasti,
anche a causa dei raccolti agricoli in gran parte mancati. Ghe il 1911,
anno fausto, in cui si commemora con due Esposizioni la data gloriosa del
nostro Risorgimento, sia foriero di letizia e cancelli i dolori del passato.
Ecco Taugurio con cui chiudo queste pagine, nelle quali è condensata, per
obbligo di programma, la storia di mezzo secolo: storia cosi varia e diffi-
cile, anche perchè contemporanea, con uomini tuttora vivi, passioni non
ancora spente, e fktti dei quali, se molti son degni di plauso e di orgoglio,
altri sono da segnalare al biasimo dei futuri.
Roma, 31 dicembre 1910.
Raffaele de Cesare
Senatore del Regno.
ÌA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL'ULTIMO CINQUANTENNIO
I.
Dagli ex-Stati italiani al nuovo Regno dltalia.
1. Se mai, per tutte le vie conosciute ai cultori della statistica storica,
Terrà &tto di ricostituire il numero probabile degli abitanti dei principali
paesi a vane date dalla scoperta deirAmerica in poi, si confermerà la co-
mune opinione che il secolo XIX sia stato, fra gli ultimi quattro, di gran
lunga il più favorevole allo sviluppo demografico delle popolazioni europee.
Esso le ha più che raddoppiate ; ed evidentemente non si potrebbe, andando a
ritroso, mantenere la ragion della progressione senza scendere a risultati del
tutto inverosimili. Nessuno vorrà ammettere, infatti, che al principio del 1500
l'Europa contasse soli 25 milioni di uomini, che per quattro secolari raddop-
piamenti sarebbero diventati i 400 milioni di dieci anni fa e 1 445 milioni
di oggi (0. Convien dunque ritenere — e un principio di prova lo si ha
in indiani statistiche parziali — che, nelVinsieme, il movimento demografico
tra il Cinquecento e l'Ottocento sia stato lentissimo. Della qual cosa le ca-
gioni non si trovano né in una deficiente fecondità delle famiglie di allora
(fecondità che sarebbe anzi da presumere maggiore dell* attuale, cioè più
esente da freni), né in una vasta emigrazione d'oltremare (Vemigrazione in
masse veramente grandi essendo fenomeno caratteristico d^li ultimi cin-
quanta 0 sessantanni), ma nelValta mortalità ordinaria, massime dei bam-
bini, e in quella straordinaria, comune a tutte o a speciali età, per epidemie,
carestie, guerre, persecuzioni religiose ecc.
(*) Secondo il Levassear (La repartition d$ la race humaine tur le globe terrestre,
Ball, de Tlnstìtiit internat. de statistiqae, tom. XVni, 2^^^ lìvr.) la popolaiione d*Eiiropa
nel 1801 sarebbe stata di 175 milioni di ab. (altri porrebbe 186); nel 1850 di 266 milioni;
nel 1908 di*4d7. I censimenti e le valutazioni del 1910-11 eleveranno, con tutta probabi-
lità, questo numero a 445 milioni.
aoDOi.ro BBNim — Z« icnografia UaKoM eee. 1
RODOLFO BENINI
Quanto ali* Italia, gli studi del Beloch stabiliscono intorno alla metà
del Cinquecento una popolazione di 11 milioni di individui o poco più, e un
incremento di 2 o 3 milioni al massimo da questa data al principio del Set-
tecento (»). Le epidemie del 1574-76, del 1630-82 e del 1656-57 — per
dir solo delle principali — che, neirinsieme, produssero un vuoto di oltre
un milione di vite umane ; le guerre, l'oppressione spagnuola, lo spostamento
delle vie commerciali e T emigrazione di non poche industrie, spiegano quella
stazionarietà demografica. Il secolo decimottavo, per buon tratto piii ripo-
sato, immune da gravi epidemie, meno sfavorevole allo sviluppo delle forze
economiche, aggiunse 4 o 5 milioni di abitanti, che sono però ancor poca cosa
in confronto dei 14 apportati dal decimonono.
Valutazioni abbastanza attendibili assegnano infatti al territorio delFat-
tuale Regno nel 1800 una popolazione di 18,125,000 individui, mentre il
censimento del 10 febbraio 1901 ne ha accertata una di 32,475,253. Tutto
lascia credere che il censimento dell' 11 giugno 1911 ci farà toccare i 84 mi-
lioni e mezzo. Il periodo di raddoppiamento, a partire dal 1800, potrebbe
quindi stimarsi di centoventi anni. Nella gara abbiamo vinto i francesi, gli
spagnuoli ed alcuni altri concorrenti ; ma, per quanto notevole, il nostro pro-
gredire come numero è stato inferiore a quello della media delle nazioni
europee, che raddoppiarono, a quanto sembi-a, in ottantaoinque anni.
2. Per le molte diversità di date, di metodi e di valore dei censimenti
nominativi o delle stime ufSciali eseguite dagli ex-Stati italiani, e per le
variazioni territoriali di questi ultimi, non si può aspirare ad una grande
precisione e ad una perfetta comparabilità di elementi statistici. I dati, che
seguono, per l'ambito dell'attuale Regno e per i territori degli staterelli,
dalla cui fusione esso è felicemente sorto, sono il frutto di un lavoro di ri-
costruzione assolto già dal dott. Pietro Gastiglioni, direttore dell'Ufficio sta-
tistico al ministero deirintemo in Torino (nella lodata prefazione al censi-
mento degli Stati sardi del V gennaio 1858), e rifinito e ritoccato in qualche
punto, per suggerimento del Beloch, dalla Direzione generale della statistica
in Roma.
Premettiamo che l'attuale Regno si stende, secondo le piìL recenti misure^
per 286.682 kq., pari ali* 87,8 Vo della superficie dell'Italia geografica. I vecchi
annuarii semiufficiali, anche posteriori all'unificazione (come quello del 1864
che citiamo più sotto), non esitavano a fornire notizie demografiche, econo-
miche ecc. concernenti questa maggiore Italia; ma oggi 1* indagine riusci-
rebbe laboriosa e la novità, dopo il disuso, parrebbe meditata a scopo non
esclusivamente scientifico.
(•) Giulio Beloch, La popolazione d'Italia nei secoli XVU XVII e XVIII. Dal
BnlL de rinstitut internai, de Statistique, Tome III, 1888, l^re livraison.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL ULTIMO CINQUANTENNIO
Popolazione del territorio dell'attuale regno d'Italia
a varie date dal 1800 in poi.
Intorno
Migliiga
Densità
Intorno
Miglii^'a
DenaiU
air anno
di abitanti
perkq.
air anno
di abitanti
porkq.
1800
18,125
68,2
1852
24,348
84,9
1816
18,388
64,1
1858
24,861
86,7
1825
19,727
68,8
al !• genn. 1862
25,017
87,2
1833
21,212
74,0
I» 1872
26,801
93,5
1888
21,976
76,7
n 1882
28,460
99,3
1844
22,937
80,0
allOfebbr. 1901
32,475
113,3
1848
23,618
82,4
airilgìug.1911
(proTiaiono;
84,500
120,3
I singoli territoriì degli ex-Stati erano così popolati (^) :
Intorno
6taU Bardi
(osolnso
Nizsa
• Saroia)
Kogno Lombardo-Veneto
Daoato
di
Panna
Daoato
di
Modena
Oiandocato
di Toscana
(e dacato
di Lacca)
SUti
Pontifioii
Bagno
air anno
Lombardia
Yeneto
delle
Dne SioUie
1800
3,265
2,038
1,845
415
888
1,224
2,310
6,640
1816
3,243
2,179
1,958
427
373
1,290
2,855
6,563
1825
3,494
2,310
1,941
4S3
404
1,896
2,485
7,314
1838
3,791
2,429
1,963
466
488
1,549
2,782
7,845
1838
3,974
2,498
2,094
474
485
1,632
2,782
8,086
1844
3,992
2,640
2,236
494
507
1,703
2,930
8,484
1848
4,220
2,724
2,236
495
576
1,722
2,930
8,714
1852
4,220
2,774
2,315
503
598
1,776
3,125
9,038
1858
4,373
2,881
2,294
502
610
1,794
3,125
9,279
(^) Contiene tener presente che il regno di Sardegna, meno Savoia e Niisa, cor-
rispondeva agli attuali compartimenti del Piemonte (più i circondarli di Bobbio, Mortara
e Voghera, che ora fan parte della provincia di Pavia), della Liguria e della Sardegna ;
il regno Lombardo-Veneto alFattaale Lombardìr, tolti 1 circondarli nominati, e al Veneto;
il ducato d: Parma alle Provincie di Parma e Piacenza, più il circondario di Quastalla,
sostituito, dopo il 1847, da quello di Pon tremoli ; il ducato di Modena alle provincie di
Modena, Reggio d* Emilia e Massa^Oarrara, fatto il debito conto dello scambio del Pon-
tremolese col Guastallese ; il granducato di Toscana e Tez-ducato di Lucca, insieme presi,
alla Toscana attualo, meno la provincia di Massa e Carrara ; gli Stati Pontifici al Lazio,
airUmbrìa, alle Marcha e alla Romagna, più i piccoli territorii di Benevento e Pontecorvo,
geograficamente inclusi uel reame di Napoli ; infine il regno delle Due Sicilie ai compar-
timenti continentali meridionali (meno i due piccoli territori! anzidetti) e alla Sicilia.
4 RODOLFO BENINI
3. La fusione dei vecchi Stati ebbe compagna una riforma, non ardita
nò organica, delle loro interne circoscrizioni. Nell'alta e media Italia, Tele-
mento storico, che vi prevaleva prima del 1796 sotto specie di principati,
marchesati, contee, baronìe e castellanze, aveva ceduto il posto, durante il
dominio napoleonico, ali* elemento topografico in forma di dipartimenti, 40 in
numero nel 1810, di cui 15 facevano parte dell'Impero francese e 25 del
Regno italico. Colla Ristorazione i dipartimenti, qua e là contro ogni conve-
nienza smembrati di territorio, convertironsi in provincie (^) {divisioni in
Piemonte, prefetture in Toscana, legazioni e delegazioni negli Stati Pontifici).
Nel Napoletano, le 9 provincie, oltre la capitale coi dintorni, descritte dal
Porzio verso il 1578, in seguito alla partizione dell* Abruzzo, della Calabria
e del Principato, eran divenute 12 sotto i viceré spagnuoli, e 15 sotto i
Borboni. Circoscrizione intermedia tra la provincia e il comune era in tutta
Italia, airinfnori dei ducati emiliani, il distretto, che però soltanto nel
Lombardo-Veneto rappresentava, sia pure in sottordine, una completa unità
politico-amministrativa, finanziaria e giudiziaria. Quanto ai comuni, il Regno
italico li aveva costituiti in Lombardia meno numerosi e più robusti, che
oggi non siano; fu la dominazione austriaca che, accarezzando le vanità mu-
nicipali, li suddivise e moltiplicò. Frazionamento poco minore notavasi negli
Stati Sardi. Al contrario, gli ordini leopoldini avevano determinato in Toscana
numerose fusioni di comunelli, leghe e balìe. Sussistevano i comunelli nel
Modenese e nel Parmense, ma senza importanza quanto airamministrazione,
nei riguardi della quale erano riuniti in comuni maggiori ; e nelle Romagne
sopravviveva l'organismo municipale antico, per cui attorno al centro urbano
si raccolgono le vicine comunità rurali e gli appodiati (').
Il nuovo regno d'Italia segnò subito la fine di molte provinciette, che
furono aggregate come circondarii a vicine e maggiori provincie; ma lasciò
intatte le circoscrizioni comunali. Solo dal 1^ luglio 1865, e cioè dalla
attuazione della legge comunale e provinciale del 20 marzo stesso anno, in-
cominciò un abbastanza attivo movimento di incorporazione di piccoli co-
muni ad altri contigui, movimento rallentatosi di molto sette anni dopo e
cessato quasi del tutto dopo il 1880. Per dir breve, intorno al 1850, nei
limiti deiritalia politica di oggi, si noveravano 91 provincie, 489 distretti
e 8759 comuni, cui si contrappongono attualmente 69 provincie, 284 circon-
dari 0 distretti, e 8320 comuni.
(*) Norme spesso arbitrarie e favoritismi presiedettero aUa creazione delle provincie.
V Annuario economico statistico d$lVItalia pel 1853 (Biblioi dei comuni italiani, Torino,
pag. 25) ricorda ad esempio Orvieto, frazioncella di paese elevata a dignità di provincia
per gli onori tributati a S. S. Gregorio XVI di felice memoria. Il corsivo è nel testo.
(•) Ved, \ Annuario statistico italiano, per cura di C. Correnti e P. Maestri. Anno II,
1864, pag. 40 e seg.; e la Relazione al censimento 1861 {Statistica d'Italia, Popolazione»
parte l), pp. 13-14.
LA DEUOGRAFIA ITALIANA NBLL ULTIMO CIMQDANTBNNIO
Intoino al 1850 (■)
Hai 1910 (')
firmi o p*HTi DI Stati
S
ì
1
1
i
1
0 anorrt w peotiboib
ì
1
1
6
2
8
8
5
7
10
16
7
69
1
i
é
1
Stati SuTdi di terra-
ferma, escluse Niiza
e Savoia
Sardeiina
Raenn ( Lombardia
lombardo-
veneto ( Veneto . .
Ducali di Parma e
M.'deDa
Granduc. di Toscana,
SUti Pontifici , . . .
Regno iNapoletano
delle Du.
Sicilie 'Sicilia. . .
37,406
24,109
21,321
24,547
12,378
22,324
41,762
76.814
25.739
8
3
9
8
12
9
20
15
7
91
31
11
I2G
92
56
46
53
24
1,696
388
2,111
813
175
246
833
1,851
348
Piemonte e Liguria.
Sardegna
Veneto
Emilia propr. detta,
con Massa-Carrara.
Toscana, senza Mas-
sa-Carrara
Latio, Marche, Um-
bria. Romagna . .
Napoletano
Sicilia
To1,ili . . .
34,645
24,109
24,085
24,647
12.378
22.824
41,606
76,970
25,739
Totali
286,403
m
439
8,761
286,403
(21
284[ 8,320
Le meno toccate furono, per dir breve, le circoscrizioni del Veneto e
dell' ex-regno delle Due Sicilie, nel quale novità importante parve la costita-
zione della provincia di Benevento, fatta col piccolo territorio già di ragion del
pontefice e con frammenti delle provincie contigue; le più rimandiate, quelle
dei ducati emiliani e dei dominii della Chiesa.
Ordinando gli ei-Stati o le parti loro secondo Veiteraione media dei
rispettivi comuni, il primo posto dobbiamo darlo al granducato di Toscana
e l'ultimo alla Lombardia; e l'ordine è in complesso il medesimo per i
(') Le differenze di anperficie tra alcuni degli ei-Stati e i compartimenti o grnppi
di Provincie, che loro meglio corrispondoDO attualmente, dipendono dal fatto che il vec-
chio Piemonte comprendeva i circondari di Bobbio, Hortnra e Voghera, oggi facienti
parte della Lombardia, e gli Stati Pontifici comprendevano i territori di Benevento e
Pontecorvo, oggi facjenti parte del Napoletano.
Gli Stati Sardi di terraferma, esclusa la Savoia, erano ripartiti in 9 diviaiani,
S2 distretti e 2081 comuni. Per eliminare anche Nitia, allora capolnogo di una divisione,
e il coi distretto (87 comuni nel 1850. divenuti poi 89). fu cednto, eccezion fatta per
2 comuni, alla Francia, abbiamo diminuito il totale di una dirlsione, nn distretto e 85
comoni.
(■) La enperlìcie dell'Italia nei limiti politici attnali è di 286,683 kq , ossia di 279 kq.
pt& di quella suindicata. Tedi in proposit» i chiarimenti contenuti nellMHnuarto itatitìieo
italiano pel 1905-1907, fase. 1", pp. 50-51.
6
RODOLFO BBNINI
compartimenti che loro oggi corrispondono, eccetto per l'Emilia, propriamente
detta, con Massa-Carrara, che per il cresciuto numero de' suoi municipii passa
dal terzo al quarto posto. Ordinando con riguardo alla popolazione media
dei comuni, riusciremmo ad una graduatoria poco diversa; l'eccezione di
maggior rilievo essendo quella della Sardegna, che aveva ed ha comuni
estesi, ma poco popolati:
StoU o puti di SUti
2 fi
U « 0
OQ •
Popoluione
media
dei comnni
intorno
al 1850
Graiiduc. di Toscana
Sicilia
Ducati emiliani . .
Sardegna
Stati Pontifici . . .
Napoletano
Veneto
Stati Sardi di terra-
ferma
Lombardia
Densità
per kq.
Compartimenti
o grappi
di prorincie
.2 -S
o « o
Popolasione
media
dei cenoni
al
10 febbr. 1901
Denaitft
90,75
7,069
78,96
6,195
70,73
6,206
62,14
1,410
50,13
8.634
41,50
8,680
80,19
2,799
18.74
1,837
10,10
1.302
77,9
83,8
Toscana, senza
Massa-Carrara .
Sicilia
87,7
Emilia propr. detta
con Massa-Carr.
22.7 Sardegna
72,5
87,5
92.7
Lazio.Uinbria.Mar-
che, Romagna. .
Napoletano . . . .
Veneto
98,0 Piemonte e Liguria
128,9 I Lombardia
89,65
9,452
72,10
9,887
55,76
5,969
66,42
2,181
54,46
5,550
41,63
4,555
30,88
3,943
19,33
2,452
12,68
2,255
105,4
137,1
107,0
82,8
101,9
109.4
127,7
126.8
177,8
Il contrasto fra le circoscrizioni comunali, che già appare a forti tinte
nelle medie dei compartimenti o gruppi di Provincie (andando dairi al 7
per la superfìcie, e dairi al 4 Vt per la popolazione), crescerebbe natural-
mente se prendessimo a considerare le medie delle provincie, e ancor pia
dei circondar! caratteristici di ogni compartimento. Dai comuni del Ferrarese,
del Grossetano ecc., che contano spesso oltre 200 kq.., si scende ai comu-
nelli del circondario di Varese con una media di neppur 5 kq. Un più completo
quadro dei comuni esistenti al 31 marzo 1910 classificati per superficie,
fatta eccezione per 14, creati da poco (di cui 6 in Lombardia, 4 nell'Emilia
e 1 per ciascuno dei seguenti compartimenti: Toscana, Marche, Abruzzi, e
Sicilia) l'estensione dei quali non venne ancom determinata, ci è offerto del
nuovo Ufficio di statistica agraria (^):
(') Ved. Notiiié periodiche di statistica agraria^ fase. 2^ agosto 1910. Ministero di
Agrìc. ecc.. Ufficio di Statistica agraria. Roma, Bertero, 1910.
LA DBMOGRAFIA ITALIANA NBLL' ULTIMO CINQUANTENNIO
Toscana, sema Massa-Carrara. . .
Sicilia
Emilia propr. detta, con Massa-Carr.
Sardegna
Lazio, Marche, Umbria, Bomagna
Napoletano
Veneto
Piemonte e Liguria
Lombardia .
Totali . . .
NUMBRO DBI COMCXI ÀVEMTI UMA SUPBBFIOW
- J?
IO
•■ 2
3
ó* K
'o
s
ToUle
8
4
16
14
1
9
90
805
583
1,010
83
33
159
1
130
25
182
54
482
186
1,120
54
625
430
924
543
717
1,828
4,422
89
76
68
77
133
329
93
94
45
74
74 2
1,004
22
68
91
128
20
81
2
2
51
8
248
359
222
868
767
1,858
796
1,792
1,901
8,806
Tra il 1850 e il *60 le primo quattro categorie erano certamente più
numerose. Attualmente il più piccolo dei comuni è Lascari, in prov. di Pa-
lermo, con 5 ettari di superficie. Il più grande è Roma, con 2075 kq., terri-
torio cui non arrì?ano le singole pro?incie di Livorno, Napoli, Porto Maurizio,
Lucca, Cremona, Massa-Carrara, Rovigo, Ravenna, Forlì e Ancona. In ordine
di grandezza seguono i comuni di Tempio Pausania con 907 kq. ; di Ravenna
con 647; di Noto con 640 e di Sassari con 606.
E quanto alla scala di popolazione, di cui può dare un'idea resistenza,
ancor nel 1901, di cinque comuni con meno di 100 anime ciascuno e di tre
che oggi superano il mezzo milione, valga questo prospetto, a varie date,
considerato sempre il territorio dell'attuale regno (^) :
(') Per il 1850 ì dati sono attinti al citato Annuario per il 1858, che dà la clasd-
ficaiione dei comuni dei singoli ex-Stati, ad eccesione delle provincie della Campania,
della Basilicata, delle Puglie, delle Calabrie. Abbiamo integrato la classificasione valen-
doci per queste provincie dei dati del 1861, avato riguardo al poco variato numero così
dei comuni, come degli abitanti, nel decennio di intorvallo. D'altra parte, dovemmo de-
durre gli 85 comuni del Nizzardo ceduti alla Francia, supponendoli ripartiti, nelle pro-
porzioni accertate nel censimento del 1857.
Quanto al 1861, la Relazione sul censimento del 81 dicembre dà, a pag. 224, la
classificazione dei comuni del regno d'allora, integrata con quella dei comuni del Veneto
e dei distretti mantovani, secondo il censimento del 1857 (Ved. Statistica d^Italia. Popo-
lazione, parte 1^: Censimento generale 31 dicembre 1861. Firenze, Barbèra 1867). Non
abbiamo fatto che completarla colFaggiunta dei 227 comuni del Lazio, ripartiti a stima
8
RODOLFO BBNINI
NUMBBO DBI COMUNI
POPOLAZIONB
T *
Intorno
Al 1850
nel 1861
nel 1871
nel 1881
nel 1901
Meno di 500 abit.
1,142
1,112
799
693
575
da 500 a 1000 »
1,862
1,707
1,442
1,345
1,198
» 1000 a 2000 »
2,473
2,491
2,348
2,270
2,079
n 2000 a 3000 »
1,303
1,369
1,399
1,415
1,442
n 3000 a 4000 a
718
748
858
86")
974
r> 4000 a 5000 »
841
380
439
481
577
n 5000 a 10,000 »
619
667
733
795
940
» 10,000 a 20,000 »
221
227
260
274
337
» 20,000 a 50,000 »
61
67
81
96
133
» 50,000 a 100,000 »
10
11
13
14
24
oltre a 100,000 n
8
10
10
11
11
8,753
8,789
8,382
8,259
8.290
4. Quello che non si è operato, con riforma legislativa generale e si-
multanea, nelle circoscrizioni municipali, si è dunque in parte e a poco a poco
operato per forza di cose. I piccoli nuclei, al di sotto di duemila abitanti,
sono diminuiti quasi di un terzo, vuoi per soppressione e aggregazione, non
infrequente nei primi anni dalla legge 20 marzo 1865, vuoi per passaggio a
categorie superiori conseguente al crescere generale della popolazione. Questa
penetrazione nelle categorie superiori, per parte di molti tra essi, ha contro-
bilanciato il gravitare di altri verso le categorie inferiori in sèguito a perdite
di abitanti, causate dai movimenti migratorii per l'estero e per i grandi
centri urbani airinterno. Nel 1871 già si erano trovati circa 600 comuni,
generalmente piccoli, la cui popolazione appariva diminuita rispetto a quella
tenendo conto delle risultanze così del censimento del 1853 come di quello del 1871, tra
cui intermedio è Tanno che si considera.
Pertanto i dati del 1850 e 1861 dehhonsì ìnierìàere approssimativi ; ad ogni modo,
poco discosti dal vero.
Ricordiamo infine, che nel territorio del regno, quale era nel 1861 — ancor monco,
cioè, del Veneto, dei distretti mantovani e del Lazio, — si contavano allora 7722 comuni,
ridotti, dieci anni dopo, a 7316, e altri dieci anni dopo a 7193.
LA DEMOORAFIA ITALIANA NELL OLTIMO CINQUANTENNIO ^
accertata col censimento precedente; e 2144 se ne trovarono dieci anni dopo
in perdita rispetto al 1871; e ancora 1935 nel 1901 rispetto al 1881.
Non può sfuggire ad alcuno l'importanza di questi dati e di quelli che
nel prospetto testimoniano raddoppiato nel volgere di un cinquantennio il
numero dei comuni con più di 20 mila abitanti, per ciò che concerne il
fenomeno àélY urbanesimo. Fenomeno caratteristico del secolo XIX, così per
ritalia come per altri paesi, e in via di accentuarsi nel secolo in corso, se
una politica discentratrice non richiamerà la popolazione alle campagne;
alimentato dalla scelta sistematica, che i governi fanno delle maggiori città
a sede di nuovi uffici amministrativi ; dal minor costo o dal maggior comodo,
che l'uso di molti pubblici servizi (istituti d'istruzione superiore, corti giu-
diziarie, ferrovie) messi, per dir così, a portata di mano degli abitanti dei
centri urbani, implica per essi, a parità d'imposte pagate, in confronto del
resto della popolazione ; dalla maggior facilità d'occultazione della ricchezza
mobiliare al fisco, ecc. Gli si imputa una influenza deleteria sulla forza
fisica e resistenza morale degli individui e sulla coesione delle famiglie ; il
facile contagio della delinquenza e del libertinaggio; la gara dell'arrivare,
con poco riguardo dei mezzi, ai posti migliori. D'altra parte, ad esso inne-
gabilmente si connettono la diffusione della coltura e dell'attività industriale,
quella dei freni preventivi scemanti ovunque la natalità e quella dei prov-
vedimenti d'igiene scemanti la mortalità, che pel logorìo di una vita intensa
sarebbe altrimenti gravissima. Sunt bona mixta malis; ma dei beni e dei
mali, che tutti sanno, non è qui luogo a discorrere. Stando dunque alle ri-
cerche del Beloch, il numero delle città nostre con più di 20 mila abitanti
sarebbe rimasto pressoché stazionario tra la seconda metà del Cinquecento
e la seconda del Settecento: laddove, nel 1861, già troviamo raddoppiato il
numero, non diciamo dei comuni, ma dei centri di popolazione agglomerata
sorpassanti quel limite; ed il censimento del 1911 lo troverà forse raddop-
piato una seconda volta:
CENTRI
Seconda metà,
del
Cinquecento
Seconda metà
del
Settecento
1861
1881
1901
con più di 100 mila
ab.
5
5
8
9
10
da 50 a 100 »
n
4
5
5
5
6
n 30 a 50 »
n
7
5
11
18
28
n 20 a 80 1»
n
8
11
28
34
50
24
26
52
66
94
10 RODOLFO BENINI
Dai dati raccolti dal Easeri, che qui aggiorniamo colle più recenti no-
tizie, appare che i dodici maggiori comuni, i quali al principio del 1910
contavano nell* insieme 3.707.177 ab., non ne contavano che 1.867.274
nel 1848 e 1.401,660 nel 1800. Quattro fra essi hanno visto nei 110 anni,
più che triplicarsi, quadruplicarsi la loro popolazione: Torino (da 78.677
a 884.032 ab.), Milano (da 185.000 a 602.700), Catania (da 45.081 a
167.414) e Roma (da 158.004 a 561.167). Avviata oggi ad una fase in-
dustriale, Napoli (602.912 ab.) tiene ancora, per due centinaja di abitanti in
più di Milano, il primo posto fra i comuni del Regno. Nel computo dei do-
dici maggiori figura ancora Messina, ma con popolazione stremata dal recente
disastro a 110.000 ab. circa, mentre prima gareggiava colla vicina Catania.
Incrementi .più rapidi ancora, determinati da cause speciali, ebbero tra il 1848
e il 1910 i comuni di Spezia (da 10,598 a 79.592), di Taranto (da 18.000
a 70.789), di Bari (da 28.000 a 86.617), Sampierdarena (da 9.078 a 48.285),
di Brindisi (da 7.547 a 27.964), di Carrara (da 15.754 a 58.094) ecc.
II.
ììi un possibile collegamento tra la demografia dell' ultimo
e quella del precedente cinquantennio.
1. La presente nostra costituzione demografica porta le traccio di tutti gli
avvenimenti notevoli che nel cinquantennio avanti la proclamazione del
regno hanno, volta a volta, ritardato o accelerato lo sviluppo delle popola-
zioni italiane, modificato le proporzioni numeriche dei sessi, delle età, delle
professioni ecc. Molte di queste traccio non sono visibili ai nostri imperfetti
strumenti o si celano dietro errori di rilevazione prodotti da ignoranza, in-
curia, difSdenza delle persone, da insufficienza di mezzi od altro; e nulla-
meno esistono. Altre traccio si vedono, ma aspettano la loro storia. Pur
troppo, documenti statistici paragonabili a quelli che il Levasseur potè com-
pulsare per la storia della popolazione francese dopo la Rivoluzione, difet-
tano agli studiosi italiani, o son frammentari, o eccessivamente sobrii, o di
dubbio valore. Così, per le Provincie continentali deirex-regno delle Due
Sicilie, unico autorevole è il censimento del 1824, illustrato dal Petroni; e
le numerazioni posteriori non sono, in ultima analisi, che il risultato di suc-
cessive addizioni di nati e deduzioni di morti; mentre poi le notizie dei
nati e dei morti, anno per anno, procedono con irregolarità legittimanti più
di un sospetto, e si arrestano al 1856. Nell'ex-Stato pontificio le anagrafi
del 1883 e 1853 non si possono collegare tra loro e col primo censimento
nazionale mediante i dati sul movimento della popolazione, che mancano
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL'ULTIMO CINQUANTENNIO H
affatto 0 riducoDsi a quelli di Roma città, non accettabili neppur essi ad
occhi chiusi. Migliori istituzioni statistiche funzionavano invece presso gli
altri governi italiani e in Sicilia.
Ad ogni modo, come già dicemmo, una ricostruzione critica del movi-
mento della popolazione in Italia, anteriormente al 1861, cogli elementi
noti, con quelli che ancor potrebbero venire alla luce per singole città o
borgate, sussidiata dalle liste degli inscritti alle leve, che permettono un certo
controllo delle variazioni della natalità fino al 1846, sarebbe assai deside-
l'abile. L'intento dev'essere di dar risalto alle maggiori perturbazioni demo-
grafiche per cui siamo passati, e misurarne gli effetti di lunga mano, quali
si rivelano oggi in certe ineguaglianze di serie, che noi troppo comodamente
usiamo imputare alle così dette cause accidentali e non suscettive d'analisi,
mentre forse lo sono.
2. Momenti caratteristici per la nuzialità, la natalità o la mortalità, si
sono avuti in tutte le parti della penisola, come conseguenze di guerre o di
timori di leve straordinarie o di epidemie o di carestie. Rimontando per le
Provincie napoletane al principio del secolo, eccoci al 1804, colla sua cu-
spide di eccezionale nuzialità (48,823 matrimoni, una volta e mezza la media
normale) a malgrado della carestia che fece in quell'anno numerose le
morti. Luca De Samuele Cagnazzi (^) spiega questo fervore di nozze colla
credenza, diffusa allora tra le popolazioni, in una prossima leva di giovani,
dalla quale, secondo il solito, sarebbero stati risparmiati i coniugati. Un
motivo consimile egli adduce a chiarimento delle altissime quote del 1818
e del 1819 (59,181 e 58,185 matrimoni rispettivamente) succedute ad un
triennio di assai scarsa (1811-13, meno di 31 mila matrimoni all'anno)
e a un quadriennio di media frequenza (1814-17, 37,500 matrimoni), e
succedute pure a due epidemie invernali, che avevano elevato la mortalità dalla
media di 160,000 all'altezza di 224,000. Dice appunto il nominato scrit-
tore che le unioni crebbero così fuor di misura, « non solo pel costante fenomeno
che dopo molta mortalità ne risulta maggior comodo ai superstiti e si animano
al matrimonio . . . , ma più di tutto per la supposizione di una prossima leva
di soldati, per rimettersi l'esercito sotto il dominio borbonico, in cui secondo
il primiero sistema sarebbero stati risparmiati i coniugati «. Fatto è, però,
che quel turno di tempo, forse per il buon mercato dei vìveri, vide numerose
celebrazioni anche nel Veneto (nel 1819: 19,602 matr. contro la media di
14 mila), in Toscana e nel Lucchese (nel 1819: 14,157 matr.; nel 1820: 13,906,
(*) Vedi: Saggio sulla popolazione del Regno di Puglia, Parte prima, pp. 298 e
802; Parte seconda, pp. 81-82. Gli anni ricordati per il Reame di Napoli non sono so-
lari, ma amministrativi e Tanno dal luglio al giugno. Quindi, dove è detto, ad es., 1818,
intendasi Tanno amministratiTO dal luglio 1818 a tutto giugno 1819.
12 RODOLFO BENINI
contro la media di 12 mila), e altrove. Una depressione singolare distingue in-
vece il settennio 1826-32 o, secondo i luoghi, 1827-33: il Napoletano e la
Toscana v'entrano in conto colla diminuzione del 15 Vo almeno della loro
nuzialità ordinaria; in Piemonte e Liguria il 1829 e il 1831 contano solo
25,215 e 25,010 matrimoni, contro 29,472 e 30,508 del biennio 1835-36;
pure in Roma, città, si avverte il fenomeno. Gli anni di colèra 1854-55,
diradano daccapo le file degli sposi nel Veneto e in Toscana ; un pò* anche
in Boma; nel Napoletano, invece, il 1855 sarebbe segnalato da una fre-
quenza (64,282 matr.) che ha dell'inverosimile. Venendo ai tempi post Ita-
liani conditam, che più c'interessano, troveremo altri anni caratteristici della
nuzialità, alcuni dei quali meritano particolare analisi: come il 1865-66, per-
turbato dall'introduzione del matrimonio civile ; il 1867 nefasto per il colera;
il 1880, che a taluno pare sospetto, statisticamente parlando; ecc.
Lo studio delle variazioni annuali della ntuialità, dal punto di vista
del collegamento demografico fra il periodo posteriore al 1861 e il periodo
anteriore, ha però un'importanza limitata. Se i censimenti dal 1861 in qua
dessero, poniamo, la ripartizione esatta dei coniugati o dei vedovi secondo
il tempo al quale rimontava il loro primo od unico matrimonio, ancor sa-
rebbe possibile trovarvi la traccia degli anni che per ì nostri padri furono
felicitati da molti imenei o trascorsero melanconicamente scarsi. Ma la par-
simonia delle notizie riguardanti i censiti, non lo permette. Per il collega-
mento della demografia dei due cinquantennii occorrono fenomeni dagli effetti
protendentisi a lungo nel tempo; laddove la nuzialità annuale è fenomeno
dagli effetti diffusi e digradanti d'intensità fino a rendersi presto evanescenti.
Le sue maggiori variazioni si riproducono, via via attenuate, nella natalità
del primo, terzo e quinto anno successivi, e non oltre. La ragione è ovvia:
le nascite dì un medesimo anno dipendono dall'attività sincrona di matri-
moni risalenti a varie date e di schiere più o meno numerose; quindi varie
le interferenze di fattori, molteplici le compensazioni ; talché, in generale, le
variazioni della natalità riescono meno ampie di quelle della nuzialità con-
comitante 0 di poco antecedente.
La curva della mortalità ebbe pure, nei due grandi periodi, le sue cuspidi
e le sue depressioni eccezionali. Limitandoci per oi*a al primo : la febbre petec-
chiale e la carestia fanno nel Napoletano quasi 65 mila vittime, che si ag-
giungono alla mortalità ordinaria in ciascuno degli anni 1817 e 1818; nel
Veneto, dove il prezzo del frumento, già salito ad oltre 130 lire il moggio,
si manteneva sovra le 108, il doppio del prezzo normale, la mortalità ben
grave del 1816 (92,901 morti) vien sorpassata di 40,848 unità nell'anno
successivo; e Roma, città, per tre volte di sèguito (1817, *18, *19) deplora
6500 morti, proporzione assai alta per i suoi 155 mila abitanti d*allora.
All'epidemia vaiolosa è specialmente imputabile negli Stati Sardi di terra-
ferma (esclusa la Savoia, compresa Nizza) l'aumento da 94,003 morti del 1828
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL'uLTIMO CINQUANTENNIO 13
a 111,775 deiraoDO dopo; e il colera del 1885 si fa sentire riportando la mor-
talità, che tre anni innanzi era discesa a 99,147, al livello di 114,751.
Questo colera, che si ripresentò più mite nel biennio successivo negli Stati
Sardi, moltiplicò i lutti nel 1836 nel Veneto (102,074, contro la mortalità
ordinaria di 74 mila) e nel 1838 a Roma (12,653); riapparve nel 1849 e
poi nel 1854 e 1855, micidiale in più parti del paese, per esempio in To-
scana, dove i decessi, da 48 mila circa (media del 1851-53), salgono a 58 e
a 95 mila. Assai più deboli paiono le traccio lasciate dalle guerre deirindi-
pendenza nazionale (^).
Ma anche le variazioni della mortalità servono in maniera indiretta,
più che in maniera diretta, al collegamento demografico del secondo col
primo cinquantennio. Potrebbero servire direttamente, qualora una ristretta
classe di individui, giovani per giunta, fosse colpita a preferenza di tutte le
altre. Cosi, se una guerra ha diradato le file dei giovani dai 20 ai 30 anni,
ancor mezzo secolo dopo si rivelerà al censimento una certa deficienza dei
vecchi di 70 ad 80 anni. Invece, quando un'invernata rigida porta ria molti
vecchi, i censimenti di mezzo secolo dopo non hanno nulla da scoprire, come
nulla avrebbero da scoprire se quell'invernata per i vecchi non fosse stata
micidiale. Del pari, allorché un'epidemia colpisce in misura poco diversa
molte classi d'età in una volta, i segni suoi son più difBcili a trovarsi nelle
esplorazioni statistiche successive. Indirettamente, però, le variazioni ecce-
zionali della mortalità si prestano come controllo di sincroni o quasi sincroni
perturbamenti della nuzialità e della natalità. Le preoccupazioni di malattie
e le gramaglie sono motivi di rinvìo di matrimoni progettati; ed è dimo-
strato 0 dimostrabile che, nelle epoche sfavorevoli alla pubblica salute, presso
le famiglie colpite o minacciate si fanno più rari i rapporti sessuali dei
coniugi, più rari i concepimenti e, a tempo debito, le nascite.
I momenti caratteristici della natalità coincidono dunque o seguono con
meno di un anno di ritardo quelli della nuzialità e della mortalità. Però,
alla loro volta, le variazioni eccezionali della natalità sono foriere di muta-
(^) Le statistiche, par troppo frammentarie, cai nel momento son costretto a ricor-
rere, hanno per fonti le sedenti: Per il Napoletano, il citato saggio del Cagnazzi; per
la Toscana, la pabblicazione della Sezione di statistica dal titolo: Popolazione delle Pro-
vincie Toscane nel 1860 e movimento della medesima dal 1818 al 1860 (Firenze, Tip. Mu-
rata, 1860); per Roma la Monografia della città di Roma e della Campagna romana, con-
tenente lo scritto del dott. P. Castiglioni snlla Popolazione di Roma dalle origini ai
nostri tempi (Direz. gen. della Statistica, Roma, Tip. Elzeviriana, 1881); per il Veneto
Topera del Mayr e SaWionì : La statistica e la vita sociale, pp. 866, 420 nota, e 448 (To-
rino, Loescher, 1886); per il Piemonte e la Liguria le Informazioni statistiche raccolte
dalla R, Commissione per gli Stati di S, M. in Terraferma^ voi. 2° (Torino, Stamp. R^ale,
1839-53). Nella Statistica delV Italia del conte L. Serristori (Firenze, Stamp. grandac, 1842)
si trovano dati concernenti il movimento della popolazione nel Ducato di Parma (per gli
anni 1821-38) e in quello di Lucca (per il 1827-89).
14 RODOLFO BENINI
menti degli altri due fenomeni. Del primo, perchè alla stregua delle nascite,
abbondanti o scarse, di un dato anno o periodo, si avrà in capo a 24 o 25
anni un numero più o meno grande di celibi e di nubili, che si trovano
nell'età preferita per le nozze (0; del secondo, perchè i neonati, colla lor
grande facilità a soccombere nel corso deirallattamento, contribuiscono a far
alto 0 basso il totale delle morti, secondo che essi proyengono da una annata
molto 0 poco feconda — indipendentemente dal variare delle condizioni sa-
nitarie generali del paese. La vera mortalità da considerarsi sarebbe, insomma,
quella al netto dei decessi di bambini almeno sotto Tanno d'età.
Secondo i dati deiramministrazione napoletana, sarebbero stati anni molto
fecondi il 1813, il 1819, il 1824 e *25, il 1855; scarsi il 1812, il 1816 e
*17, il 1828 e i due successivi, ecc. Nel Veneto una forte depressione si nota
nel 1817, in coincidenza colla ricordata grande mortalità e con una scemata nu-
zialità; nel 1832, '40, e '47, scarsezza; nel 1854 e '55 depressione, pure in coin-
cidenza di anraeiitati decessi e diminuiti matrimoni. Anni fecondi invece il 1818,
il '22, il *25 e '26, il *45^ il '53 (quest'ultimo coincidente con una bassa morta-
lità, quale non s'era avuta da im trentennio); fecondissimo il '59, nonostante la
guerra e le poche nozze dell'annata. In Toaeana, buone le annate 1826, *28, '31,
'34, '46, '53 e 59; poveri il 1818, '38, *40, *54 e '55. In Piemonte e Liguria
il 1831 eccelle con 135,375 nascite, mentre ranno aneoessivo, nonostante
la mite mortalità, cade ad un minimo di 121,589.
8. In mancanza di dati completi per tutto il Regno anteriormente al 1872^
potremmo dalle liste di leva trarre indizi circa le variazioni annuali della
natalità, risalendo fino oltre la metà del secolo ; e si avrebbe sùbito la conferma
della depressione del 1854 e del 1855, che fornirono alle leve del 1874-75
appena 258,801 giovani ciascuno, mentre le tre leve precedenti ne avevan
dati 275,637, e le tre successive 290,584. Si ha pure la conferma delle
alte natalità del 1859, del 1863, del 1866 ecc.
Le oscillazioni della serie dei giovani inscritti, per ragion d'età, nelle
liste di estrazione concordano perfettamente con quelle delle nascite maschili
di veni' anni prima, nel periodo in cui le statistiche sono, per entrambi i feno-
meni, complete o quasi complete (*). Tale concordanza non esclude un altro
(') Per i maschi Tetà preferita è tra i 25 e i 26: per le femmine tra i 21 e i 22;
quindi può anche darsi squilibrio tra domanda e offerta per le età rispettivamente pre-
ferite. I maschi, poniamo, possono essere scarsi, per deficienza di nascite verificatasi 25
anni innanzi, e le femmine numerose, per frequenza di nascite di 21 anni addietro; o
TÌceversa. Allora debbono darsi accomodamenti e spostamenti di età media degli sposi,
per la partecipazione maggiore o minore di altre classi d*elà. Ma Bon finezze, che solo
una statistica perfetta potrehbe mettere in evidenza.
(') Altri potrà rendere più rigorose le serie i^ffigurate in diagramma ; io ho creduto
di limitarmi ai dati concernenti gli inscritti per ragion d'età nelle liste annuali di estra-
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL'ULTIMO CINQUANTENNIO
l5
fatto degno di nota, che la percentuale dei superstiti a cent'anni accenna
ad elevarsi. Da 57,1 7» , media del 1892-99, risulta salita a 60,8 nel 1900-
1907, conseguenza non dubbia delle migliorate condizioni dell'allevamento
dei bambini dopo il 1880. Nei prossimi anni dovremmo aspettarci di meglio.
E, ancora, se dal noto si volesse inferire all' ignoto, potremmo dalle variazioni
accertate della natalità, posteriormente al 1887, argomentare le probabili
▲ani delle BMoite:
1861 1866
1871
1876 1881
1886
1891 1896
1901
1906
isn 1876 1881 1886 11891 1896 1901 1906 j r Aimi dell* lere
variazioni di numero degli inscrivendi nelle liste fino al 1927; oppure, dalle
variazioni accertate nelle liste di estrazione anteriormente al 1882, argomen-
tare quelle che la natalità italiana dovette subire tra il 1842 e il 1861.
I nostri censimenti diedero alcune volte la distribuzione per età, anno
per anno, dei regnicoli ; similmente hanno fatto le pubblicazioni annuali sul mo-
zione, escladendo i eapilista provenienti da leve anteriori e gli ometii pure di anni an«
teriori. Bisognerebbe peraltro dedurre anche i cancellati dalle liste dopo Testraziono
(perchè morti nel frattempo, o indebitamente inscritti ecc.), sottraendoli, se del caso, in
eque parti dai eapilista e dagli inscritti per ragion d*6tà; ma, ad ogni modo, non si
modificherebbe sensibilmente Taspetto delle serie e del diagramma: molto più che i morti»
gli indebitamente inscritti ecc., trovano un certo compenso negli omessi di leve anteriori
e negli aggiunti dopo Testrazione.
16 RODOLFO BENINI
vimento dello stato civile, per quanto riguarda i morti, Dcirundicennio 1879-89.
Un'analisi delle traccie che in queste classificazioni di viventi o di morti si
possono forae ancora trovare delle annate di molta o poca natalità anteriori
airunificazione del paese, avrebbe pregio. Pur troppo, rendono difficile il
lavoro gli errori delle denunzie d*età, che nascondono particolari di molto
interesse dal punto di vista del collegamento demografico, di cui si parlava.
Non è, ad ogni modo, una ragione per non tentare, né per soffocar tutto colle
medie, colle perequazioni e colle interpolazioni; mentre i procedimenti mate-
matici dovrebbero venire in applicazione soltanto dopo esauriti i procedi-
menti critici. La presente Memoria, per i limiti che le furono assegnati, non
colmerà queste ed altre lacune; ma forse le sai-à dato merito d'avere indicato
la direttiva di nuove esplorazioni.
III.
Risaltati sommarii dei quattro censimenti nazionali.
1. I censimenti dell* Italia unita, eseguiti con rilevazione generale e
simultanea, al 31 dicembre del 1861, del 1871 e del 1881, e al 9 febbraio
del 1901, offrono vastissima materia ad una analisi comparativa, di cui qui
non osiamo dare che una traccia e pochi saggi.
Quanto a risultati d'insieme, le quattro inchieste vanno abbastanza
d'accordo. Dalla prima eransi accertate presenti, nel territorio del Regno
d'allora, 21.777.384 persone. A comprendervi il Veneto e il Lazio, i cui cen-
simenti risalivano al 1857 e al 1853, rispettivamente, e tenuto conto del
probabile progredire delle loro popolazioni fino a tutto il '61, si sarebbe
toccato il numero di 25,017,000. L'eccedenza delle nascite sulle morti
nel 1862-71 fu di 1.820.145 per il territorio attuale, meno la provincia di
Boma (*); colla provincia di Roma, sarebbe risultata forse di 1.870.000. Quindi
alla fine del decennio avremmo dovuto trovarci in 26.887.000; invece, al-
l'appello nominativo, che fu il secondo della serie, rispondemmo in 26.801.154,
86 mila meno del prevedibile. Divario, peraltro, assai piccolo e imputabile
a movimenti migratorii da e per l'estero, a renitenze di giovani soggetti
alla leva, e ad altre cause, di cui è difficile dire in quale misura si com-
pensino e in quale si assommino.
(^) Nei volumi del Movimento dello stato civile^ pubblicati dalla nostra Direttone
gen. di Statistica, solo a partire dal 1863 fu compreso il Veneto nei prospetti riguardanti
la natalità e mortalità; i dati corrispondenti per il 1862 si trovano però neìV Italia eco-
nomica del Maestri (Roma, tip. Barbèra, 1874), a pp. 165-166.
LA DEMOORAFI A ITALIANA NBLL'ULTIMO CINQUANTENNIO ^^
L'eccedenza netta delle nascite nel decennio successivo fu di 2.020.789, e
avrebbe fatto prevedere, alla chiusa dei conti, un totale di 28.821.948
abitanti. Il terzo censimento ne registrò 28.459.628, ossia 862.815 in
meno. Il distacco ò sensibile. Anche a considerare come tutta perduta
per il paese la emigrazione propria o permanente del decennio, si farebbe
un insieme di 800 mila persone (^); e non è verosimile che la venuta di
forestieri tra noi non abbia in piccola parte colmato i vuoti, molto più che
il perìodo in parola, esente da guerre, da epidemie coleriche, da brigantaggio,
dovette essere meno sfavorevole del precedente all' immigrazione. Salvo a du-
bitare che il censimento del 1881 sia riuscito al di sotto del vero, biso-
gnerebbe ritenere che una parte dell'emigrazione temporanea si fosse, per
via, trasformata in definitiva (').
Interrotta per angustie di bilancio la decennalità dei nostri censimenti,
corsero diciannove anni e quaranta giorni fra il terzo e il quarto. L'eccedenza
dei nati sui morti fu di 6.197.000; per essa avremmo dovuto attenderci, al
10 febbraio 1901, un totale di 34.657.000 abitanti. Aggiunti, anzi, i 70.061
nati alFestero, trovati in più nel 1901 in confronto dell' '81, il totale sarebbe
etato di 84.727.000 abitanti. Il censimento ne numerò appena 82.475.258.
Deficit: 2.252.000! L'emigrazione propria o permanente ci sottrasse, secondo
le statistiche del diciannovennio, 2.866.000 persone; mairimpatrii per via
<li mare che essa, nonostante il suo nome, in gran parte alimenta, ridurreb-
bero la perdita, mettiamo, a 1.600.000. Per aver ragione del deficit^ manche-
rebbero 652 mila unità, che se non dipendono da eiTorì di rilevazione, vanno
attribuite al tacito trasformarsi di molta emigrazione temporanea in de-
finitiva, 0, meglio, di annuale in duratura tre, quattro o più anni, ed infine
«i decessi di emigrati temporanei all'estero.
A partire dal 10 febbraio 1901, venendo sino a tutto il 1909, la vita-
lità e fecondità delle nostre popolazioni si è affermata splendidamente con
una nuova eccedenza di nati sui morti per 8.208.000 unità. Senza il recente
disastro di Messina e Reggio-Calabria, che causò la morte di 77 mila per-
sone, sarebbe risultata di ben 860 mila individui per anno, più che mille per
giorno. Grazie al migliore ordine introdotto nei registri comunali di popola-
zione, si può con sufiBciente approssimazione valutare a 1.118.000 il numero
(*) Nel periodo 1872-81 si ebbero annualmente 119 mila emigranti in media, di
•eoi 30 mila» a quanto sembra, in emigrazione propria. Nel triennio 1869-71 si era avuta
una media di 118 mila, di cui 18 mila di emigrazione propria e 12.000 di clandestina.
(') Un indizio potrebbe trarsi dal numero degli italiani alPestero, che nel 1881 era
aumentato di circa 600 mila in confronto del 1871, secondo le stime dei consoli in questo
anno e secondo lo spoglio di censimenti esteri integrati da stime, in quello ; aumento, che
•uperaYa tutta Temigrazione propria doir intervallo decennale, accresciuta di mezza annata
di emigrazione temporanea. Peraltro, di quei 600 mila, molti erano i nati da italiani al-
J'estero, che dovrebbero eliminarti dal riscontro indiziario.
KoDOLVO BBram — X« diwtogré/té itulùma «co. S
18
RODOLFO BENISI
degli ìndÌTidui cancellati da quei registri perchè emigrati a tempo indefinito
sU'eatero, in più degli individui inscritti per rimpatrio o immigrazione. Non
diciamo del moTÌmento dislocativo da comnne a comune del Regno, movi-
mento che ornai comprende piti di 600 mila persone all'anno, e che natural-
mente non turba il nostro calcolo. La popolazione italiana al 1° gennaio 1910
sarebbe da stimarsi di 34,565.000 abitanti, così distribuiti per comparti-
menti :
Piemante ....
3317.401
234.271
125.372
66.034
_
3.492.334
LìgarU
1.077.473
74 369
17.316
76.582
1.211,108
LombArdia . . .
4.282.728
464.522
58.670
40.776
4.647.804
Veneto
3134.467
504'248
35.845
100.362
3 502.508
Emilia e Romkgna.
2 445.035
273.266
61.065
98.366
2.563 870
Toscana ....
2,549.142
228.571
42 938
18.393
2.716 382
Marche
1.060.755
107.628
51.896
25.881
1.091.106
Umbri»
667.210
60.338
9.252
15.120
703.176
Laiio
1196.909
105,623
14.497
54.730
1.342.765
Abruizi e Molise .
1.441 551
132,873
78.55M
876
1.496.741
Campania ....
3.160.448
271.065
179.007
31 ..•H2
3.283.848
Puglie
1.9S9.668
202.073
52 521
16 305
2. 125.525
490.705
88.757
53.707
1.891
477.646
Calabria ....
1.370.208
139.652
70,228
8.O0O
1.447,632
Sicilia
3.529.799
290.076
259.067
S3.bi2
3.594.340
Sardegna ....
791.754
80.798
7.850
4.116
—
868.818
Totale . . ,
32.475.253
3.208.130
1 117.780
293.398
293.S9eJ34.565 603
Àpparir«bbero così in guadagno pel movimento interregionale della
popolazione, i compartimenti del mezzogiorno e le isole, il Lazio, il Piemonte
e la Liguria; in perdita gli altri. I dati però non sono molto sicuri, in
quanto gli uffici municipali possono più presto accertarsi delle persone che
Tengono a fissare la dimora nel territorio del comune e per varie esigenze
ammioistratìTe e fiscali o per richieste di pubblica assistenza devono dar
contezza di so, che non di quelle le quali abbandonano il luogo senza
dare alcun avviso. Ond'è die il conguaglio necessario degli scambii di popò-
lazione interni, nel complesso del paese, fu stabilito ufficialmente per via
dì artificio e cioè coH'accrescere di un medesimo tanto per cento tutti i
risaltati compartimentali delle emigrazioni registrate dai singoli comani
per altri comuni del regno, sino a pareggiare il totale generale delle immi-
grazioni dall'interno ('). Ad ogni modo è ammissibile che i vuoti prodotti
(') All'intento di rendere ]>erfetto il cunguaglio finnle degli scumbii interni di po-
polaiione, doTemino ritoccare qualche dato, itcostaodoci così, ma in misura lievissima, dai
risultati ufficiali. A maggior notitia del lettore si aggiunge che, giusta lu registraiiaDi
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NBLL ULTIMO CINQUANTENNIO
19
dall' ingente emigrazione per Testerò nelle Provincie meridionali abbiano
« aspirato » popolazione dalle altre proTincie e che lo stesso effetto, sebbene
per altra causa (le attratiiye della capitale) siasi verificato nel Lazio. Il
Piemonte e la Liguria dovrebbero il loro guadagno, per qaesto titolo, allo
sviluppo industriale e commerciale.
2. I criteri diversi seguiti nei censimenti nel computare gli anni vissuti
e le agglomerazioni dei censiti intorno alle età rotonde, rendono laboriosi i
confronti.
Limitandoci alle agglomerazioni nelle età terminanti per zero, notiamo
tra il censimento del 1861 e i due successivi lo spostamento di un anno.
Nel '61 l'addensarsi di censiti, ignari del tempo esatto trascorso dalla loro
nascita, avveniva, per es., in corrispondenza delle età da 19 a 20, da 29
a 80, da 89 a 40 ecc.; invece, nel 71, in corrispondenza di quelle da 20
a 21, da 80 a 31, da 40 a 41 ecc., come si impara da questo prospetto, li-
mitato, per i parziali, ai maschi, ed esteso, per i totali, alle femmine:
Cknsimsnto 31 die. 1861 Csnsimento 31 die. 1871
(Il numero dei censiti è dato in migliaia)
Età
N.® dei censiti
EU
N.® dei censiti
BU
N.® dei censiti
EU
N.® dei censiti
EU
N.^ dei censiti
EU
N.^ dei censiti
17-18 18-19 19-20 20-21 21-22
205 160 195 175 188
27-28 28-29 29-30 30-Sl 81-22
182 128 240 127 150
87-88 88-39 89-40 40-41 41-42
U9 104 285 106 181
47-48 48-49 49-SO 50-51 51-52
109 77 222 81 97
57-58 58-59 59-eO 60-61 61-62
67 48 168 56 61
67-68 68-69 69-70 70-71 71-72
35 25 80 24 28
Maschi 747 537 1.196 569 650
Femmine 773 538 1.373 516 635
18-19 19-20 20-21 21-22 2^28
246 205 258 246 236
28-29 29-30 30-31 81-82 32-38
219 162 276 159 184
88-89 89-40 40-41 41-42 42-48
171 120 802 127 157
48-49 49-50 50-51 51-52 52-58
141 107 271 107 127
68-99 59-60 60-61 61^2 62-68
90 64 199 70 81
68-69 69-70 70-71 71-72 72-78
50 37 95 38 40
917 695 1.401 747 825
939 676 1.571 635 787
Nel 1881 la classificazione anno per anno d*età fu data solo per i
capoluoghi di provincia e di circondario (^):
originarie dei manicipì, dal 10 febbraio 1901 a tatto il 81 dicembre 1909, le immigra-
lioni accertate da altri comani compresero 5.071.642 indiyidni, e le emigrazioni accertate
per altri comani, solo 4.308.668, mentre si sarebbe dovuta avere la parità.
(») Ved. Annali di Statistica, serie 8», voi. 16, pag. 80 e segg.
20 RODOLFO BENINI
Censimento 31 die. 1881 (^)
(solo per i capoluoghi di provincia e di circondario).
Età 28-29 29-80 80-Sl S1-S2 82-88
N.^" dei censiti (migliaia) 56 50 69 51 49
EU 88-89 89-40 40-41 41-42 42-48
N.^* dei censiti » 47 41 66 45 46
EU 48-49 49-50 SO-51 51-52 52-58
N."" dei censiti » 36 28 59 34 34
Eti 58-59 59-«0 60-61 61-62 62-63
N.** dei censiti » 25 22 46 25 23
EU 68-69 69-70 70-71 71-72 72-78
N.« dei censiti » 14 11 20 12 11
Maschi 178 152 260 167 163
Femmine 175 144 291 160 154
L'agglomerazione è dunque maggiore per le femmine che per i maschi ;
avviene a scapito quasi uguale delle due età contigue a quella preferita
nelle dichiarazioni; cresce, relativamente parlando, col crescere delFetà; e,
se fosse qui luogo ad una minuziosa analisi, si vedrebbe accentuatissima
per gli analfabeti, per i vedovi, per gli abitanti dei piccoli centri ecc.
Ora tutti intendono che, formandosi scale graduate d'età di questo
tipo: 25-80, 80-35, 35-40 ecc., a seconda che nella classe sia o non sia
compreso Tanno deiragglomerazione, cambiano non solo le dimensioni della
classe, ma le proporzioni dei maschi e delle femmine, dei celibi, dei coniu-
gati e dei vedovi, degli analfabeti e dei non analfabeti. Circostanza, questa,
che, non tenuta presente, condurrebbe ad affermazioni erronee. L' inconveniente
quasi scompare, se si formano gruppi di quest'altro tipo: 27-32, 32-87,
37-42 ecc. («).
Maggior discordanza tra i censimenti provenne da altra cagione.
[^) Abbiamo trascarato le classi da 18-19 a 22-23 perchè la presenza di molti gio-
vani tra i 21 e i 23 anni nelle città per ragion di servizio militare, di studi ecc., maschera
r influenza dell'età rotonda.
(') Nel censimento del 1881 anche le classi quinquennali della popolazione dei comuni
non capoluoghi si susseguono per modo da rivelare T influenza in questione. Così i gruppi da
40 a 45 anni, da 50 a 55 e da 60 a 65, che avrebbero dovuto essere meno numerosi dei gruppi
rispettivamente più giovani (da 35 a 40, da 45 a 50 e da 55 a 60), risaltarono invece
più numerosi, comprendendo essi quelle che già nel 1871 fungevano da età rotonde, cioè
le età da 40 a 41, da 50 a 51 ecc.
Noto di passaggio che anche le età terminanti per 5 esercitano una certa attrazione ;
ma lo scapito per le contigue è poca cosa, e d'altronde queste si rifanno a spese della
età terminante per cifra dispari (il 3 o il 7) che le precede o che le sussegue.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL* ULTIMO CINQUANTENNIO 21
3. Il censimento del 1871 graduò le età anzitutto per mesi, dal P
airil*' e poi per anni compiuti: 1, 2, 3 ecc., prescrivendo che i censiti
non tenessero conto dei mesi vissuti in più degli anni interi. À spogli ulti-
mati, però, si ebbero solo 681.194 bambini fino a 11 mesi d'età, susseguiti
nella seriazione da 549.250 di un anno (intendendosi da 1 anno compiuto
a 2 non compiuti), da 654.918 di due anni e da più di 600 mila per cia-
scuna delle quattro età successive. Risultati inverosimili. Anche accresciuto
il primo gruppo di un undicesimo della sua consistenza, a spese del secondo,
per completare il numero dei bambini sotto Tanno d*età, si veniva a questo:
742.912 bambini dalla nascita a 1 anno, 487.532 da 1 a 2 anni, 654.918
da 2 a 3, ecc. ; numeri che ebbero poi sanzione ufBciale. Ma il primo era
ancor molto al di sotto del probabile, perchè i nati nel corso del 1871 in
Italia (Lazio compreso) furono circa 988.000, e alla data del censimento
ne sopravvivevano forse 830.000 ; il secondo era ancor più al di sotto del
probabile, perchè le nascite del 70, quasi uguali in numero a quelle
del 71, dovevan far trovare, al 31 dicembre di quest'anno, almeno 700.000
superstiti in età da 1 a 2 anni.
Caso volle che, nel complesso, i dati greggi dei censiti fino ai sei
anni compiuti si trovassero concordanti col calcolo dei sopravviventi fra la
nascila e i cinque anni compiuti; e allora TUfScio centrale di Statistica,
con risoluzione coraggiosa, a pag. X, 5 del volume secondo del censimento,
dichiarò doversi intendere modificate tutte le tavole di classificazione per
età, nel senso che il gruppo di bambini indicati fino a 6 anni compiuti
fosse da considerare come rappresentante del gruppo fino a 5 ; e che la classe
susseguente, in luogo di rappresentare i fanciulli fra 6 e 7, corrispondesse a
quella fra 5 e 6, e così di seguito per tutti i gradi della scala.
Forse l'Ufficio centrale andò troppo oltre nella correzione e d'altronde
la sua proposta restò lettera morta per i successivi elaborati. Le istruzioni
del 1871 disponevano che si iscrivessero, come bambini di un anno, anche
quelli che da nove, dieci o undici mesi, avevano ultimato l'anno; e come
bambini di 2 anni, anche quelli che da nove, dieci o undici mesi avevano
finiti i due anni. Ma i capifamiglia o gli stessi commessi del censimento,
che di rado leggono le « istruzioni », disposero forse altrimenti: per i bam-
bini sopra l'anno e mezzo di età, scrissero due anni; per quelli che avevan
varcato i due e mezzo, scrissero tre, ecc. Solo le persone di una certa col-
tura e osservanti delle « istruzioni » , segnarono uno fino all'età di 1 anno e
11 mesi, due fino a quella di 2 anni e 11 mesi, e così vìa; ma esse non
pesarono molto in conto. L^attendibilità di t^le ipotesi ha un principio di
prova in ciò : che, computati (giusta la mortalità infantile del tempo) i su-
perstiti probabili al 31 dicembre 1871 dei 988 mila nati nel corso del 71
e dei 538 mila nati negli ultimi sette mesi del 1870 — per tutto il Regno,
compreso a calcolo il Lazio — , si riesce ad un totale di 1.235.000 sopravvi-
22
RODOLFO BBNINI
veuti fino ad ao anno e sette mesi di età; risultato superiore di appena
5 mila alla somma dei bambini dei primi undici mesi d'età e di quelli
indicati come aventi un anno compiato, negli spogli delle schede. Sicché i
dati greggi del nostro secondo censimento andrebbero riferiti, per le prime
classi, a limiti di età anticipati di cinque mesi, su quelli che figui*ano
nelle classificazioni originarie e la seriazione potrebbe ricostruirsi così:
SnccMsioae
delle eU
Delle carte
di spoglio
CUssiflouione per età
secondo le istmxioni del censimento
Numero dei censiti
Classificazione per età
secondo
la probabile intensione
dei capifkmigUa
1-11 mesi
1 anno
2 anni
3 »
4 »
Primi undici mesi
Da 1 anno comp. a 2 anni non corop
Da 2 anni comp. a 8 non comp.
Da 3 » n a 4 n
Da 4 » » a 5 »
681 194 )
[ 1.230.444
549.250 S
654.918
610.591
600.496
Dalla nascita a
1 anno e 7 mesi
Da 1 V.t a 2 7.,
Da 2 V., a 3 Vis
Da 8 Vis a 4 V,.
A partire poi dai cinque o sei primi gruppi Tabitudine, propria di certe
classi di persone, di indicare l'anno, anche appena incominciato, come anno
finito, dovette prevalere sempre più decisamente suirabitudine contraria;
sicché i limiti reali dei gruppi d'età andrebbero arretrati di sei, di sette,
di otto mesi, fino ad un massimo, forse, di dieci, non di un intero anno
come suggeriva l'Ufficio centrale. Adunque un censito, la cui vera età fosse
stata, poniamo, di 37 anni e 4 mesi, dichiarava facilmente 88 e veniva classifi-
cato nel gruppo 38-39 ; nel censo del 1 8(51 pare invece che gli operatori, mi-
gliori interpreti della consuetudine popolare, lo classificassero nel gruppo
37-38. Così si chiarisce la posticipazione di un anno, dianzi notata per
il 1871 a fronte del 1861, nelle agglomerazioni di censiti in corrispondenza
delle età rotonde. Si spiega pure, come vedremo, la diminuzione dei coniu-
gati giovani e la quasi scomparsa dei coniugati precoci dall'una all'altra
data, e Taumento dei primi e la ricomparsa dei secondi nel 1901.
4. Uno spostamento consimile desiderano le classificazioni del terzo appello
nominativo. I bambini fino a 2 anni d*età, indicati in numero di 1.402.993
dagli spogli deirSl, troppo pochi in confronto dei probabili superstiti tra
i 2.039.000 nati del biennio 1880-81, appartengono certo al gruppo fino ad
un anno e sette mesi. Il loro numero infatti corrisponde abbastanza bene
a quello di 1.280.444 assegnabile, come dicemmo, al 31 dicembre 1871,
al gruppo infantile fino a un anno e sette mesi, la diflferenza essendo in
gran parte spiegabile colla maggior natalità e minor mortalità dei lattanti
dal giugno 1880 a tutto il 1881, in confronto di quella dal giugno 1870 a
tutto il 1871.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL ULTIMO CINQUANTENNIO
28
ETÀ
Censiti al SI dickmrbm
DifFerenzft
Moondo U elasBiflcuione conretU
1881
1871
in più
nel 1881 .
Dalla nascita a 1 anno e sette mesi
Da 1 7„ a 2 Vii anni. ....
Da 2 V«t a 8 V,. »
Da 8 Vit a 4 V.t »
1.402 993
706.630
677.559
652.421
1.280.444
654.918
610.591
600.496
1 72.549
51. 712
66.968
5L925
5. Nel 1901, mutato sistema, si richiese ranno di nascita, e non l'età
in anni compiuti. Dal censimento del 9 febbraio, riportato a calcolo al 31
dicembre antecedente, risultarono 943.246 bambini fino ad un anno d*età e
834.807 da 1 a 2 anni, numeri conciliabili col calcolo dei superstiti
fra i nati del 1900 e del 1899. Nell'insieme, che è di 1,777.553, essi si
accordano anche coi dati del 1881, qualora questi si interpretino nel modo
testé ragionato; infatti, addizionando, nel prospetto superiore, 1.402.993 bam-
bini sotto Tanno e sette mesi d'età, con quelli dai 19 ai 24 mesi, che si
possono ritenere eguali a ^/n dei 706.630 pertinenti al gruppo successivo,
si otterrebbe pel 1881 un insieme di 1.724.188 censiti fino ai 2 anni. I to-
tali 1.777.553 e 1.724.188 appaiono abbastanza cònsoni alle condizioni di
natalità e di mortalità infantile dei biennii che fecero capo ai due censimenti
confrontati.
Frutto della digressione è che molti bambini non sono sfuggiti, come a prima
giunta si sarebbe potuto credere, al secondo e al terzo dei nostri censimenti;
non furono delle « quantità trascurabili » per le quali le famiglie avessero
ritenuto soverchio lusso o incomodo riempire la scheda ; le apparenti lacune
dipesero da un modo particolare d' intendere- le classi d'età. Per tale rispetto,
i rilievi del '71 e dell' '81 sono comparabili tra loro, ma non cogli altri due,
salvo gli adattamenti del caso. Invece i risultati del 1861 reggono il para-
gene con quelli del 1901 nelle stesse classificazioni ufSciali.
Bambini obnsiti
.
BTÀ
il 81 die 1861
(s«iiu il Veneto,
i distretti mantoT.
e Komft)
il 9 febbraio 1901,
riportati a calcolo
al 81 dio. 1900
(•ttaale territorio
del Segno)
Differente in più
nel 1900
Inferiori ad 1 anno . . .
Da 1 a 2 anni
Da 2 a 3 »
Da 8 a 4 »
Da 4 a 5 «
Da 5 a 6 »
722.726
571.880
685.265
507.744
472.126
491.249
943.246
834.807
798.308
782381
763.274
732.058
220.520
262.477
108.038
274,637
291.148
240.804
24
RODOLFO BENINI
IV.
La popolazione italiana per sesso, età e stato civile.
1. Il diagramma, che qui presento, descrive alla meglio la ripartizione J9^r
sesso e per età della popolazione italiana, secondo i quattro censimenti na-
POPOLAZIONE ITALIANA
DISTRIBUITA PER STA
A) al 81 die. ISeirescInai II Yeaeto e 11 Lazio
1871, compresi « «
1881,
1900« »
— .— Maschi
..«•.».. Fomnilno
NB. — A partire dall'asse delle ordinate d'ogni figura, nn millimetro eolie ascisse corrisponde a 5.000 censiti.
zionali. Per i noti motivi una immagine fedele non si sarebbe avuta dai dati
grezzi ; fu d*uopo ricorrere a processi elementari di perequazione.
L'occhio esercitato non fatica ad orientarsi in questo semplice disegno.
L'andamento della curva continua e di quella punteggiata mostra senz'altro
che Teccedenza dei maschi sulle femmine persiste in generale fino al quin-
dicesimo anno d'età, come effetto di lunga mano della maggior natalità ma-
scolina e forse di un allevamento men trascurato. Come è noto, l'eccedenza
dei maschi nelle nascite è solo in piccola parte falciata dalla maggiore loro
mortalità nel primo anno dell'infanzia; poi la morte colpisce ugualmente i
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL'ULTIMO CINQUANTENNIO 25
due sessi, e ìd seguito si volge a danno del sesso gentile fino ai 42 o 43
anni d'età. Ciononostante, a partire dal quarto lustro e per un tratto più o
meno lungo della seriazione, la superiorità numerica delle femmine, tra i
viventi, si delinea nettamente. Causa notissima : Temigrazione, che trova le sue
reclute specialmente tra i maschi delle età meglio atte al lavoro. Allorquando,
come nel '61 e nel 71, l'emigrazione italiana per l'estero era poca ed aveva
spiccato carattere di temporaneità, la scarsezza di maschi rivelata dai cen-
simenti si limitava al tratto Tra i 15 e i 35 anni; in parte poteva foi-se
attribuirsi a mancate denunzie di giovani intenzionati di sottrarsi alla leva
0 già trasgressori dell'obbligo loro verso la patria. Ma dopo che le correnti mi-
gratorie si fecero più considerevoli, e l'emigrazione permanente cominciò a
prevalere sulla temporanea, quella deficienza si protese molt'oltre il gruppo
dei trentacinquenni. Il censimento del 1881 già la rivela fino alla classe
da 50 a 55 d'età, e il censimento del 1901 fino a quella da 70 a 75! Na-
turalmente, a partire dai 42 o 43 d'età e andando fino ai 65, le conseguenze
di un largo esodo di uomini avvenuto qualche tempo addietro, si assommano
con quelle della mortalità, che in tale stadio di vita infierisce più sui ma-
schi che sulle femmine. Sarà interessante vedere nel prossimo censimento
le traccie lasciate dall'emigrazione, che dal 1901 si cambiò di grande in
gi-andissima.
Nella porzione del diagramma che raffigura la ripartizione dei censiti
per età all'inìzio del secolo ventesimo, l'occhio raccorderebbe volentieri con
una retta o con una linea a lieve curvatura gli estremi delle ascisse corri-
spondenti alle età di 14-15 e di 60-61 anni; l'area interposta fra questo
tracciato ideale e la curva reale dei censiti esprimerebbe grosso modo il
vuoto prodottosi, per la causa in questione, nelle file degli italiani, vuoto
maggiore per i maschi, minore per le femmine. Però non tanto maggiore per
i maschi, quanto potrebbe aspettarsi chi guardasse solo alle proporzioni dei
sessi tra gli emigranti ; e la cosa si spiega ammettendo che tra i rimpatriati
la prevalenza dei maschi sia ancor più accentuata che tra gli espatriati.
Oggi, fine del 1910, i nati prima dell* unificazione nazionale non arri-
vano al 20 ®/o dei regnicoli ; invece essi rappresentavano il 30 Vo della po-
polazione presente dieci anni fa, il 57 Vo di quella del 1881 e il 76 ^/o di
quella del 1871. A tener conto solo dei nati prima del 1850, cioè della
generazione che fu veramente parte o spettatrice non passiva delle lotte per
l'indipendenza, si scenderebbe al 10 ^/q. Esiguo il numero, ma grande il
valore morale.
2. Considerando la popolazione italiana, senza distinzione di luoghi di di-
mora, l'ultimo censimento presentava, su 1000 abitanti. 341 in età da 0 a 15
anni. Una proporzione molto inferiore (260 Voo) si ha in Francia, paese di
limitatissima natalità. L'Irlanda (304 Voo), il Belgio (317), la Svizzera (321),
26
RODOLFO BENINI
r Inghilteri-a e la Svezia (324) ci si accostano nn pò* più. Ma la nostra
quota è superata, fra l'altro, dalla Prussia, Norvegia e Ungheria (356 Voo)»
e più ancora dai paesi slavi come la Bulgaria (402) e la Serbia (435), e
da alcuni del Sud America: il Brasile (413) e TArgentina (401).
Guardisi qui come si stanno a fronte capoluoghi di provincia, comuni non
capoluoghi con più di 15,000 e altri comuni con meno di 15,000 abitanti. Nei
primi, la scarsa natalizi e il costume dì afSdare lattanti a nutrici fuori del
comune spiegano la debole proporzione dei censiti d'ambo i sessi fino ai
5 anni d*età; come resistenza di guarnigioni militari, di uffici amministra-
tivi civili, di aziende industriali e commerciali, spiega il prevalere eccezio-
nale dei maschi sulle femmine tra i 20 e i 25 anni. Nei secondi si ha una
proporzione già elevata di fanciulli, e negli ultimi una ancor maggiore. In
tutti le traccio dell' emigrazione di uomini si scorgono nelle categorie di cen-
siti nati prima del 1876; ma sono traccio, come dicemmo, promiscue per
un certo intervallo con quelle della maggior mortalità maschile.
69 Capoluoghi di ProTincia
Comnni non capolnoghi
di ProTincia,
con pia di 15 mila abitanti
Altri Comuni
con meno di 15 mila abitanti
Anni di naicita
MmcU
Vemmioo
Maschi
Femmine
Maschi
Femmine
190M896
104.7
100.6
131.8
128.7
140.2
132.2
1895-1891 .
93.0
89 9
108.9
107.5
117.6
111.2
1890-1886 .
96.9
93.4
107.7
104 9
108.1
104.4
1885-1883 .
57.7
57.2
59.5
59.8
58.0
58.1
1882-1880 .
58.0
55.4
53.2
54.2
49.4
51.6
1879-1876 . .
87.8
69.9
68.9
65.0
56.6
63.0
1875-1866 . .
142.5
151.7
133.1
134.7
123.1
129.6
1865-1856 . .
127.9
131.3
118.1
118.5
110.0
113.1
18551846 .
102 2
107.5
95.9
97.4
96.2
97.9
1845-1836 .
75.2
80.2
69.9
72.7
77.1
77.4
1835-1826 . .
39.7
45.1
38 3
40.5
46.2
45.0
1825-1816 . .
13.1
15.9
13.4
14 4
16.0
14.8
1815 e anteriormente .
1.2
1.9
1.3
1.7
1.4
1.4
1000.—
1000.—
1000.
1000.—
1000.—
1000.—
G. Mortara, nel primo suo studio sulle Popolazioni delle grandi città
italiane^ raffronta la composizione per età degli abitanti degli undici mag-
giori comuni con quella degli abitanti dei rispettivi compartimenti. Risaltano
chiari gli effetti della scarsa natalità (alla sua volta, conseguenza di matri-
moni men frequenti o più tardivi o ad arte poco fecondi) e dell* attrazione
che i centri urbani esercitano sulla gioventù di una estesa zona ali* intorno.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NBLL ULTIMO CINQUANTENNIO
27
Stt 1000 cenniti
il 9 febbr. 1901, erano in eU
Sn 1000 censiti
il 9 febbr. 1901, erano in età
Città
"S
9
S
a
COMPABTIUBNTI
1
o
a
e
4
O
iti
et
O
OS
3
•8
•I
o
o
Firenze
240
418
270
72
1
Toscana ....
333
866
232
69
GenoTa
247
457
242
54
Liguria .
m m
312
397
225
66
Torino
249
448
254
54
Piemonte.
■ ■
331
370
285
64
Bologna
254
406
269
71
; Romagna.
• •
328
870
241
61
Milano
257
448
249
46
Lombardia .
■
342
375
280
53
Venezia
265
403
263
69
Veneto . ,
•
360
360
216
64
Roma
269
424
258
49
Lazio . . .
•
321
390
239
50
Napoli
290
389
255
65
Campania .
■
337
350
242
71
Catania
333
399
223
45
)
Palermo
337
401
218
44
> Sicilia
349
877
225
49
Messina
338
380
225
57
\
La serie dei numeri proporzionali concernenti i censiti da 0 a 15 anni
nei grandi comnni presenta un notevole parallelismo con quella delle rispet-
tive quote di natalità accertate nel novennio 1892-900. Infatti per Firenze,
Genova, Torino e Bologna, si ebbero da 23,6 a 24,9 nati vivi su 1000 ab.;
per Milano, Venezia e Roma, da 27,4 a 28,1; per Napoli 31,6; per Catania,
Palermo e Messina, da 31,9 a 36,1.
Ogni 1000 maschi, si ebbero, secondo l'ultimo censimento:
1.018 femmine negli 11 maggiori Comuni
997 « negli altri 58 capoluoghi di Provincia
972 * in altri 185 Comuni con più di 15 mila ab.
1.018 » nel restante del Begno.
Considerando invece la eccedenza annuale dei nati sui morti secondo
il sesso, dovremmo aspettarci nei maggiori comuni una assai più alta pro-
porzione di femmine, e nei minori una assai più bassa.
Quinquennio 1896-1900.
Masclu nati
Femmine nata
Femmine
in pih dei maachi
In più delle fem-
V»
morti
mine morte
1000 mascki
11 magg^iori Comuni ....
35.480
88.838
L095
58 allrì capol. di Provincia .
81.273
81.663
1.012
Capei, di circond. o distretto .
74.808
70.167
938
Comuni non capoluoghi con più
di 15 mila abit
48 599
43.765
901
Comuni minori
741.770
648.692
874
Regno
931.930
883.125
894
28
RODOLFO BBNINI
L* emigrazione maschile, superiore alla femminile, dai minori centri
verso i grandi e i medii, spiega la proporzione relativamente considerevole
delle femmine tra la popolazione presente nei primi, e la loro proporzione
meno alta di qaella che altrimenti sarebbe, nei secondi.
3. L* Italia, mezzo- secolo fa, era, più che non sia oggi, paese dai ma-
trimoni precoci. La relazione del censimento del 1861 sollecitava il legisla-
tore a regolare la materia, togliendola all'ingerenza del clero troppo corrivo
a « perdonare e benedire i congiungimenti immaturi, che tanto Tigiene quanto
la morale pubblica condannano «. A quella data esistevano — se i censiti
risposero il vero — 395 maschi coniugati in età inferiore a 15 anni, e, di
essi, 92 da 13 a 14 anni e uno da 12 a 13; similmente si noverarono 196
coniugate da 12 a 13 anni, 78dallal2e una di 11 non peranco com-
piuti! Il nuovo Codice civile, fissando a 18 anni per Tuomo, a 15 per la
donna, l'età minima legale pel matrimonio, salva in casi gravi la dispensa
sovrana, ha fatto cessare le maggiori anomalie. Peraltro, chi facesse i de-
biti confronti, rileverebbe questo di strano, che la nuzialità prematura,
scomparsa quasi del tutto dal primo censimento ai due successivi, riappare
ancor numerosa nel quarto.
ETÀ
Coniugati al
81 die SI die. 81 die. 9 febbr.
1861 1871 1881 n 1901
31 die.
1861
Coniagate al
81 die.
1871
sino a 15 anni
395
/
—
—
1 3,307
141
242
da 15 a 18 n
4,846
398
[381)
4.327 31.188
11.251
(13.224)
» 18a2l n
25.997
10.251
(10.650)
17.379
128.603
108.803
(117.427)
» 21 a 25 n
151.595
113.453
(122.700)
162.388
369.396
371.365
(408.525)
31 die. 9 febbr.
1881 («) 1901
2,001
24.979
131.179
480.496
Proporzioni a 100.000 coniugati o coniugate di qualunque età:
Bino a 15 anni
10
• • •
—
86
3
5
da 15 a 18 »
127
8
(7)
75
809
235
(254)
» 18 a 21 n
681
216
(207)
802
3 335
2 275
(2.258)
» 21 a 25 »
3.971
2.386
(2.383j
2.825
9.580
7.766
(7.839)
34
421
2.209
8.090
Sono quattro migliaja e piti di coniugati e due di coniugate sotto Tetà
legale, che il censimento del 1901 avrebbe rivelato, quantunque le dispense
(M I dati del 1881, forniti dal censimento in classi quinquennali (da 15 a 20, da 20
a 25 ecc.), furono risoluti in classi annuali d'età, in base alle proporzioni che già erano
risultate nel 1871 ; e indi vennero ricomposti in classi di tre o di quattro anni, seconda
le esigenze del prospetto.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL ULTIMO CINQUANTENNIO
29
per atto sovrano (50 in media all'anno a favore di maschi, 70 a favore di
femmine) non ne dovessero far prevedere più di un centinaio e mezzo. Forse
che il costume delle unioni precoci, sancite col rito religioso soltanto o
riconosciute dalle parentele sotto riserva di legalizzazione futura, è rimasto
presso certe popolazioni — sopra tutto le siciliane — ed ha indotto molti
giovani a dichiararsi coniugati, mentre non erano che dei conviventi in con-
nubii irregolari ? L* ipotesi fu avanzata dal Coletti ed è accettabile per chi
conosca la forza d'inerzia del costume; ma essa lascia insoluta la questione
della quasi mancanza di coniugati precoci nei censimenti del 1871 e 1881.
Il costume esistente alVinizio della nostra vita nazionale, se esiste ancora
oggif non può aver patito soluzione di continuità.
Il Mortara, poco concedendo alla forza del costume, ritiene reale la
scomparsa dei coniugati precoci nel secondo e terzo censimento e ISttizia la
loro ricomparsa nel 1901, che egli ascriverebbe al metodo allora adottato di
richiedere ai censiti Tanno di nascita invece che Tetà in anni compiuti. I
censiti, a suo avviso, male conoscono la propria età, ma peggio la data della
nascita. Pure, contro questo avviso sta il fatto che errate si dimostrano le
classificazioni per età nei censimenti del 71 e '81, e più attendibili invece
quelle per anni di nascita del 1901. Sia che il quesito nella nuova forma
abbia indotto gli interrogati a un volenteroso esercizio di memoria e di con-
teggio, sia che spesso le commissioni di censimento abbiano fatto verificare da
impiegati municipali le età sui registri di popolazione, è forza riconoscere
che i risultati greggi dell'ultima indagine non hanno quasi bisogno di
perequazioni o di aggiustamenti discrezionali.
E appunto, tenendo fermo il concetto che i censiti adolescenti e adulti
nel 1871 e 1881 furon fatti figurare, nelle tabelle ufSciali, di sette od otto
mesi più vecchi che non fossero realmente, noi dovremmo far rientrale gran
parte dei veri o sedicenti coniugati di 18-19 anni e delle vere o sedicenti
coniugate di 15-16, nei gruppi di 17-18 e 14-15 rispettivamente. I primi
erano 1140 nel 1871 e le seconde 914; dieci anni dopo, potevan calcolarsi
a 1090 e 1074. Spostandone, mettiamo, i tre quinti, la categoria dei
veri 0 sedicenti coniugati sotto l'età legale ingrosserebbe nel 1871 da 399
a 1.083 e nel 1881 da 881 a 1026; e quella delle coniugate da 141 a 689
e da 242 a 886. In pari tempo bisogna riflettere che il censimento del
1901 fu eseguito, non nel giorno iniziale o terminale dell'anno, ma al 9-10
febbraio: opperò i censiti, che in riguardo all'anno di nascita noi classifi-
cammo, ad esempio, nel gruppo da 15 a 18, appartengono in realtà al gruppo
da 15 anni e 40 giorni a 18 anni e 40 giorni. Ora, tra l'età di 18 precìsi
e quella di 18 più 40 giorni, vi è senza dubbio qualche centinaio di questi
coniugati da eliminare, mentre ve n'ha ben pochi da aggiungere nell'età tra
i 15 precisi e i 15 e 40 giorni. È anzi probabile che, al varco del limite
legale d'età, le unioni irregolari in attesa di mettersi in regola colla legge
30 RODOLFO BENINI
senza sollecitare la dispensa sovrana, siano tante da costituire come un salto
nella seriazione. A conti fatti in via, s'intende, di semplice approssimazione,
il gruppo dei mariti precoci si ridurrebbe, in numeri tondi, da 4827 a 3900,
e quello delle mogli da 2001 a 1700.
Il risultato di questi emendamenti conforterebbe la tesi ohe il costume
delle unioni precoci, legittime o no che siano, non cessò air epoca del se-
condo e del terzo censimento per rivivere in tempi a noi più vicini. Tuttavia
le serie corrette:
1861 1871 1881 1901
Dichiaratisi coniatati sotto i 18 anni: 5.241 1.083 1.026 8.900
Dichiaratesi coniugate sotto i 15 anni: 3.807 689 886 1.700
pur presentando sbalzi assai attenuati in confronto delle originarie, lasciano
ancor dubitare di altre cause d*errore o di discordanza. Non tanto la discesa
dal 1861 al 1871 è cagion di mei*aviglia (perchè una notevole influenza sul
costume deve pur avere esercitato il nuovo Codice), quanto la ripresa del
costume, massime da parte dei maschi, neirintervallo fra il terzo e il quarto
censimento.
Eccoci tratti a pensare che se gravemente errate riuscirono in un senso
le classificazioni per età nel 1871 e 1881, errate, sia pure in misura assai
minore e in senso opposto^ siano riuscite quelle del 1901. Le tabelle uffi-
ciali, là, avrebbero invecchiato d'un anno circa i censiti adolescenti e adulti ;
qui potrebbero averli ringiovaniti di qualche mese. Basti riflettere ai molti
casi, in cui il computo dell'anno di nascita potè farsi alla lesta con la sem-
plice sottrazione delletà (dichiarata in anni compiuti senza complemento di
mesi) dal numero costante 1901. Pongasi: una persona nata tra l'agosto e
il dicembre 1882 e avente meno di diciott'anni e mezzo alla data del cen-
simento, indicava la propria età col numero 18; e il commesso o gli incaricati
della revisione delle schede, senza preoccuparsi del mese, sottraendo 18
da 1901 segnavano come anno di nascita il 1888 in luogo del 1882. Nel-
l'esempio supposto, la coincidenza dell'anno a calcolo con quello vero della
nascita si sarebbe avuta solo per i censiti abituati a contare come finito l'anno
d'età incominciato: i quali censiti sono forse la maggioranza ; ma noi dob-
biam riconoscere la parte, che loro spetta, anche alle minoranze.
Se per tali riguardi i dati del 1901 desidererebbero un lieve ritocco, uno
anche più lieve, non però trascurabile, bisognerebbe apportare specialmente
ai gruppi maschili fino ai 25 anni. In Sicilia, nelle Calabrie e nelle Puglie,
proprio dove più resiste il costume dei connubii prematuri, è invalso,
dopo la legge del 1875 sul reclutamento militare, l'uso di denunziare i
maschi, venuti al mondo negli ultimi giorni dell'anno, come nati al
principio del successivo, per far loro guadagnare, dicesi, un anno alla leva.
Ora può essere avvenuto che, per i figli prossimi alla leva, le famiglie ab-
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NBLL ULTIMO CINQUANTENNIO
81
Mano tenuta presente la contrayveDziooe già commessa alla legge e indicati
i diciottenni per diciassettenni e cosi via ; e che altre famiglie, le quali non
erano in colpa per la denuncia delle nascite, s'illudessero di fare lo stessa
guadagno con una dichiarazione inesatta sulla scheda del censimento. Queir uso
spiegò i saoi primi effetti, quanto alle classi d*età, che ci interessano, solo
nel 1901 ; e dà in piccola parte ragione del maggior salto che si avverte nella
serie emendata dei veri o sedicenti coniugati sotto i diciott*anni in confronto
della serie delle coniugate sotto i quindici.
L'effetto di questi spostamenti si legge anche nei rapporti di frequenza
delle classi sopra Tetà legale:
1861
1871
1881
1901
CUsti
d*eU
Gonlufati per 1000 maaclii
dell'etA eoatroindìcata
Goniagate per 1000 feromine
dell'eU oontroindiuato
18-21
49
14
14
21
218
188
151
158
21-25
205
124
127
158
481
419
417
457
25-80
494
425
467
502
680
661
688
686
80-85
697
684
705
719
752
754
773
780
85-45
785
793
801
813
741
756
771
798
45-55
780
801
811
824
645
675
679
722
55-65
719
786
755
770
489
523
528
564
65-75
588
618
616
644
881
859
885
857
1891
1871
1881
1001
Dal primo censimento ai due successivi appare indebolita nelle schiere
giovani, rafforzata nelle anziane, la rappresentanza dei conjugati, appunto
perchè, la seriazione loro avendo il suo massimo fra i 35 e i 40 anni, lo
spostamento di circa un anno nelle età doveva accollare ad ognuna delle
classi anziane un indebito contingente di coniugati maggiore di quello che
essa cedeva alla successiva; giusto il contrario di ciò che avvenne per le
classi giovani. Nel 1901 mancò tuttavia la inversione del fenomeno, grazie
airemigrazione, la quale, diradando i celibi, mantenne ai conjugati, anche
anziani, una posizione più considerevole di quella stessa che sembravano avere
nel 71 e '81; e grazie alla maggior durata delle convivenze (effetto di
migliorate condizioni sanitarie del popolo), che fece poco numerosi i vedovi.
4. Ben poco mutò la compagine della nostra popolazione per grandi
gruppi. L'equilibrio dei sessi si è mantenuto, i maschi essendo stati al mas-
simo il 60.27 Vo nel 1871, al minimo il 49.75 •/• nel 1901. Per 100 maschi
d*ogni età si ebbero al più 61 celibi (1® censimento) e almeno 59.89 (3^ cen-
simento); per 100 femmine gli estremi delle nubili furono 55.37 e 53.97
alle stesse date.
Ma più interessa illustrare il contrasto tra le città e il resto del paese.
Nei centri urbani le maggiori attrattive del celibato, i molti modi che si
32
RODOLFO BENINI
offroDO alFuomo di esplicare la sua socievolezza ali* infoori deirambiente do«
mestico, le divorile esigenze del vivere, distolgono alcani dal matrimonio;
per altri le nozze sono tardive, e le vedovanze cadono spesso in età che non
invita pia a secondi amori ; oltre di che, per la donna almeno, il pass^gio
a nuove nozze implica spesso nelle città, ove hanno sede impiegati o pen-
sionati, la perdita di certi vantaggi (pensioni). Scarsa dnnque la rappresen-
tanza dei coniugati; non scarsa invece quella dei vedovi, die, come ab-
biam detto, nelle città sentono meno la convenienza del ritorno allo stato
coniugale.
ClMti
dieU
15-20
20-25
25-30
80-35
35-45
45-55
55-65
65-75
75-85
oltre 85
1861
Coniugati
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1871
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85
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144
168
689
744
147
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705
765
145
588
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816
584
619
262
285
586
622
264
442
362
454
447
452
423
465
435
448
429
304
484
580
838
318
522
588
303
308
585
1.8
7
16
81
67
185
275
459
609
Il censimento del 1901 non ci offre una discriminazione analitica,
quanto vorremmo, di classi per età combinata collo stato civile e per capo-
luoghi e non capoluoghi.
Pur riconoscendo che la distinzione dei centri con 6000 abitanti 0 pib
dal resto del paese non coincide bene con quella dei capoluoghi di provincia
dagli altri comuni, e che nel 1861 la mancanza dei dati per le Provincie
venete e per quella di Roma toglie qualche cosa ancora all'omogeneità dei
termini di confronto, non possiamo non rilevare l'accordo delle serie che
affermano la debole proporzione dei coniugati tra la popolazione, diciam
così, urbana. L'accordo si ripete nel seguente prospetto dedicato all'altro
sesso:
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL QLTIMO CINQUANTENNIO
33
ClMSi
aitu
15-20
20-25
25^
30-35
35-45
45-55
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65-75
75-85
oltre 85
1861
COMIOOATB
^11
135
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619
679
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1871
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67
48
662
772
55
767
125
101
675
772
no
669
S46
222
602
688
212
514
419
891
448
536
871
350
557
554
295
371
541
223
643
669
163
217
672
155
664
788
112
129
732
0.,
21
48
97
196
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692
777
41
319
577
678
690
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134
67
13
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694
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543
870
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551
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700
107
779
O.e
5
17
87
86
196
855
547
718
795
V.
La popolazione per professioni.
1. Lungi da noi Tidea di condurre il lettore nel ginepraio dei quattro
censimenti per la parte che concerne le professioni. Varianti di nomencla-
tura 0 di aggruppamenti, rapporti complessi nascenti dalla promiscuità, tem-
poraneità 0 alternanza di mestieri, zone grigie tra Inattività industriale e com-
merciale e l'attività domestica, confusioni non rare fra titoli, gradi e con-
dizioni da un lato e professioni vere e proprie dalFaltro, termini dialettali
simili per suono, dissimili per senso da quelli degli elenchi ufficiali, tutto
concorrerebbe a rendere, oltre ogni dire, laboriosa una analisi comparativa.
D'altronde, un censimento non potrebbe neppur concatenarsi cogli anteriori,
0 coi successivi, per la mancanza di statistiche del « movimento * , per la
mancanza, cioè, di ogni notizia intorno all' ingresso di nuove schiere nei vart
gruppi professionali del paese, e alle uscite che non siano quelle determinate
dalla morte o dall'emigrazione. La professione, non essendo un carattere im-
mutabile come il sesso, né regolarmente variabile come l'età, né suscettivo
di poche forme, come lo stato civile, aduna difficoltà d*ogni specie sulla via
dei rilevatori.
BODOLFO Bbnini — La demografia italiana ecc.
u
RODOLFO BBNINI
Basterà dunque un semplice giro di ricognizione.
Il censimento del 1861 diede questi risultati per grandi gruppi:
Professioni e condizioni
Industria agricola
n minerale
n manifattrice
n commerciale
Professioni liberali
Culto
Amministrazione pubblica
Sicurezza interna ed esterna . . . .
Possidenti
Domesticità
Poveri
Senza professione (di oltre 9 anni). .
Fanciulli sino ai 0 anni
Totali . . .
Maschi
Femmine
Totale
4.869.421
2.839.210
7.708 631
55.757
2.794
58.551
1.379.505
1.692.740
3.072.245
542.090
92.848
634.438
407.722
126.763
584.485
122.753
41.662
164.415
124.246
6.351
130.597
240.003
41
240.044
347.030
257.407
604.437
160.077
313.497
473.574
128.346
176.997
305.343
89.895
2.957.207
3.047.102
2.430.391
2.373.081
4.803.472
10.897.236
10.880.098
21.777.334
Gli occupati neir industria agricola furono censiti per nove decimi nei
centri inferiori a 6000 ab. e nelle campagne. Decisa la preyalenza dei maschi
sulle femmine, ma con estremi compartimentali assai discosti : in Piemonte,
ad es., 100 contro 81; in Sardegna, 100 contro 8. Notevole pure, per ragioni
non ben chiarite, la frequenza dei capifamiglia, doppia anzi di quella accer-
tata per la restante popolazione attiva. Gruppi scelti: i piccoli possidenti-
coltivatori, un sesto delle persone occupate nell'agricoltura, numerosi soltanto
in Piemonte e in Liguria, dove la tendenza al frazionamento della proprietà
non era stata ostacolata, come altrove, dal risorgere dei maggioraschi sotto i
governi della Ristorazione; i mezsadri^ ^lixo ^^^io^ frequenti nell* Italia cen*
trale e quasi inesistenti nella meridionale e nelle isole; i fittaiuoli, un ven-
ticinquesimo, con discreta rappresentanza numerica nel Napoletano e nel Mo-
denese e con speciale importanza economica nel Lombardo ; infine le categorìe
più 0 men bene determinate dei coloni, degli agricoltori contadini e dei
giornalieri^ quest'ultima in condizioni precarie e misere di vita.
L'industria manifattrice, numericamente, appariva rappresentata più nel
Napoletano e in Sicilia che in Lombardia e Piemonte, ma solo perchè là gli
abitanti raccolti in grossi centri o borghi, esercitando nell'inverno qualche
arte, seguita in più propizie stagioni dall'agricoltura, si classificarono tra gli
artigiani. Il censimento d'allora, come i successivi, ebbe luogo appunto nel-
r inverno. D'altronde, nel Napoletano e in Sicilia la popolazione artigiana era^
in forte prevalenza, femminile: donne alternanti il lavoro del fuso o del te-
laio colle cure domestiche. L'esposizione nazionale di Firenze del 1861 mostr^
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL'DLTIMO CINQUANTENNIO 35
che da noi non mancava la grande industria. Non poche delle più cospicue
fabbriche d'oggi sono le discendenti dirette — figlie maggiori delle madri —
delle fabbriche sdrte nel perìodo preparatorio dell'unità politica. Scorrendo
le relazioni dei gini-ati a quella prima solennità del layoro italiano, incon-
triamo nello stato maggiore dell' industria i nomi degli stabilimenti di Fol-
lonica e di Pertusola per la mineralurgia e metallurgia, di Ansaldo a Sam-
pierdarena per la meccanica, dei Lanza di Torino pei prodotti chimici, del
Florio di Palermo per l'enologia, ed altri molti. La ceramica vantavasi delle
manifatture in grande del Ginorì a Doccia e del Richard a Milano. Tra gli espo-
sitori dei prodotti della seta, del cotone, del lino e della canapa (i Gavazzi
di Desio, i Geriana di Torino, i Cantoni di Castellanza, i Bossi di Schio,
i Sella del Biellese, gli Schlàpfer di Napoli, ecc.), a decine si contavano i
condottieri aventi ciascuno più centinaia di operai ai loro ordini e un arma-
mentario corrispondente di apparecchi meccanici mossi da forza idiaulica o
dal vapore. Con tutto ciò, non si può negare che industria casalinga, arti-
gianato e piccola fabbrica non fossero in parecchi rami il fondo e il nerbo
della nostra produzione, in parecchi altri gli ausiliari o i complementi del-
l' impresa accentrata. L'allevamento del baco da seta, la filatura e tessitura
a mano, la macinazione dei cereali, la brillatura del riso, la lavorazione della
paglia da cappelli ecc., si innestavano più o meno intimamente ad una agri-
coltiua progredita sui piani lombardi, sui colli piemontesi e toscani ; ma più
giù arretrata come l'economia dei tre campi nel medio evo.
Le 634 mila persone indicate nella categoria « industria commerciale «
si suddistinguevano in 60.945 esercitanti il commercio all' ingrosso e 354.759
quello al minuto; 218.734 occupate nei trasporti. Metà furon censite nei
centri di 6000 ab. e più; metà nei centri minori e nelle campagne.
Tra le professioni liberali, le meglio accertate statisticamente riuscirono
le sanitarie. Il complessivo numero dei medici, chirurgi, farmacisti, veteri-
nari, levatrici, ecc., fu di 43.889. Alle belle arti, alle lettere e scienze ap-
plicate, alla giurisprudenza, all' insegnamento e agli impieghi privati in largo
senso, dichiararono di attendere 490.596 individui.
Il clero regolare noverò, secondo il censimento, più assai che non si
aspettasse per altre fonti di notizie: 30.632 ascritti maschi e 42.664 fem-
mine; rado in Lombardia per effetto delle riforme giuseppine e delle sop-
pressioni dell'antico Regno italico, denso nell'Umbria, nelle Marche e in
Sicilia. La nostra quota generale per 1000 ab. (3.36) superò così quella
della Francia (2.97), della Spagna (1.31) e del Belgio (3.23). Pel clero se-
colare, rappresentato da 87.744 individui, la frequenza maggiore si ebbe nelle
Marche, la minore in Lombardia.
L'unificazione del paese avrebbe dovuto addirrre ad una economia di
personale almeno nei servizi governativi centrali e in alcuni di conGne, come
il doganale, che per Tabbattimento delle barriere dei vecchi Stati svolgevasi
36 RODOLFO BBNINI
ormai su una linea più breve. Ma alla fine del 1861 non s'eran fatti che
i primi passi sulla via dell'unificazione. D'altronde, il rispetto ai diritti
acquisiti e i riguardi agli interessi impegnati, insieme col maggior lavoro
richiesto per incominciare a fare il non fintto dai cessati governi e assicurare
il nuovo ordine di cose, volevano conservato almeno il vecchio personale e
tenuto Tesercito su un piede quasi di guerra. Il censimento registrò così
370.641 persone addette all'Amministrazione pubblica e alla sicurezza interna
ed esterna del paese, numero superiore di 71 mila a quello trovato dal
censimento di dieci anni dopo per l'Italia, ingrandita del Veneto e di
Boma.
Veniamo ai censimenti del 1871 e del 1881 :
Gateoorie di professioni 1871 1881
Agricoltura, Bilvicoltura, pastorìzia, pesca
e caccia
Miniere, cave, saline
Produzioni industriali
Commercio e trasporti ; alloggio, toeletta
e igiene della persona
Professioni liberali
Culto
Amministrazione pubblica
Esercito e marina da guerra
Capitalisti, proprietari e pensionati . .
Impiegati privati e personale di servizio
Personale di fatica
Altre professioni o condizioni ....
Senza professione o professione non in-
dicata
Fanciulli sino ai 9 anni
Totali . . .
8.815.960
8.559.065
39.519
59.512
3.457.923
4.186.216
632.938
743.878
184.822
223.161
148.883
131.585
154.201
170.652
145.304
160.155
765.099
962.881
525.C42
713.405
135.378
129.829
85.902
264.131
6.216.661
6 306.656
5.493.227
5.908.502
26.801.154
28.459.628
Impossibile fai*e confronti col censimento del 1861, che non si limitino
a specialissimi gruppi. Così nella diminuzione progressiva degli ascritti al
culto si legge Toffetto dell'abolizione delle corporazioni religiose. Gli addetti
alle amministrazioni civili o alla difesa del paese, dicono col loro moderato
numero la politica di raccoglimento e di parsimonia, che i tempi consiglia-
vano e gli uomini eseguivano. Risultano in perdita grave, ma solo apparente,
le professioni liberali, perchè il primo censo le aveva ingrossate con elementi
di varie altre categorie. Tra esse, le professioni sanitarie progredirono, per
numero di componenti, da 48.889 a 54.409 e poi a 59.717; il censimento
del 1901 le troverà di 69.918.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL'ULTIMO CINQUANTENNIO 87
I grappi scelti degli agricoltori mostraronsi nel 1881 alquanto mutati
nelle dimensioni rispettile : la mezzadria in decremento ; in aumento inyece
la piccola proprietà coltivatrice e il fitto.
Forse, a quella data, la maggior frequenza di occupati nelle produzioni
industriali fu in parte l'effetto della creazione di nuove imprese e delFam-
pliamento delle antiche, mentre ancor resisteva l'artigianato e la manifat-
tura casalinga. Quel periodo si segnala per Tequilibrio restituito alla finanza
pubblica, per il risveglio dell'attività industriale del paese e per la politica
moderatamente protettiva inaugurata con la tariffa generale del 1878. Il cen-
simento del 1901 mostrerà invece un regresso numerico, dovuto alla concen-
trazione delle imprese ed alla parziale scomparsa, massime nelle industrie
tessili, del lavoro a domicilio eseguito da donne.
Non isperi, del resto, chi mi legge, di cavare un gran costrutto neppur
da più minuziosi confronti, i quali costerebbero una fatica mal compensata
dai probabili risultati. Anche nel seguente parallelo tra 1 due ultimi censi-
menti, dobbiamo contentarci di prendere, per il 1881, dati, ufficiali sì, ma
non sempre coincidenti con quelli pure ufficiali testé riferiti, a motivo di
alcuni rimaneggiamenti di gruppi, che richiederebbero troppo lungo discorso :
GATBGORn DI PROySSSIONI
1881 1901
Agrìcoltara, silyicoltara» pastorisìn, pesca
e caccia 8.614.708 9.666.467
Miniere, cave e saline 59.719 91.659
Produxioni indastrali 4.163.144 3.898.157
Commercio e trasporti 899.854 1.196.7 M
Profof^sìuni liberali e impieghi privati 279.478 382.498
Culto 131.585 129.893
Amministrazione pubblica 167.362 178.241
Difesa del paese 160.155 204.012
Persone che vivono specialmente di red-
dito 962.881 600.752
Addetti ai sernsl domestici e di piazza 675.908 574.855
Persone di oltre 9 anni, a carico della
famiglia 4.658.086 8.355.773
Assistiti dalla carità pubblica e privata,
0 viventi a carico dello Stato. . . . 197.276 146.853
Di professione o condizione ignota . . 1.580.975 10.603
Fanoialli sino a 9 anni d>tà .... 5.908.502 7.060.967
Totali . . . 28.469.628 82.447.474
Or non è chi non veda che coacervi, quale quello delle persone di
oltre nove anni a carico della famiglia, che si ingrossano di quattro milioni
da un censimento all'altro, e coacervi quale quello degli individui di pro-
fessione 0 condizione ignota, che da un milione e mezzo si stremano sino
88
RODOLFO BENINI
a poche migliaia, fanno cadere nel vuoto ogni tentativo di confronti. Tuttavìa,
per r importanza speciale che suolsi annettere al censimento delle persone oc-
cupate nelle industrie manifattrici, aggiungiamo questo prospetto :
Industrie mi ncralargiehe, metallurgiche e
meccaniche
LavorazioDe delle pietre, argille e sabbie
Industria edilizia
Lavoraz. del legno e della paglia, e fabbric.
di mobilio e di utensili domeslici . .
, , . Mn opifici
Industrie tessili <
( artigianato . . . .
Industrie attinenti al vestiario e airac-
conciatura della persona
Industrie alimentari
Lavorazione delle pelli e di altri prodotti
animali
Altre industrie, escluse le estrattive . .
Industrie mineralurgicbe, metallurgiche e
meccaniche
Lavorazione delle pietre, argille e sabbie
Industria edilizia
Lavoraz. del legno e della paglia, e fabbric.
di mobilio e di utensili domestici . .
Sin opificii
artigianato . . . .
Industrie attinenti al vestiario e all'ac-
couciatura della persona
Industrie alimentari
Lavorazione delle pelli e di altri prodotti
animali
Altre industrie, escluse le estrattive . .
1881
Vuoili
Femmine
Totale
287.500
1.875
23 9 J 75
103.276
5.465
108.741
518.876
67.914
586.790
307.802
73.400
381.202
1 137.476
1.213.978
1.351.454
494.432
498.523
992.955
267.938
55.615
323.553
35.958
7.372
43.325
116.567
19.182
136.749
2.219.820
1.943.324 i
i.163.144
1901
MmcIiì Femmine
ToUle
Di Mi pa-
droni diret-
tori 0 artl-
giaai indi-
pendenti di
tnboieetei
326.082
3.069
329A51
88.266
129.460
5.890
135J50
27.360
558.890
5.908
564.798
9.299
343.139
67.796
410.935
165 881
• 107.691 362 326
470,017
19.148
13.788 299 448
313.236
318.286
574.666 539.177
1.113.843
545.134
270.431
44.069
314.500
136.984
89.033
7.881
46.914
11.610
164.530
34.883
199.413
84.728
2.527.710 1.370.447 3.898.157 1.351.641
Quali sorprese ci riserba il censimento del cinquantenario? La gigan-
tesca emigrazione di questi ultimi anni, pur temperata dai numerosi rimpa-
trii, lascierà i segni suoi nella compagine e nelle proporzioni dei gruppi
scelti della popolazione agricola? La concentrazione e trasformazione tecnica,
la creazione ex novo di molte aziende industriali, appariranno in qualche
modo nel nuovo appello nominativo delle professioni ? Un censimento profes-
LA DEMOQRAFIA ITALIANA NELL' ULTIMO CINQUANTENNIO 39
sionale, nella parte che concerne le produzioni industriali, e una statistica
vera e propria delle industrie, non sono la stessa cosa ; sono due modi diversi
di prospettarla. Neil' uno si considerano gli individui per il genere di occu-
pazione, indipendentemente dai legami che possono avere con questa o quella
azienda; nell'altra le aziende, in cui collaborano individui anche di occupa-
zioni diverse. Il censimento delle industrie, che avrà pure luogo nel 1911,
darà modo di verificare la bontà del censimento professionale, nella parte
che gli corrisponde ratione materiae.
Secondo una statistica del 1876, in alcuni rami la potenzialità media
di un opificio era rappresentata da 16 operai (donne e fanciulli compresi,
ma contati come mezze forze) e da neppur 4 cavalli dinamici. Oggi, negli
stessi rami la potenzialità è forse quintuplicata: il che è assai, trattandosi
deirelevazione di una media di numerosissimi termini. Della nostra ric-
chezza d'acque si utilizzavano allora sopra luogo, da tutte quante le in-
dustrie del paese, 250 mila cavalli dinamici, intermittenti ; le meraviglie del
trasporto deirenergia elettrica a distanza, che oggi mettono a nostra dispo-
sizione 600 mila cavalli elettrici, oltre quelli utilizzati direttamente sul-
l'asse delle turbine idrauliche, non erano peranco conosciute. L' importazione
delle macchine, dieci anni fa, era ancora fra i 800 e i 400 mila quintali,
ed oi*a è quattro volte tanto ; T importazione del carbon fossile era tra i 4 i e
i 5 milioni di tonnellate, ed ora sorpassa i 9 milioni. L'agricoltura, istruita
dalle cattedre ambulanti, si avvia essa stessa ad una fase industriale. La
produzione nazionale di perfosfati e V importazione del nitrato di sodio e di
altri fertilizzanti, si è in poco tempo ingigantita.
11 censimento professionale, per so solo, potrebbe dirci ben poco in pro-
posito : cambiamenti di dimensioni di certi gruppi, rappresentanza maggiore
0 minore dell'uno o delFaltro sesso nel campo dell'attività industriale, per-
centuali variate tra operai e padroni, come effetto della concentrazione delle
fabbriche; scomparsa quasi definitiva delFartigianato in alcuni rami. Ma ò
troppo poco, e quel poco porta seco troppo d'incerto; per la qual cosa fu
savio consiglio di integrare per questo rispetto l'indagine demografica con
un vero e proprio censimento delle industrie.
2. Propaggine del censimento professionale, è la categoria dei proprietari
di immobili. I censimenti del 1881 e 1901 li hanno numerati così:
ISSI IMI
Proprietari di soli terreni 682.802 1.045.118
n n fabbricati 781.984 828.442
I» n terreni e fabbricati . 2.668.696 2.241.578
Totale . . . 4.183.432 4.110.183
di cui maschi 2.733.467 2.597.556
40 RODOLFO BENINI
Oltre che concordanti sostanzialmente, questi dati sono anche abba-
stanza attendibili. Moltiplicando le successioni immobiliari di ogni anno, che
sono da 127 a 128 mila, per 32 o 33, numero probabile d'anni d'intervallo
tra due trasmissioni immobiliari mortis causa^ si ottiene a un bel circa il
dato del censimento.
Frequenza grande di proprietari d'immobili si incontra in Piemonte,
Sardegna, Basilicata e Abruzzi; minima nell'Emilia, nelle Marche e in To-
scana. Per rispetto alla superficie del territorio, la Liguria prende il primo
posto, e la Sardegna passa all'ultimo. La prevalenza numerica degli agricol-
tori coltivanti terreni proprii o dei possidenti occupati nell'agricoltura, sugli
altri gruppi professionali, è tale che, so si separano i comuni capoluoghi di
provincia o di circondario dal resto del Regno, la proporzione dei proprie-
tari per 1000 abitanti si riduce alla metà, e la riduzione riesce ancora
maggiore per i grandi centri urbani, a malgrado delle allettative che esse
offrono all'assenteismo.
VI.
La popolazione per coltura elementare, lingua e religione.
La colttira elementare.
1. Non si va molto lontani dal vero affermando che verso la metà del
secolo scorso gli analfabeti di ogni sesso ed età, nei limiti dell'Italia poli-
tica d'oggi, dovevano essere circa 1' 83 Vo ^^^^* intera popolazione Alla fine
deiranno in cui fu proclamato il nuovo regno, la proporzione risultò del
78,1 Vo sul territorio di allora; né sarebbe risultata molto diversa, se si
fossero potute far entrare in conto le provincie venete e quella di Roma.
Dieci anni dopo, e per tutto il territorio attuale, ci troviamo al 72.9 7o(0;
e dopo altri due lustri a 67,3. Il censimento del 1901 segna un'ulteriore
foticosa conquista di undici punti. Ed oggi (fine del 1910) vari elementi di
calcolo fanno ritenere ridotta a meno del 50 ^/o la popolazione ancora ignara
dell'alfabeto. Quindi, siccome il limite verso il quale tende questa progres-
sione è del 15 Vo — nell'ipotesi, cioè, che in un avvenire più o meno vicino
solo i bambini sotto i sei anni di età costituiscano la categoria degli illet-
terati — vuol dire che ci resta tanto terreno da conquistare, quanto il già
conquistato a pai*tire dall'anno della prima guerra d'indipendenza.
(^) Eliminando dai risultati del 1871 le provincie venete e la romana, la proporzione
cambierebbe assai poco: 73^3%; e sarebbe questa, a rigore, la percentuale da contrapporre
a quella di 78,1 accertata nel 1861.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NBLL'uLTIMO CINQUANTENNIO ^1
Per gli Stati Sardi le pib antiche notizie dirette risalgono appunto al
1848; per il ducato di Parma al 1857. Le prime ci permettono (previo stralcio
della Savoia e di Nizza, cedute alla Francia, e dei circondari di Bobbio,
Voghera e Moii^ra riuniti alla Lombardia, e previa permutazione di alcuni
territori fra le Provincie liguri e le piemontesi) di distinguere con sufBciente
approssimazione 1 attuale Piemonte dalla Liguria, in modo da rendere com-
parabili i vecchi dati coi successivi:
Analfabeti per 100 abitanti in generale.
Provincie
diParm»
CeuimAnti Pienoiite Liguri» Sardegn» e Piacenu
1848 65.82 76.57 98.67 ?
1857 • 59.35 78.14 92.71 84.19
1861 57.37 70.83 91.17 81.88
1871 50.03 62.18 88.06 77.23
1881 41.89 51.77 82.68 69.69
1901 28.82 35.80 72.80 62.38
2. L'eredità di coltura lasciataci da parecchi tra i vecchi Stati italiani
non è solo rappresentata dalle alte proporzioni di analfabeti, rivelateci dal primo
censimento nazionale, ma, quel che è peggio, da un costume formato, che ancor
oggi si spiega per diffidenze e resistenze passive di certe popolazioni (o delle
classi loro dirìgenti) a tutto ciò che sa di coltura popolare. Sicché la disu-
guaglianza di condizioni tra le varie parti del paese è notevolmente mag-
giore oggi che non fosse mezzo secolo fa.
• r^».^**!»^»! Analfabeti per 100 abitanti nimi«««i«.^
T*"itorii , JÌ««?^ «!f^„«i« •«»» diatinaiene di etA «^ S,^^*;?,
decli ex-Stati v** *"?''• ** ^^"®f« nel "•" interrano
^ "*"' olle oggi Ti oorriepondODO jgjj j^^^ o/^
Stati Saedi (escluse j ^^^"^^"^ ' ^^«^"» ' ' ' • ^^^ ^^'^^ '^^
Nizza e Savoia) ( Sardegna 91.17 72.80 20^
Regno (Lombardia 59.96 33.08 44.8
Lombardo-Veneto ( Veneto 69.77 (*) 45.84 {34^)
Ducato di Parma - Pro?, di Parma e Piacenza . . 81.88 52.38 36.0
Ducato di Modena - Proy. di Modena, Reggio E. e
Massa Carr. 79.92 54.61 31.7
Grand. DI Toscana - Toscana, senza Massa Carr. . . 77.89 55.23 28.6
L Lazio 71 73 (*) 51.20 (28.6)
Stati Pontificii l
{ Romagna, Umbria, Marche . . 83.28 61.82 25.7
I Abruzzi, Campania, Pnglie, Ba-
silicata, Calabrie 88.05 74.24 15.7
Sicilia 90.28 75.24 16.6
(') Per il Veneto e il Lazio, mancando i dati pel 1861, le proporzioni indicate si
riferìseono alPanno 1871.
42 RODOLFO BENINI
È cosa di osserFazione comnne che il dimenticare Talfabeto avviene
talvolta pei fanciulli i quali, abbandonata la scuola, son tenuti a lungo fuor
di ogni occasione di esercitarsi alla lettura : mentre chi a venti anni ancora
sa leggere, lo sa per il resto della vita. Però, chi a venti o trenta anni non
ha peranco imparato a leggere, non tanto spesso rapprende in sèguito. Onde
è che la proporzione di analfabeti, data dai censimenti nostri per le età ma-
ture, è suppergiù la medesima che era tdmpo addietro per la piena gioventù
degli individui considerati. 0 meglio: è una proporzione alquanto ridotta, sia
perchè alcuni, quantunque avanti negli anni, si procurano un pò* di istruzione,
sia perchè, col trascorrere delle età, sopravvivono più facilmente gli individui
delle classi colte, le quali godono di un benessere maggiore ed esercitano
professioni meno logoranti. Nel seguente prospetto, che riguarda tutta lltalia,
non son considerati i bambini e i fanciulli, ma solo i censiti di almeno 15
anni di età ; in esso si possono leggere gli effetti cumulativi, così dell* istru-
zione anche tardivamente appresa, come della più facile sopravvivenza delle
classi colte:
Anni
di
naaciU
1861
AmlfalMii
100 niMckl MpraTTirenti
1871 1881 1901 (^)
per
18«1
Analfabete
100 femmine sopreTTÌ Tenti
1871 1881 1901 (^)
1807-16 \
63.86
59.29
61.89
85.78
82.18
79.17
1817-26 /
1827-36 (
65.62
64.63
61.41
60.08
58.27
61.71
59.02
80 90
\ 84.97
1 73.86
( 74.46
81.41
78.28
80.10
78.29
1837-46 )
58.44
54.18
53.91
73.67
74.05
1847-56
58.82
49.09
46.74
69.04
67.67
67.54
1857-66
•• »
49.20
40.10
•••
59.69
58.53
1867-76
• ••
•••
86.81
••e
« ••
48.99
1877-86
«« •
• •
35.42
• ■e
• ••
41.03
Tra le donne, dunque, i progressi dell'istruzione elementare sono stati
meno lenti che tra gli uomini. Più difficile è il giudizio di confronto tra
le popolazioni urbane e le rurali. Alla fine del 1861 gli analfabeti (senza
distinzione di età) nei centri superiori a 6000 ab. costituivano il 70,82, e
nei centri inferiori e nelle campagne 1*80,51 Vo ^^^^^ popolazione. Dieci anni
dopo, i capoluoghi di provincia, che formano il grosso e il meglio dei centri
di oltre 6000 ab., presentavano una quota di 55.29 contro una di 72.96 per
l'intero paese. Nel 1881 ci troviamo a 50.17 e a 67.26 per % rispettivamente,
e nel 1901 a 39 ed a 56 Escludendo i bambini fino a 6 anni di età, le
proporzioni mutavano così:
C) Veramente, le proporzioni date pel 1901 si riferiscono a classi di indi?idai nati
nei periodi 1806-15, 1816-25 ecc. (perchè così distinte figurano le dette classi nella pnb-
blicaiione officiale); ma non ci è sembrato che valesse la pena di lunghi calcoli il
pìccolo guadagno di precisione che si sarebbe ottenuto con la distribuzione teorica dei
censiti nel 1901 per decenni di nascita coincidenti con quelli adottati nel prospetto.
LA DEMOGRAFIA. ITALIANA NELL*ULT1M0 CINQUANTENNIO ^3
Analfabeti per 100 abitanti da 6 anni in su.
C«ii9ÌiD«nti Capolaoghi Altri jj^
• " di ProTinuu Comuni i*«buw
1871 50.10 72.16 68.77
1881 44.08 65.44 61.94
1901 31.90 52.11 48.49
8. Altri scriverà, colla storia dei nostri ordinamenti scolastici e dei bilanci
dell'istruzione neir ultimo cinquantennio, le cause di un sì pigro progredire
in fatto di coltura elementare; noi concluderemo con pochi altri dati, tolti
alle statistiche degli atti di matrimonio non sottoscritti o non saputi sotto-
scrivere dagli sposi, a fine di illustrare, oltre il cammino percorso dal 1866
(primo anno da che si posseggono notizie in proposito) al 1900, anche quello
percorso dal 1900 al 1909. Pare che il moto si acceleri alquanto, come per
segnalare la fine non lontanissima delFanalfabetismo. E così sia.
L'ordine dei compartimenti è stabilito dal grado di diffusione della col-
tura nel 1909; distinguiamo nigro lapillo per i vari compartimenti Tanno
0 gli anni, in cui si ebbero, su 100 coppie, più di 100 tra sposi e spose in-
capaci di sottoscrivere Tatto nuziale:
Spotl
ch« non soppero lottoBcrÌTore
l'atto di natrimonio
eh* ]
SpOM
non seppero sottoiorivore
l'atto di matrimonio
1866
1900
1900
1900
1900
1866
80.3
6.8
2.8
Piemunte
3.4
12.4
59.0
37.1
11.4
5.4
Lombardia
5.7
13.0
57.9
44.7
13.0
79
Liguria
10.3
17.7
65.4
64.4 (>)
19.4
11.7
Veneto
20.1
34.2
84.7 C)
66.5
32.8
20.5
Emilia
28.0
43.0
88.9
32.3 («)
29.4
20 8
Lazio
88.8
48.7
57.0 0)
60.8
28.8
22.7
Toscana
37.7
49.3
74.9
68.9
406
83.2
Umbria
53 9
68.6
85.6
70.8
42.4
88.1
Marche
54.4
64.9
853
72.1
481
37.2
Campania
58.6
68.4
88.7
76.2
46.1
34.5
Abruzzi
62.5
75.1
95.4
76.9
56.9
48.6
Sicilia
59.8
71.2
89.5
81.7
57.5
46.8
Puglie
646
747
94.4
743
50.9
46.9
Sardegna
67.4
72.6
91.8
88.8
652
58.4
Basilicata
69.8
799
956
88.6
641
582
Calabrie
75.8
84.7
96.0
60.0 83.8 25.6 Regno 37.6 47.9 79.0
0) Per il Veneto la percentuale indicata nelle colonne del 1866 si riferisce real-
mente alÌ*anno 1867, e quella del Lazio alPanno 1872, perchè non si posseggono notizie
più lontane per i due compartimenti.
44 RODOLFO BBNINI
Per ritrovare in Inghilterra proporzioni simili alle nostre del 1909, bi-
sognerebbe risalire al 1859; per ritrovarle in Fi-ancia, al 1866-67. Di fronte
a questi due paesi siamo in arretrato di cinquanta e di quarantatre anni,
rispettivamente. Un intervallo imprecisabile, ma certo maggiore, ci distanzia
dalla Scozia, dall'Olanda, dalla Prussia ecc. Precorriamo tuttavia i popoli
delle penisole iberica e balcanica !
La lingua parlata.
1. Il nostro paese è unitario anche per T idioma, quantunque i contrasti
fonetici dei dialetti distinguano molto i singoli gruppi e nuocciano alla loro
intesa, non in patria, ma nei paesi d'immigrazione, dove sarebbe maggior
titolo d'onore la conservazione della lingua nazionale. Rimangono tra noi
nuclei di famiglie discendenti da popolazioni immigrate in epoche più o men
lontane, parlanti i primitivi dialetti, che ancora offrono agevolezza di comu-
nicazioni nei commerci e contatti con stranieri dello stesso ceppo. Così il
dialetto franco-provenzale persiste in molti comuni della Valle d'Aosta con
diffusione eguale a quella di mezzo secolo fa (80.000 ab.), e non senza van-
taggio per gli emigranti temporanei diretti di là alla vicina Francia; esso
va scomparendo però dai circondari di Susa e Pinerolo ; il dialetto burgundo,
stazionario nelle vallate che fan capo al Monte Rosa (5000 ab.), e il pre-
teso embrico in alcuni comuni del veronese e del vicentino (da 12 mila
ridotto a 6000 ab. in cinquantanni) ; lo slavo nel Friuli, fermo sui 30 mila
individui, e nel Molise, d'origine più antica, ma meno persistente; Y alba-
nese^ disseminato in un mezzo centinaio di comunelli del Mezzogiorno e par-
lato da 96 mila persone (41 mila più che nel 1861, per chi non creda alle
lacune probabili del nostro primo censimento); il greco, esso pure in au-
mento apparente di diecimila individui, parlato nel 1901 da 30.700 censiti
nel Leccese e nell'estrema Calabria ; infine il catalano, famigliare a 9.800
abitanti di Alghero e dintorni (Sardegna).
La religione.
1. Quasi tutti gli italiani si affermano crìstiani cattolici. I professanti
altro culto o appartenenti per nascita ad altro ambiente religioso, sono, ad
eccezione degli israeliti e dei valdesi, in massima parte stranieri. I valdesi co-
stituiscono un gruppo evangelico nazionale di men che 20 mila individui,
raccolto nel circondario di Pinerolo. Gli altri evangelici, piuttosto numerosi in
alcuni grandi centri, sono in via di crescere, non tanto per attività di pro-
paganda, quanto per afflusso di correligionari dalla Svizzera, dalla Germa-
nia e dair Inghilterra. Nel 1861 — Provincie venete e romane comprese —
tutti gli evangelici e protestanti in Italia potevano stimarsi a 33 mila;
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NBLL' ULTIMO CINQUANTBNNIO ^5
dieci anni dopo, il censimento ne segnalò 58.651, e nel 1901 risposero al-
Tappello in 65.595. Gli israeliti, pari ad essi di numero nel 1861, non
crebbero che di quantità insignificanti : 85.356 e 35.617 ne contarono i cen-
simenti del 1871 e del 1901, in gran parte nei centri urbani dell'Italia
media e superiore. Qualche migliaio tuttavia può essersi celato T ultima
volta nelle schede dei razionalisti e simili, e in quelle non contenenti alcuna
dichiarazione di culto. Ad ogni modo, questo gruppo conta per trenta volte
tanto, se non più, colla sua rappresentanza nelle Università, nell'alta Banca
e nel Parlamento.
Sorvolando su nuclei minori o individui sporadici di altre confessioni,
ricordiamo come, nell'ultimo censimento, 36.092 schede fossero di persone
le quali dichiararono di non professare alcuna religione positiva, e 795.276
fossero per tal quesito restituite in bianco. Che le mancate risposte aves-
sero loro causa nella negligenza, piuttosto che nell'indecisione degli inter-
rogati, l'argomenterei dal fatto che le schede in bianco provennero in gran
numero dal Napoletano e dalla Sicilia, e per due terzi circa si riferivano a
fanciulli sotto i 15 anni.
vril.
La popolazione per altre caratteristiche.
QM stranieri e i nati all'estero.
1. Gli stranieri censiti nell'Italia politica del 1861 (15.066 parlanti
il francese, 5.546 T inglese, 4.494 il tedesco e 4.594 altra lingua) rad-
doppiano quasi al terzo appello (59.956, compresi però quelli presenti nelle
Provincie venete e romana), ma al quarto non si avvantaggiano neppur di
due migliaia (61.606). Mutano un pò* le proporzioni delle nazionalità: te-
deschi, inglesi, nordamericani progrediscono; svizzeri, francesi e austriaci
sono in regresso. Questo gruppo di censiti, per il genere di dimora, per la
maggiore o minor rappresentanza dell'uno o dell'altro sesso, o di certe classi
d*età, 0 di certe religioni, professioni ecc., si distingue così dagli altri, da
meritare — se qui lo comportassero i limiti assegnatici — un lungo
discorso.
I nati all'estero, su 10.000 presenti, risultarono dalle quattro indagini
in numero di 41, 30, 36 e 53. Tra i 41 della prima son compresi non pochi
veneti e romani dimoranti nelle Provincie già riunite, massime in quelle del
confine d'allora: Brescia, Cremona, Ferrara ecc. Trai 51 dell'ultima, molti
sono (certo più che non fossero nei censimenti anteriori) i quali, nati al-
Testero da padre italiano, si trovavano presenti qui per rimpatrio della fa-
miglia 0 da questa mandati a scopo temporaneo di studio o di commercio.
46
RODOLFO BEN INI
La popolazione per luoghi e modi di dimora nel Segno.
1. Per quanto il paese, il giorno della sua risurrezione politica, fosse pò-
yero dì strade ferrate e, in parecchie regioni, di strade ordinarie; per quanto
raccentramento delle industrie e la costituzione di un esercito nazionale e
di una nuova burocrazia governativa incominciassero appena a disgregare le
vecchie unità famigliari^ si trovarono, su 100 regnicoli con residenza stabile»
15 che si dissero nati in un comune diverso da quello della dimora abi-
tuale. Gli estremi compartimentali andavano però da un minimo di 5,4 in
Sicilia ad un massimo di 26,5 in Lombardia ; gli estremi professionali, da
men che 14 per i possidenti e gli agricoltori a più che 39 per gli addetti
alle pubbliche amministrazioni e al culto. Indagine conforme fu fatta nel
1871 e diede, per la popolazione stabile, un 19,2 Vo di censiti fuori del
comune di nascita, con un aumento al quale la terza e definitiva capitale
del regno deve aver contribuito. Peccato che T indagine, interrotta nel suc-
cessivo censo, non sia stata ripresa nell* ultimo se non limitatamente ai capo-
luoghi di provincia e ai comuni, non capoluoghi, con più di 30 mila ab. ;
per il resto del paese essendosi tenuto conto della provincia e non del co-
mune di nascita. Riferiamo qui i dati concernenti i dodici mi^giorì comuni
italiani, la cui forza attrattiva si spiega a grandi distanze:
Censiti nei 12 maggiori Comnni
che si dichiararono nati
Nello stesso comune dì presenza . .
In altro cornane della proyincia . .
In altra provincia dello stesso compart.^
In altro compartimento
AlPestero
Numero
dei censiti
nel 1901
1.987.398
478.188
308.598
480.015
55.481
3.304.675
Per
100 ab.
60.1
14.3
9.4
14.5
1.7
100.-
MaMhi
100 femnine
98.6
92.9
97.9
127.9
91.9
98.1
Giustamente, dunque, i grandi centri urbani possono considerarsi come
crogiuoli per miscugli demografici, come meccanismi di assimilazione e di
coesione del popolo.
Confrontando i censiti di ogni singolo compartimento coi nati in questo
e presenti o in esso o in altra parte dello Stato, si ha un'idea degli scambi
interni di popolazione. Nel 1901 Piemonte, Liguria, Lombardia, Lazio, Cam-
pania, Puglie e Sardegna presentarono una eccedenza del numero dei* pre-
senti su quello dei nati nei rispettivi territori, in qualunque parte dltalia
li avesse còlti il censimento; gli altri compartimenti diedero invece un
supero di nati sui presenti. Né e* indugiamo a dir le ragioni di ciò, poiché
sono ovvie.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL'uLTIMO CINQUANTENNIO 47
2. Una imperfezione del sistema di rilevazione è venuta in chiaro a pro-
posito della corrispondenza numerica, che dovrebbe esistere tra i presenti
occasionali nei diversi comuni (dedotti gli stranieri di passaggio), e gli as-
senti temporanei dai comuni di dimora abituale, che però non fossero usciti
dal regno. Nel 1881 si contarono, dei primi, 510.761 contro 724.790 dei
secondi; nel 1901, invertito il contrasto, 704.984 dei primi, contro 642.332
dei secondi. Il giudizio, affatto soggettivo, della temporaneità o meno del-
l'assenza, deir abitualità od occasionalità della dimora, demandato al de cuius
e inoltre alla famiglia, da cui egli si trovava lontano, non poteva non dar
luogo a contraddizioni; ma, così grandi come le rivelò il censimento del 1881
non si sarebbero aspettate. Quale la causa dell'errore? A mio avviso, nei
724.790 assenti temporanei del 1881 finirono per esser compresi molti (specie
tra i domestici, infermieri, ospiti ecc.) che erano semplicemente assenti dalla
famiglia e non dal comune. Sta di fatto che, negli spogli d'allora, la neces-
saria discriminazione non fu eseguita, quantunque le schede di famiglia ne
fornissero il mezzo ai municipi, ai quali spettava provvedere alla trascrizione
delle notizie su speciali modelli. Sta anche di fatto che la differenza finale
tra la popolazione residente (28.935.480) e la presente (28.437.628, al netto
di 22.000 stranieri di passaggio) — da cui si suole desumere con buona
approssimazione il numero di nazionali all'estero, conservanti la residenza
in Italia — ammontò a 515 852 unità, laddove gli assenti, che le famiglie
dichiararono dimoranti prò tempore all'estero, non furono che 801.826, cioè
214.026 in meno; proprio la differenza frale 510.764 eie 724.790 schede
di censiti, di cui si è parlato sopra, le quali avrebbero dovuto farsi esatta
contropartita. La conclusione inevitabile è, adunque, che allora i comuni fecero
un sol mazzo degli assenti dalla famiglia, ma censiti in luogo, con gli as-
senti dalla famiglia e dal comune, e ingrossarono la popolazione legale di
214 mila unità, in complesso, creando il duplioe contrasto prima tra i presenti
occasionali e gli assenti temporanei all' interno, poi tra gli assenti temporanei
fuori regno e la eccedenza della popolazione residente sulla presente.
Nel 1901 Terrore riuscì attenuato e il contrasto, come dicemmo, inver-
tito ; ma invertito forse per mero cambiamento di posto dell'errore. Fu messa
ed eseguita negli spogli la distinzione tra gli assenti dalla famiglia e non
dal comune, e gli assenti dall'una e dall'altro; ma quanto alla dimora oc-
casionale, non fu posto bene in chiaro che essa dovesse riferirsi, come nel
1881, al comune e non alla famiglia. Quindi è probabile che- si contassero
come presenti occasionali nel comune molti che eran tali rispetto alla famiglia
0 convivenza, presso cui si trovavano la notte del censimento, mentre non
eran tali rispetto al comune. Con questa interpretazione si chiarisce un altro
punto: che mentre gli stranieri con presenza occasionale crebbero assai
poco dal penultimo all'ultimo appello, i nazionali sarebbero aumentati di
oltre un terzo. Del resto giudichi il lettore da so colla scorta del seguente
48 RODOLFO BBNIMI
prospetto, io cai raccolgonsi anche i dati non completi dei due primi cen-
simenti :
AambU tenporaaai dai imo Cobbbì
^"^^^ •IVmUn altra «mi
PrsMDtl oeeasioMli
TpU1«
Stranieri
di paataggio
NasionaU
1861
361.813
17.434
344.379
1871
510.071
20.370 («)
489. 701
1881
532.764
22.000 (•)
510,764
1901
728.828
23.844
704.984
dal raglio
? 405.043 (») ?
1.012.426 ? ?
1.026.616 301.826 724.790
1 . 1 1 1 852 469.020 642.332
3. Anche sulle forme delle convivenze^ in famiglie naturali o in alberghi,
collegi, ospedali, caserme ecc., potrebbe Ear lungo discorso chi volesse dare
speciale risalto alla demografia descrittiva. Noi ci contenteremo di dire, per
le famiglie vere proprie, che la loro composizione ha poco variato intomo
alla media di 4,50 individui.
La famìglia italiana è, d'ordinario, meno numerosa della tedesca, come
questa lo è meno della slava; è più numerosa, invece, della francese.
Contando gli individui viventi soli come famiglie di 1 persona, il cen-
simento del 1901 trovò che esse costituivano 1*8.8 per Vo elei totale delle
famiglie; quelle di 2 persone il 15.9 Vo» Q^^l^o di 3 il 16J 7» • ^ succes-
sivamente si ebbero le percentuali 15.4; 13.8; IO.5; 7.5; 4.8; 2.8; 1.6. Di
oltre 10 componenti, il 2.8 del totale. I capi di casa sono per lo più maschi,
con preponderanza crescente col crescere di numero dei membri della fami-
glia ; sicché la loro proporzione, da 74 ^1^ nelle famiglie di due soli membri,
sale grado grado a 88.5 in quelle di cinque, a 95.2 in quelle di otto ecc.
Le donne prevalgono tra le persone conducenti la vita in solitudine.
4. Ai modi della dimora si connetterebbe l'indagine sulle abitazioni;
ma i materiali raccolti non sono che parzialmente utilizzabili.
Dicasi lo stesso quanto alla distribuzione della popolazione per centri^
ossia aggregati di case cui convengono gli abitanti del vicinato per ragioni
di culto, di commercio ecc., e per case sparse. Fu sempre lasciata libertà
(*) Questi 20.370 sono veramente i nati all'estero, censiti nel 1871 con dimora oc-
casionale in Italia; ma si va poco lontani dal vero ritenendoli in generale cittadini di
altri Stati, dovendo essere allora ben raro il caso di italiani nati fuori di patria e venati
in Italia senza avervi fissato 0 senza intenzion di fissarvi stabile dimora.
(■) Gli stranieri censiti nel 1881 furono 59.956; nel 1901, 61.606. Siccome, di questi
ultimi, non più di 28.844 ebbero a dichiararsi con dimora occasionale tra noi, così ai può
accettare per il 1881 il numero rotondo di 22.000, non essendosi fatta in tale anno la
distinzione degli stranieri secondo il carattere della dimora.
(") Dato desunto dalPeccedenza della popolazione di diritto su quella di fatto. Non
è da meravigliare della grandezza del numero, perchè neWeUero d'allora figuravano le
Provincie venete 0 la romana, con cui facili potevano essere gli scambi di popolazione.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NBLL* ULTIMO CINQUANTENNIO 49
alle commissioni comunali di stabilire qaali gruppi di case dovessero rite-
nersi centri. Ora non consta nulla dei criteri prevalsi nei diversi luoghi. Oltre
a ciò, col crescere della popolazione, piccoli aggregati di case perdettero im-
portanza rispetto a un vicino nucleo ingrandito e passarono dalla categoria
di piccoli centri a quella di case sparse; viceversa, delle case sparse, per
r interposizione di nuovi edifici, acquistarono importanza di centri. Questa
seconda causa, a quanto pare, non prevalse sulla prima. Infatti, su 1000
abitanti, 257 si assegnavano nel 1871 alla popolazione sparsa, 273 nel 1881
e 282 nel 1901. Per avere una serie decrescente bisognerebbe aggiungere
alla sparsa la popolazione agglomerata io centri inferiori a 500 abitanti.
A quest* ultimo riguardo, dice la relazione ufBciale sul censimento del
1901, si può dividere l'Italia in tre zone. La prima, con un massimo di
popolazione agglomerata (in centri superiori a 500 ab.), comprende il Napo-
letano, il Lazio, la Sicilia e la Sardegna; le quote più alte ivi spettano
alle Provincie di tìirgenti (96 Vo), di Foggia e di Palermo (94.4 Vo), di
Bari (98.8 Vo) ^^^' ^^ seconda comprende l'Umbria, le Marche, la Toscana,
r£milia e il Veneto; e si distingue per una popolazione agglomerata meno
numerosa di quella sparsa o vivente in centri inferiori a 500 ab. : le quote
vi discendono talvolta sotto il 30 % (come nelle provinole di Rovigo, Pesaro
e Urbino, Padova e Modena), e tìnanco sotto il 25 ^/o (Arezzo e Reggio
Emilia). La terza, con caratteri intermedi alle prime due, si stende per il
Piemonte, la Liguria e la Lombardia. Condizioni del suolo e del clima, svi-
luppo più 0 meno deficiente della viabilità, latifondo o proprietà divisa ecc.,
sono le cause, interferentisi Tuna Tal tra, di questa singolarità nella distribu-
zione della popolazione.
L'inchiesta sulle condizioni igieniche e sanitarie dei comuni, che ri-
monta al 1885, noverò 5753 comuni il cui maggior centro era situato in
luogo aperto, 1379 che l'avevano in valle ampia, 801 in valle angusta e
325 tra gole. Essa ci ha dato un primo saggio anche di distribuzione della
popolazione in assoluto secondo Taltitudine, cui fa riscontro analoga ricerca
istituita nel 1901. Oggi che possediamo, grazie all' Ufficio di statistica agra-
ria, dati attendibili sulla superficie dei singoli comuni, non dovrebbesi in-
dugiare uno studio consimile circa la distribuzione delle densità secondo l'alti-
tudine. E non soltanto secondo l'altitudine, ma ancora secondo la temperatura
media invernale o estiva, la quantità media di pioggia, il genere prevalente
di coltivazione ecc. Lo schedario dei comuni, che fu deliberato per il pros-
simo censimento, se non resterà lettera morta, permetterà ad un tempo la
ricostituzione per superficie e per popolazione di tutte le circoscrizioni arti-
ficiali del paese (amministrative, elettorali-politiche, giudiziarie, finanziarie,
ecclesiastiche, ecc.) e quella delle sue circoscrizioni naturali. Solo contrappo-
nendo comuni di montagna a comuni di collina o di pianura, comuni urbani
a suburbani o ad eccentrici, comuni ricchi a mediocri e poveri, e così i co-
BoDOLFO Bsxcufi — Zm dimogra/(a itaiùmM «co. 4
50
RODOLFO BENINI
munì serviti da facili mezzi di trasporto ai segregati, i comuni prevalente-
mente industriali agli agricoli ecc., verranno in evidenza le caratteristiche più
opposte del nostro popolo, così pittorescamente vario in tutte le manifesta-
zioni sue, dalla nuzialità alla delinquenza, dall'istruzione airemigrazione,
dalle forme e dai modi del possesso alla partecipazione alla vita pubblica.
Ma è superfluo dire che T indagine oltrepassa le forze di uno studioso
isolato.
Ecco dunque, per quanto &ccia difetto la loro comparabilità, i dati del
1881 e del 1901 circa la distribuzione della popolazione in assoluto, se<
condo Taltitudine dei comuni, e per il 1881 quella secondo la temperatura:
ISSI
IMI
1881
Altitudine
Numero
dei
Comani
Popolazione
Namero
dei
Comani
Popolazione
Temperatura
media
aunoa
in gradi
Popola-
alone
ridotU
a 1000
8ÌQQ a 50
metri
1.064
7.394.487
1.041
8.587.291
fino a 7.5
5
50-100
!»
665
2.977.546
726
3.444.907
7.6-9
7
100-150
n
612
2.529.545
564
2.919.427
9-10.6
31
150-250
»
1.119
3512.109
1.165
4.393.747
10.6-12
109
260-500
n
2.442
6 547.268
2.637
7.753.573
12-136
359
500-1000
n
1.845
4.661.988
1.884
5.020.433
13.6-15
213
1000-1500
n
215
317.126
217
339.598
15-16.5
196
oltre 1500
n
40
29.287
28
16.276
16 5-18
51
Ignota
n
256
490.322
—
oltre 18
29
8.258 28.459.628 8.262 82.475.253
1000
Con piccolo sforzo, la statistica ufficiale, servendosi dei nuovi rilievi sulla
superficie dei comuni e tenendo conto (dove può, esatto; dove non può, ap-
prossimativo) delle avvenute variazioni territoriali, potrebbe ricostituire le
seriazioni anche per il 1871 e 1861, informandoci sulla tendenza spiegata in
mezzo secolo dal nostro popolo ad addensarsi nelle zone per natura favorite.
Vili.
Il moTimento generale della popolazione.
§ 1. — È forse più spiacevole per l'autore il sacrificare alla brevità
argomenti importanti del suo assunto, che per i lettori il restarsene con una
aspettazione incompletamente appagata. Esposto con tratti discreti, se anche
ineguali, lo stato della popolazione italiana secondo le istantanee prese a
quattro diverse date, toccherebbe ora discorrere del movimento per un cìn*
LA DEMOORAFIA ITALIANA NELL ULTIMO CINQUANTENNIO
51
quantennio ; discorrerne, dico, o per semplice parafrasi di numeri o in forma
critica e investigatrice. Poiché la storia tabellare della nostra demografia ò
già consegnata in cento pubblicazioni (accessibili nei loro riassunti a tutti
gli nomini di buona yolontà) sul movimento dello stato civile, sulle cause
di morte e sulla emigrazione, assolviamo per questa parte il compito con pochi
1862
66 1870 74 1878 82 1886 90 1894 93 1902 06 190»
Matriin.
850.000
200.000
150.000
Bmlgr.
500.000
400JOOO
MOXKM)
200.000
100.000
cenni generali, salvo per Taltra parte a proporre alcuni tipi di ricerche, che
gli amatori di metodologia potranno, meglio che imitare, perfezionare.
§ 2. — La natalità italiana, affermatasi subito dopo Tunificazione del
Regno, con alte quote, deprimesi a partire dal 1866 in conseguenza della
introduzione del matrimonio civile ; riacquista il terreno perduto tra il 1873
e il 1888, salvo T interruzione di qualche annata critica; si deprime di nuovo
nel decennio di crisi economica, toccando il suo più basso punto nel 1898,
per rilevarsi negli anni più vicini, nonostante la forte emigrazione di gioventù.
Caratteristiche degne di nota: l'età media alle prime nozze gravita sui
27 anni o poco più per gli sposi, sui 24 o poco meno per le spose; alle
seconde o ulteriori nozze, sui 43-44 e sui 41. La distribuzione per classi
d'età permane dissimetrica, colla norma (o valore di massima densità) nella
52 RODOLFO BENINI
classe da 25 a 30 per gli uomini, e in quella da 20 a 25 per le donne. 1
ripetuti cambiamenti di criteri nella classificazione non impediscono di vedere
che una certa diminuzione dell'età media è stata conseguenza di una rap-
presentanza più larga presa dai gruppi giovani, come questa è stata conse-
guenza di un sopravvivere più sicuro delle nuove generazioni. Soltanto dove
la resistenza al matrimonio civile si è spigata colle numerose unioni alla
Chiesa, tardivamente legalizzate davanti ai sindaci, l'età media degli sposi
alle nozze civili si è elevata (provincio ex-pontificie).
Per la concorrenza di più folte schiere di celibi, e per la minor mor-
talità degli stessi coniugati, che ha per effetto di far cadere le vedovanze
in età men propizia alle seconde nozze, i vedovi hanno perduto terreno nella
gara matrimoniale. Essi rappresentavano quasi il 15 Vo degli sposi nel 1865-71
e son discesi a meno del 9 nel 1905-08; le vedove dall' 8 Vo & in^oo ^^^ ^•
Non però è cessata la preferenza dei simili; anzi i vedovi oggi impalmano
vedove con una frequenza maggiore d'un tempo, riferita, s' intende, alla
frequenza che si dovrebbe avere a calcolo di probabilità.
La distribuzione dei matrimoni per mesi, se per la concomitanza con-
suetudinaria del rito civile e del religioso non si risentisse dei divieti che
la Chiesa pone alla celebrazione solenne nella Quaresima e nell'Avvento,
darebbe luogo a un'onda semplice col suo minimo da metà luglio a metà
agosto e col suo massimo (doppio del minimo) da metà gennaio a metà
febbraio. Invece, di solito, molte unioni sono anticipate in novembre a sca-
pito del dicembre per ragion dell'Avvento, e molte altre in febbraio a scapito
del marzo, grazie alla Quaresima. Gli spostamenti delle epoche di divieto
religioso, dipendenti dalla Pasqua, festa mobile, modificano poi in varia
maniera la frequenza delle nozze, anche civili, nei primi quattro mesi del-
l'anno; sicché, ricorrendo il giorno delle Ceneri nella prima decade di feb-
braio, questo mese scende al suo minimum e il gennaio e l'aprile arrivano
al proprio maximum ; ricorrendo quello a fine della prima decade di marzo,
il marzo si fa più nutrito e dimagrano gennaio ed aprile.
Di 28 anni e 8 mesi è la durata media della convivenza matrimoniale.
Così risulta dalla divisione delle coppie maritali esistenti (5.939.582 se-
condo il censimento del 1901) per la semisomma dei matrimoni nuovi (media
annua nel 1894-1907 = 238.098), e dei disciolti per morte di uno dei
coniugi (media annua 175 824). Alcune decine di migliaia di sedicenti coniu-
gati, che probabilmente ingrossano il numeratore, non tolgono valore di suf-
ficiente approssimazione al quoziente. La superiorità numerica delle coppie
nuove sulle disciolte è, come si vede, assai notevole; a determinarla concor-
rono l'ingrossare delle file dei giovani, candidati alle nozze, e il prolun-
garsi della convivenza coniugale (effetti entrambi delle migliorate condizioni
sanitarie ed economiche del paese); concorre pure la mortalità all'estero
di coniugati emigrati, il cui matrimonio aveva avuto luogo in patria.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL'ULTIMO CINQUANTENNIO ^^
Nel decennio 1872-81 la media eccedenza dei matrimoni nuovi sui
disciolti fa di 40.481, due terzi circa delFattuale, e la durata della con-
vivenza risultò di 25 anni e 10 mesi.
Distinguendo tra capoluoghi di provincia ed altri comuni, e prendendo
come estremi di confronto i sessennii 1881-86 e 1904-909, entrambi favo-
revoli alla nuzialità e succeduti a periodi di depressione, notiamo una dimi-
unzione da 7.64 a 7.21 matrimoni per mille abitanti nei capoluoghi e da 8.13
a 7.92 nei non capoluoghi di provincia. Nei primi il regresso è tanto piii
sensibile in quanto la loro popolazione si è accresciuta, nell'intervallo, special-
mente di giovani celibi affluiti dal contado e dalle borgate intorno.
§ 8. — La natalità generale si è mantenuta a livello piuttosto alta
per un trentennio, oscillando intorno a 37 nati per mille abitanti ; poi de-
gradò Kno alla quota di 81,4, che fu la minima, nel 1907. Il fenomeno, in
parte è da imputarsi a diminuita fecondità dei matrimoni, in parte al cam-
biamento delle proporzioni nelle classi d'età della popolazione, in cui oggi
hanno rappresentanza rafforzata fanciulli ed infanti. La natalità illegittima
è in continuo decrescere.
Anche qui merita d'essere posto in risalto il contrasto tra la demo-
grafia dei capoluoghi di provincia e quella del resto del paese. Confrontando,
come dianzi, il 1881-86 col 1904-09 nei riguardi della fecondità coniugale
(desunta questa in via di prima approssimazione dal rapporto tra i nati
legittimi e i matrimoni contratti nello stesso tempo) risulta che il nu-
mero medio di figli per coppia scemò da 3.76 a 3.36 nei capoluoghi di
provincia e da 4.46 a 4.06 negli altri comuni, con perdita più accentuata,
relativamente parlando, nei primi:
Medie aaniuili
Periodi
Popolasi one
ameU
dello
interrano
1
Comi
Matrimoni NaU legittimi
UNI Capoluoghi di Provincia
Matrimoni
per
1000 ab.
Nati
per
1 matrim.
1881-86
4.541.962
34.689 130.495
7.64
8.76
1904-09
5 986.847
43.139 145.161
Altri Comuni
7.21
8.36
1881-86
24.295.172
197.442 879.970
8.18
446
1904-09
27.671.743
219.204 890.667
7.92
406
Non è dubbio che il costume della limitazione della prole tenda a
passare dalle città alle campagne. Ma per accertare Tintensità dell'irradia-
zione del costume e stabilire se essa sia in proporzione diretta dell* impor-
tanza dei centri e inversa delle distanze, bisognerebbe poter distìnguere i
comuni urbani dai suburbani e dagli eccentrici; ciò che le nostre statistiche
poco specializzate non permettono.
Aumentata, per motivi che si diranno, dal 1866 al 1883 e diminuita
ininterrottamente dal 1888 in poi, temperata benanco dalle numerose legit-
S4 RODOLFO BENINI
timazioni, la natalUà illegittima mantiene nei capoluoghi di provincia la sua
frequenza relativa più che doppia di quella che ha negli altri comuni. È
ben noto però che non tutti i nati illegittimi nelle città sono imputabili alla
popolazione cittadina, derivando essi in parte dalla popolazione dei comuni
suburbani, la quale profitta di istituzioni esistenti nella vicina città.
Inoltre, mentre gli illegittimi riconosciuti da uno o da entrambi i
genitori costituirebbero più dei due terzi dei bambini nati fuori delle giuste
nozze, nei comuni non capoluoghi di provincia, entrano invece per meno di
metà nella natalità irregolare dei capoluoghi e meno facilmente fruiscono
della legittimazione.
Capoluoghi
DI Provincia
Altri
Comuni
Nati legittimi
Nati illegittimi
Nati legittimi
NaU illegittimi
1881-86
130.495
20.100
879.970
62.825
Vo
86.7
13.3
98.4
6.6
1904^9
145.161
17.868
890.667
89.778
Vo
89.8
10.7
9.58
4.2
Due cuspidi presenta la distribuzione per mesi delle nascite nel set-
tembre e nel febbraio, e due depressioni nel giugno e nel dicembre. Però
questa del dicembre è, in una certa misura, causata dalle denunzie ad arte
differite al gennaio per motivi già detti. L*onda doppia della natalità l^t-
tima procede inversamente a quella, pure doppia, della mortalità di nove o
dieci mesi innanzi, quasi a significare che i lutti o le minaccio di lutti do-
mestici rendono più rari i rapporti sessuali dei coniugi, più rari i concepi-
menti e, a debito intervallo, le nascite. Questo significato verrebbe meno, se
si dimostrasse che la duplicità deironda della natalità legittima è tutta una
apparenza dovuta alla larga pratica delle denunzie differite. Nella natimor-
talità Tonda doppia non esiste.
§ 4. — In continuo decrescere è la mortalità, a partire dal 1881, anno
in cui abbandonò definitivamente la quota del 80 per 1000, che aveva spesso
oltrepassata nel periodo anteriore. Nemmeno il disastro recente, che affra-
tellò gli italiani nel lutto per le 77 mila vittime di Messina e di Reggio
di Calabria, potò riportare la quota della mortalità (che altrimenti sarebbe
stata appena di 20.3 per 1000 ab.) al di sopra di 22,6 Voo • Soprattutto i
bambini furono avvantaggiati dalle migliori difese contro le malattie infet-
tive e dal più elevato tener di vita delle famiglie del popolo. Infatti i coef-
ficienti di probabilità di morte diminuirono nelle seguenti misure:
p«r{A<li Dalla nascita Dal a2 anni Da2a8anni Da8a4anBÌ Da 4 a danni
r»noai alannod'eU d'«U d'età d'eU d'vtà
1877-82 206.4 109.4 58.9 83.6 24.9
1883-88 196.0 101.7 52.2 32.2 23.6
1889-94 185.9 91.5 44.3 26.7 18.8
1895-900 171.1 80.8 38.1 21.3 14.9
1901-906 166.4 74.5 32.4 17.8 12.1
1907-908 154.1 65.2 29.3 16.8 11.7
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL ULTIMO CINQUANTENNIO
55
L origine legittima o illegittima ha molta influenza sulla mortalità in-
fantile e sulla natimortalità ; qualche cosa ne diremo nel prossimo capitolo.
Ne ha il sesso: i maschi soccombono assai più delle femmine nel primo
anno d*età; in seguito, egualmente o meno. Il valore, che si attribuisce ai
maschi dalle famiglie in alcune parti d'Italia, si palesa a contrario con un
allevamento trascurato delle femmine che son mietute in buon numero tra
il secondo e il quinto anno.
Considerando le cause di morte, senza distinguere fra le classi d'età
che ne sono a preferenza colpite, risultano in notevole diminuzione da un
ventennio in qua il vajuolo, il morbillo, la scarlatlinaj la difterite, la
febbre puerperale^ le febbri da malaria ecc. ; in diminuzione più lenta, ma
pur confortante, le affezioni tubercolari; quanto alle malattie dell'apparato
respiratorio, alcune in via di decrescere, altre tenaci intorno a una certa
media; in aumento i tumori maligni^ le malattie del cuore e del pericardio
ecc. À scatti, ventate della così detta influenza. Delle morti violente^ le
accidentali son stazionarie, i suicida progrediscono; gli omicidiiy compresi
quelli d' infante, segnano un certo regresso. Il lettore discreto non chieda più
di queste cifre:
Morti per 100.000 abitanti.
Cause di mortb
1879-8» 18M-tt
Yaiuolo 534
Morbillo 655
Scarlattina 337
Difterite 825
Febbri da malaria . . . 595
Febbre puerperale ... 79
Pellagra 116
Affezioni tubercolari . . 2.128
Bronchite acuta e cronica 2.220
Polmonite erupale e bron-
co-polmonite acuta . . 2.233
Tumori maligni. . . . 427
Malattie del cuore e del
pericardio; sincope. . 1.514
Enterite, diarrea, ecc. . 3 125
Morti violente accidentali 867
Omicidii 52
Suicidii 50
1888-85 1888-88 1888401
Rat>iK>rti medii annuali
1888-4M
1888-89
125
88
37
40
117
11
507
357
243
225
229
245
247
160
122
74
50
78
530
481
273
187
132
141
541
505
393
414
273
168
53
52
39
35
33
31
184
102
104
110
75
60
1.995
1.909
1.809
1.796
1.627
1.695
2.611
2.444
2.100
1.928
1.866
1.659
2.467
2.521
2.306
2.296
2.297
2.257
428
452
502
523
549
603
1.584
1.644
1.642
1.782
1.816
1.798
8.372
3.421
3.360
3.181
8.288
8.193
361
309
315
821
822
352
47
49
49
41
40
40
56
57
62
63
61
71
56 RODOLFO BEN INI
La distribnzioDe per mesi della mortalità presenta oscillazioni più o meno
profonde a seconda dell'età, del sesso e dello stato civile e, certo, se ne aves-
simo i dati, secondo le professioni. Tra il maggio e il giugno, tra l'ottobre
e il novembre, son sitnati i due minimi ; tra il gennaio e il febbraio e tra
il luglio e Tagosto i due massimi. Le classi d'età più sensibili alle vicende
delle stagioni sono le estreme — le infantili più insidiate nei mesi estivi,
le senili negli invernali — ; 1* indifferenza relativa maggiore si ha tra i 25
e i 35 anni e può essere presa come indice di elevata resistenza organica.
L' indifferenza, che, in poche parole, si rivela con una certa uniformità d'an-
damento della mortalità nel corso dell'anno, è sempre più accentuata nei
coniugati, che non nei celibi e nei vedovi di pari età ; espressione complessa
delle migliori condizioni di vita professionale e sociale, di cui godono i
primi.
§ 5. — Il tema della emigrazione e dei rimpatrii sarà svolto anali-
ticamente da altri. Il che ci dispensa da lungo discorso. Il fenomeno della
emigrazione ha assunto, come a tutti è noto, proporzioni gigantesche nel-
l'ultimo decennio. Limitata a 100 o 120 mila persone all'anno, tra il 1869
e il 1880, e per tre quarti temporanea, l'emigrazione andò crescendo prima
lentamente, poi con una certa rapidità e a scatti che caratterizzarono in par-
ticolare gli anni 1888, 1891 e 1895-96. Il primo anno del nuovo secolo la
vide elevarsi d'improvviso da 853 a 533 mila pei-sone, per quasi metà in
emigrazione propria o, meglio, diretta a paesi transoceanici ; e il 1905 assi-
stette ad un secondo salto della serie, che portò da 471 a 726 mila gli
emigranti, questa volta con decisa prevalenza degli imbarcati per oltre
l'oceano. Il massimo fu raggiunto nel 1906: 788 mila; e in seguito si con-
tarono, nel 1907, 705 mila; nel 1908, 487 mila, nel 1909 circa 626 mila,
di cui quasi 400 mila con destinazione fuori d'Europa e dell'Africa medi-
terranea.
Anche la emigrazione transoceanica ha però assunto in buona parte
carattere di temporaneità. Ne sono chiaro indizio i rimpatrii di nazionali per
via di mare, che dopo il 1903 sorpassarono annualmente i 100 mila, toc-
cando anzi nel 1907 i 249 mila e nel 1908 i 320 mila, per ripercussione
di crisi americane.
Qlì effetti demografici di questo straordinario movimento di popolazione,
cumulati con quelli dei cambiamenti di sede e delle migrazioni stagionali
da provincia a provincia del regno, non sono apprezzabili nella giusta mi-
sura, a causa della cresciuta povertà delle nostre pubblicazioni statistiche
annuali; ma anche nei limiti in cui potrebbero valutarsi, richiederebbero
un lavoro da certosini, che non poteva essere tra i presupposti della presente
monografia.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NBLL'ULTIMO CINQUANTENNIO 57
IX.
Di alcnni anni caratteristici della demografia italiana.
Il 1859.
1. — L'anno della maggior guerra d' indipendenza fu felicitato da una
abbondante natalità, preparata dalle favorevoli condizioni sanitarie in cui si
svolse il 1858 e dai numerosi matrimoni di questo stesso anno. Mancano
dati per tutta Italia; però sappiamo che nel Veneto a ben 103.138 am-
montarono le nascite (oltre 15 mila più che nel 1858 e circa 20 mila più
che nel 1860), numero non raggiunto prima, né dopo per molti anni; in
Toscana, a 72.582 contro 68.730 deiranno precedente, che pur contava tra
i fecondi ; a Roma stessa sono indicate 6370 nascite contro 5822 dell'anno
addietro e 5907 del successivo. Oli auspicii per il risorgimento, anche de-
mografico della nazione, non potevano essere migliori!
Le traccio di quell'alta natalità si ritrovano anzitutto nei censimenti
del 1861 e del 1871. Nel primo, eccezionale il numero di bambini in età
da 2 a 3 anni, che, se in parte può spiegarsi come effetto di errata dichiara-
zione di età (anche per la tendenza dei padri a riferire la nascita dei figli
ad una data memoranda), per il resto rispecchia certamente le condizioni
singolari della natalità del 1859. Nel secondo censo, un numero pur grande
di fanciulli di 12 a 13 anni spiegabile colla stessa cagione (')• La classifica-
zione, anno per anno di età, non fu data nel terzo censimento, quello del
1881, se non per i capoluoghi di provincia e di circondario, dove i giovani
maschi tra i 20 e i 25 anni sono frequenti per ragion di servizio militare,
di studi ecc. ; ma escludendo i maschi e limitandoci alle femmine, è ancora
degna di nota la preponderanza del gruppo da 22 a 28 anni, cioè delle gio-
vani nate nel 1859, su quello delle età contigue, eccezion fatta pel gruppo
da 20 a 21 dov'è manifesta l'agglomerazione per l'età rotonda.
31 die. 1861 31 die. 1871 31 die. 1881
(soli Capolaoflif di Pror. e di Circond.)
EU Cenaiii EU Confiti -— i.*^^!!Ì— ^—
(d*ambo i tessi) (d'ambo i lessi) EU Maschi Femmine
— — 9-10 520.274 19-20 60.556 59.891
0-1 722.726 10-11 583.516 20-21 65.018 69.080
1-2 57Ì.830 11-12 475.974 21-22 90.477 61181
2-3 685.265 12-13 590.040 22-23 98.094 66.836
3-4 607.744 13-14 501.402 23-24 67 158 58.459
4-5 472.126 14-15 532.185 24-25 64.243 61.545
5-6 491.249 15-16 511.579 25-26 60.654 61.315
(') Per lo spostamento di mezzo anno o più, che per motivi già detti bisognerebbe
apportare alle classificaxioui dei censiti nel 1871, l*età dai 12 ai 13 anni sarebbe forse
58
RODOLFO BENINI
Dì lina ulteriore confeima disporremmo senza dubbio, se il censimento
del 1901 non presentasse classificaziuni per gruppi quinquennali nelle età
adulte. Vestigia non trascurabili rimangono tuttavia per qualche comune,
come Milano, che ebbe la diligenza di apprestare a propria notizia una clas-
sificazione degli abitanti anno per anno di nascita. A Milano le 6986 per-
sone, che dichiararonsi nate nel 1859, superano non solo le singole schiere
più anziane, ma benanco quelle più giovani del 1860, 1861 e 1862. Il
Ravizza interpretò la cosa come riflesso di simpatia per le date storiche,
molto più che numerosi furono pure i dichiaratisi nati nel 1848 e 1866,
tempi di rivoluzione o di guerra. Ma se c'è del vero in questa supposizione,
è pur vero che le dette annate si segnalarono per fecondità. Del 1859 già
abbiam detto. Quanto al 1866, consta che in Italia, Lazio non compreso,
nacquero allora 19 mila bambini più che nel 1865 e 58 mila più che
nel 1867 ; e in Lombardia, rispettivamente, 8 e 10 mila in più. Per il 1848,
in difetto di elementi più probanti sta il fatto che, ad es., nel Veneto si
ebbero quattro migliaia e in Toscana e a Roma (città) alcune centinaia di
nascite in più degli anni contigui.
Le statistiche delle leve comprovano pienamente l'asserto pel 1859 e
1866, parzialmente pel 1848. I giovani inscritti per ragion d'età sulle liste
di estrazione furono:
LisU
dttl
1867
1868
1869
Anni
di
nascita
1847
1848
1849
Insù ritti
219.904
225.934
281.253
Liste
del
1878
1879
1880
Anni
di
nascita
1858
1859
1860
Inscritti
258.808
272.991
240.819
Liste
del
1885
1886
1887
Anni
di
nascita
1865
1886
1867
inscritti
270.069
278.579
258.968
Ora, tenuta presente la percentuale probabile di superstiti ventenni sui
nati di una medesima generazione — pel tempo in questione può ritenersi
del 55 Vo — si induce che nel 1859 videro la luce in Italia oltre 25 mila
maschi più che nell'anno antecedente e 58 mila più che nel 1860; e inte-
grando il conto colle femmine, si riesce ad una natalità generale di 48 mila
e di 112 mila superiore a quella dei due anni circostanti.
Così forti distacchi non possono non aver avuto qualche ripercussione
nelle statistiche della mortalità. Queste si pubblicarono per singoli anni di
età dei deceduti solo nel periodo 1879-89, al solito non immuni da agglome-
meglio rappresentata dalla semtsomma dei gruppi 12-13 e 13-14. Si avrebbero così 5487.21
superstiti a fine 1871 tra i nati nel 1859, numero peraltro ancor superiore alle semi-
somme dei gruppi contigui, com^è facile verificare. Per il 1881, riferendosi i dati ai soli
capoluoghi dove più diffusa è la coltura e ineii grossolani gli errori delle denunzie d^età,
lo spostamento da eseguire sarebbe di molto minor conto.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NBLL DLTIMO CINQUANTENNIO
59
razioni in corrispondenza delle età rotonde; tuttavia lasciano intravyedere
qaalche cosa che interessa la nostra tesi. Assumendo, senza più sottili di-
stinzioni, che fossero in generale nati nel 1859 coloro che morirono tra 20
e 21 anni di età nel 1879, o tra 21 e 22 nel 1880, tra 22 e 23 nel 1881
ecc. (e, analogamente, che fossero nati nel 1860 coloro che morirono tra 19
e 20 anni nel 1879, tra 20 e 21 nel 1880 e cosi di sèguito) si àrri?a
ai seguenti risultati:
Anni
di
nascita
Clasni
dieta
UorU
Perìodo
di osservazione
della
mortalità
1861
18-29
44.789
1879-89
1860
19-30
44.801
n
1859
20-81
45.501
»
1858
21-32
44.021
n
1857
22-33
43.260
n
La traccia, convien dirlo, è a mala pena segnata ; tuttavia la eccedenza
dei morti tra i 20 e i 31 anni, provenienti dalla generazione del 1859,
accenna, pia che altro, ad un numero di esposti a morire di quella gene-
razione, superiore a quello degli esposti a morire di generazioni contigue.
Il 1859, anno di guerra, deve aver diradato le file dei giovani maschi
di allora, sopra tutto nell' Italia settentrionale. Non so se qualche vestigio del
fatto si può ancor ritrovare nei nostri censimenti e nelle statistiche della
mortalità; ma è da aspettarsi che qui pure, ad una attenta analisi, fram-
mezzo Kg\\ errori che inquinano i materiali statistici, riesca a farai strada
la verità.
n 1865-66.
1. — Un avvenimento di singolare importanza per la nostra demografia,
del quale gli eflTetti ancor oggi si avvertono in alcune parti del paese,
fu r istituzione del matrimonio civile, il 1" gennaio 1866, per tutte le
Provincie costituenti il regno di allora. A dir vero, già nel periodo delle
annessioni, T Umbria era stata scelta a campo di esperimento del nuovo isti-
tuto, poiché là il regio commissario generale 6. N. Popoli, con decreto da
Terni del 31 ottobre 1860, aveva messo in vigore i titoli V e VI sul Ma-
trimonio e XIII sugli Atti dello Stato Civile, contenuti nel progetto di re-
visione del Codice civile sardo. Non consta, però, che tale decreto abbia avuto
piena applicazione, perchè la resistenia delle popolazioni umbre alla novità
legislativa non appare nettamente dalle statistiche del quadriennio 1862-65
e si direbbe cominciare, come presso le altre popolazioni della penisola,
eoi 1866, quasi che, da questo anno soltanto, nella stessa Umbria fosse
entrato in attività il nuovo istituto.
60
RODOLFO BENINI
I pochi indizi, che farebbero credere ad una reazione già aYYÌ?ata prima
del 1866 neirUmbria, sono: 1) lo scarso numero di matrimoni nel 1862-64:
2) Toscillazione poco profonda nei due anni 1865 e 1866, che per altxe
Provincie italiane segnarono invece, rispettivamente, un forte incremento e
una forte diminuzione nella nuzialità legale; 3) lalta quota di nati di stato
civile ignoto, esposti ai brefotrofìi, buona parte dei quali potè provenire prima
del 1861 da famiglie povere regolarmente costituite e, dopo di allora^ da
famiglie povere costituite irregolarmente. Ma sono indizi di valore dubbio.
Il primo si presta anche ad essere interpretato come conseguenza di lacune
nella registrazione dei matrimoni, molto più che lo stesso fenomeno, sebbene
in minori proporzioni, si avverte nelle Provincie marchigiane e romagnole
già soggette, come l'Umbria, al governo della Chiesa e non abituate a questa
specie di rilievi sul movimento della popolazione. Il terzo ha il valore di
una ipotesi accettabile, ma non confortata da osservazioni dirette. Ad ogni
modo, giudichi da sé il lettore colla scorta dei seguenti elementi:
Matrìmon
cen
[ per 1000 abiUnti
Nati legitUmi
del 1868-65
ragguagliati
ai
matrimoni
del 1862-64
Per 100 nati del 1868-65
siti nel 1861
illegittimi
esposti
0
1862
1863
1864 1 1865
1866
di sUto ci Tile
ignoto
Umbria. . . .
6.07
6.42
7.16
7.11
5.21 5.04
0.94
6.27
Marche ....
6.58
7.10
7.12
7.57
3.82
5.10
0.92
2.51
Romagna . . .
7.57
7.48
7.86
8.40
4.06
4.96
0.40
3.42
Altri compari.** .
8.28
8.37
8.26
9.65
5.71
4.53
1.28
3 87
Anche l'alta fecondità dei compartimenti ex-pontifici sarebbe più appa-
rente che reale; dipenderebbe cioè da difettosa registrazione dei matrimoni.
2. — L*oscillazione della nuzialità, che distingue ì due anni 1865 e
1866, avvenne così: molte famiglie fecero contrarre le nozze ai figli, an-
ticipandole di qualche tempo, nel dicembre o nel novembre 1865, per pro-
fittare degli ultimi mesi utili alla celebrazione legale col semplice rito re-
ligioso. Nelle Provincie costituenti il regno di allora, il novembre 1865 no-
verò infatti 23.550 matrimoni contro 21.065, media del mese stesso accer-
tata pel 1862-64; il dicembre poi salì addirittura a 27.786, contro la media
di 10.024. In tutto, 20.247 matrimoni presumibilmente anticipati. D'altret-
tanto e più rimasero impoveriti i primi mesi del rito civile. Il gennaio 1866
noverò solo 6.908 celebrazioni col nuovo rito contro la media di 20.822 del
triennio 1863-65, e il febbraio 17.023 contro la media di 24.339. Perdita
complessiva, 21.230. La scarsa nuzialità perdurò anzi caratteristica in tutto
LA' DEMOGRAFIA ITALIANA NBLL ULTIMO CINQUANTENNIO
61
qaell'anno e in alcuni dei saccessiri, massime nelle provincie già pontificie.
In compenso continuarono numerose le celebrazioni col solo rito religioso,
come risulta dalle indagini a corredo del progetto di legge Vigliani sulla
precedenza del matrimonio ciyile. I dati si riferiscono al sessennio 1866-71 :
Distretti
di Corti d'appello
Matrimoni
celebrati
col solo rito
religioso
Torino e Casale 4.208
Genova 3.833
Milano e Brescia 2.940
Parma 5.654
Bologna e Ancona .... 84.294
Distretti
di Corti d'appello
Firenze e Lucca ....
Napoli
Aquila, Trani, Catanzaro .
Palermo, Messina, Catania
Cagliari
Matrimoni
celebrati
col solo rito
religioso
10.380
14.935 (*)
12 488
15.097
6.053
Sono da aggiungere 7961 celebrazioni alla chiesa, scompagnate dal rito
civile, pel distretto della Corte d appello di Roma, e 2102 per quello di
Venezia dall'aprile e dal settembre 1871 (rispettivamente) sino al giugno
1872. Cdme è noto, il matrimonio civile fu inaugurato a Roma il 1° febbraio;
nelle provincie venete il V settembre 1871 (^).
Il grande numero di matrimoni religiosi e non legali nei distretti delle
Corti di Bologna, Ancona e Roma, dà la misura della resistenza passiva
iniziata dalle popolazioni già soggette al governo pontifìcio. Primissima
conseguenza: regresso nella natalità legittima, progresso nella illegittima:
Periodi
ProTiDcie ex-pontificie (esclusa Roma)
Media annua
delle
nascite
Nati
Illegittimi ed esposti
per 100 nati
legittimi illegittimi esposti
Provincie
ex-pontificie
Altre prov.
comprese
le Tenete
1863-66
1867-68
1869-70
1871-72
91.415
87 234
780
86.838
80.423
2.798
88.942
79.G35
5.695
88.361
75.775
8.675
3.401
3617
3.612
8.911
4.57
7.39
10.46
14.24
5.03
5.65
5.76
6.02
(') Dati incompleti, mancando quelli delle dodici preture di Napoli e delle due di
Portici e Barra.
(') Ed anche qui interessa leggere nelle cifre la reazione provocata dal nuovo istituto.
A Roma, città, 107 coppie profittano del gennaio 1871 come ultimo mese utile alla ce-
lebrazione legale col semplice rito religioso ; ma soltanto 4 nel febbraio e 16 nel marzo si
uniscono civilmente dinanzi al sindaco. Nel Veneto, l'agosto di quello stesso anno (Fagosto
solitamente povero di nozze) solennizza 1655 unioni col rito religioso, valido per Tnltima
▼olta; e il settembre, solitamente men povero, non ne registra avanti al sindaco che 267,
la terza parte deirordinario.
62
RODOLFO BENINl
Non aumentarono che lievemente gli esposti, il cui stato civile è ignoto,
ma 'che si presumono illegittimi; aumentarono con rapida progressione i
bambini dichiarati illegittimi, che nelle provinole ex-pontificie, proye-
nendo per lo più da famiglie moralmente ben costituite, quantunque irre-
golari di fronte alla legge civile, erano all'atto della nascita riconosciuti da
entrambi i genitori.
Dal 1872 in qua possiamo mettere in conto il Lazio. Seguita la pro-
gressione crescente delle nascite illegittime in dette Provincie sino al 1888,
toccando quasi il 21 Vo per discendere poi grado grado fin sotto il 12 Vo;
mentre nelle altre parti d'Italia il colmo della parabola si ha nello stesso
anno 1872 e d'allora in poi il declinare è tanto che oggi la quota si ritrova
a 3,86 Vo , cioè ben al di sotto del punto dal quale abbiamo preso le mosse.
Segni questi di vittoria definitiva del matrimonio civile presso la generalità
degli italiani:
ProTtDOie ez-pontifloia (oomptMa Boma)
Illegittimi
per 10
ed eepoeti
0 nati
T^ t A •
'Hedia annna
delle
nascite
NaU
Periodi
ProTiacie
ez-pontifloie
klhrtk
legittimi
illegittimi
eepoeti
Aisre
proTinoie
1872-74
115.387
98.060
12.545
4.782
15 02
6.06
1878-80
118.496
96.215
17.219
5.061
1880
5.75
1884-86
136.669
108.676
21893
6.097
20.48
5.74
1890.92
140.928
112.782
22.401
5.789
20.00
5.25
1896-98
135.654
112.170
18.592
4.892
17.31
4.80
1908-05
131.581
113.179
14.241
4 161
18.99
4.36
1909
141.166
124.326
13.229
3.611
11.93
3.86
Ad attenuare il fenomeno della frequenza di nascite illegittime, provo-
cato dal nuovo istituto, si sono andate moltiplicando le legittimazioni di figli
naturali per susseguente matrimonio civile o per decreto reale, sopra tutto
nelle provincie già pontificie. Secondo dati un po' vecchi (1885-87), i bam-
bini legittimati sopra l'anno d'età furono circa i Vio del totale; ma per
comodità di calcolo, qui supponiamo giusto di un anno Tintervallo ordinario
fra la nascita e la legittimazione.
(^) Dal 1884 in poi la categoria u illegittimi « comprende i soli riconosciuti airatto
della nascita da uno almeno dei genitori ; Taltra comprende, oltre gli esposti, gli illegit-
timi accertati come tali dagli nffic! di stato civile, ma non riconosciuti dai genitori.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL ULTIMO CINQUANTENNIO
63
Frequenza delle legittimazioni.
Periodi
Nascite illegittime
ProTincie
ìgil pontificie
Altre
proTincIe
Periodi
Legittimazioni
di figli naturali
Provincie
già pontificie
Altre
prorincie
Legittimati
per 100 nati iUegittimi
Provincie
già pontificie
Altre
prorincie
Aleclie annuali
1884-86
1890-92
1893-95
1896-98
1899-01
1902-04
1905-07
27.990
56.117
28.190
50.758
25.882
•
48.564
28.484
45.762
21.044
42.805
19.115
41.502
17.549
39.647
1885-87
5.432
8.430
19.4
1891-93
10.622
10.717
87.7
1894-96
11.611
12.583
44.9
1897-99
11.196
12.451
47.7
1900-02
11.874
12.775
54.0
1903-05
10.639
12610
55.7
1906-08
10.165
12.386
57.9
15.0
21.1
25.9
27.2
29.0
80.4
31.2
Chi ben consideri lo speciale carattere della natalità illegittima nelle
Provincie già pontificie e in alcune finitime, si dà ragione dei risultati rac-
colti nei Bruenti prospetti. Qui si tratta di bambini allevati in seno a fa-
miglie abbastanza ben costituite, se anche irregolari di fronte alla legge
civile ; e la mortalità loro deve naturalmente differir poco da quella dei veri
legittimi, mentre il divàrio si mantiene grande nel resto d*Italia, dovunque
cioè gli infittimi, frutto per lo più di colpa, sono abbandonati o male al-
levati. Per ragioni che tutti comprendono, anche la natimortalità deve pre-
sentarsi poco diversa nelle due categorie per tutte le Provincie già ponti-
ficie ; e lo stesso si ripeta della mortalità delle madri legittime e delle ille-
gittime per malattie inerenti allo stato di fecondità:
Natimortalità dbi legittimi £ degli illegittimi.
PaOTIMCIB
LegittiBi
Nati Tiyi
e
nati morti
insieme
Nati morti
Pereentoalfl
dei
nati morti
Illegittimi
e di stato civile ignoto
Nati yìyì
e
nati morti
insieme
Nati morti
Pereentoale
dei
nati morti
già pontificie \
altre del Begno '
1884-89
già pontificie
altre del Regno
1905-08
115 328
4.297
8.78
30.015
1.355
4.51
964.959
32607
8.88
59.488
3.970
6.67
124.572
5.496
4.41
18.487
989
5.85
953.306
40.255
4.22
42.115
2.535
6.02
Indice del-
la maggior
natimorta>-
lità degli
illegittimi
ed espoeti
1.21
1.97
1.21
1.43.
64
RODOLFO BBNINI
Mortalità nel primo anno di età.
Provincib
Legittimi
BspoBti
a morire
Morti
nel 1® anno
di età
Morti
per 100
eeposti
a morire
Illegittimi
e di stato civile ignoto
Morti
Etposti Ventanno
a morire i ^i eU
Morti
per 100
eepoeti
a morire
Indice del-
la
già pontificie
altre del Regno
già pontificie
altre del Regno
1885-90
1905 08
111.217
21.350
19.2
28.692
928.764
175.096
18.9
54.913
117.618
17.615
15.0
17.710
907.863
140.807
15.5
39.087
6.426
22.4
15.260
27.8
2 989
16.9
10 208
25 5
gior mor-
taliU de
gli illegit-
timi
U7
1.47
U3
1.64
Sarebbe lango il seguire altre impronte lasciate sul terreno demografico
dell'Italia centrale dalla innovazione legislativa del 1866. Per ciò che con-
cerne la mortalità delle madri legittime e illegittime, la proporzione delle
prime e delle seconde nozze, la distribuzione per mesi dei matrimoni^ Tetà
media degli sposi o la classe d*età di maggior frequenza, i contrasti fra le
Provincie già pontificie e le altre del Regno sono stati da chi scrive illu-
strati con opportuni esempi in altra sede. Ma, a riguardo degli spostamenti
d*età alle nozze, non passerà sotto silenzio un'anomalia di qualche im-
portanza.
Nel 1865, ultimo anno di validità del matrimonio religioso, e nel 1866,
primo del rito civile, quando ancor non poteva parlarsi di unioni civili con-
tratte per legittimare figli nati da nozze religiose e non più valide, le pro-
porzioni numeriche degli sposi delle varie classi di età nelle Romagne non
si presentavano dissimili da quelle medie del resto del paese. Il con-
trasto si palesa invece un certo tempo dopo, massime dal 1890 in poi,
quando le unioni irregolari combinate in età normale dei contraenti, dopo
essere durate parecchi anni rallegrati dalla nascita di tìgli nel cui interesse
urgeva la legittimazione, vennero a sistemarsi in buon numero col matri-
monio civile. È ovvio che. alle nozze civili, questi conviventi irregolari di
fronte al nuovo Codice dovettero presentarsi con una età notevolmente su-
periore a quella che avrebbero avuto celebiando ab initio un matrimonio
legale. Ne è venuto uno spostamento nell'età media degli sposi, specialmente
accentuato in parecchie delle Provincie ex-pontificie. Infatti nelle Romagne
gli sposi di oltre 30 anni, che erano appena il 36 Vo noi 1865-66, salgono
a più del 46 Vo noi 1898-94 (e lo stesso dicasi, a un di presso, per altri
anni circostanti) ; e le spose di oltre 25 anni, da meno del 86 Vo salgono
al 53. Analogamente deve dirsi per il Lazio, salvo che qui va preso come
termine iniziale di confronto il 1872-73, primo biennio delle relative sta-
LA DBMOGRAFIA ITALIANA NELL*ULTIBIO CINQUANTENNIO ^^
tistiche e delFandata in vigore del nuovo codice in tale compartimento. In
quella vece, l'Umbria e le Marche fanno eccezione, nel senso che, se avo-
vano ed hanno matrimoni tardivi secondo le statistiche degli ultimi venti
anni, avevano pure matrimoni tardivi già nel 1865 e 1866. È una ano-
malia che non saprei imputare ad errori di classificazione piuttosto che a
cause d*altro ordine. Ci pensi chi più ne sa.
n 1867.
Ne&sto per straordinaria mortalità. Già dal giugno al dicembre del 1865
aveva fatto la sua apparizione il colera, mietendo 12.901 vite umane, sopra
tutto nelle Marche, nella Campania e nelle Puglie; Tanno seguente tornò
a serpeggiare, segnando sua strada con 19.571 morti, per tre quarti della
Campania e di Sicilia. Nonostante questa perdita e quella della gnerra col-
TAnstria, il 1866 passò nella nostra demografia come anno di moderata
mortalità, tanto da far venire ufficialmente il dubbio di una manchevole
registrazione dei decessi nelle provinole in cui gli Atti dello stato civile
erano allora allora passati dalla Chiesa al Municipio. Senonchè, fatte le de-
bite comparazioni tra queste Provincie e quelle dove i registri di stato ci-
vile erano tenuti fin da prima dai sindaci, il dubbio non trovò conferma.
Nel 1867 si diedero convegno carestia e colera, quest'ultimo ricomparso con
violenza sestuplicata, sì che 128.075 morti si aggiunsero alla media dei tre
0 quattro anni precedenti. In tutto, cioè, si contarono 866.665 decessi, il
numero piii alto, assolutamente (quando lo si integri a stima con 30 mila
morti del Lazio) e relativamente parlando, tra quelli della colonna nera del
cinquantennio nazionale.
Le regioni più colpite furono Sicilia (54.107 morti di colera), Puglie
(18.023) e Lombardia (21.904); delle classi di età, il maggior tributo fu
pagato dagli adulti e il minore dai fanciulli ; delle categorìe di stato civile,
in ragion della più o meno alta età media che le distingue, subirono perdite
ì vedovi più dei coniugati e questi più dei celibi adulti.
Molteplici sono le traccio lasciate dal flagello, ma non è qui luogo di
esaminarle tutte. Nello stesso anno 1867, e ancor più nel successivo, il con-
traccolpo si ebbe nelle nascite, che discesero a 927 e a 900 mila contro la
media di 961 mila in tutto il Segno d'allora. Qui pure fu espresso ufficial-
mente il dubbio di manchevoli denuncio allo stato civile; ma, senza esclu-
dere la frode in casi sporadici, parmi evidente che la diminuzione della na-
talità derivasse quasi tutta dal dissesto materiale e morale in che il terribile
morbo aveva gettato le famiglie. Che se la frode poteva avere per i maschi
incentivo nell* interesse di sottrarli al servizio militare, per le femmine sa-
rebbe stata senza ragion sufficiente ; e tuttavia la diminuzione della natalità
si verificò in quei due anni equamente distribuita sui due sessi e non appena
in danno del primo.
Rodolfo Eskiici ^ Za demografia italiana «ce. ^
66
RODOLFO BENINI
Ecco le statistiche delle leve mostrare, nelle liste del 1887 e 1888,
cioè di venti anni dopo, un ammanco di 12 a 22 mila maschi, in piccola
parte certamente renitenti, ma per gran parte proprio mancati, colpa del
colera e del disagio economico, alla fecondità del 1867 e 1868. Pel Begno in
generale e per la Sicilia in particolare, che fu la zona più battuta, si ebbero :
Anni
Naacito
di
mMcM
Bbono (1)
Loto
1864-66 '«95.411 1884-86
1867 ^78.624 18S7
1868 463.530 1888
1869-71 492.802 1889-91
Inicritti
per ragion d'età
nelle liete
di eitrailone
270.716
258.968
248.387
270.882
Sicilia
Anni
1864-66
1867
1868
1869-71
Naaclte
di
maBcbi
51.444
45.699
42.278
50.135
Leye
1884-86
1887
1888
1889-91
Inacritti
per ragion d*età
nelle liete
di eetraxione
26.264
23,527
21.602
27.437
Prescindendo ora da traccie piuttosto deboli, che la scarsa natalità del
1867 e 1868 lasciò nei censimenti del 1871 e 1881, l'attenzione nostra deve
portarsi su quelle che si scorgono, ad una diligente analisi, nella nuzialità
di 15 a 25 anni dopo. Pur troppo le nostre statistiche, condotte talvolta senza
spirito di continuità, per un decennio soltanto (esso pure interrotto da una
lacuna) hanno fornito la classificazione degli sposi per bienni di nascita; ma
il materiale è già sufRciente per un principio di dimostrazione. I due pro-
spetti, che s^uono, riguardano la nuzialità, per anni di nascita delle spose
e degli sposi, in Sicilia nel periodo 1883-92, salva la lacuna del 1887:
Anni di nascita delle spose.
Anno del l
matrimonio!
74-75
1878-74
72-78
1871-72
70-71
1869-70
68-69
1867-68
66-67
1865-66
64-65
1868-61
62-63
1S61-62
isst 1
1
1.492
3.032
4.069
4.570
1884 3
1
1.546
3.136
4.070
4.329
1886 8
1.871
2.799
4.010
4.042
3.393
1886
U
2.150
3.163
3.961
4.054
3 457
1887
•••
• .
•••
■••
...
.»•
•••
1888
12
1.725
3.223
3.188
3.470
2.650
2.153
1889
1.505
3.052
3.480
2.858
2.631
1.932
18M
1.671
«
3.566
3.855
3.173
2.570
1.918
1801
3.429
4.293
3.828
2.468
2.050
1802
2.969
3.988
3.992
2.811
2.156
(*) I dati delle leve si riferiscono al territorio attuale del Regno; quelli delle na-
icite al territorio d*oggi, meno la provincia di Roma. Quindi, per la miglior comparabilità
dei dati, bisognerebbe aumentare i secondi del 8 Ve circa. È sottinteso che i numeri a
fronte dei periodi 1864-66, 1869-71, 1884-86 e 1889-91 esprimono medie annuali.
LA. DEMOORAPIA ITALIANA NBLL OLTIMO CINQUANTBNNIO
67
Leggendo dall'alto al basso, verticalmeate, i nniuerì del prospetto, si
ha una frammentaria tavola di nuzialità^ la quale ci dice quante donne
nate nello stesso biennio, per es. il 1867-68, si sposarono nel 1883, 1885,
1889, 1891. Leggendo invece nel senso delle linee inclinate, si apprende
quante donne, proyenienti da diversi bienni di nascita, si maritarono ad una
stessa età negli anni del periodo d'osservazione. Ed è qui appunto che si
vede la traccia della scarsa natalità del 1867-68. Cosi i numeri 1492, 2799,
2858, 2468, stampati in carattere distinto e riferibili alle femmine nate nel
1867-68 e convolate a nozze a 15-16 anni, a 17-18, a 21-22 e a 23-24,
sono inferiori a qualsiasi altro numero delle rispettive colonne oblique, rife-
ribile alle donne sposatesi alle stesse età, ma provenienti da bienni di
nascita anteriori o posteriori.
È deplorevole la lacuna del 1887, ma ancor più deplorevole la man-
cata continuazione della classificazione in questa forma per gli anni succes-
sivi al 1892. Non solo avremo potuto ricostruire una abbastanza completa
tavola di nuzialità e stabilire il controllo delle oscillazioni delle nascite di
tempi trascorsi, ma anche separare per certe annate di crisi l'effetto della
scarsa o abbondante disponibilità delle nubili di diverse classi di età dal-
l'effetto proprio delle condizioni economiche generali.
Ciò che si è detto per il precedente prospetto si dica per il seguente,
che concerne gli sposi:
Anni di nascita deqli sposi.
^ ■#«
HI
~^~"~~^
^iM-S^
^BS^
■^■■^
il
1871-72
1860.70
18C7-48
1865-66
1868-64
1861-62
1850-60
-1
72-73
70-71
68^60
06-67
61-6C
62-63
60-61
1S8S
71
1
482
2.035
3.652
1884
70
501
2.180
3.753
1S85
66
493
1.973
4.162
4.675
Ì9»
85
487
1.964
4.252
5.150
1867
1
*••
• ••
• a.
•••
• ••
.••
1S8S
81
423
1.576
3.353
4.476
3.516
1889
80
491
1.248
3.126
4 364
3.484
1880
107
546
1.352
3.105
4.628
3.793
1891
517
1.714
2899
4.972
3.907
189S
641
1.537
3.276
4.587
3.867
Abbiamo accennato a qualche indizio rimasto nel censimento del 1871.
In Sicilia infatti (e in maniera piii attenuata, altrove) i bambini da 8 a 5
68 RODOLFO BBNINI
anni di età, provenienti dalle generaxioni del 1867 e 1868, non sono, come
d'ordinario, più numerosi, ma sono meno numerosi di quelli da 5 a 7, da
7a9eda9all, provenienti dai bienni di nascita 1865-66, 1863-64,
1861-62; i censiti del primo grappo non furono insomma che 113.844, con-
tro 118.025, 120.614 e 117.652 dei tre grappi successivi. Anche operando,
per i motivi esposti a debito luogo, lo spostamento di cinque o sei dodice-
simi di anno nella classificazione uflBciale delle età, non scomparirebbe la
deficienza di bambini provenienti dallanno dell'epidemia colerica e dal suc-
cessivo.
n 1880.
Credo di non mancare alla discrezione, dicendo che a persone autore-
voli della direzione generale della Statistica i risultati demografici del 1880
parvero sospetti di errore o di colpa, che avesse inquinato gli spogli. Non si
vedeva ragion sufficiente perchè la nuzialità di queiranno dovesse presen-
tare una depressione quale non si era verificata dopo il 1866 e 1867, tempi
agitati per l'entrata in vigore del codice civile e per il flagello del colera;
e perchè la natalità dovesse umiliarsi a una quota senza precedenti dall'uni-
ficazione del Segno sino allora. Neppur facile riusciva lo spigare le perdite
di uomini di quell'anno, rappresentate da 869.992 morti, il numero più alto,
in via assoluta, dopo quello del 1867 (^ e che poi fortunatamente non fu
più raggiunto.
Ora io sono venuto nella ferma persuasione ohe ì dati del 1880 hanno
lo stesso grado di attendibilità, che compete a quelli di altre annate nelle
statistiche del movimento della popolazione italiana ; e ho creduto doveroso
dissipare qualsiasi dubbio, facendo, anche non richiesto, opera di perito.
I dati delle leve del 1900 e degli anni contigui costituiscono una prima
prova, che la natalità del 1880 dovette essere molto inferiore a quella media
del tempo:
Anni
di
IMCiU
Nati
niMelii
1877
529.867
1878
521.945
1879
548.959
1880
498.591
1881
557.029
1882
545.714
1883
551.402
Inscritti
p«r ragion d'età
n«Il« HsU
di estrazione
Anni
di
leTa
309.466
1897
305.581
1898
318.152
1899
290.649
1900
333.743
1901
330.986
1902
337.619
1903
(*) Beninteso che ci riferiamo al 1867 co* saoi 866.865 morti nel territorio d^allora,
qnali diventano circa 897.000 quando si comprendano a stima 30.000 morti del Lasio.
LA DBMOaAAFIA ITALIANA NBLL ULTIMO CINQUANTENNIO
69
E cioè la leva del 1900 fu in difetto di 27.503 giovani rispetto a quella
deiranno antecedente, e di 43.094 rispetto a quella del successivo. In ragion
di 60 superstiti ventenni per 100 nati, le dette deficienze ne farebbero sup-
porre una di 45.800 maschi nelle nascite del 1880 rispetto al 1879, e una
di 71.800 rispetto al 1881. Le statistiche della natalità avevano segnalato
deficienze di 55.368 e 63.438, con divario in complesso poco rilevante da
quelle stabilite a calcolo.
In conseguenza della grande scarsezza di nascite dovettero essere piut-
tosto scarsi 1 bambini morti nel primo mese o nei primi tre mesi di età
nel corso del 1880, i quali provenivano in gran parte dalle nascite di quello
stesso anno ; così pure dovettero essere scarsi i bambini morti da 1 a 2 anni
w\ 1881, da 2 a 3 nel 1882, da 3 a 4 nel 1883 ecc., i quali pure pro-
venivano in maggioranza dalla scarsa generazione del 1880. Se si ripete il
conto per gli anni contigui, si vede che tanto nella somma, quanto nella
maggioranza dei termini parziali, i morti, la cui nascita risaliva più proba-
bilmente al 1880, appaiono meno numerosi di quelli, la cui nascita risaliva
a date contigue:
Data della nascita per la maggior parte dei morti
considerati nelle quattro serie.
EU
d«i morti
0-1 mese
1-3 mesi
1-2 anni
2-3 n
3-4
4-5
5-6
6-7
7-8
8-9
n
il
n
n
il
n
l'I
(1878)
if
(1879)
(1880)
(1881)
(1882)
(1883)
(1884)
(1885)
(1886)
1878
86.984
28.998
88.885
41.132
22.777
15226
11.463
8.526
5.678
5.043
314.711
o S
(1879)
n
(1880)
(1881)
(1882)
(1883)
(1884)
(1885)
(1886)
(1887)
1879
97.695
30.499
96.545
38.618
22.342
16 077
10.940
8.074
6.677
4.862
332.329
Ì2S ISSO
8
(1880)
»
(1881)
(1882)
(1883)
(1884)
(1885)
(1886)
(1887)
(1888)
87.329
28.688
86.010
37.35 1
21.911
14.955
9.829
8.800
6.338
4.461
305.675
I
-3
(1881)
.»
(1882)
(1883)
(1884)
(1885)
(1886)
(1887)
(1888)
(1889)
1881
92.250
29.570
88.823
39.630
21.507
14.647
12.145
9.293
6.334
4.184
318.383
Provata così la depressa natalità del 1880, Tesperienza statistica inse-
gna a ricercarne la causa ordinaria in un alta mortalità di nove o dieci mesi
innanzi, un'alta mortalità, che, portando il lutto in molte famiglie o facen-
dolo temere in altre, abbia diradato i concepimenti. L'errore o la colpa negli
spogli facilmente avrebbe dato luogo a sconcordanze di tempo ; invece, se noi
confrontiapio la mortalità dal principio del 1879 fino a tutto il primo qua-
drimestre del 1881 colla natalità di nove mesi dopo, troviamo verificata la
70
RODOLFO BBNINI
legge delle variazioni concomituQti di segno coutrairio. Col crescere, cioè, o
diminuire della mortalità a dati moamiti, diminuisce o cresce la natalità
di nove mesi posteriore. Per la natimortalità vale, al solito, T intervallo di
otto mesi.
Quadrimestri
della
mortalità
Morti
NaU-TÌTÌ
BOTO mesi dopo
Nati morti
otto mesi dopo
ToUie
dei
coDcepi menti
contemporanei
allamorUtiU
Variaiioni
da nn periodo all'altro
nella nei
mortalità concepimenti
l"» del 1879
257.385
862.837
11.453
374.290
*••
...
2* n
263.965
343.636
11.367
355.003
+ 6.580
— 19 287
3» n
315.332
302 091
9.247
311.338
+ 51.367
— 43.665
1» del 1880
306.238
302.298
9.791
312.080
- 9.094
+ 751
2^ n
288.349
353.041
11.481
364.522
- 17.889
+ 52.433
3*» »
275.405
360 533
11.468
372.001
— 12.944
+ 7.479
l"» del 1881
259.330
387.400
12.305
399.705
— 16.075
+ 27.704
Da questo prospetto risulta pure che la grande moiiialità del primo e
secondo quadrimestre del 1880 non è che la prosecuzione naturale di una
mortalità anche più grande, manifestatasi già nell* ultimo quadrimestre del
1879 (^); e, similmente, che la bassa mortalità del 1881 non è se non la
naturale prosecuzione della mortalità già attenuatasi nell'ultimo quadrime-
stre del 1880. Sicché i tre anni in questione sono perfettamente concatenati;
e chi insistesse nei suoi dubbi riguardo al 1880, dovrebbe sollevare dubbi
anche a riguardo delle due annate contigue.
Né si creda che la concatenazione esista solo nei totali. Io ho conside-
rato per i tre anni le serie dei morti distintamente per età, per sesso e per
stato civile ; e quelle delle nascite secondo il sesso, lo stato civile (legittime
e illegittime) ed altri caratteri (nati-vivi e nati-morti, nati da parti semplici
e multipli ecc.) senza imbattermi in alcuna di quelle discontinuità o sconcor-
danze, che possono legittimare il sospetto di una causa perturbatrice nelle
operazioni di spoglio e di aggruppamento dei dati originari. Lo stesso dicasi
per le singole provincie : con questo di più, che non tutte offrono la eguale mi-
sura delle variazioni, ma tutta la naturale concatenazione, di cui si parlava,
da un anno airaltro. Il che esclude Terrore casuale, ed esclude pure Tartìficio;
poiché sarebbe stato necessario un lavoro enorme e, insieme, sapiente, da parte
degli operatori per evitare ogni possibile contraddizione o sconcordanza dei
dati, lavoro certamente superiore a quello di una genuina esecuzione.
Credo di dover alleviare al lettore la fatica di una dimostrazione par-
ticolareggiata, e vengo invece ad una conferma dell'alta mortalità del 1880,
(^) Se invece di considerare Tanno del calendario civile, considerassimo i dodici mesi
di sèguito dal settembre 1879 a tutto agosto 1880, la mortalità complessiva di questi do-
dici mesi risulterebbe di 909.919 individui, 40 mila in più di quella delFanno civile 1880.
LA DEMOGRAFIA ITALIANA NELL ULTIMO CINQUANTENNIO
71
che si legge nelle statistiche del 1883-1886 (di più, in argomento, non se
ne hanno) riguardanti la durata della vedovanza per gli sposi passati a se-
conde nozze in detto periodo.
La mortalità eccezionale del 1880, se fu un fenomeno reale e non ap-
parente, deve aver moltiplicato le vedovanze ; e i numerosi vedovi di quella
annata, specialmente quelli divenuti tali in giovane età, devono aver dato
luogo a numerose seconde nozze negli anni successivi. È quanto si rileva
appunto dai due prospetti che seguono, in particolare da quello che concerne
le vedove passate a nuovo matrimonio dopo una vedovanza che risaliva al
1880. I numeri stampati in grassetto sono quasi sempre superiori a quelli
delle linee inclinate da sinistra a destra, che indicano i matrimoni contratti
in diversi anni da vedovi o vedove, dopo un intervallo eguale di inconso-
lata solitudine:
Vedovi riammogliatisi.
Addo
SII s
1877
.^v
delle seconde
BO»e
1878
1879
1880
1881
1882
188S
1883
748
1.048
1.608
2.699
4.585
1884
894
1.189
1.778
2.489
4.526
1885
824
ll&O
1.578
2.270
4.176
1886
881
1.073
1.450
2472
188é
4.589
Vedove rimaritatesi.
Anno
delle seconde
nesie
1883
1884
1885
1886
1877
1878
ANNI AI QUALI RISALIVA LA VBDOVANZA
1879
1880
1881
1883
700 1.038 1.448 2.287
2.960
776 • 1.080 1.665 1.998
2.818
793
1.150
1.364 1.821
188S
2.725
1884
860 1.038 1.245 1.794 2.872
Provata dunque Tattendibilità dei dati demografici del 1880, si domanda
quale potè' essere la causa della eccezionale moi'talità di quelFanno. Senza
pretendere di dare risposta esauriente, ci basti rammentare che Testate e
Tautunno del 1879 furono a tutta Tltalia avversi per siccità ininterrotta
e l'in verno del 1880 per freddo intenso, così da distinguersi fra gli anni di
una lunga serie. Nessun dubbio che a questi fattori vada ascritta la mor-
72 RODOLFO BENINI - LA DEMOGRAFIA ITALIANA ECC.
talità, intensificatasi appunto dal settenoibro del 1879 e con lungo strascico
proseguita fino a tutto l'agosto dell'anno successivo. I molti lutti poi fecero
più radi i concepimenti e consigliarono il rinvìo di molte nozze, che allie-
tarono così il 1881,
Altri anni caratteristici della demografia nazionale.
Conclusione.
Il fine del presente capitolo, che era di proporre all'imitazione e alla
capacità altrui di far meglio, alcuni tipi di ricerche analitiche, è raggiunto
neir intenzione dell'autore. Al tempo 3tesso è forse vinta la prova della ve-
ridicità per le statistiche demografiche italiane, almeno per quelle che ri-
guardano il movimento della popolazione.
Altri anni o periodi caratteristici rimangono degni d'esame ; il decennio
1889-98 per tutte le ripercussioni che la crisi economica ebbe sulla nostra
struttura demografica; gli anni 1901 e 1905, memorandi per l'improvviso
e straordinario incremento della emigrazione; il 1908 che lasciò, col terre-
moto del 28 dicembre, nelle Provincie funestate una eredità con molto passivo.
Ma il resto del compito va confidato a lavoratori più sciolti da freni d'arte.
La già deplorata magrezza delle pubblicazioni statistiche da ventanni ad
oggif non permette se non risultati modesti comparativamente agli sforzi ne-
cessari; tuttavia, neppur questo è motivo per non fare.
La demografia italiana, vista traverso a quattro censimenti e ad un cin-
quantennio di movimento della popolazione, ci ha mostrato cose d* interesse
non soltanto scientifico, ma storico. Che alla storia appartiene omai questo
breve, ma grande mezzo secolo, il quale vide comporsi la nostra gente, già
divisa, a forte compagine unitaria; crescere senza compressioni eccessive
della sua fecondità; di sedentaria farsi straordinaiiamente migrante; adde-
strarsi alla meccanica delle grandi industrie colla versatile genialità, con
cui seppe trattare e tratta le arti belle. La quinta rassegna dei cittadini
fissata per TU giugno 1911 e associata alla prima degli opifici e delle
imprese industriali, rivelerà se il nostro paese può stare alla pari dei più
civili per il desiderio di conoscere se stesso e per quell'abito di sincerità,
che agevola Tadempimento dei fini della legge ; se nella sua progredita cul-
tura apprezza l'alta importanza di queste indagini, necessarie per la sua
storia, utili per il buon governo della cosa pubblica. Ho parlato solo degli
italiani entro i confini politici del momento; sarà bello, per chi riprenderà
il filo del discorso, illustrare il valore di tutta la nazionalità italiana, nel-
l'antica patria e fuori.
Pag. linea
35 16
54 ultima del 1* prosp,®
5.) Intestaz. del prosp.®
I» n
n n
67 linea 15
B. Benini
Prof, della K. Voiversità di fiona.
ERRATA-CORRIGE
inveet di
leggati
non foBsero
9.58
Morti per 100.000 ab.
1879-89
1893-901
fossero
95.8
Morti per 1.000.000 di ab.
1887-89
1899-901
avremo
avremmo
ma iintfA
TRIANGOLAZIONE GEODETICA
E CARTOGRAFIA UFFICIALE DEL REGNO
LAVORI ASTRONOfflCI, GEODETICI E CARTOGRAFICI ITALIANI
PREFAZIONE
Non è facile svolgere degnamente il tema che riguarda la triangolazione
geodetica e la Caiia topografica del Begno, i lavori geodetico-astronomici com-
piuti in Italia dalla proclamazione della sua unità in poi, e tutta la carto-
grafia nazionale che sovra essi come su sicuro fondamento si appoggia.
Io non saprei immaginare un insieme o più difScile, o più complesso, o
più utile di lavori ; difficile, per le vaste cognizioni scientifiche che esso sup-
pone e per gli alti problemi della scienza, alla soluzione dei quali deve
contribuire; complesso, per la serie concatenata e mai interrotta delle opera-
zioni che esso richiede sul terreno e a tavolino, operazioni di osservazione e
di calcolo, di disegno geometrico e artistico, di costruzioni, di ricostruzioni
e di riproduzioni cartografiche, di incisione e di fotoincisione; utile, per le
innumerevoli applicazioni dei risultati suoi nella vita privata e pubblica, nelle
industrie e nei commerci, nello studio delle rapide comunicazioni fra regione
e regione, indispensabili ad ogni progresso sociale.
Fortuna volle che in Italia a tanto lavoro concorrere potessero tre nobili
e forti istituzioni: l'Istituto Geografico Militare, l'Istituto Idrografico e la
B. Commissione Geodetica. Esse, animate da alti ideali e da un profondo
sentimento del dovere, pur fra T indifferenza dei più, seppero coordinare le
energie loro dalle moltitudini ignorate, raccogliere in un fascio fecondo le
varie potenzialità loro, e dare prova manifesta di quella solidarietà di pensiero
e di azione, che fu causa efficacissima della nostra risurrezione politica e scien-
tifica: mirabili sovrattutto nel campo dell'azione gli Istituti Geografico e Idi'O-
grafico; modesta, ma efficace per il consiglio suo, la R. Commissione Geodetica.
Sorse quest'ultima per Decreto del Ministero della Istruzione Pubblica
nell'anno 1865, ed essa doveva tradurre in atto sul suolo italiano le conven-
zioni per la misura del Grado medio europeo stabilite a Berlino nell'ottobre
Q. Cbloria - GLIAMIA5:. — TrianQolasione geodetica, ecc. 1
GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
del 1864 dai rappresentanti i paesi da esso Grado attraversati. Io non credo
che in quel tempo il paese nostro fosse interamente preparato alla difficile
intrapresar scientifica ; ma si era allora nel periodo epico del risorgimento na-
zionale, e gli animi e le menti erano dagli alti ideali di patria e di italianità
fatti capaci delle più ardite iniziative. Non senza audacia i fondatori della
nostra Commissione accettarono 11 per lì di collaborare, coi paesi più progre-
diti, alla misura del Grado europeo : ma l'audacia loro fii atto di civile sa-
pienza e di preveggenti ingegni. Rendiamo loro il dovuto plauso. A quella
epoca e per merito loro, nuovo vigore venne agli studi nostri geodetici e car-
tografici, vigore reso più intenso e gagliardo, fecondato quasi dalle energie
potenti che in esso trasfuse la scienza pura, per opera specialmente della
Commissione Geodetica e degli insigni Direttori dei due Istituti Geografico
e Idrografico, i quali della Commissione furono sempre magna pars.
La Commissione Internazionale per la misura del Grado medio europeo,
non seppe, o, meglio, non volle rimanere ligia al programma chiaro e definito
che per essa aveva tracciato con mano sicura il fondatore suo, il generale
Baeyer. Dato il suo carattere internazionale, essa previde che, ad assicurarsi
vita lunga, doveva sacrificare la praticità degli intenti immediati alle attrat-
tive di intenti alti e lontani, di molto allargando il campo deirazione sua.
Nò si ingannò. Altre e molte nazioni fecero via via ad essa adesione, e presto,
smesso il suo nome d'origine, dovette assumere quello di Associazione Geo-
detica Internazionale, che ancora oggi essa porta. Era sórta proponendosi di
misurare nell'Europa Centrale un arco di meridiano da Palermo a Cristiania,
e già nel 1873 essa apertamente annunziava essere scopo suo la ricerca scien-
tifica della figura terrestre in tutta TEuropa e nelle regioni confinanti del-
l'Asia e dell'Africa, ricerca che, cammin facendo, si allargò ancora, estenden-
dosi a tutta la Terra e abbracciando inoltre i problemi tutti, vari e difiHci-
lissimi, che vi si collegano.
La Commissione Italiana, non senza qualche esitanza, si associò al primo
trasformarsi della Commissione Internazionale, e nella sua riunione del 1873
dichiara vasi quasi sgomenta di un'impresa, che tutti i giorni andava diventando
più vasta senza utilità pratica proporzionata. Ma la sua esitanza non durò a
lungo. Con giusta percezione del vero stato delle cose, essa, nella medesima
riunione del 1873, dichiarava, dopo sapiente discussione, di aderire all'am-
pliato e trasformato programma internazionale, ma di aderire entro confini
determinati dalle condizioni di fatto italiane, nessun obbligo preso che fosse
racchiuso entro limiti ristretti di tempo, poiché, aggiungeva essa, trattasi
ormai di lavori che dureranno decine e decine di anni, e che foi-se, dato il pro-
gresso continuo delle scienze, non finiranno mai. Parole profetiche, le quali
ogni giorno vanno diventando più e più conformi alla realtà delle cose.
Per la deliberazione presa, il campo di azione della Commissione Geo-
detica, dell'Istituto Geografico e dell'Istituto Idrografico, via via si ampliò.
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC.
Alle operazioni e ai calcoli di geodesia e di cartografia propriamente detta,
di astronomia geodetica, operazioni e calcoli vennero ad aggiungersi riguar-
danti la mareografia, le liyellazioni di precisione, le misure della gravità
terrestre ; ma pur neirampliato orizzonte gli Istituti Geografico e Idrografico,
la Commissione Geodetica, seppero coordinare mirabilmente la teoria con la
pratica, le speculazioni e le ricerche di ordine scientifico con operazioni ispi-
rate a illuminata praticità di intenti.
Una fusione armonica di criterii direttivi, scientifici e pratici, informò
cosi tutti i lavori geodetici, cartografici, astronomico-geodetici italiani, e diede
loro un carattere pregevolissimo dì precisione e modernità.
LUstituto Geografico Militare, l'Istituto Idrografico, continuando tradi-
zioni nobilissime, poterono fare opera sapiente e duratura, compiere un po-
deroso complesso di lavori che soddisfa alle più alte esigenze scientifiche, e a
un tempo offre basi sicure alla caiiiografia generale del paese, alle costruzioni
ferroviarie, idrauliche, marittime, alle misure agricole e forestali, ai molti
e vari bisogni delle pubbliche amministrazioni. Mirabile esattezza raggiun-
sero i nostri rilevamenti topografici ; e i lavori catastali italiani, appoggiati
come a saldo fondamento a quelli anteriori geodetici, assunsero fin dalla
origine un'impronta di serietà scientifica e pratica che ne assicura il successo.
E quando si vollero studiare, con esperienze rigorose, le migrazioni del
polo sulla superficie della Terra, la Commissione nostra potè fare sì che una
delle nove stazioni intemazionali destinate allo studio delle variazioni delle
latitudini terrestri sorgesse in Italia, a Carloforte, e senza jattanza volere che
ad astronomi italiani, non a stranieri, essa fosse affidata.
Né questi fatti rimasero isolati e senza effetto sul movimento generale
scientifico italiano, poiché le scienze, pur progredendo in apparenza disgiunte,
sono intimamente connesse fra loro. Singolarmente audaci e ricche di stupe-
facenti iniziative sono andate esse facendosi, soprattutto dacché esse acqui-
starono chiara visione e coscienza di essere via via diventate una grande e
forse la piti potente delle moderne energie sociali.
Né la geodesia, l'astronomia e le scienze affini ebbero in questi anni
visione meno chiara della loro potenzialità. Le moderne ricerche dei geodeti
e degli astronomi e dei matematici, già hanno in parte svelato quali siano, o
almeno possano probabilmente essere, le condizioni della materia nell'interno
della Terra; quale sulla Terra sia, almeno nelle sue grandi linee generali,
l'andamento della forza di gravità. Posto hanno in piena luce che questo
guscio terrestre sul quale l'umanità si agita e vive, è esso stesso in agita-
zione continua, soggetto a tensioni immani alle quali per un resto della pla-
sticità sua primitiva esso obbedisce, dietro l'azione loro diversamente qua e
là plasmandosi.
Dimostrato hanno che lo stesso guscio terrestre è percorso da onde inte-
riori elastiche, paragonabili a bniTasche vastissime, qualche volta terrificanti ;
GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
che esso è agitato inoltre da brevissime e rapide onde pulsanti, per le qaali
può a£fermarsi che esso, noi inconsci, incessantemente vibra sotto ai nostri
piedi. Difficilissime questioni, problemi arditissimi ai quali Tltalia nostra,
per opera specialmente delle sue istituzioni scientifiche, seppe non rimanere
estranea. Né di essi, che per il momento costituiscono più che altro un pro-
gresso della scienza pura, la presente Relazione, per Tindole sua, può a lungo
occuparsi. Basta il fugace cenno fattone. Con qualche ampiezza devesi qui
invece rispondere a due domande : Quale era lo stato delle triangolazioni e
della cartografìa del Begno alVepoca della proclamazione sua? Quale ne è
lo stato attuale?
Sarebbe stato a me difficile dare risposta categorica senza ricorrere a
fonti sicure esistenti solo presso T Istituto Geografico Militare. La fortuna
venne però in aiuto mio. La lunga e tradizionale armonia che regna fra esso
Istituto e la Commissione Geodetica fece sì che io potessi ricorrere con fiducia
intera al Maggiore Generale E. Gliamas, Direttore dell'Istituto Geografico e
vice-Presidente della Commissione Geodetica. Non ricorsi invano. Con atto
di squisita cortesia l'insigne Generale e Tlstituto affidato alla sapiente sua
direzione, accordatisi meco suirindole del lavoro, sull'estensione e sui titoli
delle diverse sue parti, seppero nelle pagine che seguono dare risposta
esauriente alle questioni qui poste; e io ne rendo loro grazie sentite (^).
G. Celoria.
I.
La Cartografia in Italia nel 1861. .
(Triangolazioni e cartografia nei singoli Stati avanti la proclamazione del Regno dltalia).
1. Le condizioni della cartografia ufficiale delle varie regioni italiane al
momento della costituzione del nuovo Begno erano diverse nei singoli Stati,
poiché, mentre taluni possedevano buoni documenti topografici, altri ne difet-
tavano quasi in modo assoluto.
Le Provincie continentali del Beame Sardo (Piemonte e Liguria) pos-
sedevano già una Carta topografica alla scala di 1 : 50.000, di cui la costru-
zione era stata iniziata dal 1830 sulla base di una regolare triangolazione,
0 valendosi della riduzione delle mappe catastali, o utilizzando parziali ri-
lievi preesistenti, o infine facendo eseguire apposite levate sul terreno.
La riproduzione di questa Carta, eseguita col processo litografico, fu
incominciata nel 1851 per rispondere ai bisogni dell'esercito e del pubblico.
(*) La relazione fa redatta dalla Direzione deiristitato Geografico con la collabora-
lione dei signori: Giovanni Paner, tenente colonnello di fanteria; Prospero Baglione, te-
nente colonnello del genio; Antonio Loperfido, ingegnere geodeta capo; Ernesto Bnsca-
glione, Michele Gatt, Dialma Rimbotti e Felice Capponi, topografi capi; Attilio Mori, to-
pografo principale; Luigi Perego, tenente di fanteria.
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC.
Essa doveva constare di 91 fogli rettangolari, delle dimensioni ciascuno di
metri 0,70 per 0,50.
Il lavoro era proceduto abbastanza celeremente, tanto che, nel 1860,
86 fogli erano già pubblicati e solo cinque mancavano ancora al completamento
di questa Carta.
2. Per le Provincie lombarde e così pure per i ducati dell* Italia cen-
trale, il granducato di Toscana e lo Stato Pontificio, Tlstituto Geografico
Militare dello Stato Maggiore Austriaco, che risiedeva a Milano e che fu poi
trasportato a Vienna, aveva completato ima serie di eccellenti carte topogra-
fiche a scala unica e con eguali segni convenzionali ed uguale sistema di
rappresentazione del terreno, tantoché le carte anzidette potevano considerarsi
la naturale prosecuzione una dell'altra.
La scala adottata era stata quella di una linea per 100 Klafter di Vienna,
ossìa di 1 : 86.400 del vero, e l'orografia vi era rappresentata col tratteggio
a luce zenitale. Quanto alla loro composizione, le dette carte provenivano
dalle mappe catastali collegate mediante apposite triangolazioni e verificate
sul terreno coir aggiunta della rappresentazione orografica fatta per lo più a
vista e basata sopra uno scarso numero di determinazioni altimeti'iche.
3. Per risola di Sardegna si possedeva una Carta topografica generale
alla scala di 1 : 50.000, che avrebbe dovuto essere pubblicata al pari di
quella degli Stati Sardi di terraferma, ma della quale non era stata intra-
presa ancora la pubblicazione.
4. Finalmente per il Reame Napoletano il Regio OfScio Topografico di
Napoli aveva intrapreso sino dal 1814 la costruzione di una Carta topo-
grafica del Reame alla scala di 1 : 80.000, da costruirsi in base a levate sul
terreno eseguite alla scala di 1 : 20.000 e da riprodursi con incisione su
rame. Ma i lavori per la costruzione di questa Carta procedevano assai a ri-
lento, e gli avvenimenti del 1860 trovarono che soltanto la parte geodetica
era stata condotta abbastanza innanzi, laddove arretrati erano ancora i rile-
vamenti topografici e quasi appena iniziata la pubblicazione dei fogli incisi,
dei quali solo cinque erano in corso di lavoro.
II.
Organizzazione del servìzio geodetico e cartografico del Regno.
Gran Carta d'Italia.
1. Cenni storici. — L*unificazione della Patria in seguito agli avveni-
menti del 1859-60, e la proclamazione del nuovo Regno d'Italia avvenuta
nel 1861, portarono di conseguenza la unificazione del servizio cartografico
dello Stato, e Taccentramento in uno solo Istituto, che fu TUfScio Tecnico
del Comando del Corpo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano. Fu esso
GIOVANNI CELORIA - ERNESTO QLIAMAS
Ufficio Terede e il continuatore dell'Ufficio analogo del Regno Sardo, del
Beale Officio Topografico Napoletano (0, nonché dell'Ufficio Topografico To-
scano; cresciuto in importanza, trasformossi in seguito in una istituzione
autonoma che assunse dapprima il nome di Istituto Topografico e, successi-
vamente, quello di Istituto Geografico Militare.
La storia della cartografia italiana negli ultimi 50 anni si riassume
quindi nell'esposizione dell'operosità di questo Istituto, completata, per quanto
riguarda il rilevamento idrografico delle coste del Begno, da quella dell'Uf-
ficio Idrografico della Regia Marina stabilito in Genova, il quale di recente
cambiò ancor esso l'antico nome in quello di Regio Istituto Idrografico.
Le grandi operazioni geodetiche, base della cartografia, e i lavori tutti
dei due Istituti Geografico e Idrografico, assunsero presto fra noi carattere e
importanza scientifica, grazie all'accordo mai venuto meno fra i due Istituti
e la Regia Commissione Geodetica Italiana istituita pochi anni dopo l'unifi-
cazione del Regno.
À dare pertanto un concetto chiaro e sintetico delle operazioni geodetiche
e topografiche eseguite in Italia sino ai nostri giorni, basterà ricordare suc-
cintamente l'opera dell'Istituto Geografico Militare e della Commissione Geo-
detica Italiana, nonché quella dell'Istituto Idrografico.
2. Uffi>cio Tecnico del Comando del Corpo di Staio Maggiore. —
Quale fosse lo stato della cartografia italiana al momento della unificazione
del Regno, risulta da quanto abbiamo precedentemente esposto. Pressoché
compiuta la Carta del Piemonte ad 1 : 50.000; estesa sulle Provincie lom-
bardo-venete e dell'Italia centrale la Carta austriaca ad 1:86.400; iniziati
appena i lavori topografici nelle provinole continentali ed insulari dell' ex-
Reame delle due Sicilie; compiuta, ma non pubblicata, una Carta topografica ad
1 : 50000 della Sardegna, per la quale si possedeva la buona Gai*ta corografica
del Lamarmora. Urgeva quindi dare anzitutto mano alla Carta delle Provincie
meridionali del Regno, e della Sicilia ; ed a tale effetto il Capo dell'Ufficio
Superiore dello Stato Maggiore riceveva l'incarico di prender cognizione dello
stato in cui trovavasi la intrapresa costruzione della Carta topografica napo-
letana, e di proporre i mezzi più acconci per sollecitarne il compimento.
Risultava da detta inchiesta che dei 92.941 kmq. ai quali si raggua-
gliava l'estensione del territorio dell' ex-reame, meno che V? « ^ ^i^^ appena
12.420 kmq., erano già rilevati, e che, per completarla sul piano già iniziato,
sarebbero occorsi ben 20 anni di lavoro a 68 operatori, con una spesa adeguata.
Proponevasi inoltre che, vista la necessità di riprendere il lavoro, e dare ad
(*) L*antico Officio Topografico Napoletano, con Regio Decreto del 4 agosto 1861 fu
conservato col suo personale e nei suoi locai', come sezione staccata dairUfficio Tecnico
del Corpo di Stato Maggiore e poi deiristituto Topografico Militare, fino al 1880, anno
in cui fu definitivamente riunito all'Istituto nella sua sede di Firenze.
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC.
esso UQ impulso maggiore, si dovessero cambiare il sistema e la scala dei
rilevamenti, senza con ciò influire menomamente sulla riuscita finale del-
l'opera.
In seguito a ciò il Ministro della Guerra Generale Della Bovere pre-
sentava all'approvazione del Parlamento Nazionale, nella seduta della Camera
dei Deputati del 15 febbraio 1862, un disegno di legge col quale veniva
stanziata la somma di due milioni, ripartita nei bilanci degli anni 1862-69,
per la formazione della Carta topografica delle provinole meridionali. La
Commissione parlamentare, riferendo su questa proposta nella seduta del
20 giugno successivo, approvava in massima la proposta stessa, solo avver-
tendo che si sostituisse la parola compimento a quella di formasione della
Carta topografica delle Provincie napoletane e siciliane, perchè non si credesse
che solo da allora si incominciassero i lavori topografici in Napoli e Sicilia.
Con tale modificazione la proposta riuscì approvata dal Parlamento e pro-
mulgata come legge dello Stato con Regio Decreto del 10 agosto di quel-
l'anno.
8. Commissione Geodetica Italiana. — Mentre si riprendevano nella
isola di Sicilia le operazioni geodetiche e topografiche per il compimento
della Carta topografica delle Provincie meridionali, veniva creata un'istitu-
zione la quale doveva servire a dare maggiore impulso scientifico alle ope-
razioni stesse, volgendone gli intenti a ricerche di alta geodesia.
Nell'anno 1861, per iniziativa del generale Baeyer, si iniziavano gli ac-
cordi fra i vari Stati delFEuropa centrale, allo scopo di procedere alla mism*a
dell'arco di meridiano che, da Cristiania a Palermo, attraversa l'intero con-
tinente europeo. Gli accordi stessi condussero alla costituzione di una Associa-
iione internazionale per la misura dei gradi in Europa, la quale più
tardi, ampliando il proprio programma, cambiò il suo nome in quello di
Associazione Geodetica Internazionale. L'Italia fu tra i primi Stati ade-
renti al nuovo consesso scientifico, e il professore G. Schiaparelli, allora Di-
rettore del B. Osservatorio di Brera in Milano, fu nominato a rappresentarla
in seno alla Commissione permanente che doveva governare e dirigere l'As-
sociazione. Questa, nella sue riunioni tenute a Berlino dal 15 al 22 ottobre
1864, stabiliva il compito che doveva spettare ai singoli Stati aderenti e le
norme secondo le quali i lavori geodetici dovevano venire condotti per cor-
rispondere agli scopi dell'Associazione.
Una Commissione nazionale venne pertanto eletta dal Ministero della
Pubblica Istruzione a fine di tradurre in atto sul suolo italiano le conven-
zioni stabilite a Berlino. Tale Commissione risultò composta dal generale
Bicci, capo dell'Ufficio Superiore di Stato Maggiore dell'esercito, presidente;
dai professori A. De Gasparis, G. B. Donati, G. Schiaparelli, allora direttori
rispettivamente degli osservatori di Napoli, di Firenze, di Milano ; dal prò-
8 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
fessore F. Schiavoni, professore di geodesia neirex-OfiScio Topografico Napo-
letano, coDserTato con tale grado nel ricostituito IJfBcio Tecnico del Corpo
di Stato Maggiore; infine, dal colonnello Ezio De Vecchi, il quale già aveva
diretto i lavori geodetici iniziati in Sicilia.
Nella prima riunione che la Commissione stessa tenne a Torino nei
giorni 3-7 giugno 1865 (Of venne stabilito il programma dei lavori che do-
vevansi eseguire in Italia per rispondere agli impegni internazionali assunti.
Si riconobbe perciò l'opportunità di svolgere sul suolo italiano delle catene
di triangoli in modo da rendere possibili le misure di tre archi di meri-
diano e di tre archi di parallelo. Per quanto riguarda le altitudini, ricono-
scendosi che il suolo italiano poco prestavasi alle livellazioni geometriche
raccomandate dall'Associazione internazionale, fu deciso di attenersi in mas-
sima alla livellazione trigonometrica. La Commissione stabilì inoltre un esteso
programma di osservazioni astronomiche per le determinazioni assolute di la-
titudine, di azimut, e di differenze di longitudine ai diversi vertici della rete.
Circa poi l'esecuzione di questo vasto programma di lavoro, il gene-
rale Ricci, come capo dell'Ufficio Superiore dello Stato Maggiore a cui erano
affidati i lavori geodetici, propose, e la Commissione approvò, che, essendo
già iniziati i lavori di triangolazione in Sicilia per la costruzione della Carta
(lavori che in gran parte raggiungevano l'esattezza richiesta, e perciò pote-
vano essere utilizzati, con poche correzioni, per gli scopi dell* Associazione),
dovessero venir continuate le osservazioni angolari lungo la meridiana del
Capo Passare. Quanto ai lavori astronomici, era prematuro prendere impegni
finché gli osservatori!, ai quali dovevano venire affidati, non fossero provve-
duti degli strumenti occorrenti.
Così venne stabilito quel piano uniforme e coordinato di lavori, atti ad
un tempo per gli scopi cartografici ai quali la legge approvata intendeva, e
per quelle ricerche scientifiche alle quali l'Italia aveva deliberato asso-
ciarsi.
4. L'Istituto Geografico Militare, — L'incessante incremento che an-
davano intanto prendendo i lavori geodetici, topografici e cartografici dello
Stato, affidati, come vedemmo, all'Ufficio Tecnico del Corpo di Stato Mag-
giore, consigliava l'opportunità di adibire al loro disimpegno un ufficio au-
tonomo, provvisto di personale proprio e stabile, senza dover ricorrere, come
per Taddietro, all'impiego di ufficiali dello Stato Maggiore, dei quali biso-
gnava specialmente valersi per i lavori geodetici. Già la Commissione per
la misura dei gradi aveva su ciò richiamata l'attenzione del Ministero della
(') Gli Atti della « K. Commissione italiana per la misura dei gradi in Europa »,
detta poi a R. Commissione geodetica italiana»» sono pubblicati nei Processi i;^r3a/t delle
diverse riunioni successivamente da essa tenute.
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC.
Oaerra sino dalla sua riunione del 1867, fonnulando il voto che, « non po-
tendosi presumere che fra il personale dello Stato Maggiore si possano tro-
vare tanti indivìdui che abbiano tutte le doti e i requisiti necessari per tal
genere di lavori geodetici, senza dìstrarli da altri lavori inerenti al Corpo,
fosse autorizzato il Comando Generale dello Stato Maggiore ad aumentare
il numero degli ingegneri geograti, dando a questi una destinazione stabile
ed esclusivamente diretta alla parte scientifica « ('). À questo voto il Mini-
stero non potò, per ragioni finanziarie, aderire subito ; ma esso parve entrare
in questo concetto allorché, con B. Decreto del 27 ottobre 1872, venne fon-
dato ristituto Topografico Militare.
Nella relazione del Ministro della Guerra generale Ricotti, che precede il
testo del B. Decreto, dicevasi infatti che Tinsufficienza del personale civile,
costituito di soli topografi addetti all'Ufficio Tecnico del Corpo di Stato Mag-
giore, rendendo necessaria la destinazione quasi permanente di molti ufficiali
dello Stato Maggiore presso l'Ufficio Tecnico, con non lieve pregiudizio della
loro istruzione dal punto di vista militare, si sarebbe potuto rimediare a
tale inconveniente trasformando l'Ufficio Tecnico del Corpo di Stato Mag-
giore in un Istituto separato dal Corpo stesso, provvisto di personale proprio,
atto ai lavori di ufficio e ad un tempo a quelli di campagna, geodetici e
topografici, col quale surrogare in questa bisogna gli ufficiali di Stato Mag-
giore. Così veniva decretata la costituzione di un Istituto Topografico Mili-
tare sotto Talta direzione del Comando generale del Corpo di Stato Mag-
giore, il cui incarico essenziale doveva essere quello di eseguire i lavori geo-
detici e topografici pei bisogni militari dello Stato. Il testo del decreto stesso
stabiliva poi la ripartizione dei diversi servizi, nonché il numero e le attri-
buzioni del personale.
A sede del nuovo Istituto Topografico, che 10 anni più tardi cambiava
il suo nome in quello più vasto e comprensivo di Istituto Geografico Mili-
tare, fu prescelta la città di Firenze ove già aveva sede l'Ufficio Tecnico
del Corpo di Stato Ms^giore, del quale esso Istituto era il continuatore e
l'erede. Il generale Ezio De Vecchi, già capo dei lavori geodetici in Sicilia,
ne fu il primo direttore, e, sotto la guida sua e sotto quella del suo succes-
sore generale Annibale Ferrerò, il quale per sette anni continuò a dirigerne
i lavori secondato dall'opera del colonnello Leopoldo De Stefanis, l'Istituto
salì via via ad un alto e meritato grado di riputazione.
5. Legge per la Carta d'Italia al 100.000 — I lavori per la costru-
zione della Carta topografica delle provincie meridionali volgevano oramai
al loro termine. Per soddisfare alle esigenze del momento, e in attesa che
(^) Processo verbale delle sednte della Commissione Italiana per la misura dei gradi.
(Seconda rianione tenuta in Firenze il 17 e il 18 settembre 1867).
10 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GUAMAS
la Carta stessa fosse ultimata, l'UfiScìo Tecnico del Corpo di Stato Maggiore
aveva intanto iniziato sino dal 1869, e Tlstitato condotto poi a compimento
nel 1874, la costruzione della Carta corografica delle provincie stesse alla
scala di 1 : 250.000, profittando dell'antica Carta del Bizzi-Zannoni riveduta
e rifatta già dagli austriaci, riconosciuta sul terreno negli anni 1868-69
dal nostro Stato Maggiore, e svecchiata per la parte che riguarda la rete
stradale.
Era però già sorto il proposito di ridurre alla scala di 1 : 100.000 le
levate originali di campagna, e di costruire per tal modo una Carta topogra-
fica artisticamente finita delle provincie meridionali, Carta che in progresso
di tempo avrebbe potuto costruirsi anche per le rimanenti parti del Regno,
utilizzando il materiale topografico esistente, ovvero procedendo a nuovi ri-
levamenti.
Rendevasi infatti sempre più palese l'inferiorità in cui si trovavano, por
rispetto alla topografia, le provincie settentrionali e centrali del Regno di
fronte a quelle meridionali.
Fino dal 1871 era stata ultimata la pubblicazione della Carta del Pie-
monte : ma, da una parte, la mancanza in essa delle curve altimetriche e lo
scarso fondamento geometrico a cui essa poggiavasi, la rendevano inservi-
bile per gli scopi civili, ai quali molto giovavano invece le nuove levate
delle Provincie meridionali alla scala di 1 : 50.000 ; e d'altra parte, la poca
esattezza nella rappresentazione dell'alta montagna ove, mancando i catasti,
il rilievo era stato fatto quasi esclusivamente a vista, la rendevano ineffi-
cace per gli scopi militari.
Peggiori ancora erano le condizioni delle provincie Lombardo-Venete e
dell'Italia centrale, perchè la Carta austriaca ad 1 : 86.400, ai difetti propri
di quella piemontese, aggiungeva la minore scala di riduzione ed il fatto
che la proprietà stessa della Carta apparteneva ad uno Stato straniero il quale
ne conservava i rami.
Bisognava dunque pensare ad estendere a tutte le altre provincie le le-
vate intraprese e condotte ormai quasi a compimento nelle provincie dell' ex-
reame delle Due Sicilie, e, sulla scorta di quelle, addivenire poi alla costru-
zione di una Carta artisticamente finita, alla scala ridotta di l : 100.000,
come già era stata proposta per le provincie meridionali.
Un disegno di legge per autorizzare la spesa occorrente venne pertanto
presentato al Parlamento Italiano, nella seduta della Camera dei Deputati del
3 febbraio 1875, dal Ministro della Guerra generale Ricotti. La spesa stessa
era preventivata in 4.400.000 lire, ripartibile in vari anni. Ragioni di bilancio
consigliarono di impegnarsi per soli quattro esercizi, e cioè per gli anni
1875-78, per i quali fu assegnata una spesa di 650.000 lire. Secondo la Re-
lazione ministeriale che accompagnava il disegno di legge, le norme da se«
guirsi per la costruzione di questa Carta, che saranno in seguito esposte, erano
TRIANGOLAZIONE OBODETICA EOO. H
fratto degli studi e delle indagini di apposita Commissione. Circa alla scala
delle levate , che per la Carta delle Provincie meridionali era stata quella
uniforme di 1 : 50.000 (salvo pochissime eccezioni), il disegno ministeriale
stabiliva che dei 118 fogli interi della Carta che ancora dovevano rilevarsi,
93 fossero rilevati ad 1 : 50.000, e 25 ad 1 : 25.000, adottando quest'ul-
tima scala di rilievo per i dintorni delle grandi città, per la pianura del
Po, ed in genere per le regioni militarmente piìi importanti e più dense di
particolari topografici. La Commissione parlamentare incaricata dell'esame di
quel disegno di legge (^), ne approvò integralmente le proposte, che furono
ampiamente esaminate e chiarite nella Relazione da essa presentata al Par-
lamento nella seduta del 18 maggio 1875. Discussa ed approvata dalla Ca-
mera dei Deputati nelle sedute del 2 e 3 giugno di quell'anno, e successi-
vamente presentata al Senato e da questo pur approvata nelle sedute del 23-
27 giugno 1875, la legge stessa venne finalmente promulgata il 29 giugno.
Tre anni dopo, essa riceveva il suo complemento in una nuova disposi-
zione legislativa per la quale venivano aumentati gli stanziamenti dei fondi
occorrenti, e ciò per la necessità in cui lo Stato, e per esso Tlstituto, si
trovava, di fare acquisto, mediante lo sborso di lire 150.000, del diritto di
proprietà del procedimento di riproduzione fotomeccanica sistema Avet, e per
la opportunità inoltre di estendere molto più di quello che era stato già
preveduto, i rilevamenti alla scala di 1 : 25.000, scala, oltreché dalle esigenze
militari, consigliata anche dalle continue richieste delle altre amministrazioni
dello Stato.
Cosi l'Istituto, a partire dal 1876, terminate ormai le operazioni di ri-
levamento nelle Provincie meridionali, poteva iniziarle pur anco nelle altre
Provincie del Regno (*).
Prima però di accennare allo sviluppo delle operazioni per il rileva-
mento del territorio dello Stato e per la costruzione della Carta topografica
del Regno, e prima di ricordare le altre principali produzioni cartografiche
alle quali l'Istituto attese negli ultimi 50 anni, giova agli intenti della pre-
sente pubblicazione ricordare brevemente la serie dei lavori astronomici e
geodetici che di tali operazioni costituiscono il fondamento scientifico e che,
nel periodo di tempo considerato, furono, cosi dalla Commissione per la misura
dei gradi (poi detta R. Commissione geodetica) come dall'Istituto Topografico
(detto poi Istituto Geografico), continuati con particolare alacrità.
(1) Composta dei Deputati Bertele- Viale, presidente ; Biancardi, segretario ; San Mar-
iano, Morra, Corbetta, Mazza, Marselli, Zanolini; Gandolfi, relatore.
(*) Per sopperire alle necessità del momento, fa pubblicata una nuova edizione della
antica Carta piemontese dopo averne eseguita una ricognizione generale, e fu altresì pub-
blicata, col consenso del Governo austriaco, una riproduzione ingrandita ad 1 : 75.000 della
sua Carta del Lombardo-Veneto e dellltalia centrale, riconosciuta ancor essa sul terreno
negli anni 1874-76.
12 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
III.
Lavori geodetico-astronomici esegaitì dal 1861 al 1911.
1. Cenni storicL — I lavori geodetici compiati daU'UflScio Tecnico
del Comando del Corpo di Stato Maggiore e poi dall'Istituto nel periodo
decorrente dal 1861 al 1911, dovevano contribuire alle ricerche che la geo-
desia aveva intrapreso in modo sistematico nel 1865, proponendosi non tanto
di determinare le costanti di un ellissoide la cui superficie si adattasse bene
a quella della Terra, quanto piuttosto di costruire il profilo geoidico di
una data regione della Terra stessa.
Prima del 1865, epoca a cui risale l'istituzione dell* Associazione Geo-
detica Internazionale e della Commissione Geodetica Italiana, nelle varie re-
gioni d'Italia si era già proceduto a misure di precisione che consentissero
rindagine del Geoide rispetto a quella superficie di riferimento, analoga al
Geoide medesimo, determinata da Bessel fino dal 1846, che da lui prende
il nome di ellissoide di Bessel, e che, nel suo complesso ed in prima ap-
prossimazione, rappresenta la Terra in gi*andezza e forma.
Fino dal 1859 l'Officio Topografico di Napoli aveva intrapreso misure
di basi geodetiche con l'apparato bimetallico di Bessel ed eseguito deter-
minazioni assolute delle coordinate geografiche in vari punti dell'antico Regno
di Napoli. L'Officio Topografico Napoletano infatti — per competenza geo-
detica dei suoi ufficiali e dei suoi ingegneri geografi, due dei quali, Fedele
Amante e Federigo Schiavoni, sono stati efficaci divulgatori della geodesia
in Italia — aveva raggiunto, prima ancora del 1859, tale una organizza-
zione, così nella parte scientifica come nella parte cartografica, da meritare
l'alta stima degli Istituti congeneri delle altre nazioni.
Nell'enumerare i lavori geodetici compiuti dal 1861 al 1911, senza
prescindere dall'epoca in cui vennero eseguiti, sarà opportuno accennare
prima alle misure lineari, poi a quelle angolari e, in ultimo, alla misura
degli elementi che fissano la posizione sulla superficie della Terra delle re-
gioni in cui tali lavori vennero compiuti, ossia delle coordinate geografiche
assolute e dell'azimut. In ultimo, sarà fatta menzione dei collegamenti geo-
detici, i quali, mentre, come risultato immediato, portano al paragone delle
nostre triangolazioni con quelle degli Stati finitimi e delle nostre triangola-
zioni nel continente e nelle isole, mirano essenzialmente a conferire ai lavori
geodetici di triangolazione quella continuità geometrica occorrente per la
misura di archi terrestri.
2. Misure lineari ed angolari per la triangolazione di primo or-
dine, — La prima base geodetica fu misurata nel 1859-60 sul Tavoliere
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 13
delle Paglie allo scopo di poter calcolare le dimensioni lineari di tutta la
triangolazione compresa fra il parallelo di Napoli e quello di Bari, ossia delle
triangolazioni riguardanti la Campania, il Principato Citeriore, la Basilicata
e la Terra di Bari.
Nel 1862, allo intento di costruire una pianta topografica della città di
Napoli, venne, dairOflScio Topografico di Napoli, — già diventato Officio to-
pografico italiano, ma rimasto ancora nell'antica sede, — misurata, presso la
città, una piccola base geodetica valendosi dell'apparato di Bessel.
Negli anni successivi, e sempre neir intendimento di giovare agli scopi
scientifici della geodesia, vennero misurate le basi di :
Catania (1865), nella valle del Simeto, per la triangolazione della Sicilia.
Crati (1871), a sud di Buffaloria (Sibari), per la triangolazione della Ca-
labria.
Lecce (1872), per la triangolazione della penisola Salentina e le reti di
collegamento alVÀlbania.
Udine (1873), per la triangolazione del Veneto, contigua a quella austriaca.
Somma (1878), per la triangolazione del Piemonte, della Liguria e della
Lombardia.
Ozieri (1879), per la triangolazione della Sardegna.
Il generale A. Ferrerò, in una comunicazione presentata alla conferenza
dell'Associazione Geodetica Internazionale del 1880, dimostrava come'si po-
tesse a priori determinare non soltanto la precisione angolare di una rete
geodetica, ma altresì quella lineare, la quale ha maggiore importanza per le
ricerche di alta geodesia. L'illustre generale, relativamente alla precisione
lineare, concludeva inoltre che le basi geodetiche, in una triangolazione
avente forma continua ed estendentesi sopra una vasta regione, come quella
deiritalia, dovevano essere distribuite alla distanza di circa 400 km. Tuna
dall'altra.
Precisamente per tutto ciò la Commissione Geodetica Italiana riconobbe
la necessità di misurare un'altra base in Italia, fra Somma e Foggia. Il
luogo prescelto fu una pianura a levante di Piombino, e su questa, sempre
coll'apparato bimetallico di Bessel, venne, nel 1895, eseguita la misura di
una base geodetica.
Oltre a queste basi, il cui errore relativo oscilla intorno ad un milio-
nesimo della loro lunghezza, a giustificare quanto già si disse, che cioè anche
prima del 1865 in varie parti d'Italia emno già stati intrapresi lavori di
alta geodesia, giova ricordare la base di Simini misurata dal Boscovich,
quella di S. Pietro in Grado misurata dal P. Inghirani e quella di Roma
misurata dal P. Secchi con l'apparato di Porro, nonché la base di Somma
misurata dagli astronomi di Brera, e gli altri lavori fatti dai medesimi nel
1827 per determinare un arco del parallelo medio terrestre.
14 GIOVANNI CBLORIA - ERNBSTO GLIAMAS
Come per la misura delle basi, così per le misure ai^olari concernenti
le triangolazioni fondamentali, cioè quelle che dovefano portare il diretto
contributo alle misure di archi terrestri, si procedette dal sud verso il nord.
La triangolazione di primo ordine della Sicilia venne eseguita, infatti,
dal 1863 al 1865; quella di Calabria, Capitanata e Basilicata, dal 1867
al 1870; e cosi successivamente fino al 1879, nel quale anno venne ese-
guita la triangolazione di Sardegna e terminata quella dell'Italia settentrio-
nale, ad ovest del meridiano di Milano.
Se non che, quando si trattò di constatare, per tutta la triangolazione
italiana del continente e delle isole, la continuità nella sua figura e nelle
sue dimensioni, a causa della compensazione angolare eseguita isolatamente
zona per zona, si manifestarono, ai contini delle varie reti dipendenti dalle
basi fondamentali, delle contraddizioni lineari, le quali dovevano attribuirsi
in gran parte agli errori nelle misure angolari, e non già a quelli relativi
alla misura delle basi stesse.
Fu precisamente Tesarne di tali contraddizioni che condusse in questi
ultimi anni la B. Commissione Geodetica Italiana alla decisione di far ripe-
tere le misure angolari in tutte le triangolazioni dell'Italia meridionale, a
partire dal parallelo di Boma; e tale lavoro, iniziato nel 1904 con la revi-
sione della rete di ingrandimento della base di Foggia, ebbe termine nel-
l'anno 1909.
3. Determinazioni astronomiche e misure gravimetriche, — Le deter-
minazioni delle coordinate geografiche, mediante osservazioni di stelle, risal-
gono al 1874, nel quale anno vennero eseguite misure di latitudine e di
azimut a Monte Mario (Eloma), airUfficio Topografico di Napoli, a Termoli
ed a Lecce. Misure congeneri sono state fatte nell'anno 1875 a Li Foi ed a
Castanea delle Furie, e fu su questo punto che venne orientato Tellissoide
di Bessel per il calcolo delle coordinate geodetiche di tutta la triangolazione
della Sicilia.
Mentre la stazione di Li Foi, quella di Termoli e quella di Pachino
(eseguita nel 1876) dovevano essere utilizzate nella misura di un arco di
meridiano dell'Europa centrale passante per Termoli, la stazione di Lecce
era stata eseguita all'unico scopo di fissare sulla superficie della Terra la
base geodetica fondamentale, e per ciò appunto venne scelto a centro di os-
servazione uno degli estremi della base stessa.
Analoghe determinazioni vennero in seguito eseguite in varie altre lo-
calità d'Italia e dall'Istituto Geografico Militare, e da diversi Osservatori
astronomici, e dai singoli professori di geodesia delle Università italiane, e
dall'Istituto Idrografico. Ma piuttosto che accennare a particolari, ed in con-
siderazione del loro maggiore contributo alle ricerche di alta geodesia, sarà
qui più utile far menzione di quelle speciali stazioni astronomiche, chiamate
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 15
" - - — ,
Fanti di Laplace, nelle quali furono eseguite determinazioni di latitudine,
di longitudine e di azimut. Dal 1870 al 1896 vennero determinati ben 17
dì questi punti, e cioè: due in Sicilia, due nell'Italia meridionale, uno a
Soma (sul Monte Mario), due in Toscana, uno a Bologna, uno a Genova, sei
distribuiti fra Torino, Milano e Padova, intorno cioè al parallelo medio, e
finalmente due in Sardegna. Questi ultimi due punti, insieme con quelli di
Genova, Milano e Crea, potranno essere utilizzati per definire il profilo del
geoide nel bacino del Tirreno, quando sarà stato eseguito il collegamento
geodetico della Sardegna alla Liguria, attraverso la Corsica.
Ora, il rilevamento del geoide lungo un arco terrestre, o lungo più archi
uscenti da uno stesso punto, può essere ottenuto in modo approssimato, pre-
scindendo cioè dal difetto di parallelismo delle superficie di livello, ovvero
in modo rigoroso, tenendo conto deiraccennato difetto. Nel primo caso, le
linee di forza, lungo le quali vengono valutate le altitudini dei punti, sono
rettilìnee ; nell'altro, invece, devono essere considerate nella loro forma, con-
cava verso il polo : e perciò V Istituto Geografico, nel fare eseguire la livella-
zione geometrica di precisione, ebbe anche cura di iniziare, nel 1895, le
determinazioni relative della gravità lungo le linee stesse di livellazione,
senza le quali è impossibile l'esatto apprezzamento delle ondulazioni del
geoide rispetto all'ellissoide. Precisamente a questo scopo vennero iniziate,
fino dal 1907, misure di latitudine e di azimut in Toscana per determinare
in modo esatto il rilevamento del geoide per tutta la media valle dell' Amo.
Misure gravimetriche congeneri sono state fino ad ora eseguite anche in
Piemonte dal prof. C. Aimonetti, in Liguria per cura dell' Istituto Idrogra-
fico, nel Napoletano dal prof. G. Cicconetti, in Calabria dal prof. A. Ricco,
in Sicilia dal prof. A. Venturi, e sulle coste dell'Adriatico per cura del ge-
nerale B. von Stemeck.
Queste misure relative di gravità, sono naturalmente riferite alle sta-
zioni fondamentali, cioè ai punti nei quali esistono misure assolute della
gravità stessa, di Padova (prof. G. Lorenzoni), e Roma (proff. E, Pucci e
G. Pisati).
4. Livellazione di precisione^ e servizio mareografico. — Le livella-
zioni di precisione, iniziate in Italia solo dal 1876 con alcuni lavori ese-
guiti a tìtolo di esperimento sotto la direzione del prof. Oberholtzer, per
incarico della Commissione Geodetica Italiana, furono dal 1878 completa-
mente proseguite dall'Istituto Geogra6co, il quale ha utilizzato i risultati
delle livellazioni stesse in tutti i suoi lavori cartografici per meglio definire
le forme del terreno rappresentato con curve orizzontali.
Ora, in analogia a quanto venne fatto per dedurre le dimensioni lineari
delle reti geodetiche, bisognava stabilire opportune origini delle altitudini
ortometriche; e vennero perciò utilizzati gli elementi geometrici della marea
16 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
forniti dal Genio Civile, il quale aveva avuto cura di collocare sulle coste
italiane appositi strumenti registratori. Nel 1896 il servizio mareografico,
che ha per scopo il dedurre elementi plausibili, sia di natura geometrica —
e perciò utilizzabili per Taltimetria — sia di natura nautica, venne, per ini-
ziativa della B. Commissione Geodetica Italiana e della Direzione delllstituto
Geografico, assunto dall'Istituto Geografico stesso, in seguito ad una convenzione
intervenuta fra il Ministero dei Lavori Pubblici ed il Ministero della Guerra.
Fino a tutto Tanno 1909 la livellazione geometrica di precisione è stata
estesa per tutta Tltalia continentale, fatta eccezione della penisola Salentina.
Furono eseguite livellazioni le quali si estendono a linee poligonali che nel
loro insieme misurano 8.500 chilometri circa, livellati a doppio. I risultati
per sole 29 linee sono già stampati in 22 fascicoli della pubblicazione « Li-
vellazione di precisione «, che comprende anche il fascicolo P, intitolato:
« Elementi della rete altimetrica fondamentale » . Ogni fascicolo comprende
una 0 più linee.
Presto la livellazione di precisione sarà estesa anche alle isole di Sar-
degna e di Sicilia, e ciò anche perchè la Regia Commissione Geodetica Ita-
liana intende oramai di svolgere opportunamente in Italia e di estendere le
ricerche sulla gravità relativa, di maniera che esse riescano a costituire un
sistema di determinazioni fondamentali, atte a contribuire efficacemente alle
varie e importanti ricerche della geofisica e della geologia dinamica.
Le nostre livellazioni sono state anche collegate a quelle della Francia,
della Svizzera e dell* Austria ; e si può dire che i confronti stabiliti sui capi-
saldi di confine (^), per le tenui discordanze che ne risultano, hanno messo
in luce la grande precisione che viene conseguita in lavori di tal genere.
5. Collegamenti geodetici. — Risultati non meno favorevoli, per quel
che riguarda la loro importanza e precisione, si ottennero anche relativamente
alle triangolazioni, collegandole:
a) alla rete geodetica austriaca, al confine orientale ;
b) alla rete della Dalmazia attraverso T Arcipelago delle Curzolari;
e) alla rete dell'Albania, direttamente dalla penisola Salentina;
d) alla triangolazione della Svizzera;
e) alle triangolazioni della Francia, sì al confine occidentale che nella
Tunisia.
Allo scopo di misurare elementi, necessari da una parte al prolunga-
mento del meridiano dell'Europa centrale, dall'altra al prolungamento del
(^) I principali capisaldi della livellazione di precisione ai confini sono i seguenti:
Confine svizzero — Gran S. Bernardo, Gondo, Sempione, Passo dello Spinga.
Conpine austriaco — Borghetto, Pontebba, Strasoldu.
Confine francese — Ponte S. Luigi, Colle di Tenda, Colle dell'Argenterà, Passo del
Moùginevra, Galleria del Fréjus, Passo del Moncenisio, Piccolo S. Bernardo.
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 17
meridiano di GenoTa, T Istituto Geografico, dietro iniziativa della Commissione
Geodetica Italiana e dietro accordi con essa presi, procedette nel 1900 al col-
legamento geodetico della Sìtilia alle isole Maltesi, e, nel 1902, al collega-
mento dell' Arcipelago Toscano alla Sardegna. Costituiscono, questi collegamenti,
due fra i piìi importanti lavori geodetici del tempo nostro. Le misure ango-
lari concementi i medesimi vennero eseguite di notte, servendosi, per le colli-
mazioni, di proiettori lenticolari a luce ossi-acetilenica studiati dall' illustre
generale Faini per conto della Regia Commissione Geodetica Italiana; proiet-
tori che possono essere adoperati con successo, così come Tesperienza ha già
dimostrato, a distanze maggiori di 200 chilometri, tale appunto essendo la mas-
sima lunghezza dei lati considerati nelle due accennate reti di collegamento.
Ora, per utilizzare gli elementi geodetici occorrenti tanto al calcolo di
un arco di meridiano quanto a quello di un arco di parallelo, allo scopo
di definire un ellissoide locale per le varie regioni dellltalia o per tutto il
territorio italiano, occorreva eliminare le discordanze angolari e lineari che
si manifestano inevitabilmente fra gli accennati elementi. Di questo impor-
tante problema si occuparono, tanto la direzione dell'Istituto Geografico,
quanto la Commissione Geodetica: e l'Istituto, il quale aveva già compiuto
la compensazione angolare delle varie reti, ha dovuto poi applicare alle varie
reti compensate quel criterio che, soltanto per ragioni di economia di lavoro,
era stato trascurato nelle compensazioni puramente angolari, e cioè le con-
dizioni imposte dall'invariabilità in lunghezza delle basi geodetiche fonda-
mentali. In questo modo fu ottenuto il riordinamento definitivo di tutta la
rete geodetica a nord del parallelo di Roma e di quella della Sardegna, uti-
lizzando anche il collegamento del 1902.
Partendo quindi da una delle basi delle rete geodetica italiana, si può
ora ricadere sopra un'altra, senza che ne risulti alcuna contraddizione, cal-
colando col metodo di Legendre i triangoli contigui interposti.
Seguendo criterii e procedimenti identici si sta ora compensando e rior-
dinando definitivamente le reti dell'Italia meridionale e quella della Sicilia.
6. Superficie del Regno. — Per la costruzione della grande Carta di
Italia alla scala di 1 : 100.000, vennero utilizzati gli elementi geodetici
provvisorii, e inoltre gli elementi delle reti ausiliarie o secondarie, nonché
quelli che dedurre si possono dalla triangolazione di dettaglio. La gran Carta
d'Italia è rappresentata nella proiezione naturale, la quale è un caso parti-
colare della proiezione di Benne, e a base di essa sta ancora un reticolato
geografico generale, il quale rappresenta un quadro d'insieme di tutti i
fogli della Carta stessa, e servì inoltre mirabilmente nella valutazione della
superficie del Regno.
Ogni foglio della Carta d'Italia rappresenta infatti un rettangolo sferoi-
dico limitato dadue meridiani distanti fra loro di 30' e da due paralleli di-
0. Celoria - Gliamàs. — Triangolazione geodetica, ecc. 2
18 GIOVANNI CELORIÀ - ERNESTO OLIAMAS
stanti di 20': e Tarea della superficie del Regno rimane così definita dalla
somma delle aree dei vari rettangoli sferoidici, ciascuna valutata con le
regole di Goldino, e dalla somma delle aree delle porzioni di terreno non
completamente occupanti i detti rettangoli ; aree, le quali si ottennero con una
integrazione meccanica, e precisamente mediante il planimetro polare di
Amsler.
Il calcolo tanto importante della superficie del Begno, fu diretto dal-
l'illustre colonnello De Stofanis, più sopra già ricordato: risulta dal mede-
simo la superficie totale del Begno uguale (le acque interne comprese), ri-
dotta al livello del mare, a chilometri quadrati 286.588,3 ± chilometri
quadrati 1 , 2 (0*
IV.
Lavori topografici eseguiti dal 1861 al 1911.
L Triangoloiioni secondarie e livelloiioni trigonometriche. — Poiché
la triangolazione principale coi suoi vertici (punti di P ordine), da sola non
avrebbe potuto offrire che un ìnsufBciente numero di punti (lati di 60-80 fan.
circa) sui quali appoggiare il rilevamento del terreno, si inserirono, nella
rete geodetica, punti a minor distanza Tuno dall'altro, collegandoli fira loro
ed ai vertici principali in modo da formare un'altra rete continua (triango-
lazione di 2° ordine), della quale si calcolarono gli elementi geometrici de-
rivandoli da quelli della rete principale (lati di 40 km. circa).
Tenuto conto della precisione relativa dei lati della rete fondiunentale,
quella dei lati della triangolazione del 2° ordine può ritenersi di un ses-
santamillesimo.
Oltre ai « punti di secondo ordine « , si determinarono anche altri « punti
di 8^ ordine e di 4® ordine (punti di dettaglio) > , rispondenti alle esigenze
del rilievo al 50.000 ed essenzialmente al 25.000. Questi punti non costi-
tuiscono una veiti e propria rete continua, perchè furono determinati ecce-
zionalmente con triangoli chiusi, e generalmente, o per intersezione, ovvero
a e vertice di piramide », dai punti di 1® e di 2^ ordine.
I punti di 2% di 3^ e di 4^ ordine costituiscono i vertici delle « trian-
golazioni secondarie * .
L'errore relativo alla distanza lineare fra due qualunque dei « punti
di dettaglio > si può ritenere di un decimillesimo ; opperò la precisione che
si raggiunge nella loro determinazione è sufBciente per appoggiarvi un rile-
vamento da eseguirsi con la tavoletta pretoriana.
0) Istituto Geografico Militare. Superficie del Regno (VJtalia valutata nel 1884.
Edizione 1897.
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 19
Le quote altimetriche che interessano le triangolazioni secondarie, sono
state determinate con una « livellasione trigonometrica ^ , pure opportuna-
mente collegata ai capisaldi della livellasione geometrica; ciò che può
assicurare una soddisfacente precisione anche per tutti i lavori della inge-
gneria civile in rapporto ai progetti di massima.
In n^fione di 45 a 60 punti trigonometrici necessarii per il rilevamento
al 50.000 del terreno compreso in un foglio della carta d* Italia, e di 180
a 200 per il corrispondente rilevamento al 25.000, il lavoro di determina-
zione è ammontato a circa 30.000 punti trigonometrici.
Su tale lavoro si sono appoggiate le operazioni più tardi iniziate per
la costruzione del nuovo catasto del R^no.
La pubblicazione dei risultati numerici (longitudine, latitudine e alti-
tudine) della triangolazione, venne iniziata nel 1880 per fascicoli (^) corri-
spondenti ai singoli fogli della carta d'Italia, corredati colle indicazioni
monografiche e i disegni prospettici dei singoli punti, e recanti anche le
coordinate polari (distanze ed angoli) e le correzioni dovute alla compensa-
zione delle osservazioni originali.
In questo modo si pubblicarono, sino al 1896, gli elementi di 78 fogli
della carta d'Italia al 100.000.
A partire dal 1897, nello scopo di accelerare questa pubblicazione, si
è posto mano ad un'edizione provvisoria ridotta, la quale contiene, oltre le
indicazioni monografiche dei singoli punti col loro disegno prospettico, le
sole coordinate geografiche dei punti stessi, e cioè latitudine, longitudine ed
altitudine, eliminando le coordinate polari e le indicazioni delle variazioni
apportate dalla compensazione. Apposite istruzioni, ripetute in ciascun fiisci-
colo, servono ad indicare come si possono ricavare dalle coordinate geogra-
fiche, le coordinate polari.
I fiuscicoli così preparati e sinora pubblicati, riguardano 62 fogli della
Carta d'Italia, oltre i 78 di cui sopra è cenno: l'Istituto però possiede i
fiiscicoli manoscritti degli elementi di tutti gli altri 188 fogli della Carta
predetta, e compila, a richiesta, appositi stralci di tali fascicoli.
2. Levate topografiche con la tavoletta e col tacheometro, — Il ma-
teriale cartografico esistente nei varii Stati italiani all'epoca della fondazione
del Regno, non poteva, per la sua eterogeneità, venire utilizzato per la co-
struzione di un' unica Carta. Diverso ne era il grado di precisione : le scale
ne erano diversissime : difforme era il modo di rappresentare il terreno.
Provveduto, subito dopo il 1859, ad una sistemazione provvisoria della
(') latitato Geografico Militare. Fascicoli degli elementi geodetici dei punti oontC'
ntUi nei fogli della carta d'Italia. Ogni fascicolo riunisce gli clementi dei pnnti conte-
nati in 1, 2, 3, sino a 6 fogli.
20 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAUAS
cartografia nell'alta e media Italia con la formazione di una Carta corografica
al 600.000, per la quale si usufruì del materiale esistente, urgeya proce-
dere alla formazione di una Carta per le provincie meridionali e la Sicilia.
A ciò provvide, come si è già detto, il disegno di legge presentato dal
Ministro della Guerra, generale Della Rovere, nel 1862.
La scala adottata per la costruzione della nuova Carta fu di 1 : 50.000,
e ad essa vennero perciò ridotte le poche levate sino allora compiute negli
Abruzzi, nei dintoiiii di Napoli ed in Sicilia. La rappresentazione orografica
doveva OHsere eseguita col sistema delle curve di livello, tracciate coirequi-
distanza di 10 metri; e, per il sistema di proiezione nel quale la Carta do-
veva essere sviluppata, fu conservato quello di Benne, assumendo sempre
come origine delle coordinate 1* intersezione del meridiano passante per TOs-
servatorio astronomico di Capodimonte con il 40® parallelo. La Carta stessa
sarebbe risultata, così, composta di 174 fogli rettangolari, delle dimensioni
di metri 0,50 per OJO, corrispondenti a 25 Km. di altezza per 17,5 Km.
di lunghezza.
Quanto ai lavori geodetici ai quali le levate dovevano appoggiarsi, non
vi era che da continuare le regolari triangolazioni iniziate già, come ve-
demmo, tanto nelle Provincie continentali deirex-Reame, quanto in Sicilia.
I lavori relativi furono intrapresi prima ancora che la legge venisse promul-
gata; e così, sino dal dicembre 1861 venne iniziata, sotto la direzione del
colonnello Ezio De Vecchi, la triangolazione della Sicilia, che fu ultimata
nel 1865, e nello stesso anno furono pure incominciate le levate, compiute
nell'estate del 1868.
Per la esecuzione delle levate di campagna venne adottato il rileva-
mento topografico regolare con la « tavoletta pretoriana > combinata con la
diottra a canocchiale : il prototipo degli strumenti pei rilevamenti grafici è
in ispecie adatto a quelli per uso militare, inquantochè permette di comporre
e disegnare (a matita) la intera levata in presenza del terreno e con un grado
di precisione consono a quello del graficismo.
Questi primi rilevamenti furono eseguiti da ufficiali di Stato Maggiore
e da provetti ingegneri del Genio Civile.
Ultimati i rilievi in Sicilia, si proseguirono nelle Provincie meridionali,
ad eccezione di una limitata zona ai confini fra l' ex-Reame delle Due Sicilie
e Tei Stato Pontificio, per la quale vennero invece riconosciuti e quotati i
preesistenti rilievi al 20.000 dell* Officio Topografico di Napoli e ridotti
alla scala di 1:50.000.
Il complesso lavoro del rilevamento delle Provincie meridionali venne
compiuto nel 1876, cioè dopo quindici anni dall* inizio, anziché nel tempo pre-
visto di otto, senza però superare la spesa stabilita.
Talune circostanze, alle quali non furono estranei gli avvenimenti mi-
litari del 1866 e del 1870, protrassero il termine deir ingente lavoro, che
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 21
meritò lusinghieri giudizi. A buon diritto potevasi affermare che nessun* altra
regione d* Europa possedeva una carta fondata su documenti migliori e con-
cretati con maggiore rapidità e precisione e con minore spesa.
L'opera compiuta fn invero tanto più meritevole di considerazione, ove
si ponga mente all'intelligente attività spiegata dal Corpo di Stato Mag-
giore, che la diresse, e alle gravi difScoltà e ai disagi superati dagli ope-
ratori, vuoi per Tasprezza di talune regioni, vuoi per i pericoli ai quali furono
esposti nel gruppo della Sila, allora infestato dal brigantaggio, vuoi infine
per l'insidia della malaria nella nuda regione del Tavoliere.
Nel 1876, essendosi adottata la proiezione policentrica, i fogli sopra
detti vennero trasformati dalla proiezione primitiva in quella naturale e
ridotti alle dimensioni d^li attuali quadranti, opportunamente rìdisegnan-
doli a penna.
Con l'adozione della nuova proiezione si considerò, a riguaido delle
levate di campagna, diviso il foglio in quattro quadranti per le levate al
50.000 e in sedici tavolette per le levate al 25.000.
Mentre, da principio, in ogni quadrante o tavoletta, le coordinate rettan-
golari dei punti trigonometrici, calcolate con le formule della proiezione
policentrica, furono riferite al centro del foglio al 100.000, vennero in se-
guito riferite al centro di ciascun quadrante o tavoletta.
Durante la esecuzione dei rilievi nelle provincie meridionali, veniva
utilizzata in quelle settentrionali la Carta preesistente delle provincie di
terraferma del Regno di Sardegna alla scala di 1:50.000, opperò furono
iniziate nel 1874 le ricognizioni in quella zona da parte degli ufBciali del-
l'Istituto Topografico Militare, di recente costituito.
Senonchè, la mancanza, in detta Carta, di curve altimetriche, e lo scarso
fondamento geometrico su cui essa poggiavasi, la rendevano, già fu detto,
inservibile per gli scopi civili, pei quali invece tanto corrispondevano le
nuove levate delle provincie meridionali. Nò migliori erano le condizioni
della cartografia nelle provincie Lombardo-Venete e dell'Italia centrale,
perchè per le Carte austriache all' 86.400, ai difetti della minore scala e
dell'imperfetto fondamento geometrico, si aggiungeva l'inconveniente della
mancanza dei rami, come già si disse, posseduti da un governo straniero,
il quale anche conservava il diritto di privativa per la riproduzione.
Allo scopo, quindi, di estendere a tutte le altre provincie le levata
ormai condotte a compimento nell'Italia meridionale, venne approvato dal
Parlamento, sul principio del 1875, il progetto di legge (Ricotti) per la
costruzione dei 118 fogli della Carta, che ancora erano da rilevare, dei quali,
98 dovevano essere prodotti al 50.000, e 25 al 25.000. Quest' ultima scala
di rilievo veniva applicata ai dintorni delle grandi città (come già si era
fatto per Roma e Firenze), alla pianura del Po e alle regioni militarmente
più importanti.
22 GIOVANNI GELORIA - ERNESTO GLIAMAS
Nel 1877 fu rilevata la zona a cavaliere deirAppenniDO, fra Piacenza
e Spezia.
Nel 1878 i lavori procedettero attorno alle Alpi Apuane, nella cam-
pagna romana e attorno a Genova.
Oli anni 1879 e 1880 furono impiegati nei rilievi delle provinole di
Lucca e Genova, compresa tutta la riviera di ponente. In Piemonte furono
compiute le levate da Drenerò a Gesana.
Nei successivi anni 1881 e 1882, mercè Tesperienza acquistata dai
mappatori, la produzione dei lavori salì a 17.000 Kmq. e furono fatti ri-
lievi nel Parmigiano, nel Modenese, in Toscana, nel gruppo del Monte Bianco
e nel Vercellese.
Nell'anno 1883 procedettero sollecite le levate nelle Provincie di Siena,
di Grosseto e di Novara.
Nel biennio 1884-1885 venne rilevato tutto il versante meridionale
del Monte Rosa, TArcipelago della Maddalena e una zona lungo il meri-
diano di Bormio.
L'infierire del colera nel 1886 turbò il procedimento dei lavori; tut-
tavia, anche in quelFanno, venne rilevata una superficie di 4.000 Kmq. fra
Peschiera e Schio.
Estesi rilievi in provincia di Sondrio, nella Lombardia e nel Veneto,
la lagima compresa, furono eseguiti nel quadriennio 1887-1890.
Mentre nel 1891 e 1892 si compievano i rilievi nel Veneto, si inizia-
vano anche quelli delle Marche e dell'Umbria.
I tre anni decorrenti dal 1892 al 1895 vennero impiegati nel comple-
tamento delle zone che rimanevano da rilevare nel continente, dopo le quali
furono intraprese le levate in Sardegna che durarono fino al 1900.
Nel 1902, col rilievo dell'isola di Montecristo, ebbero definitivamente
termine le levate.
L'opera di rilievo era ultimata : ma le necessità che consigliarono fino
dairinizio l'adozione di una maggiore scala per talune zone più impor-
tanti, si andarono man mano estendendo a quasi tutto il territorio na-
zionale.
Infatti, il consolidarsi della situazione politica provocò l'incremento
di tutte le forme di attività, rendendo sempre più manifesto il biseco di
una rappresentazione particolareggiata del terreno, sia per lo studio della
difesa nazionale, sia per l'elaborazione di progetti di dettaglio di opere idrau-
liche, idroelettriche, ferroviarie e stradali.
Indice di queste necessità sono le Carte in uso presso la Francia, l' In-
ghilterra e le nazioni più progredite, che posseggono in gran parte i rilievi
al 10.000.
II turismo, gli stndii geologici, i cartogrammi a scopo scientifico, sono
pure causa del diffondersi della cartografia a grande scala.
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. ^
Per le ragioni anzidette, le levate al 25.000 hanno a mano a mano so-
stituito i precedenti rilievi al 50.000 (legge del 1878), fino a coprire, oggi,
una superficie che supera i due terzi del territorio nazionale.
Da prima si provvide alle regioni nelle quali più erano intense l'agri*
coltura e T industria.
Nel 1902 e 1903 si procedette al rinnovamento, alla scala del 25.000,
del territorio ligure e di quello contermine piemontese che già era stato
rilevato al 50.000.
Altrettanto fu praticato nel triennio 1903-1906 a vantaggio delle re-
gioni del lago' Maggiore, del lago d'Iseo, della Lunigiana e dei dintorni
di Firenze. In complesso furono allestite 70 nuove tavolette.
Sia per addestrare il personale al rilevamento numerico, sia per sosti-
tuire metodi più celeri e moderni nelle speciali levate a grande scala, ven-
nero eseguiti, nel 1903, nei dintorni di Firenze (Galluzzo), dei rilievi nu-
merici alla scala di 1:10.000, Scendo uso del tacheometro Salmoiraghi e
del rapportatore Paganini.
Fra i parziali rilievi merita di essere menzionato quello, di particolare
interesse scientifico, del cono vesuviano, eseguito dopo la grande eruzione
che funestò la regione nella primavera del 1906.
Da quest'epoca fino ad oggi, mentre ancora pochi operatori sono impie-
gati a rilevare al 25.000 quelle zone delle quali già esistono i fogli al
50.000 in ordine alla loro importanza militare e industriale, l'opera del-
r Istituto è intesa a tenere al corrente le levate mediante frequenti perio-
diche ricognizioni (vedasi § YIII).
Tanto i rilievi quanto le ric(^izioni vengono ad essere facilitati, ora
più che per il passato, da tutti gli elementi che il catasto, le ferrovie, le
amministrazioni, gli uffici tecnici ed i privati possono fornire. Così l' Istituto
Geografico si vale della preziosa opera di quello Idrografico per ricavare
dalle Carte di questo (le più rettificate) i movimenti che subisce la linea
di costa e per inserire, a mano a mano, nelle proprie tavolette costiere, le
curve batometriche di 2, 5, 10 e 20 metri.
Per tale modo, la reciproca cooperazione fra le varie istituzioni statali
va intensificandosi, con rilevante beneficio della cultura e dell'economia na-
zionale.
Sembrerebbe che l'attività dell'Istituto dovesse diminuire dopo la co-
stituzione della gran Carta al 100.000 ; per contro, essa diviene più intensa,
sollecitata com' è dalle urgenze che annualmente si manifestano da parte di
privati e di ammistrazioni civili, per non parlare di quelle d' indole militare.
Oltre la cartografia coloniale e la produzione di Carie derivate, di cui
si fa cenno in altri capitoli, si ponga mente alle necessità che si accentuano
nei grandi centri. Firenze, Venezia, Roma e Messina, ad esempio, in questi
ultimi anni, hanno commissionato all' Istituto il rilievo della città e dintorni
24 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMA8
a grande scala (1:5.000) per soddisfare alle esigenze del loro rapido pro-
gredire, sia per preordinare con piano regolatore lo sviluppo edilizio, sia
per la conveniente utilizzazione delle aree, per Tordinamento dei servizi,
per la distribuzione delle acque, ecc.
Tali rilievi furono naturalmente preceduti dalla misurazione di una
base e da un conveniente rafSttimento di rete. Per queste levate venne
usato il procedimento numerico (tacheometro Salmoiragbi), ed in parte la ta-
voletta pretoriana.
Ormai, la cartogitifia, presa a sussidio di ogni forma di attività, va
estendendo ogni giorno più i suoi beneficii, rendendo vieppiù intensa Topera
di questo Istituto.
3. Levate topografiche col fototeodolite. — Le impervie regioni di
frontiera, coperte di estesi ghiacciai, nelle quali il rigore del clima rendeva
difScile il prolungato soggiorno, non potevano essere rilevate col metodo or-
dinario, se non a prezzo di forti disagi e di un rilevante sacrificio di tempo
e di denaro. Pertanto, la Direzione, ancora prima del 1878, sollecitò il
comm. Pianini di perfezionare gli strumenti che già si studiavano in
Francia, per modo da consentire il loro pratico uso nel rilievo fotogram-
metrico.
Gli studi furono coronati da felice esito, affermato questo dal primo
grande saggio fatto col rilievo fotogrammetrico delle cave marmifere di Co-
lonnata (Carrara) alla scala dell' 1:25.000 (anno 1878).
Fu di poi, fra gli anni 1880 e 1885, eseguito il rilievo della Serra
dell'Argenterà, la più elevata cresta delle Alpi Marittime, nonché il rilievo al
50.000 del gruppo del Gran Paradiso.
Negli anni successivi 1887-1888, furono compilati due quadranti dei
fogli 6 e 7, « Passo di Spinga «; nel 1890, il Monte Cervino, del gruppo
del Monte Bosa; e finalmente, per non citare che i principali, il M. Viso
nel 1907-1908.
Una brillante applicazione avrà in seguito la fototopografia ogniqual-
volta arditi viaggiatori si spingeranno in regioni inesplorate, a forti altitu-
dini. Così, nella recente spedizione di S. A. B. il Duca degli Abruzzi, al-
l'Himalaia, con i preziosi elementi dalla spedizione raccolti nel suo breve
soggiorno, potè' essere concretato lo schizzo del ghiacciaio di Baltoro, corre-'
dato da panorami: documenti tutti di alto valore scientifico-geografìco.
Come si è accennato, spetta all'ingegnere Paganini il merito di avere
inventato strumenti pratici per ritrarre dei panorami, con precisa determi-
nazione del punto di vista, e per ricavare l'esatta posizione e l'altimetria dei
punti della prospettiva con operazioni materiali speditive, riducendo al mi-
nimo le operazioni di calcolo.
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 25
V.
Allestimento della gran Carta d'Italia al 100.000 a tratteggio
e successiva sua trasformazione in cromo.
1. Idee generali. — In conformità della legge 29 giugno 1875, per la
costrnxione della Carta topografica d*Italia alla scala di 1 : 100.000 (v. § II)
fa seguito il sistema di proiezione naturale o policentrica, limitando l'am-
piezza dei fogli entro trapezi rettilinei aventi per base lo sviluppo di 30' di
arco di parallelo e l'altezza corrispondente allo sviluppo di 20' di arco di
meridiano.
Fu inoltre stabilito di pubblicare di questa Carta fondamentale una edi-
zione in nero, con orografia a curve di livello, aventi l'equidistanza di 50
in 50 metri, e tratteggio a luce mista, artisticamente finita.
Nel sistema di proiezione prescelto, ciascun foglio risulta di forma tra-
pezia isoscele e costituisce una Carta topografica indipendente. Le lunghezze
dei lati furono limitate a quelle indicate, non solo perchè, senza errore grafico
sensibile, i lati stessi si possono considerare rettilinei (che anzi potrebbero
essere anche maggiori), ma perchè si volle limitare l'ampiezza dei fogli, per
possibilità e precisione di riproduzione fotomeccanica e per comodità di lettura.
La Carta al 100.000 risulta composta di 272 fogli (ai quali si devono
aggiungere altri 6 comprendenti il titolo, i segni convenzionali, i cenni sulla
formazione della Carta e l'elenco delle posizioni geografiche e delle altitudini
dei punti trigonometrici); è compresa tra 36^40' e 46^20' di latitudine boreale,
e fra 6® est e 6^ ovest di longitudine dal meridiano di Roma (Monte Mario),
scelto come meridiano d'origine.
2. Compilazione. — La compilazione dei fogli viene fatta alla scala di
1 : 75.000, allo scopo di poter disporre di maggiore spazio per introdurre i
particolari più importanti del terreno e, soprattutto, per trarre partito del
miglioramento intrinseco del disegno, che si ottiene passando ad una giusta
riduzione dell'originale mediante le riproduzioni fotonieccaniche.
Tali fogli risultano dalla riunione dei rilievi topografici, i quali, come
si è già detto, sono limitati dai meridiani e paralleli centrali dei fogli stessi.
Per formare quindi uno di questi fogli, occorrono 4 quadranti (rilevati
al 50.000) 0 16 tavolette (rilevate al 25.000).
Col procedimento di riproduzione fotozincografico si stampano le copie
dei rilievi in colore azzurro-cobalto molto leggero, cercando di mantenere
le dimensioni meglio che sia possibile. Queste copie passano agli ìncai'icati
di eseguire l'operazione detta di spoglio, che consiste nel ripassare in nero
tutte le linee, o segni, che si vogliono mantenere sulla Carta al 100.000.
26 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
Lo spoglio è dunque importantissimo per l'esattezza che richiede ; Tiene
eseguito, sui dati fomiti da coloro che hanno rile?ato il terreno al 25.000
0 50.000, da impiegati provetti, che sanno commisurare il numero dei parti-
colari da conservare alla loro importanza relativa e allo spazio disponibile
alla scala del 100.000.
Con la successiva riduzione fotozincografica al 75.000 dei quadranti e
delle tavolette di spoglio, non solo si ottengono i rilievi ridotti alla scala
voluta pel disegno, ma si raggiunge la eliminazione di tutti i particolari
non necessari al 100.000; perchè tutto ciò che è disegnato in azzurro-co-
balto, non si riproduce fotograficamente.
Dai tipi così ottenuti si stampano delle copie su una qualità di carta
che è detta da trasporto; la quale ha la proprietà che se calcata, quando
è ancora fresca della stampa, sopra un piano di sostanza atta alle operazioni
litografiche (pietra, zinco, alluminio), conserva un'impronta che può, mediante
un trattamento appropriato, utilizzarsi per una buona stampa lit(^rafica.
Le copie da trasporto sopra indicate, vengono disposte sopra un apposito
foglio sul quale è stato preventivamente tracciato il reticolato geografico e
fissata, mediante le coordinate, la posizione dei vart punti trigonometrici,
valendosi della trasparenza della carta per far collimare le linee ed i punti
corrispondenti.
Per questa parte di lavoro, denominata puntatura, sono necessarie molte
avvertenze per la delicatezza delle copie, e molto scrupolo per raggiungere
la necessaria esattezza di collimazione. Essa richiede im giusto criterio topo-
grafico, per concordare ed eliminare le discrepanze grafiche, dovute quasi
sempre a coefBcenti indipendenti dalla esattezza e precisione dei rilievi.
Il foglio cos) approntato, è consegnato ai torcolieri-litografi, i quali, con
le operazioni necessarie, lo calcano sopra pietra, zinco od alluminio, secondo
è richiesto, con molte avvertenze, per non alterare le dimensioni.
Dal tipo ottenuto si stampa accuratamente una copia, su di uno stagio-
nato e ben calandrato cartone da disegno, in tinta leggera azzunro-cobalto.
Questa copia è quella che viene consegnata agli artisti topografi i quali,
come diremo, procedono al disegno artistico del foglio al 75.000, e che prende
il nome di « foglio modello «.
8. Disegno, — Allorché l'Officio Topografico dell'ex-Beame di Napoli
si fuse con 1* Ufficio Tecnico del Corpo di Stato Maggiore, occorse di coor-
dinare le due scuole artistiche, per raggiungere un metodo uniforme di arte
topografica ; il che fu conseguito assai bene.
Nel 1875 vennero preparati i saggi dei segni convenzionali da adottarsi
per rappresentare tutti i singoli particolari esistenti, come pure quelli per
indicare le divisioni politiche ed amministrative, e per esprimere grafica-
mente la forma, l'altezza e le ineguali pendenze del terreno. I segni con-
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 27
^■^1^^^^— ^1^^-^^— ^i^^i^p»^»^— ^^^— ^^^^^— ^— ^■^— ^^^^^^— ^^^^^^— ^^^—^^^—^^^^^^.^^■^—1 I li^»^— ^
Tonzionali di oggetti naturali sono stati noteTolmente accresciuti nelle pro-
porzioni, per renderli efScaci airimmediato apprezzamento a vista ; e tutti
poi furono inseriti e disegnati in numero e forma tali da non riuscire offen-
sivi alla dote principale della Carta, che è la chiarezza.
Le curve di 50 in 50 metri rappresentano, con sufBcente esattezza geo-
metrica, l'orografia; nel mentre lasciano abbastanza spazio, per introdurre
il trattelo. Per i ghiacciai non viene usato il tratteggio : ma la loro rap-
presentazione plastica è ottenuta mediante una specie di • curve rappresen-
tative » ( « horizontal style » ) che consiste nel far risaltare le forme, interca-
lando fra le curve geometriche altre interrotte, più o meno ravvicinate e
robuste, secondo la maggiore o minore pendenza.
Per le rocce, gli scogli, i burroni, ecc., si adottarono metodi che appar-
tengono piuttosto al disegno di imitazione che al disegno proiettivo.
Compiuto il disegno dei particolari, delle scritture e delle curve di li-
vello, si eseguisce, lungo il perimetro, la indicazione del reticolato geogra-
fico ; il quale, mentre fa da cornice al disegno, permette di dedurre grafica-
mente la posizione geografica di qualsiasi punto segnato nel foglio.
Per alcuni fogli, e più precisamente per quelli che comprendono parte
dell'Isola di Sardegna, il foglio modello si deduce dai tre tipi fondamentali,
planimetria e scrittura, acque, curve, già esistenti separati, e che hanno
servito per la formazione della Carta policroma, della quale si dirà più sotto.
Dal foglio modello completato, come si è detto, viene tratto un tipo
fotozincografico, molto accurato per dimensioni e Chiarezza. Esso serve alla
stampa deir edizione senza tratteggio ; ma precedentemente, per prima copia
e con le opportune avvertenze, si trae un fac-simile del foglio modello, che
può essere eventualmente utilizzato per la riproduzione o compilazione di
Carte ad altra scala.
Il foglio modello originale viene quindi passato agli artisti tratteggiatorì.
L'impiego del tratteggio, ossia del sistema rappresentativo delle linee
di massima pendenza, in aiuto delle curve, s'imponeva non solo per aumen-
tare l'effetto plastico, ma per rappresentare tutte quelle ondulazioni del suolo,
che le curve stesse non potevano sufBcientemente definire.
Il lumeggiamento da adottarsi détte luogo a vive discussioni, perchè
si presentavano due sistemi ben differenti fra loro : e cioè quello geometrico
od a luce zenitale, e quello artistico od a luce obliqua, che più si avvicina
al vero. La controversia fu tanto maggiore, in quanto si avevano ottimi
esempi di luce zenitale in Germania ed in Austria, ov'era stata adottata la
proposta di Lehman; ma si avevano stupendi saggi di liuneggiamento a
luce obliqua nella Carta del Piemonte e nella Carta al 100.000 della Svizzera,
eseguita sotto la direzione del Dufour. Si concluse con l'adottare un lumeg-
giamento, che, per essere un contemperamento fra i due sistemi citati, fu
chiamato « a luce mista » .
28 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
■ ^> »
Così, dalla armouica fusione dei due sistemi, nacque un giuoco di luce
col quale l'osservatore rintraccia lo scheletro generale delle forme con mag-
giore efScacia che non con la sola luce zenitale, e la carta è resa intelligi-
bile anche alle persone non abituate a consultarla. Le difficoltà di esecuzione
sono però certamente aumentate, specialmente per ottenere un'intonazione
unica nei molti fogli, dovendo i divei*si artisti disegnatori tener conto della
altitudine, del pendìo, e della esposizione deirelemento da rappresentare.
La omogeneità dei lavori è ottenuta con Tuso della così detta « scala a trat-
teggio delle pendenze » e con un'unica direzione artistica.
Con il tratteggio, il foglio modello è completo, e si passa alla riproduzione
fotomeccanica. Il valore artistico della Carta dipende principalmente dalla
bontà degli originali, e precisamente dalle qualità a cui questi devono sod-
disfare: cioè precisione, chiarezza e armonia. Quando si pensa che ciascun
foglio originale risulta disegnato al minimo da tre artisti, uno per i parti-
colari, uno per le scritture, uno pel tratteggio, si rimane sorpresi della ca-
ratteristica omogeneità raggiunta nei 256 fogli pubblicati a tutt'oggi.
Di questi 256 fogli tratteggiati, 240 completano tutta la penisola Ita-
lica e la Sicilia, e 16 comprendono parte dell'isola di Sardegna. Mancano
quindi, a completare la pubblicazione, soltanto 15 fogli, di cui 6 compren-
dono il titolo, i cenni sulla formazione della Carta, ecc.
4. Riproduiioni, — Anteriormente all'invenzione della fotografia, il
tipo a scala eguale doveva essere fatto col lucido : e la riduzione e l'ingran-
dimento, 0 col sistema della quadrettazione, o col pantografo. I processi foto-
meccanici rappresentano un grande progresso nella riproduzione dei lavori
cartografici, ed hanno il pregio assoluto di conservare le dimensioni e di pro-
durre figure esattamente simili a quelle del disegno originale. Soltanto essi
consentono di ottenere rapidamente, ed a qualunque scala, dei tipi che hanno
le proprietà medesime delle matrici usate nelle già conosciute arti tipogra-
fiche, litografiche e calcogi'afiche.
L'Istituto, nei primi anni dei suoi lavori, e precisamente nel 1873, si
valse del procedimento eliotipico, i cui risultati lasciavano alquanto a desi-
derare. Nel 1875 ricorse alla fotolitografia, che in quel tempo era stata stu-
diata dal maggiore C. Castelli, e nel 1878 acquistò dal generale E. Avet
il processo di fotoincisione galvanica, per valersene nella riproduzione e nella
stampa della carta al 100.000.
La fotoincisione galvanica, sistema Avet, si basa sulla proprietà che ha
la gelatina bicromata, di diventare insolubile se esposta alla luce, per arri-
vare a tradurre in rilievo, sopra una lastra di cristallo, il disegno da ripro-
durre. Con soluzioni adatte, si rendeva lo strato gelatinoso buon conduttore
di elettricità, e, con la galvanoplastica, se ne faceva la riproduzione in rame.
Risultava così un rame galvanico inciso, per il quale era necessario sempre un
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 29
luogo ritocco da pai-te di abili artisti jncisori. Ed è qui giusto far coDOscere
come gli artisti incisori concorsero validamente al lavoro della Carta al 100.000,
col portare i rami dalla fotoincisione alla voluta perfezione, mediante gene-
rali ritocchi ; armonizzando completamente il disegno, fino ad ottenere, nella
stampa, un risultato conforme al modello.
Attualmente, la fotoincisione galvanica, sistema Avet, è sostituita con
quella chimica, sistema Gliamas, la quale si fonda sull'altra proprietà della
gelatina bicromata, di essere permea})ile ai liquidi corrosivi in rapporto in-
verso al suo spessore, che nei vari punti è proporzionale alla quantità di
luce che li colpì.
Questo sistema, adottato dalllstituto nel 1905, consiste in un processo
di fotoincisione chimica, dovuto a studi personali dell'allora colonnello Glia-
mas, capo del servizio fototecnico, attualmente Direttore dell' Istituto Geogra-
fico, e che, mentre sostituisce il processo Avet, dà anche la riproduzione delle
mezze tinte; processo riconosciuto ottimo per compiere, con rapidità ed eco-
nomia, la pubblicazione del 100.000 policromo, con l'orografia a sfumo.
Deir originale da riprodurre viene eseguito un negativo a collodio umido,
esattamente alla scala del 100.000, e da questo si trae un positivo sopra
lastra al cloruro di argento, che riproduce esattamente anche i più piccoli par-
ticolari. Sotto a questo positivo si espone il rame già accuratamente prepa-
rato, con uno strato di gelatina bicromata. L'esposizione viene giudicata
con un fotometro, e, quando è considerata sufSciente, si passa alla cor-
rosione.
Con questo procedimento il tipo inciso è ottenuto facilmente in qua-
lunque stagione ed in poche ore: lo si può usare per qualunque genere di
lavoro, sia cioè a tratti, sia a mezze tinte continue ; solo che, in questo se-
condo caso, è conveniente dare al rame, mediante una leggera punteggiatura
di resina fusa, una granitura di finezza proporzionale al dettaglio delle
mezze tinte, tanto per determinarvi dei punti di riserva, e spezzare la con-
tinuità delle tinte.
Oltre a questo procedimento di riproduzione per l'allestimento dei tipi
in rame delle Carte al 100.000, Tlstituto usa largamente un procedimento
di riproduzione fotozincografico, sia per la preparazione di tipi provvisoii,
sia per Tallestimento dei tipi dei quadranti e delle tavolette di campagna,
che, per gli usi a cui devono soddisfare e per il minor tiraggio cui devono
essere sottoposti, non richiedono un procedimento più accurato e costoso.
5. Trai formazione, — La Carta al 100.000 fotoincisa col sistema Avet,
e stampata in nero come le Carte corrispondenti della Francia (1 : 80.000),
dell'Austria (1:75.000), della Svizzera (1:100.000) e dell* Inghilterra
(1 : 63.860). fu giudicata un lavoro cartografico pregevole, sia come rappre-
sentazione geometrica, sia come prodotto artistico.
BO GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
La sua pubblicazione, il cui inizio rimonta al 1878, costituì un pro-
gresso notevole, giacché in essa per la prima Tolta si sostituì un procedi-
monto fotomeccanico al lavoro lento e dispendioso dell* incisione in rame.
Ma col progredire incessante delle arti gi-afiche, derivato specialmente
dalle numerose applicazioni della fotografia, oltre ai numerosi vantaggi tecnici
ed economici che tali processi promettevano, non tanto per la costruzione,
quanto per la riproduzione delle Carte, si andò formando il convincimento
che essi avrebbero potuto consentire altresì la stampa a più colori che, molto
meglio di quella a tinta unica, avrebbe fatto conseguire notevoli migliora-
menti intrinseci alla cartografia, specie nella chiarezza e nella facilità di
lettura. L*uso dei colori doveva infatti permettere di differenziare meglio le
varie categorie dei particolari naturali, e di rappresentare con maggior evi-
denza il terreno, poiché, alla rappresentazione dell'orografia fatta col trat-
teggio, avrebbe, con maggiore evidenza, potuto sostituirsi una ombreggiatura
a pastello alla quale non fosse tolto il fondamento geometrico delle curve.
Infine si comprendeva che miglioramenti di tal genere avrebbero, come na-
turale conseguenza, generalizzato l'uso e la comprensione della cartografia
ufficiale, anche a coloro, cui, o per mancanza di esercizio nella consultazione
delle Carte, o per difetto di cognizioni necessarie alla interpretazione di esse,
non riusciva famigliare Vesatta corrispondenza di quelle stampate in solo
nero col terreno.
Ma gravi difficoltà, e di vario genere, s'incontrarono per definire il pro-
cesso da adottarsi per la riproduzione di Carte policrome : tanto che, sebbene
fin dal 1873 il riparto fototecnico siasi sempre occupato di studi e di espe-
rimenti tendenti a conseguire il desiderato intento, dovettero trascorrere
molti anni prima che il progresso delle arti grafiche fosse in grado di con-
sigliare Tadozione di un sistema conveniente. Tuttavia, quale risultato par-
ziale di tali studi, conviene ricordare la pubblicazione di una parte della
Carta dltalia al 100.000, a tre colorì, con Torografla a pastello mediante
una mezza tinta eseguita direttamente su pietra con matita grassa : processo
che fu poi abbandonato, poiché, com*è noto, il pastello litografico, ossia il
chiaroscuro ottenuto su pietra granita, ha il grave inconveniente di alterarsi
dopo un certo numero di tirature.
Una grande facilitazione alla risoluzione del problema fu portata dalla
adozione del procedimento di fotoincisione, sistema Oliamas, poiché, come si
é già detto, oltre alla riproduzione dei disegni a tratto, esso permette altresì
quella delle mezze tinte. Tale sistema, adottato nel 1905, quando mancavano
soltanto 30 fogli della Sardegna a completare la pubblicazione della Carta
d'Italia al 100.000 in nero ed a ti*atteggio, permetteva di usufruire di tutto
il numeroso materiale, per tale lavoro raccolto, per l'allestimento, senza
grave dispendio, di una nuova edizione policroma, a sfamo, della Carta stessa.
Ed infatti da tale anno in poi fu stabilito di procedere alla trasformazione
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. ^1
in cromo della Carta fondamentale, traendola dai fac-simili di questa scom-
posti in tre rami, uno per le acque, uno per la planimetria e scritture, ed
uno per l'orografia a sfumo, e provvedendo per i fogli al 100.000, non an-
cora allestiti, alla loro pubblicazione nell'edizione policroma.
Per i fogli dei quali non si possiedono i fac-simili (Italia meridionale
e Sicilia), si deve procedere al ridisegno per la formazione dei tre tipi.
La pubblicazione della Carta d'Italia al 100.000 nell'edizione poli-
croma a sfumo, che è quella che oggi meglio soddisfa alle esigenze di chi
è chiamato a servirsi di Carte topografiche, non arrestò quindi il regolare
proseguimento della edizione, che potremo chiamare classica, in solo nero e
con Forografia a tratteggio, e che può dirsi, come abbiamo visto, compiuta,
poiché mancano solo 11 fogli della Sardegna, però già pubblicati in cromo.
La nuova edizione policroma, oltre a soddisfare assai meglio alle esi-
genze cartografiche attuali, presenta sulla Carta a tratteggio il grande van-
taggio di facilitare e rendere possibile all'Istituto, con i mezzi dei quali può
disporre, la sua tenuta al corrente.
Infatti si comprende facilmente quali immense difBcoltà si incontravano
per introdurre varianti, anche minime, sui rami della Carta a tratteggio,
poiché occorreva raschiare per il tratto necessario un certo numero di par-
ticolari, per poi, con un lavoro lento e preciso di bulino, procedere all'inci-
sione dei nuovi ed all' inserzione ed al raccordo dei preesistenti, dei quali
non si aveva più traccia. Con ciò, il vanti^gio di tempo e di lavoro che
erasi conseguito inizialmente con Tallestimento fotomeccanico dei rami, veniva
totalmente perduto per un simile lavoro, senza contare che la continua rettifi-
cazione avrebbe portato a consigliare per alcuni rami, in riguardo al lavoro
ed alla spesa, la riproduzione fotomeccanica di nuovi originali.
L' Istituto, tuttavia, per molto tempo provvide alla loro tenuta al cor-
rente, che ora non é più possibile, a meno di compromettere il valore arti-
stico della Carta e di molti rami, poiché le sensibili e numerose modifica-
zioni, portate alla superficie del suolo dall'attività nazionale con il suo rapido
sviluppo nelle industrie, nel commercio e nell'agricoltura, vanno continua-
mente estendendosi a presso che tutto il territorio del Regno.
La Carta in cromo, invece, permette la modificazione di uno dei tre ori-
ginali di ciascun foglio senza il pericolo di modificare la posizione relativa
dai particolari. Cosicché la rettificazione é ora limitata a questa Carta della
quale sono pubblicati ben 183 fogli. Tale rilevante produzione ottenutasi in
pochi anni, depone a favore della rapidità del sistema adottato, il quale cer-
tamente consentirà fra non molto di completare questa Carta, che, sotto un
abbigliamento più fresco e più consono ai tempi, é sempre in sostanza una
riproduzione della grande e poderosa opera dell* Italia nuova: la Carta al
100.000.
82 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
VI.
Le altre Carte d'Italia a scale minori.
1. Carte corografiche. — Alla proclamazione del Regno d'Italia,
come si è già detto, si provvide alle prime necessità con la pubblicazione
delle Carte dell' Italia superiore e media al 600.000 (anno 1865, in sei
fogli), e con quella delle Provincie meridionali al 640.000 (anno 1861, in
quattro fogli).
Nel 1870, dopo Tannessione di Roma, si senti più vivo il bisogno di
nna buona Carta generale corografica che rappresentasse ad una stessa scala
tutto il territorio dello Stato. Gli studi già iniziati nel 1878, avevano con-
dotto alla pubblicazione di qualche foglio (Sicilia), quando, cambiati i con-
cetti di compilazione, si iniziò nel 1883 la prima edizione della Carta al
500.000 (in 35 fogli) che apparve nel 1886, e fu apprezzata anche alVestero
con lusinghieri giudizi.
Non essendo però, a quel tempo, ancora ultimati i nuovi rilievi, fu neces-
sario, nella costruzione della Carta al 500.000, di ricorrere, per alcune regioni,
alle vecchie Carte. Le numerose varianti, derivate dai nuovi rilievi e dalle
ricognizioni di campagna, consigliarono nel 1900 di procedere ad una nuova
pubblicazione di detta Carta, per la quale si poterono adottare, con sicuro
beneficio, i procedimenti Gliamas, dei quali si è tenuto parola. La nuova
pubblicazione è comparsa in due edizioni : una con la rappresentazione del-
Forografia, e Taltra con la sola planimetria.
Contemporaneamente ai lavori per la prima edizione della Carta al
500.000, r Istituto attese alla compilazione di altre due carte corografiche,
quella dXl.000.000 in sei fogli e quella ilYSOO.OOO, che, derivate essen-
zialmente dalla suddetta, poterono essere pubblicate nel 1885 e che corri-
spondono tuttora, per i pochi lavori di rettificazione che richiedono, allo
scopo per il quale furono costituite.
Nel 1905, soddisfacendo ad un voto replicatamente espresso dagli stu-
diosi e manifestato in seno ai congressi geografici, l'Istituto attese all'alle-
jBtimento di una nuova Carta corografica all' 1 : 200.000 in edizione policroma
a sfumo, a sei colori. Questa Carta, tuttora in corso di pubblicazione, con-
forme ad un quadro d' unione che comprendeva in origine 91 fogli di P di
longitudine per 40' di latitudine, rappresenta quanto di più perfetto, sia
rispetto al conteuuto, sia in merito ai processi cartografici, l'Istituto possa
disporre per una pubblicazione che, oltre agli usi civili, deve rispondere
anche a necessità d'ordine militare. I lavori, spinti con molta alacrità, por-
teranno, fra non molto, alla completa pubblicazione dell'intera Carta, a mal-
grado che siano in corso studi per la semplificazione dei segni convenzionali,
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. ^3
6 si sìa già stabilito di estendere maggiormente la rappresentazione del
terreno a territori degli Stati confinanti, in modo che la Carta rerrà a risul-
tare di 102 fogli, anziché di 91.
2. Carta ipsometrica. — Utilizzando la planimetria dell'anzidetta
Carta corografica al 500.000, l'Istituto ha altresì pubblicato una Carta ipso-
metrica, valendosi, per essa, dello spoglio di curve che fu intrapreso dagli
ufficiali allievi della scuola di guerra, e provvedendo soltanto alla forma-
zione dei tipi ed alla stampa.
Su questa Carta sono tracciate le isoipse opportunamente scelte e di-
stinte con tre tinte diverse, e con diversa intensità le varie zone ipsome-
triche. La pubblicazione di questa Carta che doveva comprendere 35 fogli,
si è arrestata ai 25 fogli comprendenti l'Italia continentale e la Sicilia, e
risultò particolarmente accetta agli studiosi di geografia per le indagini sta-
tistiche ed orometriche, quantunque non sia esente da qualche pècca, essen-
zialmente dovuta al procedimento seguito nella sua compilazione.
8. Carta scolastica. — Accogliendo un voto espresso già dal congresso
di Firenze, l'Istituto Geografico Militare ha pure allestito una pubbli-
cazione cartografica di interesse didattico, la quale, sebbene riservata princi-
palmente alle scuole militari del Segno, riuscì utile agli istituti d'istru-
zione in genere, tanto elementari quanto secondari.
Questa Carta scolastica di tipo murale, in 12 fogli, delle dimensioni
complessive di 2 metri per 2 metri, alla scala di 1 : 750.000, comprende,
oltre i territori del Begno, le regioni adiacenti fino al parallelo di Parigi
a nord e, rispettivamente, i meridiani di Parigi e Belgrado a ovest e ad est.
Ne furono fatte due distinte edizioni, una con speciale riguardo alla
configurazione fisica del suolo, l'altra destinata specialmente a rappresentare
gli elementi antropogeografici (circoscrizioni politiche, abitati, vie di comu*
nicazione, ecc.). S'intende, tuttavia, che ciascuna edizione contiene gli ele-
menti principali dell'altra.
La rappresentazione orografica fu ottenuta, in ambedue i tipi, con il
sistema di fotoincisione Gliamas.
Per la compilazione di questa Carta scolastica, l'Istituto si valse dei
più sicuri elementi esistenti e si attenne, per quanto riguarda la divisione
dei gruppi montani e la terminologia geografica, ai testi più accreditati e ai
voti espressi nei congressi geografici.
Con la sua pubblicazione, la prima del genere alla quale si è accinto,
l'Istituto ha contribuito airinsegnamento geografico nelle nostre scuole.
4. Carte spedali. — Comprendiamo sotto questo titolo le seguenti
pubblicazioni :
G. Celobia - Gliamas. — Triangolazione geodetica^ ecc. 8
S4 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
1) Carta della circoscrizione militare del Segno alla scala di 1:1.200.000,
in dae fogli, in cromolitografia.
2) Carta itineraria del Regno d'Italia alla scala di 1 : 300.000, in 26
fogli, a tre colori.
3) Carta delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione del Segno
dltalia, alla scala di 1 : 1.000.000, in due fogli.
La prima risponde essenzialmente ad esigenze di ordine militare. La
seconda, che ha carattere essenzialmente schematico, in unione:
a) al dizionario dei comuni del Regno;
b) al prontuario dei più brevi percorsi fra i capoluoghi di provincia ;
e) alla tavola polimetrica,
provvede ad una reale necessità dei comandi e d^li uffici dipendenti dal-
l'anuninistrazione della guerra, ma può tuttavia riuscire di utile consulta-
zione per le amministrazioni pubbliche e per i privati.
Della Carta delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione, è uscita nel
gennaio del corrente anno una edizione, compilata col concorso della Dire-
zione generale delle ferrovie dello Stato, completamente rettificata.
VII.
Lavori geodetici e cartografici per le Colonie.
1. eritrea. — A) Lavori geodetici. Dall'epoca in cui avvenne
l'occupazione di Massaua, ossia dal 1884, fu sentito il bisogno di avere una
Carta del territorio di occupazione ; ma, date le condizioni in cui si trovava
allora tutta la regione fra Massaua e Saati, non poterono essere subito ini-
ziati i lavori di triangolazione occorrenti per la formazione di una Carta
topografica a scala relativamente grande.
Dopo la spedizione S. Marzano, Taccennata necessità si fece maggior-
mente sentire per Fallargamento dei confini della nostra occupazione, e, alla
fine del 1888, s'iniziarono i lavori geodetici. Occupata poi TAsmara e tutto
il territorio fra l'altipiano di Cheren, i lavori intrapresi vennero spinti anche
su queste regioni; ma soltanto nel 1896 fu provveduto ad una misura di
base nella pianura di Gura, con la quale vennero calcolate le dimensioni
lineari di tutta la triangolazione fino ad allora compiuta, nonché di tutte
quelle eseguite negli anni successivi fino al 1907.
La triangolazione è stata considerata sull'ellissoide di Bessel orientato
a Massaua, nella direzione dell' isola di Dissei.
Nel 1907, r Istituto, allo scopo di utilizzare anche gli accennati lavori
nelle ricerche di alta geodesia, ebbe cura di far collocare nel porto di Mas-
saua un mareografo tipo Tompson e di fare eseguire una livellazione di pre-
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 35
eisione sulla lìnea Massaua-GhiDda. Nel 1908 poi, fece eseguire stazioni
astronomiche di latitudine e di azimut nei due punti Zagher e Tacarai, per
costruire il profilo del geoide lungo il meridiano centrale della colonia.
B) Lavori cartografici. Avvenuta l'occupazione di Massaua, l'Isti-
tuto, per soddisfare alle prime esigenze, attese alla compilazione di una
Carta corografica dimostrativa delle regioni comprese tra Massaua^ Che-
ren, Assum ed Adigrat, in 4 fogli al 250.000, che fu pubblicata a tre
colorì nel 1885, cercando di utilizzare tutti i documenti editi ed inediti
che fu possibile consultare ; ma che fu in seguito sostituita da pubblicazioni
migliori.
Contemporaneamente fu iniziato un rilevamento topografico delle adia-
cenze immediate di Massaua, alla scala di 1:10.000, esteso poi nel 1889
ad una zona adiacente alla linea MassauaSaati. Nell'anno seguente venne
incominciata una generale levata del territorio della colonia, alla scala di
1:50.000, appoggiandosi alla regolare triangolazione geodetica di cui si è
già parlato. Le operazioni di rilevamento rimasero poi sospese; e solo nel
1896 furono riprese secondo un piano stabilito, per il quale la Carta topo-
grafica della colonia doveva estendersi, presso a poco, tra i paralleli boreali
14*20' e 16*0', ed i meridiani 87» 40' e 40^0' a est di Greenwich.
Le nuove levate furono eseguite alla scala di 1 a 100.000, che si ri-
conobbe sufficiente per quei territori.
Alla stessa scala furono ridott-e anche le levate anteriori, in modo da
risultarne una Carta omogenea che fu poi riprodotta in cromolitografia a 4
colori, in 35 fogli.
La primitiva Carta al SO.OOOy formata dalla riproduzione dei rilievi
regolari compiuti negli anni 1888-89-90-91, viene periodicamente rettifi-
cata in base alle ricognizioni eseguite sul terreno da ufficiali del Corpo
Coloniale ed a documenti vari trasmessi dal Comando del Corpo stesso.
Anche notevoli correzioni toponomastiche vi furono introdotte, sìa in conse-
guenza delle suddette informazioni, sia per effetto di una minuta revisione
eseguita dal capitano di Stato Maggiore cav. Verri. Le correzioni eseguite
sugli originali portarono ad una ristampa, nel 1909, di 12 fogli (quelli più
in uso), rimanendosi in attesa di altri documenti prima di pubblicare una
nuova edizione dei fogli rimanenti.
La Carta ad 1:100.000 in 35 fogli, anch'essa tenuta al corrente con
le stesse norme dette per la Carta al 50.000, è stata ristampata nel 1909,
dopo ohe, per desiderio espresso dal Comando del Corpo delle truppe colo-
niali, furono portate opportune varianti ai segni convenzionali.
Con la pubblicazione di questa Carta, simile in tutto alle Carte ana-
loghe che si hanno per gli Stati Europei, ma con quelle modificazioni ed
aggiunte consigliate dagli speciali caratteri della regione, Tltalia ha portato
un contributo notevole alla descrizione geografica del continente Africano.
36 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO OLIAMAS
Infatti, pochissime altre regioni dell* Africa possono vantare di possedere una
rappresentazione cartografica degna di starle a confronto.
Mentre venivano condotte le operazioni di rilevamento, fa pare ricono-
sciuta la necessità di possedere per tutta quella parte deirAfrica, che, pur
non essendo compresa entro i limiti della nostra Colonia, presenta con questa
relazioni di attinenza, una Caiia corografica generale, capace di fornire la
rappresentazione quale a noi risultava da tutti i documenti grafici e descrit-
tivi, editi od inediti, che potevano essere utilizzati.
Ad un tale intento corrispose la Carta dimostrativa^ della Colonia
Eritrea e delle regioni adiacenti j alla scala di 1:400.000^ della quale fu
iniziata la pubblicazione nel 1897. Questa Carta, in 30 fogli, comprendeva
tutta la zona dell'Africa Orientale che si estende dal meridiano 36^ (Green-
wich) alla costa del Mar Bosso e che è compresa fra i paralleli 11® e 16®
di latitudine Nord, meno per la zona che resta ad Ovest del 40** meridiano,
la quale invece è limitata a Sud dal 17® parallelo.
Per la costruzione di questa Carta furono utilizzate le levate regolari
della Colonia Eritrea, le osservazioni astronomiche e geodetiche ed idrogra-
fiche della Marina italiana e di quella inglese, i rilievi dello Stato Mag-
giore egiziano e di quello inglese (spedizione contro Teodoro), la triangola-
zione del D*Abbadie, ed in genere tutti i lavori geodetici e cartografici,
nonché le monografie descrittive redatte dai viaggiatori di ogni nazionalità
che percorsero ed illustrarono quella regione. Per alcuni fogli poterono essere
anche utilizzati schizzi e rilevamenti di regioni inesplorate (quale ad esempio
r Aussa), estuiti dai nostri ufiRciali e rimasti tuttora inediti ; onde la Carta,
non solo costitm'sce una rappresentazione organica e complessiva della regione
considerata, quale risulta da un numero grandissimo di altre pubblicazioni
esistenti, ma per talune parti essa è documento originale che viene ad arric-
chire le nostre cognizioni geografiche intorno alle regioni limitrofe dell'Etiopia.
La carta dimostrativa della Colonia Eritrea e regioni adiacenti con-
stava, come fu detto, di 30 fogli, ciascuno dei quali rappresenta un trapezio
di 1® di latitudine per 1® di longitudine. Essa era stampata in cromolito-
grafia, a 4 colori: si provvide alle sua tenuta al corrente, curando che nelle
nuove edizioni di ciascun foglio fosse tenuto debito conto di ogni nuovo dato
che modificasse o completasse quelli già esistenti, finché nel 1909 venne
preparata la nuova edizione riveduta e in gran parte rifatta, la quale, a dif-
ferenza della edizione precedente limitata a Nord al 16® parallelo, si estende
fino al 18® parallelo, in modo da comprendere l'intera Colonia, ed è suddivisa
in 12 fogli, corrispondenti ciascuno ad un trapezio di 2® nel senso delle
longitudini e delle latitudini, più due mezzi fogli a sud.
Per completare l'enumerazione delle pubblicazioni cartografiche della
Colonia Eritrea, occorre accennare alla Carta dimostrativa della Colonia
Eritrea e delle regioni adiacenti, alla scala di 1:500.000 j in 4 fogli, in
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 37
cromolitografia, a sei colori, compilata dal Corpo di Stato Maggiore e pub-
blicata nel 1898-99, in base ai documenti allora esistenti, e successivamente
rettificata.
Tale Carta, che ha sopperito alle prime necessità, verrà sostituita nel-
Vuso da quella al 400.000 già accennata, questa maggiormente si presta
alla rettificazione.
Per analoga ragione si ritiene ormai inutile accennare alla Carte dimo-
strative ed agli schizzi dimostrativi e itinerari, dei quali si conservano i
tipi per una eventuale riproduzione, ma che non sono più pubblicati perchè
compresi nei rilievi regolari.
2. Somàlia. — L'Istituto, che già sino dai primi tempi deiroccupa-
zione di Massaua era stato chiamato a portare il contributo dell'opera propria
neir interesse della cartografia del nuovo possedimento coloniale, non aveva,
invece, avuto occasione sino ad ora di adoperarsi a vantaggio della carto-
grafia della Colonia della Somalia. Tranne infatti la compilazione di una
Carta dei possedimenti e protettorati europei nella Somalia alla scala di
1 a 2.500.000 e una Carta del territorio da Ras Casar alla foce del
Giuba (1:4.000-000), pubblicate per conto del Ministero degli Affari Esteri,
valendosi, oltre che dei documenti cartografici già esistenti, in parte anche
di elementi inediti, l'Istituto nulla aveva ancor fatto nell'interesse di quella
vasta e promettente Colonia.
Anche in questo campo, esso ha ora iniziato efScacemente la propria
attività.
Di concerto col Ministero degli Affari Esteri e con la Società Geo-
grafica Italiana, si è intrapresa presso l'Istituto la compilazione di una Carta
generale della Somalia meridionale alla scala di 1:200.000> Questa Carta,
che, allo stato attuale delle nostre cognizioni — limitate, può dirsi, alla sola
costa, ove per cura del Begio Istituto Idrografico si eseguirono già determi-
nazioni astronomiche e levate parziali — , potrebbe sembrare prematura, ser-
virà di orditura fondamentale per inquadrarvi le nuove determinazioni topo-
grafiche che verranno successivamente eseguite.
Mentre poi si attende che le condizioni politiche dell'Etiopia permettano
la materiale determinazione, sul terreno, dei confini tra l'Etiopia medesima
6 la Somalia italiana — determinazione che dovrà essere compiuta, per quanto
riguarda le operazioni metriche, da operatori dell'Istituto, e che frutterà
perciò un contributo notevolissimo, anche dal punto di vista topografico e
cartografico, alla esplorazione di regioni ancora oggi fra le più sconosciute
del continente africano — una missione geodetica topografica è stata inviata
recentemente al Benadir coirincarico di eseguire levate parziali, alla scala
di 1:100.000, della regione della Goscia e della valle inferiore deirUebi
Scebeli ove si trovano le concessioni agricole già accordate o da accordarsi
38 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
a coltivatori europei. Queste levate verranno eseguite appoggiandosi ad una
regolare rete trigonometrica di cui si deriveranno le dimensioni da un'appo-
sita base e della quale si stabiliranno le coordinate con riferimenti astrono-
mici. Sarà questo il primo lavoro di cartografia positiva della Somalia che
verrà a suo tempo ad inquadrarsi nella Carta generale di sopra accennata.
Intanto l'Istituto non trascura di apportare sugli originali e sui tipi
delle Carte già esistenti tutte quelle perfezioni, in riguardo alla loro retti-
ficazione, ricavate da documenti che pervengono dall'Ufficio coloniale, con la
maggior possibile sollecitudine, perchè, ad ogni richiesta, le nuove stampe
risultino, per quanto è possibile, al corrente.
Vili.
Revisione e tenuta al corrente della cartografia del Regno
e coloniale.
1. Le Carte edite dall'Istituto, perchè rispondano al loro scopo, devono
essere sottoposte ad una continua opera di revisione e di rettificazione ten-
dente alla più perfetta tenuta al corrente di esse, in modo che vi sia sempre
mantenuta la esatta rappresentazione grafica del suolo con tutto quanto ha
subito trasformazione dall'epoca del rilievo che servì di base alla sua costru-
zione od è il risultato di nuove opere dovute all'incremento continuo della
agricoltura, dell'industria, del commercio, e frutto dell'ingegno e deiroperosità
umana.
A questo compito importantissimo l'Istituto ha, in ogni tempo, rivolto
le più assidue cure : e, se il risultato non fu sempre raggiunto completamente,
lo si deve a ragioni di tempo e di spesa ed alla considerevole mole di lavoro
occorrente, sia per procurarsi tutti gli elementi necessari all'uopo, sia per con-
cretarli sui numerosi originali e tipi delle Carte che formano il nostro gran-
dioso patrimonio cartogi*afico.
D'altra parte era necessario, prima di tutto, che l'Istituto impiegasse le
sue maggiori energie nella esecuzione dei rilievi regolari in quelle regioni del
Regno, per le quali, o non si avevano affatto Carte geometriche, o quelle esi-
stenti erano, a causa della loro imperfezione od anzianità, non rispondenti
neppure lontanamente alla giusta chiara e completa rappresentazione del ter-
ritorio che comprendevano.
Prima ancora che venisse organizzato un vero e proprio servizio di rico-
gnizioni sul terreno, per la tenuta al corrente delle nostre Carte, è sempre
stata cura di coloro che sopraintesero alla direzione del servizio cartografico
in Italia, di provvedere nel miglior modo possibile alla rettificazione delle
Carte stesse, mediante ricognizioni più o meno particolareggiate sul terreno.
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 39
■ III -^— ^^ ^— ^— .^— ^— ^
continuando l'opera, e vieppiù perfezionandola, che avevano intrapresa gli uffi-
ciali dei vari Stati, i quali, prima della unificazione italiana, si occuparono
della cartografia.
Già fino dal 1868, nelVintento di compilare una Carta al 25.000 delle
Provincie napoletane, TUfiScio Tecnico del Corpo di Stato Maggiore fece ese-
guire, da ufBciali e mappatori dello stesso, un'accurata ricognizione della rete
stradale a fondo Artificiale di quelle Provincie.
Questa ricognizione venne eseguita sulle stampe della Carta alla scala
di 1 : 103.680 circa, detta « delle Provincie continentali dell'ex-Beame di
Napoli », costruita, sugli elementi di quella dello Zannoni, dagli ufficiali au-
striaci occupanti il Beame dopo la rivoluzione del 1821 ; la quale Carta poi
servì di base alla compilazione di quella al 250.000.
Decretata con apposita legge (agosto 1862) la formazione di una Carta
delle Provincie meridionali mediante i rilievi al 50.000, si pensò anche a
provvedere in modo sollecito di una migliore Carta le regioni settentrionali
dltalia, al fine di colmare la lacuna che pur troppo verificavasi, in attesa
di altra pubblicazione più rispondente ai tempi.
Per &r fronte alle esigenze del momento, venne intrapresa la rettifi-
cazione dei tipi della Carta del Piemonte alla scala di 1 : 50.000, la migliore,
per scala e precisione, che allora si possedesse : ed a tale uopo, negli anni
1874 e 1875 si es^uì una rìcognizione sulle stampe dei fogli di detta Carta
per la viabilità principale e secondaria e per altri particolari di maggiore
importanza, nonché per la toponomastica.
Per quanto fino dal 1875 Tosse già approvata dal Parlamento la forma-
zione di una Carta al 100.000 a tratteggio, dell'Italia intera, da costruirsi
sulla base di rilievi regolari, pur tuttavia era duopo attendere non poco,
prima che essa diventasse un fatto compiuto, giacché i soli rilievi richiede-
vano una lunga serie di anni per la loro esecuzione, che doveva essere prece-
duta dalle necessarie operazioni di triangolazione ; ed un tempo non indifferente
occorreva per il disegno e la rìproduzione degli originali della Carta stessa.
Però, mentre fino allora si ei-a pensato per le Provincie napoletane e
per il Piemonte, poco o quasi nulla si era fatto per il Lombardo- Veneto, per
la Toscana e per lo Stato Pontificio.
Nel 1876 si pensò di trarre profitto della Carta austriaca air86.400 per
la pubblicazione di fogli al 75.000 di quelle regioni, e nelFanno stesso si
iniziarono i lavori di una abbastanza dettagliata ricognizione sui fogli di
detta Carta ingranditi alla scala del 75.000. Detta ricognizione fu continuata
nel 1877 e portata a compimento nel 1878; cosicché nel 1879 si pubblicò
una edizione, se non completamente al corrente, almeno in condizioni abba-
stanza rispondenti ai bisogni a cui la Carta doveva servire.
Altri notevoli lavori di ricognizione si eseguirono contemporaneamente
i precedenti e negli anni successivi.
40 GIOVANNI CBLORIA - ERNESTO GLIAMAS
Vanno ricordati quelli del 1878 nelle Provincie della Basilicata, Sa-
lerno, Benevento; degli anni 1879 e 1880 nelle Puglie e Catanzaro; e quelli
del 1883 nelle Provincie di Chieti, Aquila e Campobasso, eseguiti sulle
copie dei rilievi al 50.000. Essi furono anteriori al disegno dei fogli mo-
dello della Gran Carta al 100.000 a tratteggio, i quali, per conseguenza,
poterono essere pubblicati in buonissimo stato di rettificazione.
Nel 1895 si intraprese la ricognizione generale della Sicilia, che con-
tinuò nel 1896 e fu completata nel 1897. Essa fu eseguita parte sugli in-
grandimenti al 25.000 delle levate al 50.000, e parte su le copie stesse al
50.000 ; e le varianti od aggiunte furono tanto numerose che consigliarono un
ridisegno degli originali, al 50.000, di tutta risola.
Negli anni successivi ebbero luogo altri importanti lavori di ricognizione,
quasi sempre parziali, riguardanti le principali vie di comunicazione ed i
particolari di maggiore importanza, nonché la toponomastica. Essi furono mag-
giormente accurati per le zone di teiTeno di frontiei^a, per quelle dì maggiore
importanza militare, e nelle quali sì dovevano svolgere viaggi d*istruzione,
manovre e grandi esercitazioni annuali, e infine per quelle di cui si possedeva
un numero considerevole di informazioni riguardanti le variazioni avvenute
sul terreno dopo l'epoca dei rìlievi.
Così, mentre le ricognizioni contribuivano validamente al miglioramento
delle nostre Carte maggiori, esse servivano altresì alla correzione delle Carte
minori, ma non meno interessanti, quali la Carta al 25.000 degli ex Stati
Sardi, quella al 25.000 dei dintorni di Napoli, quella al 600.000 dell'Italia
superiore e centrale, e quella itineraria delle provincie meridionali al 640.000,
che poi vennero tolte dalla vendita perchè sostituite da altre più perfe-
zionate.
In massima, le ricognizioni, da una ventina di anni ad oggi, si sono ese-
guite parziali ; vale a dire per quei soli particolari planimetrici dei quali si
avevano notizie, e per quelli di cui tali informazioni si raccoglievano sopra-
luogo dalle autorità più indicate all'uopo.
Oltre agli elementi topografici non considerati nelle ricognizioni, molti
fra questi poterono facilmente sfuggire, per varie ragioni, alla ricerca degli
operatori ; e per conseguenza, i risultati di questo lavoro, per quanto buoni, non
portarono ad ima completa rettificazione delle Carte.
Tuttavia, in alcune campagne di ricognizione, nelle quali il tempo ed i
mezzi disponibili non difettarono, i risultati furono assai soddisfacenti. Fra
queste vanno ricordate quelle degli anni 1894-95-97-1900-902-903, nelle
quali il terreno fu meglio esaminato dai riconoscitori cui era afiìdato Tincarico
di raccogliere ed accertare il maggior numero di elementi possibile.
Dal 1908, questo servizio è stato ancor meglio organizzato, facendo
eseguire esclusivamente delle ricognizioni generali e per fogli interi, e pre-
scrivendo che l'operatore percorra minutamente tutto il terreno rappresentato,
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 41
per controllare scnipolosamente l'esattezza, tanto della rappresentazione pla-
stica, quanto di tutti i particolari, compresa la nomenclatura. Tali rico-
gnizioni si estesero a ben 75 quadranti al 50.000 nelle Provincie di Cam-
pobasso, Caserta, Benevento, Foggia, Avellino e Salerno, per quella parte del
territorio compresa nei detti quadranti.
Col servizio delle ricognizioni, sia generali sia parziali, di questi ultimi
anni, si può considerare abbastanza al corrente lo stato delle pubblicazioni
delle tavolette, dei quadranti e dei fogli delle varie Carte, di cui l'Istituto
ha pubblicato, o sta allestendo, nuove edizioni, e cioè per tutta la parte con-
tinentale del Regno, eccetto che per le Puglie e la Calabria.
In peggiore stato di rettificazione si trovano presentemente i rilievi e
le Carte da questi derivate, che riguardano i territorii delle provincie di Bari,
Potenza, Lecce, Cosenza, Catanzaro e Seggio Calabria, nelle quali poco si
estesero i lavori di ricognizione sul terreno, dopo i rilievi che risalgono agli
anni 1869-1874. Per queste provincie si eseguiranno al più presto ricognizioni
generali che precederanno la pubblicazione dei fogli della Carta policroma
al 100.000 ; la quale per tal modo potrà rispondere ad un perfetto stato di
rettificazione.
Per la Sicilia e per la Sardegna si provvederà pure, non appena siano
compiuti i lavori per la rettificazione della parte continentale del Regno:
giacché, per la prima, dopo le ricognizioni generali degli anni 1895-1897,
quasi nulla è più stato fatto ; per la seconda, dopo i rilievi che si eseguirono
dal 1896 al 1900, non vennero effettuate che rare ricognizioni parziali.
Presentemente l'Istituto sta studiando uno speciale ordinamento delle
ricognizioni generali, affinchè le varie zone del territorio nazionale vi siano
sottoposte, in base alla loro importanza e possibilità di variazioni, secondo
turni diversi e fissi, in modo che si possa stabilire un lavoro a rotazione ad
epoche determinate, tanto per la rettificazione delle levate di campagna, quanto
per quella delle varie Carte pubblicate, delle quali si rinnoveranno le edizioni
pure ad epoche stabilite. Ne risulterà un grandissimo vantaggio per la con-
servazione degli originali e dei tipi, che, per tal modo, verranno sottoposti
solamente, a periodi fissi, a complete correzioni, anziché quasi continuamente,
come sìnora è avvenuto, a ritocchi per aggiunte o varianti parziali, con danno
manifesto della parte ai-tistica, che pure deve sempre essere tenuta in gran
conto nei lavori cartografici.
L'Istituto ha pure sempre provveduto nel miglior modo possibile alla
tenuta al corrente delle Carte delle colonie dell'Eritrea e della Somalia, sia pro-
venienti da regolali rilievi, sia compilate in base a pubblicazioni cartografiche,
a documenti, scritti vari, itinerari, schizzi ecc. di maggiore attendibilità,
valendosi di informazioni e notizie che gli pervengono dalle autorità coloniali.
Siccome i miglioramenti cartografici si collegano strettamente con la
maggior conoscenza che del territorio, col protrarsi dell'occupazione, si viene
42 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO QLIAMAS
acquistando, così rimandiamo il lettore al § VII per quanto riguarda la
revisione e la rettificazione della cartografia coloniale.
Nonostante, come già si è accennato, che in tutti i lavori, tanto di ri-
cognizioni sul terreno, quanto di revisione e di rettificazione, Tlstituto abbia
sempre curato di informare le sue pubblicazioni ai dettami della scienza
toponomastica, pure, per le grandi diflBcoltà da superare in una completa
revisione toponomastica di tutto il territorio del Begno, e per i limitati
mezzi di cui l'Istituto ha potuto sinora disporre, i risultati sonò purtroppo
ancora lontani dalla desiderata perfezione.
Se il compito è arduo e diflBcile per le Carte che si limitano alla rap-
presentazione del territorio del nostro Begno, lo è ancora più per quelle che
comprendono zone di territorio estero; ma l'Istituto stesso ha piena fiducia
di superare fra non molto le varie difiicoltà, sicché Tesito abbia a corrispon-
dere interamente alla legittima aspettativa dei cultori della scienza geo-
grafica non solo, ma altresì a tutti i bisogni civili e militari dei tempi mo-
derni : giacché esso, con la maggior cura e con l'aiuto di autorevoli competenti
e volonterose persone, si é già dedicato, con la massima attività e passione,
a risolvere anche questo importante problema.
IX.
Cartografia marittima.
1. Il R. Istituto Idrografico e la sua origine. — Il quadro che abbiamo
già fatto dell'operosità spiegata dallo Stato Italiano, per quanto riguarda le
operazioni geodetiche e topografiche nonché le rappresentazioni cartografiche del
territorio nazionale, non sarebbe compiuto, se non si facesse accenno anche a
quanto si riferisce alle operazioni idrografiche, che più particolarmente ri-
guardano il rilevamento delle nostre coste e la morfologia del fondo delle
zone marittime e prospicenti.
Il compito di eseguire tali lavori, analogamente a quanto pure si fece
per la cartografia continentale, venne aflSdato, poco dopo la costituzione del
Regno, ad un apposito Istituto, il quale quasi da 40 anni vi attende con
grande lena, esplicando la sua azione non solo nei lidi marittimi della Pe-
nisola e delle isole nostre, ma altresì sulle più lontane coste africane ove il
dominio italiano venne affermato.
L'UfBcio Idrografico della Begia Marina sorse con tal nome — recente-
mente cambiato in quello di Begio Istituto Idrografico (il cambiamento di
nome avvenne per B. Decreto del 14 dicembre 1899) — nella città di Ge-
nova (dove tuttora ha sede), per B. Decreto del 26 dicembre 1872. Non é
da credere tuttavia che, nei 12 anni precedentemente trascorsi dalla proda-
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 43
inazione del Regno d'Italia, l'azione del nuovo Stato, per quanto riguarda il
rilevamento idrografico delle sue coste, fosse stata nulla.
Già dal 1867 il B. Governo, preoccupato dal fatto che il materiale car-
tografico marittimo delle coste italiane era insufficiente ed antiquato, e de-
sideroso di sottrarre il paese all'umiliante tributo che doveva alle marinerie
straniere, specialmente a quelle inglese, francese ed austriaca, per quanto ri-
guardava lo studio dei suoi mari, aveva costituito un'apposita Commissione
incaricata di redigere e tradurre in atto un piano di lavori idrografici capace
di corrispondere alle esigenze della moderna navigazione.
2. La cartografia marittima delV Italia all'epoca della costituzione
del Regno, — Le Carte allora esistenti, e più in uso presso i naviganti, erano
quasi tutte di origine straniera. Opera italiana poteva sicuramente consi-
derarsi, sebbene pubblicata da un governo straniero, quella monumentale
Carta del mare Adriatico alla scala di 1 : 175,000, costruita dall'I. B.
Istituto Geografico Militare di Milano, cui serviva di opportuno commento
il Portolano del mare Adriatico^ pubblicato dal medesimo Istituto col nome
del cap. Giacomo Marieni. Opera italiana era pure la bellissima Carta di
cabottaggio delle coste del Regno delle Due Sicilie bagnate dall'Adriatico^
dal fiume Tronto al Capo di S. Maria di Leuca, rilevata e costruita dal
B. Officio Topografico Napoletano alla scala di 1 : 100.000 e pubblicata
nel 1834; ed opera italiana erano altresì alcuni rilevamenti parziali eseguiti
dall'ammiraglio Albini nei porti della Liguria e della Sardegna. Ma, se ne
togli forse la Carta napoletana, tutte le altre erano ormai insufficienti per i
bisogni della navigazione* né più rispondevano allo stato attuale della
linea di costa e dei fondali, soggetti a continue variazioni ; onde meglio con-
veniva ricorrere alle più recenti Carte straniere che, come abbiamo veduto,
si dovevano specialmente all'ammiragliato francese per le coste tirrene, a
quello inglese per la Sicilia, a quello austriaco per TAdriatico.
La Commissione, presieduta dall'ammiraglio duca Imbert, rivolse dap-
prima le sue cure al litorale veneto, come quello che, per la natura sua, era
più soggetto a forti variazioni; ma ben presto, in seguito ad accordi col
Governo austro-ungarico, venuto ad intesa (agosto 1868) con quello italiano
per un nuovo rilevamento generale dell 'Adriatico, tali cure si estesero a tutte
quante le coste italiane bagnate da quel mare. Esso rilevamento volgeva ap-
punto al suo termine quando venne istituito l'Ufficio Idrografico di Genova, che,
accentrando tutte le operazioni interessanti l'idrografia marittima e coordinan-
dole con una serie di ricerche scientifiche a quelle congiunte, doveva dare a
questo ramo dell'attività dello Stato un così largo sviluppo.
3. Lo stato attuale della cartografia marittima italiana, — Non è
qui il caso di seguire in ordine cronologico l'andamento dei lavori, compiuti
44 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO GLIAMAS
in gran parte sotto la direzione del comandante, poi ammiraglio, 6. B. Ma-
gnaghi, primo direttore del nuovo Ufficio che fu da lui retto dal 1872 al 1888
e a cui pure presiedette per oltre cinque anni in qualità di direttore generale
del Servizio idrografico, imprimendogli quell'elevato indirizzo tecnico e scien-
tifico che poi fu sempre mantenuto. Pib opportuno riuscirà invece Taccennare
allo stato attuale dei lavori eseguiti e il fornire alcune notizie sui procedi
menti impiegati nella loro esecuzione.
L* idrografia delle coste marittime del Regno comprende 230 fra Carte e
Piani, dei quali 83 riguardano le coste del Tirreno, 20 quelle del mare Jonio,
55 l'Adriatico, 31 la Sardegna, 40 la Sicilia. Sono poi da aggiungersi altre
13 Carte generali dei mari d'Italia e 4 Carte speciali per il rilevamento ba-
tometrico dei laghi Yerbano e Benaco.
Le Carte, come lo richiedono i bisogni della navigazione, sono tutte co-
struite nella proiezione di Mercatore. Esse non formano una serie continua,
nò hanno tutte eguale scala : ma ciascuna di esse sta a sé, e la loro scala
media varia per le Carte, secondo l'importanza navigatoria del tratto di costa
rappresentato, tra 1 : 50.000 e 1 : 300.000. Per i porti, per le isole minori
e in genere per quelle località di particolare importanza nautica, si posseg-
gono Piani a scala variabile tra 1 : 2.000 e 1 : 40.000.
« La idrografìa delle nostre coste è oggi completa, e per ricchezza e
« bontà può reggere al confronto con quella delle nazioni piti progredite;
« sicchò possiamo affermare con legittima soddisfazione » — così riferiva
il comandante, ora ammiraglio, Leonardi-Cattolica, al Congresso Geografico
Italiano tenuto a Napoli nel 1904 — ^ come il nostro paese, che era disceso
K ad un livello molto basso nella cartografia nautica, sia riuscito, in un pe^
« riodo di tempo relativamente breve, a conquistare un posto confacente alle
ft sue belle tradizioni ed ai suoi nuovi ideali: il che sta a conferma del
« fatto storico che il progresso degli studi cartografici ò uno degli indici della
« prosperità civile ed economica delle nazioni » .
Le carte idrografiche, oltre a dare una rappresentazione, per quanto è
possibile, precisa e dettagliata della linea di costa, con tutti i suoi più mi-
nuti particolari, debbono rappresentare anche il fondo marino per una zona
pib 0 meno ampia, neir interesse della navigazione. Il rilevamento della linea
di costa vien fatto con Tuso del tacheometro. Il fondo marino viene rappre-
sentato indicando le quote di profondità riferite ad un numero grandissimo
di punti. La posizione del punto scandagliato viene determinata con osser-
vazioni angolari riferite ai punti trigonometrici stabiliti sulla costa. Le ope-
razioni di triangolazione, alle quali si appoggiano tanto i rilievi tacheome-
trici costieri quanto gli scandagli, sono collegate alla triangolazione fonda-
mentale del Regno eseguita dall'Istituto Geografico Militare. Così pure dai
lavori dell'Istituto Geografico si desume la topografia interna della zona co-
stiera rappresentata.
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 45
Alle operazioni di rilevamento e di scandaglio sono adibiti ufSciali dello
Stato Maggiore dell'Armata, coadiuvati da un certo numero di tecnici civili
che prendono imbarco su di una nave espressamente armata per la campagna
idrografica. I rilievi originali vengono eseguiti ad una scala assai maggiore
di quella adottata poi per la costruzione della Carta, in modo da ottenere
in questa una grandissima precisione. La riproduzione delle Carte viene fatta
mediante V incisione diretta su rame, dalla quale si ricavano stampe calco-
grafiche. Non ebbero sinora pratico risultato i tentativi fatti per sostituire
air incisione a bulino, necessariamente lenta e dispendiosa, i moderni procedi-
menti fotomeccanici, e ciò per la necessità di avere le copie stampate su
carta atta al disegno e poco alterabile alle intemperie cui possono essere
esposte durante la navigazione ; ciò che richiede particolare nitidezza e pro-
fondità del tratto inciso sulla lastra di rame.
Il lavoro di incisione non è soltanto una copia fedele di un disegno fatto
su carta, ma è una vera e propria costruzione originale, in cui la posizione
dei punti determinati viene riportata con grandissima accuratezza, usando
allo scopo uno speciale apparecchio che dal suo inventore prende il nome di
Coordinatometro Magnaghi.
Le Carte idrografiche, non meno di quelle topografiche, hanno bisogno
di un continuo lavoro di revisione e di aggiornamento che permetta loro di
rappresentare ad ogni momento lo stato attuale della linea di costa e dei
fondali dello specchio d'acqua adiacente. Sia Tuna che gli altri sono infatti
soggetti a cambiamento incessante, per opera dell'uomo che tende a miglio-
l'are gli approdi portuali coU'erezione di moli e banchine, e per quella degli
agenti fisici che, specialmente lungo le spiagge alluviali, valgono ad alterare
rapidamente le profondità e la linea di spiaggia.
Tale lavoro di revisione oggi assorbe particolarmente gran parte del-
l'opera del R. Istituto Idrografico, che deve provvedere a ripetere i rileva-
menti e gli scandagli e apportare ai rami originali le necessarie correzioni,
rinnovando di frequente le tirature delle Carte. Esso non lo distoglie tut-
tavia dair esecuzione del suo programma, che mira ad estendere la cono-
scenza dei nostri mari ad una distanza sempre maggiore dalla costa, e a
fornire rilevamenti di dettaglio per quei pochi tratti dì costa interessanti la
navigazione e gli approdi, per i quali ancora non si posseggono piani a
grande scala.
4. Lavori idrografici nelle colonie. — L'opera dell'Istituto Idrografico
compiuta negli ultimi cinquanta anni, non si limita soltanto allo studio dei
mari che lambiscono le coste del Regno, ma si estende, in larga misura,
anche a quelli che bagnano i litorali delle nostre colonie africane del Mar
Bosso e dell'Oceano Indiano, la cui cartografia, al momento della nostra
occupazione, lasciava tanto a desiderare.
46 GIOVANNI CBLORIA - ERNESTO OLIAMAS
I lavori nel Mar Bosso iniziati nel 1880-81 con il rilevamento della
Baia di Assab, estesi nel 1886 al porto di Massaua e alle sue adiacenze,
furono ripresi e continuati con maggior lena tra gli anni 1891 e 1896, e
poi nel 1904, conducendo alla costruzione di ben 14 fra Carte e Piani della
Costa Eritrea, appoggiati ad osservazioni astronomiche e a determinazioni geode-
tiche opportunamente eseguite.
Per quanto riguarda la Somalia, i lavori regolari di rilevamento idro-
grafico si iniziarono nel 1898 e furono poi più o meno attivamente conti-
nuati in tutti gli anni seguenti. Essi fruttarono il rilevamento dei Piani dei
principali scali della costa, dei quali furono anche determinate, mediante
osservazioni astronomiche, le coordinate geografiche ; e fruttarono altresì una
ricognizione sommaria e generale di tutta la Costa della Somalia meridionale,
ancora troppo mal rappresentata sulle Carte preesistenti.
Nò l'attività del B. Istituto Idrografico nel campo cartografico e scien-
tifico si limitò e si limita soltanto alla pubblicazione delle Carte. Prescin-
dendo dal largo concorso prestato al programma di lavori astronomico-geode-
tici che interessano gli scopi dell'Asssociazione Geodetica Internazionale e
dei quali fu già detto, dobbiamo aggiungere la compilazione del Portolano
delle coste italiane, descrizione particolareggiata del nostro littorale marit-
timo e complemento indispensabile delle Carte che lo rappresentano, nonchò la
pubblicazione periodica degli Annali Idrografici^ raccolta e miniera perio-
dica di documenti e notizie che interessano T idrografia e la navigazione, e
che tanno fede deiroperosità attiva ed efBcace esercitata dal B. Istituto
Idrografico, e d^li ufiiciali della Begia Marina in genere, per lo studio dei
nostri mari non solo, ma di tutti quelli ove le BB. navi sono destinate a
recarsi in servizio dello Stato.
X.
BIEPILOGO
Lo stato dei lavori geodetici e cartografici al 1911.
Giunti così al termine della rapida rassegna, colla quale ci proponemmo
di prendere in sommario esame il lavoro compiuto dallo Stato italiano nel
campo geodetico, topografico e cartografico, sarà agevole constatare come l'at-
tività dispiegata anche in questo campo non sia punto trascurabile, ma
costituisca anzi un contributo veramente valevole ed efficace agli studi scien-
tifici e tecnici di cui il nostro paese fu oggetto e che tanto ridondano al
suo vantaggio economico.
TRIANGOLAZIONE GEODETICA ECC. 47
Per quanto riguarda infatti le operazioni di carattere astronomico-geode-
tico, la rete geodetica fondamentale, che tutto copre il territorio dello
Stato, congiunta con le numerose determinazioni assolute di latitudine,
di longitudine e di azimut, oltre al fornire una base sicura alla cartografia
topografica, permette ormai di dedurre con sufficiente precisione la curvatura
del Geoide per la nostra regione, e di mettere in evidenza le sue anomalìe
locali ; mentre una conveniente rete di livellazione geometrica consente inoltre
un opportuno confronto fra il livello medio dei mari che bagnano le coste
della Penisola.
La Carta topografica del territorio nazionale è compiuta in ogni sua
parte, e, per la precisione delle determinazioni su cui essa si fonda e per T evi-
denza artistica della sua rappresentazione, gareggia con le migliori d'Europa.
Altrettanto si dica per il rilevamento idrografico delle sue coste marittime,
onde Topera del B. Istituto Idrografico riesce un opportuno complemento, in
questo campo, a quella delV Istituto Geografico Militare.
Né, come abbiamo veduto, tale attività scientifica e cartografica in terra
ferma e sul mare si limitò al territorio nazionale, ma si estese per anco, in
misnra più o meno larga, a quello dei possedimenti coloniali che T Italia ha
acquistato nell'Africa Orientale.
Ma non si creda con ciò compiuta in ogni sua parte l'esecuzione di un
programma che, di natura sua, non ha né può avere limiti, mentre invece
deve necessariamente seguire i progressi della scienza, dell'arte e dei bisogni
della pratica. Prescindendo dalle determinazioni di carattere scientifico, che
debbono essere moltiplicate a misura che si estendono gli orizzonti della
fisica del globo, e che, come del resto tutte le indagini scientifiche, hanno
continuo ed intimo rapporto con la pratica della vita, e limitandosi solo alla
descrizione geometrica del territorio, dovranno apparire ormai insufficienti
quelle levate ad 1 : 50,000 che, soltanto sotto l'imperio dell'urgenza e delle
ragioni finanziarie, furono decretate circa mezzo secolo fa; dovrà palesarsi
sempre più il bisogno di estendere le levate a grande scala nelle regioni ove
l'attività economica va sempre più affermandosi, e di procedere a periodiche
revisioni sul terreno per seguirne le incessanti trasformazioni dovute al-
l'opera della natura e dell'uomo; dovrà sentirsi sempre più forte la neces-
sità di seguire attentamente il progresso delle arti grafiche e dei varìt
processi scientifici utilizzabili nella cartografia, sia per ottenere prodotti
sempre migliori, sia per diminuire il lavoro, il tempo e le spese a ciò occor-
renti.
Dovranno altresì moltiplicarsi le determinazioni altimetriche di preci-
sione, di così grande e riconosciuta utilità pratica per le operazioni idrauliche
e stradali.
Si prenderanno finalmente opportuni provvedimenti perchè il lavoro, che
si può dire soltanto iniziato in Eritrea e più ancora nella Somalia, venga
48 GIOVANNI CELORIA - ERNESTO OLIAMAS
proseguito e compiuto cosi come è richiesto dallo sviluppo degli interessi
tanto scientifici quanto economici.
Un campo yastissimo di attività geodetica e cartografica si presenta
quindi da coltivare nel territorio della madre patria, non meno che in quello
delle sue colonie.
Al lavoro da compiere riuscirà ognora di incitamento e di sprone il
ricordo di quello che, a traverso difBcoltà non lievi e con risultati veramente
confortanti, venne compiuto nel primo mezzo secolo di vita dello Stato
Italiano.
Milano, luglio 1910.
0. Celoria
Diietton del E. Ouervatorio di Br«n, Milimo.
Praldente della E. Commietio&e geodeiicA.
E. Qliamas
Direttore deU*Iititato feogtmfioo militare, Firenxe.
Viee-Preeidente delle B. Commiaeio&e geodetica.
FERROVIE 0
I.
Le ferrovie e la politica ferroviaria fino alle convenzioni del 1885.
Al V giugno del 1859 erano in Italia in esercizio 1758 chilometri di
ferrovie, così ripartiti : Piemonte 808, Lombardia 202, Veneto 298, Toscana
256, Stato pontificio e Ducati 101, Begno di Napoli 98 ; erano pure concessi,
e parte in costruzione, oltre millecento chilometri: qualche linea anti fu
aperta poco dopo quella data.
Il Begno di Napoli, allora il meno dotato di ferrovìe, era però stato
il primo a fare le concessioni: questo avvenne nel 1836: ma soltanto nel
1839 fu aperto il primo tronco (8 chilometri) da Napoli a Portici. In Lom-
bardia la prima concessione fii fatta nel 1837, in Toscana nel 1888.
11 Begno di Napoli ebbe pure pel primo una costruzione a spese dello
Stato, col tronco Napoli-Caserta-Capua, decretato nel 1842 e aperto all'eser-
cizio nel 1843-44; ma poco altro fece, mentre il Piemonte adottava risolu-
0) Notizie molto particolareggiate e diligenti Balla formazione della rete ferroviaria
italiana e sulle sue attuali condizioni, si trovano ; V, negli Atti della Reale Committione
(istituita nel 1898) per lo ttudio di propotte intomo aW ordinamento delle Strade fer-
rate (Roma), specialmente nel voi. I (1903) e voi. VII (1906); 2?, nella relazione pubbli-
cata dairUfficio speciale per le ferrovie al Ministero dei lavori pubblici, col titolo: Le
eonceuioni di ferrovie alVindustria privata (Roma, 1907 e segg.); 3^ nelle Reiasioni
(annuali) delVAmminietrasione delle Ferrovie esercitate dallo Stato, pubblicate dalla
Direzione generale (Roma, 1906 e segg.). Ho consultati anche gli Atti parlamentari e \e
Uggì speciali, delle quali si farà la citazione a luogo opportuno. Meritano di essere ri-
cordati due articoli col titolo: Die Eisenbahnfrage in Italien, pubblicati dal prof. Co-
stantino Bresciani noiVArchiv fùr Eisenbahnwesen del 1905 e del 1908, e Taccurato
Cenno storico della legislazione sulle costruzioni ferroviarie, pubblicato dairon. Ettore
Sacchi nella Nuova Antologia del 16 novembre 1906. Ringrazio qui la Direzione gene-
rale delle Ferrovie dello Stato e TUfScio speciale delle ferrovie al Ministero dei lavori
pubblici per le notizie e i documenti, che mi hanno cortesemente favoriti.
Carlo F. Ferraris. — Ferrovìe. 1
CARLO F. FERRARIS
tamente, per le linee principali, il sistema della costruzione e dell'esercìzio
di Stato nel 1844, pur non trascurando concessioni di linee minori all'in-
dustria privata. Cosi nel 1859 il Piemonte aveva una rete di Stato di 285
chilometri, fra cui la linea Torino-Genova, tutta a doppio binario.
Linee importanti erano pure la Milano-Venezia, di 286 chilometri, in
parte a doppio binario ; la Firenze-Pisa-Livorno, di 96 chilometri, a doppio
binario; la Piacenza-Bologna, finita però ed aperta per intiero all'esercizio
soltanto il 21 luglio 1859, di 147 chilometri, in parte a doppio binario, ecc.
I Governi provvisori non trascurarono il problema, e presero provvedi-
menti per revoca di concessioni, concessioni nuove, e continuazione di co-
struzioni, cosicché, ad esempio, nel gennaio 1860 si ebbe una linea com-
pleta da Susa a Bologna per Torino, Alessandria e Piacenza; ed all'aprirsi
del primo Parlamento italiano, nell'aprìle 1860, le linee in esercizio ascen-
devano a 1983 chilometri, dei quali 1465 nelle provinole già politicamente
congiunte; le concessioni già fatte erano per la costruzione di 1887 chilo-
metri, dei quali 1285 nelle ora indicate provincie.
II Governo nazionale subito riconobbe l'assoluta necessità di provvedere
al pieno congiungimento ferroviario delle varie regioni unite col vincolo po-
litico, per ripieni economiche, politiche, strategiche, troppo note o facili ad
indovinarsi perchè occorra ricordarle. A tale intento si volsero gli sforzi, non
in base a studi completi, ma adottando metodi, i quali permettessero la
pronta congiunzione delle linee già esistenti e la rapida creazione di nuove
linee nelle regioni che ne erano prive, bisogno divenuto urgentissimo dopo
l'annessione del Mezzogiorno e della Sicilia. Far molto e presto, anche a costo
di imperfezioni, fu il canone, pienamente giustificato, della politica ferroviaria
airinizio del nuovo Begno; così non fosse stato sonito più tardi!
Colla legge 8 luglio 1860 fu approvata la convenzione che alla Società
delle Strade ferrate meridionali austriache, lombardo- venete, e dell'Italia
centrale, conservava le precedenti concessioni, e ne faceva altre, obbligan-
dola però ad avere per la rete italiana uno speciale Consiglio di ammini-
strazione residente nel Begno; così essa potò in breve possedere una rete di 825.
chilometri. Furono affrettatamente concesse le linee sulla costa ligure (dal
confine francese per Genova a Spezia) ; poi furono date alla Società Vittorio
Emanuele, con sede in Piemonte, ma di origine estera, alcune parti della
rete Calabro-Sicula ; furono stretti nuovi patti colle varie Società delle fer-^
IO vie toscane, che ebbero anche diramazioni nell'Umbria ; con aiuti alla So-
cietà generale delle ferrovie romane, pur essa di origine estera, e già in pos-
sesso di concessioni fattele, a cominciare dal 1856, dal governo pontifìcio,
le si rese possibile aprire sulla fine del 1861 all'esercizio la linea Bologna-
Ancona e di iniziare la costruzione delle diramazioni; nel 1862 si fece la
prima concessione alla Società italiana per le strade ferrate meridionali, la
cui potente attività si congiunse poi a tutta la storia ferroviaria italiana fino»
FERROVIE
al 1906, e che seppe mostrare fin dall'origine un robusto organismo, co-
struendo rapidamente la linea Ancona- Foggia: si costrussero linee minori
nel Piemonte, ove si ampliò anche la rete di Stato: nel novembre 1864 si
apriva all'esercizio la linea Bologna-Pracchia-Pistoia, ecc. Né si era trascu-
rata la Sardegna, ove, mediante la Compagnia reale delle ferrovie sarde,
sorta nel 1862, si ei-a avviata la costruzione della rete nel 1868.
Come si scorge, i primi anni del nuovo regno furono sanati da note-
vole attività in ordine alle ferrovie.
La necessità di ridurre il soverchio numero delle Società, che troppo
frazionava Tesercizio, e la sempre rinascente difficoltà di trovare capitali sul
mercato, vuoi pei bisogni delle Società in ordine alla costruzione ed allo
esercizio, vuoi pei bisogni dello Stato non soltanto per provvedere alle
ferrovie, ma anche per colmare il formidabile disavanzo del bilancio, porta-
rono all'approvazione di un vasto piano ferroviario e finanziario, il quale fu
sanzionato colla legge 14 maggio 1865, mentre già poco prima una nuova
legge organica del 20 marzo 1865 sui lavori pubblici riproduceva, comple-
tandola, quella del 1859.
Questa legge del 20 marzo 1865, ancora in parte vigente, sanzionava
la classificazione delle ferrovie in pubbliche e in private ; queste erano sud-
distinte in private di prima categorìa, le quali dovevano correre esclusiva-
mente su terreni appartenenti a chi le costruiva, e davano luogo ad inge-
renza dello Stato nei soli riguardi dell'igiene e della sicurezza pubblica, e
private di seconda categoria, cioè quelle che toccavano in qualsiasi modo la
proprietà altrui (le pubbliche strade, i corsi d'acqua pubblici, gli abitati,
ed ogni altro sito od opera pubblica) e richiedevano la preventiva approva-
zione dei piani esecutivi da parte del governo. Criterio distintivo restava
la natura dell'uso, ma anche per le ferrovie private di seconda categoria
era imposto, alle proprietà privaite da intersecarsi, la servitù del passaggio
coattivo, e i costruttori dovevano adempiere agli obblighi richiesti per lo
acquisto della servitù coattiva di acquedotto. La le^e regolava la conces-
sione (da farsi sempre a tempo) di costruzione e di esercizio, tenuto conto
che la finalità della concessione è l'interesse pubblico, determinava i di-
ritti e doveri del concessionario e, pur non disciplinando le modalità finan-
ziarie della concessione, sanciva il diritto dello Stato alla partecipazione dei
benefici, le norme per la sua vigilanza, ecc.
L'altra legge, quella del 14 maggio 1865, fu veramente notevole, e
diede alle ferrovie il seguente assetto.
Le ferrovie principali furono ripartite fra quattro Società assai cospicue :
l"" la Società dell'Alta Italia, che sorse scindendosi dalla ricordata
Società concessionaria delle linee dell'Austria meridionale, del Lombardo-
Veneto e dell'Italia centrale; essa acquistò per 200 milioni dallo Stato la
rete piemontese e le linee già date in concessione alla Società Vittorio Ema-
CARLO F. FERRARIS
Duele, e ne assunse l'esercizio insieme con le altre linee italiane (tranne le
venete, che ebbe, come vedremo, dopo il 1866) già di quella Società;
2° la Società delle strade ferrate romane, che nacque dalla fusione
della Società delle ferrovie livornesi, della Maremmana, della Centrale To-
scana, e della Società, sopra menzionata, già intitolata delle ferrovie romane :
le fu concessa la costruzione e l'esercizio della linea da Massa a Venti-
miglia per Genova colle diramazioni, e delle linee da Asciano a Grosseto,
da Sanseverino ad Avellino, ecc., con riserva da parte del Governo di com-
prendere nella concessione altre linee dell'Italia centrale e meridionale, e con
l'obbligo di esercitare, a richiesta del Governo, varie lìnee piemontesi;
8'' la Società italiana per le strade ferrate meridionali, della quale fu
già dato cenno, e che con le concessioni d'allora e con le successive, venne
ad avere l'intiera linea Bologna-Otranto colla Foggia-Napoli e varie dira-
mazioni, più la Voghera-Pavia Cremona-Brescia ed altre linee minori;
4^ la Società Vittorio Emanuele, che, dopo avere cedute le linee da
Torino al Ticino (affidate nel nuovo assetto alla Società Alta Italia), fu
confermata concessionaria per la costruzione e Teserclzio di alcune princi-
pali linee nel Mezzogiorno ed in Sicilia.
Completavano questo sistema alcune Società lasciate sussistere per linee
minori, e per la Sardegna la ricordata Compagnia reale.
Con tutte le concessioni fatte si sperava di arrivare, nel termine di
cinque anni, ad avere una rete di 7500 chilometri.
È innegabile che il riordinamento così sanzionato aveva notevoli pregi.
Si escludevano quasi del tutto le costruzioni per conto dello Stato, le
cui finanze abbisognavano di sollecite cure : occorreva evitare ulteriori cause
di aggravare il disavanzo, e fra esse potevano prender posto in prima linea
le costruzioni ferroviarie. Il sistema si fondava sul razionale principio di
affidare alle Società private tanto la costruzione che l'esercizio: esse ave-
vano interesse a costruire bene, per poter bene e con minor spesa esercitare.
Eliminate parecchie piccole Società, si evitava il soverchio frazionamento
dell'esercizio, raggruppato, per le principali linee continentali e sicule, in
quattro Società, aventi reti di estensione non molto diversa (dai 1500 ai 2000
chilometrì), ciascuna con qualche porto principale, con qualche linea di
forte traffico, e, così, con prospettiva di concorrenza, ma moderata. Una delle
Società, quella dell'Alta Italia, aveva la partecipazione finanziaria della
Casa Rothschild, e così questa potentissima banca era interessata, non
soltanto al buon andamento della Società, ma anche al miglioramento del
bilancio dello Stato ; la Società era anche, data la posizione geografica della
sua rete, in grado di estendere la sua attività ; e difatti ebbe l'esercizio della
rete veneta quando nel 1866 il Veneto fu congiunto al nuovo Regno. Altro
buon elemento del sistema era la Società delle strade ferrate meridionali,
ben costituita fin dall'inizio, italiana di origine, di capitali e di personale,
FERROVIE
largamente sovvenzionata» e cosi in grado di consolidarsi economicamente,
con amministrazione oculata, la quale seppe predisporla ad affrontare le ine-
vitabili difficoltà future.
Ma non mancavano, purtroppo, i tarli roditori, ed erano le non buone
condizioni delle altre due Società.
La Società delle ferrovie romane aveva ereditato onerosissime passività;
e le sue costruzioni fatte disordinatamente, e le sue mal riuscite specula-
zioni per fronteggiare i bisogni finanziari, le rendevano di ognor più difficile
accesso le fonti del credito, mentre si era assunta la costruzione delle costo-
sissime linee liguri : le sovvenzioni governative erano piuttosto scarse, e coslr
anche scontando queste, si trovò ben presto in imbarazzi finanziari e si
avviava a sicura rovina.
Di origine estera come la precedente, la Società Vittorio Emanuele si
trovò nella impossibilità di portare il suo capitale alla somma preventivata
in 100 milioni, e cadde pienamente neUarbitrio dell'impresa costruttrice
delle sue linee, la famosa ditta Vitali-Charles-Picard, la quale aveva sotto-
scritte gran parte delle sue azioni.
Ad aggravare il male, sopravvennero la crisi economica europea del
1865-66, la guerra con l'Austria del 1866, l'introduzione del corso foi-zoso,
le cattive condizioni del credito pubblico. Anche le buone Società se ne ri-
sentirono: così si dovettero fare anticipazioni alla Società delle Meridionali
per metterla in grado di continuare le costruzioni. Lo Stato dovette farsi
retrocedere dalla Società delle romane vuoi la concessione delle linee liguri
assumendone la costruzione, vuoi Tesercizio di alcune linee, specialmente to-
scane, che furono affidate alla Società Alta Italia, alla quale furono pure con-
cessi la costruzione e T esercizio della ferrovia da Bussoleno a Bardonecchia,
e Tesercizio del tratto da Bardonecchia al confine francese: infine, dopo
varie vicende, per le quali la ditta Vitali-Charles-Picard si sostituì alla So-
cietà Vittorio Emanuele, si finì per concedere le Calabro-Sicule alla Società
delle Meridionali.
Si fu cosi costretti a modificare il sistema del 1865: ma è pur d*uopo
ricordare che tutte quelle fortunose vicissitudini non impedirono che si ag-
giungessero alla rete nel quinquennio quasi duemila chilometri di strade
ferrate e che si portasse innanzi la difficilissima costrazione delle linee li-
guri e si aprisse la galleria del Frèjus, inaugurata nel settembre 1871, due
glorie deiringegneria italiana.
Poco dopo il trasporto della capitale a Roma (si trascura di entrare
in maggiori particolari), la politica ferroviaria prese nuovo orientamento.
Si fecero convenzioni per riscattare le linee ferroviarie delle Romane e
delle Meridionali, rendendone proprietario lo Stato: questo nel 1873 e 1875.
Nel 1875-76 si strinse la convenzione pel riscatto della rete dell'Alta Italia,
separandola completamente dalla rete austriaca. Presentando al Parlamento
CARLO F. FERRARIS
il disegno di legge per Tapprovazione di queste coDYenzioni, il ministero
Minghetti-Spaventa arditamente propose T esercizio di Stato. La proposta fu
sconfìtta col famoso voto del 18 marzo 1876, che determinò la caduta della
Destra e laYTento della Sinistra al potere col programma dell* esercizio pri-
vato: e colla legge 29 giugno 1876 si approvò il riscatto delle ferrovie del-
l'Alta Italia, mentre si invitava il Governo a presentare un disegno di legge
per affidare le ferrovie all'esercizio privato.
La Destra cadde, ma cadde gloriosamente, mostrando di avere intuita
la soluzione futura del problema ferroviario prima che ne dessero com*
pietà esperienza i paesi stranieri; cadde, ma lasciando in pareggio il bi-
lancio dello Stato, e una rete ferroviaria da 4200 chilometri, quale era
nel 1865, cresciuta a 7438 chilometri in esercizio e 349 in costruzione
nel 1876.
Il nuovo Governo, salito così clamorosamente al potere con la ban-
diera dell'esercizio privato, non credette però di adottarlo, e volle ulte-
riori studi. Colla legge 8 luglio 1878 fu ordinata una Commissione d'in-
chiesta sull'esercizio delle ferrovie, e lo Stato assunse provvisoriamente Io
esercizio della rete dell'Alta Italia: nel 1879 si approvò colla legge 29 luglio
un vastissimo e dispendiosissimo programma per la costruzione di ferrovie
complementari da farsi dallo Stato; nel 1880 sì riscattò la rete delle Romane,
che fu, dal 1882 in poi, esercitata pure provvisoriamente dallo Stato: furono
estese le concessioni alla Società delle Meridionali, modificando gli ante-
riori patti.
Il 28 marzo 1881 la Commissione d'inchiesta presentava le sue pro-
poste, favorevoli all'esercizio privato. Ma, prima che si addivenisse ad un
ordinamento definitivo, trascorsero altri quattro anni, durante i quali non
si mantenne per le complementari rigidamente il principio della costru-
zione di Stato, ma si fece larga parte anche alla costruzione mediante
società private.
In complesso si può dire che si commisero non pochi errori e si
sperperò molto danaro; si esercitò dallo Stato una vigilanza molto im-
perfetta, sia in ordine ai progetti, sia rispetto alle costruzioni ; ma questo
non impedì che la rete ferroviaria si allargasse, e sempre meglio giovasse
al miglioramento economico ed all'unificazione politica e militare dello
Stato: cosicché al principio del 1885 la rete ferroviaria, pur sempre di-
fettosa, ma in costante aumento, aveva raggiunto uno sviluppo superiore
ai 10,000 chilometri.
FERROVIE
II.
Le convenzioni del 1885 e le altre concessioni fino al 1905.
Come abbiamo detto, la CommissìoDe d'inchiesta sulle strade ferrate,
Dominata nel 1878, presentò la sua relazione il 28 marzo 1881 ; essa aveva
formulato tutto un piano per Tordinamento delle ferrovie sulla base del-
l'esercizio privato, al quale l'opinione pubblica inclinava anche perchè l'espe-
rimento di esercizio di Stato sulla rete dell'Alta Italia si considerava come
non riuscito, benché tale risultato fosse piuttosto da imputarsi al modo
molto manchevole, col quale Fesercizio fu organizzato, e si potesse a ragione
sostenere che l'esperimento non fosse affatto decisivo per condannare quel
sistema.
Ài concetti propugnati dalla Commissione d' inchiesta si informarono i
disegni di legge formulati dal ministro Baccarini nel 1883 e dal ministro
Genala nel 1884: da essi derivò poi la legge 27 aprile 1885, n. 8048 {%
che segna un momento importantissimo nella politica ferroviaria italiana.
Le linee della penisola vennero ripartite in due reti longitudinali ; Tnna
pel versante Mediterraneo o, meglio. Tirreno, l'altra pel versante Adriatico :
facevano capo entrambe a Roma ; ciascuna aveva tre valichi alpini, restando
comune la stazione di Chiasso : e dei passi degli Appennini due erano asse-
gnati alla rete Mediterranea, quattro alla rete Adriatica. Le linee della
Sicilia vennero riunite in un'unica speciale rete, fatta eccezione della linea
Palermo-Castelvetrano-Trapani già concessa a società privata.
Si crearono così tre grandi reti : la Mediterranea, l'Adriatica, la Sicula,
ciascuna suddistinta in rete principale, comprendente le linee già aperte
airesercizio il 1 gennaio 1884, e in rete secondaria, comprendente le linee
complementari allora in costruzione od autorizzate.
L'esercizio veniva assunto da tre Società private. L'una era la già esi-
stente Società italiana per le strade ferrate meridionali, che aggiunse al
suo titolo le parole > esercente la rete Adriatica » perchè questa rete appunto
le fu affidata, con facoltà di portare a 180 milioni il suo capitale di 150
milioni in azioni. Le altre due furono la Società italiana per le strade fer-
rate del Mediterraneo e la Società italiana per le strade ferrate della Sicilia :
si costituirono con un capitale in azioni, rappresentato dal valore del ma-
teriale rotabile e d'esercizio e degli approvvigionamenti, e ascendente a 185
milioni per la rete Mediterranea e a 15 milioni per la rete Sicula, con fa-
coltà di emettere obbligazioni nei limiti segnati dal Codice di commercio.
(') L^esposizìone del contenato di tale legge fatta dalla Commìssioue reale del 1898
nel voi. I, p. 124 e segg., dei suoi Atti, è così precisa e diligente che Tho nel seguito
riprodotta quasi letteralmente.
8 CARLO F. FERRARIS
Importanti per giudicare del sistema di politica ferroviaria allora adot-
tato SODO i seguenti dati riferentisi alla seconda metà del 1885, cioè quando
la costituzione delle due reti fu definitivamente stabilita.
La rete Mediterranea comprendeva 4046 chilometri, la rete Adriatica
4131, la rete Sicilia 597; inoltre 127 erano comuni alle due prime. In
questa rete di circa 8900 chilometri, ve ne erano piti di 6400 di proprietà
dello Stato, cosicché le convenzioni di esercizio allora stipulate discipli-
narono essenzialmente un contratto di afBtto concesso dallo Stato per le
proprie linee alle Società: si aveva soltanto una parziale eccezione per la
rete Adrìatica, poiché la Società esercente era proprietaria di più che 1800
chilometri, e fu quella che (non soltanto per questa r^ione, ma anche per
questa, cioè di essere proprietaria di grossa parte della rete esercitata) am-
ministrò meglio.
Messo in luce questo punto fondamentale, ecco le modalità delle con-
venzioni.
Queste dovevano avere la durata di 60 anni, a partire dal 1 luglio 1885,
divisa in tre periodi ventennali, con facoltà allo Stato ed alle Società di
rescindere il contratto alla fine di ciascuno dei due primi periodi, col preav-
viso di due anni.
I patti di esercizio furono sostanzialmente i seguenti.
Per le linee costituenti la rete principale :
P le Società furono dichiarate proprietarie del materiale rotabile e
di esercizio e degli approvvigionamenti, che esistevano al 1^ luglio 1885 e
pei quali sborsarono allo Stato il prezzo di stima alVatto delia stipulazione
del contratto, obbligandosi a rivenderli allo Stato al termine del contratto :
venne loro attribuita anche la proprietà del materiale rotabile e di esercizio
da acquistarsi a carico dell'apposito fondo ;
2^ le Società assunsero a proprio carico le spese per la servai ianza
governativa e tutte le spese per T esercizio e per la manutenzione ordinaria e
straordinaria delle linee e del materiale, eccettuate soltanto le spese cui do-
vevano provvedere i fondi speciali di riserva ;
3° furono istituiti fondi speciali di riserva, il primo destinato alla
conservazione delle linee contro i danni di forza maggiore ed all'emenda-
mento dei vizi di costruzione, il secondo per la rinnovazione della parte me-
tallica dell'armamento, il terzo per la rinnovazione del materiale mobile, il
quarto, la cosiddetta cassa per gli aumenti patrimoniali, per provvedere al-
l'aumento ed al miglioramento del patrimonio fisso e del materiale mobile ;
4° il prodotto lordo doveva dividersi in tre quote :
a) una quota spettava alle Società in corrispettivo delle spese di
esercizio, vale a dire per le reti Mediterranea ed Adriatica il 62,50 Vo del
prodotto iniziale, il 56 % del prodotto ultra-iniziale, fino a 50 milioni, e il
50% dell'ulteriore prodotto; per la rete Sicula r82 Vo del prodotto ini-
FERROVIE
ziale, il 72 Vo di quello ultra-iniziale, fino a lire 6,500,000, e il 02 Vo del-
l'ulteriore prodotto;
b) una quota serviva ad alimentare i fondi speciali ed a rimunerare
il capitale di esercizio sborsato dallo Società per l'acquisto del materiale e
degli approvvigionamenti ;
e) la rimanente quota spettava allo Stato.
Per le linee complementari costituenti la rete secondaria si stabili:
V che il materiale rotabile e di esercizio venisse fornito dallo Stato
e dovesse essere ricevuto in consegna dalle Società che ne erano dichiarate
proprietarie con gli stessi obblighi indicati per gli analoghi acquisti fatti
a carico del fondo o cassa per gli aumenti patrimoniali;
2" che lo Stato percepisse il prodotto lordo, assumendosi Tobblìgo di
alimentare con una determinata quota di esso i fondi speciali, i quali dove-
vano funzionare anche per le nuove linee come per le principali, e di cor-
rispondere alle Società, in compenso delle spese di esercizio, una somma
fissa di lire 3000 per ogni chilometro di lunghezza virtuale (determinata
cioè in relazione alla pendenza) della linea, più una parte del prodotto
stesso (il 50 Vo pe^' le i'6ti Mediterranea ed Adriatica, il 65 Vo P^i* 1& Sicula).
Le linee complementari dovevano essere incorporate nella rete princi-
pale quando il loro prodotto lordo raggiungesse lire 15,000 per le reti Medi-
terranea ed Adriatica e lire 12,000 per la Sicula, per ogni chilometro di
lunghezza virtuale.
Quanto agli utili netti venne pattuito che, quando essi superassero fra
interessi e dividendi sul capitale versato in azioni il 7 Vs pei' cento al lordo
dell'imposta di riccliezza mobile, la metà del sopravanzo spettasse allo
Stato.
Per le tariffe si pattuì che ai trasporti si applicassero i prezzi segnati
in apposito allegato al contratto; che le tariffe ivi indicate non potessero
essere aumentate se non per legge o regio decreto ; che ogni variazione tanto
nei prezzi, quanto nelle condizioni dei trasporti, dovesse essere autorizzata
dal Governo; che le Società dovessero sottoporre all'approrazione di questo
le tariffe speciali e locali, e che il Qovemo avesse in casi speciali la facoltà
di ordinare alle Società ribassi di tariffe.
Gli orari dei treni pei viaggiatori e misti dovevano essere determinati
dal Ministero dei lavori pubblici, sentito il concessionario, ed il numero dei
treni medesimi, a partire da un dato minimo, doveva aumentarsi in rela-
zione al prodotto chilometrico dei trasporti a grande velocità.
Per la sorveglianza governativa sull'esercizio e pel controllo dei pro-
dotti e della gestione dei fondi speciali fu organizzato il B. Ispettorato delle
strade ferrate, e poscia con legge speciale fu istituito il Consiglio delle ta-
riffe composto di funzionari governativi e di delegati delle tre grandi Società
e da un delegato delle Società minori.
10 CARLO F. FERRARIS
È bene pure notare cbe si destinarono somme cospicue per immediato
acquisto di materiale mobile, essendone insufficiente la quantità esistente, e
per il miglioramento e la sistemazione, resa necessaria dal nuovo regime,
degli impianti.
Per la Sardegna non si mutò il regime preesistente e già esposto.
Scopo di questo lavoro essendo principalmente l'esposizione dei fatti,
non è il caso di indagare per quali motivi questo sistema di esercizio, orga-
nizzato con tanta cura e con tanta apparenza di buone norme, abbia dato
risultati mediocri, per non dire cattivi. Era intrinsecamente bacato : la scienza
e l'esperienza degli altri paesi avevano già dimostrato che il sistema deiraf-
fitto, pel quale la proprietà delle linee appartiene allo Stato e l'esercizio si
affida a Società private, non puossi mai organizzare in modo soddisfacente,
e riesce a danno o dell'uno o delValtro dei contraenti, sia in ordine al miglio-
ramento delle linee e delle stazioni, sia in ordine all'acquisto del materiale
mobile, sia in ordine alle discipline per il traffico, e via dicendo. Da noi
tutto il complicato sistema dei fondi speciali si mostrò inetto allo scopo: in
parte non funzionò, in parte fu alterato nella pratica o con leggi, e così si
accumularono deficienze gravissime in ordine agli impianti e al materiale.
L'ingerenza governativa, invece di garantire il buon esercizio, lo inceppò, e si
finì per avere un regime che non era né l'esercizio privato né l'esercizio di Stato,
con tutti i difetti e nessuno dei pregi di questi sistemi applicati nella loro in-
tegrità, tanto che colla legge 7 luglio 1902 dovette lo Stato assumere a suo
carico perfino l'aumento di retribuzione del personale dipendente dalle Società !
É anche inutile indicare tutte le modificazioni che con leggi successive
s introdussero nei patti contrattuali di esercizio ; meglio per lo scopo nostro,
riassumere quanto fu fatto in ordine alle costruzioni, per dar ragione della
progressiva estensione della ret« e dello stato di essa al 1^ luglio 1905,
quando s' iniziò l'esercizio di Stato.
Nelle convenzioni fu introdotta una disposizione molto importante: si
diede facoltà al Governo di affidare alle tre grandi Società la costruzione
di nuove linee o la continuazione di quelle già intraprese per conto dello
Stato, sia a prezzo fatto, sia col rimborso delle spese, ed anche di far loro
assumere la direzione tecnica ed amministrativa delle ferrovie già in corso
di costruzione. Per provvedere i fondi si autorizzarono le Società ad emettere
obbligazioni del valore nominale di lire 500 ciascuna, fruttanti l'interesse
del 8 per cento, ammortizzabili in 90 anni, colla garanzia dello Stato per
il pagamento degli interessi e l'ammortamento del capitale: e la emissione
procedette, sia pure stentatamente, ed arrivò successivamente a 736 milioni.
Per verità l'applicazione del sistema incontrò nel primo triennio varie
difficoltà e si dovettero continuare le costruzioni per conto dello Stato, che
colla legge del 24 luglio 1887 stanziò nuovi fondi per le ferrovie comple-
mentari, e provvide all'aumento delle sovvenzioni chilometriche, portandole
FERROVIE 11
al massimo di lire 3000, ed alla più sollecita costruzione delle linee Eboli-
Beggio Calabria e Messina-Patti-Cerda, ecc. Cosicché, nonostante quegli
ostacoli, dal 1885 a tutto il 1888 si aggiunsero 2047 chilometri alla rete.
Nel frattempo il regio decreto 25 dicembre 1887 (convertito in legge
il 30 giugno 1889) regolava meglio il concorso degli enti morali e dei pri-
Yati interessati alle spese di costruzione e le condizioni per la concessione
delle sovvenzioni, mentre Timportantissima l^ge 20 luglio 1888 applicava
efficacemente il sistema sanzionato nel 1885, concedendo la costnizione di
437 chilometri all'Adriatica, 390 alla Mediterranea, 233 alla Sicula, ai
quali si fece posteriormente qualche aggiunta: con essa si deliberaya pure
la costruzione di una direttissima Boma-Napoli per Terracina.
Il risultato si fu che nel 1897 si trovarono aperti ali* esercizio altri 1077
chilometri, dei quali 883 nelle Provincie meridionali, per opera delle tre So-
cietà, mentre fin dal 1895 si trovarono aperti, per costruzioni fatte a licita-
zione privata, altri 483 chilometri, pur essi io gran parte in quelle Provincie.
Il preaccennato aumento nella sovvenzione chilometrica promosse molte
domande di ^concessione, che in parte furono esaudite, anche in altre
Provincie.
Le non buone condizioni del bilancio dello Stato dal 1891 al 1894
costrinsero a limitare le spese ferroviarie, mentre dall'altra parte, essendosi
già concedute le linee di maggiore probabile traffico, le sovvenzioni fissate
dalle leggi apparvero inadeguate per ulteriori costruzioni. Così di fronte ai
bisogni delle popolazioni ed agli impegni presi si dovettero aumentare gli
stanziamenti in bilancio colla legge 12 luglio 1894 ed altre successive, ed
aumentare, colla legge 30 aprile 1899, n. 168, le sovvenzioni chilometriche, por-
tandole a lire 6000 per le complementari, che congiungessero più direttamente
importanti territori o conducessero a porti marittimi e il cui costo non fosse
inferiore a lire 100,000 a chilometro, e a lire 5000 per le secondarie, com-
prese le ferrovie elettriche, il cui costo chilometrico non riuscisse inferiore a
lire 130,000, assegnando per Tesercìzio 1899-900 il limite di lire 500,000,
mantenuto anche in seguito, pei nuovi impegni da assumersi in ogni esercizio
dal Tesoro derivanti da concessioni. Bestò per alcuni anni in vigore anche la
le^e 27 giugno 1897, che aveva sanzionata la massima di non iniziare più
costruzioni a spese dirette dello Stato.
Meritano di essere qui ricordate:
a) la legge 27 dicembre 1896, n. 561, che disciplinò la concessione
di ferrovie economiche e di tramvie a trazione meccanica. Le prime dovevano
aver sede propria, ma non era escluso che per n^ioni di convenienza parte
del percorso si potesse avere sopra strade ordinarie, però con sede separata:
le seconde dovevano avere la loro sede su strade ordinarie, ma non era
escluso che per ragioni di convenienza potessero per brevi tratti del per-
corso avere sede propria ;
12 CARLO F. FERRARIS
b) la legge 9 giugno 1901, n. 220, che diede facoltà al Governo di at-
tuare il servìzio economico sulle ferrovie a traffico limitato comprese nelle
tre grandi reti: il servizio economico consentiva un materiale mobile più
leggero, minor velocità nei treni, tariffe ridotte e speciali facilitazioni per
viaggiatori e merci, riduzione di personale, alleggerimento delle tasse era-
riali, ecc.
È inutile enumerare le molte concessioni fatte in quegli anni: esse però
non bastarono a soddisfare le brame delle popolazioni, le quali si lagnavano
della mancata costruzione di non poche complementari, il cui costo era
troppo alto così da essere insucScienti le sovvenzioni chilometriche fissate
dalle leggi. Si decise allora, ferma restando la massima di non far costru-
zioni dirette da parte dello Stato, di facilitare le concessioni delle comple-
mentari e quindi la legge 4 dicembre 1902, n. 506, accrebbe il numero delle
linee, modificò qualche tracciato e scartamento, ed elevò per tutte il limite
massimo delle sovvenzioni a lire 8000 e per alcune determinò sovvenzioni
varie dalle 8500 alle 18,000 a chilometro: poscia la legge 31 mai'zo 1904,
n. 140, per le ferrovie della Basilicata, da costruirsi a scartamento ridotto,
autorizzò sovvenzioni fino a lire 7500.
Poco appresso la legge 30 giugno 1904, n. 293, iniziava la violazione
della massima che non si dovessero fare costruzioni dirette dallo Stato, e
ordinava la esecuzione, da parte di questo, di un tronco della direttissima
Boma-Napoli.
Infine la legge 9 luglio 1905, n. 413, promulgata pochi giorni dopo
Tinizio deiresercizio di Stato, e da me controfirmata, applicava e combinava
per le complementari i due sistemi :
a) per alcune linee (Spilimbergo-Gemona, Poggio Rusco-Verona, Co-
senza-Paola) ordinava la costruzione di Stato ;
b) per altre stabiliva la costruzione da affidarsi all' industria privata,
ed autorizzava in generale ad aumentare le sovvenzioni chilometriche a
lire 7500 per linee in determinate condizioni (che esporremo, perchè le norme
sono ancora vigenti, parlando delle concessioni di ferrovie all'industria privata);
e) per altre infine prescriveva che, se entro un dato termine non fossero
state concesse all'industria privata, si procedesse alla costruzione di Stato.
A quest'ultimo proposito è opportuno fin da ora notare che, mancate le
concessioni private per la rete complementare della Sicilia, ascendente a
circa 450 chilometri, ne fu colla legge 12 luglio 1906, n. 341, autorizzata
la costruzione a spese dello Stato, da eseguirsi per mezzo dell'Amministra-
zione delle ferrovie di Stato.
Come sopra si fece cenno della galleria del Fréjus, così non devesi di-
menticare che l'Italia concoi-se anche per la costruzione delle gallerie del
Gottardo e del Sempione, e che le linee di accesso a quest'ultima erano già
compiute alla metà del 1905.
FERROVIE
18
Per la Sardegoa già abbiamo ricordata la Compagnia reale delle fer-
rovie sarde, sorta nel 1862, che colla legge 4 gennaio 1868 ottenne la con-
cessione di linee neirisola, e dopo varie vicende e convenzioni, pervenne a
costruire ed esercitare nna rete di 421 chilometri, che rappresenta la rete
principale dell* isola. Ivi pure, nel 1886, si fece la concessione di linee se-
condarie alla Società detta appunto delle feiTovie secondarie, la quale ha
costruito ed esercita una rete avente lo sviluppo di 594 chilometri.
Così attraverso a forti ostacoli amministrativi e finanziari, ad incertezze
di politica e ad errori tecnici, ohe è facile ora criticare, ma non sarebbe
stato allora altrettanto facile evitare, Tltalia era pur riuscita ad avere, c«n
ingente spesa che calcolasi a circa cinque miliardi, una cospicua rete fer-
roviaria, la quale al 80 giugno 1905 era costituita come risulta dal se-
guente prospetto:
•
FERROVIE IN CHILOMETRI
GRUPPI DI LINEE
di proprieU
dello Stato
conoeBse
a SocieU
TOTALB
I. Kete destinata airesercìzio di Stato . .
9,868
689
10,557 (»)
II. Rete in esercizio privato :
1) Società per le strade ferrate meridionali
40
2,016
2,056
2) Sardegna:
a) Compagnia reale
b) Ferrovie secondarie
421 )
594 ì
1,015
8) Società Veneta. . *
188
302
485
4) Società diverse
—
1,824
1,824
Totale . . .
10,041
5.846
15,887
Quanto allo scartamento, si hanno i seguenti dati (non corrispondenti in
tutto ai precedenti per la diversità dei metodi nel determinare la lunghezza)
al 30 giugno 1905 :
1) Scartamento normale:
a) doppio binario chil. 1,934
b) semplice « 12,603
Totale ...» 14,537
2) Scartamento ridotto e a semplice binario . . « 1,287
Totale generale ... » 15,824
(') Di questi furono fino allora parte della rete Mediterranea chilometri 5785, del*
rAdriatica 8595. della Sicnla 1079.
14 CARLO F. FERRARIS
Qaanto alla ripartizione geografica, si hanno i segaenti dati rìferentisi
al 31 dicembre 1904:
L Italia settentrionale ed Emilia (escluse le Provincie di Forlì
e Ravenna) chil. 6,080
II. Italia centrale (compresi gli Abruzzi, ma della
Emilia comprese le sole Provincie di Forlì
e Bavenna) « 3,641
III. Italia meridionale continentale (meno gli
Abruzzi) n 3,533
IV. Sicilia » 1,449
V. Sardegna n 1,012
Totale . . . » 15,715
III.
L'esercizio di Stato e le costruzioni di Stato dal !<" luglio 1906.
I) Primo ordinamento dell'esercizio di Staio — Formazione della rete
e stato attuale di questa. — Un disegno di legge presentato dal Governo alla
Camera dei deputati il 17 marzo 1904, e sul quale riferì la Commissione il
80 giugno, formulava ampiamente, in ispecie per opera di questa, le norme fon-
damentali per Tordinamento dell'esercizio di Stato. Lo stesso scopo si propose
il Oo verno col disegno di legge presentato alla Camera il 21 febbraio 1905.
Siccome però si avvicinava a gran passi la scadenza delle convenzioni, ed ormai
l'adozione deiresercizio di Stato era irrevocabilmente decisa, essendo del
resto divenuta impossibile qualsiasi altra soluzione del problema ferroviario,
Tautore di questo scritto, divenuto ministro dei lavori pubblici il 28 marzo
1905, si convinse che un disegno di legge di tanta mole non poteva rapi-
damente discutersi, mentre urgeva provvedere al passaggio delle ferrovie allo
Stato ed armar questo dei necessari poteri. Presentò quindi alla Camera
un disegno di legge di soli 24 articoli 1*8 aprile 1905; la Commissione
delia Camera riferì il 16, la discussione cominciò il 17, il 19 il disegno
era approvato dalla Camera e il 21 dal Senato, il 22 firmato dal Be e
così si ebbe la legge 22 aprile 1905, ù. 137, punto di partenza di un nuovo
periodo nella politica ferroviaria italiana.
L* amministrazione delle ferrovie dello Stato fu costituita, sotto la re-
sponsabilità del Ministro dei lavori pubblici, da un Direttore generale no-
minato con regio decreto su proposta di quel Ministro, sentito il Consiglio dei
Ministri, e da un Comitato di Amministrazione, composto di sei membri,
nominati nello stesso modo, e presieduto dal direttore generale. A questi ed
al Comitato di Amministrazione furono deferite (salvo le modificazioni por-
FERROVIE 15
tate dalla legge) le attribuzioni e le facoltà spettanti ai Consigli di Am-
minintrazione ed ai direttori generali delle tre cessate grandi Società.
I primi coadiutori del direttore generale dovevano essere scelti nel
R. Ispettorato delle strade ferrate e nel personale delle tre reti, mentre si
preparava il passaggio delle linee allo Stato: poscia, il P luglio 1905, data
deirincominciamento del nuovo esercizio, parte del personale del S. Ispet-
torato e tutto quello delle tre reti dovevano passare allo Stato, salvo, quanto
al personale dell'Adriatica, quella parte di esso che ancora occorreva alla
Società stessa, alla quale si era lasciato Tesercizio di una rete di 2056 chi-
lometri (2016 erano di proprietà della Società stessa), faciente capo a Bo*
legna, Napoli ed Otranto.
Tutti gli addetti alle ferrovie dello Stato, qualunque fosse il loro grado
ed ufficio, vennero dichiarati pubblici ufficiali; si conservarono in vigore le
disposizioni disciplinari e le relative garanzie contenute nei regolamenti alle-
gati al regio decreto 4 agosto 1902, n. 379, emanato in esecuzione della citata
legge 7 luglio 1902, n. 291: ma fu sancito pure che coloro, i quali abban-
donassero il lavoro 0 non assumessero l'ufficio o prestassero l'opera loro in
modo da interrompere o perturbare la continuità e regolarità del servizio,
sarebbero stati considerati come dimissionali e quindi surrogati, salvo al
direttore generale, su parere del Gomitato di Amministrazione, considerate
le condizioni individuali e le speciali responsabilità, di applicare invece un
provvedimento disciplinare.
Si mantennero provvisoriamente in vigore le condizioni per i trasporti
e le tariffe esistenti.
II bilancio dell'azienda ferroviaria di Stato fu allegato al bilancio del
Ministero dei lavori pubblici.
Promulgata la legge e nominato il direttore generale, scegliendo l'in-
gegnere Biccardo Bianchi, direttore della rete sicula e valentissimo come
tecnico e come amministratore, si procedette rapidamente (mancavano appena
due mesi e pochi giorni al cominciamento del nuovo esercizio) alla forma-
zione del primo nucleo dell'amministrazione centrale e locale in ordine al
personale ed agli uffici.
Fissata questa prima base, si emanò, da me promosso, il regio decreto
15 giugno 1905, n. 259, secondo il quale l'Amministrazione delle ferrovie
di Stato comprendeva:
1^ La Direzione generale con sede in Roma, insieme con il Gomitato
di Amministrazione, un Ispettorato centrale e tredici Servizi centrali (uno
dei quali però a Bologna);
2® Otto Direzioni compartimentali di esercizio, con sedi a Torino,
Milano, Genova, Venezia, Firenze, Roma, Napoli e Palermo, più una Dire-
zione speciale a Messina per l'esercizio della navigazione dello Stretto, affidata
pure all'azienda ferroviaria, e vari uffici di controllo dei prodotti e per gli
approvvigionamenti e magazzini in diverse sedi.
16 CARLO F. FERRARIS
Come risulta dai dati sopra pubblicati, la rete di Stato abbracciava
10557 chilometri, dei quali 9868 di proprietà dello Stato, situati sul conti-
nente e in Sicilia, perchè la Sardegna era interamente esclusa dal nuovo regime.
Si era lasciata sussistere la Società italiana per le strade ferrate meri-
dionali che esercitava, come dissi, 2016 chilometri di sua proprietà, più 40
chilometri di proprietà dello Stato. Io aveva, il 17 maggio 1905, proposto
al Consiglio dei Ministri il riscatto di quella rete: ma in parte per le ec-
cessive pretese della Società, in parte per una certa ostilità al provvedimento
neiropinione pubblica e nel Parlamento, in parte perchè si nutriva ancora
rillusione che la concorrenza di quella Società potesse stimolare a maggiore
solerzia ed attività l'azienda di Stato, il riscatto non fu compiuto. Si sti-
pulò invero una convenzione colla Società, che fu presentata al Parlamento
e poi modificata e ripresentata, per regolare Tesercizio della sua rete e i suoi
rapporti coU'esercizio di Stato, ma non si potè discutere, perchè destò vivaci
opposizioni : poco appresso le difficoltà divennero insormontabili ed in breve
gli inconvenienti per aver voluto mantenere queiresercizio sociale furono così
perturbatori che si addivenne (avendo anche la Società moderate le sue pre-
tese finanziarie) al riscatto della rete di proprietà della Società colla legge
15 luglio 1906, n. 324, mentre già colla legge 28 giugno 1906, n. 261,
Bì erano incorporate nella rete di Stato le linee, di proprietà di questo, state
per assai tempo concedute in esercizio alla Società Veneta.
Colla legge 15 luglio 1906, n. 325, furono approvate, con lievi modi-
ficazioni, le proposte già da me presentate ed allora osteggiate, colle quali
si transìgevano le controversie e si liquidavano le contabilità assai compli-
cate colla ex-rete Mediterranea: colla citata legge 15 luglio 1906, n. 324,
furono pure regolate le liquidazioni colla ex-rete Adriatica; e infine colla
legge 31 dicembre 1907, n. 813, quelle colla ex-rete Sicula. La spesa dello
Stato per le liquidazioni delle passate gestioni finora (luglio 1910) compiute
ammonta a 483 milioni.
L'esercizio di Stato, per necessità affrettatamente organizzato, trovò sul
principio gravissimi ostacoli, da una parte perchè Tincremento del traffico sia
pei viaggiatori che per le merci fu molto rapido e tale da non potersi soddisfa-
centemente dominare coi difettosi impianti e lo scarso materiale mobile ereditato
dair esercizio privato, e d'altra parte per gravi disastri, come il terremoto
calabrese del settembre 1905, e via dicendo. Ma con energia e prudenza anche
la crisi fu superata: il Parlamento approvò parecchie nuove leggi sull'ordina-
mento deiresercizio, sulla posizione del personale, sulla provvista di fondi, e
via dicendo ; furono, coi fondi votati dal Parlamento, fatti nuovi impianti, rin-
novata parte dell'armamento, aumentati il materiale rotabile (ricorrendo lar-
gamente all'industria nazionale, che ne ebbe impulso a perfezionarsi) anche
con nuovi tipi, i treni e il personale, migliorati gli oraii, ribassate le tariffe e
create nuove agevolezze pei viaggiatori, rivedute molte tariffe per merci, ecc.
FERROVIE 17
Riservandomi di parlare in seguito delle nuove leggi e degli altri prov-
Tedimenti rispetto airordinamento delFazienda, al suo personale ed alla sua
gestione, continuerò ora ad esporre la formazione della rete attuale.
Col riscatto delle linee di proprietà della Società delle Meridionali : colla
restituzione, da parte della Società Veneta, delle linee di proprietà dello Stato
da essa esercitate, e per nuove costruzioni compiute, la rete di Stato, da 10,557
chilometri al l"" luglio 1905, saliva, al P luglio 1907, a 13,023 chilometri.
Col regio decreto 12 marzo 1908, divenuto legge il 9 luglio 1908,
furono, per le nuove condizioni determinate dall' incorporazione della rete
meridionale nella rete di Stato, create le Direzioni compartimentali di An-
cona e di Reggio Calabria, dando a quest'ultima anche una parte della rete
già assegnata a quella di Napoli, ed alla prima qualche linea già assegnata
ai compartimenti di Roma e di Venezia.
Per l'apertura delle linee fra Rivarolo e gli scali marittimi di Genova ^
e fra Poggio Rusco e Revere, e di due tratti delle complementari Siculo,
pel passaggio allo Stato delle linee Palermo-Marsala-Trapani, Ofantino-Mar-
gherìta di Savoia e Camposampiero-Montebelluna: per la cessione dell'eser-
cizio della linea Brescia-Iseo alla Società nazionale delle ferrovie e tramvie,
e per altri minori mutamenti, tenuto conto delle rettifiche di misurazione
fatte dalla nuova gestione, la lunghezza reale per tronchi (^) della rete dello
Stato risultò progressivamente la seguente:
al lo luglio 1908 Chilometri 13,221
» 1« 1. 1909 ^ 13,244
1. P ^ 1910 « 13,303
dei quali, chilometri 2312 a doppio binario (*) e 24 a scartamento ridotto (^).
La distribuzione della rete fra i dieci compartimenti, sempre secondo
la lunghezza reale per tronchi, è la seguente:
1. Torino Chilometri 1714.8
2. Milano n 1223.5
3. Venezia » 1207.7
4. Genova » 656.6
5. Firenze » 1406.5
6. Ancona « 1353.2
7. Roma » 1217.3
8. Napoli » 2267.3
9. Reggio Calabria ... ^ 955.9
10. Palermo » 1299.8
(^) La Innghezza reale per tronchi ò la distanza fra gli assi dei fabbricati viaggia-
tori delle stazioni estreme, e comprende i tratti comuni di costruzione.
(') Il 8 luglio 1910 fu aperta e compresa neiresercizio di Stato la linea a doppio
binario, di 29 chilometri, fra Livorno e Vada.
(') L*asienda ferroviaria di Stato esercita anche la navigazione dello stretto di Mes-
sina coi ferryòoati (23 chilometri) e, come vedremo in seguito, la navigazione di Stato
Carlo F. Fkbbaris. — Ferrovù. 2
18 CARLO F. FERRARIS
II) Ordinamento attuale dell' esercizio di Stato. — Dopo la legge
22 aprile 1905, o. 137, molte leggi regolarono questa materia. Esse debbono
essere coordinate in testo unico; ma questo finora non fu pubblicato. Data
la complessità della materia, divìderemo la trattazione in due parti: la prima,
relativa all'ordinamento generale; la seconda, relativa al personale.
A) Ordinamento generale dell'esercizio.
Sono specialmente da ricordarsi in proposito la ora citata legge e le se-
guenti: 80 giugno 1906, n. 272; 12 luglio 1906, n. 332; 7 luglio 1907,
n. 429; 9 luglio 1908, n. 405; 12 luglio 1908, n. 444; 25 giugno 1909,
n. 372.
I. L*Àmministrazione delle Ferrovie di Stato è dichiarata autonoma.
Ne stanno a capo il Direttore generale e un Consiglio di amministra-
zione: tanto il primo quanto i membri del secondo sono nominati con B. de-
creto, su proposta del ministro dei lavori pubblici, sentito il Consiglio dei
ministri; e non possono essere rimossi né sospesi dall'ufficio che con lo stesso
procedimento.
Il Consiglio di amministrazione è composto del direttore generale, che
lo presiede, e di otto consiglieri, dei quali, due scelti tra i funzionari supe-*
rieri delle ferrovie, tre fra alti funzionari dello Stato e tre fra cittadini non
funzionari, che abbiano dato prova di alta capacità tecnica ed amministrativa.
Il Consiglio di amministrazione approva le norme dei singoli servizi e
le relative modificazioni : delibera sul bilancio preventivo, su quello di asse-
stamento e sul conto consuntivo : approva la ripartizione dei fondi stanziati
in bilancio e, con leggi speciali, i progetti per lavori sulle linee e dipen-
denze e le provviste di importo superiore alle lire cinquantamila, i contratti
ad asta pubblica e a licitazione privata di importo superiore a lire venti-
mila e quelli a trattativa privata di importo superiore a lire cinquemila:
delibera sulle proposte delle piante organiche e delle norme riguai-danti il
personale e sopra le nomine, le promozioni, gli aumenti di stipendio, i col-
locamenti in disponibilità od aspettativa e T esonero definitivo, nonché la
proroga del termine per Taumento dello stipendio o della paga, la degra-
dazione e la destituzione del personale stabile, i ricorsi del personale, ecc.
fra il continente e le isole: inoltre esercita le due brevi linee Cerignola stazione-Ceri-*
gnola città, e Desenzano stazione-Desenzano lago, per circa 11 chilometri. Si noti pure
che Tazienda nostra esercita 25 chilometri su territorio estero, mentre amministrazioni
estere esercitano 41 chilometri su territorio italiano. In complesso, se si tien conto della
lunghezza esercitata assolata per linea (cioè della distanza fra gli assi dei fabbricati viag-
giatori delle stazioni estreme, comprendendo i tratti comuni di costruzione e di esercizio)
e delle circostanze ora notate, la rete esercitata ascese a chilometri 14,211 neiranna
1909-1910.
FERROVIE I^
Il Direttore generale propone al ministro dei lavori pubblici, su con-
forme deliberazione del Consiglio di amministrazione, ii progetto del bilancio
di previsione deli* azienda, le successive variazioni e il conto consuntivo, le
proposte di prelevamento di somme dal fondo di riserva per spese impreviste,
ì provvedimenti e le proposte concernenti modificazioni alle condizioni dei
trasporti e delle tariffe, i precetti dei lavori, pei quali occorre la dichia-
razione di pubblica utilità. Inoltre ordina le spese nei limiti del bilancio
approvato: dà esecuzione alle deliberazioni del Consiglio di amministrazione:
rappresenta l'Amministrazione delle ferrovie dello Stato agli effetti giuri-
dici, salvo quanto è dalle leggi riservato ad altri uffici ferroviariì, verso i
terzi: approva i progetti di lavori sulle linee e dipendenze di importo non
superiore alle lire cinquantamila e non richiedenti espropriazioni, nonché le
provviste fino allo stesso limite: autorizza Tesecuzione dei lavori, delle prov-
viste e delle spese, cui si riferiscono le assegnazioni approvate dal Consiglio
di amministrazione : approva i contratti ad asta pubblica e a licitazione privata
di importo fino a lire ventimila e quelli a trattativa privata di importo fino
a lire cinquemila, la esecuzione dei lavori in economia ed a cottimo compresi
nelle assegnazioni, le proposte per il conferimento dei premt speciali, e le
gratificazioni e i sussidi al personale, che non raggiungano la competenza del
Consiglio di amministrazione : prende, salvo a chiedere la sanzione di questo,
provvedimenti di urgenza nelK interesse della continuità e sicurezza deireser-
cizio 0 nelr interesse del traffico, ecc.
I consiglieri di amministrazione e il direttore generale sono responsabili
verso lo Stato delle perdite e dei danni recati allo Stato o ai terzi. Terso i
quali lo Stato debba rispondere, per il fatto di violazione di leggi o di de-
creti, 0 di negligenza grave, o di abuso, dei quali si siano resi colpevoli nel-
Tesercizio delle loro rispettive attribuzioni.
L'Amministrazione autonoma ha cosi la diretta gestione di tutti gli affari
che si riferiscono all'esercizio della rete ferroviaria e della navigazione dello
stretto di Messina, la quale, coi ferry-boats, serve di congiungimento fra le
linee siculo e le continentali (*): e nello svolgimento di queste sue funzioni
impegna il bilancio dell'azienda.
Questa però rimane sotto l'alta direzione e la responsabilità del ministro
dei lavori pubblici, che può (come quelle del Tesoro per la parte che lo ri-
guarda) ordinare ispezioni per accertarsi della regolarità dei servizi e della
gestione.
Non piii tardi del giorno successivo vengono a lui comunicate le delibe-
razioni prese in ogni seduta dal Consiglio di amministrazione, e può per gravi
(0 Colla leg^e 5 aprile 1908, n. Ili, farono affidate airazìenda ferroviaria di Stato
le seguenti linee di navigazione, assunte dal 1® luglio 1910 dallo Stato: Napoli-Palermo,
Napoli-Messina- Reggio Calabria-Riposto-Catania-Siracusa, Civitavecchia-Golfo Aranci-Ter-
lanova, Qolfo-Aranci-Maddalena. La materia non è compresa nella trattazione.
20 CARLO F. FERRARIS
motivi, e sentite (a meno che non vi sia urgenza assoluta) le osservazioni
deirAmministrazione, sospendere momentaneamente e quindi, con decreto mo-
tivato e in seguito a deliberazione del Consiglio dei ministri, negare la ese-
cutorietà alle deliberazioni del Consiglio di amministrazione o ai provvedi-
menti della Direzione generale: può inoltre, o di ufficio o su ricorso, con
decreto motivato, dichiarare la illegittimità di ogni atto o provvedimento
dell* Amministrazione, che sia contrario alle leggi e ai regolamenti: nel
progetto di bilancio preventivo e in quello dì assestamento della spesa può
far insei'ire, in speciale colonna, quelle variazioni che ritenesse opportuno
apportarvi, con le relative note giustificative : sono soggette alla sua appro-
vazione le deliberazioni motivate del Consiglio di amministrazione relative
alle nomine, agli avanzamenti, ai collocamenti in disponibilità, alFeaonero
ed alla destituzione dei funzionari di grado uguale e superiore al primo delle
tabelle graduatorie esistenti ; gli è presentata ogni anno, entro il mese di no-
vembre, una relazione sulVandamento dell* azienda durante il precedente anno
finanziario, ecc.
Quanto ai particolari sulVordinamento dell'amministrazione genemle della
azienda, noteremo i seguenti:
P) La Direzione generale ha sede in Roma, ove pure si aduna il Con-
siglio di amministrazione. Il direttore generale è coadiuvato da due vicedi-
rettori generali, da lui proposti, scegliendoli tra i funzionar!, al ministro dei
lavori pubblici, con parere favorevole del Consiglio di amministrazione, e no-
minati con regio decreto promosso dal ministro stesso, sentito il Consiglio dei
ministri.
I vicedirettori generali, olti-e al coadiuvarlo, sostituiscono (secondo l'or-
dine di precedenza da stabilirsi dal Consiglio di amministrazione) il direttore
generale in caso di assenza od impedimento.
2^) Presso la direzione generale è istituito T Ispettorato centrale con
funzioni di vigilanza e di consulenza amministrativa e tecnica. Esso si occupa
specialmente dello studio e della compilazione dei maggiori progetti per nuovi
impianti, dello studio dei tipi del materiale mobile, e simili : ai suoi membri
sono affidate inchieste, missioni, e altri incarichi dal direttore generale.
3^) I servizi centrali, nei quali la Direzione generale si ripartisce, sono
i seguenti:
I. Segretariato (affari generali, contratti, e V istituto sperimentale per
lo studio dei terreni e dei materiali, per le analisi chimiche, ecc.);
II. Ragioneria e cassa;
III. Legale;
IV. Pedonale e servizio delle pensioni e delle indennità per infor-
tuni sul lavoro;
y. Sanitario;
VI. Approvvigionamenti e magazzini;
FERROVIE 21
VII. Movimento e traffico (stazioni, treni, orari, circolazione, veicoli) ;
Vili. Commerciale e controllo prodotti;
IX. Navigazione;
X. Trazione (a vapore ed elettrica), materiale rotabile ed officine
(con sede a Firenze) ;
XI. Mantenimento, sorveglianza e lavori (con sede a Bologna) ;
XII. Costruzioni (studi e costruzioni di nuove linee, grandi lavori indi-
pendenti dairesercizio).
Vi ò pure un Ufficio di stralcio per le liquidazioni delle contabilità
con le cessate Società.
I servizi VII ed Vili formano il gruppo eseroiiio; il IX e il X il
gruppo locomoiione\ TXI, il XII e lo stralcio, il gruppo lavori.
Presso la Direzione generale sono pure costituiti :
P) Il Consiglio generale del traffico, presieduto dal ministro dei la-
vori pubblici, il quale sceglie nel seno di esso, ogni anno, il vice-presidente,
e composto di alcuni funzionari dei vaii ministeri e deiramministrazione fer-
roviaria, di otto membri scelti dal ministro fra persone che abbiano spe-
ciale competenza tecnica o legale in materia ferroviaria, e di un gran nu-
mero di delegati di Consigli supeiìori, delle Commissioni compartimentali
del traffico (delle quali dirò più oltre), di Società ferroviarie, di Compagnie di
navigazione, delle Camere di commercio, dei Comizi agrari, dei sodalizi
della stampa, del personale ferroviario.
Esso dà parere specialmente in materia di tariffe, di nomenclatura e
classificazione di merci, sulla interpretazione delle condizioni dei trasporti,
su le concessioni speciali, e via dicendo.
2^) La Commissione parlamentare di vigilanza, composta di sei sena-
tori e sei deputati, delegati dalla rispettiva Camem in ciascuna sessione.
Deve vigilare sulVandamento deirazienda, segnalarne al Parlamento e al Oo-
verno i bisogni e le eventuali deficienze, e presentare al Parlamento una
relazione annuale.
II. L* Amministrazione locale, o disccntrata, si distribuisce in dieci dire-
zioni compartimentali, aventi sede a Torino, Milano, Venezia, Genova, Fi-
renze, Ancona, Soma, Napoli, Reggio Calabria, Palermo.
Ogni direzione compartimentale ha tre divisioni: 1) movimento e traf-
fico; 2) trazione e materiale rotabile; 3) mantenimento e sorveglianza, più
un ufficio di ragioneria, un ufficio legale ed un ufficio sanitario.
Ciascuna divisione ha quattro uffici, di cui due designati uniformemente
in ogni divisione come ufficio del personale ed affari generali ed ufficio della
contabilità ed economato e che si occupano della parte amministrativa, mentre
gli altri due, che attendono alla parte tecnica, si denominano : a) nella di-
visione movimento e traffico, ufficio movimento ed ufficio commerciale e del
traffico; b) nella divisione mantenimento e sorveglianza, ufficio lavori ed
22 CARLO F. FERRARIS
ufficio armamento, materiale fisso e sorveglianza ; e) nella divisione materiale
e trazione, ufficio locomotive e ufficio veicoli (con aggiunta di un ufficio tra-
zione elettrica, nei compartimenti dove questa è applicata).
Sono pure state istituite, alla dipendenza di ciascuna delle divisioni,
le sezioni, dalle quali dipendono gli ispettori di riparto, cosi discentrandosi
ancora la funzione direttiva. Per ora le sezioni furono create nei compar-
timenti ove più intenso è il lavoro ferroviario, continuando a sussistere negli
altri i riparti.
I capi delle divisioni nelle direzioni compartimentali dipendono diret-
mente dai servizi centrali, mentre il capo del compartimento, preposto alla
direzione compartimentale, è alla immediata dipendenza del direttore generale.
Al capo del compartimento spetta di vigilare sul funzionamento delle
divisioni e degli uffici compartimentali e di coordinarne le iniziative. Per
meglio regolare tale compito suo e i rapporti suoi coi capi delle divisioni,
si è costituito il comitato di esercizio, del quale fanno parte permanente i
capi delle tre divisioni, col concorso eventuale, ove occorra a giudizio del capo
del compartimento, dei capi degli altri uffici compartimentali: egli inoltre,
0 personalmente o a mezzo del comitato di esercizio, esercita alcune facoltà
che sono affidate alle direzioni compartimentali ed interessano più rami del
servizio.
In generale, le direzioni compartimentali rappresentano, nei limiti della
loro circoscrizione, Tamministrazione verso i terzi: provvedono all'andamento
dei servizi attivi deiresercizio, approvano lavori di ripristino e di manuten-
zione straordinaria e le provviste pei lavori, fanno i contratti (nei limiti fis-
sati dalle norme emanate dall'autorità competente), approvano la esecuzione
ad economia od a cottimo dei lavori e delle provviste, studiano e presentano
i progetti di lavori e le proposte di provviste eccedenti i limiti della loro
ordinaria competenza, le proposte di provvedimenti per lo sviluppo del traf-
fico, pel miglioramento della circolazione dei treni, e in genere del servizio,
del quale espongono anche le condizioni alla direzione generale : autorizzano
corse speciali, a tariffa normale, in occasione di fiere, feste, pellegrinaggi,
congressi e simili : prendono, nei casi di urgenza, i provvedimenti necessail
per la continuità e sicurezza dell'esercizio, informandone immediatamente il
direttore generale, ecc.
Per dar parere, esprimere voti e fare studi sulle tariffe, su gli orari locali
e su i bisogni del traffico del compartimento, è costituita in ciascuno di questi
la Commissione compartimentale del traffico, presieduta dal capo del com-
partimento e composta di due funzionar! della direzione compartimentale, di
quattro rappresentanti locali dell'industria, del commercio e dell'agricoltura
(due eletti dalle camere di commercio e due dai comizi agrari esistenti nel
compartimento), e di due membri scelti dal ministro dei lavori pubblici tra
persone estranee al servizio ferroviario, ma versate in materia.
I
FERROVIE 23
Ricorderò infine le grandi officine, le officine annesse ai depositi, e le
squadre di rialzo dipendenti dall'amministrazione ferroviaria.
III. Rispetto ai particolari della gestione sono da notarsi i seguenti :
a) le riduzioni delle tariffe sono approvate con decreto reale, il quale,
dopo un anno di esperimento, viene presentato al Parlamento per essere
convertito in legge;
b) quando saranno compiute (lo devono essere entro il 28 giugno 1912)
la revisione delle condizioni dei trasporti e la semplificazione delle tariffe,
nessuna tariffa potrà essere aumentata e nessuna condizione di trasporto ag-
gravata se non per legge, così come pure è ordinata la revisione quinquen-
nale della nomenclatura e classificazione delle merci ;
e) Tesercizio di una linea si fa con tre coppie giornaliere di treni
viaggiatori: quando il prodotto lordo superi le lire novemila a chilometro,
si deve istituire una quarta coppia, e si possono istituire altre coppie quando
il prodotto lordo dei viaggiatori e delle merci superi le lire dodicimila, ecc.;
d) sono stabilite speciali facilitazioni pei servizi suburbani, pei ser-
vizi dei centri agricoli, pei servizi locali, pei trasporti di operai, pei servizi
economici, ecc.
B) Personale.
Oltre alle leggi, sopra citate, parlando dell'ordinamento generale dello
esercizio, sono da notarsi le leggi 24 marzo 1907, n. 182; 14 luglio 1907,
n. 553; 9 luglio 1908, n. 418; il testo unico per le pensioni, del 22
aprile 1909, n. 229; il regolamento (modificato in alcune parti dalle accennate
leggi) pel personale, approvato con regio decreto 22 luglio 1906, n. 417, e
il regio decreto 22 novembre 1908, n. 688.
Il personale si distingue in stabile o di ruolo, in prova, avventizio, e,
rispetto alla rimunerazione, in agenti a stipendio e agenti a paga.
Le assunzioni, le nomine, gli stipendi o le paghe, gli avanzamenti, la
disciplina, Tesonero, le condizioni di servizio in genere e le competenze ac-
cessorie del personale, sono regolate in base a norme approvate con decreto
reale, udito il Consiglio dei ministri. Però, eccettuato il personale di fatica
ed avventizio e salvi i diritti riservati ai sottufficiali del regio esercito e
della regia marina, le assunzioni di nuovo personale sono fatte per pubblico
concorso ; ma qualora si richiedano peculiari requisiti indispensabili per spe-
ciali lavori od offici, si può assumere nuovo personale senza concorso, ma
soltanto su proposta del direttore generale accompagnata dal parere motivato
del Consiglio di amministrazione e con deliberazione del Consiglio dei mi-
nistri. Le promozioni hanno luogo per merito, tenuto conto anche dell'an-
zianità di servizio od in quanto vi siano posti che le esigenze del servizio
richiedano di coprire.
24 CARLO F. FERRARIS
Per alcuni gradi, pei quali è necessario avere speciali abilitazioni o co-
noscere determinati servizi, la destinazione alle funzioni del grado superiore
ha luogo previo esame e in base alla graduatoria conseguita.
Tutti gli addetti alle ferrovie esercitate dallo Stato, qualunque sia il
loro grado ed ufficio, sono considerati pubblici ufficiali. Senza pregiudizio
deirazione penale secondo le vigenti leggi, coloro che volontariamente abban-
donano 0 non assumono Tufficio o prestano Topera propria in modo da inter-
rompere 0 perturbare la continuità o regolarità del servizio, sono considerati
come dimissionari e sono surrogati. Può però il direttore generale, su parere
fiivorevole del Consiglio di amministrazione, considerate le condizioni indivi-
duali e le personali responsabilità, applicare invece la sospensione dal ser-
vizio, la proroga del termine per l'aumento dello stipendio o della paga, o
la degradazione.
Le pene disciplinari sono, secondo i casi, inflitte dai capi degli uffici
locali, dai capi dei compartimenti, dai capi dei servizi centrali, dal diret-
tore generale, e, per le mancanze più gravi, le quali importino come pena
la proroga del termine normale per l'aumento dello stipendio o della pi^a,
la degradazione e la destituzione, dal Consiglio di amministrazione su pro-
posta di Consigli di disciplina. Le relazioni, che riassumono gli accertamenti
fatti e chiudono Tistruttoria, vengono comunicate agli incolpati per le loro
contestazioni ed osservazioni: questi possono anche essere interrogati dai
consigli di disciplina. Si richiede Tapprovazione del ministro dei lavori pub-
blici, come sopra dicemmo, per alcuni provvedimenti a carico di alti fun-
zionari, e sono regolati i ricorsi in via gerarchica e in giustizia ammini-
strativa contro le punizioni inflitte.
Sono già approvate le piante organiche e il ruolo di anzianità di gran
parte del personale, ed in breve sarà provveduto a tutti i gradi di questo.
Per le pensioni e i sussidi esistevano:
a) la cassa pensioni, alla quale appartenevano gli agenti a stipendio,
nominati a tutto il 31 dicembre 1896;
b) il consorzio di mutuo soccorso per gli agenti a paga nominati pure
fino a quella data ;
e) ristituto di previdenza per tutti gli agenti nominati dopo quella data.
Gli agenti appartenenti alla cassa-pensioni liquidavano la pensione in
base ai Vio ^^^ ^^'^ P^^' cento della somma degli stipendi percepiti e dei do-
dicesimi degli aumenti di stipendio. Quelli appartenenti al consorzio di
mutuo soccorso liquidavano un sussidio continuativo sulla base della paga
deir ultimo triennio in misura limitata, che in ogni caso non poteva supe-
rare lire 2,50 al giorno. Gli appartenenti airistituto di previdenza si divi-
devano in due sezioni: la prima comprendeva gli agenti a stipendio, e la
seconda quelli a paga ; la liquidazione della pensione era basata sul sistema
del conto individuale, dimostratosi, all'atto pratico, ben poco rimunerativo per
gli inscritti.
FERROVIE 25
Qneste yarie gestioni furono dichiarate cessate col 31 dicembre 1908 ; e
il servizio delle pensioni e dei sussidt già liquidati e da liquidare in avve-
nire, fu assunto da un*unioa apposita gestione deirAmminìstrazione delle fer-
rovie dello Stato. Fu così unificato il trattamento di riposo (salvo qualche
eccezione già garantita dalle leggi precedenti e conservata), estendendo a
tutto indistintamente il personale il trattamento fatto dalla cassa pensioni,
senza sopprimere per gli agenti a paga le agevolazioni che a loro proveni-
vano dal consorzio di mutuo soccorso e dalla seconda sezione dell'istituto di
previdenza, cioè la cura medico-chinirgìca, la fornitura dei medicinali, il
ricovero negli ospedali, il rimborso delle spese per le cure balnearie e per
altre cure speciali giudicate necessarie, pel trasporto dei malati e dei
feriti alle loro abitazioni ed agli ospedali, e per funerali, per fornitura degli
apparecchi ortopedici, arti artificiali e simili. Si adottò inoltre per gli agenti
a paga la disposizione di conferire loro, dopo i primi tre giorni di malattia
ordinaria, la paga intera per 180 giorni, mentre prima non percepivano che
un sussidio di malattia pari a '/$ della paga.
Così si ottennero notevoli semplificazioni amministrative e contabili nella
gestione delle pensioni e nel servizio degli uffict, alleggeriti di molto lavoro.
Alla detta gestione furono consegnati i patrimoni dei preesistenti isti-
tuti. Gli introiti principali, dei quali essa dispone, sono, oltre agli interessi
dei patrimoni ora accennati, i seguenti: a) le ritenute ordiuarie sugli sti-
pendi e sulle paghe n^guagliate ad anno, sugli assegni e sulle competenze
accessorie degli agenti (ad esempio, per gli agenti in prova e stabili la rite-
nuta è del 5,50 per cento sullo stipendio lordo o sulla paga ragguagliata
ad anno); b) le ritenute straordinarie in occasione di assunzioni in servizio
io prova e stabile, o di aumento di stipendio o paga degli agenti (per gli
agenti in prova e stabili la ritenuta è del decimo dello stipendio, o della paga
ragg«agliata ad anno, alVatto di nomina, e del dodicesimo di ogni aumento
della retribuzione annua); e) dei contributi dell* Amministrazione delle fer-
rovie dello Stato (ora dell*8,50, e dal P gennaio 1911 del 9 per cento degli
stipendi, paghe, assegni e competenze accessorie sottoposte alla ritenuta ordi-
naria, e di una somma uguale all'ammontare delle ritenute straordinarie);
d) del due per cento dei prodotti lordi del traffico delle ferrovie dello Stato ;
e) dell'importo delle multe inflitte in via disciplinare al personale, e via dicendo.
Non potendo entrare in molti particolari, è opportuno accennare la dis-
posizione fondamentale, cioè che il diritto di conseguire la pensione matura
quando si siano compiuti 60 anni di età e 30 di servizio utile se si tratti
di agenti addetti a servizi sedentari, quando si siano compiuti 55 anni di età
e 25 di servizio utile se si tratti di scrivani e di agenti addetti ad un
servìzio attivo, e quando si sia divenuti inabili a continuare o a riprendere
il servizio per ragioni di infermità, semprechè si siano compiuti 10 anni di
servizio utile per la pensione.
26 CARLO F. FERRARIS
Si riformò in pari tempo la materia degli infortuni degli operai sul
lavoro. Dal V gennaio 1909 T Amministrazione provvede direttamente alla
liquidazione ed al pagamento delle indennità, che, a termini di legge, sono
a suo carico: inoltre si dispose che, nei casi di esonero o di morte per
infortunio sul lavoro, all'agente od alla famiglia spetti la pensione corri-
spondente agli anni di effettivo servizio e la indennità di legge, mentre
prima si concedeva, al personale colpito, il migliore fra i due trattamenti,
il che dava argomento a continue controversie. Di più, quando l'effettivo
servizio sia minore di 25 anni e il supplemento occorrente per raggiungere
la pensione eccezionale, in base a 25 anni di servizio, sia maggiore della
rendita vitalizia costituita con Tindennità di legge, spetta altresì un ulte-
riore maggiore assegno di pensione, pari alla differenza fra il supplemento
e la rendita suddetta. Nei casi poi di inabilità temporanea dipendente da
infortunio sul lavoro, l'indennità è integrata, dopo i primi tre giorni, con
un eventuale supplemento, fino a raggiungere la paga giornaliera.
Il personale appartenente alle ferrovie distato, al 30 giugno 1910 no-
verava 148.727 agenti, dei quali, 109.716 erano stabili ed in prova, e 39.011
erano avventizi. Alcune migliaia di essi (cioè 6789) erano però addetti, non
all'esercizio, ma al servizio delle costruzioni, delle quali fra poco parleremo.
Non è da tacersi che una parte dei capitali appartenenti alla gestione
delle pensioni viene impiegata nella costruzione, ora in corso, di case econo-
miche pei ferrovieri, e che determinate somme vennero a tale scopo assegnate
ai vari compartimenti, per l'ammontare di lire 21.475.000. La somma totale
non potrà superare i 30 milioni e verrà gradualmente restituita al fondo
pensioni dall'Amministrazione ferroviaria.
III). Le costruzioni ferroviarie di Stato. — L'art. 78 della legge
7 luglio 1907, n. 429, dispone che all'Amministrazione delle ferrovie dello
Stato, sotto la diretta dipendenza del ministro dei lavori pubblici, sono
affidati gli studii, la direzione e la sorveglianza dei lavori per nuove fer-
rovie da costruirsi per conto diretto dello Stato: le spese all'uopo occorrenti
sono fatte coi fondi stanziati nel bilancio del ministero dei lavori pub-
blici. Cosi venne nuovamente sancita e precisata una disposizione già con-
tenuta nell'art. 23 della legge 22 aprile 1905, n. 137.
Oltre a tali leggi, gioverà ricordare di nuovo quelle già citate del 9
luglio 1905, n. 413, e del 12 luglio 1906, n. 341 (sulle ferrovie complemen-
tari della Sicilia), e quella del 12 luglio 1908, n. 444.
Le costruzioni più importanti attualmente (luglio 1910) in corso, sono :
1) Linea Cuneo- Ventimìglia;
2) Linea Spilimbergo-Gemona ;
3) Linea Bologna- Verona ;
4) Linea Sant* Arcangelo-Urbino;
5) Allacciamento Boma Trastevere - Boma Termini;
FERROVIE 27
6) Linea direttissima Boma-Napoli;
7) Linee delle Calabrie (Paola-Cosenza, Spezzano-Castrovillari, Pie-
trafitta- Rogliano);
8) La linea complementare della Basilicata Altamura-Matera ;
9) Bete complementare della Sicilia.
Speciali ufBci istituiti dall'azienda di Stato attendono agli studi, già
assai progrediti, per le due linee direttissime Genova-Tortona e Bologna-Fi-
renze, come si compiono stud! per la linea a doppio binario Fossano-Mondovi-
Ceva. Essa azienda sorveglia pure la costruzione, concessa all'industria privata,
delle linee AuUa-Lucca e Bagni di Lucca - Castelnuovo di Oarfagnana.
IV). La finanxa dell'azienda ferroviaria di Stato. — 1) Il bilancio
preventivo delle entrate e delle spese delVazienda ferroviaria ò presentato
air approvazione del Parlamento in allegato allo stato di previsione della
spesa del Ministero dei lavori pubblici.
Colla legge di assestamento del bilancio si approvano le variazioni che
si rendono necessarie nel preventivo. Il conto consuntivo, colla relativa de-
liberazione della Corte dei conti, è allegato in appendice a.1 rendiconto ge-
nerale dello Stato e deve contenere, ogni triennio, anche la dimostrazione
sintetica dei prodotti lordi per linea.
Alle spese di esercizio si provvede prelevando le occorrenti somme dai
prodotti.
Le entrate si dividono in ordinarie e straordinarie. Fra le entrate ordi-
narie si iscrivono i prodotti del traffico, i proventi dell'uso delle proprietà
immobiliari, e quelli dell'uso e della vendita di materiali provenienti dal-
l'armamento, dai rotabili e dai lavori in conto esercizio : i rimborsi e con-
corsi di Società concessionarie di ferrovie, di altre amministrazioni pubbliche
e di terzi nelle spese per lavorì di ripristino o per altre prestazioni : i noli
attivi di materiale rotabile, e qualunque altro introito riguardante l'esercizio.
Fra le entrate straordinarie si iscrivono le somme fornite dal Tesoro per le
spese straordinarie, i rimborsi e concorsi di Società concessionarie di ferrovie,
di altre amministrazioni pubbliche per lavori e provviste in aumento del
patrimonio ferroviario, il ricavo della vendita di beni immobili e di mate-
riali di dis&cimento pertinenti al patrimonio ferroviario ed ai servizi di na-
vigazione.
Lo spese si dividono in ordinarie di esercizio, complementari, accessorie
e straordinarie: le tre prime si iscrivono nella parte ordinaria; le ultime,
nella parte straordinaria del bilancio.
Spese ordinarie di esercizio sono quelle di personale, combustibili, ma-
natenzione ordinaria della ferrovia e sue dipendenze, manutenzione del ma-
teriale rotabile e di esercizio, ed in genere tutte le spese riguardanti l'eser-
cizio proprìamente detto.
28 CARLO F. FERRARIS
Spese complementarì sono quelle di manutenzione straordinaria occorrente
per riparare e prevenire danni di forza maggiore alle linee e loro dipendenze,
pel rinnovamento e rifacimento in acciaio della parte metallica delV armamento,
pel rinnovamento del materiale rotabile, per migliorìe ed aumenti di carat-
tere patrimoniale alle linee e loro dipendenze e al materiale rotabile quando
Taumento di prodotto non superi i 5 milioni in confronto dell'anno precedente.
Le spese accessorie comprendono gli interessi del materiale rotabile e
di esercizio, gli interessi sulVimporto degli approvvigionamenti e delle somme
fornite dal Tesoro per completamento del fondo di magazzino, gli interessi
e le quote di ammortamento delle somme erogate per aumenti patrimoniali,
le somme assegnate a fondo di riserva per spese impreviste, le quote di
ammortamento delle somme pagate dal Tesoro per liquidare le gestioni ces-
sate e le somme anticipate per le spese accessorie di materiale rotabile e
di esercizio e per approvvigionamenti facenti carico al bilancio ferroviario, le
spese per noleggi temporanei di materiale mobile, gli interessi e le quote
di ammortamento delle somme fornite per la costruzione e Tacquisto del
materiale di navigazione, ed altre minori spese.
Le spese straordinarie comprendono quelle per lavori, forniture e simili,
occorrenti per rimpianto della nuova amministrazione, quelle occorrenti per
continuare e a saldo di lavori e delle forniture ereditate dalle passate ge-
stioni, quelle occorrenti per reintegrare la nuova azienda delle deficienze di
manutenzione delle linee e del materiale rotabile riscontrate alVinizio della
sua gestione, quelle per forniture di nuovo materiale rotabile e di esercizio,
anche pei servizi di navigazione, e quelle per miglioramenti al materiale,
quelle per provviste, in aumento del patrimonio, di materiale fisso e di ma-
teriale metallico di armamento per nuovi binarii, per nuovi impianti ed am-
pliamento degli esistenti, compresi quelli di trazione elettrica.
2). Le leggi regolano minutamente tutta la mateiia dei contratti. Per
la sua importanza, noteremo soltanto la prescrizione per cui le provviste del
materiale fisso e mobile e di quello metallico di armamento sono di regola
appaltate all' industria nazionale, secondo i casi col sistema delle pubbliche
gare o della licitazione o trattativa privata: ove queste dimostrino che le
condizioni dell'industria nazionale non permettono di ottenere prezzi conve-
nienti, la Direzione generale delle ferrovie, su conforme deliberazione del
Consiglio di amministrazione, ed in seguito ad autorizzazione del Consiglio
dei ministri, procede a gare internazionali, alle quali sono invitate anche
ditte nazionali. Anche nelle gare internazionali, a parità di condizioni, è data
la preferenza all'industria nazionale, tenendo conto di una congrua prote-
zione a questa, che non può però mai eccedere il cinque per cento sulFof-
ferta deirindustria estera, accresciuta delle spese di dogana e di trasporto
al luogo di consegna. In casi di urgente bisogno di materiale può essere
eccezionalmente autorizzata, previa deliberazione del Consiglio dei ministri,
la licitazione o la trattativa privata con ditte estere.
FERROriB 29
3). Le condizioni assai cattive rispetto alle linee, agli impianti, al ma-
teriale, nelle quali lo Stato dovette assumere Tesercizio, lo obbligarono a
stanziare 65 milioni per nuove spese colla legge 22 aprile 1905, n. 187;
se ne aggiunsero altri 205 colla legge 19 aprile 1906, n. 127, e infine
altri 610 colla legge 23 dicembre 1906, n. 638, da erogarsi a tutto l'eser-
cizio 1910-1911. Per provvedere tali somme e per quelle occorrenti per le
liquidazioni delle passate gestioni, oltre che alle risorse ordinarie del Te-
soro e a quanto poteva essere fornito dalla Cassa dei depositi e prestiti,
si ricorse al credito, emettendo in base alla legge 25 giugno 1905, n. 261,
certificati ferroviari! ammortizzabili in 40 anni, fruttanti Tinteresse di lire 3.50
netto: si ordinò io stanziamento, nella parte ordinaria del bilancio delle
ferrovie di Stato, della spesa occorrente per il servizio di interessi e di am-
mortamento. Inoltre, sia per tali spese, sia per quelle derivanti dalle nuove
costruzioni di strade ferrate e dai servizi di navigazione di Stato, si autorizzò
colla legge 24 dicembre 1908, n. 731, anche l'emissione di un titolo di
debito ammortizzabile in 50 anni, fruttante T interesse annuo del 3.50 netto:
tali rendite dovevano essere inscritte nel Gran Libro del debito pubblico
per categorie di valor capitale, ciascuna di 150 milioni di lire (l'emissione
annua non poteva eccedere tale valore), componendosi ciascuna categoria di
titoli unìtarii del valore di lire 500. e di titoli multipli da 2500, 5000,
10.000 e 20.000 lire. Con questo nuovo titolo dovevano anche essere riscat-
tati i predetti certificati ferroviarii ed altri titoli di debito redimibile, in parte
precedentemente emessi per cause ferroviarie.
Colla legge 25 giugno 1909, n. 372, per le spese straordinarie del-
l'azienda ferroviaria e in aumento dei fondi stanziati colle preaccennate
l^Sgii Tamministrazìone delle ferrovie di Stato fu autorizzata ad assumere
impegni nel sessennio 1909-910 al 1914-915 fino al limite del quintuplo
dell'eccedenza raggiunta col prodotto del trafiico su quello di 410 milioni
di lire preso per base (non però oltre 150 milioni alFanno), come pure fu
autorizzato il Tesoro a fornirle nel sessennio 10 milioni per l'acquisto di
nuovo materiale rotabile da destinarsi ai trasporti in servizio dei ministeri
delle poste e dei telegrafi e dell' interno. Tali fondi dovevano essere prov-
visti coi titoli autorizzati dalle precedenti leggi.
Ma non essendo ben riuscita la emissione del titolo 3,50 per cento,
colla legge 15 maggio 1910, n. 228, si autorizzò, per la provvista dei fondi
(compresi quelli occorrenti per la spesa di 25 milioni prevista dalla poste-
riore legge 13 luglio 1910, n. 466, art. 62, per strade, impianti ed edifici
occorrenti alle ferrovie di Stato in seguito ai danni prodotti dal terremoto
del dicembre 1908) e il riscatto dei certificati ferroyiarìi, la emissione di un
nuovo titolo redimibile fruttante Y interesse del 3 per cento netto, da iscri-
Tersi nel Qran Libro del debito pubblico per categorie, ciascuna del valore
capitale nominale di 175 milioni: per ogni esercizio finanziario però Temis-
30 CARLO F. FERRARIS
sione non può eccedere il valore capitale occorrente per ricavare la somma
di 150 milioni. Ciascuna categoria deve essere composta di titoli unitarii del
valore di lire 500, con facoltà al ministro del Tesoro di emettere titoli sot-
tomultipli, che potranno essere da lire 2500, 5000, 10.000 e 20.000.
Vedremo i risaltati di questo espediente di Tesoro, invece del quale
sarebbe stato conveniente ricorrere all'emissione di rendita consolidata, se non
lo impedisse la circostanza che è ancora in essere la conversione di questa,
riducendosene, com'è noto, a cominciare del 1912, Tinteresse, al 3,50 per cento.
4). Gioverà, per conchiudere su tale materia, porre sottocchio al lettore,
fornendogli cosi anche un concetto sommario della grandezza dell'azienda in
quanto si riflette nella sua finanza, il riassunto del bilancio preventivo di
essa per l'esercizio 1910-911.
EN TJRATA.
Entrate di esercizio e fondi per aumenti patrimoniali.
Titolo I. Parte ordinaria:
§ 1. Prodotti del traffico L. 476.100.000
§ 2. Introiti indiretti deireBercizio » 1U.224.400
§ 3. Entrate eventuali » 6.121.000
§ 4. Introiti per rimborsi di spese » 44.820.000
Totale titolo I. - Parte ordinaria . . L. 546.265.400
Titolo II. — Parte straordinaria » 148.800.000
Totale delle entrate ordinarie e straordinarie L. -— ^— — ■ 695.065.400
Gestioni speciali ed autonome.
Titolo III. ~ Magazzini ed officine:
§ 1. Gestione autonoma dei magazzini L. 165.653.500
§ 2. Officine » 86.670.000
Titolo IV. — Gestione del fondo pensioni e sussidi! . » 42.283.000
Titolo V. — Gestione delle case economiche dei ferro-
vicrii » 6.000.000
Titolo VI. — Operazioni per conto di terzi:
§ 1. Operazioni attinenti ai trasporti » 382.450.000
§ 2. Operazioni attinenti al personale » 10.000.000
§ 3. Lavori, forniture e prestazioni per conto di pub-
bliche amministrazioni e di privati » 5.000.000
Totale delle gestioni speciali ed autonome . . . L. — — — — 698.056.500
Titolo VII. — Partite di giro L. 50.082.000
TOTALR GENERALE DELL* ENTRATA . . . L. 1.443.203.900
FERROVIE 31
Spese di esercizio e per aumenti patrimoniali.
Titolo I. — Parte ordinaria
Sezione I. Spese di esercizio :
§ 1. Direzione generale, servizi centrali I, II, III, IV,
V e ufficio stralcio L. 7.800.000
§ 2. Approvvigionamenti e magazzini » 6.800.000
§ 8. Servizio del movimento e del traffico ...» 121.850.000
§ 4. Servizio commerciale e controllo prodotti . . »> 5.600.000
§ 5. Servizio della navigazione » 4.735.000
§6. Servizio della trazione e del materiale rotabile. » 157.000.000
§7. Servizio del mantenimento e della sorveglianza » 58.718.000
§ 8. Navigazione dello stretto di Messina ...» 600.000
§ 9. Spese generali deiramministrazione .... » 38.014.440
10. Servizi secondarli » 4.600.000
Totale sezione I . . . L. 404.717.440
Sezione II. Spese complementari .... » 22.990.000
Sezione III. Spese accessorie:
§ 1. Spese accessorie attinenti alFazienda ferroviaria » 67.907.960
§ 2. Spese accessorie estranee airazienda ferroviaria,
e avanzo di gestione » 50.650.000 (^}
Totale del titolo I. — Parte ordinaria . . . L. 546.265.400
TiTOU) II. — Parte straordinaria » 148.800.000
Totale delle spese ordinarie e straordinarie . L. ■ ■' ■ 695.065.400
Gestioni speciali ed autonome,
m
Titolo III. — Magazzini ed officine
§ 1. Gestione autonoma dei magazzini L. 165.658.500
§ 2. Officine n 86.670.000
Titolo IV. — Gestione del fondo pensioni e sussidii . » 42.283.000
Titolo V. — Gestione delle case economiche pei ferro-
vieri » 6.000.000
Titolo VI, — Operazioni per conto di terzi:
§ 1. Operazioni attinenti ai trasporti » 882.450.000
§ 2. Operazioni attinenti al personale » 10.000.000
§ 8. Lavori, fornitore e prestazioni per conto di pub-
bliche amministrazioni e di privati .... » 5.000.000
Totale delle gestioni speciali ed autonome . . . L. ^^^m^^^^mmm 698.056.500
Titolo VII. — Partite di giro L. 50.082.000
Totale obnbiule della Spesa . . . L. 1.448.208.900
(I) Pìn esattamente, tale cifra di lire 50.650.000 dovrebbe essere distinta nel modo
seguente :
Spese accessorie estranee alPazienda ferroviaria » 1.850.000
Avanzo di gestione da versarsi al Tesoro . . » 48.800.000
32
CARLO F. FERRARIS
V). Alcuni dati statistici stdl' azienda ferroviaria di Stato,
A) Trasporti e prodott[ nbll^esercizio dal \^ luglio 1909 al 30 oiuono 1910.
Introiti
Viaggiatori . . . N®.
Bagagli .... Tono.
Merci e bestiame . Tonn.
QnantlU
trasportate
Prodotti ordinari!
Lire
Introiti dirersi
Lire
ToUli
Lire
81.423.389
181.126.428
223.750
181.350.178
141.235
8.693.681
70.615
8.764.296
35 724.866
284.504.933
6.625.784
291.130.717
Totali Lire 474.325.042 6.920.149 481.245.191
B) Materiale rotabile.
Quantità al 30 giugno 1910:
in in
Berrizio cottrazione
( Locomotive a vapore 4.675 343
( Locomotori elettrici 37 13
j. ( Automotrici a vapore 103 —
( Automotrici elettriche (escluse quelle ad accumulatori) 51 —
8. Canozze (comprese le automotrici elettriche ad accumu-
latori) 9.896 387
4. Bagagliai (compresi i bagagliai-posta) 3.061 361
_ ^ , { per merci e bestiame 86.514 ) ^..^
5. Cam i . . , . |. ,. -ioaoi S^^l
( per treni matenali e di servizio 1.863 )
6. Carri noleggiati 2.159 —
Per le ferrovie complementari a scartamento ridotto della Sicilia si provvidero
inoltre 18 locomotive, 24 carrozze e 105 carri.
La percorrenza in treni-chilometro neiresercizio 1909-910 fu di 107.905.222.
IV.
Le ferrovie, le tramvie e le lìnee di automobili
concesse air industria privata dal 1* luglio 190S.
Abbiamo già esposto sommariamente lo svolgimento della legislazione
sulle ferrovie concesse all'industria privata fino airinizio dell'esercizio ferro-
viario di Stato. Sia per causa di questo fatto, sia per nuovi bisogni rivela-
tisi, il lavoro legislativo continuò, e si ebbero (ricordo soltanto le principali)
le leggi 9 luglio 1905, n. 418; 30 giugno 1906, n. 272; 15 luglio 1906,
n. 383; 16 giugno 1907, n. 540; 7 luglio 1907, n. 429; 14 luglio 1907,
n. 562; 12 luglio 1908, n. 444; 25 giugno 1909, n. 372; 15 luglio 1909,
FERROVIE 33
n. 524, contenenti disposizioni anche per le tramvie, le automobili e gli
altri veicoli a trazione meccanica. Tutte le leggi antiche e recenti devono
essere ridotte a testo unico, e ad esse sono da aggiungersi le leggi sul per-
sonale del ministero dei lavori pubblici e il Genio civile, del 3 settembre 1906,
n. 522, e 9 luglio 1908, n. 403: la legge speciale ferroviaria per la Basili-
cata e le Calabrie, del 21 luglio 1910, n. 580: i regolamenti 29 luglio 1909,
n. 710, e 24 aprile 1910, n. 719, sui veicoli a trazione meccanica senza
guida di rotaie, e il regio decreto 7 agosto 1909, n. 711, sull'Ufficio speciale
delle ferrovie presso il ministero dei lavori pubblici.
1. Classificazione delle ferrovie e modalità delle concessioni, — Se-
condo il diritto vigente, le ferrovie si distinguono in pubbliche e private.
Le pubbliche sono destinate al servizio pubblico pel trasporto delle
persone, merci e cose di qualsiasi genere.
Le private sono quelle che un privato od una Società costruisce esclu-
sivamente per 1 esercizio permanente o temporaneo di un commercio, di una
industria, di un uso qualunque suo proprio.
Le ferrovie pubbliche si distinguono in principali e secondarie.
Le principali sono quelle che risultano di speciale importanza in base
ai seguenti criterii : la estensione attraverso il Regno, l'entità del traffico, il
congiungimento di centri notevoli di popolazione fra loro, ovvero con porti
marittimi, lacuali o fluviali; Vallacciamento a ferrovie estere, le considera-
zioni di indole militare. Secondai'ie sono tutte le altre, e si suddistinguono
in due classi : secondarie propriamente dette e locali, in correlazione alla loro
importanza ed alle loro condizioni particolari.
Le ferrovie principali hanno sede propria; le secondarie possono essere
stabilite anche su strade ordinarie, a condizione che si lasci una zona suf-
ficiente per il carreggio ed abbiano sede separata dal carreggio stesso.
Le ferrovie private si dividono in due categorie.
La prima comprende quelle che corrono esclusivamente su terreni ap-
partenenti a chi le costruisce, senza intersecare od in alcun modo interes-
sare alcuna proprietà pubblica o privata: la seconda comprende quelle che
toccano in qualsivoglia modo le proprietà altrai, le pubbliche vie di comu-
nicazione, i corsi di acqua pubblici, gli abitati ed ogni altro sito ed opera
pubblica. Le ferrovie private della seconda categoria sono parificate, per le
norme di costruzione e di esercizio, alle ferrovie locali, in quanto concernono
la sicurezza delle persone e delle cose e la pubblica igiene: le proprietà
private da intersecarsi con esse squo soggette alla servi tti del passaggio coatto,
e i costruttori debbono adempiere a tutti gli obblighi imposti dalla legge per
Tacquisto della servitù coattiva di acquedotto.
Il Governo può dare annue sovvenzioni chilometriche fino a lire 1200, e
per un periodo non superiore a 20 anni, per l'esercizio di ferrovie private
da autorizzare al servizio pubblico.
Caelo F. Fkbhaus. — FuTovie. 8
31 CARLO F. FERRARIS
Il Governo è autorizzato ad accordare, per decreto reale, airindustrìa
privata, a provincie e comuni, isolatamente o riuniti in consomo, conces-
sioni per la costruzione e l'esercizio di strade feixate pubbliche; alla ces*
sione deir esercizio di linee secondarie appartenenti allo Stato si provvede
con legge. Le provinole, i comuni ed i consorzi sono autorizzati a costruire
ed esercitare le ferrovie loro concesse, o a loro cura diretta o per mezzo di
società e di imprese subconcessionarie. La legge regola le modalità per la
formazione dei consorzi.
Le domande di concessione della costruzione e deiresercizio di una fer-
rovia pubblica debbono essere accompagnate dalla dimostrazione della sua
pubblica utilità, e del piano finanziario e tecnico: la concessione è fatta
per decreto reale promosso dal ministro dei lavori pubblici, per un perìodo
che non può eccedere i 70 anni, con determinazione del tipo di costruzione
e delle modalità così di costruzione come di esercizio.
Si può accordare una sovvenzione chilometrica tanto se la costruzione sia
a sezione normale, quanto se sia a sezione ridotta, e qualunque sia il sistema
di trazione, in una somma che normalmente, per un periodo da 35 a 70 anni,
non deve superare le lire 5000 annue, ma che può arrivare a 7500 a favore
delle ferrovie che o attraversino regioni montuose e richiedano notevoli spese
di costruzione, ovvero richiedano una spesa debitamente accertata di costru-
zione superiore a lire 150.000 per chilometro, e inoltre siano destinate a
congiungere i capoluoghi di provincia, i capoluoghi di circondario o impor-
tanti capoluoghi di distretto fra loro o con quelli di provincia, o a collegare
comuni la cui complessiva popolazione superi i 100.000 abitanti, o ad unire
due linee litoranee del Regno o linee importanti internazionali. Il Governo
è però autorizzato a ridurre a 50 anni la durata massima delle sovvenzioni
chilometriche, aumentando però rispettivamente i limiti massimi preaccennatif
da lire 5000 a 5700 e da lire 7500 a 8500. Per le linee complementari,
in generale il sussidio può essere elevato fino a lire 8000 per chilometro ; e,
riducendo a 50 anni la durata massima, si può arrivare al limite massimo di
lire 9100. Per le linee complementarì sarde si può in generale arrivare a lire
7500 per 70 anni, e, riducendo la durata a 50 anni, a lire 8500. Per al-
cune ferrovie a scartamento ridotto della Basilicata e delle Calabrie, la sov-
venzione fu portata a lire 14.300 dall'apertura dei tronchi airesercizio fino
allapertura dell'intera rete, e poi a lire 12.000 dall'apertura airesercìzio
dell'intera rete fino a 70 anni compiuti dall*apertura del primo tronco.
La misura concreta della sovvenzione è accordata nei limiti preaccen-
nati di somma e di tempo tenendo conto dell'ammontare dei concerai legal-
mente offerti dagli enti interessati, delle difficoltà e spese di esercizio, della
presunta quantità ed estensione del traffico, della popolazione e superficie
della zona servita, del vantaggio che ne avranno i servizi pubblici ^
Terario, ecc. Nella concessione deve dichiararsi quale parte della sovven-
FERROVIE 35
zione Bia attribuita alla costruzione e quale alVesercizio : e si possono auto-
rizzare le società per azioni concessionarie ad emettere obbligazioni garantite
sulle sovvenzioni chilometriche per la parte attribuita alla costruzione, me-
diante Tadempimento di cautele specificate nella legge.
Oli enti interessati devono fare offerte legali, senza delle quali non si
dà la sovvenzione: si fa eccezione quando le loro finanze siano molto obe-
rate e per le linee a scartamento ridotto della Sicilia, della Basilicata e
delle Calabrie.
La sovvenzione può essere suddivisa per tronchi, e allora la sovvenzione
decorre per ogni tronco dal giorno in cui ha luogo l'apertura allo esercizio.
La concessione può comprendere la costnizione e Tesercizio, ma può
essere fatta anche per la sola costrazione, limitatamente però alle ferrovie
principali necessarie al completamento della rete di Stato : ed è con legge che
si fa la determinazione di tali linee e della misura massima delle rispettive
sovvenzioni chilometriche.
Scaduti quindici anni dal* giorno dell'apertura della ferrovia al perma-
nente esercizio snir intera linea (salvo che nelFatto di concesaione sia fis-
sata epoca più lontana), ove risulti che Tannuo prodotto netto di ima fer-
rovia sovvenzionata, ragguagliato suUultimo scorso quinquennio, eccede il
dieci per cento, se altro minor limite non sia stato stabilito nelVatto di
concessione, lo Stato ha diritto ad una partecipazione negli utili uguale
alla metà del sovrappiù. Lo Stato può rinunciare alla compartecipazione,
imponendo al concessionario un corrispondente abbassamento delle tariffe.
Per le feiTovie concesse all'industria privata senza sovvenzione gover-
nativa dopo la legge 16 giugno 1907, n. 540, il diritto di compartecipa-
zione dello Stato resta regolato dalla stessa norma, ma si esercita sul pro-
dotto netto eccedente V interesse legale commerciale computato sul capitale
azionario e su quello di primo impianto e prima dotazione di materiale mo-
bile e di esercizio.
Lo Stato ha pure diritto di compartecipare ai prodotti lordi ultrainì-
ziali di ferrovie sovvenzionate, concesse posterioimente alla citata legge 16
giugno 1907, nella misura stabilita negli atti di concessione, tenuto conto
delle speciali condizioni di esercizio di ciascuna ferrovia, quando la media
dei prodotti lordi deirultimo quadriennio abbia raggiunto il prodotto lordo
chilometrico indicato negli atti di concessione. Lo Stato ha infine diritto
alla compartecipazione ai prodotti netti in misura non minore della metà
dell* eccedenza dell* interesse legale commerciale computato sul capitale azio-
nario approvato dal Governo, quando sia concessionaria una Società per
azioni, 0 sul capitale di primo impianto e prima dotazione di materiale mo-
bile e di esercizio, negli altri casi.
2. Diritti ed obblighi del concessionario. — Il concessionario di una
ferrovia pubblica ha il privilegio esclusivo di qualsivoglia altra concessione
86 CARLO F. FERRARIS
di ferrovia parimenti pubblica che congianga due punti della sua linea, o
che corra lateralmente, entro quel limite di distanza che verrà determinato
nell'atto di concessione.
Resta però in facoltà deiramministrazìone dello Stato, ove nulla sia
statuito in contrario nell'atto di concessione, di costruire ed esercitare essa
stessa ferrovie, che dalle concesse si diramino o le intersechino o ne costi-
tuiscano il prolungamento, e di accordarne ad altri la concessione, salva la
preferenza al primo concessionario, a parità di condizioni.
L'uso promiscuo di tratti di linea, gli attraversamenti a livello, gli
allacciamenti, le diramazioni, i raccordi anche con tramvie a trazione mec-
canica e con stabilimenti commerciali ed industriali, l'uso delle stazioni in
comune, sono regolati dalla legge in modo particolareggiato, come tutta la
materia delle espropriazioni, della tutela delle comunicazioni pubbliche e private
e dei corsi di acque, che dalle opere del concessionario rimanessero interrotte.
Gli enti proprietari di una strada ordinaria, sulla quale lo Stato con-
ceda di stabilire una ferrovia, non possono opporsi alla imposizione di questa
servitù passiva, ma è necessario il loro consenso per le strade o i tratti di
strada, nei quali la ferrovìa deve aver sede separata dal carreggio; essi
hanno pure diritto al rimborso delle maggiori eventuali spese di manuten-
zione dei rispettivi tratti di strada ordinaria.
3 Costruzione ed esercizio; fine della concessione per decadenza^
scadenza o riscatto. — La vigente legislazione regola tutta questa materia
con norme minutissime e che non si possono riassumere, trattandosi di molti
particolari di carattere tecnico, amministrativo e finanziario. Giova avvertire
che Tassunzione dell'esercizio di ferrovie da parte dello Stato, che avvenga
per decadenza di una concessione o di una coDvenzione di esercizio a ter-
mini di legge 0 di contratto, è autorizzata con regio decreto, promosso dal
ministro dei lavori pubblici di accordo col ministro del Tesoro, previa deli-
berazione del Consiglio dei ministri, e presentato al Parlamento per essere
convertito in legge. Si provvede pure con legge:
a) all'assunzione dell'esercizio da parte dello Stato, di linee con-
cesse all'industria privata;
b) alla proroga dell'esercizio, privato se dipendente da concessione o
convenzione ;
e) all'approvazione della diffida, che deve precedere di almeno un
anno la data indicata per la effettuazione del riscatto di una linea.
4. Personale. — Le ferrovie debbono essere provvedute del personale
necessario per assicurare un regolare servizio ; e quello, le cui funzioni inte-
ressano la sicurezza dell'esercìzio, dev'essere riconosciuto idoneo secondo le
norme di speciale regolamento.
Ogni amministrazione deve stabilire e sottoporre all'approvazione del
ministro dei lavori pubblici le norme per un equo trattamento del perso-
FERROVIE 37
naie, nonché le pene disciplinari e le formalità per la loro applicazione, con
disposizioni analoghe a quelle che valgono per l'amministrazione delle fer-
rovie dello Stato.
Tutti gli addetti alle ferrovie, qualunque sia il loro grado ed ufficio,
sono considerati pubblici ufficiali. Qualora nei rispettivi regolamenti manchino
prescrizioni analoghe, e gli ordinamenti delle imprese assicurino al personale
un equo trattamento, coloro che volontariamente abbandonano o non assu-
mono r ufficio, 0 prestano l'opera loro in modo da interrompere o perturbare
la continuità e regolarità del servizio, sono considerati come dimissionar! e
quindi surrogati: può però T esercente, considerate le condizioni individuali
e le speciali responsabilità, applicare invece un provvedimento disciplinare.
Al personale si applicano le leggi per l'assicurazione per gli infortuni
sul lavoro, e, quanto alle pensioni, le amministrazioni ferroviarie devono o
iscriverlo alla Cassa nazionale di previdenza per la invalidità e vecchiaia
(sezione operai o sezione assicurazione popolari, secondo la qualità), o costi-
tuire casse proprie di invalidità e vecchiaia, con statuti formulati dalle stesse
amministrazioni e approvati dal Governo. In entrambi i casi il contributo
delle amministrazioni non può essere inferiore al 4 per cento delle paghe, se
si tratti di operai, e al 6 per cento degli stipendi, assegni ed indennità, per
l'altro personale: le ritenute a carico degli iscritti non possono essere ri-
spettivamente superiori alle percentuali predette. Nel secondo caso si deve
formare, almeno ogni quinquennio, un bilancio tecnico della cassa, e modificare,
se e in quanto appaia necessario in base al risultato di quello, gli impegni
0 le entrate.
5. Tranvie, automobili ed altri veicoli a trazione meccanica senza
rotaie. — Costituendo le tramvie e gli altri veicoli a trazione meccanica
mezzi molto diffusi di trasporto^ e completando così il sistema ferroviario, la
legge ha regolata anche tale materia.
Caratteristiche delle tramvie sono l'aver sede sul suolo delle strade
ordinarie e il poter essere concedute anche dagli enti locali proprietari della
strada (provincie e comuni), singoli o riuniti in consorzio, secondo i casi. Vi
è però questa differenza: che per le tmmvie urbane la concessione della co-
struzione e dell'esercizio è fatta dall'ente locale, e il Governo con decreto
reale autorizza all'esercizio, mentre per le tramvie extraurbane la concessione
di costruzione ed esercizio è fatta dal Governo per decreto reale, previo il
consenso degli enti locali proprietari della strada, che devono concedere il
snolo stradale. La durata della concessione è fissata dagli enti locali, ma
non può mai eccedere in entrambi i casi gli anni sessanta.
Per la costruzione e l'esercizio di tramvie extraurbane a trazione mecca-
nica in servizio pubblico il Governo è autorizzato a concedere sovvenzioni
annue fino a lire 1500 a chilometro e per un termine non maggiore di 50
anni, semprechè le nuove tramvie non facciano concorrenza diretta, o in no-
38 CARLO F. FERRARIS
tevole parte del loro percorso, ad una lìnea ferroviaria delle reti principali.
Le sovvenzioni possono essere elevate a lire 2000 a chilometro quando le
tramvie attraversino regioni montuose e richiedano notevoli spese di costm- ]
zione, oppure siano destinate a congiungere capoluoghi di circondario od
importanti capoluoghi di distretto ad una stazione ferroviaria prossima o di
più conveniente accesso, o ad un approdo marittimo, lacuale o fluviale, e ri*
chiedano una spesa d'impianto non inferiore a lire 45.000 a chilometro,
compresa la prima dotazione di materiale mobile. Perchè si concedano tali
sovvenzioni, devono intervenire offerte legali degli enti interessati, colle stesse
nonne ed eccezioni che per le ferrovie: essi possono pure accordare sussidi,
preferibilmente in forma di sovvenzione chilometrica (è proibito il darli sotto
forma di garanzia di reddito chilometrico), salve certe limitazioni derivanti
dal loro stato finanziario. Nel decreto reale di concessione sono stabi-
lite, nel caso di tramvie sovvenzionate, la misura della compartecipazione
dello Stato ai prodotti lordi e la durata della concessione stessa, al termine
della quale le opere costituenti la tramvia e sue dipendenze divengono pro-
prietà 0 degli enti, ai quali appartiene la strada, se la linea è impiantata
in tutto 0 in parte su strade provinciali o comunali, oppure del comune o
dei comuni interessati riuniti in consorzio, se in sede propria o su strade
nazionali.
Al personale delle tramvie sovvenzionate dallo Stato, si applicano le ]
norme relative alla previdenza, che abbiamo esposte parlando del personale
delle ferrovie concesse all'industria privata.
Per rimpianto e T esercizio di linee di automobili, ed anche di altre
forme di trazione meccanica senza rotaie, in servizio pubblico ira località
non congiunte da ferrovie o da tiumvie, io Stato può accordare sussidi alle
Provincie, ai comuni ed ai privati concessionari. Le norme sono fissate da
regolamento speciale. I sussidi possono ammontare ad annue lire 600 a chi-
lometro e per un termine non maggiore di 9 anni salvo riconferma, la quale
è di diritto, quando le località servite non vengano congiunte da ferrovie o
tramvie ed il servizio sia stato regolare neirultimo triennio. I sussidi possono
essere elevati ad annue lire 800 al chilometro quando occorrano notevoli
spese di esercizio, e sino ad annue lire 1000 quando si tratti di filovìe, ed
essere concessi anche per servizi pubblici di trasporto stabiliti in via di
esperimento o per determinati periodi deiranno.
6. Vigilanza e sindacato. — Il Governo, per mezzo dei funzionari, che
indicheremo più oltre, esercita la vigilanza sulla costruzione e suiresercizio
delle ferrovie e delle tramvie e sull'esercizio delle automobili in servizio
pubblico, e in genere sui veicoli a trazione meccanica senza guida di rotaie,
secondo le norme e nei limiti che sono determinati dalle leggi e dai rego-
lamenti. Esercita pure il sindacato sui concessionari di ferrovie e delle tramvie
extraurbane sovvenzionate, i quali devono ogni anno comunicare al ministero
FERROVIE 39
dei lavori pubblici la situazione patrimoniale e il conto speciale deireser-
cizio redatto secondo le norme stabilite dallo stesso ministero d'accordo con
quello del Tesoro. Il ministero dei lavori pubblici ha pure diritto di far
ispezionare tutti gli atti, registri e documenti contabili ed amministrativi
deirazienda ferroviaria e tramviaria, ed i concessionari debbono fornire tutti
i dati, notizie e chiarimenti anche relativi alla loro azienda generale, che il
ministero ritenga opportuno conoscere per le sue funzioni di vigilanza e sin-
dacato.
Per l'esercizio di tali funzioni di yjgilanza e sindacato fu costituito fin
dal 1905 (col regio decreto del 25 giugno, n. 275, da me promosso), presso
il ministero dei lavori pubblici, l'Ufficio speciale delle ferrovie, che sul
principio fu osteggiato come un nuovo ed inutile congegno burocratico, e che
tuttavia fu non solo mantenuto ma notevolmente accresciuto di attribuzioni
negli anni successivi.
L'Ufficio speciale è ora costituito con a capo un direttore generale
che ha titolo di ispettore generale, e si compone di ispettori generali e su-
periori, di tre divisioni, e di nove circoli di ispezione aventi sede a Bologna,
Cagliari, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Verona, e di una
sezione di circolo con sede a Bari. La istituzione di altri circoli e sezioni
di circoli può aver luogo soltanto con decreto reale, mentre con decreto mi-
nisteriale sono determinate le rispettive circoscrizioni, variate le sedi dei
circoli di ispezione e delle sezioni di circolo, e istituiti uffici temporanei per
la sorveglianza delle linee concesse all' industria privata. AUa direzione dei
circoli di ispezione sono preposti ispettori-capi forniti della lam'ea d'inge-
gnere, e alle sezioni di circolo ispettori principali tecnici.
Per le questioni ferroviarie e tramviarie è pure stata istituita nel Con-
siglio superiore dei lavori pubblici una speciale sezione (la terza). Questa
(a norma del regolamento 16 novembre 1906, n. 541), oltre al dar parere
come le altre sezioni, nei limiti della sua competenza, su questioni ammi-
nistrative e tecniche concernenti pubblici lavori, ha, come incarichi speciali,
l'esame preliminare delle domande di concessione di ferrovie, previo parere
della direzione generale delle ferrovie dello Stato, e di tramvie, l'istruttoria
di tali domande sotto il triplice aspetto tecnico, economico e finanziario (il
parere sulla convenienza economica e finanziaria deve precedere quello sul-
l'approvazione tecnica del progetto), l'esame delle convenzioni e dei capito-
lati per le concessioni ammesse dal Consiglio generale in adunanza plenaria
quando questo siasi già pronunziato, e in ogni caso secondo ì criteri stabiliti
dal Consiglio stesso.
7. Dati siatisticL — Nel 1910 (luglio):
V. Ferrovie concesse air industria privata:
a) trovavansi aperti al pubblico esercizio 4372 chilometri, ai quali
sono da aggiungersi i 24 chilometri della linea Brescia-Iseo, di proprietà dello
Stato, ma esercitata da Società privata dall'agosto 1907;
40
CARLO F. FERRARIS - FERROVIE
b) erano in corso di costruzione 525 chilometri (dei quali 128 con-
cessi per sola costruzione);
e) erano concessi, ma non ancora in costruzione, 378 chilometri (dei
quali 41 concessi per sola costruzione).
Le domande di concessione in corso di istruttoria erano molto nu-
merose.
2®. Tramvie id. — Erano in esercizio 4652 chilometri, e in corso di
concessione 55.
3*. Linee di automobili in servigio pubblico sussidiate dallo Stato. —
Erano aperti airesercizio chilometri 2.915.502, così ripartiti per comparti-
menti :
Piemonte ...... Chilometri
Liguria "
Lombardia . , . . .
Veneto
Emilia
Toscana
Marche
Umbria
Lazio
Abruzzi e Molise . . .
Campania
Basilicata
Calabrie ......
Sicilia
Sardegna
89.450
104.000
76.940
87.900
511 166
182.200
185.866
147.000
378.800
61.000
104.879
375.968
224.883
205.500
230.000
Domande di sussidii per altre linee erano pervenute al ministero dei
lavori pubblici : la spesa pel sussidio dello Stato alle indicate linee già in
esercizio, ammontava a lire 1.505.600.
r agosto 1910.
Prof. Carlo F. Ferraris
Deputato al ParUntiito.
POSTA, TELEGRAFO, TELEFONO
Niuno può disconoscere come il progresso meraviglioso delle attività
umane compiutosi negli ultimi cento anni, sia legato alla facilità sempre
crescente con cui si sono ideati e tradotti in atto, in scala sempre maggiore,
mezzi di comunicazione fra paesi lontani. Non è compito mio di occuparmi
dei mezzi che permettono il trasporto delle persone o delle merci; certa-
mente, anche alle strade ferrate, ai servizi marittimi, si deve gran parte
della moderna civiltà ; ma altresì è indice spiccato di questa, la facilità con
cui oggi si scambiano i pensieri o le notizie attraverso centinaia e migliaia
di chilometri: il che oggi può avvenire mediante la posta, il telegrafo, il
telefono. Di questi tre mezzi di telecomunieasione, si può dire che il primo
non si appoggi a specialissimi ritrovati della tecnica moderna ; esso trae bensì
profitto da applicazioni che già per altra ragione si sono andate man mano
sviluppando, come le ferrovie, i piroscafi, le automobili ecc. ; mentre gli altii
due, il telegrafo e il telefono, sono oggi diventati congegni indispensabili
della nostra vita quotidiana, in virtù del meraviglioso sviluppo di scoperte,
teorie ed invenzioni nel campo inesauribile del più importante capitolo della
fisica: l'elettricità.
Nel regno d'Italia, come in altre nazioni, i tre servizi pubblici di cui
ora è parola, sono affidati ad un'unica Amministrazione: ciò forse a causa
dello scopo quasi comune di essi; ma, pur non potendosi asserire quale dei
^^9 oggi, sia di maggiore importanza, quale differenza non v*ha fra i mezzi
occorrenti alla attuazione pratica dell'uno o dell'altro! Eppure fra noi, per
forza di cose, le persone che si occupano di materia postale, possono essere
destinate ai servizi telegrafici, e viceversa; mentre vi è separazione abba-
stanza netta fra il personale telegrafico e quello telefonico, i cui servizi, per
la speciale indole tecnica, hanno grande affinità.
Nelle pagine che seguono, passerò rapidamente in esame lo svolgersi
progressivo, nei 50 anni del Regno d'Italia, di tutti e tre i servizi suddetti ;
per poi fermarmi più specialmente a dire degli impianti tecnici relativi, che
si hanno oggi. In tale lavoro mi saranno di guida sicura le pubblicazioni
dell'Amministrazione nostra, fatte anno per anno, e quelle riassuntive di
qualcuno dei tecnici valenti, che furono vanto del nostro paese.
Qt'iRiNO Kajoraha. ~~ Posta, ttUgrufo, telefono. 1
QUIRINO MAJORANA
PARTE PRIMA
Cenni storici sol graduale sviluppo degli impianti in Italia.
Posta. — La posta, pur essendo fattore importantissimo di progresso, e
pur avendo di bisogno, per il suo funzionamento, di personale assai nume-
roso, ricorre, come ho già detto, a mezzi tecnici, per lo più assai semplici.
Nei riguardi, quindi, ditale servizio, sarà breve il compito dello scrivente;
giacché, non volendo entrare nella esposizione e nella discussione di regO'
lamenti o di questioni di personale, basterà, dopo aver dato uno sguardo
generale alla storia del servizio postale in Italia, accennare a qualche dato
statistico. Le attribuzioni della posta, che una volta erano limitate al sem-
plice recapito della corrispondenza con le diligenze^ sono oggi assai nume-
rose ; fra esse sono principali : la raccolta, il trasporto e la distribuzione della
corrispondenza, il servizio dei pacchi postali, e i servizi a danaro (vaglia,
riscossioni, risparmii ecc.). Vedremo nelle pagine seguenti come, man mano,
in Italia, un servizio cosi complesso si sia andato organizzando.
Il servizio postale in Italia^ prima del 1862, era regolato da norme
assai disparate. Nelle antiche Provincie subalpine, la tarilFa delle lettere per
il Regno era regolata dalla legge 18 novembre 1850 ed era fissata a 20 cent.,
fino al porto di 10 gr. ; il Governo della Toscana, con legge del 1859, ri-
formò la vecchia tariffa, riducendo a 10 cent, la tassa delle lettere fran-
cate, e a 20 cent, quella delle non francate ; nelle provincie napoletane, si
pagava sempre Tantica tassa di 2 grani (cent. 8,5) per le lettere francate,
e di 3 grani (cent. 13,5) per quelle non francate. Non ostante la mitezza
delle tariffe, e forse in causa della mancanza di istruzione delle popolazioni,
il movimento della corrispondenza in queste ultime provincie era assai mo-
derato; tanto che, mentre nelle provincie subalpine, nel 1859, si ebbero circa
18,000,000 di lettere, nelle provincie meridionali, con una popolazione doppia
(ed esigendosi tassa metà), se ne ebbero solo 8,000,000.
Un Decreto organico del 1860, fissò un ruolo unico di personale, com-
posto di circa 1000 impiegati, per il servizio postale; e tale servizio fu
messo alla dipendenza del Ministero dei Lavori Pubblici, costituendo una
Direzione Oenerale a sé. Solo nel 1862 si ebbe la prima legge postale, che
ridusse ad unico ed uniforme sistema le norme disparate che sino allora avevano
regolato il servizio. Con tale legge veniva fissata per tutto il Regno la tassa
delle lettere semplici di grammi 10, a cent. 15 se francate, e a cent. 30
POSTA, TELEGRAFO, TELEFONO
se non francate ; e fu disciplinato il servizio delle raccomandate, delle assi-
carato, dei manoscritti e campioni, delle stampe, dei vaglia ecc. Quasi con-
temporaneamente fu introdotto il servizio dei vaglia telegrafici.
Prima del 1860, non esisteva in Italia marina mercantile ; pochi piro-
scafi genovesi, napoletani e siciliani, fiicevano rari cabottaggi sulle coste ita-
liane, sfruttate per lo più da Compagnie estere. Subito dopo la costituzione
del Regno, sia per i bisogni militari, sia per rendere più agevoli i mezzi
di comunicazioni interne, che, in mancanza di estese ferrovie, erano difScili
e pericolose, l'Italia si arricchì di un discreto servizio di piroscafi, in guisa
che nel 1863 il numero di questi era di 50. La Posta concorse a questo
servizio con una spesa annua di lire 8,000,000. E sul finire di queiranno,
erano attive venti linee di servizi marittimi postali.
Nello stesso anno 1863, ebbe luogo a Parigi il primo Congresso Po-
stale, promosso dagli Stati Uniti, e al quale presero parte anche delegati
italiani. In tale Congresso si iniziarono gli accordi internazionali per il sor-
vizio postale, tra un forte nucleo di Potenze, accordi che dovevano portare, più
tardi, in occasione della Conferenza di Berna del 1874, alla costituzione
della Unione Postale Universale. Intanto in Italia, poco prima che avvenisse
l'annessione del Veneto al Regno, la tariffii postale per le lettere era stata
rialzata da 15 a 20 cent., provvedimento che dipese dal modesto sviluppo
che i servizi postali allora avevano, e dalla deficienza dei mezzi di comu-
nicazione ferrovia!!, che solo in quel tempo andavano sviluppandosi.
Ma rnnificazione del Regno doveva necessariamente portare allo svol-
gersi delle attività del paese, sicché in pochi anni si accrebbe notevolmente,
insieme con tutte le altre manifestazioni, il movimento della corrispondenza
postale; e ciò, tanto per Tintemo quanto per l'estero. E così pure, nel 1871
si sviluppò notevolmente la marina mercantile : il che fu favorito anche da
opportuni provvedimenti adottati, come Tistituzione di servizi postali r^olari
per le Indie, la Grecia, la Turchia e TAmerica del Nord, e di servizi
giornalieri fra il continente e le isole ; tali provvedimenti servirono di base
alla stipulazione delle Convenzioni marittime con quattro Società. I ser-
vizi postali, che nell'anno 1862 avevano dato un deficit di circa 10,000,000
di lire, erano diventati per lo Stato sempre meno onerosi, tanto che già nel
1872 si ebbe un profitto di più che 3,000,000 di lire, profitto che poi ò
andato sempre gradatamente crescendo.
Nel 1875 un altro servizio importante fu affidato agli uffici postali:
le Casse postali di risparmio; con il che non si volle costituire un ente
nuovo, ma dipendente od accessorio della Cassa di depositi e prestiti.
Nel 1878, in una delle sedute del Congresso Postale che ebbe luogo a
Parigi, Stephau, direttore generale delle poste in Germania, e a cui si deve
anche la prima idea della costituzione della Unione Postale, propose di con-
sentire fra Stato e Stato rinvio di piccoli pacchi ; ma tale proposta non venne
QUIRINO MAJORANA
allora accolta per vari motivi, e principalmente per la sua novità, giacché
sembrava tale servizio differir troppo da quello del trasporto della corrispon-
denza. Fa solo sul finire del 1880 che il servizio dei pacchi potè' essere isti-
tuito in seguito ad ulteriori studi dell* Ufficio internazionale di Berna; in
Italia il servizio dei pacchi incominciò per la legge del luglio 1881.
Nella stessa epoca fu autorizzata la fusione delle due maggiori Com-
pagnie di navigazione, Florio e Kubattino, che assunsero il nome di Navi-
gazione Generale Italiana ; a tale Compagnia furono affidati i principali ser-
vizi postali all'interno e con Testerò.
Senza che all'ordinamento dei servizi fossero state introdotte mutazioni
notevoli, essi si andavano gradatamente e sicuramente sviluppando ; vediamo
solo nel 1889 apportare, per parte dell'Amministrazione, talune modificazioni
nell'ordinamento dei servizi marittimi, specialmente per quanto concerneva
le tariffe, e nello stesso anno l'istituzione delle cartoline-vaglia.
Sempre nello stesso anno 1889, avvenne la fusione dei servizi postali
e telegrafici e la conseguente costituzione del Ministero ; da quell'anno, quindi,
non è più possibile dire con sicurezza quali siano stati i proventi netti della
Amministrazione postale, giacché le spese per i due servizi sono state, da
allora in poi, sostenute in comune.
Procedendo nell'esame dei fatti salienti verificatisi nel servizio postale,
si arriva all'anno 1906, nel quale la tariffa postale delle lettere, da noi più
grave che altrove, venne ridotta, da 20, a 15 cent.; riduzione che fu com-
pensata in parte mediante un aumento di tassa imposto alla circolazione
delle cartoline illustrate e delle semplici carte da visita.
Infine, in epoca recentissima, va notato il distacco dei servizi marittimi
dal Ministero delle Poste per passare a quello della Marina ; di tale Catto
dura ancora l'eco per le laboriose crisi ministeriali a cui esso diede luogo.
Ad onta che, come si é già avuto occasione di dire, il servizio postale sia
caratterizzato da una grande semplicità di mezzi, pur tuttavia si vanno og^i
applicando ad esso taluni ritrovati che traggono la loro origine dal meravi-
glioso sviluppo della tecnica moderna. Prescindendo dai servizi automobili-
stici che già si vedono anche da noi, é da notare lo sviluppo continuo, nelle
grandi metropoli estere, della posta pneumatica. Mediante tale sistema, un
gruppo elettro-aspiratore provoca, nell'interno di una rete di tubi di linea,
una corrente d'aria di potenza tale, da costringere degli astucci metallici, fo-
derati per solito in cuoio, a scorrere, a guisa di stantuffi, dentro di essi; gli
astucci sono destinati a ricevere la corrispondenza che così, con rapidità su-
periore a quella che con qualsiasi altro mezzo meccanico si può ottenere,
vien trasportata da un ufficio all'altro della città, e quindi recapitata. Tale
metodo, che é stato perfezionalo di molto negli ultimi anni, offre allo stu-
dioso di cose meccanico-elettriche, una quantità di problemi, cbe sono però
stati risoluti felicemente dalle Case costruttrici. Non insisterò qni sui par-
POSTA, TELEGRAFO, TELEFONO
ticolarì di tale sistema, giacché la posta pneumatica non è ancora impian-
tata in Italia. Solo alcuni uffici hanno oggi adottato nel loro intemo il ser-
vizio pneumatico; ma sono però in costruzione impianti pneumatici esterni
nelle città di Roma, Napoli e Milano. Essi saranno pronti probabilmente nel
prossimo anno 1911, e, per quanto non sviluppati in proporzione a quelli di
Parigi 0 di Berlino, segneranno pur tuttavia un notevole progresso nei nostri
servizi postali.
Telegrafo, Telefono. — Il primo impianto telegrafico fu es^uito in
Italia prima ancora della costituzione del Regno, per iniziativa del Matteucci,
fra Livorno e Pisa, sul finire delVanno 1847. A questo impianto ne seguirono
presto altri: nel 1850 in Lombardia; nel 1851 in Piemonte; nel 1852 nel
Veneto, nel Ducato di Parma e nel Napoletano; nel 1858 nello Stato Pon-
tificio; nel 1857 in Sicilia.
Svarìatissimi erano i criteri tecnici con cui siffatte installazioni erano
state realizzate; l'apparato Morse era già usato quasi da per tutto, ma si
usava anche l'apparato Wheatstone ad aghi, la Bréguet, la Henley; grande
promiscuità vi era in fatto di elettromotori, e già in Sicilia adoperavasi la
pila Danieli con diaframma, dal che ebbe origine la pila italiana, usata anche
oggidì. Quanto alle linee, queste erano già in ferro zincato, ma nessuna uni-
formità vi era fra i tipi di pali e di isolatori.
Nel 1854 furono immersi i primi cavi sottomarini nel Mediterraneo,
collegando la Sardegna con la Corsica, e questa con Spezia. Questi cavi la-
vorarono discretamente per circa 10 anni. Intanto furono ìnunersi due cavi
fra il continente e la Sicilia nello stretto di Messina: ma tali cavi fecero
cattiva prova, rompendosi e perdendosi presto.
Questi primi impianti, come si è visto, erano stati eseguiti prima del
1860; e alla vigilia della costituzione del Regno di Italia, gli otto Stati
parziali (esclusa la Sardegna) possedevano complessivamente circa 12,000
chilometri di filo telegrafico posato ; il numero degli uffici telegrafici era di
248 ; la spesa annua di esercizio era di circa 2,000,000 di lire ; l'utile lordo
annuo di circa lire 1,500,000, con un passivo annuo di circa 500,000 lire.
Non è però inutile ricordare quanto fossero allora elevate le tariffe telegra-
fiche: occorrevano infatti lire 20 per inviare un telegramma da Torino a
Napoli.
Il servizio telegrafico, prima della costituzione del Regno d'Italia, tro-
vava ragion d'essere, più che nei vari bisogni del pubblico, negli interessi
politici. Subito dopo la proclamazione del R^o, detto servizio fu affidato
ad un'unica Direzione Generale, di cui era capo Bartolomeo Bona, e da cui
dipendevano anche le Ferrovie ; tale Direzione Oenerale formava parte inte-
grante del Ministero dei Lavori Pubblici, e compito di essa fu quello di dar
nuovo impulso agli impianti, in guisa che, nel suo insieme, l'organismo te-
legrafico in Italia rispondesse meglio ai bisogni del paese.
QUIRINO MAJORANA
Si incomÌDciò quindi col rendere unifornie, per quanto era possibile, il
materiale : furono da per tutto adottati gli apparecchi Morse ; fu unificato
il tipo di pila; e cosi pure per le linee (pali, fili, isolatori) furono stabilite
norme atte a rendere più razionale la loro costruzione.
Per quanto riguarda le comunicazioni con le grandi isole, funzionava
ancora, ai primi anni della costituzione del Regno, la comunicazione già sta-
bilita con la Sardegna, e nel 1861 si tentò di collegare nuovamenente la
Sicilia col continente, posando altri due nuovi cavi, che alla lor volta si
ruppero quasi subito. Fu ancora nel 1862 posato un quinto cavo nello stretto
di Messina: ma con esso, benché costruito con pesante e robusta armatura,
non si ebbe maggior fortuna, giacché nel 1863, dopo una prima interruzione
successivamente riparata, rimase definitivamente interrotto.
Nel 1863, fu corretto il tracciato di molte linee telegrafiche, e fu-
rono posati molti cavi sottomarini, e cioò fra la Sardegna e la Sicilia,
nello stretto di Messina, ed altri minori. Contemporaneamente si curava
la apertura di nuovi ufiict telegrafici, e si pensò alla istituzione di osser-
vatorii meteorologici nelle principali stazioni telegrafiche del Regno; una
commissione, di cui &cevano parte Matteucci e Oovi, fu incaricata di for-
mular le proposte relative a questa istituzione.
Nel 1864 al Bona subentrò Ernesto d* Amico, che successivamente di-
resse i servizi telegrafici u i telefonici per più di un ventennio. Al d* Amico
si devono importanti e numerose riforme in materia telegrafica ; da una pub-
blicazione fatta da lui nel 1885, nel 25^ anno della costituzione del Regno
dltalia, ho ricavato talune delle notizie che ora riporto.
Gli inconvenienti derivanti dalla fusione dei ruoli della Direzione
Generale dei Telegrafi con le altre del Ministero dei Lavori Pubblici,
furono presto riconosciuti, e, con Decreto del 18 settembre 1865, quella
Direzione fu distaccata dal resto dell* amministrazione. Già allora, gli
uomini di mente e di a/ione erano preoccupati dell* intralcio che poteva o
doveva derivare dall* eccessivo accentramento di servizi disparati e dalla
burocrazia in genere nell* esercizio di amministrazione con carattere preva-
lentemente tecnico. A tal proposito, così si esprimeva il d* Amico: « Finché
« non ci persuaderemo che le formalità sono spesso una salvaguardia H-
« lusorìa contro la malversazione ; che esse costano spesso più di quanto
' « fruttano ; che la responsabilità più si attenua quanto più si fraziona tra
« parecchi; che le facoltà devono essere pari alle responsabilità; che é da
« contare più sui funzionari che sui regolamenti : non avremo mai ammi-
» nistrazioni, e meno ancora amministrazioni industriali, ben condotte » .
Quanta verità in queste parole ! e come esse, pur essendo passati cinquanta
anni dalla costituzione del Regno, rispondono ancora ad inconvenienti che
tntt*ora si segnalano nelle Amministrazioni nostre !
POSTA, TELEORAFO, TELEFONO
Già nei primi anni della AmministrazionB D* Amico, furono meglio rior-
dinate le comunicazioni allora esistenti, e ne furono stabilite delle nuove. Così
un nuovo cavo di grande importanza fu posato fra Otranto e Yallona nel 1864,
collegando direttamente l'Italia con TOriente. La posa di tale cavo fii fatta
dalla Casa inglese Henley in condizioni piuttosto difficili, giacché le opera-
zioni dovettero più volte essere interrotte e riprese ; ciò non ostante, tale cavo,
debitamente riparato, rende buoni servizi anche oggi. Complessivamente^ i
fili telegrafici terrestri che si avevano nel 1865 ammontavano a circa
80.000.000 di chilometri, ed i cavi sottomarini a 607 km.
In quell'anno, alla Direzione generale dei Telegrafi fu aggregato in
qualità di consulente scientifico il Matteucci, ad iniziativa del quale furono
banditi concorsi a premi per Memorie scientifiche e si fecero importanti pro-
poste pel miglioramento dei servizi. In queir anno ancora si provvide a che
la telegrafia formasse parte dei programmi di insegnamento delle pubbliche
scuole, alcune delle quali furono fornito di macchine telegrafiche.
L* Amministrazione pose inoltre ogni sua cura per migliorare le condizioni
degli uffici, tanto per la distribuzione dei locali quanto per rassetto tecnico
dei medesimi. Si adoperavano allora frequentemente macchine Morse, i cui
segni sulla strìscia di carta venivano dati da una panta incidente, senza
inchiostro ; tali macchine furono in gran parte soppresse e sostituite con mac-
chine scriventi, realizzando così una ben maggiore sensibilità degli ap-
parecchi.
Oià da un paio d*anni si era pensato alla introduzione di apparati più
celeri, e quindi di rendimento maggiore che non fosse la Morse; e nel 1865
otto apparati Hughes facevano servizio sulle nostre linee più importanti. A
nostro vanto va ricordato come, in queir anno, una invenzione fatta da un ita-
liano, dopo essere stata sperimentata a Firenze, trovasse pratica ed estesa
applicazione airestero. Il pantelegrafo Caselli fu infatti inaugurato al ser-
vizio pubblico fra Parigi e Lione, con la tassa di ceni 20 al centimetro qua-
drato. Pochi mesi dopo, il Governo Busso decise di introdurre lo stesso appa-
rato in tutto l'Impero; e il 17 aprile 1866 un impianto del genere fu inau-
gurato sulla linea Mosca-Pietroburgo.
Per quanto riguarda le linee, fu quasi da per tutto generalizzato Tuso
dei pali di castagno, abolendo il pino od il pino iniettato ; fu modificato il
tracciato delle linee litorali, specialmente di quella Adriatica, e ciò al fine
di evitare le dispersioni dovute alle esalazioni marine; fu infine esteso Fuso
dei fili di rame rivestiti di guttaperca e protetti di piombo per il passaggio
delle linee attraverso le gallerie, sistema che si adopera ancora oggi su
vasta scala.
Nei rapporti col pubblico, va notato che nel 1865 fu inaugurato il
sistema dei vaglia telegi'afici; e a ttftti è nota l'utilità di si fatta istituzione.
8 QUIRINO MAJORANA
Nel 1866 ì) servizio telegrafico italiano fu esteso alle proviocie Venete,
allora aggregate al Begno. Nello stesso anno erano stati posati, a spese della
Francia, tre nuovi cordoni sottomarini: uno fra Livorno e Capo Corso; un
secondo nello Stretto di Bonifacio, ed un terzo fra Marsala e la Costa
Africana.
Sono notevoli i miglioramenti introdotti nel servizio telegrafico nel suc-
cessivo anno 1867: perfezionato il sistema del taglio dei pali, resa più ra-
zionale la forma e la costruzione delle mensole di sostegno dei fili, adottati
accorgimenti speciali per la sospensione dei cordoni nelle gallerie, si ebbe
il benefico effetto di ridurre sensibilmente la media dei guasti su linea. Fu
altresì accresciuto il numero delle comunicazioni, posando nuovi fili fra Na-
poli e B^gio Calabria, fra Napoli e Foggia, tra Firenze e Livorno, fra Pi-
stoia e Bologna, con che si ottenne mi^gior celerità nell'istradamento della
coiTispondenza. Malauguratamente, in quel periodo di tempo molti guasti si
ebbero nei cordoni sottomarini, e parecchi di questi rimasero, così, inuti-
lizzati.
L'Amministrazione si preoccupò ancora una volta del grave problema
di assicurare in guisa stabile le comunicazioni con la Sicilia : si è detto in-
fatti che i cavi sottomarini là posati, si erano successivamente rotti e per-
duti, e ciò in causa delle correnti marine dello Stretto e della natura roc-
ciosa del fondo. Fu perciò stabilito con la Società Telegraph Construction
and Maintenanee, un accordo per la posa e manutenzione di tre cordoni
della complessiva lunghezza di circa 16 chilometri. Nel successivo anno 1868
fu posato un quarto cordone sottomarino nello Stretto, destinato a comple-
tare il circuito di grande lunghezza Torino-Modica-Malta.
In queiranno si tentò altresì la riparazione del cavo Sardo-Siculo, già
interrotto da tempo : ma, non ostante che 1* Amministrazione avesse ottenuto
dal Parhimento T autorizzazione dell* acquisto di 12 km. di cavo nuovo per
detta riparazione, si dovette rinunziare airimpresa, per le difficoltà incontrate;
mediante il cavo nuovo ed i tratti vecchi ripescati nella tentata riparazione,
si decise invece di riparare le altre linee sottomarine secondarie, interrotte
da tempo. Va altresì notato che, nello stesso anno 1868, fu notevolmente
esteso il servizio con apparato celere Hughes, stabilendo comunicazioni tra
Firenze e Parigi, fra Bologna e Napoli, tra Venezia e Trieste e tra Palermo
e Napoli. Ancora in quell'anno fu poi generalizzato a tutte le provinole Tuso
della pila italiana.
Lo svilupparsi degli impianti in corrispondenza dell' accrescersi continuo
dei bisogni del telegrafo, indussero l'Amministrazione ad istituire nel 1869
un Gabinetto di esperimenti, chiamato in appresso Ufiicio Tecnico dei
Telegrafi, destinato ad eseguire i saggi più importanti da cui dovevansi
trarre le norme tecniche dei servizi. Tade istituzione, creata in guisa assai
embrionale, doveva poi, col volger degli anni e coU'estendersi continuo della
POSTA, TELEORAFO, TELEFONO
tecnica telegrafica, perfezionarsi; ma allora essa rispondeva sufficientemente
allo scopo, tanto che il Consiglio Tecnico potè', in base alle risultanze delle
prove e degli esperimenti eseguiti in detto Ufficio, formulare giudizi molto
accurati sulle questioni di carattere tecnico.
La riattivazione di alcune linee sottomarine, ebbe luogo nello stesso
anno 1869; furono indi felicemente immersi cordoni sottomarini fra Piom-
bino e risola d*£lba, fra la Sardegna e la Maddalena, fra il Continente e
risola di Precida, ripescando in gran parte le antiche linee interrotte. In
quell'anno ancora, la Extemion Company^ proprietaria del cordone che con-
giungeva risola di Malta con la Sicilia, immergeva un secondo cordone fra
le due isole; tale cordone era destinato ad essere esclusivamente collegato
col filo speciale congiungente l'Europa con Malta e l'Egitto.
I mezzi ordinar! di cui disponeva TAmministiiizione, pi& non erano
in queirepoca sufficienti a far fronte alle esigenze del servizio telegrafico
che si era intensificato dì molto in conseguenza del nuovo assetto politico
ed economico assunto dal paese.
Prima del 1870, solo una volta era stata consentita una spesa straor-
dinaria di notevole entità; ma in queiranno si riconobbe Topportunità di
dare un migliore assetto alla rete telegrafica: infatti, sino ad allora, solo 14
capiluogo di provincia erano collegati direttamente con la Capitale, e, per 21,
la corrispondenza con questa non si scambiava se non mediante riproduzione
in più Uffici di deposito. Per questi motivi il Parlamento votò uno stanzia-
mento di una somma che allora veniva considerata di notevole entità, e cioè
di L. 1.800.000. E mentre con essa si provvedeva alla esecuzione dei lavori
previsti, venne ridotta altresì la tariffa telegrafica, portandola ad una lira
ogni quindici parole ; rìduzione che determinò un aumento enorme di lavoro,
al quale si potè* appena far fronte mediante l'ampliamento d^li impianti.
L'il ottobre 1870, in seguito alla annessione di Roma e Provincia al
Regno d'Italia, fu decretato il definitivo assetto della Direzione Generale
dei Telegrafi, come amministrazione autonoma. Alla Direzione furono ag-
gregati, oltre che il Gabinetto di esperimenti, l'Officina centrale, il Ma-
gazzino centrale, ed il Gabinetto di disegni. Queste istituzioni, di cui si
comprende bene lo scopo, furono provvedute dei mezzi necessari al loro fun-
zionamento.
La costituzione definitiva del Regno dltalia, impose all'Amministra-
zione, non solamente il compito di spostare da Firenze a Roma il centro te-
legrafico, ma quello eziandio di studiare in qual modo, nell'ordinamento com-
partimentale d'Italia, si potessero includere le linee e gli Uffici del territorio
acquistato. Una delegazione speciale fu quindi istituita in Roma, col man-
dato di introdurre nella provincia Romana le norme comuni di servizio, e
di proporre il miglior modo di aggregazione degli impiegati già pontifici
alla famiglia telegrafica del Regno.
1^ QUIRINO MAJORANA
In conseguenza di tali necessità, i fondi votati poco prima dell'annes-
sione di Roma, furono destinati a lavori alquanto diversi dal previsto. Il
servizio telegrafico di Roma era allora affidato a pochi fili; per cui, mentre
era intenzione dei tecnici accrescere le comunicazioni con Firenze, il piano
primitivo dove' essere modificato per poter rispondere alle necessità derivanti
dair ubicazione della nuova Capitale.
In conseguenza di tutto ciò, si rese necessaria, da parte deirAmmini-
strazione telegrafica, una nuova domanda di credito al Parlamento, che fu
concessa nel 1873, nella misura di lire 1.920.000. Con questi fondi furono
ampliate le comunicazioni con gli Stati esteri e quelle fra la Capitale ed i
capiluogo di provincia; molte centinaja di chilometri di linee telegrafiche
furono trasportate dalle strade ordinarie sulle ferrovie, realizzando cosi note-
vole economia annua di manutenzione; e, per quanto r^uarda gli UfiBcì,
fu accresciuto il numero degli apparati telegrafici, sia Morse che Hughes.
In complesso, si aveva nel 1878 uno sviluppo totale di fili telegrafici
di circa 70.000 chilometri, con circa 1500 Ufiicì in funzione: il che corri-
spondeva al doppio circa di quanto si aveva nell'anno 1865.
Il numero annuo dei telegrammi, intanto, andava crescendo continua-
mente : e se gli impianti terrestri allora esistenti erano capaci di far fronte
a tale aumento, non altrettanto poteva dirsi per quanto riguardava le comu-
nicazioni sottomarine. Assai difettose erano in ispecie quelle con la Sardegna;
quest'isola, neiranno 1864 corrispondeva con il Continente attraverso due
cavi: uno collegato con la Corsica, la quale a sua volta era collegata con
Spezia, e l'altro fra Cagliari e Trapani. Nello stesso anno però si ruppe il
primo di tali cavi, e l'altro, dopo che più volte fu tentato di ripararlo, venne,
come già si disse, nel 1868 definitivamente abbandonato. Intanto erano già
intervenuti accordi con l'Amministrazione francese per la posa di due nuovi
cavi, di cui uno fra Livorno e la Corsica, e l'altro fra la Corsica e la Sar-
degna ; con il che si poterono assicurare le comunicazioni con quest'isola.
Le cose erano a questo punto, quando nel 1875 fu conchiuso un con-
tratto fra il Governo Italiano e la Casa E. Erlanger per la costruzione, la
posa, ed il mantenimento di un nuovo cavo che unisse direttamente, senza
cioè il tramite di terra straniera, il nostro Continente con la Sardegna: l'op-
portunità di tale soluzione è assai palese, principalmente sotto il riguardo
politico. Tale cavo fu posato nello stesso anno 1875, fra Orbetello e Ter-
ranova in Sardegna; e successivamente, la Compagnia Eastern Telegraph
subentrò alla Casa Erlanger.
Sempre nel 1875 fu introdotto nei nostri uffici il telegrafo stampante
Meyer^ e indi, in via di esperimento, la Wheatstone*
Intanto avveniva in America la scoperta del telefono, e nel 1878 ebbe
luogo per la prima volta in Italia un esperimento a notevole distanza con
tale apparecchio, fra Roma e Tivoli (80 km.). Tale esperimento riuscì bene,
POSTA, TELEGRAFO, TELEFONO H
non ostante che si adoperassero semplici telefoni Bell senza microfono e pila,
e fili di ferro. Successivamente, a cura dell' Amministrazione, furono fatte
altre esperienze, anche servendosi del microfono Hughes. In seguito a ciò, fu
stabilito, nel successivo 1879, un servizio permanente telefonico in Roma fra
i varii Uffici telegrafici della città.
Già in occasione dei primi esperimenti telefonici si presentò spontanea
la domanda se il telefono dovesse formare oggetto di monopolio. E sembrò
logico estendere anche a tale sistema di telecomunicazione, il disposto della
legge del 1858, affermando cosi monopolio di Stato non solamente il telefono
propriamente detto, ma qualsiasi altra combinazione atta a trasmettere se-
gnali per mezzo di fili; così che, neiranno 1881, il servizio telefonico pub-
blico fu aflBdato in taluni casi all'industria privata, solo a titolo di conces-
sione governativa. Di tali concessioni se ne diedero immediatamente ben 37 :
e alla fine di quell'anno, gli utenti del telefono erano circa 900, sparsi nel-
ritalia Continentale. L'inizio, dunque, del servizio telefonico da noi, non fu
meschino; e, già nel 1882 si avevano 1900 utenti, mentre in Francia ve
ne erano 2700, in Inghilterra 2900, in Austria 400, in Isvizzera 800, nel
Belgio 2000, in Germania 2000. Nel 1888 poi, le cinque importanti Società
concessionarie contavano in Italia ben 6500 abbonati.
Il servizio telegrafico intanto progrediva regolarmente: e così vediamo
nel 1881 estendersi il sistema Meyer ed istallare varie trasmissioni Morse
ed Hughes duplici ; estendersi sempre più Tuso dell* apparato Wheatstone e
del sistema a corrente continua per apparati Morse. Nel 1882, il primo di
questi apparati fu impiegato per la prima volta per la diramazione contem-
poranea, dairUfiBcio di Boma a 25 capiluoghi di provincia, dei resoconti
parlamentari: tale servizio, convenientemente perfezionato, si compie an-
cora oggi.
Il 1884 segna Vabolizione degli apparati Meyer, che di fronte ai Wheat-
stone non presentavano notevoli vantaggi; così fu esteso ancor più l'uso di
quest'ultimo sistema. Nello stesso anno, poi, furono posati alcuni nuovi cavi
sottomarini di minore importanza, e la Eastern, che aveva la manutenzione
dei cavi dello Stretto di Messina, ne posò ancor uno di scorta fra Bagnara
e Torre di Faro.
Nell'anno 1886 cessò nella nostra Amministrazione la gestione del
D'Amico, il quale, dopo aver retto TAmministrazione per 21 anni, fu, in
seguito a sua domanda, collocato a riposo. Gli successe il Salvatori ; e l'atto
più importante che subito si compì sotto l'Amministrazione di questi, fu la
Convenzione con la Ditta Pirelli per la posa di altri 12 cavi sottomarini e
la manutenzione di essi insieme con l'Otranto-Vallona, già esistente. Con suc-
cessiva convenzione del 1887 la Ditta Pirelli assunse altresì l'obbligo della
costruzione e della posa e manutenzione di altri due cavi ad un conduttore,
l'uno fra Massaua ed Assab (515 km.), e l'altro fra Assab e Perim (101 km.).
12 QUIRINO MAJORANA
Tale posa fn felicemente eseguita sul finire del marzo 1887, nella quale
epoca fu inaugurato il servizio telegrafico con gli uffici della nostra Colonia.
Al 30 giugno 1888 la rete telegrafica sottomarina orasi, in virtù delle
convenzioni stipulate con la Ditta Pirelli, estesa notevolmente; le 12 comu-
nicazioni che tale Ditta aveva l'obbligo di posare, erano state felicemente
stabilite, e tra esse va notata la più lunga, cioè il cavo Napoli-Palermo.
In complesso si avevano allora 146 km. di cavi di proprietà dello Stato
e 1732 km. immersi per conto di esso. Di fronte a tale notevole sviluppo,
opportunamente sopravvenne neiraprile 1888 la stipulazione della Conven-
zione internazionale per la protezione dei cavi sottomarini.
Nello stesso anno 1888 un fatto importante va notato negli annali del
nostro servizio telegrafico: e cioè l'acquisto, da parte della nostra Ammini-
strazione, del diritto di seiTÌrsi in perpetuo dell'apparato Baudot. Tale appa-
rato, che rende ancor oggi tanti e tanto utili servizi, era stato sin dal no*
vembre 1887 sperimentato tra Soma e Parigi, con traslazione a Torino; ed
in virtù dei buoni risultati, fu poscia attivato tra Boma e Torino, Boma e
Milano, Boma e Napoli. In materia di apparati vanno ancora notati in quel-
l'epoca i perfezionamenti introdotti nella duplice Hughes, il cui funziona-
mento fu, così, reso più sicuro.
I servizi telegrafici e telefonici erano al punto che si è visto, quando
nel marzo 1889 fu istituito il ministero delle poste e dei telegrafi, con la
conseguente fusione dei servizi telegrafici con i postali.
Tra i fatti tecnici più importanti, che si svolsero successivamente, va
notata la creazione di una nuova comunicazione diretta Boma-Berlino, facendo
uso per la prima volta in Italia del filo di bronzo fosforoso; così pure,
furono stabilite linee dirette fra Boma e Vienna, Boma e Marsiglia. Nel-
r ufficio di Milano fu introdotto l'uso di accumulatori elettrici in sostitu-
zione della pila ordinaria ; ecc.
L'Ufficio tecnico dei telegrafi di allora, risiedeva in Firenze; ne fu
quindi stabilito il trasporto in Boma, e all' uopo fu approvata nel 1890 una
spesa di lire 392,000 per la costruzione di un edificio, che è quello che
recentemente è divenuto sede dell' Istituto superiore del Ministero delle poste
e dei telegrafi.
Nel 1891 va notata la eseguita riparazione del cavo Massaua-Assab,
che fu trovato corroso da un microrganismo: la teredo. Sembra che tale
malattia della guttaperca, che allora si conosceva solo nel mar Bosso, si ri-
trovi oggi anche nel Mediterraneo.
Sino al 1894 non si ebbe a notare progresso sensibile nei servizi tele-
grafici e telefonici; in quell'anno però si ebbe un leggero risveglio, per cui
furono attuate nuove comunicazioni dirette, quali la Milano-Bari ed altre
minori. In tale anno avvenne poi il trasferimento dell'Ufficio tecnico dei
telegrafi, da Firenze a Boma.
POSTA, TELEORAFO, TELEFONO ^8
Nel successivo esercizio 1894-95, va segnalato un vero progresso nel-
r impianto dei sistemi celeri : fu attivato il secondo gruppo di diramazione,
collocato nell'ufiBcio telegi-afico della Camera dei Deputati, ottenendo cosila
massima celerità di trasmissione dei resocoati parlamentari a tutti i 68 ca-
poluoghi di provincia, e alle redazioni dei più importanti giornali d* Italia.
Un^altra migliorìa si ottenne nell'andamento tecnico dei servizi, mediante la
sostituzione degli accumulatori elettrici alle pile primarie negli Uffici prin-
cipali e con rimpianto di stazioni auto-generatrici della corrente di carica
delle batterie.
Nel 1896, a simiglianza di quanto già da tempo si faceva in altri Stati,
fu introdotto l'uso dei Sounders in sostituzione di molte macchine Morse,
realizzando così economia di spesa di impianto, di spazio, e guadagnando
sicurezza maggiore nel ricevimento.
Nello stesso anno, pur non essendosi verificato notevole aumento nel
numero degli abbonati telefonici, si fecero i primi impianti di linee inter-
comunali. Ma, purtroppo, la telefonìa in Italia, che, come si disse, nei primis-
simi anni aveva trovato numerose applicazioni, e ciò in misura non inferiore
a quella degli altri Stati, in quell'epoca era rimasta stazionaria. Si può dire
che per circa 10 anni, dal 1887 al 1897, il numero degli utenti telefonici
si sia aggirato costantemente intomo a 12.000. Solo nel 1898 questo nu-
mero si elevò a 16.000, e in quell'anno si costruirono le prime linee tele-
foniche governative : Torino-Novara, Milano-Bergamo, Bergamo-Cazzaniga,
per una lunghezza complessiva di km. 178. Forse era causa della lentezza
dello sviluppo degli impianti telefoDici il sistema adottato dal Ooverno, delle
concessioni: secondo cui queste venivano date con il diritto, da parte del
Governo, di riscatto dopo 12 anni; in ogni caso vi era l'obbligatorietà da
parte dell* ente concessionario, di cedere dopo 25 anni gli impianti eseguiti.
Il Governo curò finalmente l' impianto di altre comunicazioni telefoniche
interurbane nel 1900, nel quale anno spese L. 700.000 per una linea tele-
fonica fra l'Italia e la Francia, da Roma a Parigi, e furono complessiva-
mente portate da 10 a 26 le linee interurbane. Intanto il numero di abbo-
nati era cresciuto sino a 19.000.
Tra i fatti dolorosi per la storia dell'Amministrazione telegi*aflca va ri-
cordato r incendio della Esposizione di Como, che distrusse nel 1899 ricordi
assai cari della telegrafia italiana, accumulati in un secolo di glorioso suc-
cedersi di scoperte.
Ma nuovo lustro in quell'epoca veniva dato air Italia dai successi
sempre più grandi, che un grande inventore italiano, il Marconi, otteneva
nel nuovo campo della radiotelegrafia. Questi, che già dal 1897 aveva an-
nunziato la sua scoperta, mostrando in Italia, a Spezia e a Roma, come fos-
sero possibili comunicazioni a distanze notevoli, mediante l'uso di pertur-
bazioni elettro-magnetiche, era riuscito nel 1901 a trasmettere i suoi segnali
1^ QUIRINO MAJORANA
attraverso rAtlantico. Intanto, per conto della nostra Amministrazione della
Marina, furono impiantate in Italia parecchie stazioni radiotelegrafiche co-
stiere, destinate al servizio semaforico e a scopi di carattere militare.
I servizi telegrafici, in quel mentre, si sviluppavano sempre più: altri
fili di bronzo venivano posati, fra cui due da Genova e da Milano al con-
fine francese, destinati a stabilire nuove comunicazioni con 1* Inghilterra; il
movimento telegrafico si era notevolmente accresciuto, sia per il fatto che
numerosi ufiBci nuovi erano stati man mano aperti, sia per lo sviluppo gra-
duale dei bisogni del pubblico. Per quanto concerne il telefono, nello stesso
anno 1901 fu costruita una linea congiungente la Svizzera e 1* Italia, fra
Milano e Zurigo (via Chiasso), e molte altre linee interne si ingiunsero gra-
datamente alle preesistenti, accrescendo così Testensione della nostra rete.
Fu allora, che T incremento del traffico, così nelle linee interurbane
come nelle reti urbane governative o concesse, e Taccresciuto reddito degli
impianti, consigliarono Tamministrazione ad occuparsi con maggiore cura
del servizio telefonico ; furono così proposti opportuni provvedimenti di carat-
tere legislativo, atti a disciplinare impianti e servizio, mediante i quali si
gettarono le basi per la costruzione della rete telefonica nazionale attual-
mente esistente. Questa rete si sviluppò, così, prontamente ; tanto che il nu-
mero delle linee interurbane divenne di 48 nel 1904, 59 nel 1906, 125 nel
1907, 138 nel 1908. Va notato che già nel febbraio 1904 il Governo aveva
assunto lo esercizio della rete telefonica di Venezia.
Neil* agosto dello stesso anno, cominciò a funzionare col Montenegro la
stazione radiotelegrafica di San Cataldo, presso Bari; era questa la prima
stazione impiantata in Italia, con carattere esclusivamente commerciale.
L'esercizio di caga fu lasciato allo stesso Marconi, a titolo di esperimento.
Con la stessa data, ed in seguito ad accordi fra l'Amministrazione delle
poste e dei telegrafi e quella della marina, fu iniziato il servizio radio-
telegrafico di carattere commerciale, fra la terraferma e i piroscafi delle
varie Compagnie di navigazione, forniti di apparati Marconi; tale servizio
era disimpegnato dalle stazioni della marina. Ancora in quell'epoca fu de-
cretata la costruzione di una stazione ultrapotente radiotelegrafica, che do-
veva sorgere in Coltane presso Pisa.
L'amministrazione dei telegrafi intanto, preoccupata dello straordinario
intensificarsi del servizio, cercò, negli ultimi anni, di agevolare l'avviamento
dei telegrammi nelle grandi arterie. È così che vediamo nel 1904 inaugu-
rare il servizio Rowland nella Boma-Napoli, che è forse il più celere di
tutti gli apparati veramente entrati nella pratica; indi nel 1905 il Parla-
mento votava una legge per Io stanziamento di un fondo di lire 2*500.000,
allo scopo di permettere la posa di nuovi fili di bronzo diretti^ destinati a
facilitare di molto lo scambio della corrispondenza telegrafica; vediamo
ancora in epoca assai recente, nel 1907, presentare al Parlamento, dai mi-
POSTA, TELEGRAFO, TELEFONO 1^
Distri Schanzer e Majorana, un progetto di legge snl miglioramento dei ser-
Tizi, seeondo coi un fondo di lire 25.000.000, da erogarsi in quattro esercizi
(di cui Tultimo sta ora per finire), era destinato airampliamento degli im-
pianti, e alla creazione di nuori serrizt. Mai somma così ingente era stata
votata di un colpo dal Parlamento, ed essa rispondeva allora appena ai
bisogni uì^entissimi sentiti dairAmministrazione nostra, tanto che oggi, per
lo sviluppo degli impianti telefonici, occorrono stanziamenti ben maggiori.
Con la somma predetta, si doveva provvedere e si provvede tuttora alFac-
quisto di materiali per la posta, all'impianto e al miglioramento della rete
e d^li ufScì telegrafici e della rete telefonica, alla sistemazione di taluni
edifici postali, airimpianto di stazioni radiotelegrafiche, e finalmente alla
creazione delllstituto superiore postale telegrafico e telefonico, con la di-
pendente Scuola superiore. NelV insieme di questi provvedimenti si scorge
rintenzione del legislatore, sia di perfezionare immediatamente i servizi, sia
ancora di fornire i mezzi al personale delVamministrazione di acquistare una
istruzione necessaria per il disimpone di servizi, il cui carattere diventa, di
giorno in giorno, sempre più spiccatamente tecnico.
Or sono quattro anni, terminava il periodo di 20 anni per cui erano state
stipulate le convenzioni con la ditta Pirelli, per la posa e la manutenzione
dei cavi telegrafici sottomarini, che già dalla Ditta erano stati posati. Tali
cavi erano, per contratto, divenuti proprietà dell'Amministrazione delle poste
e dei telegrafi; così pure la nave posa-cavi Città di Milano, che la ditta
stessa aveva costruito, era entrata a far parte delle B. navi alla di-
pendenza del ministero della marina. Si rendeva quindi necessario adottare
provvedimenti urgenti perchè il servizio di manutenzione dei cavi, già dive-
nuto gravoso per Tetà di taluni di essi, non subisse interruzioni. Il pro-
blema non potè* essere risoluto immediatamente; ma dopo un anno di pro-
roga delle convenzioni con la ditta Pirelli, queste furono rinnovate definiti-
vamente con essa ditta, d*accordo con la Amministrazione della marina, che
si obbligò a prestare ancora Topera della B. nave Città di Milano. Le
nuove convenzioni, che dureranno sino al 1928, furono stipulate a condizioni
più vantaggiose per Tamministrazione, di quel che non fossero quelle del
1886; giacché, pur essendo stato accresciuto solo di poco il canone che
questa deve pagare alla Ditta, questa si obbligava alla manutenzione di una
rete di cavi notevolmente più estesa.
Ancora un ultimo fatto importante va recentemente notato nella storia
della Amministrazione postale e telegrafica: cioè a dire il riscatto delle
reti telefoniche maggiori, avvenuto nell'anno 1907 per parte dello Stato.
Come è noto, sino ad allora tutte le grandi reti, all' infuori di quello di
Venezia, appartenevano a Società private, che ne curavano l'esercizio. In
virtù della legge 15 luglio 1907, le reti e le linee interurbane delle più
forti Società esercenti l'industria telefonica (la Società generale italiana e la
16
QUIRINO MAJORANA
Società telefonica delF Alta Italia) passarono allo Stato ; furono cosi comples-
sivamente 16 grandi reti^ 11 minori, e 19 linee interurbane che passarono
airamministrazione gorernatiTa, per un valore di poco più che 10.000.000
di lire. Ma questi impianti, difettosi in parte, e sempre più deficienti in
causa dello sviluppo continuo dei servizi telefonici, cui non si può far fronte
con le ordinarie risorse, hanno oggi bisogno di ampliamenti e perfeziona-
menti notevoli; della qual cosa si preoccupano gli attuali amministratori.
Dati statisticL — Terminata Tesposizione storica dello sviluppo dei
servizi postali, telegrafici e telefonici, sarà bene dare qualche notizia stati-
stica comparativa su tale sviluppo. Nella tabella numerica seguente sono
riassunte tali notizie, riportando le cifre relative a ciascun anno, a intervalli di
tempo di un decennio, distinguendole per ciascuno dei tre servizi predetti.
isn
1871
ISSI
198041
IMMU
1908-0»
Lettere e cartoline . . .
Raccomandate e assicurate .
Stampe
Pacchi
Valore vaglia . .
Importo depos. rìsp.
Introiti postali . .
Introiti telegrafici
milioni
71,6
99,1
168,9
160,7
259,4
n
1,2
2,6
7,6
10,0
17,1
n
40,2
95,7
150,6
180,1
383,2
ti
—
—
0,1
6,1
8,4
milioni di
lire
69,5
288,0
503,7
638,4
966,9
n
—
—
71,3
204,1
895,9
n
11,9
19,8
29,8
46,6
64.8
384,3
29.7
684,1
15,8
1725,5
714,8(4
96,9
Fili telegrafici . . .
Cavi sottomarini . .
Apparati Morse . . .
n Hughes . .
» Wheatstone .
n Baudot . .
n Rowland . .
Telegrammi ....
migliaia
di km.
12,0
60.0
89,1
137,5
171,6
n
...
0.2
0,2
1.9
1,9
migliaia
0.7
1.8
2,6
4,2
6,4
centinaia
0,4
0,6
1,1
1,9
unità
88,0
90
ti
—
9
24
ti
milioni
2.8
12,3
27,7
89,9
64,5
milioni di
lire
7.5
7.08
9,2
15,2
15,0
289,1
2.0
9.1
4.5
115
78
2
73.7
20,5
Reti urbane
» interurbane .
Abbonati telefonici
■ * • .
unità
^.^
^^^^
_^
72
70
centinaia
di km.
_
_
-^
1—
0,3
migliaia
—
—
4
12
18,4
201
400
67,8
(*) Si riferisce all'anno 1908.
POSTA, TBLRORAFO, TBLBFONO ^7
PARTE SECONDA
Stato attuale degli impianti telegrafici, telefonici e radiotelegrafici
in Italia.
Telegrafo. — Come si è avuto occasione di vedere nell* esame storico
dello sviluppo dei servizi telegrafici in Italia, questi si svolgono oggi me-
diante il sussidio di vari sistemi. Dopo che fu definitivamente abbandonato
r uso di vecchi tipi di apparati, che pur resero, per qualche tempo, notevole
servizio — quali la Wheatstone ad aghi, la Breguet a quadrante, la Henley ad
induzione, e più recentemente la Meyer — l'amministrazione ha oggi in uso
cinque tipi di macchine: la Morse (scrivente o ad udito), la Hughes, la Wheat-
stone, la Baudot, la Bowland. In questi cinque differenti sistemi, si ritrova
l'applicazione di quasi tutti i principi su cui la maggior parte degli apparati
telegrafici moderni si fondano; e tale varietà di sistemi, anche senza tener
conto delle minori estensioni dellltalia di fronte alle altre grandi nazioni,
non si riscontra forse in nessun altro Paese ; quanto ciò possa essere conve-
niente, 0 meno, per la sicurezza, la facilità e la economia del servizio, cer-
cherò di discutere dopo che si saranno esaminati da vicino e sommariamente
gli accennati tipi di macchine telegrafiche nei nostri uflBct, esame che
farò possibilmente secondo Tordine con cui essi man mano vennero intro-
dotti.
Macchina Morse. — L'apparato Morse ò la macchina telegrafica più
semplice: fondandosi sulla manuale emissione di correnti, che quindi si suc-
cedono con relativa lentezza, esso è costituito dall'insieme di pochi organi
il cui funzionamento è assai sicuro. Alle emissioni di correnti lunghe o brevi,
corrispondono, sulla striscia di carta dell'apparato ricevente, linee o punti
che, variamente raggruppati, vengono letti dal telegrafista. Questi, se ha già
una certa pratica, comprende spesso ad orecchio, dal i-umore variamente
cadenzato dell'ancoretta scrivente, i segnali, senza bisogno di guardare la
striscia. Da ciò è derivata una semplificazione nello impianto degli apparati,
riducendo la macchina scrivente Morse ad un semplice Sounder, apparecchio
che occupa assai meno spazio, che non ha bisogno di speciale regolaggio, in-
chiostratura ecc., e che è meno soggetto a guastarsi.
Il Sounder non è però molto adoperato da noi: mentre in altri Paesi,
come r Inghilterra e gli Stati Uniti, è assai diffuso. Se da noi non si segue
l'esempio degli altri Paesi, ciò dipende, forse, dal timore che con il detto appa-
Q"iBi2«o Majorana. — Posta, telegrafo, telefono. 2
18
QUIRINO MAJORANA
rato, non restando prora scritta del telegramma, non si possa esercitar con-
trollo sulla recezione di questo.
Il sistema Morse, a causa della lentezza di funzionamento, è impiegato
attraverso linee telegrafiche incapaci di trasmettere le rapide yariazioni di
corrente elettrica, provenienti dagli apparati celeri: e cioè attraverso le linee
eccessivamente lunghe, sia pure di ferro od in condizioni altrimenti difettose,
od ancora attraverso i cavi telegrafici.
Da noi l'apparato Morse è usato su larga scala in tutti quei casi in
cai non si ha a che fare con servizio intenso ; ciò avviene, sia che si tratti
di servizio pubblico (corrispondenza privata od ufficiale), sia ancora per i
bisogni delle ferrovie dello Stato, le cui linee telegrafiche si svolgono per
lo più sulle stesse palificazioni della Amministrazione dei telegrafi. Da noi
è assai sviluppato il sistema cosiddetto a corrente continua^ fondato sulW
considerazioni seguenti: Essendo la potenzialità di una installazione Morso
talvolta esuberante per i bisogni di certi piccoli uffici (vi sono uffici che
trasmettono meno di 10 telegrammi al giorno), si adopera un solo filo telegra-
fico ed an<Ae una sola pila per riunire parecchi di questi ; ciò, per molto sem-
plici ragioni, porta alla conseguenza di dover lasciar circolare continuamento
una corrente elettrica sulla linea, anche quando nessuno dei circuiti inclusi
lavora : corrente che viene interrotta da qualsiasi officio che desideri trasmet-
tere. In tale sistema, il maggior dispendio che deriva dal continuo lavorar della
pila, è compensato dall'economia di filo di linea e di spese di manutenzione.
Il rendimento di un apparato Morse può arrivare a circa 700 parole
all'ora, supponendo le parole composte di 7,5 lettere (compreso lo spazio-
di separazione) in media; e tale valore rappresenta veramente il rendimento-
pratico dell'apparecchio che, in condizioni di lavoro eccezionale, potrebbe
rendere servizio ancora maggiore.
Air infuori della macchina Morse o del semplice Sounder, è invalso da
noi l'uso di chiamare apparati speciali tutti gli altri, volendo forse eoa
ciò indicare che questi risultano da combinazioni meccaniche ed elettriche
più complicate, e che essi non possono essere serviti se non da operatori^ che
abbiano cognizioni speciali. È cosi che nel telegrafo si distinguono i sem-
plici Mor sisti dagli Hughisti^ dai Baudot tisti, ecc. ; il che non esclude che:
vi siano abili funzionali, i quali abbiano buona od anche profonda cono-
scenza di più di uno, o di tutti gli apparati speciali.
Macchina Hughes. — Nell'apparato Hughes, che per importanza vien.
subito dopo la semplice Morse, vediamo un interessante principio, che ò^
stato poi introdotto od applicato in molti degli altri tipi di macchine tele-
grafiche : il principio del sincronismo. Lasciar che due congegni, situati cia-
scuno ad una delle due estremità di una linea telegrafica, si muovano di
moto periodico con esatto sincronismo, ottenuto mediante speciali accorgi-
menti, più 0 meno ingegnosi; suddividere il periodo di quel moto in inter-
POSTA, TBLBGRAFO, TBLEFaNO 1^
Yalli elementari di tempo e di spazio, ciascuno dei quali serva a trasmet-
tere un segnale speciale, è il principio su cui si basano molti dei congegni
telegrafici moderni. Questi, possedendo rendimenti diversissimi, si differen-
ziano per la maggiore o minor complicatezza dei loro organi, per la sicu-
rezza del loro funzionamento, per il loro costo. Elettricamente, i vart appa-
rati cimentano la linea telegrafica con una frequenza dì impulsi assai
variabile; da tale frequenza, che può andare da circa 7 a 1" (Morse) per
arrivare anche a più di 100 (Bowland o Wheatstone), dipende fra Taltro il
rendimento della macchina; e l'apparato Hughes di cui ora diciamo, può
inviare sulla linea segnali che distino fra loro per Vit ^ì !''• Oon la mac-
china flughes si possono trasmettere sino a 1500 parole all'ora, cioè il
doppio che con un apparecchio Morse ; ma ciò che costituisce una bella ca-
ratteristica deirapparecchio, è il fatto che i segnali trasmessi, vengono dal-
l'apparato ricevente tradotti e stampati in tutte lettere. Tale fatto, oltre che
importare neirufBcio telegrafico facilità di lettura, permette maggior cele-
rità, poiché la stessa striscia stampata, uscente dalla macchina, viene nq)i-
damente incollata su di un modulo speciale, e subito recapitata. L'apparato
Hughes è di regolaggio non difiBcile, di funzionamento sicuro, e può essere
adoperato su linee anche di ferro, lunghe parecchie centinaia di chilometri :
però, perchè il suo rendimento si manifesti al massimo grado, quella mac-
china deve essere adoperata da persona di speciale perizia. I bravi hughisti
si formano lentamente, e solo dopo molti anni: la difficoltà sta nel saper
trarre il massimo profitto da ciascun giro del congegno rotante, cercando di
trasmettere, durante esso, un conveniente numero di lettere, o, come si dice
in linguaggio telegrafico, di doppie.
Macchina Wheatstone. — Ma la ingegnosità e l'eleganza costruttiva
dell'apparato Hughes, se a questo conferiscono grande sicurezza di funziona-
mento, non ne fanno ancora un apparato che possa aver rendimento assai
notevole. La linea telegrafica è, per solito, ancora capace, dal punto di vista
elettrico, di sostenere impulsi ben più frequenti di ciò che non fiEtccia la
macchina Hughes, permettendo così una rapidità di trasmissione delle parole
ben maggiore.
AU'infuori del sincronismo — il quale principio si è visto utilizzato in
questo apparato — altri due principi sono stati immaginati per aumentare il
rendimento delle linee telegrafiche: Y automaiidsmo e l'uso delle correnti
invertite. Con il primo, taluni apparecchi sostituiscono alla mano del trasmit-
tente taluni congegni, mediante cui si ottiene la trasmissione rapida ed auto-
matica dei telegrammi convenientemente e precedentemente preparati su ap-
posita striscia ; con l'altro si accresce la potenzialità della linea in fatto di
trasmissione di segnali, mediante il continuo rovesciamento, fra un segnale e
l'altro, della corrente elettrica inviata. I benefici effetti di quest'ultimo arti-
ficio sono noti in telegrafia, e di esso fanno uso tutti gli apparati a trasmis-
20 QUIRINO MAJORANA
sione veramente rapida. L'apparato automatico Wheatstone, che fu introdotto
in Italia da pib di un trentennio, utilizza contemporaneamente i due principi
accennati. Una striscia di carta vien perforata vanamente in guisa che, quando
essa scorre nellapparato automatico trasmittente, vengon lanciate correnti
elettriche positive^ lunghe o corte (linee o punti), e, negli intervalli tra un
segnale e T altro, correnti negative. Poiché la striscia di carta si può
muovere con rapidità relativamente grande, le emissioni si succedono con
grande frequenza, come non sarebbe possibile fare con diretta operazione ma-
nuale; in corrispondenza l'apparato ricevente, che è costituito (salvo la maggior
delicatezza costruttiva) in guisa simile ad una Morse, ripete i segnali con
scrittura a linee e punti, che viene poi letta e tradotta dal telegrafista. La
velocità di funzionamento dell'apparato Wheatstone è limitata dalle costanti
della linea; non è possibile accrescerla al di là di certi limiti, giacché la
remiema e la capacità di quest'ultima conferiscono grande lentezza di pro-
pagazione alle variazioni di potenziale elettrico. Un apparato Wheatstone che
potesse funzionare in condizioni di linea eccezionalmente favorevoli, potrebbe,
secondo Frecce, trasmettere sino a 24,000 parole all'ora (parole di 7,5 let-
tere) ; ma tale limite elevatissimo, che é fissato principalmente dalle squisite
qualità meccaniche dell'apparecchio, non é, nella pratica, mai raggiunto: anzi
da esso si rimane di solito assai lontani. Dipendentemente dalla lunghezza e
dalle altre qualità elettriche della linea, si può scendere a valori assai bassi :
così é interessante citare una istallazione Wheatstone che é oggi in funzione
direttamente fra Londra e Teheran, nelle Indie, attraverso una distanza cioè
di 6,100 km. Tale impianto lavora mediante dieci traslazioni (uffict di ripe-
tizione automatica) intermedie, su di una linea, aerea per la maggior parte
del lungo percorso, ma comprendente un cavo di circa 500 km. di lunghezza.
La velocità di trasmissione è però, in questo caso, di sole 2500 parole all'ora,
che rappresenta circa il decimo della massima potenzialità dell'apparato.
Una caratteristica interessante dell'apparato Wheatstone è quella di
poter essere adoperato facilmente per diramare su parecchie linee contempo-
raneamente gli stessi telegrammi ; e da noi, infatti, il servizio che queir ap-
Inarato compie, consiste appunto nella trasmissione dei resoconti parlamentari
<l delle notizie ufficiali che dalla capitale vengono diramate a tutti i capo-
luoghi di provincia.
L'apparato Wheatstone utilizza, come si è visto, il sistema della doppia
corrente, o delle correnti invertite : cade qui acconcio ricordare che uno dei
nostri funzionali, il Battaglia, ha avuto l'idea di applicare tale principio
anche al sistema Hughes, che cosi può funzionare a distanze più notevoli o
in condizioni di linea più difficili. Una Hughes-Battaglia lavora infatti fra
Roma e Cagliari attraverso un cavo fra il Continente e la Sardegna.
Sistemi multipli. — Il rendimento degli apparati sinora descritti, può
essere di molto accresciuto, mediante l'uso dei sistemi duplex^ quadruplex e
POSTA, TELEGRAFO, TELEFONO 21
ociuplex. La natura riassuntiva di questa esposizione mi vieta dì entrare in
particolari su questi ingegnosi e ben conosciuti sistemi; basterà accennare che
si possono realizzare contemporaneamente, sulla linea, due trasmissioni simul-
tanee, col primo dei detti sistemi, quattro col secondo e otto col terzo. La
maggior complicatezza che deriva dairadozione di cotali artifici, non consente
però sempre esattamente di raddoppiare, quadruplicare ecc., il rendimento di
una linea telegrafica; così, mentre con un apparato Hughes in semplice si
possono trasmettere sino a circa 1500 parole all'ora, in duplice non se ne
trasmettono che 2880. Oltre a ciò, il funzionamento dei sistemi multipli, iu'
tesi nel senso predetto, è quasi sempre più delicato, e soggetto a interrom-
persi anche per lievi squilibri elettrici di linea, che possono prodursi in con*
seguenza delle vicende atmosferiche.
I sistemi fondati sulla semplice trasmissione manuale hanno per so^
lito una limitazione nella loro velocità, nella abilità deiroperatore : mentre
che se da questa si vuol prescindere, con il preparare preventivamente
i telegrammi mediante striscio perforate, si incorre nelValtro inconveniente
di dover adibire del personale airinfnori di quello destinato alla trasmis-
sione. In sostanza si vede che la potenzialità della linea è esuberante
di fronte alla capacità deirimpiegato ; e ancora, per Tapparato Wheatstone,
è da osservare che esso, pur permettendo grande celerità e sicurezza di funzio-
namento, non consente il massimo sfruttamento della linea. In&tti, i segnali
0 le lettere che con esso si trasmettono, sono dati mediante Tuso delFal-
fabeto Morse, e con ciò, per ogni lettera, si vengono ad inviare sulla linea
telegrafica circa 9 impulsi elettrici per lettera, corrispondentemente alle ca-
riche alternative positive e negative, necessarie alla formazione delle linee
0 dei punti. Ciò, comparato con quanto avviene negli apparati telegrafici più
complessi e di cui ora dirò, è eccessivo.
Macchina Baudot. — Oli apparati celeri più moderni utilizzano, come
l'apparato Hughes, il principio del sincronismo, e con essi si raggiunge per
solito il doppio scopo di diminuire il numero degli impulsi, impressi alla
linea per ogni lettera trasmessa, e dì suddividere la potenzialità della linea
stessa fin più impiegati. Questo ultimo risultato importantissimo, si ottiene
mediante ingegnose disposizioni che pongono in comunicazione la linea, a turno
e ad intervalli di tempo regolari e brevissimi, con organismi trasmittenti
molteplici affidati ciascuno ad un impiegato. È così che Tapparato Baudot
consente, in certi casi, la suddivisione a quattro impiegati della potenzialità
della linea, e la Bowland a otto; naturalmente, altrettanti impiegati si tro-
vano all'estremo opposto della linea. È da avvertire che questi ultimi apparati
celeri hanno il vantaggio, che già era offerto dalla macchina Hughes, di dare
all'ufficio ricevente i segnali tradotti e stampati in tutte lettere o cifre.
Anche un accenno molto sommario del modo con cui son costruiti e
funzionano gli apparati Baudot e Bowland, mi porterebbe fuori dei limiti
22 QUIRINO MAJORANA
impostimi in questa trattazione. Dirò quindi solo poche parole sui concetti
fondamentali su cui essi si fondano.
Neir apparato Baudot trasmittente, un organo detto distributore, che^
ruota con la velocità di circa 150 giri al minuto primo, stabilisce la con-
nessione della linea successivamente e ripetutamente con un certo numero
di congegni trasmittenti, affidati ciascuno ad un operatore; supponiamo che
di tali operatori ve ne siano quattro. Ciascuno di essi si serve quindi
della linea per breve intervallo di tempo (V12 di T'), e ciò una volta ogni
Va di r^; ed usufruisce di quell'intervallo per lanciare un segnale corrispon-
dente ad una lettera da trasmettere. Le lettere 0 segnali che si possono inviare
da ciascuno degli impiegati, sono in numero di circa 60, e risultano ciascuna
dalla combinazione di cinque emissioni di correnti, che possono essere positive
0 negative. Queste emissioni sono preparate dairimpiegato durante ciascun
Va di 1", e neirintervallo più breve per cui la linea è in comunicazione
con l'apparato trasmittente a lui alBdato, esse emissioni vengono effettiva-
mente eseguite. L'apparato ricevente raccoglie le segnalazioni cosi complesse,
inviate dai quattro operatori trasmittenti, e automaticamente le traduce su
quattro congegni riceventi. Il sistema Baudot che, così indicato, è quadrupleXy
si presta, a volontà del personale, a stabilire due trasmissioni e due recezioni
da ciascun lato, 0 a distribuire altrimenti il lavoro telegrafico tra i due
uffici ad esso collegati; esso inoltre può, a seconda dei casi e dei bisogni,
essere costruito in duplex^ in triplex, 0 ancora in sextuplex.
La trasmissione dei segnali Baudot esige da parte del telegrafista una
lunga pratica, poiché i segnali si formano mediante l'abbassamento contem-
poraneo di uno 0 pib fi*a cinque tasti, corrispondenti alle emissioni di corrente
di cui più sopra. Tale fatto rende non troppo facile l'uso dell'apparato per
gli operatori principianti, e fu per questa ragione che molti dei nostri impie-
gati non videro, al principio, di buon occhio Tintroduzione dell'ingegnoso ap-
parato negli uffici. Oggi però, dopo più di venti anni da che tale congegno
fimziona da noi, l'Amministrazione dei telegrafi possiede una numerosa schiera
di bravi specialisti che sono in grado di servirsi di quella macchina.
Macchina Rowland. — Il desiderio di perfezionare e di intensificare
i nostri servizi telegrafici, indusse la nostra Amministrazione ad esperimen-
tare ancora un nuovo tipo di apparato telegrafico, che sembrava dovesse of-
frire un assai maggiore rendimento di linea: ]*apparato Rowland. Come
l'apparato Baudot, questo congegno permette di lanciare sulla linea quattro
telegrammi contemporaneamente ; ma questa operazione può nello stesso tempo
farsi anche dall'altro estremo della linea, la qual cosa non sembra possibile
0 facilmente realizzabile col primo congegno. L'apparato Bowland lancia per-
manentemente sulla linea una corrente nettamente alternata, della frequenza
di 91 periodi completi a m''. Un distributore gira con la velocità di 3,5 giri
a m^^* sicché per ogni giro si hanno 25 periodi completi 0 52 mezzi periodi.
POSTA, TELEGRAFO, TELEFONO
23
La linea vien data a ciascuno dei quattro operatori ti-asmittentì in corri-
spondenza di 74 <li gìi'O ^^^ distributore, e, durante questo tempo (Vh di 1"),
13 mezze alternazioni di corrente sono inviate sulla linea. Ciò avviene ve-
ramente se l'operatore non trasmette : ma se questi trasmette (mediante una
tastiera su cui sono segnate direttamente le lettere o le cifre), viene ro-
vesciata ad ogni giro del distributore qualcuna delle 13 alternazioni, e pro-
priamente due non consecutive ; il posto delle altemazioni rimanenti, deter-
mina lo speciale segnale trasmesso, che l'apparato ricevente riceve e traduce
a stampa. Ciò che si è detto per un settore, vale per gli altri tre dello stesso
ufficio e per i quattro deiraltro ufficio ; sono così 8 trasmissioni che si pro-
pagano contemporaneamente sulla linea. Il maneggio deirapparato Bowland
è assai più semplice di quello della Baudot ; ne è però più delicato il fun-
zionamento: ma ciò riguarda il meccanico, e non Toperatore. Per questa ra-
gione, tale macchina è servita per solito da signorine ; le quali, se si tratta
di sistema ottuplo, sono in numero di otto per ufficio, più un capo-gruppo.
Quanto al rendimento normale della Bowland, esso può, in buone condizioni
di funzionamento, aggirarsi intomo a 13,000 parole alVora; ma tale cifra
potrebbe, in caso di esperimento e non di pratico servizio continuato, essere
anche raddoppiata.
*
Tali sono i vart sistemi telegrafici usati in Italia nella misura già in-
dicata nel quadro statistico. Si tratta cioè di 5 differenti tipi dì apparati,
che a seconda dei casi si impiegano. Si può anche ammettere che l'adozione
di tanti sistemi sia stata consigliata da ragioni razionali diservizio; infatti
la Morse a corrente continua è adoperata in tutti quei casi in cui si tratta
di servire parecchi uffici (anche una quindicina) di una data regione e che
abbiano ciascuno poco lavoro; la Morse a corrente intermittente si impiega
per servire linee con traffico alquanto maggiore, o dove non è possibile al-
lacciare più uffici, 0 ancora in taluni cavi sottomarini ; il ricevimento Morse
ad udito {sounder) si pratica specialmente per eseguire esperimenti sulle linee,
0 per trasmettere notizie o comunicazioni di servizio. I detti sistemi sono
in uso tanto nelV Amministrazione dei Telegrafi, quanto in quella delle Ferrovie
di Stato. La Hughes semplice ed anche in duplice, che, oltre al maggiore ren-
dimento, ha il vantaggio di fornire completamente e chiaramente stampato il
telegramma, si impiega nei casi in cui la Morse non permette un servizio suffi-
cientemente rapido; la Wheatstone è impiegata principalmente per le dira-
mazioni delle stesse notizie a più uffici, e nessuna altra macchina si presta
egualmente bene a tale scopo; e infine, quando il servizio telegrafico su di
una determinata linea diventa veramente notevole, si adopera la Baudot, sia
dupla che quadrnpla. L'apparato Bowland, che, come si è visto, può dare un
grande rendimento, non è stato introdotto che su di una sola linea; ciò fu fatto
24
QUIRINO MAJORANA
quasi a titolo di esperimento, or sono sei anni ; sembra però che presto un
nuovo impianto Bowland sarà eseguito fra Roma e Milano.
Ma se si possono trovar ragioni per giustificare la varietà dei sistemi tele-
grafici usati in Italia, non vi ha dubbio che questo fatto debba offrire qualche
inconveniente. Confrontiamo, anzi tatto, ciò che da noi si fa, con quanto
avviene alV estero : là, e non in Paesi di secondaria importanza, vi ha per
solito uno 0 due soli sistemi principali su cui è imperniato tutto il servizio.
E così, mentre in Inghilterra e negli Stati Uniti si adopera quasi general-
mente la trasmissione Morse con ricevimento a udito (non parlo dei sistemi
di trasmissione attraverso i cavi transoceanici), in Francia è impilata quasi
generalmente la Baudot, e in Germania la Morse e la Hughes. Si comprende
come così sia assai facile formare il personale telegrafico, e come questo,
acquistando pratica esclusivamente in pochissimi sistemi, possa con facilità
venir utilizzato indifferentemente in qualsiasi ufficio. A mio avviso sarebbe
quindi desiderabile, da noi, una maggiore uniformità di apparati ; ma debbo ri-
conoscere che, oggi, raggiunger ciò è difficile, in considerazione della entità
degli impianti compiuti e del personale specializzato in ciascuno di essi, che
possediamo.
Quanto al rendimento dei vari apparati, ò piuttosto diffusa una credenza
che non sembra giustificata. Si ammette cioè che sarebbe bene, in gran
numero di casi, estendere l'uso degli apparati telegrafici celerissimi: volendo
seguire del tutto questo modo di vedere, occorrerebbe introdurre da noi l'uso
di apparati ancora più rapidi della Bowland, come la Murray dupla (15,000
parole di 7,5 lettere alFora), la Siemens ed Halske (16,000 parole), e la
PoUak-Virag (34,000 parole). Ma la questione è, in realtà, assai complessa,
nò può risolversi con la sola considerazione del rendimento deirapparato,
rendimento inteso nel senso di numero di parole trasmesse per ora di lavoro.
Ricorriamo, per comprendere ciò, alla seguente tabella in cui sono riportati
alcuni dati che si riferiscono ai vari sistemi telegrafici da noi usati: in essa
si vede quali siano i rendimenti pratici dei sistemi telegrafici da noi adoperati
Parola
p«r on
lmpi«K.
Parola
par
impiag.
FreqnMua
Io:I«
Morse semplice . .
Morse duulice .
»
700
1400
1450
2850
8850
10500
18500
2
4
2
4
8
16
16
850
850
725 .
715
481
650
840
7
7
11
11
88
140
91
0.10
0,10
Hughes semplice . .
Hughes duplice . . .
Baudot quadrupla . . .
Wheatstone
> 1
0,095
0,095
0.055
0,010
Rowland ottupla . . .
1
0,021
POSTA, TELEORAFO, TELEFONO 25
(parole per ora), quanti impiegati occorrano in ciascun caso, e quale sia il
rendiaiento di ciascun impiegato (parole per impiegato). E si vede che, mentre
il rendimento dellapparato nel suo complesso va crescendo rapidamente col
Tariar del tipo, oscillando tra i limiti estesi di 700 e 13,500, il rendimento
deir impiegato non varia che da 350 a 840. Le ultime due colonne della
tabella in discorso dicono qualche cosa sul comportamento elettrico della
linea destinata ad essere traversata dalla corrente variabile delFapparato te*
legrafìco. Questa corrente non è mai assimilabile ad una semplice corrente
alternata sinusoidale, anche nel caso della Bowland (ali* infuori dei periodi
di riposo delle tastiere) ; pur tuttavia, con una certa approssimazione al vero,
si può parlare di frequenza di quella corrente, intendendo con ciò riferirsi
alla frequenza degli impulsi elettrici di egual segno, più ravvicinati, che l'ap-
parato imprime alla linea; la varia frequenza intesa in tale senso è indi-
cata nella quarta colonna. Or bene, ò noto che, in causa delle costanti della
linea, resistenza, capacità, autoinduzione ed isolamento, una corrente pulsante
si smorza più o meno presto a partire dairu£Bcio trasmittente, quanto mag-
giore 0 minore è la frequenza. Supponendo quindi nel nostro caso che si tratti
di una linea aerea a doppio filo di bronzo di 3 mm. di diametro, e lunga
100 chilometri, si è calcolato il rapporto lo^U» fra la corrente iniziale e
quella di arrivo a Taltro estremo: tale rapporto ci dà l'idea dello smorza-
mento subito da la corrente telegrafica. Dalla tabella si rileva che, mentre
per la Morse, nelle accennate condizioni, la con*ente in arrivo è un decimo
della partente, con la Bowland è solo di due centesimi, e nella Wheatstone
(che laTori a 10,500 pai-ole all'ora) è solo di un centesimo.
Dovendo procedere alla scelta di un tipo di impianto telegrafico, de-
stinato a far fronte alle esigenze di un servizio assai modesto, il problema non
offre serie difficoltà: l'impianto di una semplice Morse o di un Soiuder è
più che sufficiente; ma crescendo notevolmente il traffico, gli elementi di cui
si deve tener calcolo sono numerosi, e la soluzione non appare evidente. 11
rendimento delle macchine, il rendimento di ciascun impiegato, il costo della
linea, le sue costanti elettriche, il costo degli appai*ati, le esigenze di spazio
d^li uffici, ecc., sono tutti coefficienti che vanno accuratamente ragliati. Il
problema si appoggia, per sua natura, ad elementi così variati, die, dimen-
ticando di tener conto di qualcuno di essi, si rìschia di arrìvare a soluzioni
assolutamente erronee. Così, a chi consiglia l'uso di macchine ad altissimo
rendimento, si può opporre che un filo od un'arteria servita da una cotal
macchina, essendo soggetta, come tutti i conduttori aerei, a guastarsi, può
offrire il pericolo di prolungate interruzioni di servizio: interruzioni che sono
tanto più gravi, quanto m^giore è il rendimento degli apparati. Ciò dico
senza insistere ulteriormente sul fatto, già rilevato, che per solito, col cre-
scere del rendimento dell'apparato, cresce lo smorzamento o Tattenuazione
della corrente tel^rafica sulla linea, e diminuisce quindi la possibilità di
utilizzare a grande distanza l'apparato stesso.
26 QUIRINO MAJORANA
Con queste considerazioni, non voglio arrivare alla conclusione che sia
meglio adoperare apparati semplici e lenti insieme con molti fili formanti
ima fitta rete nel nostro paese, rete che diiBcilmente potrebbe esser soggetta
a guasti di notevole entità ; questa soluzione offrirebbe Tinconveniente della
spesa eccessiva per Y impianto dei fili, eccessivo numero di macchine telegra-
fiche e di impiegati, ingombro di locali degli ufSct. La soluzione più oppor-
tuna deve essere inteimedia, ed in ogni caso occorre tener conto delle cir-
costanze e delle esigenze speciali. La distribuzione del servizio telegrafico
in Italia, non può forse dirsi che sia del tutto razionale ; certo, essa risponde
bene alle esigenze del tra£Bco, e, con la recente estensione della rete tele-
grafica, si potrà far fronte, con preparazione, alla riduzione della vigente ta-
riffa telegrafica. Ma forse una organica sistemazione di tutti gli ufiBct
si impone, senza che si sia trattenuti, nelF innovare, da consuetudini o da pre-
giudizi.
Telefono. — Si è già visto nella parte prima di queste note, come Tnso
e le applicazioni del telefono, iniziatisi quasi subito dopo la scoperta del ma-
raviglioso apparecchio, siano progrediti assai lentamente per più di un de-
cennio; così, quando nel 1902 fu presentato il progetto di legge perlaco-
stmzione della rete telefonica nazionale, lltalia, fra tutte le nazioni europee
più importanti, era la meno progredita in fatto di telefonia: per esempio,
mentre si aveva in Svezia ed in Norvegia una media di un apparecchio te-
lefonico ogni 70 abitanti, e tale ultima cifra diveniva alquanto superiore per
la Danimarca, l'Inghilterra ecc., in Italia si aveva soltanto un apparecchio
ogni 2243 abitanti. Fu provvida allora la decretazione della costruzione
delle 84 linee della rete telefonica che servirono a dare notevole sviluppo
agli impianti moderni.
Oggi, dopo 8 anni circa e dopo avvenuto il riscatto delle principali reti,
quella cifra è ridotta a circa 580. In Italia quindi, il bisogno del telefono
era, si può dire, latente, e ben ci possiamo rallegrare dei provvedimenti legis-
lativi adottati per migliorare questo importante servizio di comunicazione.
Ma quanto ancora non si deve fare perchè i nostri impianti siano veramente
paragonabili a quelli di altri Stati esteri ! Ricordiamo infatti ancora il mera-
viglioso sviluppo del telefono negli Stati Uniti, dove solo la Compagnia
Bell, alla fine del 1909, aveva installato più di 5 milioni di apparecchi te-
lefonici.
Esaminiamo ora da vicino su quali mezzi tecnici sia fondato il seiTizio
telefonico.
Servizio urbano. — In tesi generale, il problema della commutazione
telefonica, vale a dire del servizio che si deve compiere in un ufficio centrale
al quale fanno capo molte linee di abbonati, può essere risoluto in diverse
guise. Anzitutto, se si tratta di un piccolo numero di abbonati, per esempio
un centinaio, si adopera la semplice tavola telefonica. Ad essa fanno capo
POSTA, TELEORAFO, TELEFONO 27
tutte le linee partenti ciascuna dall'apparecchio di un abbonato, e terminano
in tanti avvisatori di chiamata. Questi congegni, di cui qualcuno entra in
azione tutte le volte che un abbonato chiama Tufficio, erano, sino a qualche
anno addietro, costituiti da semplici cartellini o numeri^ i quali, cadendo^ da-
vano alla telefonista l'avviso della avvenuta chiamata. Però, con lo svilup-
parsi della tecnica telefonica, principalmente per opera degli americani, gli
avvisatori a cartellino, comunque perfezionati, sono andati man mano scom-
parendo, per dar luogo agli avvisatori luminosi^ mediante piccole lampadine
elettriche. Tale sistema, che non trova tanto applicazioni nelle tavole sem-
plici quanto nelle grandi tavole o multipli telefonici, di cui poi diremo,
presenta grande economia di operazioni da parte della telefonista, e di spazio.
Quando ha luogo una chiamata, la telefonista che è preposta al servizio di
una tavola, mediante uno speciale organo di collegamento (cordoni, spine,
jack) si pone in comunicazione con l'abbonato chiamante, e sente con quale
altro abbonato egli desideri essere collegato; la qual cosa, se quest'ultimo
non è occupato, quella immediatamente eseguisce* Vi sono poi ancora, in
una tavola telefonica, i cosiddetti avvisatori di fine di conversazione, che
entrano in funzione quando uno degli abbonati che parla, girando la propria ma-
novella, lascia intendere che la comunicazione è finita, dando così ravviso
alla telefonista, perchè questa rimuova la connessione già eseguita fra i due
abbonati.
Ora, in una tavola telefonica semplice che da ^oi prende il nome di
centralino, od anche di tavola Standard, una sola operatrice può eseguire
tutte le operazioni necessarie alla commutazione. Infatti la pratica ha dimo-
strato che circa 100 abbonati possono conversare fra di loro a due a due,
dando una media di conversazioni abbastanza piccola, perchè sia sufficiente
Topera manuale di una sola persona ad eseguire quelle operazioni. Se anche
il numero di abbonati va verso le due o le tre centinaia, l'uso delle tavole
semplici è ancora possibile, disponendone più d'una, in vicinanza l'una del-
l'altra, e adibendo ai servizi di commutazione più di una telefonista. Ma tale
soluzione comincia ad aver carattere di ripiego, giacché, crescendo da un canto
la probabilità di richiesta di conversazione in ragione del quadrato del nu-
mero di abbonati, e potendo tali richieste avvenire fra abbonati che fanno
capo a tavole diverse, il servizio di commutazione diventa penoso fra le te-
lefoniste, deficiente ed imperfetto per il pubblico. Tale stato di cose, vediamo,
si è realmente presentato da noi, in talune delle nostre pia importanti città,
in cui il servizio telefonico si era incominciato a svolgere con un numero
di abbonati relativamente piccolo.
Nel caso, quindi, di un numero notevole di abbonati, si ricorre ai così
detti sistemi multipli^ che sono ormai adoperati anche in centrali telefoniche
con solo qualche centinaio di abbonati. In una centrale telefonica multipla,
sono parecchie operatrici, per solito una per ogni 1 20 abbonati circa ; e eia-
28 QUIRINO MAJORANA
scuna di esse è destinata al serrizio delle linee a lei affidate. Essa deve cioè
poter stabilire le connessioni fra uno qualsiasi dei propri 120 abbonati e
qualunque altro abbonato della rete. Si comprende quindi come in vicinanza
di ciascun posto di lavoro corrispondente ad ogni telefonista, debbansi tro-
vare tanti organi speciali di presa {jhck. generali) quanti sono tutti i rima-
nenti abbonati; e potendo il numero delle telefoniste essere notevole, si
viene alla necessità di dover ripetere quei tali organi di presa molte volte
affinchè, in tutti i posti di lavoro, possano eseguirsi le operazioni di commu-
tazione. Si viene così alla necessità di mtdtiplare le linee dei singoli abbo-
nati; e propriamente, la pratica ha insegnato che basta multiplare com-
pletamente tutte le linee per ogni tre posti di lavoro, ossia ogni tre te-
lefoniste. Una tavola telefonica così costituita, che vien denominata piii
semplicemente multiplo^ possiede poi organi analoghi agli altri già indicati
per il caso della tavola semplice, e cioè avvisatori di chiamata, di fine con-
versazione, ecc. Oltre a ciò, disposizioni speciali debbono lasciar comprendere
a ciascuna telefonista se un abbonato richiesto da uno di quelli che a lei sono
affidati, non può essere collegato, perchè occupato in conversazione, mediante
collegamento eseguito su altra tavola che essa non vede.
Una centrale telefonica la cui costruzione si appoggi alle generalissimo
notizie sopra date, è capace di poter funzionare bene anche quando si tratti
di rilevante numero di abbonati, per esempio 10,000, od anche 20,000. Al
di là di questo limite, la pratica ha dimostrato che non conviene più co-
struire centrali uniche: Teccessivo agglomeramento di fili in un unico punto
della città, offre molteplici inconvenienti, non ultimo quello della maggiore
lunghezza dei collegamenti fra due abbonati della città topograficamente
prossimi ed entrambi lontani dal centro. È così che si è pensato, nelle grandi
città, a decentraliziare gli uffici di commutazione, costruendo contempora-
neamente diveree centrali, a ciapcuna delle quali fanno capo tutti gli abbo-
nati di una determinata zona della città : le centrali poi sono collegate fra
loro mediante linee di intercomunicazione, che servono a permettere i collega-
menti fra abbonati non facienti capo allo stesso ufficio. Da noi vi ha un pro-
getto per costruire in Roma due centrali parziali in sostituzione delVunica
esistente, che si addimostra oggi insufficiente ; ed è da sperare che questo pro-
getto possa presto tradursi in atto.
Non voglio, in una trattazione tanto sommaria, avere la pretesa di de-
scrivere e spiegare i vari sistemi di multiplo telefonico, che anche da noi
trovano applicazioni. Ma non è fuor di luogo dare ancora notizia di un per-
fezionamento notevolissimo, che si è introdotto da qualche tempo, e va, di
giorno in giorno, sempre più diffondendosi: voglio dire della batteria cen-
trale. La necessità dell* introduzione di tale sistema si è fatta sentire
sempre più, con l'estendersi di ciascuna rete telefonica; e oggi, riconosciuti i
vantaggi offerti dal sistema, tutti gli impianti vecchi vànnosi trasformando
POSTA, TELEGRAFO, TELEFONO 29
per r introduzione della batteria centrale, ed i nuovi si costruiscono con tale
perfezionamento. I vantaggi offerti da questo sistema si comprendono assai
facilmente : i vecchi impianti sono tutti a batteria locale ; cioè, ciascuno ap-
parecchio di abbonato è fornito della sua pila locale, capace di far funzio-
nare il microfono deirapparecchio. Ora la pila è costituita per solito da due
elementi del tipo Leclanché, e la sua manutenzione spetta, per obbligo na-
turale, air ente assuntore dell'impianto telefonico. Se si nota che una pila
avrebbe bisogno di essere riguardata almeno ogni due o tre mesi perchè sia
in grado di fornir sempre la dovuta intensità di corrente elettrica, si com-
prende quanto sia dispendioso queirobbligo ; e se la manutenzione non è fatta
rigorosamente, il servizio telefonico diventa cattivo. Il poter sopprimere
dunque le pile air abbonato, sostituendole tutte con una unica pila posta
presso r ufficio centrale, era cosa, sotto vari aspetti, conveniente; e tale risul-
tato è stato realmente raggiunto felicemente negli impianti moderni. Per
citare un caso interessante, ricordo che 1* introduzione del sistema a batteria
centrale a New-York, fatto intomo al 1897, segnò una nuova èra per lo svi-
luppo della telefonia in quella città. In quell'anno si avevano circa 25,000
abbonati al telefono : e la più forte Compagnia americana, ben prevedendo lo
sviluppo che in avvenire avrebbero avuto i suoi impianti, non esitò a cam-
biare tutto il materiale già istallato in quella città, con altro nuovo e a
batteria centrale, capace di far fronte al collegamento di 80,000 abbonati.
Questa cifra, che allora sembrava fantastica, si dimostrò poi insufficiente,
giacché New-York conta ora 400,000 abbonati circa.
Un'altra modificazione è stata da parecchi anni ventilata e solo in certi
casi tradotta in atto : essa è quella della soppressione delle operazioni ma-
nuali nelle centrali telefoniche, trasformando queste in centrali automatiche.
Il migliore di tali sistemi è lo Strowger, che sembra funzioni abbastanza
bene a Chicago, ed anche (benché in iscala minore) a Berlino. In Italia è stato
fatto un esperimento in piccolo, di telefono automatico, impiantando una rete
di 100 numeri al servizio interno del ministero delle poste e dei telegrafi in
Roma. Il sistema impiegato porta il nome del Lorìmer; ma questo tentativo
non ha fatto buona prova. L* idea, del resto, di sostituire, nella commutazione
telefonica, alla mano dell' uomo qualche congegno automatico, se può pre-
sentarsi come problema interessante, rimane tradotta in atto dalle invenzioni
sinora fatte, a costo di una notevole complicazione meccanica; e credo che
non sia giunto il momento di pensare ad una larga applicazione di un si-
stema che solo in linea di prova debba essere ancora applicato.
Esposto così, per linea assai generale, lo stato attuale della tecnica
degli uffici telefonici, vediamo come oggi, in Italia, di essa si è saputo trar
profitto.
Delle 200 reti urbane nostre, che hanno, in complesso, un numero di
abbonati prossimo a 60.000, le più importanti sono oggi di proprietà gover-
30 QUIRINO MAJORANA
nativa. Soltanto le centrali di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna,
Firenze, Livorno, Boma, Napoli, Palermo e Catania, danno un contributo, in
quella cifra, di circa 40,000 abbonati.
Le case industriali che oggi costruiscono materiali telefonici, non sono
assai numerose, e fioriscono per lo più nei paesi dove m^giormente ò svi-
luppato r uso del telefono : cioè a dire in America. In Italia, purtroppo, non
•abbiamo una vera industria di materiale telefonico; e d'altronde ciò ai com-
prende quando si pensi che, per ragioni di privative industriali, e in consi-
derazione del modesto smercio che avrebbe da noi una simile produzione,
non è possibile far concorrenza alle case estere. È per ciò che noi siamo
tributai! esclusivamente delle case straniere, per quanto riguarda gli impianti
tele^nici interni. Il materiale delle grandi centrali nostre è oggi per lo più
in condizioni critiche: così, a Milano, a Genova, a Firenze, a Boma ecc.,
gli impianti esistenti soddisfano appena ai bisogni del servizio ; anzi è con
stento che Tamministrazione può seguire le richieste di nuovi collegamenti
di abbonati. Per Napoli, Torino, Bologna, Palermo, Catania, si è provreduto
ad impianti fatti con criteri sufiScientemente moderni: assicurando così il
facile sviluppo delle reti urbane per qualche tempo; ma per le città pre-
dette occorrono solleciti e radicali provvedimenti, ai quali non si sa pur-
troppo se Tesercizio di Stato, a cui manca la dovuta elasticità, possa solle-
citamente far fronte.
Linee telefoniche. — Come è noto, i sistemi telefonici si sono oggi
tanto perfezionati, da rendere possibile la trasmissione della parola attra-
verso distanze che possono raggiungere anche i 2000 chilometri. Ciò ha per-
messo di poter collegare città assai discoste Tuna dall'altra, rendendo così
sempre più estesò T impiego del telefono. Naturalmente, si è cercato di trarre
il maggior profitto da quanto la moderna elettrotecnica va oggi stabilendo,
per rendere sempre più facili i sistemi di telefonia a grande distanza. Si ò
riconosciuto anzitutto essere inopportuno l'uso dei fili di ferro, che di so-
lito vengono adoperati nel telegrafo, giacché essi, in conseguenza delle loro
proprietà magnetiche e della loro resistenza elettrica, smorzano fortemente
la corrente telefonica. Questa infatti è assimilabile ad una corrente ondulata
risultante da diversissimi periodi vibratorii, fra cui quelli più intensi si
aggirano fra le cento e le mille vibrazioni complete a minuto secondo ; e si
è visto già come le correnti alternate restino per solito smorzate dalla linea
di trasmissione, tanto più facilmente quanto maggiore è la loro frequenza.
In telefonia, sarebbe quindi opportuno adoperare esclusivamente fili di bronzo,
che smorzano e dÌ8tx)rcono molto meno la parola, di quel che non facciano i fili
di ferro. È per questa ragione, ed anche per &r fronte alle esigenze tecniche dei
sistemi a batteria centrale che vanno sempre più diffondendosi, che oggi, non
solo le linee interurbane, ma anche le reti urbane si costruiscono con filo di
bronzo di vario diametro. Non è certo, quindi, da lodarsi la pratica di alcune
POSTA, TELEORAFO, TELEFONO 31
Società concessionarie di piccoli impianti interurbani, di impiegare ancora del
filo di ferro.
Una volta riconosciuta la convenienza di adottare il filo di bronzo, i
tecnici hanno man mano accresciuto il valore del diametro di esso, a se-
conda della importanza delle linee da costruirsi. È così che si è arrivati
anche da noi ad adoperare fili di bronzo perfino di 5 mm. di diametro, e,
in America, di diametro ancora maggiore, impiegando, nella trasmissione
delle debolissime correnti telefoniche, quantità di rame, che a prima giunta
possono sembrare esagerate.
Ma un altro progresso meraviglioso, frutto delle risultanze di ingegnose
teorie, era riservato alla tecnica telefonica: voglio dire del benefico effetto
che l'aggiunta di rocchetti di auto-induzione, disseminati regolarmente sulla
linea, ha sulla propagazione della corrente telefonica. Il modo di distribuire
tali rocchetti, e le dimensioni di questi, costituiscono il brevetto Pupin. Le
linee telefoniche pupinizzate ostacolano nei primi tratti il libero propagarsi
delle correnti alternate, e le rinforzano verso la opposta estremità della
linea, là dove cioè essa occorre che giunga ancora sufficientemente intensa.
Ed inoltre, poiché era già noto il fatto che la attenuazione delle correnti
alternate elementari, che nel loro insieme costituiscono la corrente telefo-
nica, è maggiore per le alte frequenze, producendo quindi alternazione nel
timbro della voce trasmessa, le stesse bobine Pupin soddisfano alla condizione
di rendere quasi costante l'attenuazione per le varie frequenze, eliminando
tale alterazione o distorsione della parola. Praticamente, se una linea aerea
telefonica è tanto lunga da dover esser costruita con filo di bronzo di 5 mm.
(perchè la intensità di recezione all'altro estremo sia sufficiente), la inclu-
sione delle bobine Pupin può consentire, a parità di intensità fonica di rece-
zione, una riduzione, nel diametro del filo, da 5 a 4 mm. circa ; al che corri-
sponde una notevole economia nella spesa del rame (circa Vs)* ^^^^^ il
beneficio di eliminare la distorsione della parola.
Anche per quanto riguarda le condutture telefoniche sotterranee o sub-
acquee, la tecnica moderna si è specializzata. Cosi, essendosi riconosciuto
esser di grave ostacolo alla propagazione della corrente telefonica la elevata
capacità elettrica dei tipi di cavo che già si usavano in telegrafia (0,3 mi-
crofarad per chilometro), si sono studiati tipi di cavi a capacità ridottis-
sima. Si è arrivati cosi a costruire cavi il cui isolante è principalmente
costituito da aria, ed in cui le anime di fili conduttori sono mantenute
scostate l'una dall'altra da avvolgimenti di carta non serrati. La capacità
di questi cavi può scendere sino a 0,05 microfarad per km. E poiché si
preferisce, per ragioni di sicurezza e di estetica, canalizzare nel sottosuolo
della città le linee telefoniche delle reti urbane più perfezionate, si sono
studiati tipi di cavi contenenti parecchie centinaia di linee telefoniche, co-
stituite ciascuna da una coppia di fili di rame cordati insieme. Questi cavi,
32 QUIRINO MAJORANA
che risultano talvolta di diametro notevole, sono sostenuti e protetti nel
sottosuolo da tubazioni in gréSy di forme e dimensioni svariate.
Occorre spesso anche rinchiudere in cavi taluni tratti delle condutture
interurbane od intemazionali, e ciò, dipendentemente dalla necessità di attra-
versare tratti di acqua dolce o marina più o meno lunghi, gallerie ferroviarie,
zone soggette a perturbazioni elettriche o pericolose, ecc. In questi casi si ri*
corre di solito a cavi il cui isolante è costituito in guttaperca, a simiglìanza dei
cavi telegrafici, o in carta impregnata di sostanze resinose. Ma, evidentemente,
il valore della capacità elettrostatica diventa allora rilevante, e si ricorre, po-
tendo, a cavi con autoinduzione distribuita. Ciò può ottenersi o con le bobine
Pupin, 0 con il sistema Krarup, che consiste nell'avvolgere fili di ferro sopra
ciascun conduttore. Adottando il primo metodo, si hanno i migliori risultati
dal punto di vista elettrico : ma difficoltà meccaniche notevoli si presentano
nella costruzione di quei cavi, se sono destinati ad esser posati in mare.
Infatti le bobine Pupin localizzate su ciascuna coppia del cavo a distanze
progressive (deirordine del chilometro), generano discontinuità nei valori della
sezione totale del cavo, per le quali questo resiste difScilmente alle enormi
pressioni dei fondi marini. Pure, per esempio, in Europa, il problema è stato
studiato con successo dalla casa Siemens, tanto che si è potuto immergere
da qualche anno un cavo nel lago di Costanza e recentemente un altro nel
canale della Manica. Col sistema Erarup non si incontrano simili difiicoltà ;
ma il metodo — del resto, meno costoso — non offre, dal punto di vista
elettrico, completamente i vantaggi dei cavi Pupin.
Per quanto riguarda lo sviluppo delle linee telefoniche in Italia, osser-
veremo che si è già proceduto, nelle più importanti reti, alla sostituzione del
filo di ferro col filo di bronzo, e al parziale sotterramento di talune partì
delle reti stesse.
Al facile sviluppo delle linee interurbane si opponeva, e si oppone tut-
tavia, la forma piuttosto allungata del nostro paese, a cagion della quale oc-
corre talvolta di stendere più di 1500 km. per connettere le località estreme.
Questa difficoltà, unita alFaltra dell'elevato costo delle linee telefoniche in
bronzo, giustifica in parte il fatto che oggi ò stentato il servizio fra Roma
e la Sicilia, e ancor più quello fra Milano e Palermo. Pur nondimeno, molto si
è già fatto, giacché, alle numerose linee telefoniche costruite in base alla legge
del 1903, altre se ne sono aggiunte, e, nel loro insieme, tali linee formano oggi
una rete di fili di bronzo i cui diametri variano da 2 a 5 mm., assai costosa.
Di tale rete fanno anche parte cavi con autoinduzione distribuita, quale quello
italo-svizzero del Sempione, quelli dello stretto di Messina ed altri minori.
Riassunte così le condizioni tecniche della telefonia in Italia, si rileva
facilmente che, pur essendo il nostro paese molto progredito rispetto agli
anni decorsi, molto ancora c'è da fare. Riordinare le grandi centrali; pro-
muovere nuovi abbonamenti col migliorare le condizioni degli impianti e
POSTA, TBLBORAFO, TELEFONO 38
ool perfezionare le tariffe, accrescendole per chi fa grande uso del tetefono,
diminnendole per gli altri; ridurre la tariffa telegrafica in guisa da dare
una più libera via con questo mezzo al servizio di stampa, sfollando così
le linee telefoniche che resterebbero quindi più facilmente accessibili al
grosso pubblico; accrescere, ore occorra, le linee interurbane, raddoppiando
e triplicando le arterie principali; ingrossare i fili lunghissimi o migliorarne
le condizioni di funzionamento con opportuni artifizi: ecco il programma
che, attuato con energia e prontezza da una savia amministrazione, non potrà
che riscuotere approvazione da chi è amante del progresso.
Badiotelegrafla. — Illustrare una volta di più in queste pagine, ed
in linea assai sommaria, lo sviluppo della radiotelegrafia, credo sia cosa quasi
superflua; non v'è italiano infatti che non vada oggi orgoglioso dell'opera
geniale di Guglielmo Marconi, e che non conosca le fasi di una invenzione
che ha fornito in guisa tanto suggestiva un nuovo mezzo di telecomunica-
zione alFumanità. Poche righe, in ogni modo, bastano a ricordare rorigine
e lo sviluppo che oggi hanno assunto gli impianti radiotelegrafici.
Marconi incominciò i suoi primi esperimenti nel 1895 a Bologna e li
proseguì suecessivameute in Inghilterra, e nel 1897 nel porto di Spezia, dove
raggiunse circa 15 km. di distanza. Marconi, sedotto dalle esperienze suU* ot-
tica delle onde elettriche, fatte dal Kighi a Bologna, mirava, nelle sue ri-
cerche, a servirsi degli oscillatori adoperati da questo illustre fisico, per
inviare segnali a distanza. E avendo constatato la debolissima efficienza di
uno di quei congegni per irradiare energia a distanza superiore a qualche
metro od a qualche diecina di metri, si era ingegnato di perfezionare il metodo,
sia servendosi di rifiettori, sia ancora con raggiunta di fili o code metal-
liche alle sfere deiroscillatore, protendentisi in aria o in comunicazione col
suolo. E quest'ultima disposizione costituisce la vera scoperta Marconiana;
se rinventore avesse sin dal principio curato di rivendicare completamente a
so la priorità di questa disposizione, molti altri, che sùbito dopo Marconi si
atteggiarono anch'essi a scopritori della radiotelegrafia, non ci avrebbero fatto
assistere a polemiche inopportune.
Tutta la importanza della prima disposizione di Marconi non fu però
compresa nei primi tempi. Si adoperava Toscillatore a quattro sfere, del
Righi, ammettendo che le oscillazioni proprie di esso entrassero in qualche
modo nella propagazione dei segnali a distanza; si costruivano le sfere
grandi deiroscillatore con metallo massiccio, perchè si credeva, come av-
viene nelle esperienze del Righi con onde di brevissima lunghezza, che
con ciò le oscillazioni fossero più intense, ma non si rifletteva troppo alla
natura speciale del nuovo sistema oscillante trovato dal Marconi. Ancor
oggi si fanno teorie precise sul modo con cui oscillatori lineari costituiti
da due fili rettilinei posti l'uno sul prolungamento del l'altro, oscillano
quando scintille scoccano fra esse. Or bene, la sostituzione virtuale della
34 QUIRINO MAJORANA
massa terrestre con un tratto di filo simile all'antenna conduce certamente
a risultati attendibili per quanto riguarda Tirradiazione dell'antenna stessa,
ma non per ciò che riguarda la misura dell' efQcienza a distanza dei si-
stemi radiotelegrafici. In realtà, a voler interpretare esattamente il funzio-
namento di un'antenna radiotelegrafica, occorre considerare il fenomeno sotto
il doppio punto di vista della irradiazione nello spazio non conduttore (aria)
di onde elettromagnetiche, e della conduzione di una certa quantità di energia
sotto forma di oscillazioni elettriche nel suolo conduttore. È alla somma di
questi due elementi che si deve l'azione a distanza dei sistemi radiotelegra-
fici; in generale, uno solo di essi, che può essere anche il secondo, può esser
predominaute. La esperienza conferma, del resto, questo modo di vedere: in-
fatti, l'efficienza di una stazione radiotelegrafica costituita da oscillatore
isolato dal suolo, e, piti propriamente, che non dia luogo a propagazione di
onde nel suolo, è enormemente più piccola di quella di una stazione Marconi.
Non insisto però ulteriormente su questioni di interpretazione, e litorno
ad esaminare lo sviluppo progressivo della radiotelegrafia. Negli anni suc-
cessivi, Marconi si era occupato di perfezionare i suoi sistemi principalmente
dal punto di vista di rendere le oscillazioni persistenti, accordando così
le coppie di stazioni corrispondenti, ed eliminando così un grave inconve-
niente dei sistemi radiotelegrafici: quello della interferenza dei segnali.
Tale inconveniente, espresso con parola fisicamente impropria, si fa sentire
là ove piti stazioni lavorano insieme; e purtroppo, anche al giorno d'oggi,
non ostante gli innegabili progressi dei sistemi sintonici od accordati, non è
possibile sempre evitar reciproche perturbazioni delle varie stazioni radio-
telegrafiche poste in vicinanza. Comunque, in determinati casi e con speciali
accorgimenti, specie poi quando si tratti di stazioni radiotelegrafiche fisse,
è possibile realizzare sorprendenti esperienze di sintonia.
Dopo che Marconi ebbe mostrato al mondo il suo sistema; dopo che,
attraverso una serie mirabile e crescente di successi, il giovane inventore
fu giunto, dalla modesta distanza di qualche chilometro, all'altra, quasi sba-
lorditoria, di migliaia di chilometri, e ciò mediante le sue esperienze trans-
atlantiche: il pubblico, che è egualmente pronto a meravigliarsi di una nuova
scoperta, come (dopo qualche tempo) ad assuefarsi ad essa e a ritenerla
quasi come cosa ovvia e naturalissima, il pubblico, dico, e specialmente i
profani, pretese e pretende molto dalla radiotelegrafia. Questo portato stm-
ordinario dell'attività umana non può, per quanto meraviglioso esso sia, venire
utilizzato dove altri mezzi più sicuri e più antichi possono valevolmente
essere adoperati. Parlare di radiotelegrafia in terra ferma, dove un semplice
filo di ferro, con spesa relativamente piccola, può essere posato, è un non-
senso. Solo, quindi, nei casi in cui la telegrafia ordinaria non è possibile,
occorre servirsi della radiotelegrafia, e propriamente per le comunicazioni in
mare con le navi in movimento e con le aeronavi (se la pratica dimostrerà
in avvenire ciò sicuramente possibile), ed in caso di guerra. Un altro caso
POSTA, TELEGRAFO, TELEFONO -^5
in cui la radiotelegrafia può trovare utile applicazione è quello delle comu-
nicazioni fra zone terrestri separate da mare o da masse di acqua in cui
non è possibile o sarebbe troppo costoso posare un cavo. Ma non odtante le
brillanti esperienze transatlantiche di. Marconi, tenendo conto di moltissimi
elementi tecnici, pratici, economici, è, per ora, difficile pronunziarsi sulla
assoluta convenienza di tale applicazione. Si annunzia da poco tempo come
definitivamente stabilita, sempre per opera del nostro Marconi, la continua
e permanente comunicazione radiotelegrafica fra l'Inghilterra e la America
del Nord ; ma la notizia è troppo recente, per poter essere discussa. Intanto,
per concludere, occorre pur sempre aver fiducia nei sistemi radiotelegrafici,
e su di essi fare assegnamento anche per ragioni umanitarie, nel caso in cui
si voglia assicurare la costante comunicazione con la teiTa ferma e fra di
loro delle navi in alto mare.
Non mi resta ora che da dire qualcosa sul modo con cui è organizzato
e procede il servizio radiotelegrafico in Italia. Le prime installazioni furono
eseguite dal Ministero della Marina, e così sulle nostre coste si trovano
oggi distribuite 13 stazioni, le quali occupano per solito gli antichi posti
semaforici. Tali stazioni portano i nomi seguenti, che, senz'altro, definiscono
la località in cui si trovano : Asinara, Gapomele, Capo Sperone. Cozzo Spa-
daro, Forte Spuria, Monte Cappuccini, Monte Mario, Monte S. Giuliano,
Palmaria, Ponza, Venezia, Viesti. A queste stazioni va aggiunta l'altra di
S. Cataldo (Bari), la quale, costruita a cura del Ministero delle Poste e dei
Telegrafi, è destinata alla corrispondenza internazionale col Montenegro. La
portata di tutte le stazioni citate si aggira intorno ai 300 km., ed esse fanno
servizio militare e commerciale promiscuamente; naturalmente, ciascuna di
esse è collegata, col filo, alla rete telegrafica nazionale.
Per completare la statistica delle nostre stazioni radiotelegrafiche, si deb-
bono ancora citare quelle impiantate, a cura del nostro governo, nel Benadir :
sono 6 stazioni, e cioè Breva, Oiumbo, Itala, Lugh, Merka, Mogadiscio. La
loro portata varia da 300 a 750 km., ed esse, in vista delle difficoltà, che vi
sono in quei luoghi, di posare fili telegrafici, rendono ottimi servizi alle Co-
lonie e alle popolazioni indigene.
Infine ricordo che l'Italia manca ancora di una stazione radiotelegrafica
a grandissima potenza, paragonabile a quella che già la Compagnia Mar-
coni ha costruito all'estero; ma tale stazione, che sarà certamente la più
potente che siasi mai costruita, e nella quale Marconi apporterà tutti i
perfezionamenti che le lunghe sue esperienze gli hanno ormai consigliato,
è già in costruzione in Coltane presso Pisa, e si spera che nel prossimo
anno 1911 essa possa essere aperta al pubblico esercizio.
Roma, luglio 1910.
Quirino Majorana
Direttore dell' Istituto Saperiore Poetale Telefnfieo Telefonleo.
TRASPORTO DELL'ENERGIA
I.
Preliminari storici e tecnici.
La storia dell'applicazione dell' elettricità al trasporto dell'energia data
dal giorno in cui il prof. Pacinotti ebbe l'idea della macchina che fa og-
getto di una sna comunicazione nel Nuovo Cimento nel 1864: idea, che,
riprodotta da Gramme nel 1869, fu l'origine del merariglioso sviluppo del-
Telettrotecnica moderna.
Quando fu fatta questa invenzione, il terreno era già preparato da lungo
tempo per opera di scienziati eminenti che si occuparono dì perfezionare là
scoperta di Volta, e sopra tutti del tìsico Faraday, al quale è dovuta la
scoperta delle correnti indotte, da lui annunciata nel 1831. Il 17 ottobre
di quell'anno egli provò ad inserire un magnete entro un cilindro formato
da un filo di rame avvolto ad elica, e notò che nel filo si induceva una cor-
rente elettrica al momento dell'entrata, e una corrente opposta, air uscita.
Questo esperimento primordiale, fondamento delle dinamo moderne, fu da lui
descritto, insieme ad altri esperimenti della stessa natura, in una Memoria ce-
lebre {Experimental Besearches in Blectricity) che fu letta il 24 novembre
successivo alla Koyal Society e pubblicata nel gennaio dell'anno successivo (^).
(^) Fu a proposito di questo esperimento che si improvvisò la seguente strofa, la
quale collega la scoperta di Faraday a quella di Volta:
▲round the in«giMt Faraday
Waa Bare that Volta's lightnSngs plaj:
Bat how to draw th«m from the wire?
He took a leaton firom the heart:
*TU when we meet, 'tis when wa part,
Breakf forth the electric fire.
Giuseppe Colombo. — Trasporto dell'energia. X
GIUSEPPE COLOMBO
Fu però molto più tardi che questo principio delle correnti indotte, cosi
fecondo nel campo scientifico, trovò applicazione nel campo industriale.
Cosi fu solo nel 1849 che il prof. NoUet di Bruxelles propose la costru-
zione di una macchina nella quale le correnti indotte in un rocchetto di
filo da una forte calamita si mostrarono capaci di produrre effetti luminosi
pari a quelli delle più potenti pile voltaiche; e non fu che dodici anni
più tardi che la Compagnie de TAUiance ne trasse partito per T illumina-
zione dei fari coir arco elettrico, gik ottenuto da Davy nel 1813 con una
pila. Il faro di La Hòve fu il primo così illuminato nel 1863, con un arco
di 150 a 200 Carcel, quale non si sarebbe potuto ottenere che con una pila
di 250 a 300 elementi Buusen; e molti altri fari consimili figurarono al-
l'Esposizione di Parigi del 1867. Non ostante questi risultati, le calamite in-
ducenti della macchina NoUet non avrebbero potuto prestarsi ad effetti mag-
giori di quelli raggiunti, a causa della impossibilità pratica di valersi di
calamite abbastanza potenti. Ma si possono formare calamite indefinita-
mente potenti, avvolgendo intorno a nuclei di ferro numerose spire di filo
di rame percorse da una corrente elettrica; si ha cosi un eleUro-magnete
la cui potenza è proporzionata a quella della corrente eccitante ed è quindi
praticamente indefinita. Simili elettro-calamite sarebbero dunque capaci di
indurre nel rocchetto di filo effetti di indefinita potenza. Un rocchetto, il
così detto indotto^ costituito da un filo di rame opportunamente avvolto
attorno a un nucleo di ferro, può girare su un asse fra i poli di un
elettro-calamita, che è T induttore^ nel cui filo circola una corrente prodotta
con una piccola eccitatrice, o una frazione di quella generata dalla macchina
stessa. Mettendo in moto con una forza opportuna l'indotto (o facendo gi-
rare l 'induttore attorno all' indotto, ciò che è lo stesso), si genera una cor-
rente, che è raccolta ai morsetti di un commutatore e di là lanciata nella
linea come corrente continua, ì cui elementi, cioè quantità e tensione, va-
riano secondo la forza applicata e le disposizioni della macchina. Tale è in
sostanza la macchina dinamo- elettrica, o semplicemente la dinamo a cor-
rente continua di Pacinotti, che Grammo riprodusse nel 1869, e che fii
il punto di partenza di tutte le applicazioni fatte sino ad oggi nel campo
elettrotecnico.
Spettò a Grammo di mostrare quali fossero queste applicazioni; e fu
questo il suo merito e la ragione del suo diritto di dividere con Pacinotti
gli onori dell' invenzione. Egli infatti comprese tutta la portata del trovato,
e lo utilizzò immediatamente in tutte le industrie richiedenti l'impiego di
correnti elettriche, per la medicina, le miniere, la galvano-plastica e Y illu-
minazione. L'applicazione ali* illuminazione, non solo colla dinamo Grammo,
ma con altre dinamo identiche nel principio, sebbene diverse nei particolari,
rimase la più importante e fece rapidamente cammino, appunto per la pos^
TRASPORTO dell'energia 3
sibilità di produrre correnti di qualunque intensità con qualunque tensione^
permessa da questo nuovo generatore (^).
A queir epoca non c*era ancora che l'arco roltaico, prodotto da Davy
nel 1813 fra due bacchette di carbone accostate per la punta, che fosse ca-
pace di fornire luce per mezzo della corrente elettrica; quindi già nel 1876
Jablochkoff tentò, colla sua lampada a carboni paralleli, di risolvere il pro-
blema dell* illuminazione pubblica, riportando brillanti ma non duraturi suc-
cessi durante l'esposizione di Parigi del 1878 e nella pubblica illuminazione
a Parigi, a Londra e altrove; nel 1879 se ne erano già installate circa 1500.
Ma il sistema non era pratico per se stesso; e d'altronde la lampada ad
arco non si prestava, come non si presta neppur oggi, alla minuta suddivi-
sione della luce richiesta dalla illuminazione pubblica e molto più ancora
dalla privata. Bisognava trovare un altro sistema di illuminazione elettrica,
e fu l'incandescenza: sistema introdotto per la prima volta da T. A. Edison,
e che costituisce ancora per quest'ultimo il più gran titolo di gloria, mal-
grado le altre singolari invenzioni del suo genio straordinario.
L'idea di ottenere la luce portando all' incandescenza un corpo senza
permettergli di consumarsi, era già stata messa avanti prima dell' invenzione
di Edison, fra gli altri da Lediguine a Pietroburgo nel 1877; ma spetta a
Edison Tonore di aver dato, nel 1878, la prima lampada a incandescenza
pratica. Fu lui che additò il materiale più adatto e i processi delicatissimi
per assicurare nelle lampade un vuoto estremo e ritardarne il più possibile
Testinzione. Così, circa 25 anni sono passati, durante i quali, non ostante
la concorrenza di altre lampade analoghe, come la Swan, la lampada Edison
a filamento di bambù carbonizzato rimase senza concorrenti, sinché, per
l'iniziativa di Nernst dapprima, e poi per opera di altri inventori, venne
Q) Le unità per la misura delle grandezze elettromagnetiche adottate nel Congresso
di Chicago del 1898 e confermate dappoi, sono diverse ; ma qui gioverà rammentare sol-
tanto le principali.
Ciò che misura una corrente elettrica è la sua intensità, ed ha per unità V Am-
père, che è la corrente capace di precipitare 0,001118 grammi d*argeiito al secondo in
una soluzione di nitrato d*argento. La quantità, poi, è la corrente che passa al secondo
quando ha T intensità di 1 Ampère.
Un conduttore offire, al passaggio della corrente, una resistenza, la cui unità, detta
Ohm, è la resistenza che offrìrehhe al passaggio della corrente una colonna di mercuri'>
a 0**, alta 1,068 m. e di 1 mm* di sezione.
La fona elettromotrice (corrispondente a ciò che spesso si esprime anche con la
parola tensione) ha per unità il Volt, cioè la forza elettromotrice che, agendo in un condut-
tore di 1 Ohm di resistenza, produce la corrente dì I Ampère.
La potenza, infine, di una corrente, si esprime in Watt (w), che è il lavoro corri-
spondente al passaggio di 1 Ampère al V in un filo che abbia la resistenza di 1 Ohm; ed
è eguale a circa 0,00136 cavalli-vapore (|-P): per cui 1 |-p ^ 735 w —= 7,35 hw (ettowatt)
— 0,785 kw (chilowatt).
GIUSEPPE COLOMBO
a poco a poco sostituita dalle nuove lampade a filamento metallico, altrettanto
durevoli, ma due o tre volte più economiche; il tantalio, Tosmio, lo zirconio,
sono ora i materiali preferibilmente adoperati, e costituiscono il mezzo
di illuminazione più economico per Y uso privato. L'arco, aperto o racchiuso
0 metallizzato, è riservato all' illuminazione pubblica, all'aperto e pei grandi
ambienti. È a queste brillanti applicazioni della corrente fornita dalle dinamo
che dobbiamo lo straordinario progresso conseguito nell'illuminazione pubblica
e privata ; ma altri e ben più significanti progressi si stavano maturando nel-
r istesso periodo di tempo in cui si assicurava l'avvenire della luce elettrica.
È noto che un felice azzardo, che si verificò nei locali dell'Esposizione di
Vienna del 1873, lo sbaglio di un meccanico, il quale, invece di collegare
una dinamo a un circuito da attivare, Tunì ad un circuito in cui già circolava
una corrente, rese manifesta la reversibilità della macchina, cioè la possibilità
di mettere in moto una dinamo mediante una corrente collegata ai suoi poli:
in una parola, la possibilità di trasmettere l'energia elettrica circolante in un
filo a una dinamo, diventata un motore, o a un numero qualsiasi di motori
consimili distribuiti lungo il circuito del filo. Da quel momento data la grande
evoluzione industriale ed economica che caratterizza la fine del secolo decimo-
nono : la soluzione del problema, tanto vanamente cercata da più di mezzo
secolo, di trasmettere a grande distanza le forze naturali delle acque cadenti
dalle loro sorgenti al mare. Dovunque queste forze si possono raccogliere e
concentrare, il movimento dei motori idraulici che le utilizzano si trasmette
alle dinamo generatrici, nelle quali l'energia dell'acqua cadente si converte
in energia elettrica ; e questa, lanciata nei fili, è distribuita a grandi distanze
ai motori elettrici che l' utilizzano negli opifici industriali, o agli apparecchi
che l'impiegano direttamente per i processi chimici, T illuminazione e il
riscaldamento.
Dimostrata la reversibilità della dinamo, H. Fontaine ne tentò subito
l'applicazione alla trasmissione dell'energia a distanza; ma chi dimostrò
più evidentemente la portata della scoperta, fu Marcel Deprez, dal 1881 al
1884, coi suoi celebri esperimenti e soprattutto con quello tentato nel 1884,
trasmettendo una forza di alcune decine di cavalli fra Creil e La Chapelle,
alla distanza di 56 chilometri. Benché sussidiato da potenti finanzieri, il
tentativo non ebbe sèguito, soprattutto per la difficoltà, che allora si era incon-
trata, di generare e isolare sulla dinamo una corrente continua ad alta ten-
sione. Non ostante questa difficoltà, però, Thury di Ginevra potè* più tardi,
nel 1889, fare il grande impianto di trasmissione di Isoverde per la Società
Deferrari-Oalliera di Genova, colla corrente continua ; impianto, che venne,
del resto, trasformato più tardi, come si vedrà più avanti {^).
(M Le difficoltà principali degli impianti a corrente continua dipendono dalla neces-
sità di mettere in serie le dinamo per raggiungere le alte tensioni indispensabili per la
economia delle condutture, ma difficilmente applicabili alle macchine. Il trasporto, in tal
TRASPORTO dell'energia
Gli ostacoli airimpiego dì alte tensioni nelle dinamo e anche, ma meno
gravi, nelle condutture aeree, dipendono dalla tendenza ai disperdimenti e
alle scariche di corrente, tanto piil forte e pericolosa quanto più la tensione
è elevata. Ora, l'energia trasmessa è proporzionale contemporaneamente alla
quantità e alla tensione della corrente, cosicché una determinata energia
può essei trasmessa con grandi intensità di corrente e piccole tensioni, o
viceversa; ma è chiaro, che quanto più alta è la tensione e più piccola la
quantità della corrente, tanto minore diventa la sezione necessaria dei con-
duttori destinati a portarla, o, per dir meglio, a guidarla. C*ò adunque, dal
punto di vista delVeconomia del peso di rame richiesto per trasmettere la
energia a una data distanza, un grandissimo interesse a trasmettere le cor-
renti alla più alta tensione possibile. Ora alle difficoltà accennate delle alte
tensioni, si è andato provvedendo sempre meglio con più accurati isolamenti
dei fili, tanto sulle macchine, quanto sulle linee, con opportuni rivestimenti
per le prime e con isolatori più perfezionati sulle seconde: quindi le ten-
sioni ammissibili nelle macchine e nelle condutture sono andate continua-
mente aumentando, sempre, però, in misura notevolmente minore per le mac-
chine, in causa della contiguità dei fili in cui circola la corrente, che non
sulle condutture aeree. Data questa diversità di condizioni fra macchine e
condutture, si comprende come il problema di trasmettere a distanza una
data energia in condizioni economicamente convenienti appariva di difficile
soluzione usando le correnti continue, non potendo elevare la tensione nelle
dinamo a quel grado al quale, per l'economia nel costo del rame e quindi
in quello deirimpianto, sarebbe giovato di elevarla nella conduttura ; a meno
di non metterle in serie, complicando impianto ed esercizio, come si è ac-
cennato nella nota precedente.
Tale era, dopo la fortunata scoperta dell'invertibilità della dinamo, lo
stato della questione della trasmissione a distanza dell'energia, quando una
caso, si fa a intensità costante di corrente e tensione variabile secondo il C(»nsanio: ciò che
importa nn modo speciale di regolazione dell'impianto, meno pratico di quello degli im-
pianti a corrente alternata. Nondimeno Thnry fa ancora impianti di questo tipo, con tensioni
altrettanto alte quanto quelle usate perle correnti alternate; così sono quattro anni che
funziona rimpianto da lui fatto pel trasporto di 4300 kw da Moutier a Lione, a 180 km.
di distanza, alla tensione di 57.600 volt, con due fili di 9 mm. di diametro; ed ora si
tratta di ampliarlo, elevando la tensione sino a 100.000 volt, con due nuove stazioni messe
in serie coU'esistente, trasportando 10.000 kw.
Per le suesposte difficoltà si preferisce l'impiego delle correnti alternate per i grandi
trasporti; ma siccome i motori a corrente continua sono i migliori che si conoscano,
cosi può convenire di adottare la corrente continua per la distribuzione, mantenendo la
corrente alternata per il trasporto e poi convertendola in continua per distribuirla, in
causa della semplicità del sistema e delle eccellenti qualità dei motori. Ciò si fa normal-
mente negli impianti americani, e si fa anche, benché più di rado, in Europa, come fra
noi a Milano e Torino.
GIUSEPPE COLOMBO
nuova scoperta diede il mezzo di risolYere il problema nel modo più com-
pleto, compatibilmente coi limiti sino ai quali è stato permesso finora di
elevare la tensione nelle condutture aeree.
Qià sino dal 1883 si era dimostrata la possibilità di trasmettere le
correnti alternate, in luogo delle continue: correnti, cioè, alternativamente
positive e negative, con periodo comunque variabile; e di queste coiTcnti,
prodotte con macchine dinamo-elettriche fondate sullo stesso principio di
quelle per correnti continue, e chiamate più propriamente alternatori, si
fece uso, in quel tórno di tempo, per la trasmissione, come colle correnti
continue. Si aprì in quello stesso tempo TEsposizione di Torino del 1884;
e in essa apparve una mirabile invenzione, affatto paragonabile, per impor-
tanza, air invenzione stessa della dinamo: quella, cioè, dei trasformatori
presentati dal francese Oaulard. Il principio di questi trasformatori è il se-
guente: se attorno a un circuito (detto primario) in cui circola una corrente
alternata, si dispone un altro circuito di filo di diverso diametro (circuito
secondario), in questo si indurrà una corrente alternata equivalente, i cui
fattori, cioè quantità e tensione, diversificano da quelli della corrente in-
duttrice, nel senso che la tensione è tanto piil alta, e la quantità, per con-
seguenza, tanto minore, quanto più il filo ^secondario è sottile rispetto al
primario; e viceversa. Il fenomeno è analogo a quello che si verìfica nel
vecchio rocchetto di Ruhmkorff; ma sino al 1884, a nessuno era venuto in
mente di riprodurlo per lo scopo di trasmettere a distanza una corrente
elettrica.
Immediatamente si comprese Tìmportanza deirinvenzione. Poiché per
ridurre al minimo il costo delle condutture di trasporto e di distribuzione del-
Tenei'gia elettrica, è necessario di adottare per queste linee le più alte ten-
sioni ammissibili, e d altra parte queste altissime tensioni non è sempre possi-
bile né conveniente di raggiungerle nelle dinamo generatrici della corrente, uè,
sopra tutto, nei così detti quadri di distribuzione, cos'i il problema poteva venir
risolto coi trasformatori Gaulard: generando, cioè, la corrente alle tensioni per-
messe 0 convenienti per le dinamo, poi ti-asformandola in corrente alla più
alta tensione compatibile colla sicurezza e coir economia, e lanciandola nella
linea (^). Tale è il sistema adottato nella generalità dei grandi impianti
moderni per trasmettere a distanza Tenergia elettrica: una stazione centrale
generatrice con motori, idraulici o termici, e alternatori, con trasformatori,
(*) Ci sonu impianti, nei quali non si trasforma la tensione, ma si adotta per la
linea la stessa tensione alla qnale la corrente è generata; in questo caso non si può oltre-
passare un certo limite di tensione. Da noi, per esempio, ci sono impianti senza trasfor-
mazione, da 20,000 sino a 30,000 volt (a 30,000 volt funzionano dal 1906 gli alternatori
trifasi deirimpianto di Sabiaco della Società anglo-romana di Koma, cosicché la corrente
si trasmette con questa elevata tensione da Subiaco a Roma, senza trasformatori ; eguale
sistema fu seguito nelVimpianto successivo di Arci del 1910).
TRASPORTO dell'energia
ove occorrano, dalla tensione delle macchine a quella della linea, e una
linea ad alta tensione; salvo ritrasformare Talta tensione della linea in una
tensione più bassa per le linee di distribuzione nelle strade e nei fabbricati.
Quanto Tinvenzione valesse, fu subito dimostrato durante la stessa Espo-
sizione colla memorabile trasmissione fra Torino e Lanzo, fatta e controllata
col concorso dei più celebri elettricisti del tempo. Una prima applicazione
ne fu fatta da Gaulard stesso a Tivoli neiranno successivo; ma il vero e
grande svolgimento pratico del principio di Gaulard cominciò a manifestarsi
dalla data dell'Esposizione di Buda-Fest del 1885, dove per opera della
nota ditta Ganz fu fatta la prova dei nuovi trasformatori dovuti a Ziper-
noskv, Dery e Blathv, che al sistema di trasformazione ideato da Gaulard
diedero un tipo pratico e definitivo. Quosti trasformatori servono, come si
disse, solamente per le correnti alternate, tanto per elevare quanto per ab-
bassare la tensione della corrente primaria in essi introdotta. La loro teoria
fu svolta in un classico lavoro di Galileo Ferraris.
Ormai lo schema della trasmissione a distanza dell'energia elettrica tro-
vavasi nettamento disegnato. I diversi particolari che si vennero mano mano
svolgendo, non fecero che perfezionarlo ed estenderne la portata. Agli alter-
natori a corrente alternata semplice si sono sostituiti gli alternatori polifasi :
vale a dire alternatori nei qnali due o tre correnti alternate monofasi si
sovrappongono a intervalli regolari in un medesimo periodo. Gli alternatori
trifasi sono quelli generalmente usati oggi, e forniscono una corrente che
viene portata a distanza e distribuita per mezzo di tre fili conduttori, tras-
formata, ove occorra, da bassa ad alta tensione, mediante trasformatori cor-
rispondenti (0* La prova definitiva di questo tipo di alternatori fu fatta nel
celebre esperimento fra Laufen e Francoforte del 1891, quando con tre fili di
4 mm. di diametro si trasmisero, fra le due stazioni, 300 cavalli di forza a
175 chilometri di distanza, con un rendimento di 72 a 75 Vo- Fu in quella
circostanza che si dimostrò la grande utilità pratica dei motori così detti asin-
croni (che ancora oggi costituiscono da noi la grande maggioranza dei mo-
tori in uso nei trasporti di forza), basati sul principio del campo magnetico
rotante, detto campo Ferraris dal nome del nostro illustre scienziato che ne
aveva trovato e dimostrato il principio qualche anno prima, nel 1885. È
quindi dal 1891, si può dire, che data il tipo più generalmente adottato
per la trasmissione elettrica dell'energia nei grandi impianti moderni. Esso
possiede qqasi tutti i requisiti che l'industria può richiedere; ma dove non
soddisfa, si può sempre ricorrere all'eccellente motore a corrente continua.
A tal uopo, basta trasformare la corrente alternata in corrente continua : ciò che
(*j II sistema bifase fa provato da Ferraris nel 1886; quanto al sistema trifase, non
si sa con certezza se fosse proposto prima da Dobrowolsky, come generalmente si ritiene,
oppure dairamericano Tesla.
8 GIUSEPPE COLOMBO
si fa per mezzo di macchine conyertitrìci {convertitori) dell'una nell'altra
corrente. Questo metodo è adottato in parecchi casi anche in Italia, e trova
un largo impiego specialmente negli impianti americani (^).
La regolazione delle reti di distribuzione di correnti alternato, si fa
mantenendo costante la tensione della corrente distribuita e yarìando oppor-
tunamente l'intensità della medesima secondo il consumo. Dalla così detta
Centrale, che è l'oficina generatrice della corrente distribuita, si sorveglia
tutto l'andamento della rete mediante i quadri, contenenti gli strumenti in-
dicatori e gli organi di regolazione, a seconda delle indicazioni che dai punti
principali della rete vengono trasmesse alla Centrale. La rete stessa è in
generale alimentata dalla Centrale per mezzo di conduttori o fili alimen-
tatori che portano la coiTente in punti opportunamente scelti della rete, sulle
indicazioni dei quali è regolata la distribuzione. I sistemi di distribuzione
e regolazione possono del resto modificarsi secondo i casi.
Siccome il così detto carico della rete varia ordinariamente più o meno
secondo le ore della giornata, così, per utilizzare più che è possibile l'energia
disponibile, la quale deve provvedere anche ai massimi carichi della gior-
nata, talvolta molto superiori al carico medio, giova qualche volta intro-
durre nella rete una o più batterie di accumulatori. Questi, come è noto,
constano di pile secondarie a base di lastre di piombo, le quali sono veri
serbatoi d'elettricità, immagazinandola quando la fornitura di corrente è in
eccesso sul consumo, e versandola nella rete quando il consumo diventa su-
periore alla quantità fornita dalla Centrale.
Infiniti piccoli perfezionamenti contribuirono a facilitare sempre più le
applicazioni della trasmissione elettrica dell'energia ; ma fu soprattutto l'ele-
vazione progressiva della tensione sulle dinamo e sulle linee, quella che per-
mise di trasmettere l'energia a distanze dapprima ritenute irraggiungibili, in
condizioni economiche sèmpre migliori. Nei primi tempi di queste applica-
zioni, 3000 a 4000 volt sulle dinamo e 5000 a 6000 sulle linee sembra-
vano i massimi limiti possibili. L'installazione di Tivoli, aperta all'esercizio
nel 1892, funzionava a 5000 volt; in quella di Paderno, del 1898, che fu
la più grande installazione del tempo, la tensione sulle macchine e sulla
linea veniva stabilita a 14,000 volt, e parve im grande ardimento; in Cali-
fornia si tentarono dappoi le prime linee a tensioni maggiori, sino a 30 o
40 mila volt (•), e si descrissero i fenomeni impressionanti (stridore, visibi-
(^) Non ostante la generale diffusione del sistema trifase, esistono ancora impianti a
corrente alternata semplice o monofase. I primi impianti di trasmissione in Italia furono
fatti con correnti monofasi a Roma, a Milano, a Venezia, a Palermo e altrove; ma furono
bentosto surrogati da impianti trifasi dappertutto, salvo in qualche caso speciale, come a
Palermo per la Società sicula Imprese elettriche,
(') Si assicura però che la tensione di 30.000 volt sia stata adottata per la prima
volta io Italia sulla linea elettrica Cenisio-T orino nel 1902.
TRASPORTO dell'energia
lità notturna dei fili nella linea di Telluride a 59 mila yolt) che si mani-
festavano per le fughe di corrente dai fili aerei alla terra; oggi, grazie so-
prattutto al perfezionamento degli isolatori sostenenti i fili, si può andare
normalmente a 65-75 mila volt (impianto deirAdamello) e anche a 80,000
(nuovo impianto sul Pescara), e persino a 135,000 volt (Oook Falls, Michigan).
Corrispondentemente all'aumento del voltaggio, le distanze alle quali si può
economicamente trasmettere l'energia elettrica sono andate aumentando, dai
primi 35 o 40 chilometri che apparivano un ardimento all'epoca dell'im-
pianto di Paderno, ai 150 chilometri dell'impianto comunale milanese, ai
160 chilometri di quello del Toce, ai 180 km. del trasporto di Brusio della
Società lombarda, e alle 300 miglia della linea americana dell'Ontario, con
tesate dapprima di 50 e 60 m., poi sino a 180 e 280 m., come da noi sulle
linee dell' Adamello e del Brembo (^). Ed è probabile che questi limiti sa-
ranno superati.
IL
Forze idrauliche italiane.
L'Italia, circondata dalle Alpi e percorsa nella sua lunghezza dall'Ap-
pennino, è uno dei paesi più ricchi d'acqua e di alte cadute. La regione più
ricca è la valle del Po, i cui confluenti provenienti dalle Alpi hanno una
abbondanza d'acqua e una regolarità di regime assai maggiori di quelli pro-
venienti dall'Appennino; ma non mancano d'importanza anche i corsi d'acqua
che scendono dall'Appennino verso TAdriatico da una parte e il Tirreno dal-
(') Potrà riuscire interessante di conoscere i dati più importanti nel rigaardo della
distanza di trasmissione, degli alti voltaggi adottati e delle proporzioni delle dinamo
usate nei più recenti impianti per trasporto di energia.
La più alta tensione adottata sinora ò quella del trasporto d^energia dalle Cook
Falls (Michigan) a Battio Creek: si trasportano 9000 kw. alla tensione di 135,000 volt su
una linea di 190 miglia (più di 800 km.). — A 110,000 volt funzionano le linee delPOntario
River (30,000 kw. trasportati a 800 miglia), della Grand Rapids Muskegon Power Co.
(10,000 kw. a 50 miglia), delle De Moines Rapids of Mississipi River aS.t Louis (75,000 kw.
a 140 miglia) e dell'Ohio Brass Co. — A 100,000 volt sono le linee della Southern
Power Co. (65,000 kw.) e della Central Colorado Co. (10,000 kw. a 153 miglia). - Tutte
queste linee di altissima tensione sono fornite di piitenti isolatori a sospensione, di nuovo
modello, con alti pali e lunghe tesate da 160 sino a 370 m. Questi impianti trovansi
nel Nord* America.
La potenza delle così dette uniti, ossia dei singoli alternatori colle rispettive tur-
hine motrici, è anche andata sempre aumentando, sino a più di 10,000 e anche sino a
15,000 l-p (Centrale di Rjukan, Svezia), con cadute che vanno fino a 500 m. e anche molto
di più (impianto italiano deirAdamello, 900 e 470 m).
10 GIUSEPPE COLOMBO
Taltra: il Keno, il Pescara, rOfì&nto, TArno, il Volturno. Meno importanti
sono i corsi d acqua delle isole, salvo quelli della regione Etnea e pochi
altri corsi minori.
L'ammontare totale della forza praticamente ricavabile da questi corsi
d'acqua, è stato diversamente valutato.
Tenendo conto soltanto delle cadute effettivamente utilizzabili, l'autore
di queste note lo ha calcolato e lo calcola tuttora nella misura approssimata
di 3 milioni di cavalli; questa valutazione non si discosta molto da quelle
ottenute con diversi criteri da altri. Infatti risulta dagli studi fatti da una
Commissione nominata nel 1898 presso il Ministero delle Finanze, che la totale
forza idraulica italiana si riteneva ammontasse a 2,642,000 cavalli, tenendo
conto delle sole cadute montane ; e che tenendo conto anche delle altre cadute
possibili, si arrivava ad oltre 5 milioni di cavalli. Alla cifra di 2,642,000 YP
contribuirebbero il Piemonte eia Liguria per il 24 Voi il Lombardo- Veneto
per circa 15 Voi l'Italia centrale pel 25 Voi l'Italia meridionale e le isole
per il resto ; ma su questa ripartizione si possono fare delle riserve. Un^altra
valutazione fu annunciata nel 1900 nella Esposizione finanziaria dal mini-
stro del Tesoro, on. Rubini; essa dà un totale di 2,162,764 cavalli dispo-
nibili, tenendo conto dei salti che si possono utilizzare, mentre la forza ef-
tivamente utilizzata fino a queiranno ammonterebbe soltanto a 491,203
cavalli. Vi contribuirebbero, in cifre tonde, l'Italia settentrionale pel 37,1 Vo
della forza utilizzata e pel 38 V« ^/o ^^^^^ f<>i*za utilizzabile, l'Italia centrale
rispettivamente per 42,3 e 22,5 Vo i l'Italia meridionale pel 19,1 e ^2,5 Vo i
le isole per 1,5 e 6,5 Vo*
Cifre degne di osservazione sono pur quelle pubblicate dall' ìng. Perdoni
nel 1902, che son frutto di una diligente indagine. Esse si riferiscono solo all'Italia
continentale, e comprendono 744 corsi d'acqua colle loro portate in magra
ordinaria e massima, e le loro cadute utilizzabili. L'elenco dà una portata
complessiva di 3300 m^ al V in magra ordinaria, e 750 m^ in massima magra;
e una forza complessiva disponibile, in cifre tonde, di 19,700,000 hP nel
primo caso e di 4,650,000 FP nel secondo, ritenendo che le cadute utiliz-
zabili, assegnate per cadaun corso d'acqua, sieno fra 200 e 900 m. Questa
valutazione pècca probabilmente in eccesso, soprattutto neirapprezzamento
delle cadute disponibili, cosicché essa può valere come un limite massimo,
mentre gli apprezzamenti ufficiali del 1898 e del 1900 possono rappresen-
tare un limite minimo. Chi scrive è quindi tanto più proclive a ritenere
attendibile la cifra di 3 milioni di cavalli disponibili per tutto Tanno, de-
tcrminata con criteri più ristretti di quelli adottati dall' ing. Perdoni quanto
alle cadute disponibili. In questo apprezzamento concorda anche Ton. Nitti
nel suo rimarchevole lavoro su Le forze idrauliche dell'Italia. Quanto ad
altri apprezzamenti sommari, che farebbero salire la forza disponibile in Italia
a 6 e persino a 10 milioni di cavalli, non pare sia il caso di prenderli in
TRASPORTO dell'energia 11
considerazione, a meno che non incladano anche le forze di problematica
utilizzazione.
So calcolazioni di questa natura sono incerte fra noi, non lo sono meno
presso le nazioni vicine. Così in Francia, per esempio, che ha nella regione
alpina grandi riserve di forza idraulica, regnano dispareri suirapprezzamento
delle forze disponibili; Ting. Bene Tavernier le valuta a 5 milioni di ca-
valli per la regione alpina, e a 10 milioni per tutta la Francia: ma questa
ultima cifra è stata contestata e ridotta a 6 milioni e anche meno. Nella Sviz-
zera la forza disponibile fu valutata a circa 580.000 KP in acque medie e a
circa 250.000 in magra, e non è improbabile che la valutazione sia piuttosto
inferiore che superiore al vero.
Per farsi un concetto esatto della forza totale idraulica disponibile in
Italia, bisogna tener conto di un* importante considerazione. È prudente di
basarsi sulle minime magre : ma ciò non è né esatto, nò praticamente sempre
rispondente al vero.
Quando le magre minime hanno un periodo breve di durata nell'anno,
è evidente che converrà sempre contare sulle magre ordinarie ed anche su
un regime superiore alla magra ordinaria, salvo supplire alle deficienze con
un motore sussidiario termico, a vapore o ad essenza ; e ciò tanto più in quanto
in parecchi casi, come per esempio negli impianti di illuminazione pubblica,
una Centrale è di regola provveduta di una o più macchine termiche di scorta.
Il motore termico serve cosi da integratore della forza idraulica, specialmente
quando il consumo di forza è molto variabile durante la giornata. Conviene
allora figurarsi il diagramma del consumo, ed eliminarne le punte, cioè i pe-
riodi di eccesso di consumo in confronto alla media normale, coir introduzione
della forza motrice sussidiaria termica e anche, se occorre, di batterie di
accumulatori. Questa forza sussidiaria può quindi permettere di basarsi su
un regime superiore a quello delle massime magre.
Ma v*ha di più. Se le condizioni delle valli dove fluisce il corso d'acqua
lo permettono, si possono utilizzare come serbatoj i laghi montani esistenti
nella località della presa d'acqua, oppure sbarrare e convertire in serbatoio o
lago artificiale un tmtto della valle, per accumulare le acque eccedenti l'eroga-
zione in tempi di morbida e di piena, e lasciarle effluire nei periodi di magra.
Così, secondo la capacità del serbatoio, il regime del fiume, e il regime
della Centrale, può esser possibile di utilizzare un corso d'acqua con una portata
costante, più o meno superiore alla minima. Di questi serbatoj gli impianti
elettrici italiani hanno, come si vedrà in seguito, interessanti esempi. Natu-
ralmente, la creazione di simili serbatoj non si fa, se non quando le ingenti
spese che essa esige trovino un compenso adeguato nella maggior ener-
gia idraulica continua, della quale si può, grazie a loro, disporre.
È certo dunque, che, tenendo conto delle suesposte circostanze, Y indu-
stria nazionale potrà trarre dai corsi d'acqua un'energia notevolmente mag-
12 GIUSEPPE COLOMBO
giore dei tre milioni di cavalli che probabilmente rappresentano la forza
disponibile nel regime di magra.
Coir abbondanza di forze idrauliche che il nostro paese possiede, è na-
turale che gli impianti di trasmissione d'energia mossi dal vapore, o in ge-
nerale da motori termici, debbano formare minoranza; e infatti, mentre il
primo impianto elettrico fatto in Italia nel 1882 a Milano fu a vapore, alla
fine del 1898, sopra 2264 impianti, ce n'erano 1121 a vapore o a gas, e
1143 idraulici o misti, con 65.000 cavalli idraulici e 52.000 termici; e alla
fine del 1908 si riteneva che sopra un totale di circa 760.000 cavalli, ce ne
fossero 610.000 idraulici contro 150.000 termici (*). Per quanto si dirà in
seguito, questa proporzione dovrebbe essere alquanto modificata; ma in
ogni modo, tenendo conto della circostanza che oggi i motori termici si usano
nella maggior parte dei casi come riserva, o come complemento alla deficienza
eventuale delVacqua, si vede l'aumento continuo deir utilizzazione delle forze
idrauliche disponibili, in confronto air impiego diretto dei motori termici (').
In queste circostanze, la migliore utilizzazione dell'acqua per animare i
generatori elettrici doveva apparire, come apparve, una questione di primaria
importanza. Ora, al principio di questo fecondo periodo 1888-1909, erano in
uso eccellenti motori idraulici che utilizzavano le moderate cadute, dalle
quali bastava trarre partito, poiché, non essendoci mezzi pratici per portare
e distribuire l'energia a distanza, ogni opificio doveva avere il proprio
motore. Ma, risolto il problema di trasportare Tenergia a considerevoli di-
stanze, la questione tecnica cambiò radicalmente d'aspetto; non più singoli
impianti disseminati lungo un corso d'acqua, cadauno utilizzando la propria
frazione di caduta, ma grandi impianti centrali, utilizzanti la massima forza
disponibile dell'acqua lungo il suo corso o lungo la parte più importante del
suo corso, e quindi con la più grande caduta possibile, per distribuirla su una
intera regione.
Dell'antica ruota idraulica, il primo motore ad acqua conosciuto,
cantato da Antiparo non si parla ormai più; e i motori più moderni, le
(*J Queste cifre della fine del 1908 sono state date dalTing. Semenza in una rimar-
chevole lettura fatta al Congresso degli ingegneri e architetti italiani a Firenze nel 1909.
(*) I motori termici applicati negli impianti elettrici, sono per ora, in maggioranza,
motori a vapore: a cilindro sino ad alcuni anni fa, poi a turbina dopo il successo di questi
nuovi motori, che si prestano mirabilmente all'applicazione alle macchine dinamo-elet-
triche; tanto che, dairunione sullo stess'o asse di una turbina a vapore e di un alterna-
tore, è nato il turbo-alternatore ^ ormai esclusivamente adottato nei grandi impianti, co-
stituendo MxCunità che può raggiungere parecchie migliaia di cavalli. Per gli impianti
minori si usano frequentemente i motori a combustione interna, tipo Langen-Wolf; ma
ora, in seguito al successo dei motori Diesel, che, per il buon mercato degli idrocarburi
impiegati, danno il cavallo a un prezzo molto ridotto, non è improbabile che questi motori
trovino larga applicazione anche in impianti di assai mag^giore potenza di quelli cui si
applicavano i motori Langen-Wolf.
TRASPORTO dell'energia 18
turbine Fontaine e Jonval e le stesse turbine Girard, non essendo più adatti
alle nuove condizioni del problema, son pressoché caduti in disuso ; e il loro
posto è stato preso dalle turbine Francis e dalle ruote Pelton, atte a smal-
tire grandi volumi d'acqua, con cadute comunque elevate (sino a 900 m. nel
primo salto dell'Adamello). La ditta Biva di Milano si è fatta una distinta
specialità di questi nuovi motori (^). Cosi la meccanica idraulica ha seguito
di pari passo il progresso dell'elettrotecnica. E anche la scienza delle cosb'u-
zioni, messa a fronte dei nuovi problemi che esigono grandi sbarramenti,
canali e condotti di dimensioni più che ordinarie (*), e disposizioni speciali
per convogliare e regolare Tacqua motrice, ha sviluppato nuove e poderose
risorse ; fi-a queste bisogna annoverare V impiego dei serbatoj naturali e ar-
tificiali, ai quali si è accennato poc'anzi, che ha avuto, in molti casi in cui
era possibile, ingegnose applicazioni, con risultati economici considerevoli (^).
ILI.
Primi impianti italiani.
Prima di conoscere lo stato attuale delle applicazioni elettriche in Italia,
può apparire interessante di seguirne i primi passi in ordine storico.
Fu nel 1882 che Edison attivò la prima Centrale elettrica a New York
nella Pearl Street, dopo una prima prova di Centrale installata provvisoria-
mente per breve tempo alVHolborn Viaduct di Londra. In quell'anno si era
costituito a Milano un Comitato promotore, per incarico del quale, chi scrive,
potè' studiare sul luogo V impianto di New York e riprodurlo poi in più larga
scala a Milano nell'area dell'antico teatro di S. Badegonda. Queir impianto,
primo in Italia ed anche in Europa, non essendo stato quello deirHolborn
Viaduct che una piccola installazione d'esperimento, cominciò a funzionare
nel 1883 e inaugurò la sua attività coli' illuminazione elettrica del centro
della città e, subito dopo, coU'illuminazione del teatro Manzoni, e più tardi
('} Questa ditta, già Riva e Monneret, ha costrutto, sino ad oggi, circa 1700 motori,
fra turbine e ruote Pelton, per una forza complessiva di 600 mila cavalli (con diversa
potenza, sino ai 12.000 cavalli di cadauna delle ruote Pelton per la Centrale di Grossotto
del municipio di Milano). Essa ha fornito due turbine di 3000 cavalli Tuna, anche per un
impianto sul Niagara.
(*) Il nuovo impianto sul Pescara ha tubi di 2100 e 2800 mm. di diametro ; quello
già Crespi, a Verona, tubi di 2400, e di 2500 quello della Società bergamasca.
(*) Yedansi più avanti, a questo proposito, i serbatoj degli impianti dell'Acquedotto
De Ferrari Galliera, delPAdamello, di Brusio, dellldro-elettrica ligure e di altri. Quello
deIÌ*Idro*elettrica ligure si distingue dagli altri, se non per le proporzioni, per T inge-
gnosità delle sue disposizioni.
14 GIUSEPPE COLOMBO
con quella del teatro della Scala. Esso aveva nove dinamo Edison a corrente
continua, dello stesso tipo Jumbo che contemporaneamente funzionava a New
York, e restò in attività per alcuni anni con caldaie americane Babcock-
Wilcox e motrici a vapore Armington-Sims e Porter-AUen, direttamente
accoppiate alle dinamo.
Il Comitato promotore milanese si trasformò più tardi nell* attuale
Società Edison, ma di quel primitivo impianto non ci è ora più traccia ; il
nuovo impianto fu fatto a Porta Volta, e S. Badegonda non accoglie più
che i convertitori e le batterie di accumulatori. Prima ancora della costru-
zione della Centrale di S. Radegonda colle macchine Jumbo, un minuscolo
servizio d' illuminazione era stato fatto nel vecchio locale del teatro con una
piccola dinamo Edison, che la Società tuttora conserva come ricordo storico (0.
Dopo questa prima applicazione in Italia della trasmissione di enei^ia
a scopo d'illuminazione col mezzo di una corrente continua, e in seguito
all'Esposizione di Torino del 1884, come fu detto avanti, comparvero i primi
trasformatori Gaulard. Una prima applicazione di questi fu fatta in un pic-
colo impianto d' illuminazione elettrica a Tivoli nel 1885. Un anno più tardi,
nel 1886, fu inaugurata a Roma T illuminazione elettrica con corrente alter-
nata e trasformatori Ganz all'ofiScina dei Cerchi della Società anglo-romana
d' illuminazione. Nel 1887 un simile impianto fu fatto a Palermo, a Treviso
e a Terni; nel 1888 e nel 1889 a Livorno, Torino ed altre città minori, e si
cominciò anche a trasformare in parte l'antica Centrale Edison di Milano con la
corrente alternata e coi trasformatori. Nel 1890, per iniziativa di una Società
locale, fu attivata la Centrale a corrente alternata per l' illuminazione elet-
trica del centro di Venezia, che riuscì a meraviglia anche dal punto di rista
finanziario enduro sino a che fu assorbita dalla Società del Cellina nel 1905.
In quel tórno di tempo, anche Napoli ebbe un impianto d* illuminazione elet-
trica. Tutti questi impianti, fatti dopo il 1885, furono a corrente alternata,
e quindi fu e rimase un'eccezione la rimarchevolissima installazione fatta a
Isoverde presso Genova, nel 1889, dal ginevrino Thury, con corrente continua,
della quale già fu tenuta parola, per la Società De Feri-ari-GalIiera.
Fino al 1891 le applicazioni deirelettricità si erano limitate alla pub-
blica e privata illuminazione; quanto al trasporto di energia con corrente
alternata, questo non fu inaugurato in Italia che nel 1892, nel quale anno
cominciò a funzionare il trasporto da Tivoli a Roma, a 25 chilometri di
distanza, di 2000 cavalli derivati da quelle celebri cascate, coir impiego della
corrente alternata semplice, sistema Ganz, per opera della Società anglo-ro-
mana per l'illuminazione di Roma.
C) Fu in quel tórno di tempo che la Società Edison fece le prime applicazi<ìni della
luce elettrica a bordo di tre grandi piroscafi della Società Ragtpo: il Sirio, TOrione e il
Perseo.
TRASPORTO dell'energia 15
Fu il primo trasporto di energia a notevole distanza fatto colla corrente
alternata ; cosicché quest' impianto e quello a corrente continua di Isoverde,
del 1889, furono le prime grandi manifestazioni nel mondo, dopo gli esperimenti
più scientifici che pratici di Creil e di Laufen, del nuovo progresso, che
doveva cambiare radicalmente indirizzo ali* industria moderna. Non è un
piccolo merito dello spirito d'intrapresa dell'industria italiana.
Dopo questi impianti, un altro venne a completare la serie dei pro-
gressi compiuti in Italia nel traspoi-to deirenergia: e fu quello di Pa-
derno, aperto airesercizio dalla Società Edison di Milano nel 1898, con
corrente trifase alla tensione di 14.000 volt, trasportando a Milano, a 35 chi-
lometri di distanza, 13.000 cavalli di forza idraulica attinti alle rapide del-
l'Adda in quella località. Fu e rimase per qualche tempo il più importante
trasporto di energia in Italia e fuori. Così, con questo e coi due trasporti di
Isoverde e di Tivoli, si compì in Italia il ciclo delle applicazioni delle me-
ravigliose scoperte fatte in questo campo da Pacinotti, da Ferraris e da tanti
altri illustri inventori stranieri.
Dopo l'applicazione di Paderno, la corrente trifase dominò esclusivamente
n^li impianti che successivamente si fecero in Italia ; anzi, gli stessi im-
pianti di Isoverde e di Tivoli, furono, pochi anni dopo la loro attuazione, in-
teramente trasformati a corrente trifase.
È venuto quindi il momento di esporre coi necessari particolari le principali
installazioni elettriche italiane. Esse consistono, per la maggior parte, in tras-
porti di energia per distribuzione di forza agli stabilimenti industriali e
per servizi cittadini di illuminazione e tramvie; per una pai-te minore, ma
pur notevole, per la locomozione sulle ferrovie e sulle linee tramviarie e
Buburbane; e infine, per una parte molto più ristretta, alle industrie chimi-
che e metallurgiche che Tutilizzano direttamente senza intermediari di mo-
tori. È di queste diverse categorie di applicazioni che tratteranno i seguenti
capitoli, nei quali, piuttosto che seguire l'ordine d'importanza dei relativi
impianti, si è creduto più opportuno seguire l'ordine per regioni: ciò che
corrisponde anche a un concetto geografico in quanto riguarda la ripartizione
naturale delle forze idrauliche utilizzate dalla maggior parte degli impianti
italiani (^).
(*) Nella seguente rassegna degli impianti elettrici italiani, furono consultati con
frutto: innanzi tutto, la prima Statistica degli impianti elettrici in Italia alla fine del
1898, pubblicata dal Ministero di agricoltura industria e commercio ; poi le Sotiiie sugli
impianti elettrici autorizzati nel 1906, 1907, 1908, 1909, pubblicate dallo stesso Mini-
stero per cura deirispettorato generale dell* industria e del commercio; e infine numerose
pubblicazioni primate, e, prime fra tutte, le quasi complete e interessantissime Notizie sui
principali impianti elettrici d'Italia, pubblicate nel 1910 dairAssociazione fra esercenti
imprese elettriche in Italia, e le recenti monografie della Direzione generale delle Fer-
rovie dello Stato sulla Trasione elettrica sopra le ferrovie italiane.
16 GIUSEPPE COLOMBO
IV.
Principali impianti attaali.
Gli impianti elettrici attuali 8i dividono in diverse categorie. I più
grandi sono quelli che hanno per scopo la distribuzione deirenergia nelle
città principali e in regioni più o meno estese ; essi rappresentano probabil-
mente i quattro quinti circa della totalità deirenergia elettrica prodotta in
Italia. Poi vengono, in ordine di importanza, le installazioni elettriche an-
nesse agli opifici industriali, i quali hanno per iscopo principale il servizio
degli opifici stessi, e, in via di eccezione, quelle della distribuzione nelle lo-
calità immediatamente contigue; e infine le installazioni municipali, fatte
per servire alla distribuzione dell'energia per illuminazione in servizio del-
l'industria nei centri minori, per opera dei Comuni o di privati intrapren-
ditori.
Dei primi non è difficile di fare una statistica approssimata ; degli altri
non è possibile, essendovi una lacuna di sette anni, nelle statistiche ufficiali,
sopra un periodo di 28 anni. Perciò nelle note che seguono si terrà conto
soltanto della prima categoria, limitandoci a pochi cenni sulle altre due,
salvo valutarne l'importanza complessiva nel riassunto del Capo Vili.
1. Alta Italia.
Il più importante gruppo degli impianti idro-elettrici italiani appartiene
naturalmente alla valle del Po. A questa regione conviene però annettere
anche la Liguria, benché idrograficamente non abbia rapporti con essa;
perchè non solo le Alpi liguri lungo la Riviera di Ponente si connettono
al sistema alpino d'onde la valle del Po trae le sue principali risorse, ma
alcuni dei principali impianti liguri utilizzano acque appartenenti al versante
settentrionale dell'Appennino e quindi tributarie del Po. Per ragioni d' indole
diversa dalle ragioni idrografiche, la valle del Po e la Liguria sono anche
le regioni italiane dove l' industria è più attiva ; per cui esse rappresentano
pure in Italia la parte più importante anche negli impianti termoelettrici.
Il Piemonte, circondato come è dalle più elevate cime delle Alpi, è evi-
dentemente una delle regioni italiane più ricche d'acqua; e di&tti dalle
Alpi Graie, Cozie e Pennino trae le forze motrici dei suoi principali impianti,
utilizzando le acque del Po, della Dora^ della Stura, del Tanaro e di altri
corsi minori.
TRASPORNO dell'energia 17
La Società anonima Elettricità Alta Italia, fondata nel 1896, ha
attualmente sei Centrali idro-elettriche: una sul torrente Chiusella (Ivrea),
una sulla Dora Riparia a Bussoleno, due a Pian Funghera in Valle di Lanzo
e tre a Ceres sulla Stura. In totale, l'energia prodotta da queste Centrali
ammonta a circa 1 5,000 t-P (11,000 kw). Ha due impianti termoelettrici a
Torino, per circa 10,000 hP, con batterie di accumulatori; e un altro pic-
colo impianto termoelettrico a Biella. La Società prende anche 4800 KP
dalla Società per le forze idrauliche del Moncenisio, della quale si dirà
in appresso. Tutta questa energia è distribuita nel Biellese, nel Canavese e
a Torino, dove una parte della corrente tri&se fornita dalie Centrali è con-
vertita in corrente continua per V illuminazione e per le tramvie municipali
e delle Società belga e torinese.
h* Azienda elettrica municipale della città di Torino ha iniziato in
Italia la municipalizzazione del servizio elettrico nelle grandi città : impresa
che fu vivamente dibattuta, ma che, in omaggio alle tendenze municipaliz-
zatrici moderne e non ostante la poco felice esperienza fatta in altri paesi
pur meglio adatti del nostro a simili esperienze, come gli Stati Uniti e
r Inghilterra, fu accolta dalla maggioranza e diede la spinta a simili inizia-
tive in altri grandi Comuni. La Centrale dell' impianto è a Chiomonte sulla
strada del Cenisio, e utilizzerà per circa 14,000 t-P l'acqua della Doria Ri-
paria. La corrente sarà prodotta a 8000 volt ed elevata a 50,000 per man-
darla a Torino a 55 km. di distanza ; a Torino sarà ritrasformata a 6600 volt.
Nella Centrale di Torino è installato un impianto a vapore di circa 10,000 KP
con turbo-alternatori; è questo l'impianto ora in esercizio, mentre quello
idraulico è ancora in costruzione (^). Da questa Centrale partono due con-
dutture, una per la forza ed una per la luce con una rete di 160 km., dalla
quale la corrente è attinta dai consumatori con linee aeree dopo ritrasforma-
zione da 6600 volt a tensioni più basse.
Un importante impianto è quello della Società delle forze idrauliche
del Moncenisio^ che ha due Centrali idro-elettriche, a Saluraglio (messa in
opera nel 1906) e a Novalcsa (1902) nella valle della Cenischia, raccogliendo
Vacqua del bacino del Moncenisio, con una forza di circa 9000 t-P alle tur-
bine, pari a 7300 utilizzati. La caratteristica di questo impianto è T utiliz-
zazione dei due laghi del Moncenisio, riuniti in un solo serbatoio di 6 mi-
lioni di m^, alla quota media di 1910 m. La corrente è trasformata da 3000
a 30,000 volt, e portata, con una linea di 60 km., a Torino, dove è ritrasfor-
mata a 3200 volt per la distribuzione. L'energia di questo impianto è di-
stribuita in piccola parte a Susa, e nel resto a Torino.
(*) È bene tener presente che i dati statistici riportati nei Capi IV, V e VI, si ri-
feriscono alla data alla quale furono scritte queste note, cioè alla fine del 1910.
GirsEPPR Colombo. — Trasporto dell' €ntr*jia.
18 GIUSEPPE COLOMBO
La Società per le forze motrici dell' Anza ha una Centrale idro-elet-
trica a Piedimulera in Valle Anzasca, messa in esercizio nel 1907, con circa
11,000 hP attinti dalFAnza, e una Centrale termica a Novara per int^rare
le magre deir impianto idraulico. La Società distribuisce, oltre- alle sue,
altre forze prese da altre Società. La linea principale misura 81 km., è a
45,000 volt e porta la più gran parte della corrente a Novara, dove è dis-
tribuita dalla società Conti; il resto è distribuito sul lago Maggiore.
La Società per le forze idrauliche dell* Alto Po (1903) trae l'acqua
motrice dal Po con due Centrali in provincia di Cuneo e di Saluzzo, rin-
forzate da due Centrali termiche a Pinerolo e Carignano. Dispone, in tutto,
di circa 4000 KP idraulici e 2000 termici, distribuiti nei territorii di Saluzzo
e Pinerolo.
Notevoli sono pure le due installazioni sul torrente Avesa in Val d*Os-
sola, e sul Tanaro a Cherasco. La prima appartiene alla Società Ossolana,
e distribuisce fra Domodossola, Pallanza ed Intra da una parie, e Gravel-
lona, Borgomanero e Arona dall'altra, una forza di 8800 KP. La seconda
appartiene alla Società per lo sviluppo delle imprese elettriche in Italia,
la quale ha la Centrale a Cherasco, in parte idro-elettrica e in parte a
vapore per 8000 KP circa, che distribuisce nella regione fra Cherasco, Possano,
Saluzzo ed Asti.
Altre imprese di minori proporzioni sono sparse in Piemonte, come
quelle della Società Casalese, della Dora, che ha un impianto sulla Dora
Riparia, della Società elettrica del Pellino^ che utilizza Tacqua del torrente
Pollino con due Centrali; e altre che si limitano a prender la corrente da
altre Società, come la Società delle Imprese elettriche del Piemonte orien-
tale e V Anonima di elettricità del Ticino, che prendono energia dalla rete
della società Conti, della quale si dirà fra breve, e la distribuiscono nelle
rispettive regioni.
Tutti i summenzionati impianti sono di vera e propria distribuzione di
energia in regioni piìi o meno estese e nelle città più importanti. Ma bi-
sogna ricordare, senza la possibilità di entrare in maggiori particolari, le
numerose installazioni municipali, prima fra le quali, in ordine di data,
quella di Cuneo, fatta e gestita sino a questi ultimi anni dalla società Edison,
e moltissimi impianti per uso esclusivo di opifict, specialmente di quelli
destinati alle industrie del cotone e della lana, così largamente coltivata in
Piemonte.
La Lombardia è, di tutte le regioni italiane, la più ricca di impianti
idro-elettrici ; e ciò si comprende facilmente, dato il numero e la portata rag-
guardevole dei corsi d'acqua che la limitano e la percorrono da nord a sud :
il Ticino, l'Adda, il Brembo, VOglio. Non solo furono utilizzate le acque
scorrenti sul suo territorio, ma se ne importarono anche da territorii limi-
TRASPORTO dell'energia lÒ
trofi, come avvenne per le derivazioni alla destra del Ticino, e perfino dal-
Testero, come si è fatto colla presa in territorio svizzero dell'acqua motrice
deir impianto detto di Brusio. Il primo grande impianto di Pademo del
1898 fu quello che promosse T iniziativa di altre imprese; queste imprese
stesse dettero luogo ad altre imprese secondarie, che si incaricano di pren-
dere e distribuire in determinate regioni o zone Tenergia prodotta dalle so-
cietà maggiori, con una specie di suddivisione di lavoro grandemente favo-
revole alla più rapida estensione delle reti elettriche; cosicché oggigiorno
la pianura lombarda è attraversata da numerose linee che si incrociano in
tutti i sensi, dando al monotono paesaggio un insolito movimento e un ca-
rattere industriale singolarmente suggestivo.
La Società Edison, che inaugurò nel 1898 la trasmissione con correnti
trifasi fra Paderno e Milano, ha allargato con nuovi impianti proprii e con
opportuni accordi con altre Società la propria attività, cosicché é oggi una
delle più grandi aziende elettriche italiane, mentre fu la prima, che col-
r impianto di Milano del 1882-83 iniziò TSra delle applicazioni elettriche io
Italia. Il primitivo impianto di illuminazione elettrica di Milano si ò esteso
dalle 700 lampade che alimentava la sua prima installazione del 1882,
alle 460,000 lampade d*oggi. Venendo subito dopo il primo tentativo di
trazione elettrica di Firenze, la Edison iniziò nel novembre 1893 il servizio
tram viario elettrico, poi esteso anche a tre linee esterne, che oggi (nel 1910)
conta 185 chilometri . di binazio in esercizio, con 551 vetture motrici e 298
rimorchiate. Infine, coir impianto di Paderno, ampliato ora con quello supe-^
rìore di Rebbiate sulVAdda, e colle installazioni sussidiarie termo-elettriche
in Milano, dispone di più di 55,000 t-P proprii e di 13,500 KP provenienti
da altri impianti (Adamello e Conti) per il servizio delle tramvie e la di-
stribuzione di energia alle industrie della città e della zona suburbana per
mezzo di 500 chilometri di cavi sotterranei e 790 di fili aerei.
La Centrale di Paderno sulFAdda ha la potenza di 14,000 KP; ma ora,
col nuovo impianto di Rebbiate più a monte di Pademo, si ottei^ono altri
24,000 l-P, che si aggiungeranno in parallelo ai 14,000 di Paderno, in modo
da utilizzare per la maggior parte delFanno una portata media del fiume
più che doppia di quella utilizzata da Paderno. Tutta questa forza idi-aulica
ò integrata da una foi*za termica di 21,000 KP per mezzo di turbo-alternatori
alla Centrale di Porta Volta in Milano. Delle sottostazioni in diversi punti,
dentro e fuori di Milano, ricevono Tenergia presa dalla Società deirAdamello
e dalla Società Conti, trasformano una parte della corrente trifase in cor-
rente continua pel servizio tramviario e per T illuminazione di parte del
centro di Milano, che ancora si fa colle primitive condutture Edison, e con-
tengono batterie di accumulatori per assicurare la continuità del servizio
d'illuminazione e tramviario. L'energia é distribuita in Milano con due
reti, una a corrente continua e l'altra a corrente trifase, e fuori di Mi-
20 GIUSEPPE COLOMBO
lano coD una rete trifase siiburbana che alimenta i quartieri industriali al
nord della città e fornisce la corrente a tre società le quali la distribuiscono
per loro conto, con reti proprie, da Sesto S. Giovanni e da Paderno nelle zone
circostanti.
La Società lombarda per distribuzione di energia elettrica^ la cui
iniziativa è dovuta alla Società italiana di condutture d'acqua, ha attuato
un concetto enunciato nel 1886, prima ancora che si avesse un' idea concreta
dell'applicazione dell'elettricità al trasporto dell'energia, dal compianto inge-
gnere Cipolletta Nel 1886 l'Istituto lombardo di scienze lettere ed arti
di Milano aveva proposto come tema, pel concorso Eramer, un progetto
per fornire Milano di una forza motrice proporzionale al suo sviluppo indu-
striale. L'ing. CipoUetti, nella Memoria che presentò e che fu premiata,
studiò le derivazioni possibili ed ebbe la visione completa del profitto che poteva
trarsi dal Ticino e dall' Adda in quelle località appunto, nelle quali furono
fatti i grandi impianti di Vizzola e di Paderno (0- Lo studio dell'impianto di
Paderno fu ripreso, per la parte idraulica, dall' ing. Carli, che sventuratamente
non potè' vedere il compimento dell'opera, e fu attuato dalla Società Edison ;
quello sul Ticino fu studiato dall' ing. Cipolletti per la Società delle con-
dutture e fu attuato dalla Società lombarda nel 1900.
Questo della Società lombarda è un impianto grandioso, il quale deriva
da 55 a 75 m^ d'acqua del Ticino presso la presa del Canale Yilloresi, e
ne trae una forza di 20,000 t-P nella Centrale di Vizzola. Un'altra Centrale
utilizza a Turbigo la forza disponibile di altri 8500 KP sulla prima tratta
del Naviglio grande. Una Centrale termica di circa 25,000 hP, a Castellanza,
serve di scorta.
La stessa Società lombarda ha fatto anche nel 1905 l' impianto di Brusio
nel Cantone svizzero dei Prigioni. Quest'impianto utilizza l'acqua del tor-
rente Poschiavino, emissario del lago di Poschiavo, il quale funziona da
serbatoio con una capacità di 20 milioni di metri cubi ; e insieme con altri
due impianti in corso di esecuzione, utilizzanti i due laghi engadinesi Bianco
e Nero come serbatoj, avrà ima potenzialità complessiva di piii di 40,000 KP.
In previsione di un maggior sviluppo della propria azienda, la Società ha
anche acquistato altri 16,000 hP dalla Società idro-elettrica italiana, della
quale si dirà qui appresso.
(*) Nella sua Memoria: Sulle forze idrauliche che postano crearsi neWalto Afila-
ne»e e condursi a Milano, Tiiig. Cipolletti calcolava disponibili 5000 cavalli a Paderno
suirAdda e 24,000 a Nosate presso il Ticino. Chi scrive, propose il tema e fu relatore
della Commissione, la quale concludeva col voto che il Comune di Milano prendesse in
considerazione lo studio Cipolletti nell'interesse delle industrie cittadine. Questo prova
la gran fede che il premiato e la Commissione giudicatrice avevano nel successo del
trasporto deirenergia a distanza, malgrado che nel 188G non fosse ancora provata in
modo assoluto la possibilità di ottenerlo per mezzo deirelettricità.
TRASPORTO DEI.L*ENERG1A 21
Tutta questa energia idraulica e a vapore, posseduta o acquistata dalla
Società lombarda e ammontante a 77,000 kw, pari a circa 100,000 KP, viene
distribuita in tutta la regione intensamente industriale, compresa fra Galla-
rate, Varese, Busto Arsizio, Legnano, Saronno e Como, dell' estensione di
1500 km', dando Tenergia a circa 600 opitic! industriali, con una rete di
600 km. La Società distribuisce l'energia ancba a molte Società rivenditrici
nei diversi centrì di distribuzione.
La Società idro-elettrica italiana, alla quale si è accennato testé, ha
per scopo di utilizzare le acque provenienti dal gruppo alpino del monte
Disgrazia in Valtellina, con quattro impianti sui torrenti Masino e Mallero.
Questi impianti, che darebbero insieme 40,000 t-P, non sono ancora completi
e si ritiene lo saranno fra qualche anno. Una notevole patte di questa
energia è impegnata, come si è visto, colla Società lombarda; l'altra è de-
stinata alla regione industriale bergamasca. In Valtellina, e precisamente a
llorbegno, trovasi anche la Centrale idro-elettrica dello Stato per la trazione
sulle linee valtellinesi ; ma di questa si parlerà al Capo V.
Fra tutte le imprese elettriche italiane, una delle più notevoli per nn^
mero d* impianti e altresì per Tammirabile organizzazione delFazienda tecnica
e amministrativa, è la Società per imprese elettriche Conti. È una società
che lavora parallelamente e d'accordo con la Società Edison, con mutui allac-
ciamenti di impianti, in guisa che ambedue servono quasi interamente tutta
la regione compresa fra la riva destra del Ticino sino a Novara, Asti e
Vercelli, e la riva destra dell'Adda, scendendo da Paderno sino a Pavia e
all'Oltrepò, con Voghera e Novi. La Società Conti ha eretto ft-a il 1900 e
il 1910 sei impianti idro-elettrici, cinque dei quali sulla destra del Ticino,
a Cerano e a Trecate colle acque del Naviglio sforzesco, a Vigevano con
una derivazione dal Ticino presso Boffalora, a Foppiano con una derivazione
dal fiume Toce in Val Formazza, a Goglio nel Novarese con acqua del tor-
rente Devero; tutti questi impianti sono in territorio piemontese, ma fanno
parte di una rete che comprende le due rive del Ticino, e specialmente
la sinistra. Essi hanno la potenzialità complessiva di circa 37,000 KP. Il
sesto impianto è a Zegno sul fiume Brembo con 7700 KP. Un altro impianto
idro-elettrico per 20,000 hP è in costruzione a Verampio sul Devero, sotto la
presa di quello di Goglio; esso si varrà del lago di Codelago come serba-
toio, capace di 10 milioni di me, alla quota di 1850 m., il quale servirà
a compensare le deficienze delle magre del fiume per ambedue le Centrali
sovrapposte di Goglio e di Verampio. Finalmente, a Magenta, a Novara e a
Monza trovansi tre Centrali termoelettriche con circa 12,000 hP di potenza, a
sussidio degli impianti idroelettrici.
Colla corrente delle Centrali situate alla destra del Ticino, opportuna-
mente trasformata a Novara per quella proveniente dal Toce, e coirenergìa
presa, come già si è detto, dalla Società piemontese dell'Anza, la Società
22 GIUSEPPE COLOMBO
Conti alimenta di forza motrice una vasta regione sulla riva destra del Ti-
cino fra Novara, Mortara, Vigevano, Vercelli, Casale, Valenza, Alessandria,
e salla riva sinistra fra Pavia e Magenta ; con la stazione di trasformazione al
Molinetto presso Monza, e colle Centrali del Brembo e di Monza, distribuisce
con una rete di circa 400 km., in una vasta zona attorno a Monza, non solo
Tenergia di queste Centrali, ma anche quella acquistata dalle Società di
Trezzo e dell'Àdamello. Tutta questa energia, ad eccezione di quella di Bof-
falora, integralmente ceduta alla Edison, è distribuita ai consumatori col-
r intermediario di numerose Società di distribuzione, ciascuna delle quali ha
un proprio circondario speciale da servire. Questo è il sistema adottato da si-
mili grandi aziende, come già si vide per la Edison e per la Lombarda, ed
è mirabilmente adatto a diffondere V impiego dell'energia, senza caricare di
soverchi dettagli Tamministrazione delle società madri e interessando nel
medesimo tempo le iniziative e le energie locali.
Benché non sia ancora in regolare esercizio all'epoca della compilazione
di queste note (fine 1910), è qui il luogo di menzionare il grandioso impianto
idro-elettrico del municipio di Milano, il quale, del resto, già da alcuni anni
ha costnitto ed esercita, come il municipio di Torino, un impianto elettrico
a vapore in città per distribuzione di luce e di energia nel Comune, che può
distribuire ora 16,000 KP e si intende possa salire a più di 30,000. L'impianto
idre -elettrico, ora quasi compiuto, è stato progettato in proporzioni assai vaste,
che comprenderebbero cinque Centrali con una potenzialità di 32,000 KP;
però per ora si limita alla più importante, che è quella di Grossotto con
16,000 hP. L'acqua per questi impianti è derivata dall'alta Adda in Valtellina
e da un suo affluente, il Boasco. La corrente è prodotta a Grossotto a
10,000 volt, e verrà elevata, con trasformatori, a 65,000 volt-tensione sulla
lìnea; la quale, a impianto finito, avrà la lunghezza di 150 km., percor-
rendo la Valcamonica per finire alla stazione ricevente a Milano. La di*
stribuzione si fa ora con una rete sotterranea di 80 km. con 120 stazioni
di trasformazione della tensione, già ridotta a 8650 volt, a quella di 160 volt
necessaria per la distribuzione. Con un'officina speciale si fa a corrente con*
tinua r illuminazione pubblica ad arco con 1200 lampade.
L'impianto più recente in Lombardia è quello detto ieìY Adamello,
che rappresenterà, a lavoro compiuto, circa 35,000 hP, ottenuti con due
Centrali. La prima, a Isola nell'alta Valle Camonica, si vale dell'acqua
del Foglia, che discende dai ghiacciaj dell'Àdamello, su una caduta di
900 m., che sarà la più alta utilizzata sinora da ruote Pelton {^). Il lago
d'Arno, situato a 1800 m. sul livello del mare, serve da serbatoio e per-
(*) Una caduta di poco minore è stata applicata per la prima volta in Svizzera
neir impianto di Vouvry, Lac de Tauay (Vallese). È ai nuovi tipi di motori idraulici e
allo studio accurato delle forme e dei materiali che si deve questo straordinario aumento
delle cadute utilizzabili.
TRASPORTO dell'energia 28
mette di disporre normalmente di un volume d'acqua superiore a quello
disponibile in magra. La seconda, a Cedegolo, è posta immediatamente al
disotto, e fu la prima ad entrare in funzione nel 1909. L'altra sarà aperta
air oserei zio fra breve.
Un altro impianto non ancora attuato, ma in corso avanzato di esecuzione,
è quello della Uocietà Dinamo, costituita nel 1907, la quale si è proposta di
utilizzare le acque del torrente Diveria, proveniente dal Sempione, fra Bal-
monalesca e Y imbocco inferiore della galleria di Varzo, e quelle del torrente
Cairasca. Sono dunque due impianti con una sola Centrale a Varzo : il primo
è un rifacimento deirantico impianto della Società Mediterranea per la gal*
leria di Varzo; il secondo è un impianto nuovo, con serbatoio regolatore
(lago d*Avino). Essi avranno la potenza complessiva di circa 25,000 hP, e
saranno in parte destinati, quando T impianto sarà compiuto, a surrogare la
trazione ferroviaria sulle linee varesine e sulla linea del Sempione, della
quale si dirà nel capitolo seguente.
Al di sotto della presa della Società Edison sull'Adda, è sórto, pochi
anni dopo l'impianto di Paderno, quello attuato nel 1906 dalla Società per
le forze idrauliche di Trezzo stUl'Adda, con una grande Centrale, capace
di utilizzare una forza idraulica variabile secondo lo stato del fiume, e con un
impianto sussidiario a vapore, in guisa da poter disporr^ di una potenza com-
plessiva di più di 9000 hP. Una sottostazione a Pandino (Cremona), raccoglie
altri 1600 KP acquistati dall* impianto dell' Adamello. Ambedue servono parte
delle Provincie di Bergamo e di Cremona, e, legandosi alla rete Conti, si
spingono fino alle vicinanze di Milano. Una società succursale, la Martesana,
distribuisce l'energia di Trezzo in altre provincie limitrofe.
Molte altre società, con impianti di parecchie migliaia dì cavalli, con-
tribuiscono colle precedenti a fornire energia all'intensa industria della regione
lombarda. Tali sono:
La Società elettrica Bresciana, la quale utilizzò dapprima l'acqua del
fiume Chiese per un impianto, fatto nel 1902, che poi cedette al Comune di
Brescia per la sua municipalizzazione, poi installò o acquistò, tra il 1902
e il 1908, numerose Centrali sul Chiese, suirOglio e sui loro affluenti,
per una forza complessiva di 22,500 hP, assorbendo parecchie Società esistenti
e integrando i suoi impianti con una Centrale a vapore di 9000 KP. Essa
prende anche 2000 hP dalla Società del Cafiaro, e sta per assicurarsi altri
50,000 yP con derivazioni in Valsabbia e Valcamonica. Serve la regione bre-
sciana, con diramazioni verso Cremona e Mantova, per uno sviluppo di linee
di circa 800 km., ed ha anche una rete tramwiaria, iniziata nel 1906, in parte
già elettrificata, e in parte in via di elettrificazione.
L'impianto detto del Cafaro^ colla Centrale a Ponte Caffaro, utilizza
l'acqua di questo fiume, che nasce nel gruppo montano dell'Adamello, e dispone
di circa 10,000 KP, che sono ricevuti e distribuiti a Brescia e nei dintorni.
24 GIUSEPPE COLOMBO
La Società Orobia distribuisce la forza nel territorio di Lecco e nella
Brianza con quattro Centrali idrauliche a S. Pellegrino, Roncaglia, Serrati
e Forcola (1902-1908), animate dal Brembo, dalFEnna e dal Forcola, e ca-
paci di una forza massima di 8000 KP; oltre a una Centrale termica a Lecco,
di 2600 hP. Biceye energia anche dalla Società Edison e da altre società mi-
nori, e spinge le sue linee sin quasi a Monza e Como, sulla destra dell'Adda,
e sino a Zogno nella Valle Brembana.
La Società Bergamasca utilizza l'acqua del Brembo nella Centrale di
Clayezzo e distribuisce circa 3500 hP proprii, e altrettanti presi dalla Società
di Trezzo e deirAdamello nella città di Bergamo e nella maggior parte della
sua provincia. La Società Varesina distribuisce luce e forza al circondario
di Varese, e dà Tenergia per una estesa rete di ferrovie e di tramwie locali,
con due Centrali idroelettriche a Cunardo e Maccaguo (1902-1908), capaci di
circa 3000 hP, e una Centrale termoelettrica di 1000 hP presso Varese. Essa
sta preparando a Maccagno un nuovo e più grande impianto idroelettrico,
sbarrando il lago di Delio. La Società Comense A. Volta, alimenta Como,
il suo Iago e i suoi dintorni, colla Centrale di Corride in Val Cavargna e
coir acqua del torrente Cuccio che vi scorre. La forza disponibile alla Cen-
trale è di 2800 hP, ai quali si aggiungono altri 2000 t-P a vapore nella Cen-
trale termica di Como. La tensione di 20,000 volt adottata per la linea, era
ancora, a quell'epoca (1900-1902), la più alta che si tentasse in Italia. La
Società distribuisce, oltre alla propria foi*za, altra forza presa dalla Società
Lombarda, e serve non solo le industrie locali, ma anche alcune importanti
linee tramwiarie partenti da Como. Pure sul lago di Como, a Taceno, la
Società idroelettrica Briantea attinge la forza dal torrente Pioverna, circa
3000 hP, che distribuisce nel territorio di Lecco. Altre imprese minori,
VAgognetta in Lomellina, la Società di Cerro sul Lambro, la Società Pa-
vese A. Volta, e parecchie altre, distribuiscono energia nelle rispettive zone
di influenza.
C'è anche una Società che ha sede a Milano, la Unione esercizi elet-
trici, la quale non si è localizzata in una data regione, ma eseguisce impianti
in tutta Italia. Essa ne conta ormai 17, dei quali, due piccoli in Piemonte
(a Ceva sul Tanaro, e a Stresa sullAirola), parecchi nell'Italia centrale e
molti in Liguria e nell'Italia meridionale. Di questi si parlerà a suo tempo.
Infine, numerose società minori, alcune delie quali di notevole importanza
(come quelle dell'Oltrepò Pavese; dell'Alto Milanese; dell'Isola; la Banfi; la
Suburbana Milanese; l'Anonima luce e forza; la Ragazzoni, ed altre), pren-
dono dalle Società maggiori, e specialmente dalla Edison e dalla Conti,
l'energia, che trasformano secondo i bisogni e distribuiscono nei rispettivi
circondari: divisione di lavoro, della quale si è già notata l'importanza.
Venendo ora agli impianti municipali e privati, si pnò dire, quanto ai
primi, che, salvo qualche caso, in generale il servizio di illuminazione e
TRASPORTO dell'energia 25
anche di distribuzione di energia nei centri abitati è fatto dalle società in-
traprenditrici delle quali si è parlato sinora, o da piccole imprese locali ; e
quanto ai secondi, non è facile farsene un'idea precisa, essendo numerosissimi
e di varia importanza. Certo rappresentano molte migliaia di cavalli, anche
solo contando gli opifict di notevole importanza. Basterà citare, senza tentare
di includerli tutti e neppure i più notevoli, gli opifict del gruppo side-
rurgico: Ferriera GregorinU Lovere, 3700 KP con Centrale a Poltragno;
Siderurgica Glisenti, Carcina, 800 hP ; Ferriera 1/ Amico, Vobarno, 450 KP ;
quelli del gruppo cotoniero: Cotonificio di Ponte di Nossa, 1800 KP; Crespi,
Nembro, 1500; ffeftij Roè, 1300; Schiannini, Ponte S. Marco, 850, e
molti altri; le Cartiere Maffizsoli, Toscolano, 2150 KP; il Consorzio del
Bezzo, Barzesto, con piti di 6000 KP ; la Società calci e cementi, Palazzolo,
560 l-P; ecc. ecc.
Nella regione veneta, il più grande impianto è quello del Collina,
dovuto alla Società Italiana per Vutilizzcuùone delle forze idrauliche
del Veneto, Esso ò anche uno dei principali impianti italiani. Seguono, in
ordine d'importanza, quelli della Società Milani e del Cismon, che col pre-
cedente suppliscono nella massima parte alle richieste d'energia dell'intera
regione.
L'impianto fatto sul torrente Collina funziona dal 1905. È un'ardita
opera idraulica, che raccoglie l'acqua delle Prealpi friulane per alimentare
per ora due grandi Centrali : la prima capace di 7000 hP ; la seconda di
4300 hP ; la terza darà 2000 hP, con una Centrale non ancora installata.
La corrente, prodotta a 4000 volt ed elevata a 30,000 sulla linea, è portata
a Venezia, dopo un percorso di 87 km., per esservi trasformata a più bassa
tensione e poi, col sussidio dato da una potente riserva a vapore, distribuita
in città, dove si è sostituita a quella ottenuta dall'antica Centrale a vapore
impiantata dalla Edison. Altre tre Centrali sono in progetto, con derivazione
dal Piave e dal lago di Santa Croce, capaci di circa 12,000 t-P, ed una di
9000 t-P a Perarolo, sopra un affluente del Piave.
La Società elettrica Milani ha messo in esercizio nel 1907 una Cen-
trale sull'Adige presso Verona, della forza di circa 8000 KP. A compensare
le eventuali deficienze dell'Adige, fu installata l'anno successivo una Cen-
trale termo-elettrica a vapore, di 3000 KP. Altri impianti, pure sull'Adige,
sono in progetto. La forza è e sarà distribuita nella regione, fra Verona,
Legnago e Ostiglia; e in seguito si intende portarla sulla direzione Mantova-
Modena-Bologna.
Più recente ancora è l'impianto della Società forze motrici Cismon
Brenta, Essa deriva l'acqua dal Cismon, affluente del Brenta, con un ardito
sbarramento. La Centrale è a Pedesalto, e fornisce circa 10,000 hP alla So-
cietà Adriatica di elettricità, che ne fa la distribuzione nella Venezia cen-
2*3 GIUSEPPE COLOMBO
(l'ale, da Schio e Vicenza fino a Padova, Rovigo e Adria, e persino a Ferrara.
L'impianto fu inaugurato nel 1910.
Molte Società minori: Società elettrica del Barman (Alto Friuli);
Società elettrica Barnaba- Giacobbi. con Centrale a Vallesella (Pieve di
Cadore) sul torrente Molina; Società FritUana^ con Centrale a Vedronza
sul torrente Torre, nel Friuli; Società elettrica provinciale, con due Cen-
trali, idraulica e termica, in territorio di Verona, fanno distribuzioni locali
di energia. La Società Veronese non produce energia, ma prende una parte
di quella della Società Milani, per distribuirla, dopo trasformata, a Verona
e nei dintorni, come fanno le società distributrici nella regione lombarda.
Nel Veneto funziona pure la Società Adriatica di elettricità, testé
menzionata, la quale, pur avendo per principale obbiettivo il collocamento
deirenergia dell'impianto del Cismon, utilizza anche delle riserve termiche
proprie di 4000 hP e due impianti idraulici di 900 hP; e nel medesimo tempo
lavora neirEmilia con un proprio impianto idro-elettrico sul Lamone a Faenza,
e in Puglia con impianti termo-elettrici. Giova anche rammentare che qui,
come in Lombardia, sono numerosi gli impianti industriali privati, spesso
molto importanti, come quelli degli stabilimenti lanieri di Schio, e dei co-
tonificii di Verona.
Molto interessanti e importanti sono gli impianti liguri, i quali derivano
la forza, in parte dal versante meridionale, e in parte dal versante setten-
trionale della catena di monti che separa la Liguria dal Piemonte e dalla
Valle del Po.
Primo, per data, fra tutti gli impianti, non solo italiani, ma del mondo,
di trasmissione d'energia, come già fu detto precedentemente, è quello della
Società Acquedotto De Ferrari- Galliera. Bisogna ritornare col pensiero al-
l'epoca in cui non si aveva ancora un'idea delle correnti alternate e della
loro trasformazione da una tensione ad un altra ; quando non si conoscevano
che i geniali tentativi di Marcel Deprez del 1884, e il celebre trasporto di
Creil faceva intravvedere, ma non dava ancora la soluzione del problema di
trasmettere a distanza l'energia. Fu allora che il ginevrino Thury intraprese
pel primo un trasporto di energia, quello per la Società De Ferrari-Galliera,
compiuto nel 1889. La forza era attinta dal torrente Gorzente sul versante
nord dell'Appennino; l'acqua traversava l'Appenino in galleria, e a Isoverde,
sul versante genovese, metteva in moto le dinamo a corrente continua, che ser-
vivano a trasportare l'energia in Val Polcevera sino a Sampierdarena e Genova.
Quel primo impianto, per le difiBcoltà delle quali si è fatto cenno nella
prima parte di questo scritto, relative all'impiego della corrente continua,
fu poi sostituito, da qualche tempo, da una installazione a corrente alternata
trifase. Due laghi artificiali, sul versante nord della montagna, ai quali si
sta per aggiungerne un terzo, servono contemporaneamente da serbatoio per
TRASPORTO DELL ENERGIA
» 27
la distribuzione di acqua potabile a Genova e dintorni, e per la distribu-
zione di energia. L'acqua, dopo aver lavorato sulle turbine a Isoverde, si
raccoglie in un cisternone per Talimentazione delle condutture d* acqua pota*
bile. L'energìa distribuita è di circa 2700 hP.
Dopo questo impianto, il quale ha ora più importanza storica che tecnica,
conviene citare tra le più interessanti installazioni elettriche italiane, quelle
della Società Negri e della Idroelettrica Ligure.
La Società elettrica Riviera di Ponente (Società Negri), costituita nel
1905, ha tre Centrali idrauliche e una termo-elettrica, installate nella Ri-
viera di Ponente. Le prime utilizzano Vacqua del fium^ Boia presso Venti-
miglia, e del fiume Argentina presso Taggia: la termo-elettrica trovasi a
Savona; e tutte insieme hanno una potenza di circa 22,000 hP, che si distri-
buisce con linee a 25,000 e 74,000 volt su tutta la Riviera di Ponente,
da Yallauria di Tenda sino a Genova. Due nuove Centrali sono in progetto:
una di 40,000 hP a S. Dalmazzo di Tenda, e una di 20,000 sulValto Roia.
La Società idroelettrica ligure trae Tacqua dall'alto Appennino parmense
sul versante nord, per distribuirne la forza in parte sul versante stesso e
nella parte maggiore sul versante sud sino al Golfo di Spezia. Essa ha utiliz-
zato l'acqua di un piccolo bacino idrografico al Lagastiello presso la cresta
dell'Appennino fra Parma e Spezia, con un ingegnoso sistema di serbatoj, in
parte artificiali fatti con alte dighe, in parte ti-aendo profitto di piccoli laghi
naturali, in guisa da cavarne tutta la potenza disponibile, la cui media è
di 4750 hP; ma il macchinario è tale da permettere, quando occorra, di uti-
lizzarne al massimo sino a 12,000. Le Centrali sono due: una a Isola, che
è in azione dal 1907; laltra a Rims^na, non ancora aperta. Le linee alimen-
tano di energia la regione Emiliana, fi-a Parma e Borgo S. Donnino, coli' in-
termediario della Società emiliana di servisi elettrici^ e sull'altro versante
l'Arsenale di Spezia, e, per mezzo della Società apuana di distribuzione, la
regione Carrarese.
A Genova sono installate le Officine elettriche genovesi^ le quali fanno
dal 1897 il servizio d'illuminazione e poi il servizio tramviario, con una Cen-
trale di circa 10,000 hP, e un'altra a Sampierdarena di 1500 hP, tutte con
motrici a vapore. La Società serve Genova, Sampierdarena e le due Riviere
sino a Veltri e a S. Margherita, distribuendo luce (circa 260,000 lampade),
energia (sino a circa 8000 hP), e facendo il servizio tranviario in Genova e
fuori, con circa 300 vetture motrici e 150 rimorchiate. Un'altra Società
{Unione italiana tramways elettrici) esercita a Genova altre linee urbane
e suburbane con corrente fornita dalla Società precedente. A Spezia ha sede
una Società consimile, per illuminazione, tranvie e distribuzione d'energia:
la Società tramicie elettriche della Spezia, con circa 1000 hP di forza a
vapore. Essa farà anche il servìzio di distribuzione, nella regione circostante
alla Spezia, dell'energia prodotta dalla Società idro-elettrica ligure.
28 GIUSEPPE COLOMBO
2. Italia Centrale.
Nell'Emilia, la sola impresa elettrica di qualche importanza è quella
della Società bolognese di elettricità^ che ha due officiue sul Beno e un
impianto termo-elettrico, per una forza complessiva di circa 2500 hP. Questa
forzale utilizzata a Bologna e nei dintorni. Si ha in vista un nuovo impianto
idro-elettrico di 4000 hP a Casfciglione dei Popoli. Altre imprese minori
fanno piccole distribuzioni, anche prendendo l'energia da impianti veneti;
fra queste, la più importante è la Società adriatica di elettricità, già men-
zionata, che distribuisce 1500 hP idraulici e termici a Ravenna e Faenza.
In Toscana si trovano parecchie Centrali termo-elettriche :. a Livorno,
quella della Società iigure-toscana, la quale Società però sta preparandosi
à impiantare due Centrali idro-elettriche sul Serchio e sulla Lima, per circa
8000 hP, destinate a distribuire energia nella zona compresa fra Pistoia,
Viareggio e il Tirreno ; a Castelnuovo di Yaldarno la Centrale termica della
Società del Valdarno^ con 10000 hP, per distribuzione a Firenze, Prato e
nel Yaldarno; ad Arezzo l'impianto Reinacher; a Firenze le due Centrali
della Società toscana, pure termica, con 6500 hP; a Poscia le Officine
elettriche Sainati. Un piccolo impianto idro-elettrico ha la Società delle
miniere di mercurio di Monte Amiata. L' Unione esercizi elettrici, della
quale si è già parlato a proposito degli impianti nell'Alta Italia, ha una
Centrale termica a Pontedera, di circa 1000 hP, e una termica e due idrau-
liche per quasi altrettanta forza, fra Viareggio e Serravezza.
Le risorse idrauliche di queste due regioni non sono ancora, come si
vede, convenientemente sfruttate; forse la vicinanza degli impianti veneti
e liguri, che vanno estendendo sempre più le loro linee verso Bologna, la
Spezia e Carrara (dove la Società apuana distribuisce, come si vide, l'ener-
gia àéiV Idro-elettrica ligure), può spiegare questa deficienza d'iniziativa
locale.
Maggiore iniziativa hanno finora dimostrato le Marche e l'Umbria.
Nell'Umbria, la Società marchigiana ha una Centrale idro-elettrica sul
fiume Esino in territorio di Serra Sanquirico, dì 1500 hP, che distribuisce
energia a Jesi, Falconara e Ancona; a Mozzano, la Società elettrica del
Tronto utilizza 1800 hP attinti al Tronto, e sta preparando un secondo im-
pianto sullo stesso fiume; più piccoli impianti sono quelli di S. Severino
Marche e di Montelupone. Nell'Umbria sono notevoli gli impianti munici-
pali di Spoleto, che ha una Centrale ìdi'o-elettrica di 2300 hP con acqua
derivata dal Velino a monte della celebre cascata delle Marmore, e di Narni,
con due Centrali animate da sorgenti a poca distanza dalla città; e altret-
tanto notevoli quelli dell' ing. Netti, a Orvieto, Todi, Viterbo, Acquapen-
dente, Vetralla e Civitavecchia, con un totale di 2 a 3 mila hP, attinti a
TRASPORTO DELI/eNERGIA *^
diversi corsi d'acqua. Ma gli impianti più grandiosi dell'Umbria sono quelli
che utilizzano le acque dei Velino e del Nera a Terni.
A Terni, la Società italiana pel carburo di calcio deriva 25.000 hP
dal Velino per la fabbricazione del carburo; e si sta per derivarne altret-
tanti e aggiungervi altri 16,000 hP presi dal Nera. Tutta questa forza futura
servirà in parte pel carburo e per la calcio-cianamide, e pel resto si tras-
porterà a Roma con una linea a 75,000 volt, e a Perugia con 40,000 volt,
servendo con ambedue le linee anche i Comuni interposti. La Società vai-
nerina ha derivato 12,000 hP dal Nera, sotto la cascata delle Marmore, per
la Centrale della Cervara, d'onde sono trasportati a Narni. Questi due im-
pianti sul Velino e sul Nera sono fra i più importanti d'Italia, e restano
d'ora innanzi concentrati in una sola azienda, cioè nella Società pel carburo
di calcio,
Roma è stata fra le prime città italiane ad applicare la corrente elet-
trica, e la prima a fare im trasporto di forza con correnti alternate, colle
acque delle celebri cascate deU'Àniene a Tivoli, come si disse nel cap. III.
Il primitivo impianto portava a Roma 2000 hP, dapprima con corrente
alternata semplice, poi con corrente trifase e con maggiore potenza. Nel 1906
si aggiunse la nuova Centrale di Subiaco, e nel 1910 quella di Arci, am-
bedue ancora suU'Aniene. La forza minima utilizzata è di 16,000 hP, dei
quali 8000 a Tivoli, 4000 a Subiaco e 4000 ad Arci: alla qual forza la
Società anglo-romana proprietaria degli impianti, aggiungerà altri 30,000 hP,
acquistati dalla Società del carburo di calcio di Terni. In Roma c'è una
Centrale termo-elettrica di sussidio, come in tutti i grandi impianti, capace
di 26,500 H>.
Quest'azienda, che è senza dubbio una delle più grandi in Italia, poiché
dispone, tra forze proprie e acquistate, di più di 70,000 hP, provvede a tutti
i servizi elettrici e distribuisce energia in Roma e nelle adiacenze.
Il servizio elettrico nella regione dei Castelli romani è fatto dalla So^
cietà laziale, che ha una Centrale a Bagni, utilizzando la forza delle rino-
mate Acque albule, un'altra a Tivoli suU'Aniene e una terza a Vallepietra
presso Subiaco: in tutto un'energia di più di 1000 hP, alla quale la Società
ne aggiunge dell'altra, presa dall' Anglo-romana, per distribuirla ai Castelli per
ora, e in tutti i paesi fra Monterotondo, Palestrina, Zagarolo e Velletri poi.
Due Società per imprese elettriche fanno il servizio, la prima dei paesi
tra Fresinone e Roccasecca, col proposito di spingersi sino a Gaeta, per ora
colle due Centrali idro-elettriche di Anitrella in provincia di Roma, e Isola
Liri in provincia di Caserta, della potenza di circa 2000 hP ; una terza Cen-
trale, di altri 1000 hP, è in preparazione a S. Giovanni Incarico (Caserta).
La seconda ha una Centrale termo-elettrica a Tor di Quinto, della forza di
2500 a 3000 H', da potersi in seguito raddoppiare ; essa serve i dintorni di
Roma ed è collegata coli' Anglo-romana per l'uso reciproco delle rispettive forze.
30 GIUSEPPE COLOMBO
La Società per industrie elettriche nel Lazio^ ha quattro Centrali
idro-elettriche, a S. Agnello, Bracciano, Ouarcino e Subiaco, sopra piccoli
eorai d'acqua locali, con una forza complessiva di circa 500 hP, pel servizio
dei Comuni adiacenti; e così fa Y Impresa Frigo con una Centrale idro-
elettrica di poco minor» poianza, pei Comuni di Toscanella e Montefìascone
e i Comuni adiacenti.
3. Italia meridionale.
Il Mezzogiorno continentale italiano possiede, perora, soltanto duegnuidi
Società idro-elettriche, paragonabili a quelle dell'Alta Italia e del Lazio : la
prima cogli impianti sul Pescara e sul Tirino nell'Abruzzo, la seconda con
quelli del Tusciano e del Lete nelle Provincie di Salerno e di Caserta.
La Società italiana di elettrochimica fu la promotrìce dell'impianto
abi-uzzese, che possiede due Centrali presso Popoli (una sul Tirino, l'altra
sul Pescara), e ha una seconda Centrale sul Pescara, in costruzione. La Cen-
trale sul Tirino ha una potenza di 6300 hP, e quella sul Pescara di 8400 ;
il secondo salto sul Pescara ne darà 24,000, trasportati alla tensione di
80,000 a 88,000 volt, la più alta in Italia, tìnora. L'energia è ora intie-
ramente impiegata per la fabbricazione dell'alluminio a Bussi, per quella
dei prodotti azotati a Piano d'Orte, e per fornitura di enei'gia alla Società
imprese elettriche abruzzesi e bìY Unione esercizi elettrici ad Aquila. La
prima di queste due Società distribuisce l'energia della Società di elettro-
chimica alle città di Chieti, Pescara, Castellamare e Francavilla, e ad altri
Comuni minori; la seconda è quella stessa della quale si è già parlato a
proposito degli impianti nell'Alta e nella Media Italia. Essa ha, nell'Italia
meridionale, un impianto idraulico e termico sul fiume Aterno ad Aquila,
un altro a Campobasso sul fiume Biferno, uno termico a Manduria (Taranto)
e un altro a Matera (Potenza), uno idraulico a Solmona sui fiumi Aterno e
Sagittario, e uno a Valle di Diano (Salerno) sul fiume Tanagro, con un to«
tale di quasi 2000 hP.
L'altra grande installazione idro-elettrica nel Mezzogiorno è quella della
Società meridionale di elettricità, di Napoli, che ha per scopo di fornire
energia specialmente nelle Provincie di Napoli e Salerno. Oli impianti sono
due : uno sul Tusciano (Salerno), capace di 7200 hP ; l'altro sul Lete (Caserta),
di circa 4800 hP, con una caduta di 580 m. e un lago artificiale di un mi-
lione di metri cubi per supplire all'estrema yariabilità del eorso d'acqua.
Questo impianto fu concepito, insieme con quello del Volturno del quale si parla
più avanti, per venire in aiuto all'industria napoletana. Una parte dell'energia
è distribuita a Torre Annunziata da una Società speciale di distribuzione.
Un impianto napoletano notevole è pure quello, interamente termico,
della Società generale per l'illuminazione. Ha una Centrale di 6550 hP,
TRASPORTO dell'energia 31
che & il servizio di ilInnriHsrione con cinque sottostazioni provviste di bat-
terie di accumulatori nei diversi quartieri della città. È anche importante
quello della Società napoletana per imprese elettriche, egualmente ter-
mico, con macchine a vapore della forza complessiva di circa 10,000 hP;
esso distribuisce luce ed ernegia a Napoli e nei Comuni circostanti.
Aziende minori nel Mezzogiorno continentale sono : la Società adriatica
di Elettricità, già menzionata piti di una volta, che distribuisce in Puglia
circa 1750 hP con motori a gas; la Società idro-elettrica del medio Calore^
che distribuisce 400 H' derivati dal Calore fra Luogosano e Ariano ; le So-
cietà riunite di Reggio Calabria^ con Centrale idro-elettrica di 500 hP ; la
Società elettrica di Benevento ^ con Centrale di 200 hP sul fiume Sabato; la
Società elettrotecnica, con dna piccole Centrali idro-elettriche di 350 hP a
Sulmona e Pratola; Y Impresa Zehender, che distribuisce energia idro-elet-
trica a Bagnara, Palmi e Scilla.
Alili due impianti di assai maggiori proporzioni si stanno preparando, e
sarebbero pronti nel 1911 e nel 1912: quello della Società elettrica della
Campania, con due derivazioni dal Lete, per servire la zona fra Capua e
Napoli, e il grande impianto à^WEnte autonomo Volturno, a Bocchetta Vol-
turno in provincia di Campobasso, che dovrà trasportare a Napoli da 12.000
a 14.000 hP con una linea di 90 km., e che fu deliberato per formar parte
dei provvedimenti a favore di Napoli.
La Sicilia è stata una delle prime regioni a profittare del progresso
deir elettrotecnica. Fu infatti a Palermo che nel 1900 la Società sicula di
imprese elettriche cominciò a distribuire luce ed energia nella città e nei
dintorni, e poi costrusse la funicolare Palermo-Monreale e le tranvie citta-
dine, tutte a trazione elettrica. La Centrale è termica, con 4650 hP. Impianti
simili, benché in minori proporzioni, furono fatti a Messina e Catania, con
1000 hP cadauno. Ma V impresa più importante è quella della Società elei-
trica della Sicilia orientale, perchè, oltre a un impianto termico, analogo
ai due precedenti, a Siracusa, ha saputo utilizzare le risorse idrauliche offerte
dai corsi d*acqua della costa orientale della Sicilia.
Oli impianti idro-elettrici della Società sono duo : quello sul fiume Cas-
sibile in provincia di Siracusa, che ha una portata di magra di 800 litri e
permette quindi di utilizzare con 275 m. di caduta la forza minina di 2800 hP,
e, con un serbatoio di 11.000 m^, una fona notevolmente maggiore; e quello
sul fiume Alcantara scendente dalFEtna, con un forza di 7000 hP in magra.
Attualmente non si utilizzano sull'Alcantara che 3000 hP, con un serbatoio
che permetterà di elevare, in caso di necessità, la potenza, sino a 4000 KP.
Questo impianto, affatto recente e non ancora completo, fornirà energia a le
città della costa orientale ; e su questo si basano ulteriori studi per Tutiliz-
zazione delle forze idrauliche della Sicilia, che permetterebbero di contare
32 GIUSEPPE COLOMBO
SU circa 50,000 hP ottenuti in diversi punti delFisola, distribuibili, con una
rete di 880 km., nei principali centri di consumo.
In tutta l'esposizione di questo Capo IV, giova ripeterlo, non si è fatto
che dare un'idea dei più importanti impianti di trasmissione di energia in
Italia, omettendo gli impianti minori e quelli fatti dalle aziende industriali
per i proprii opifìci; è certo però che quelli dei quali si è fatta menzione,
rappresentano la parte maggiore dell'energia elettrica consumata in Italia,
0 almeno di quella attinta ai corsi d'acqua. Più tardi, nel Capo VIII, si rias*
sumeranno le cifre dei Capi IV, V e VI per darne un' idea complessiva, te-
nendo un conto approssimato di quanto si è dovuto omettere.
V.
Ferrovie e tramvie elettriche.
Ferrovie e tramvie elettriche diversificano fra loro per i diversi scopi
cui mirano e per differenze di proporzione e di organizzazione: ma dal punto
di vista meccanico ed elettrico si possono considerare come eguali ; e infatti la
loro storia è comune. Furono primi i noti costruttori berlinesi Siemens e Halske
a fare dei tentativi di trazione elettrica nel 1879 nel recinto dì una espo-
sizione a Berlino e sulla linea Zossen-Berlino, poi nel 1881 sulla linea di
Orosslichterfeld e con una linea interna nell'Esposizione di Parigi dove si co-
minciò ad usare di un filo aereo per trasmettere la corrente ai veicoli. In
quell'anno fu fatto anche il primo esperimento di trazione con accumulatori.
Nel 1884 comparve a Kansas City il primo trolley ^ che è l'organo raccoglitore
della corrente generalmente in uso sulle tramvie (^). Da quell'epoca al 1888,
specialmente per opera di Sprague, la trazione elettrica si diffonde rapida-
mente in America ; ed è appunto col sistema Sprague che si fece per la prima
volta l'introduzione della trazione elettrica in Italia nel 1890, tra Firenze e
Fiesole, funestata, poco dopo la sua attuazione, da un grave disastro. Tre anni
dopo cominciò l'esercizio della j)rima linea tramviaria genovese, e la Edison
inaugurava a Milano la sua rete tramviaria cittadina. Nel 1895 si inaugu-
rava la rete di Roma, alla quale seguirono tosto quelle di altre città, esten-
dendosi temporaneamente nei suburbi, e oltre i suburbi.
Il passaggio dal servizio tramviario urbano e suburbano a un vero e
proprio servizio ferroviario, non poteva che tener dietro al successo delle
tramvie. Infatti, le due Società che a quei tempi esercitavano le linee fer-
roviarie dello Stato, ebbero quest'ardita iniziativa, dapprima in piccola scala
(*) A Budapest fu fatta su larga scala anche l'applicazione del conduttore sotter-
raneo, ma con poco successo.
TRASPORTO dell'energia 33
6 con sistemi differenti: la Mediterranea coiresperimento Milano-Monza
(1899), con caiTozze caricate di accumulatori, poi sulla linea Milano-Oallarate
col sistema della terza rotaia; la Adriatica, prima con una linea ad accu-
mulatori (Bologua-San Felice), poi, sulle ferrovie valtellinesi, con linea aerea.
Fallito l'esperimento cogli accumulatori (sistema che si era tentato, senza
buon esito, anche sulle tramyie di Roma), il successo degli altri due sistemi
fu completo, tanto che esse costituiscono due esempi classici di ferrovie
elettriche. Lo Stato le esercita ora, e sta per aprire il servizio elettrico anche
suiraggravatissima linea dei Giovi per aumentarne la potenzialità.
Le due linee della Mediterranea e dell'Adriatica hanno anche avuto
questo merito, di aver messo in rilievo i pregi e i difetti di due sistemi
diversi di trazione. Infatti, abbandonati gli accumulatori, abbandonato il
conduttore sotterraneo, non resta ora, sanzionato dall'esperienza, che il si-
stema di prendere la corrente da un conduttore esterno, posto lungo la linea,
che la riceve da opportune stazioni e sotto-stazioni elettriche per mandarla
nei motori collocati sia sulle carrozze stesse (carrozze automoiriei), sia sopra
locomotori che servono, come le locomotive, per rimorchiare i treni. Ma
questa presa di corrente si può fare in due modi: da un tilo o da fili aerei,
come si usa generalmente sulle tramvie, mediante una pertica chiamata
trolley \ oppure da una terza rotaia laterale, mediante strisciatoj. Nell'uno
e neiraltro caso la corrente ritorna lungo le rotaie del binario, metallica-
mente congiunte fra loro. Diversa può essere anche la natura della corrente
utilizzata: corrente continua, come è generalmente adoperata nelle tram vie
e sulla linea Milano- Varese ; corrente trifase, come sulle linee valtellinesi.
Si è proposta anche la corrente alternata monofase, la quale trovasi però
applicata in Italia, almeno sino ad oggi, soltanto sulla Boma-Civita Castel-
lana-Viterbo, sulla Padova-Fusina, e sulla Bergamo - San Pellegrino.
La linea varesina Milano- Varese - Porto Geresio (sul lago di Lugano),
lunga 73 km., fu aperta nel 1901 sino a Varese e nel 1902 da Varese a
Porto Ceresio. La Centrale è a Tornavento, con una forza disponibile di
4000-6000 hP con macchine a vapore (fu però già impegnata l'energia idroelet-
trica della Società Dinamo appena sarà disponibile, come fu già accennato
al Capo IV). La linea di distribuzione funziona a 1200-1300 volt e viene
convertita, nelle sotto-stazioni di trasformazione, in corrente continua a 650
volt, per mandarla alla terza rotaia. Le sotto-stazioni hanno anche batterie
di accumulatori. Il materiale mobile si compone di carrozze automotrici e
di locomotive (^).
(*) Vedansi, a proposito di queste linee, le interessantissime notizie date dair Ammi-
nistrazione delle Ferrovie dello Stato: Cenni intorno alV applicazione della trazione
pleurica sulle ferrovie italiane; La trazione elettrica sulla linea Milano* Varese- Porto
Ceresio: La trazione elettrica sulla vecchia linea dei Giovi, 1909-1910.
OiusKppK Colombo. — Trasporto dtWentrgia, S
34 GIUSEPPE COLOMBO
Le linee della YaltelliDa (Lecco-Colico, Oolico-Sondrio, Colìco-Chiavenna)
hanao la lunghezza complessiva di 105 km. e sono esercitate con corrente
trifase ('). La corrente è prodotta da alternatori a 20,000 volt ed è tras-
messa ali sotto-stazioni lungo la linea, nelle quali è ridotta a 8000 volt
e mandata ai motori del treno. L'energia è presa dairalta Adda in Valtel-
lina, donde si traggono 5300 hP per Tesercizio delle linee; la Centrale è
a Morbegno, ed è fatta per utilizzare, per ora, 18 m^ d'acqua al T', con
una caduta di 80 m. L'esercizio fu aperto nel 1902.
Ai Giovi, presso Genova, l'esercizio della ferrovia Genova-Novi è pesan-
tissimo in causa della forte pendenza (35 per 1000) e del cresciuto traffico,
non ostante la linea succursale di Mignanego. Si pensò dunque di elettrificarla
in quel tronco fra Genova e Busalla, risolvendo questo problema : rimorchiare
treni di 380 tonn. che si susseguano di 15 in 15, e anche, occorrendo,
dì 10 in 10 minuti, in un periodo di 18-20 ore al giorno, unico modo di
dare al passaggio la voluta potenzialità di 1000 a 1700 carri al giorno. Il
problema fu risolto con lo stesso sistema delle linee valtellinesi. La Centrale
è alla Chiapella presso Genova, ed ha ora una potenza elettrica di 18,500 a
16,000 KP, ottenuta con turbo-alternatori a vapore, salvo raddoppiarla se
sarà necessario. L'energia è prodotta a 13,000 volt, ridotta a 3000 nelle
stazioni di trasformazione. Il servizio si fa con locomotori di 60 tonn.
In territorio italiano fu chiesta pure la concessione di un impianto elet-
trico dalle Ferrovie federali svizzerCy dipartimento di Losanna, per la tra-
zione fra Iselle e Briga, con la Centrale a IscUe, utilizzando una forza idraulica
di 3000 hP, per fare l'esercizio con corrente alternata trifase nella gran gal-
leria del Sempione.
A tutte queste linee bisogna aggiungere quelle concesse sino alla fine
del 1909 come linee propriamente ferroviarie, appartenenti a società private.
Tali sono la Yarese-Luino, la Bergamo -S. Giovanni Bianco, la Napoli-Valle
Pompei-Scafati, la Castel Raimondo - Camerino, la Chieti città - Stazione, la
Vesuviana, e tutte le Funicolari (Genova, Capri, Lanzo d'Intelvi, S. Pelle-
grino, S. Vincent, Biella); tutte queute linee danno un totale di poco piii
di 118 km. Fi-a breve, altre nuove linee si aggiungeranno alle precedenti,
e fra le altre la Roma-Ostia-Mare, la Roma-Anzio-Nettuno, la Roma-Frosinone.
Riassumendo, le linee ferroviarie propriamente dette, esercitate colla tra-
zione elettrica, rappresentavano alla fine del 1909 un percoi*so totale di 300 km.
in cifra tonda; e potranno elevarsi, in un prossimo avvenire, a circa 400 km.
Le tramvie, urbane e interurbane, hanno avuto un grande sviluppo dal
1890 in poi. Il sistema generalmente seguito è quello della corrente continua
(^) Le prime prove deirapplicazione della corrente trifase alla trazione furono fatto
nel 1896 da Brow Boyeri a Lugano, e da Ganz (che poi fece rimpianto della YaltcllinaX
a Evian.
TRASPORTO dell'energia o5
attinta da conduttori aerei colla pertica {trolley), salvo i casi, già citati, di
impiego della corrente alternata monofase. In ordine d'importanza conviene
menzionare anzitutto, benché cronologicamente siano venute più tardi, le
tramvie interurbane, cioè quelle che collegano due o più centri e non sono
semplici diramazioni suburbane.
Queste linee interurbane rappresentavano in tutto, alla fine del 1909,
circa 570 chilometri di percorso. Fra le linee più lunghe, sono le tramvie fio-
rentine, quelle delle riviere di Napoli e di Genova, quella dei Castelli ro-
mani, la Roma -Civita Castellana-Viterbo.
La più recente (fu aperta nel 1910), ed anche una delle più interes-
santi, perchè segue per 36 km. il Canale di Brenta sulla strada dove i pa-
trizi veneziani avevano le loro ville (quella di Strà è monumento nazionale),
è la linea fra Padova e Fusina sulla Laguna, donde un servizio speciale
di vapori la riunisce a Venezia. Essa è fra le poche esercitate col sistema
della corrente alternata mono&se, che però accenna a diffondersi. La linea
di alimentazione è ad alta tensione, e da essa la corrente passa a quella
a bassa tensione per la linea. La Centrale è termica, presso Padova, e dis-
pone di 1250 hP, senza però impiegarli tutti, perora. Un' altra linea, egual-
mente a sistema monofase, è stata inaugurata nell'ottobre 1910 e serve a
collegare Fondo Toce con Pallanza ed Intra sul Lago Maggiore.
Quanto alle tramvie urbane e suburbane, esse hanno raggiunto una
notevole estensione, essendo oimai applicate in 28 città. Alla fine del 1909
la lunghezza del percorso di queste linee era di 510 km. in cifra tonda,
mentre la lunghezza dei binar! installati è di poco 'minore del doppio del
percorso, essendo d'ordinario queste linee, salvo in tratti specialmente ri-
stretti, a doppio binario.
Fra gli impianti più grandi si contano quelli di Milano, Torino, Boma,
Napoli, Palermo, Bologna e Genova. À Milano, per esempio, sono installati in
città 80 km. di linee a doppio binario, che son percorse da 800 vetture e hanno
trasportato, nel 1909, circa 134 milioni di passaggeri, raggiungendo in un
giorno il massimo di 520,000; e a questi 80 km. di linee interne bisogna
aggiungerne altri 28 di diramazioni suburbane, che dovi*anno fra breve ar-
rivare a 75.
In complesso, adunque, le tramvie elettriche italiane, urbane, suburbane
e interurbane, avevano, a tutto Tanno 1909, uno sviluppo di 1080 km.
di linee, sia a semplice che a doppio binario ('). £ siccome le ferrovie elet-
triche propriamente dette rappresentavano, alla fine del 1909, un percorso di
{}) Questi dati sono stati comaiiicati airaatore dal Ministero dei lavori pubblici.
L^ing. Semenza, riferendosi alla fine del 1908, calcolava che a qneirepoca esistes-
sero più di 1500 km. di binario semplice (non di linee): il che, tenendo conto del fatto
che le tramvie orbane sono per lo più a doppio binario, corrisponde assai bene, in ra-
gione d*epoca, ai dati sa riferiti.
36 GIUSEPPE COLOMBO
300 km., come si è visto, e ne rappresenteranno fra breve 400 colla elettri-
ficazione della linea dei Giovi e le altre linee dì prossima costruzione ('), così
si può ritenere che, nel 1911, la lunghezza totale di percorso delle linee
elettriche ferroviarie e tramviarie italiane sarà di circa 1500 km.
Quanto all'energia elettrica che queste linee consumano, essa è in gran
parte compenetrata in quelle degli impianti elettrici dei quali si è parlato
nel capo lY (linee genovesi, napoletane, milanesi, romane, palermitane, to-
rinesi« bresciane, comensi, varesine, ecc.). Le ferrovie elettriche dello Stato,
in esercizio, e quella dei Giovi prossima ad aprirsi, rappresentano un'energia
totale, installata se non interamente utilizzata, di 15,000 a 20,000 hP a va-
pore (linee varesine e linea dei Giovi) e 5000 hP idraulici (linee valtellinesi).
Per gli altri esercìzi di linee elettriche non compresi negli impianti del
capo IV (come, per citarne una, la Padova-Fusina) sarebbe diflScile di esporre
dati precisi e neppure approssimati; probabilmente però Tenergia che con*
sumano non sorpasserà 3 a 4 migliaia di cavalli.
Non sono ancora grandi cifre quelle che rappresentano le applicazioni
deir energia elettrica alla trazione in Italia; ma è bene notare che, salvo forse in
America, ciò si verifica anche altrove; anzi, per quanto riguarda Tapplicazione
alle ferrovie presso altre nazioni, Vltalia non è certo fra le ultime. Bisogna però
riflettere, che è bensì vero che da molte parti si preconizza l'estensione del
servizio elettrico alle grandi linee ferroviarie; ma il problema è tutt'altro
che facile a risolversi. L* esercizio elettrico fa di tutta la linea, si può dire,
un impianto elettrico unico, una macchina sola, cosicché la continuità del-
l'esercizio dipende dall'impianto centralo; coll'esercizio a vapore e le loco-
motive, invece, ciascun treno è indipendente. Non v'ha dunque dubbio che,
da questo punto di vista, la trazione a vapore sia ancora preferibile per le
grandi linee nazionali e internazionali, che richiedono l'impiego di grossi
treni da passeggeri o da merci, a intervalli più o meno lunghi. Ma se si
tratta di linee brevi di trafiìco intenso, tali che i treni grandi o piccoli si
succedano a brevi intervalli (come ai Giovi, dove i pesanti treni merci pos-
sono succedersi persino con 10 minuti d'intervallo; o come sulla linea Mi-
lano-Varese, sulla quale i treni merci e viaggiatori si succedono a pochi
minuti d'intervallo, con circa 50 treni di andata e altrettanti di ritorno
Della giornata e più ancora nei giorni festivi), allora si raggiunge ii massimo
utile colla trazione elettrica. Perciò è possibile che la frequenza del movi-
mento e del trafSco, soprattutto in vicinanza ai grandi centri, promuova
Telettrilicazione di talune linee o tronchi di linea, almeno parzialmente,
come appunto avviene sulla Milano- Varese, la quale nel tronco Milano-Gal-
larate è anche aperta al passaggio dei treni internazionali del Sempione,
trainati da locomotive. Così è probabile che avvenga a poco a poco da sé
Ci Già nel corso del 1910 le reti tramyiarle suburbane sono aumentate di parecchie
decine di chilometri.
TRASPORTO DELL ENERGL\
lo smistamento dei sistemi di trazione secondo Tentità e la natura del traf-
fico, ammettendo la trazione elettrica o?e si verificano le condizioni più fa-
vorevoli per questo sistema, come è avvenuto per le summenzionate tre linee
dello Stato.
VI.
Applicazioni elettro-chimiche ed elettro-metallurgiche.
L'energia elettrica può essere applicata alla produzione industriale di-
rettamente, senza passare attraverso ad un motore; la galvanoplastica ne è
il più antico e volgare esempio. Queste applicazioni dirette dell'energia elet-
trica sono numerose, ma ancora non hanno preso nell'industria italiana quel
largo posto che sembrava spettar loro. L'elettrolisi dell'acqua, più volte pre^
conizzata per la produzione dell'ossigeno e dell'idrogeno : la fabbricazione della
soda caustica, dei clorati e degli ipocloriti : Testrazìone del ferro, del rame e
deiralluminio dai loro composti: la fabbricazione del carburo di silicio e
del carburo di calcio, sono tutte operazioni che si possono fare con l'ap^
plicazione diretta della corrente.
In fatto, però, le applicazioni riuscite in Italia sono assai scarse. Un^
certa quantità di energia elettrica è utilizzata, più che per l'afSnamento del
rame, per operazioni galvaniche, nichelatura, argentatura, doratura (secondo
le pubblicazioni del Ministero di agricoltura industria e commercio, vi sa-
rebbe stata già adibita, alla data del 1899, un'energia di 900 hP); ma, in
ogni modo, non si tratta di una grande industria, o almeno è i*aramente trat-
tata in Italia come tale.
L'elettrolisi dell'acqua ha dato risultati industriali di poca importanza,
e non serve, al più, che alla produzione industriale dell'idrogeno per l'aero-
statica. Più avanzata invece è la fabbricazione della soda, che è prodotta
specialmente a Bussi dalla Società italiana di elettrodinamica, traendo pro-
fitto dalle forze del Tirino e del Pescara. Colle stesse forze lavora a Bussi
la Società italiana per l'estrazione dell'alluminio ; questo viene estratto
dalla bauxite ricavata dai giacimenti della montagna di Lecce dei Marsi
presso il lago Fucino, coU'impiego di un'energia di 5000 hP, trasformando la
corrente alternata in corrente continua a bassa tensione. Un'altra parte di
queste forze è adoperata dalla Società italiana di prodotti asolati^ creata
per la fabbricazione dei prodotti destinati all'industria dei concimi artificiali,
cioè della calciocianamide e dell'azoto combinato per via elettrica coli'ossi-
geno dell'atmosfera; la fabbrica è impiantata a Piano d'Orte e deriva la sua
forza, come la Società precedente, dal primo salto del Pescara (*).
(*) A questi impianti si è già accennato al Capo IV, 3.
33 GIUSEPPE COLOMBO
La fabbricazione del carburo di calcio ha avuto un periodo di grande
prosperità ed è stata intrapresa su di una scala larghissima, sin troppo larga,
perchè il prezzo di questo prodotto è andato via via scemando, talché vi fa
un momento in cui qualche fabbrica di carburo si è dovuta chiudere. Al
presente, la maggior produzione è fatta dalla fabbrica di Terni {Società ita-
liana pel carburo di calcio)^ che vi adibisce la forza considerevole derivata
dal Velino e dal Nera, producendo anche la calciocianamide e prodotti secon-
dar!. Si fabbrica pure carburo a Narni dalla Società della Valnerina, che
prende Tenergia dal Nera alla cascata delle Marmore e che ora ha cessato
il suo esercizio, il quale è passato alla Società del carburo, essendo la « Val-
nerina t in liquidazione Q). Se ne fabbricava in minori proporzioni anche a
Darfo (Val Canionica), a Pont S*. Marcel e a Pont S*. Martin (Val d'Aosta)
dove la Società elettro-chimica dispone di 4000 a 5000 hP.
La metallurgia del ferro ha tentato di servirsi deirenergia elettrica
sino dai primordi delle sue applicazioni in Italia; e il primo impianto col
sistema Stassano, eretto a Darfo in Val Gamonica, rimane, colle sue varie
e non sempre prospere vicende, Tunico che si possa menzionare. La riduzione
del minerale da convertirai in acciaio si ottiene direttamente nel forno elet-
trico sotto razione di un potente arco voltaico, impiegandovi un'energia di
qualche migliaio di cavalli.
La metallurgia del rame, per l'estrazione del metallo dal minerale e
la sua affinazione, è stata oggetto di studi a Livorno e a Pont S^ Martin,
ma sinora non costituisce un'impresa industrialmente avviata.
Su piccola scala la Società elettrotecnica monzese, prendendo energia
elettrica dalle reti esistenti, ha tentato da alcuni anni di utilizzarla per la
fabbricazione di alcuni prodotti chimici, con mediocre successo.
In complesso, le applicazioni dirette dell'energia elettrica alle operazioni
chimiche e metallurgiche, né sono numerose, uè, malgrado Tabbondanza della
forza idraulica e gli ingenti capitali consacrativi in Italia, sono molto pro-
mettenti. Le sole industrie che realmente meritino questo nome per la scala
nella quale sono esercitate, sono quelle animate dalle forze del Pescara e
del Tirino, per le quali non sono ancora scomparse tutte le difRcoltà che
vi si opposero, e la fabbricazione del carburo di calcio. Si sono nutrite forse
in proposito troppe illusioni. Certo è che questa scarsezza di attività nel
campo elettrochimico ed elettrometallurgico segue ed eguaglia quella, che
da tanti anni si va inutilmente deplorando in Italia nel campo chimico-
industriale. Le ragioni di questo fenomeno sono varie e complesse; ma non è
questa la sede opportuna per discorrerne.
(*) Vedasi ancora al Capo IV, 2.
TRASPORTO dell'energia 39
VII.
Indastrie accessorie.
Le applicazioni dell'elettricità al trasporto e airimpiego dellenergia in
diverse indastrie, hanno favorito la creazione di nuove fabbricazioni per for-
nire tutto il materiale necessario. Qaeste fabbricazioni si sono andate esten-
dendo, al punto che oggidì noi non abbiamo più alcuna necessità di ricor-
rere all'estero nò pei motori idraulici e termici, né per il materiale delle
condotture idrauliche ed elettriche, né per quasi tutti gli apparecchi necessari
agli impianti elettrici di qualsiasi natura. Sventuratamente, in una cosa sola, che
pure sarebbe tra le più importanti, l'industria italiana non ha fatto nessun
cammino : la fabbricazione, infatti, dei potenti alternatori necessari ai grandi
impianti moderni, e in generale anche di tutto quanto è grosso macchinario
elettrico propriamente detto, macchine dinamo-elettriche, trasformatori, con-
vertitori e simili apparecchi, non si può dire che manchi del tutto in Italia ;
ma certo ò intrapresa su di una scala notevolmente piccola rispetto ai bi-
sogni, talché in tutti i grandi impianti italiani, con poche eccezioni (0, il
grosso materiale elettrico è fornito da case estere, e specialmente svizzere,
tedesche e americane (^).
È una deficienza penosa, della quale é difficile dare una ragione ; poiché
la stessa attitudine dimostrata in tante altre costruzioni elettriche da ditte
italiaue che hanno saputo assicurarsi il mercato nazionale, poteva essere im-
piegata anche nella costruzione dei grandi alternatori e delle altre grosse
macchine per le Centrali elettriche. Si tratterebbe di una produzione di in-
gente valore, la cui ricerca, almeno sino ad oggi, é ancora assai grande. Non
potendo ammettere la mancanza di attitudine, bisogna cercare le ragioni di
questo fatto in cause di ordine finanziario; per cui é permesso di espri-
mere l'augurio che fi-a breve i nostri costruttori possano tentare con suc-
cesso anche la fornitura di questo materiale.
(') Fra queste eccezioni si devono citare gli impianti fatti dalla ditta Gadda e C.
ora in liquidaziene, per la Società elettrochimica sul Pescara, per la Società idroelettrica
ligare, per quella del Moncenisio e della Riviera di Ponente, e per le Imprese elettriche
in Koma, dove sono anche installati due turbo-alternatori di 2000 kw. con turbine a va-
pore del tipo ideato dairiog. Bellnzzo.
(*) Le principali ditte estere costruttrici di questo materiale, sono parecchie. Una
fra queste, la ditta Brown Boveri di Baden (Svizzera), ha impiantato la fabbricazione
anche a Milano nei locali delle cessate fabbriche Gadda e Tecnomasio, e, sotto la ditta
Tecnomasio italiano Brown Boveri, fornisce ora molta parte del grosso materiale elet-
trico delle Centrali italiane.
40 GIUSEPPE COLOMBO
Nelle altre costi'azioni per impianti elettrici, in parte Temancipazione è
già avvenuta, in parte possiamo dire di competere in buone condizioni con
l'estero. Così nei motori idi*aulici, come già si è detto al capo II, la fab-
brica A. Riva e C. di Milano ha saputo non solo conquistarsi il mercato
italiano, ma mettersi in misura di concorrere, in qualche caso, con Testerò.
La sua produzione si può veramente dire perfetta. Un buon nome, per co-
struzioni di minore importanza, ha pure la ditta Calzoni di Bologna.
Nei motori a vapore, o, per dire più preciso, nelle turbine a vapore
da accoppiare cogli alternatori, sono generalmente i tipi stranieri che preval-
gono, poiché la turbina a vapore non è nata in Italia; ma la loro costru-
zione è già avviata da noi, specialmente per opera della nota ditta Tosi di
L^oano. Conviene anche aggiungere che un tipo italiano di turbine a vapore,
il tipo Belluzzo, comincia non solo a farsi conoscere favorevolmente, per T ap-
plicazione ai turbo-alternatori, ma lascia anche spei-ar possibile Tapplica-
zione diretta alle locomotive ('). Quanto ai motori a essenza e ad olii pesanti,
se ne son fatta una specialità la ditta Tosi di Legnano e la Langen e Wolf
di Milano.
Nella costruzione delle macchine dinamo-elettriche di minore portata,
ci sono valenti costruttori in Italia, come la Società officine di Saviglia?io,
la dilla Ansaldo e poche altre fabbriche minori. La costruzione dei motori
elettrici è anche fatta dai costruttori stessi delle macchine dinamo-elettriche;
ma ci sono anche fabbrìcanti speciali di motori, come la ditta Marcili di
Sesto S. Giovanni.
Molti eccellenti costruttori abbiamo in Italia per il materiale accessorio
delle Centrali e degli impianti elettrici in genere, misuratori, interruttori, sca-
ricatori di corrente, strumenti di precisione e altri apparecchi consimili. Lo
ingegnere Magrini a Bergamo, le ditte Grimaldi e C. e Olivetti e C. di
Milano, provvedono una gran parte delle ofiicine elettriche italiane. Le fab-
biiche di apparecchi per servire alla illuminazione elettrica sono pure nu-
merose.
Le linee elettriche pel trasporto e la distribuzione della corrente dalle
Centrali di produzione dell'energia ai consumatori, hanno ormai in Italia
uno sviluppo di molte migliaia di chilometri, e costituiscono una delle parti più
importanti di un impianto, molto più colFadozione di tensioni sempre più
alte, che richiedono isolamenti perfetti. Oggetto di studi continui sono quindi
la costruzione dei pali (che ormai, dall'epoca dell'impianto di Paderno in
poi, si fanno metallici) e quella degli isolatori. Per questi ultimi lltalia ha
fortunatamente un'antica e rinomata ditta nazionale, anzi la riunione di due
ditte, la Società ceramica Richard- Ginori di Milano e Doccia (Firenze),
(^) Esperimenti su questa nuova applicazione delle turbine a vapore sono stati fatti
dalle 0/ficine meccaniche di Milano^ sotto la direzione dell'ing. Alzona.
TRASPORTO dell'energia 41
che non solo fornisce tatto il paese, ma esporta pure alVestero, in Francia
e in America, i suoi isolatori, il cui tipo principale è quello intitolato tipo
Paderno^ perchè è nell'impianto di Paderno che fu per la prima volta ap-
plicato. Essa ha fabbricato isolatori per tensioni fino a 72.000 volt per la
linea municipale milanese, e sta per fornirne alla Società del carburo per
la tensione di 80.000 volt. E per le linee sotterranee, una sola ditta serve
la maggior parte delle installazioni elettriche italiane, e molte installazioni
airestero: la nota ditta Pirelli e C. di Milano e Sesto, una delle più grandi
ditte fabbricatrici di cavi e conduttori elettrici di qualsiasi tipo.
Le Centrali elettriche hanno bisogno di tubi metallici di grande dia-
metro per le altissime cadute che ora si tratta di utilizzare. Si è già citato
al capo II il caso di tubi fino a m. 2,50 di diametro. Essi son tutti fabbri-
cati in Italia, e i più grandi specialmente dalla fabbrica dell'ingegnere For-
lauini di Forlì, e dalle Officine Togni di Brescia.
Lampade a incandescenza e ad arco son fabbricate pure in Italia. Le
nuove lampade a filamento metallico sono prodotte dalla Società italiaìia
per le lampade elettriche Z (a filamento metallico) che riunisce due antiche
fabbriche di lampade a incandescenza, la Edison di Milano e la Cruto di
Alpignano (Torino).
Se si aggiunge che gli accumulatori, i quadri e tutto il coiTedo me-
tallico delle Centrali elettriche si fabbricano in paese, e anche le carrozze
per le tramvie e in generale quanto occorre per le installazioni elettriche,
si vedrà qual somma di attività abbia creato in Italia il trasporto elettrico
dell'energia.
Vili.
Conclusione.
È giunto ora il momento di raccogliere i dati sparsi nei capi lY a VI,
per farsi un* idea la più approssimata possibile dello stato attuale delle ap-
plicazioni dell'energia elettrica in Italia. Una statistica è per ora sventura-
tamente impossibile; perchè, mentre l'importante monografìa del Ministero
di agricoltura, industria e commercio, pubblicata nel 1901, sugli impianti
elettrici esistenti in Italia alla fine del 1898 (^), dà la loro statistica completa
sino a tutto il 1898, da quest'epoca sino al 1905 non si pubblicò nulla;
e la pnbblicazioneu rimasta così sospesa per sette anni, non fu ripresa che
(*) Qaesta eccellente pubblicazione è dovuta a una Commissione della quale fu re-
latore competentissimo e diligente rin<i^. Mengarini. Un'appendice della medesima, che
la completa e la estende in parte a tatto il 1900, è dovuta alPing. Belloc del Ministero
di agricoltura, industria e commercio.
42 GIUSEPPE COLOMBO
nel 1906, e si pubblicò annualmente, a cura dell* Ispettorato generale del-
l' industria e del commercio, diretto dall' ing. Belloc, per tutti i quattro anni
dal 1906 al 1909, per essere proseguita regolarmente ogni anno. È dunque
solamente in modo approssimativo che si può dare un'idea del numero e
delle proporzioni attuali degli impianti elettrici in Italia.
Sino a tutto il 1898, secondo Taccennata pubblicazione, si erano fatti
2264 impianti elettrici per un totale di 86,175 kw (circa 117,000 KP), dei
quali, 1143 erano idraulici e 1121 termici (a vapore o a gas) ; le così dette
Centrali erano, allora, soltanto qualche centinaio, con una potenza totale di
9000 kw circa: gli altri erano impianti privati. Dalle notizie statistiche
pubblicate dal Ministero per gli anni 1896, 1897, 1898 e 1899, si rileva
che la media degli impianti nuovi (cioè esclusi gli aumenti dei già esistenti)
fu rispettivamente di 125, 88, 94 e 74 nei quattro anni, quindi con una
media di 95 air anno. La media dalla fine del 1882 (che si può rite-
nere come Tepoca in cui cominciarono a introdursi le nuove applicazioni
elettriche in Italia) alla fine del 1898, è di 140 impianti all'anno. Ora si può
supporre che, nei sette anni privi di statistiche, la creazione di nuovi im-
pianti sia fatta in ragione di una media annuale fra i 140 impianti annui
del periodo 1882-1898 e i 125 del primo anno del periodo 1906-1909, cioè
in ragione di 132 all'anno. Ciò darebbe la cifra di 8567, o, in numero
tondo, 3600 impianti esistenti, o almeno autorizzati dal Ministero, alla fine
del 1909.
Ma non è tanto il numero degli impianti, quanto la potenza totale uti-
lizzata che importerebbe di conoscere, almeno approssimatamente.
Ora, tenendo conto di tutti gli impianti registrati nella già citata pub-
blicazione della Associoiione fra esercenti imprese elettriche in Italia, che
non solo dà lo stato presente, ma dà anche notizia dei progetti, e sono
parecchi e considerevoli, in corao di esecuzione così che potrebbero esser
pronti entro la fine del 1910 e la fine del 1911 (0, e desumendo dalla stati-
stica del Ministero di agricoltura, industria e commercio la nota degli im-
pianti nuovi dei quali fu chiesta la concessione nel 1909, si rileva che alla
fine del 1911 si avrebbero, installati e in esercizio, impianti per un totale
approssimato di 820,000 cavalli: cioè 610,000 cavalli, o circa 450,000 kw
idraulici, e 210,000 cavalli, o circa 150,000 kw termici, comprendendo in
queste cifre non solo tutte le istallazioni fisse, ma anche quelle per le fer-
rovie e le tramvie. Volendo poi farsi un* idea degli impianti progettati per
maggior utilizzazione di corsi d'acqua già in- parte sfruttati, o di nuovi cerai,
si potrebbe fare assegnamento, oltre il 1911, su una probabile creazione di
altri 250,000 cavalli, o, in cifra tonda, di altri 180,000 kw idraulici.
0) Si osservi, a questo proposito, che molti grossi impianti, fra gli altri quelli dei
muiiicipii di Milano e Torino, non entreranno in attività se non nel 1911.
TRASPORTO DELL*ENERGIA 43
L' ing. Semenza, nella Memoria già citata (^), ha ritenuto che gli impianti
minori, non compresi nel suo computo, i quali sono piccoli bensì, ma assai
numerosi, ammontassero a 60,000 kw. Ora, dalle poche notizie date sugli im-
pianti minori, privati o municipali, nel Capo IV, e da altre relative a quelli
delle amministrazioni dello Stato, si può arguire che probabilmente la loro
potenza complessiva oltrepassi la cifi-a supposta dairing. Semenza, e si
possa valutare a circa 90,006 kw. Ciò premesso, si avrebbe, a tutto il 1911,
un totale approssimativo di 540,000 kw (735,000 KP) idraulici, rimanendo
press*a poco costante la cifra di 150,000 kw degli impianti termici, poiché
la scorta termica di taluni grossi impianti prossimi ad essere aperti è ge-
neralmente già in esercizio, per fruirne durante la costruzione delle opere
idrauliche, come avviene, per esempio, per gli impianti municipali di Mi-
lano e Torino. Questo apprezzamento corrisponde abbastanza bene a quello
ieìV Associazione Esercenti imprese elettriche in Italia^ la quale calcola
nel 1910 un energia idro-elettrica complessiva di 700,000 KP.
In confronto alla statistica deir ing. Semenza, si avrebbe un aumento,
dal 1908 al 1911, da 560,000 a 690,000 kw fra idraulici e termici: ciò
che non deve aGfatto sorprendere. Può sorprendere invece la circostanza che
nella cifra dei 690,000 kw a fine 1911 entrino 150,000 kw termici, vale
a dire che gli impianti termici rappresentino quasi il 22 Vo del totale,
mentre nella statistica Semenza non rappresenterebbero che il 20 Vo • Ma
questa differenza si spiega facilmente. Non si fa un grande impianto
senza una corrispondente riserva termica; e spesso la riserva è piti potente
di quella che a rigore sarebbe necessaria, prima di tutto per poter superare
le punte dei diagrammi di erogazione (massimi di consumo nella giornata),
in guisa di avere per la maggior parte del servizio una disponibilità di
forza, maggiore di quella consentita dall'acqua disponibile; e poi anche perchè
in parecchi casi la riserva termica, il cui impianto è assai più facile e più
breve di quello idraulico, essendo pronta prima, si può avere interesse ad
esagerarla per soddisfare al crescente consumo durante la costruzione del-
l'impianto idraulico, come è avvenuto appimto per gli impianti municipali di
Milano e Torino.
Ritenuto, come si disse al Capo II, che la forza idraulica disponibile
in Italia ammonti a 3 milioni di cavalli, ossia a circa 2,200,000 kw, le
forze utilizzate sarebbero al disotto di un quaito di questa cifra; ma non bi-
sogna farsi troppe illusioni sulla possibilità di sfruttai'e in breve tempo
tutta la grande riserva ancora disponibile. Innanzi tutto è d* uopo osservare
(*) LMn^. Semenza ha valutato, alla fine del 1908, un*energia installata di 500,000 kw;
aggiungendo, a questi. 60,000 kw pei piccoli impianti non contemplati, si ha un totale
di 560,000 kw installati. Di questi, egli ritiene che circa 450,000 siano idraulici, e 110,000
termici, con un rapporto di 80®/» ^^^ i primi e il totale.
44 GIUSEPPE COLOMBO
che le cadute sinora utilizzate sono quelle che si presentavano più facili,
e che per utilizzare le altre bisognerebbe cercarle in località meno adatte
per distanza o per altitudine, e quindi tali da rendere più costosa l'energia
con esse ottenuta. Ora bisogna ricordarsi che attualmente si può ritenere
che il kw installato e distribuito con un impianto idraulico costi in inedia,
tutto compreso, da L. 1000 a L. 1200 secondo i casi, e che calcolando 14
a 15 7o 1^ spesa d'esercizio, compresi interessi e ammortamento del capi-
tale, si arriva al costo annuo di 140 a 180 lire per kw, ossia da 100 a
130 lire per cavallo. Ora, colle macchine termiche e col carbone o coll'olio
pesante ai prezzi odierni, la forza di un cavallo si può avere, per macchine
grandi, di almeno 500 KP, press* a poco allo stesso prezzo o poco più, sempre
ritenuto che tanto colla forza idraulica, quanto colle macchine termiche, si
lavori 10 ore al giorno. Evidentemente, crescendo le ore di lavoro al giorno,
la forza idraulico-elettrica diventa sempre più conveniente della forza ot-
tenuta coi combustibili ; questo si verifica, in fatto, nelle applicazioni air il-
luminazione: ma nelle industrie, la legge sul lavoro notturno non permette
di tenerne alcun conto.
Bisogna poi considerare lo stato delle nostre industrie, la scarsità del
capitale italiano e la fiscalità del nostro sistema tributario, che colpisce in
tanti modi, colla ricchezza mobile, colla imposta fabbricati e con numerosi
altri aggravii minori, T industria nazionale, sino a tassare come reddito il
capitale che si mette in riserva col sovrapprezzo delle azioni quando la
prosperità di un'azienda elettrica permette di far pagare un premio agli
azionisti nuovi, e a tassare come un immobile Tacqua motrice degli impianti
industriali; che non vede neppure il tornaconto stesso della finanza, né si
informa delle vere condizioni dell' industria elettrica, come quando continua
ad esigere sull'energia elettrica impiegata nel riscaldamento degli ambienti
una tassa che supera il valore dell'energia stessa, cosicché la tassa diventa
proibitiva e rende affatto impossibile una delle più facili e lucrose appli-
cazioni dell'elettricità, cioè quella del riscaldamento domestico, pel quale di-
venta inevitabile di continuare a servirsi del coke e del carbon fossile; o come
quando colpisce l'elettricità a scopo di illuminazione, ottenuta colla forza
delle nostre cadute, più di quanto non colpisca il gas illuminante ottenuto
col carbone inglese. Simili appunti sono stati fatti e rifatti, ma senza alena
risultato. É adunque naturale che, ostando il fisco a queste nuove applica-
zioni deirenergia elettrica che ne allargherebbero il campo d'azione e inco-
raggerebbero il capitale a tentare nuovi impianti elettrici o ad ingrandire
gli esistenti, l'industria elettrica cominci a temere, se non esaurita, certo-
prossima ad esaurirsi la ricerca d'energia, e stia attualmente studiando
per vedere sino a quali limiti possa spingere la ricerca di nuove forze
idrauliche senza compromettere l' ingente capitale già impiegato in queste
imprese.
TRASPORTO dell'energia ^5
Sono considerazioni piuttosto dolorose, dato lo slancio col quale V indu-
stria nazionale aveva saputo, fra le prime nel mondo, valei'si delle nuove
scoperte alle quali tanto hanno contribuito gli scienziati italiani; ma giova
sperare che il Governo, meglio informato delle vere condizioni dell' industria,
e più persuaso che la prosperità della nostra fiuanza sia connessa soprattutto
colla prosperità e col progresso delle industrie, sappia contemperare con
maggiore saggezza le esigenze del fisco con quelle dei più vitali interessi
della produzione nazionale.
Milano, dicembre 1910.
Giuseppe Colombo
Senatore del Regno
Direttore del B. Ist. Tecnico Superiore di Milano.
K INDUSTRIA CHIMICA IN ITALIA
NEL CINQUANTENNIO (1861-1910) {')
Lo sviluppo di qualsiasi grande e tiorente ÌDdnstria, ai nostri giorni
è indubbiamente assai difficile in piccoli Stati, quand'anche i cittadini di essi
appartengano alla stessa nazionalità, salvo i casi in cui concorrano circostanze
e condizioni speciali, come, per esempio, nel Belgio colla sua densissima popola-
zione, la fitta rete ferroviaria, la navigazione interna, paese quasi per tutta la sua
estensione posto sul carbone fossile, su giacimenti quasi inesauribili di mine-
rali di ferro, zinco, ecc., coi suoi abbondanti prodotti agrarii di ogni genere,
fra cui lana, lino, barbabietole da zucchero ecc., e più ancora nella Svizzera,
la quale, a causa della configurazione del suo suolo e delle condizioni idro-
grafiche dello stesso, non potendo dedicare molta parte della propria atti-
vità all'agricol tuia, per necessità delle cose ha dovuto darsi tutta all'indu-
stria. E questa nazione vi è meravigliosamente riescita, avendo dato, da
quasi un secolo, grande sviluppo ali* insegnamento tecnico professionale, e
non essendo gravata, come Stato neutro, da spese militari. La storia delle
industrie in Francia e in Germania costituisce la diretta dimostrazione
di questo fatto. L* eliminazione delle barriere doganali in Francia, colla
rivoluzione; la riunione delle diverse stirpi tedesche nella lega doganale
(*) Nel raccogliere i dati e tutte le notizie statistiche occorrenti per la presente
broYe relazione, sMncontrarono non lieri difficoltà d* indole diversa : molti industriali si
mostrarono restii nel far conoscere il vero stato della loro industria e Torganizzazion e
dei loro stabilimenti, e massimamente pei dati economici, nel timore di eventuali aggravii
fiscali; qualcuno mi fornì persino dei dati evidentemente errati, che non potei usare. Soli
pochi, al pari dei miei colleghi, ai quali mi rivolsi per averne, me ne fornirono esattib-
sirai, colla massima liheralità. Così, per quanto riguarda la parte mineraria, devo airegregio
ingegnere delle miniere, il comm. Zezi, tutte le notizie precise qui esposte. Per tutti gli
altri dati svino stato coadiuvato dalPopera competente delPing. Combi, già mio allievo,
e dal dott. Contardi, uno dei valorosi assistenti del mio laboratorio. À tutti rendo vive
grazie per Taiuto prestatomi!
OooLiELHO KoBRNBB. — L'induttfia chimica ecc. 1
GUGLIELMO KOERNBR
e più tardi nel nuovo regno germanico, ebbe per conseguenza un imme-
diato e potente sviluppo industriale.
E perciò, colla fondazione del Regno d' Italia era da aspettarsi con sicu-
rezza un grande progresso industriale nel nostro paese. E lo scopo dì questo
lavoro è appunto quello di dimostrare, per le industrie chimiche^ in qual
modo ed ordine e sino a qual punto questo progresso si è effettivamente
avverato in tutti quei rami di tali industrie, pei quali in Italia esistevano
già, 0 vennero create per effetto di nuovi trattati di commercio e per dazt
di protezione, le condizioni favorevoli.
L*esposizione italiana dì Londra nel 1862 dimostrò con quale rapidità
era avvenuto tale progresso per le nostre industrie manifatturiere ; quivi la
ricostituita nazione potè meravigliosamente gareggiare con le industrie an-
tiche e fiorenti degli altri paesi, ottenendo pel numero dei premiati — sia
in senso assoluto, sia relativamente alla quantità numerica della popolazione —
il posto subito dopo Tlnghilterra, la Francia e la Germania, dimostrando agli
stranieri quanti elementi di ricchezza possedesse Y Italia (').
Non fu così, però, — né poteva essere altrimenti, — per le industrie chir
miche, per lo sviluppo delle quali richiedonsi altre e speciali condizioni. A
Londra erano ben rappresentati tre soli rami, dei quali, due in modo emer-
gente a causa delle materie prime: solfo e acido borico, di cui allora 1* Italia
possedeva quasi il monopolio; il terzo, quello della tintoria, sebbene meno
distintamente, pur tuttavia, per ragioni analoghe, sostenne degnamente l'antica
fama della tintoria italiana, per il nero applicato alla seta, e specialmente
per il rosso turco applicato al cotone, colore pel quale Y Italia meridionale
era rinomata, possedendo eccellenti qualità di radici di robbia.
I prodotti chimici, nella maggior parte, sono consumati da altre indur
strie, e molti di essi non possono essere fabbricati che in grandi quantità;
perchè solo in questo modo diventa possibile introdurre quei perfezionamenti
che permettono una conveniente utilizzazione dei così detti capi morti, e ne
rendono proficua la lavorazione. E perciò, soltanto con un esteso sviluppo
industriale, che assicuri un congruo e certo consumo dei prodotti, Y industria
chimica può vivere e fiorire.
Questa, a differenza delle altre industrie, nella sua forma più perfetta
non ha per principale oggetto la fabbricazione di un dato prodotto, ma ha
invece per iscopo la più completa e razionale utilizzazione di tutte le parti
di una data materia prima.
Un ostacolo grave, che anche attualmente pone T industria chimica in
Italia in condizioni di inferiorità in confronto a quella degli altri paesi, sta
(') Colombo prof. Giuseppe, Discorso in occasione della consegna delle medaglie e
dei diplomi agli industriali della provincia di Milano, premiati airEsposizione anirersale
di Londra del 1862.
l'industria chimica in ITALIA NEL CINQUANTENNIO 3
nella mancanza del carbone, la quale rende assolutamente impossibile, per
alcuni prodotti, ogni concorrenza non solo con V Inghilterra ma anche colla
Francia e colla Germania. La fabbricazione della soda, p. e., che costituisce
una delle basì della così detta grande industria chimica, da noi non è possi-
bile, nò col processo Leblanc col solfato, né con quello Solvay con Tammo-
niaca. Ed anche col processo elettrolitico, difScilmente si potrà ottenere la
soda caustica ad un prezzo inferiore a quello del prodotto inglese ; essendo,
per tale uso, troppo elevato il costo delFenergia elettrica, la quale trova più
&cilmente impiego come forza motrice e come mezzo di illuminazione.
Tale ostacolo, però, non è assolutamente insormontabile ; e, certo, potrà
essere assai diminuito, se non tolto del tutto. Infatti noi possediamo grandi de-
positi di torbe e di ligniti, che, usati in modo più razionale, potrebbero facili-
tare di molto la industria chimica. Basti ricordare a questo riguardo l'esempio
di uno dei più grandi industriali dei nostri tempi, il Mond, il quale sino
dal 1890 studiò la utilizzazione sistematica dei combustibili fossili di minor
pregio, per produrre con la distillazione, oltre al gas da bruciare, anche
l'ammoniaca; ed istituì nell' Inghilterra, paese del carbon fossile per eccel-
lenza, l'industria del « gas Mond » , impiantando la grande officina di Dudlej
Port nella Contea di Staiford, che fabbrica solfato ammonico, e distribuisce
a più che cento stabilimenti industriali di ogni genere, sparsi su un este-
sissimo territorio, tutto il gas, sia per forza motrice, sia per il riscaldamento
di forni di ogni specie. E se un tal impianto può vittoriosamente sostenere
la concorrenza col carbon fossile nella stessa Inghilterra, facilmente si com-
prenderà di quanta utilità potrebbe essere in un paese come il nostro, dove,
come ho già detto, vi è abbondanza di lignite e di torbe, alcune delle quali
sono anche assai ricche di azoto.
Oltre a ciò, è prevedibile che, in tempo non lontano, un potente nuovo
mezzo ci liberi completamente da ogni difficoltà. In questi ultimi anni, nella
provincia emiliana è incominciata, su scala relativamente larga, l'estrazione
del petrolio (pel 1909 la quantità estratta era di quintali 58.950, per un
valore di L. 1,178,660); e quantunque gli idrocarburi finora ottenuti non
possano essere utilizzati se non in date industrie, pure, a parer mio, essi costi-
tuiscono l'avanguardia di altri giacimenti assai più ricchi e molto più pro-
fondi. In altre parole, i petrolii di oggi, per le loro proprietà fisiche, sareb-
bero gli idrocarburi più volatili che nel corso dei secoli riescirono a pas-
sare allo stato di vapore attraverso le screpolature della crosta terrestre,
portandosi più vicini alla superficie ; mentre la grande massa di essi, che
derivano, secondo l' ipotesi più verosimile, dalla scomposizione dei grassi di
faune marittime di altre epoche geologiche, ancora non è stata accessibile.
Qualora coi pozzi si riescirà a raggiungerla, questa costituirà una fonte
grandissima di energia, che potrà essere utilizzata nei modi più svariati,
come già è avvenuto nell'America in modo ammirevole.
GUGLIELMO KOERNER
Neil* industria chimica, assai più che in altri rami, il primo e più im-
portante fattore è la mente direttiva fornita di iniziativa avveduta, sussi-
diata dall'esperienza e soprattutto dal completo possesso della relativa teoria
scientifica. Il capitale ed il lavoro, che generalmente sono considerati come
fattori principali, vengono invece solo in seconda linea. Ma ciò che, prima
di tutto, occorre, è l'illuminato spirito dell' intrapresa, che sappia ci-eare un
perfetto organismo industriale, non solo dal punto di vista teorico, ma anche,
e più, dal punto di vista amministrativo, e che sappia subito adottare ogni
miglioramento tecnico atto a produrre una diminuzione anche minima nelle
spese di produzione. Mancando questo, nessuna azienda, anche se tecnica-
mente perfetta, può reggersi. A prova di ciò, ricordo quanto è avvenuto, pur
troppo, nel 1885, colla fabbrica Lombarda per la produzione della chinina.
Questa fabbrica, che per la sua potenzialità, per il proprio impianto, per
i metodi d analisi e di fabbricazione, come per la purezza dei suoi prodotti,
era considerata la prima del mondo, dovette perire per la mancanza di un
perfetto concetto amministrativo.
Nell'epoca presente, poi, per il continuo aumento delle spese di mano d'opera
e per tutto ciò che riguarda il trattamento degli operai (Vassicurazione contro
gli infortuni, quella per la vecchiaia, maggiori esigenze igieniche, ecc. ecc.),
mentre gli operai producono meno e i prezzi dei prodotti diminuiscono con-
tinuamente, le suddette condizioni diventano indispensabili perchè queste
maggiori spese possano essere distribuite sopra una maggiore produzione e
pareggiate dalle piccolissime economie, e, così suddivise, possano più facil-
mente essere compensate.
Ogni. ramo deir industria chimica deve mirare necessariamente ad un
continuo e sempre crescente sviluppo nel proprio campo di azione; senza di
ciò, la sua esistenza sarebbe certamente minacciata per il progressivo evol-
versi di tutte le altre industrie affini, con le quali deve aver continui rapporti,
e con le quali è necessariamente collegata. Ormai non è più possibile, come
nei tempi passati, impiantare una fabbrica chimica per far dei prodotti
secondo alcune ricette provate, e di continuare ad esercitarla con profitto
per una lunga durata, senza alcuna fondamentale modificazione. Gran parte
del capitale investito oggi nell'industria chimica, ha indubitatamente avuto
questa origine ; ma il progresso scientifico e l'aumento continuo delle fab-
briche chimiche e l'ininterrotto accrescimento delle conoscenze chimiche hanno
moltiplicato i nostri mezzi, in modo che quasi sempre diventa possibile di
raggiungere il medesimo scopo per vie tra loro assolutamente diverse, e con
l'impiegare materie prime, del tutto differenti. Ed inoltre, molte volte avviene
che si trov& la possibilità di sostituire un prodotto monopolizzato con altri
prodotti che possono farne le veci ; e quasi sempre si trova subito ad esso
un surrogato equivalente nelle proprietà e nell'azione.
È ormai universalmente riconosciuto come lo sviluppo delle industrie
chimiche vada di pari passo coli' intensità e coU'altezza dell'insegnamento
l'industria chimica in ITALIA NEL CINQUANTENNIO
della chimica pura; senza di che non sì possono avere persone ben preparate
a dirigerle.
Questo fatto, che si può osservare presso varie nazioni, e pel quale
oggi r industria chimica tedesca trovasi al primo posto in tutto il mondo,
è generalmente ammesso senza restrizione. E da tutti si opina che le somme
spese in Germania dai tempi del Liebig sino ad oggi per T insegnamento
dell'alta chimica, e per rimpianto e le dotazioni dei relativi laboratorii,
sono da annoverarsi fra le spese più proficue ed utili alla nazione che il
Governo abbia fatte. Ciò è dimostrato da piti che 5000 chimici laureati, che
oggi sono impiegati neirindustria e sono fattori del sempre crescente suo
sviluppo.
Anche da noi si osserva già in modo evidente un grande e continuo
progresso industriale, avvenuto dopo che maggiori cure furono portate in
questi ultimi decennt, ai nostri laboratorii universitarii ed a quelli degli
istituti di istruzione superiore; quantunque i mezzi siano tuttora, salvo
qualche eccezione, ancora di gran lunga inferiori ai bisogni e non si possano
paragonare con quelli di cui sono dotati i laboratorii esteri.
E qui parmi opportuno ripetere le parole con le quali l'autore del pro-
gramma per la sezione chimica dell* Esposizione Nazionale tenutasi a Milano
nel 1881, incominciava la sua relazione:
« Avuto riguardo ai tesori minerarii, di cui l'Italia abbonda, e tenuto
conto delle quantità enormi di materie prime vegetali che essa produce, le
industrie chimiche, in complesso, in oggi sono ben lontane dal potersi dire
proporzionatamente e bene sviluppate ; salvo pochi casi affatto eccezionali, la
produzione non basta a coprire il consumo; interi rami non furono mai ten-
tati; altri non possono ancora considerarsi come regolarmente impiantati. La
grande difficoltà, per non dire Timpossibilità, di trovare in paese oggidì chi,
ad una sufficiente coltura scientifica, accoppii la voluta speciale abilità profes-
sionale, costituisce, a parer mio, la principale causa di questo stato di cose,
inquantochè nessuna savia iniziativa né alcun notevole progresso sono possibili
senza un idoneo personale dirigente, il quale per le arti chimiche, e forse
per esse sole, non si volle, se non eccezionalmente, domandare all'estero ».
Av?i però un mezzo solo per uscire da questa sfavorevole condizione,
e cioè di perfezionare l'istruzione chimica professionale, col fornire mezzi
molto maggiori ai laboratorii di chimica e con l'estendere di molto l'obbligo
e la durata di esercitazioni pratiche, in modo da mettere il laureando in
grado di risolvere da sé un problema chimico. Oltre a ciò, si dovrebbe
facilitare in ogni modo agli stranieri l'impianto e l'esercizio di nuovi rami
dell'industria chimica. Questi stabilimenti, in pochi anni, diventerebbero na-
zionali ; e poco dopo, formata una maestranza del paese, il personale forestiero
sarebbe totalmente sostituito da italiani.
Questo fatto si è già verificato in modo evidente nelle fabbriche di zuc-
chero, rimpianto delle quali, come verrà dimostrato in seguito, ha reso van-
GUGLIELMO KOBRNfiR
taggi immensi al paese, ed è stato uno dei maggiori fattori che fecero progre-
dire rapidissimamente, e in modo non sperato, la nostra agricoltura.
E vi sarebbe da studiare anche un modo per garantire, per un certo nu-
mero di anni per lo meno, la stabilità delle tariffe doganali e delle tasse di
fabbricazione, inquantochè l'ostacolo maggiore che si frappone alVimpianto
di nuovi rami dindustrìa chimica è precisamente costituito dalla straordi-
naria e continua variazione delle tariffe, sia per leggi, sia per decreti reali.
È chiaro, e non richiede ulteriore dimostrazione, che nessuno può arrischiare
capitali e lavoro senza aver la sicurezza che tali condizioni, che formano la
prima base di ogni calcolo di rendimento economico, non siano variate di
punto in bianco, sia per le materie prime da lavorare, sia in riguardo ai pro-
dotti da fabbricare.
Dai rapporti dei giurati delle esposizioni mondiali di Londra (1862),
Parigi (1867) e Vienna (1873), risulta la quasi completa assenza di espo-
sitori italiani nel campo delle varie industrie chimiche: accanto ad alcuni
prodotti farmaceutici senza speciale importanza, figurava in prima linea il
solfo della Sicilia e della Romagna; l'acido borico della Toscana e Tallumite
di Tolfa, assieme coU'allume da esso ottenuto. Le industrie chimiche che da
queste materie prime traevano origine, pareva allora dovessero essere per
sempre, come lo erano in quel tempo, un monopolio sicuro della nostra Italia,
sia per l'abbondanza in cui questi minerali si trovavano, sia perchè erano
ancora ignoti gli altri giacimenti, assai più importanti, della Luisiana per il
solfo, i laghi boracici della California, i depositi di boronatrocalcite del Chili
e del Perù, di boracite nei sali di Stassfurt per l'acido borico; e prima che Tal-
lume si sapesse preparare da altri materiali, come si usa attualmente, o fosse
sostituito dal solfato di alluminio. Cosicché oggi, se per Tacido borico, merco
i miglioramenti introdotti nella sua fabbricazione, e ancora più per l'enorme
e sempre crescente sviluppo del consumo di esso e dei suoi derivati, l'industria
è ancora rimunerativa, non si può dire altrettanto per quella del solfo. Questa,
forse, è destinata a sparire se non si riesce a trovare un nuovo e assai più
esteso consumo del solfo, o non si perviene a scoprire nuovi e più econo-
mici metodi per la estrazione di questa sostanza.
Solfo. — Allo stato libero si riscontra in natui*a in grandi giacimenti,
chiamati rispettivamente solfatare se il minerale si trova alla superficie del
suolo in strati di spessore variabile dai 6 ai 10 centimetri, oppure solfare,
se il minerale si trova a profondità assai maggiori.
Questi ultimi giacimenti sono i più produttivi ; e quelli della Sicilia in
primo luogo, e quelli della Romagna in secondo, fino al 1873 erano indiscu-
tibilmente i più estesi ed importanti" che sì conoscessero.
Essi occupano, nella Sicilia, un territorio estesissimo, quasi tutta, cioè,
la provincia di Caltanissetta e Girgenti, buona parte della provincia di Ca-
l'industria chimica in ITALIA NEL CINQUANTENNIO
tania sino a Caltagìrone; poi appariscono anche isolatamente nei dintorni di
Palermo e di Trapani.
Il minerale che vi si riscontra e che viene utilizzato per la estrazione
del solfo, non è affatto omogeneo: in esso, il contenuto in solfo varia dal
20 al 40 Vo .
Un minerale con un tenore in solfo inferiore al 15 Vo non è economi-
camente lavorabile. L^estrazione del solfo, per il 75 Vo della produzione totale
nostra, si eseguisce mediante i così detti calcaroni. Essi sono escavazioni se-
micircolari, praticate nel terreno, del diametro di 10 a 20 metri e profonde
2 0 3 metri, con un piano inferiore inclinato. Il minerale viene in queste
buche accumulato, circondato da un muro a secco formato di blocchi di
gesso, ricoperto poi con pezzi di minerale povero o già esaurito in una pre-
cedente operazione. Esso è poi acceso mediante batuffoli di paglia inzuppati
di solfo, introdotti nella massa del minerale ; e si scalda lentamente sino a fa-
sione del solfo* che contiene, consumandosi come combustibile una parte del solfo
4el minerale medesimo. Ad operazione finita con questo metodo, si ricava
circa dal 65 al 70 Vo ^^^ solfo contenutovi. Il processo primitivo delle calca-
relle^ simili in tutto ai calcaroni ma di dimensioni assai più piccole, è oggi
totalmente abbandonato; poiché, oltre al rendimento assai più basso, spande-
vano nell'atmosfera una quantità enorme di anidride solforosa che distruggeva
tutta la vegetazione circostante. Oggi, con qualche forno rigeneratore, co-
struito in muratura, si lavora più convenientemente il minerale, ottenendo
fino al 75 Vo del solfo dosato nel minerale impiegato.
Il processo di estrazione del solfo col vapore acqueo soprariscaldato,
non diede economicamente buoni risultati, specialmente nella Sicilia, per il
prezzo elevato del combustibile che si deve usare, e che neirinterno della
Sicilia raggiunge facilmente il prezzo di 60 lire per tonnellata. Teoricamente
occorrerebbe vapore di due atmosfere di pressione, per ottenere la fusione del
solfo ; resperimento ha però dimostrato che non si riesce a liberare il mine-
rale del solfo senza portare la pressione del vapore a 3 atmosfere.
Parimenti sono rimasti senza successo i tentativi, eseguiti in grande, di
estrarre il solfo dai minerali a mezzo del solfuro di carbonio.
Il solfo trovava nei tempi passati una estesa applicazione nella fabbrica-
zione dell'acido solforico, nella preparazione delle polveri piriche, del solfuro
di carbonio, e soprattutto della soda. E basta ricordare, a proposito di questo
ultimo prodotto, che per ogni 100 chilogr. di carbonato sodico occorrevano
367 chilogr. di solfo, il quale andava totalmente perduto nei capimorti
della lavorazione, costituendo un materiale ingombrante, e nocivo alla salute
pubblica ed airagricoltura.
Dopo il 1860 si aprì una nuova via insperata per Vimpiego del solfo,
e cioè esso fu riconosciuto rimedio specifico contro T Oidium Tuccheri^ allora
comparso in Italia in modo allarmante. Oggi si può dire che quest'ultima sia
S GUGLIELMO KOERNER
Tunica applicazione del solfo che ne consumi quantità realmente considere-
voli, poiché l'acido solforico oggigiorno si prepara, salvo piccolissime quan-
tità che servono per uso scientifico, quasi esclusivamente dalle piriti e dal-
Tanidride solforosa, che costituisce un capo morto nella fabbricazione dello
zinco dalla blenda.
Le polveri piriche a base di solfo sono state in questi ultimi anni rim-
piazzate per la maggior parte da altri esplosivi più potenti e privi di
solfo. La soda oggi è preparata con altro processo, impiegando cioè ammo-
niaca anziché solfo. Di più, i residui della preparazione della soda, più sopra
ricordati, e che contengono tutto il solfo della lavorazione di tanti anni, e
per mezzo secolo circa si accumularono come materiale ingombrante, ven-
gono di nuovo utilizzati, e il solfo in essi contenuto vien rimesso in circo-
lazione. Ed altre quantità considerevoli si ottengono dai residui della purifi-
cazione del gas illuminante.
Un impiego del solfo che non ha subito diminuzione ma che è di poca
importanza in confronto alle quantità consumate nelV agricoltura, è quello per
la preparazione del solfuro di carbonio. Tale prodotto, fin dal 1850 era
adoperato per disciogliere e vulcanizzare la gomma elastica; in seguito, il
suo uso come solvente si estese, e, come tra poco vedremo, il solfuro trovò
impoi*tante applicazione neirindustria dei grassi, e neir agricoltura come
mezzo per distruggere gli insetti nocivi. La sua produzione, nel 1905, era di
2806 tonn., delle quali, 317 furono esportate; nel 1909 se ne produssero
2050 tonn., delle quali se ne esportarono 1257 quintali.
Da quanto ho sopra esposto rimane in modo evidente dimostrata anche
la mia asserzione fatta da principio: cioè che, mentre le sorgenti naturali ed
artificiali, dalle quali il solfo può essere estratto, considerevolmente aumentano,
diminuiscono in modo inquietante le sue applicazioni; e che unico e solo
riparo ad un^industria tanto minacciata, non può essere che una nuova estesa
e diretta utilizzazione della sostanza, od un'estrazione assai meno costosa.
Acido borico. — Tn quanto vlW acido borico, quantunque le sue sorgenti
siano in questi ultimi anni notevolmente aumentate, e parte degli Stati che
largamente consumavano tale prodotto si provvedano del materiale primo
da altre fonti, pure, essendosi, per tale acido e per i suoi derivati, estesi
i modi di utilizzazione, vi è da sperare che la sua produzione e la sua pre-
parazione abbiano un avvenire migliore di quello che oggi si prevede per
l'industria del solfo.
L'acido borico ed il borace si usano largamente come leggeri antisettici :
sono impiegati per Y apprettatura nelle industrie tessili e per la stiratura
della biancherìa: ed anche nell'industria vetraria, specialmente per la pro-
duzione dei vetri che servono nella chimica, nella fìsica e nella medicina;
perchè danno al prodotto, così preparato, limpidezza, facile fusibilità, e man-
L INDUSTRIA CHIMICA I>^ ITALIA NEL CINQUANTENNIO ^
tengono altissima la resistenza dei vetri airattacco dei reagenti chimici.
L*acido borico si usa ancora per la preparazione di alcuni colori, e serve in
tali casi per orientare i gruppi solfonici o nitrici in alcuni posti speciali
della catena delVantracene o di altri idrocarburi.
Aliarne. — L'importanza dell'industria dell'allume in questi ultimi anni
è assai diminuita, poiché oggi si usa più convenientemente e più economi-
camente il solfato di alluminio, che si ottiene da altri materiali. Oltre a ciò,
non essendo più tale produzione privativa dello Stato pontifìcio, — il quale un
tempo costrìngeva i cattolici a servirsi del prodotto della sua privativa, pena
la scomunica, — ed essendo diminuito il prezzo, grazie alla concorrenza pro-
dotta dal solfato di alluminio, la fabbricazione di questo prodotto, che oggi
si eseguisce a Civitavecchia, offre, economicamente, un ben tenue profitto.
Prodotti minerarii e metallurgici. — Nell'anno 1860, il valore
della produzione mineraria e metallurgica d*Italìa, calcolata allo stato greggio
e sul luogOf era inferiore a 60 milioni di lire, metà del quale valore era rap-
presentata dal solfo di Sicilia e della Romagna. In ordine di importanza
seguivano poscia il mercurio, il rame, il piombo, oltre ai prodotti dell'indu-
stria siderurgica. Verso il 1860, dopo un periodo di sospensione della estra-
zione del mercurio, causata dal basso prezzo al quale questo metallo era di-
sceso, la sua preparazione e lavorazione dai minerali della Toscana gradata-
mente aumentò, cosicché, dalle tre tonnellate annue che costituivano la pro-
duzione italiana nel 1860, si arrivò a produrne 770; di modo che l'Italia
occupa oggi il secondo posto tra i paesi produttori di mercurio. Anzi, questa
è Tunica industria metallurgica che sìa assolutamente indipendente dall'estero,
e di cui si faccia larga esportazione.
Grande fu l'attività dal nostro paese spiegata nel campo metallurgico ;
ne fanno fede i molteplici perfezionamenti introdotti nella lavorazione delle
materie prime, cosicché si rese economicamente possibile la lavorazione di
minerali relativamente poveri.
Le statistiche dimostrano inoltre che in questi ultimi anni la produ-
duzione di tutti i metalli ebbe un notevole incremento.
Così, per es., da 600 tonn. annue, la produzione del rame e delle sue
leghe salì a 20.000 tonn. Il quantitativo raggiunto di solfato di rame, che
con la produzione precedentemente citata è strettamente collegato, iniziatosi
nel 1885 con poche tonnellate, raggiunse le 45.000 nel 1907, per rimanere in
questi ultimi anni stazionario, essendo state distrutte, dalle intemperie, con-
siderevoli estensioni di vigneti, nei quali si impiegava questo sale.
Piombo. — Il piombo, nel 1860, veniva estratto dai suoi minerali in
quantità insignificante ; oggi, invece, la produzione del metallo raggiunge le
1^ GUGLIELMO KOERNER
25.000 tonnellate; e perciò, la esportazione del minerale è quasi scomparsa.
Il che dimostra il progresso di questa industria.
Diminuì notevolmente invece la fabbricazione della biacca. Questo fatto
ò dovuto alle leggi proibitive e restrittive venute in vigore negli Stati esteri, i
leggi che vietano Tuso di questa sostanza velenosa e conducono alla sua gra- i
duale sostituzione con altri prodotti meno nocivi; ciò che naturalmente ne
diminuì l' esportazione.
Industria siderurgica. — La mancanza di combustibile limitò e ri-
tardò fortemente lo svolgersi deirindustria siderurgica. Nel 1860, la ghisa pro-
dotta saliva appena a 40.000 tonnellate ; la massima parte di essa poi, con
mezzi assai primitivi, che erano ancor quelli lasciatici in eredità dai Romani,
veniva trasformata in feiTO. I tentativi fatti in seguito, fino a circa venticinque
anni fa, per produrre in grande Tacciaio, non diedero risultati economica-
mente soddisfacenti. Solo col sorgere, nel 1884, delle officine di Temi, pas-
sato il periodo burrascoso dovuto specialmente a condizioni difficili del mer-
cato, a poco a poco siamo riusciti a liberarci daironeroso tributo airestero, e
possiamo far sicuro affidamento per l'avvenire. Nel 1903 poi, le azioni delle
società minerarie dell'Elba, che si trovavano allora in possesso di capita-
listi esteri, furono riscattate da industriali italiani; e, dopo l'intervenuto
accordo fra le nostre officine siderurgiche da una parte ed i cantieri di Oderò
di Genova e dei fratelli Orlando di Livorno dall'altra, tutto il prodotto delle
miniere di quest'isola si sfrutta pei bisogni della nostm industria.
Dai nostri alti forni annualmente esce mezzo milione di tonnellate di
metallo. Tale produzione è in continuo, progressivo aumento; infatti, nel 1908,
il valore del materiale era di 32 milioni di lire inferiore a quello del 1909.
La produzione dell'acciaio, da 500 tonnellate prodotte nell'anno 1860, sali
a 600.000.
L'industria siderurgica italiana vive in gran parte, come in un giornale
tedesco (^) ha esposto un tecnico straniero molto competente, per le forni-
ture che essa fa alla marina, all'esercito e soprattutto alle ferrovie dello
Stato, le quali, dopo aver difettato di materiale per oltre venti anni sotto
l'amministrazione delle Compagnie private, passando allo Stato, stanno rinno-
vando quasi completamente il materiale rotabile e il materiale fisso.
Per fare ciò, lo Stato ha speso, in pochi anni, oltre 1500 milioni di lire;
le ordinazioni, naturalmente, vanno, almeno in gran parte, all'industria ita-
liana, per proteggerla dalla concorrenza straniera e per assicurarle lavoro.
Lo Stato ha anche favorito altrimenti l'industria siderurgica nazionale, col
porre forti dazi e con lo stabilire premi di navigazione per le navi costruite
in Italia.
(*) Frankfurter Zeitung, e da questa riprodotto neH*** Industria», voi. XXII, pag. 161.
l'industria chimica in ITALIA NEL CINQUANTENNIO H
Le compagnie di Davìgazione hanno in questi ultimi anni aumentato il
numero dei loro vapori per migliorare le condizioni della loro flotta, dando
così lavoro alle of&cine siderurgiche nazionali. Le favorevoli condizioni ge-
nerali, alla loro volta, resero facile di ottenere il capitale necessario per mi-
gliorare ed allargare le officine ed il loro macchinario. Il centro dell'industria
del ferro in Italia si ritrova nella Liguria (la quale produce il 62 Vo del ferro
omogeneo e il 16 Vo del ferro fucinato di produzione italiana) e nella vicina
costa Toscana. Queste regioni hanno il vantaggio di poter ricevere con
minor spesa e maggior comodità le materie prime che vengono per mare
dall'estero. Colà il carbone costa, per tonnellate, 8 o 10 lire meno che nel-
Tinterno della Lombardia. L'introduzione di ferro vecchio, che ammonta ad
oltre 3 milioni e mezzo di tonnellate, è anche agevolata dal fatto che gli
industiiali genovesi comprano, specialmente in Inghilterra, vecchie navi, che
vengono demolito ; il ferro usato viene rilavorato.
Nelle vicinanze di Genova si trovano le acciaierìe e le ferriere di Sestri
Ponente, Veltri, Bolzaneto, Savona. Quando saranno terminate, le officine di
Savona, che già oggi sono le più importanti d'Italia, potranno produrre
150.000 tonnellate di acciaio all'anno: delle quali, più della metà servirà a
fare rotaie, ed il resto per essere laminato e trasformato in alberi o lamiere.
Le navi da guerra costruite a Sestri Ponente vengono armate con can-
noni fabbricati dallo stabilimento Armstrong di Pozzuoli. La fabbricazione
delle motrici a vapore per navi è fatta a Sampierdarena, da uno degli sta-
bilimenti Ansaldo-Armstrong, ove esiste anche un riparto per la costruzione
delle locomotive. Come cantiere, il più antico è quello dei fratelli Orlando di
Livorno, il quale in 17 mesi e mezzo fabbricò Tincrociatore « Varese « di
7500 tonn., battendo il record della velocità costruttiva; esso dà lavoro a
2800 operai, e il suo capo è ritenuto la prima autorità italiana in fatto di
costruzioni di navi.
I due su ricordati cantieri hanno costruito numerose navi da guerra per
marine estere, come per es. per l'Argentina, il Brasile, la Spagna, il Por-
togallo, la Bumenia, il Giappone. L'abilità ed il buon mercato dei fucina-
tori italiani li fanno concorrenti temibili.
L'isola d'Elba fornisce in grande quantità il minerale di ferro, che
mentre è molto ricco di ferro, contenendone in media il 55 ^/o, è quasi privo
di solfo e fosforo. Le miniere cibane erano sfruttate anche dagli antichi
etruschi, i quali avevano i forni di estrazione del metallo a Populonium, la
odierna Populonia. Presso Rio dell'Elba e Rio Marina sorgono rosse colline
di ematite. Le miniere appartengono allo Stato italiano, il quale ne ha con-
cesso lo sfruttamento fino al 1917 alla società «Elba*. Annualmente si
devono estrarre 450.000 tonn. di minerale, di cui 200.000 sono, per legge,
destinate al sud d'Italia. Le miniere d'Elba sono lavorate a giorno, a gra-
dini. A Portoferraio sorgono i due alti forni della società Elba, dei quali
uno produce 250 tonn., e l'altro 150 tonn. al giorno.
12 OUGLIEI.MO KOERNER
La ricchezza mineraria deirisola d*Elba ha fatto rifiorire anche la cit-
tadella di Piombino, ove è sórto da modesti inizi, in qaesti anni, un gran-
dioso impianto, nel quale aono impiegati 5000 operai, e che occupa un'area
di 750.000 m. q. La Società si è assicui*ato un quantitativo annuale di mi-
nerale di 100.000 tonn. Ha un forno Martin per Taccialo e lavora imme-
diatamente la ghisa ancor liquida proveniente dagli alti forni. Dalle scorie
si fabbrica cemento.
Anche Telettricità porterà forse il suo contributo allo svolgersi di questa
industria. Già oggi qualche fabbrica di acciaio lavora coi forni elettrici bre-
vettati dallo Stassano; così alla povertà del combustibile potrà supplire la
ricchezza in energia idraulica.
Coke metallurgico. — Collegata direttamente ed intimamente con la
industria siderurgica è quella del coke metallurgico. Fino a pochi anni fa,
questo prodotto era esclusivamente importato; oggi, a Savona, esso si pro-
duce in grande copia da carboni fossili inglesi, e viene somministrato a
tutte le acciaierìe italiane, eccezion fatta per quella di Piombino, dove nella
stessa acciaierìa si prepara il coke occorrente, rinunciando a qualcuno dei
sottoprodotti della cokificazione, che, pev Tofficina di Savona, costituiscono
uno dei fattori di maggior utile.
I forni impiegati in questa ultima fabbrica sono del sistema Semet-
Solvay: hanno la capacità di 50 quintali cadauno, e sono in numero di 50.
Il processo di cokificazione, che dura 24 ore, è veramente ingegnoso ed è,
in questa officina, applicato in modo tale, da utilizzare tutti i sottoprodotti
della lavorazione. Così, il gas che si svolge nella distillazione, sepai-ato dal
catrame, dai benzoli, dall'ammoniaca, serve al riscaldamento dei forni stessi; i
catrami vengono venduti come tali e servono per Timpregnazione del legno allo
scopo di aumentarne la resistenza contro gli agenti atmosferici. I benzoli si im-
piegano quasi totalmente nell'industria della gomma; il toluene passa nelle
fabbriche degli esplosivi; l'ammoniaca, trasformata in solfato ammonico, trova
la sua utilizzazione come concime nell'agricoltura.
Questa industria, già ottimamente oggi condotta, sai*à tra qualche tempo
ancor più perfezionata, quando, ultimato a Vado lo stabilimento ora in co-
struzione, assai più vasto di quello ora esistente a Savona, questa tftessa
società sottoponga anche i catrami ad una sistematica lavorazione per pò*
torli vendere sotto forma di prodotti di maggior valore. E così potrà prepa-
rare sul luogo stesso gli olii pesanti per assorbire e separare i benzoli, in-
vece di comprarli, come è costretta oggi, dalle ben avviate distillerie di pe-
trolio e di catrame di Fiorenzuola e di Borgo San Donnino.
Esplosivi. — Il progredire dell'industria mineraria, ì lavori portuali,
quelli ferroviari, il perfezionarsi della pirotecnica, aumentarono il consumo
l'industria chimica in ITALIA NEL CINQUANTENNIO 13
degli esplosivi, e la loro ind astria crebbe di importanza e si perfezionò.
All'incremento di questa industria contribuì anche grandemente l'abolizione,
nel 1869, del monopolio delle pol?eri piriche vigente in molte regioni ita-
liane. Oggi, tutti gli esplosivi impiegati nel nostro paese sono di fabbrica-
zione nazionale, se si eccettuino piccole quantità di polvere da caccia.
Tra le fabbriche italiane primeggia quella della Società • Dinamiti-
Nobel * di Avigliana; essa è capace di produrre annualmente oltre 3000
quintali di dinamite e 7000 di balistite ed altri esplodenti, e prepara sul
posto tutti gli acidi occorrenti.
La dinamite che servì ultimamente per il traforo del Sempione, venne,
per la quasi totalità, preparata a Villafranca Bagnone. La polvere senza
fumo si fabbricò in Italia per la prima volta nel 1890: a tale scopo il Mi-
nistero della Guerra costruì il polverificio di Fontana Liri. È anche in co-
struzione a Roma un istituto speciale governativo, che, dotato di ricchi mezzi
scientifici e di personale appositamente scelto, dovrà analizzare, controllare,
studiare gli esplosivi italiani.
Accanto airindustria delle polveri a base di nitroglicerina e coton ful-
minante, nel nostro paese si sviluppò anche la fabbricazione delle polveri
al clorato e perclorato potassico: come la Cheddite, il Prométhée ecc.
Annualmente si producono 24.000 quintali di polveri piriche (fuochi
artificiali compresi), 11.000 quintali tra balistite, cheddite, selenite, silurite,
Prométhée, fulmicotone, e 8500 di dinamite. La quantità di fulminato di
mercurio preparata nel 1909, è stata di 68 quintali; quella del cotone-
collodio, di 2828 quintali.
Fiammiferi. In Italia, la fabbricazione dei fiammiferi fosforici era lar-
gamente esercitata, fin dalla loro scoperta (1830); solo in questi ultimi anni,
però, essa assurse ad una notevole importanza. Tutti i tipi di fiammiferi
sono da noi ottimamente fabbricati. Annualmente si producono 42.000 quin-
tali di fiammiferi di legno, e la loro produzione in questi ultimi tempi rimase
stazionaria; crebbe invece notevolmente quella dei fiammiferi di legno pa-
raffinato e quella dei così detti fiammiferi di cera, dei quali ultimi due pro-
dotti si fa anche larghissima esportazione. Se ne esportarono infatti, nel 1909,
circa 36.700 quintali; l'importazione invece fu di appena 45 quintali.
L'industria chimica italiana, per la natura e fertilità del nostro suolo,
pel nostro clima, oltre che nel ramo minerario doveva svilupparsi e fiorire
in quei rami di produzione che traggono la loro materia prima dai frutti
della coltivazione del suolo, o che nella lavorazione dei campi sono larga-
mente impiegati. Tale fu appunto il senso in cui crebbe e prosperò anche
Vindustria chimica nostra neirultimo cinquantennio.
14 GUGLIELMO KOERNBR I
Concimi artificiali. — Il Liebig, nell'anDo 1840, come del resto ò
universalmente noto, pose Tagrìcoltura su una nuova base, dando ad essa
l'indirizzo odierno. Nella sua celeberrima opera: Die Chemie in ihrer
Antoendung auf Agricultur u, Physiologie, egli emise la massima : • La
pianta verde vive esclusivamente di sostanze inorganiche^ e cioè di acido
carbonico, ammoniaca (acido nitrico), acqua, acido fosforico, solforico, sili-
cico, calce, magnesia, potassa, ferro; alcune abbisognano anche del cloruro di
sodio. Lo stallatico e gli escrementi animali hanno azione nutritiva in virtù
delle sostanze inorganiche che contengono, e possono essere rimpiazzati dalle
sostanze inorganiche stesse nelle quali essi si scompongono nel terreno »•
Da ciò deriva la massima che è assolutamente necessario di restituire al
terreno, per conservargli la fertilità, tutte le sostanze inorganiche che ad esso
vennero tolte coi diversi raccolti. Liebig dimostrò, in base a numerose ana-
lisi, quanto sia piccolo il contenuto in potassa ed in anidride fosforica del
suolo coltivabile; mentre, per es., con ogni raccolto di patate si asportano
circa 100 kg. di potassa per ettaro, e con un raccolto di barbabietole se
ne asportano non meno di 166 kg. per la stessa area, contemporaneamente il
suolo si impoverisce di quantità considerevoli di anidride fosforica. Ma
quanto difficilmente si è fatta strada questa dottrina nuova, e quanto è
stato combattuto il suo autore, e quanto lentamente è stato compreso !
Una volta ammessa l'esattezza delle vedute del Liebig intomo alla nu-
trizione delle piante, veniva da se Y indeclinabile necessità di provvedere al
compenso e di rifornire al terreno quanto da esso si era tolto. Eppure i profes-
sori di agricoltura e la grande massa degli agricoltori, forse per dimostrare
vero ancor oggi quanto fu detto dal profeta Jesus Sirach (^), si dimostrarono
refrattari a questa nuova dottrina, considerando il chimico come un incompe-
tente intruso, e trovando questa teoria in assoluta opposizione a quanto era
allora generalmente praticato. Tuttavia nel 1841 la casa Gibbs e Sons iniziò
la importazione del guano come materiale fosfatico : importazione che, in se-
guito ai buoni risultati pratici ottenuti, prese subito un grande sviluppo.
Neiranno 1842 furono importati 1,820 quintali; nell'anno successivo, l'impor-
tazione in Europa fu di 46,670 quintali, per raggiungere nel 1862 i 4,350,000
quintali.
Dal Liebig, oltre il guano, era stato indicato l' uso delle ossa per lo
stesso scopo, raccomandando già fin da allora il trattamento delle mede-
sime con acido solforico per render facile la diifusione dell'acido fosforico nel
terreno. L* industriale inglese Lawes, per il primo sostituì le ossa coi fosfati
minerali, e fondò nel 1843 la fabbrica a Detford. Da allora data l' industria
dei concimi chimici; neiringhilterra essa fu così ben accolta che già nel 1862
se ne consumarono 2 milioni di quintali. Dall'Inghilterra, questa industria
(*) Bibbia, libro di Jesus Sirach, cap. 39, versi 26 e 27.
l'industria chimica in ITALIA NEL CINQUANTENNIO 15
passò in Gennania ed in Francia, dove, grazie alle numerose scuole di agri-
coltura, rapidamente si sviluppò.
Il conte di Cavour per il primo, in. questa parte come in tante altre
pratiche agricole, dopo aver per parecchi anni consecutivi favorito l'uso in
Piemonte di quantità considerevoli di guano, cercò di provocare la fabbri-
cazione dei concimi chimici in Italia, e spinse V industiale Fino di Torino a
fabbricarne coir impiego delle ossa, dei sali di ammoniaca e di potassa.
L'industria non ebbe però lo spei-ato successo, non essendo il paese a ciò
ancor preparato a causa della insufflcienie istruzione agraria di allora. Pari-
menti, r industriale Curletti di Milano, che impiantò nel 1867 la prìma fab-
brica di perfosfati di ossa in Lombardia, non trovò in Italia compratori del
suo prodotto, e dovette trasportarlo a Marsiglia per poterlo vendere. La Scuola
superiore di agricoltura di Milano, nel cui programma quella mente organiz-
zatrice d' istruzione superiore, che fu il senatore Brioschi, fece prendere largo
posto air insegnamento della chimica, diffuse rapidamente il sofSo delle nuove
dottrine in paese, facendo un vero apostolato pei concimi chimici, in modo
che, col 1883 circa, si impiantarono divei*se fabbriche ove si preparavano
perfosfati, sia dalle ossa sia dalle fosforiti. Da allora in poi, questa industrìa
assurse a grandissimo sviluppo, cosicché oggi lavorano 117 fabbriche: delle
quali, 100 hanno fabbricazione propria di acido solforico; le altre acquistano
l'acido da altri stabilimenti. Sette fabbriche, poi, sono cooperative fra agri-
coltori.
La produzione dei perfosfati è oggi dai 9 ai 10 milioni di quintali. Di
questi, 509,000 derivano dalle ossa : il resto da fosfati minerali, importati dal
nord dell'Africa e in parte anche dall'America. Si può avere un coacetto
della rapidità con la quale si sono sviluppati la produzione ed il coasumo
di questi concimi, ricordando che nel 1885 se ne produceva un milione e
mezzo di quintali; nel 1892 si arrivava a due milioni e mezzo; nel 1896
a cinque milioni e mezzo ; oggi a circa dieci milioni di quintali. Le fabbriche
sono molto diversamente distribuite uella penisola; numerosissime nell'Italia
del nord, limitate nella centrale, pochissime nella meridionale e nelle isole.
Delle 117 fabbriche, più di 80 si trovano nella valle del Po.
Colla. — Intimamente collegata alla produzione dei concimi dalle ossa,
e da questa industria direttamente dipendente, è la fabbricazione della colla.
Questa si prepara dalla parte organica delle ossa, detta osseina, per mezzo
di una prolungata ebollizione con acqua alla temperatura di 130^ C, in au-
toclavi. L'osseina, con questo trattamento, subisce una trasformazione e diventa
solubile nell'acqua calda, dando una soluzione che, a freddo, si rapprende in
una massa gelatinosa. Questa, con apposite macchine, è tagliata in tavolette
che si distribuiscono su reti di corda, sulle quali si asciugano, il più rapida-
mente possibile, per mezzo dell'aria corrente, ad una temperatura di poco
superiore ai 20® C.
1<^ GUOLIBLMO KOBRNER
Essendo la colla, nelle sue forme più comuni, un prodotto di bassis-
simo prezzo, la sua fabbricazione, perchè possa diventare rimunerativa, non
solo richiede una lavorazione assai perfetta, in cui la materia prima in tutte
le sue parti sia utilizzata, ma inoltre e soprattutto la possibilità di procu-
rare le ossa a buon mercato. E perciò la vitalità della maggior parte delle
fabbriche di colla è fortemente dipendente dal luogo ove esse si impiantano (').
La colla comune, come abbiamo detto, si prepara dalle ossa, liberando
queste, per mezzo di solventi adatti (solfuro di carbonio o benzina), dal grasso
contenutovi, e sciogliendo la parte minerale (fosfato di calcio e di magnesio) in
acido clorìdrico, il quale lascia come residuo indisciolto la osseina, che col-
Tacqua bollente lentamente si scioglie e si trasforma in colla. L'aggiunta di
acido solforoso conduce ad un prodotto meno colorato, e ne impedisce e ri-
spettivamente ne ritarda la putrefazione. Dalla soluzione cloridrica si pre-
para, con raggiunta di latte di calce, il fosfato di calcio precipitato del
commercio, che costituisce un prodotto accessorio assai ricercato.
Questo modo di preparare la colla non è sempre economicamente con-
veniente, e perciò non di rado il processo si inveire, nel senso di sciogliere
col vapor acqueo a 130^ 0. dalle ossa (previamente sgrassate con solventi
adatti, od anche mercè la semplice ebollizione con acqua) la osseina, la
quale così è trasformata in colla, mentre rimane indisciolta la parte mine-
rale delle ossa, frammista a piccole quantità di sostanze azotate, che viene
destinata a concime.
Questa industria però, che era ancor fiorente in Italia alla fine del se-
colo scorso, man mano perdette di importanza, e ciò specialmente perchè,
(*) Oggi, sem prò più, per il successo doiresercizio di ogni ramo deUMndastria chi-
mica, uno dei principali fattori si ha nella scelta della località più favorevole air instal-
lazione degli stabilimenti : oggi che, per la sempre crescente concorrenza, i prezzi dei pro-
dotti diminui^icono continuamente, mentre nei processi di fabbricazione molte volte non
è più possibile raggiungere ulteriori economie, la riescila di un* industria dipende essen-
zialmente dalla riduzione delle spese di trasporto, sia delle materie prime, sia dei pro-
dotti lavorati; ed anche dalla possibilità di avere a minor prezzo Tenergia occorrente:
prezzo costituito dal costo del combustibile o della forza idraulica e mano dVpcra. Così,
avviene assai di frequente, in Germania, che grandiosi impianti, per tali necessità, cam-
biano di luogo e si trasportano in immediate vicinanze della materia prima da lavorare,
quando ivi si trovano a buon mercato anche i mezzi per il trasporto dei prodotti lavorati
verso le località di maggior consumo.
Da ciò senz^iltro si comprende come la proposta fatta dal prof. Oddo, per venir in
aiuto air industria del zolfo in Sicilia, di trasformare il minerale in acido solforico, non
possa ra^cgiungere lo scopo; appunto per le ragioni sopra esposte, relative al costo del
trasporto, sia della materia prima, sia del prodotto risultante. Infatti, o si trasporta la
materia prima al litorale, anziché il solfo di essa, e la spesa di trasporto notevolmente
aumenta; o si trasporta Taci do solforico, e allora, rappresentando esso il triplo del peso
dello zolfo, si richiedono molto maggiori spese per T imballaggio : senza parlare, pui,
delle difficoltà inerenti al trasporto.
l'industria chimica in ITALIA NBL CINQUANTENNIO 17
yigendo io Austria un dazio di importazione di L. 10, mentre l'Italia non
ha che an dazio generale di L. 4 ed uno convenzionale di L. 1, quel paese
fa incetta, specialmente in Italia, di ossa; da cui prepara la colla, facendo
concorrenza alla stessa Germania.
Dal 1908 al 1905 l'Austria esportò dalVItalia, rispettivamente, 16,000,
24,400 e 50,900 quintali di ossa. In oggi, l'importazione e l'esportazione
della colla comune in Italia sono pressoché uguali, e sommano, in cifre tonde,
a 11,000 quintali.
Gelatìne. — Colle di qualità migliori si ottengono per l'azione del-
l'acqua calda sul carniccio sgrassato, decolorando la risultante soluzione con
acido solforoso e concentrandola nel vuoto. Esse portano il nome di gelatine,
ed hanno molteplici applicazioni; p. es., per preparare le capsule in cui si
somministrano medicamenti di gusto ingrato. La più fina qualità di gelatina
è destinata alla fotografia, per le lastre dette a secco; essa si ottiene col-
r impiego esclusivo di pelle freschissima proveniente da animali giovani, spe*
cialmente vitelli, e richiede una preparazione molto accurata e precisa per
esclndere ogni principio di decomposizione putrida, durante la lavorazione.
I requisiti che questo prodotto richiede perchè possa essere utilizzato, ne ele-
vano grandemente il prezzo : ma, per converso, ne rendono molto proficua la
industria.
Nel mentre la produzione delle colle comuni diminuisce in Italia, la
fabbricazione delle gelatine è stata, negli ultimi anni, assai bene avviata, e
quella del prodetto per uso fotografico ò divenuta oggetto di industria gran-
diosa, e si trova in continuo aumento.
Concimi azotati. — Accanto ai concimi fosfatici, grande impiego tro-
varono nella agricoltura i concimi azotati. Nel 1830 si scoperse nel Chili la
più grande sorgente di azoto nitrico; ma, pur troppo, tale giacimento, per-
durando l'intenso sfruttamento odierno, in una ventina di anni circa sarà
esaurito : come già, del resto, fu esaurito il giacimento di guano del Perù,
che forniva uno dei più pregiati concimi. Le fabbriche del gas, del coke
metallurgico, dell'acido borico, con la produzione del solfato ammonico come
prodotto accessorio della loro industria, costituiscono una nuova solvente per
l'azoto, da utilizzare come concime nella agricoltura. La fabbricazione del
solfato ammonico è, per l'Italia, di data relativamente recente. Se fin dal
1870 le acque ammoniacali del gaz di Milano erano impiegate per avere
solfato ammonico, la sua produzione era tuttavia insignificante; nel 1893
essa raggiunse le 320 tonnellate; oggi l'Italia fabbrica, di questo sale, 6,800
tonnellate. Quantità, codesta, assai inferiore a quella richiesta pel consumo
interno. Infatti in Italia, nel 1909, si impiegarono circa 25 mila tonnellate
di solfato ammonico per l'agricoltura.
Guglielmo KoKRNnn. — L'industria chimica ecc. 2
Id GUGLIELMO KOERNER
Calciocianauiide. — Non bastando adunque la pioduziooe pel consumo,
e non potendo essa essere aumentata, la chimica dovette allora ricercare
nuove fonti che potessero sopperire al bisogno.
Tentata nel 1894, ma senza ottenere alcun pratico risultamento, la
trasformazione delV azoto atmosferico in azoto nitrico per mezzo dei bacterii
nitrificanti; abbandonata per ragioni economiche la fabbricazione dei ni-
trati mediante le scariche elettriche, venne riconosciuta di grande impor-
tanza per r Italia la fabbricazione della calciocianamide, fissando così Tazoto
atmosferico sopra il carburo di calcio. L* esistere in Italia già da tempo, ben
avviata e prosperosa, l'industria del carburo di calcio, fu una condizione
assai favorevole per lo svolgersi anche di quella della calciocianamide. L'ab-
bondanza di ottimi calcari, la potenza dell'energia idraulica, fecero si che il
carburo di calcio potesse essere prodotto in quantità tali ed a prezzi così
favorevoli da poter essere esportato in grandi quantità. La statistica infatti
dimostra che nel 1899 se ne produssero 660 tonnellate; nel decennio
successivo se ne fabbricarono 4800 all'anno. NelPanno 1906 un terzo della
produzione veniva esportato; in seguito, poi, l'esportazione subì una notevole
diminuzione, dovuta in parte alla maggior richiesta per il consumo intemo
come mezzo illuminante, in parte anche perchè esso direttamente viene tras-
formato in calciocianamide. In quelle fabbriche di calciocianamide, dove si
si usa l'azoto proveniente dalla distillazione frazionata dell'aria liquida, si
ottiene come capomorto l'ossigeno; il quale viene compresso in bombe, e
venduto per uso industriale — allo scopo di ottenere, con una combustione più
viva, temperature elevatissime — e anche per uso terapeutico.
Gas compressi. — Accennerò, a questo proposito, che I* industria dei
gas compressi, dal 1906, incominciò ad avere una discreta importanza econo-
mica. Oggi si preparano in Italia quantità considerevoli di idrogeno e di
ossigeno che si ottengono per via elettrolitica, e si produce in grande anche
l'anidride carbonica; e una discreta quantità (600 quintali nel 1909) di
cloro liquido. Quest' ultimo risulta come prodotto accessorio nelV indu-
stria della
Soda elettrolitica. — Si prepara in due stabilimenti, nella quantità
complessiva di 82,000 quintali, ottenendo oltre 600 quintali di cloro lique-
fatto, 95,000 quintali di ipoclorito di calcio come prodotto accessorio, il
quale sopperisce completamente agli odierni bisogni dell'industria italiana.
Il possibile consumo di questo prodotto regola e limita la produzione della
soda elettrolitica, la quale non può essere aumentata senza che si trovi un uso
per il cloro, sia libero, sia allo stato combinato.
Clorato potassico. — Se, come abbiamo visto, la preparazione dei
nitrati dall'azoto atmosferico, per mezzo delle scariche elettriche, in Italia
l/lNDUSTRlA CHIMICA IN ITALIA NEL CINQUANTENNIO 1^
non potè economicamente essere sfrattata, oggi la preparazione del clorato
potassico, invece, raggiunse imo sviluppo importantisssimo, ed i quattro
quinti del consumo italiano sono forniti dalla fabbrica elettrolitica di Le-
gnano, impiantata qualche anno fa, per preparare acido nitrico e nitrati
dair azoto atmosferico.
Zaccliero. — Un'altra industria, che, dopo molti tentativi falliti, assunse
in questi ultimi tempi un inaspettato e grandioso sviluppo, tale da rendere
il paese del tutto indipendente dairestero, è la fabbricazione dello zucchero
di barbabietola.
È noto dagli scritti dell'Amari {Storia dei Musulmani in Sicilia) che
sin dal nono secolo i Saraceni introdussero nella Sicilia e nella Calabria la
fabbricazione dello zucchero estratto dalla canna da zucchero. Tale industria
si mantenne fiorente sotto i Normanni, sparendo durante il dominio degli
Angioini, per risorgere un'altra volta rigogliosa sotto gli Spagnoli. I tentativi
fatti sul principio del passato secolo, all'epoca del blocco continentale, di
riprendere la coltivazione della canna da zucchero in Sicilia, dimostrarono
rìmpossibilità di tale coltura a causa delle nuove condizioni climatiche pro-
dottesi in seguito al disboscamento. Similmente non diedero il desiderato
rìsultamento le prove per estrarre lo zucchero da altri materiali, quali l'uva,
le castagne, i fichi, il miele e altri simili. Circa l'estrazione dello zucchero
dalla bietola saccarifera, sono da rammentare, unicamente per la storia, i
tentativi fatti a Parma, Piacenza e Lucca, dal 1806 al 1812, per ordine
del Governo Napoleonico; e, più tardi, i tentativi fatti a Bologna ed a Massa-
lombarda per opera di coltivatori svizzeri. E così pure hanno valore solamente
storico gli impianti eseguiti a Samo presso Napoli nel 1842, a Castellaccio
presso Roma nel 1867, a Cesa presso Arezzo nel 1872. Né toma inutile,
sempre per la storia, far anche cenno dei numerosi progetti di Società e di
impianti, quasi tutti mancati allo scopo, e promossi dal 1870 al 1890 in
gran numero di città della Media e dell'Alta Italia, e in qualche città
anche dell'Italia Meridionale.
Il conte di Cavour, persuaso dei vantaggi che al nostro paese sarebbero
derivati dalla coltivazione della barbabietola, tentò di introdurre tale colti-
vazione nel Piemonte.
Successivamente nel 1871, il Miraglia, direttore generale dell'Agricol-
tura, diede alle Stazioni Agrarie^ allora appena fondate in Italia, il com-
pito di studiare e stabilire coll'esperimento, quali fossero le località più
adatte ad una coltivazione economica della bietola saccarifera.
L'industria fece poi un primo passo importante nell'anno 1881 colla
costituzione a Milano dell'Associazione lombarda per la coltivazione della
barbabietola da zucchero; coli* impianto, fatto nel 1882, della fabbrica di
San Martino Buonalbergo; colla costituzione a Londra, nel 1888, del Comi-
20 GUGLIELMO KOERNER
tato Anglo-Italiano per 1* industria dello zucchero in Italia; e finalmente
nel 1885 coir impianto di due nuove fabbriche a Bieti e a Savigliano:
delle quali, dal 1887 per la prima, e dal 1892 per la seconda, prese la
direzione amministratiya Ton. Maraini, che con precise cognizioni tecniche
seppe ottenerti migliori risultati economici nell* industria dello zucchero dalle
barbabietole.
L* industria saccarifera italiana si sviluppò grandemente solo dopo la
legge del 1888, la quale fissava in L. 28,85 la protezione apparente del-
rindustria italiana per il rafiBnamento e la fabbricazione dello zucchero, ed
aggiungeva un premio, per bilanciare i premii dei paesi esteri, consistente
nella determinazione della tassa col metodo induttivo dei densimetri ; mercè
il quale metodo, una parte dello zucchero rimane legalmente esente dalla
tassa. Tale legge fu modificata nel dicembre 1809, nel luglio 1902 e nel
luglio 1910; in virtil dell* ultima modificazione, oltre la già effettuata sop-
pressione di ogni premio, fra sette anui la protezione verrà ridotta, nel com-
plesso deir industria, a L. 22,85.
Fino airanno 189G esistevano due sole fabbriche, che salirono a quattro
nel 1897; a trenta nel 1901, e a trentatrò nel 1902; oggi se ne contano
trentacinque.
La produzione dello zucchero indigeno, calcolato come raflBnato, nel 1896
non arrivava a 20,000 quintali; ora invece, secondo ogni probabilità, rag-
giungerà un milione e mezzo di quintali.
Per tale produzione si coltivano circa 50,000 ettari di terreno, dai quali
si ricavano, in media, circa 15 milioni di quintali di bietole, conteneoti il
10-10,5 7o di zucchero estraibile.
11 numero dei lavoratori occupati nella coltivazione di detta super-
ficie, nei momenti dei più intensi lavori (semina, isolamento, sarchiatura,
e raccolto col relativo u-asporto), varia dai 50 ai 100 mila.
Nelle fabbriche poi può calcolarsi che venga impiegato un operaio
per ogni tre ettari di terreno coltivato a bietole; e quindi in media si
hanno 18,000 operai durante la campagna, e solo circa 1200 nel resto
deiranno.
Un fatto, assai importante, da rilevare, sta in questo: che il personale
tecnico dirigente era in origine straniero (per ogni fabbrica si avevano al-
meno : il direttore, due capi fabbrica, due assistenti, due cuocitori, un capo
meccanico ; e perciò da sei ad otto persone straniere, le quali, nel complesso,
salirono in certi momenti, presso tutte le fabbriche, ad oltre duecento per-
sone tecniche straniere); mentre oggi non vi sono più che otto direttori,
qualche capo fabbrica, capo-meccanico o cuocitore stranieri. In tutto, circa 15
tecnici ; il rimanente è stato sostituito da personale italiano.
Coiraumento della produzione nazionale aumentò pure notevolmente la
relativa raflinazione. Fino al 1900 essa era fatta in tre sole raffinerie ed
l'industria chimica in ITALIA NEL CINQUANTENNIO 21
io lina fabbrica-raffineria; oggi essa si compie in tre raffinerie e cinque
fabbriche-raffinerie, capaci complessivamente di raffinare oltre due milioni di
quintali di zucchero, impiegando stabilmente 1800 operai air incirca.
Coiraumentare della produzione indigena diminuì, naturalmente, e quasi
scomparve 1* importazione dello zucchero; il qnal fatto, tenuto conto della
differenza tra la tassa di fabbricazione e il dazio di importazione, ha prodotto
per l'Erario una perdita annuale di circa quattordici milioni di lire negli
ultimi dieci anni. Ciò nonostante, si deve riconoscere che questa industria
ha arrecato al paese beneficii incalcolabili : in primo luogo, V intero valore
del prodotto è rimasto nel paese; secondariamente, un numero grandissimo
di lavoratori sono impiegati ; in terzo luogo, — e questo è forse il vantaggio
maggiore, — Tagricoltura, in seguito airobbligo assoluto, fatto ai coltivatori, di
operare in dati modi prescritti per la coltivazione, impiegando date quan-
tità e qualità di concimi e date varietà di semi, ha fatto in brevissimo
tempo progressi straordinarìi, che non sarebbero stati raggiunti se non in
molti decennii.
Lo stesso è avvenuto, come giustamente rileva il prof. <3Ìglioli, pre-
cedentemente in Germania ed in Austria ; presso le quali nazioni, il rapidissimo
sviluppo della agricoltura, raggiunto dopo il 1870, viene attribuito sopra
tutto alla razionale coltivazione delle barbabietole da zucchero.
Glucosio. — Rapidamente si diffuse presso noi la fabbricazione di questo
prodotto, che, come è noto, si ottiene dall'amido e da materiali amidacei per
Fazione degli acidi diluiti sotto debole pressione. Quattordici stabilimenti
producono oggi questo prodotto nella quantità di circa 55 mila quin-
tali, mentre dal 1886 al 1890 la produzione annua media era di 28.786
quintali.
Zucchero di latte, acido lattico, caseina. — La convenienza di
fabbricare il burro su vasta scala per l'esportazione, ha condotto da parec-
chio tempo altri paesi — per esempio: la Danimarca, TOlanda. la Germania —
air istituzione di grandi latterie, nelle quali si lavorano centinaia di ettolitri
di latte al giorno.
Di queste latterìe, parecchie sorsero da noi, specialmente in Lombardia ;
ed a Lodi ve ne ha una, la piii grande forse d'Europa, che lavora giornal-
mente pìd di 500 ettolitri di latte, estraendone il burro. L* impossibilità di
adibire airalimentazione del bestiame (maiali e vitelli) tutto il latte magro
risultante, ha condotto ad una migliore utilizzazione di questo latte magro :
Si estrae da esso la caseina e lo zucchero di latte, detto lattosio ; e la me-
lassa di questo ultimo prodotto si trasforma in gran parte in acido lattico.
Questo è oggi richiesto in quantità considerevoli dalle concerìe, dove viene
impiegato per togliere la calce alle pelli conciate, e viene usato anche sotto
I
22 GUGLIELMO KOEKNER
forma del suo sale di antimonio come mordente in tintorìa. La caseina, a
sua volta, è impiegata nella fabbricazione della carta, e nella patinatura di
questa ; è altresì adoperata come appretto nei tessuti, nella stamperia, nella
fabbricazione e lavorazione dei cartonaggi, e in fine nella produzione deiravorio
artificiale. Lo zucchero di latte poi, un tempo assai poco usato, oggi è este-
samente impiegato nella farmacia e neiralimentazione dei bambini ecc. Per
l'Italia, però, esso è principalmente un articolo di esportazione.
Alcool. — Essendo l'Italia un paese eminentemente vinicolo, doveva
in esso svilupparsi, naturalmente, l'industria della distillazione del vino. Col
sopraggiungere della crittogama, che infierì nelle nostre campagne dal 1850
al 1860 circa, Tindustria dell'alcool e dell'acquavite subì un notevole ral-
lentamento, tanto che per sopperire, in questi anni di carestia, al consumo
interno, si ricorse alla produzione francese e più di tutto alla Germania, la
quale, non essendo separata dairitalia da barriera doganale, aveva mercato
aperto pel suo alcool ricavato dalla patata. Solo nel 1850, in Milano, sorse
il primo stabilimento per la produzione deiralcool dai cereali, sotto la ra-
gione Carlo Sessa ; stabilimento, però, che, per i mezzi primitivi di cui era
dotato, poteva sopperire al solo consumo locale,
Costituitosi il Regno dltalia, l'industria dell'alcool potè' progredire; e
quantunque i dazii protettori fossero assai esigui, l'introduzione dell'alcool
germanico si ridusse ai quattro quinti del totale consumo.
Nel 1879 sorse la prima distilleria per lavorare le sostanze amidacee
con la diastasi, e si ebbe come sottoprodotto la « borlanda « , che serviva
all'alimentazione del bestiame. Il maggior impulso, però, all'industria del-
Talcool, venne dato dall'applicazione della tassa interna di fabbricazione che,
applicata per intera al confine, veniva riscossa in Italia per abbuoni. Tale
tassa, nel 1880 era di 30 lire, e salì gradatamente fino a 270 lire (tassa
odierna).
La legge che regola il regime fiscale, dìstingne le fabbriche di alcool in
due grandi categorìe. La prima comprende quelle fabbriche, che lavorano
l'amido e le sostanze amidacee; i residui della fabbricazione dello zucchero
dalle barbabietole; i tartufi di canna; Tuva secca. La seconda comprende
le distillerie che estraggono l'alcool dalla frutta, dal vino, dal miele, e dalle
vinaccie. in realtà, questa divisione fiscale corrisponde anche ad una netta
divisione industriale. Oli stabilimenti che appartengono alla prima categoria,
hanno a loro disposizione impianti condotti coi più rigorosi criteri tecnici, e
devono essere in grado di adattarsi agli sbalzi, ai quali vanno soggette le
produzioni vinicole, determinati dall'andamento delle campagne, che talvolta
gravano sul mercato con pletore enormi di vino, come appunto avvenne nel
1910; di modo che esse devono esser pronte a cambiare, ad ogni evento, il
materiale per la fabbricazione. Inoltre si devono assoggettare al continuo
l'industria chimica in ITALIA NEL CINQUANTENNIO 23
mutamento delle norme legislative, che si succedono con una rapidità e fre-
quenza impressionanti. Oggi, infatti, si contano più di duecento tra leggi,
decreti, regolamenti ed istruzioni, che disciplinano l'industria ed il com-
mercio degli spiriti.
Alla seconda categoria appartengono invece i piccoli e numerosi impianti
di carattere eminentemente agricolo, e massimamente vinicolo, che preparano
liquidi alcoolici, per lo più destinati al consumo diretto, e solo in piccola
quantità destinati ad ima ulteriore rettificazione.
Se però i sedici grandi stabilimenti, che appartengono alla prima cate-
goria, furono, per le ragioni citate, sino ad ora obbligati ad adattarsi alle
condizioni di vita a loro imposte, più che seguire i perfezionamenti tecnici
e scientifici, che sono i principali fattori di progresso : il primo consorzio da
pochi anni istituitosi ha migliorato di assai le loro condizioni, permettendo
loro di dirigere il mercato e regolare la produzione.
Mercè l'introduzione dell'alcool denaturato, iniziata nell'anno 1903, si
consumano in Italia 800.000 ettolitri di alcool anidro; l'origine del quale, nelle
ordinarie annate, va ricercata, per un terzo, nella distillazione dei residui delle
melasse di barbabietole: un terzo proviene dalle sostanze amidacee: il resto,
dal vino e dalle vinacce.
L'importazione dell'alcool ò oggi quasi nulla, se si escludano le piccole
quantità di alcool assolutamente puro per la profumeria e pei gabinetti di
chimica. Dell'alcool denaturato, di cui si fabbricano 95.000 ettolitri, un
terzo si impiega per preparare etere solforico, e per la fabbricazione della
seta artificiale; il resto per riscaldamento ed illuminazione.
Acido tartarico. — Non pochi tentativi furono fatti dall'anno 1870
in poi per fabbricare in Italia l'acido tartarico, pel quale il nostro paese
dispone di quantità enormi di materie prime (tartaro gre^io, grumo di botte,
feccie di vino), sostanze che si dovevano esportare, non potendo, fino a pochi
anni fa, la fabbricazione indigena sostenersi di fronte alla concorrenza delle
nazioni inglese e tedesca, ove le fabbriche erano, tecnicamente, assai meglio
dirette .
L'esito sfavorevole dei tentativi di fabbricazione fatti per molti anni, si
volle attribuire alla differenza tra i prezzi del combustibile praticati da noi
e quelli correnti in altri paesi; ora tale differenza, se contribuì certamente
all'insuccesso, non ne fu la causa principale. La vera e precipua ragione si
deve invece ricercare neirinsufficiente preparazione del personale tecnico, e
soprattutto dei chimici direttori, perchè si tratta di un'industria che richiede
un continuo controllo, non solo per le materie prime e per quelle che occor-
rono nel processo di preparazione, ma principalmente per i prodotti nelle varie
fasi della lavorazione, la quale si deve, a seconda dei casi, modificare. Nelle
Puglie, oggi abbiamo la più grande fabbrica di acido tartarico del mondo, la
24 GUGLIELMO KOERNKR
quale, benché fosse aperta da 28 anDÌ, soltanto in questi ultimi tempi ha
saputo vincere tutte le difficoltà, sia rispetto all'acquisto delle materie prime,
sia, e soprattutto, rispetto alla lavorazione. Questa fabbrica ha una potenzialità
di 30.000 quintali di acido tartarico (quantità, però, non ancora raggiunta dalla
produzione). La seconda fabbrica d'Italia si trova a Milano, e dà prodotti
superiori a quelli della prima ed anche a quelli di lavorazione estera.
Esistono inoltre due o tre altre fabbriche, a .Tatto secondarie in confronto
delle precedenti. La produzione italiana di acido tartarico nello scorso anno
ha superato i 36.000 quintali; ed il prodotto è stato per la massima parte
esportato. Esso serve in tintoria per avvivare i colori nella tintura delle stoffe
fini, come tartaro emetico e come mordente nella stamperia.
Acido citrico ed essenze degli agrami. — La produzione dell'acido
citrico in Italia è tuttora nulla, quantunque il nostro paese fornisca quasi
per intero il materiale da cui viene preparato l'acido citrico per il consumo
em'opeo. In fatto, esso è contenuto nel succo dei limoni nella quantità del
5 Vs &^ ^ Vt por cento ; e questo succo risulta come prodotto accessorio nella
fabbricazione dell'essenza di limone, la quale si prepara da secoli spremendo
la buccia dei limoni e costituisce un prodotto di grande esportazione.
Per ottenere questa essenza, si tagliano i limoni in due, si sbucciano
queste due parti, e si spreme la buccia fra le dita raccogliendo l'essenza su
spugne, che, alla loro volta spremute, la forniscono come un olio, il quale, per
poter esser messo in conmiercio, non ha che da essere filtrato e separato
dalle piccole quantità di liquido acquoso che l'accompagnano. Dai bergamotti
e dalle arancie si ottengono col medesimo procedimento altre essenze, assai
ricercate in commercio. Nel 1907 si esportarono kgr. 476.842 di essenze
di limone, 173.265 di quelle di arancio e 87.533 kgr. di essenza di ber-
gamotto, che complessivamente rappresentarono un valore di oltre 10 milioni
di lire.
Nei frutti sbucciati, che per i limoni costituiscono circa ^U dell'intero
raccolto, si trova, come ho già detto, l'acido citrico, in quantità del 6 Vs por cento
circa nel succo ottenuto nei mesi di dicembre e gennaio, per diminuire poi gra-
datamente colla maggiore maturanza del frutto stesso. Questo succo si ottiene
per torchiatura, e non ha altra applicazione che come materiale per la pre-
parazione dell'acido citrico, la quale, conseguentemente, dovrebbe avere la
naturale sua sede nel luogo della fabbricazione delle essenze. Essa, invece,
oggi ancora si eseguisce in Inghilterra e in Francia e, sia pure in piccola
quantità, anche in Germania. Varii tentativi di preparare Tacido citrico in
Sicilia furono fatti nella seconda metà del secolo scorso, ed una fabbrica
esisteva da una ventina di anui a Messina; fabbrica che a mala pena trasci-
navasi avanti, senza poter raggiungere risultati economici favorevoli.
Ciò deve attribuirai in primo luogo all'insufficiente direzione tecnica di
l'industria chimica in ITALIA NBL CINQUANTENNIO 25
quelle imprese, e, secondariamente, al fatto che la lotta contro la concorrenza
dell'estero, dove gli stabilimenti troravansi da molti anni ammortizzati, si
presentava assai ardua, anche pel maggior costo, presso di noi, del combu-
stibile che entrava allora come un fattore importante nel processo di fabbiica-
zione. Il processo, per quanto sia ancor oggi sostanzialmente quello ideato dallo
Scheelenel 1784, tuttavia, negli ultimi decennii, per ciò che riguarda la parte
meccanica, coir introduzione dei congegni ed apparecchi della tecnica chimica
moderna (come ftlterpresse, centrifughe, concentrazione nel vuoto in caldaje a
multiplo effetto), è stato migliorato assai, nel senso soprattutto di ridurre di
molto la quantità di combustibile. Inoltre si deve aggiungere ancora T usura
esercitata dagli incettatori di limoni e di agro cotto, i quali, profittando del
bisogno che preme ai produttori, si accaparrano a prezzi bassissimi il prodotto
deirannata, quando i limoni sono ancora in fiore.
Essendo in oggi riescita splendidamente l'industria dell'acido tartarico
in Italia, non vi ha più ragione di dubitare di un ugual successo per quella
dell'acido citrico, la quale richiede identico impianto dell'altra, ed è assai
più semplice e dà sicuro afBdamento, se esercitata da mani esperte e unita-
mente alla fabbricazione dell'acido tartarico, di poter lavorare per tutto Tanno.
Per l'acido citrico poi, esiste il grande vantaggio di poter aggiungere le
ultime acque madri dei cristalli, senz'altro, al nuovo succo destinato alla lavo-
razione; ciò che per l'acido tartarico non è possibile, o lo è soltanto dopo averle
sottoposte a complicati e costosi processi di purificazione e trasformazione.
A causa delle non lievi difficoltà precedentemente incontrate nei tenta-
tivi di fabbricazione dell'acido citrico sul luogo di produzione del succo, si
è continuato, ed in parte si continua tuttora, u concentrare il succo avuto
con la torchiatura dei frutti sbucciati (8000 frutti danno in media 600 litri
di succo al 5,6 sino al 6,5 par cento di acido citrico) ad un quinto del
proprio volume, e spedire questo prodotto — che contiene in media 25 Vo di
acido citrico e prende il nome di agro di limone — all'estero, come materiale
per la fabbricazione dell'acido. Nell'ultimo decennio però si è incominciato a
trasformare il succo piimitivo, dopo averlo chiarificato per filtrazione o decan-
tazione, nella Sicilia stessa, in citrato di calcio, e ad esportare questo sale
debitamente lavato e perfettamente essiccato, invece dell'agro cotto; fatto, co-
desto, che costituisce un primo ed importante progresso, non andando più perduta,
come prima, la spesa per la concentrazione dell'agro. La fabbricazione del
citrato calcico, eseguita oggi in piti di 150 stabilimenti della provincia di
Messina, costituisce un notevole progresso e segna un primo passo verso la
fabbricazione deiracido citrico in Italia: fabbricazione, la quale, indubbia-
mente, è oggi, da noi, economicamente possibile, purché venga esercitata da
tecnico competente.
Il Governo dovrebbe con ogni mezzo &vorire lo svolgersi di tale industria,
escluso però quello ultimamente adottato, cioè del forte dazio protettivo, che
26
GUGLIELMO KOKRNBR
non occoire affatto e noo ha altra conseguenza che qnella di far pagare assai
di più, agli italiani, un prodotto italiano.
La produzione europea dell'acido citrico oltrepassa assai i 40.000 quia-
tali, nia non basta ancora al consumo.
Essenze naturali. — Un'altra industria che in Italia potrebbe dive-
nire assai (iorente, e che, data la natura del nostro suolo e del nostro clima,
potrebbe essere esercitata con sicuro profitto su larga scala, è la produzione
delle essenze e dei profumi coU'estrazione diretta dai fiori freschi, a questo
scopo appositamente coltivati.
L'uso dei profumi risale alle più remote antichità ed è connesso, come
è noto, alle tradizioni ed al culto. Sostanze aromatiche, come resine, balsami
e legni bruciati, costituivano i primi profumi; ed anzi, da questo modo di
preparare l'aroma ha origine la parola <« profumo ». Poi il gusto, raffinatosi,
fece scegliere sostanze di altra natura, e l'uso si allargò fino a raggiungere,
all'epoca di Luigi XV, addirittura l'incredibile. La Pompadour spendeva an-
nualmente oltre mezzo milione di franchi per profumi. Però la scelta di
questi nuovi profumi non fu sempre felice, almeno pei nostri gusti odierni.
Infatti si usarono in altri tempi abbondantemente il muschio, V ossa fetida;
e come profumo assai stimato, un tempo, vi era quello delle mele marcie,
impastate, miste a cannella e stecchetti di garofani, con grasso, le quali
fornivano le così dette pomate (pommades). Ed è noto come il poeta Schiller
tenesse sempre mele putride nella propria scrivania, perchè l'odore dì queste
gli serviva come eccitamento al lavoro intellettuale.
Oggi, se Tesagei-azione a cui si era giunti nel secolo XVII non esiste
più, l'uso, sia pure parco, dei profumi, si è esteso anche alle classi meno
abbienti ; cosicché il consumo ne è aumentato assai, come risulta da recenti
notizie. Nella sola Europa il consumo di profumerìe liquide nello scorso anno
raggiunse la cifra di un milione di chilogrammi, e quello di pomate ed
essenze 800.000 chilogrammi, senza tener conto delle enormi quantità di
saponi profumati e di acque per toilette, delle quali non si hanno dati pre-
cisi, sebbane si sappia con certezza che il consumo fu ingentissimo.
Se si pensa clie la Francia esporta annualmente per dodici milioni di
lire di profumi naturali, e la Germania per otto milioni ed un quarto, non
ò possibile che da noi l'industria della coltivazione dei fiori per la fabbri-
cazione dei profumi non possa prosperare. La casa Schimmel di Miltiz, presso
Lipsia, coltiva da 10 anni, su 35 ettari di terreno, la rosa damascena rossa,
coltivata anche a Kasanlik, e produce in media 260.000 chilogr. di fiori, che
danno 100 dbilogr. di essenza assai apprezzata. Questa casa ha, sul luogo
della coltivazione, un impianto colossale per l'estrazione della essenza, tecni-
camente perfettissimo. Ora, anche nella regione litorale dell'Italia dovrebbe
essere possibile la coltivazione dei fiori odorosi in genere, ed in modo spe-
l/lNDUSTRIA CHIMICA IN ITALIA NEL CINQUANTENNIO 27
ciale quella delle rose di Bulgaria ; e vi potrebbero essere impiantati degli
stabilimenti informati agli stessi criterii tecnici seguiti dalla su nominata
Casa tedesca e dagli industriali di Grasse, Cannes e Nizza. Tale iniziatira
dovrebbe essere incoraggiata dall'esempio di Grasse, ove più di 15.000 per-
sone sono stabilmente occupate in tale industria che produce per molti mi-
lioni di lire di profumeria. Né dovrà spaventare il dubbio che 1 profumi
sintetici possano un giorno o l'altro con la loro concorrenza economica ab-
battere l'industria dei profumi naturali; perchè accadrà quanto si è avverato
per la seta naturale e la artificiale: vale a dire, che un prodotto non esclude
l'altro; anzi, qualche volta aumenta il consumo del naturale.
La Germania produce per un milione di marchi di vaniglia artificiale,
ed a tutta prima sembrava che la produzione della vaniglia naturale dovesse
essere abbandonata; invece, Tanno scorsovi si importarono 45.000 chilogr.
di baccelli di vaniglia che furono totalmente consumati dalla Germania
stessa: consumo non mai raggiunto, anche prima della preparazione artificiale
del prodotto.
Olii grassi. — L'industria degli olii e dei grassi nel nostro paese,
benché la materia prima, ad eccezione delFolio di oliva, venga per la maggior
parte importata, fece notevoli progressi nello scorso cinquantennio. Questo,
vale tanto per la preparazione dei grassi come tali, quanto per la loro lavo-
razione e trasformazione in altri prodotti. Non pochi stabilimenti hanno
decuplicato la loro produzione; molti nuovi ne furono impiantati, introducen-
dovi man mano tutti quei miglioramenti che sono suggeriti dalla tecnica
moderna. Nell'industria olearia il primo posto spetta naturalmente alla
produzione dell* olio dì olivo, che costituisce uno dei più importanti prodotti
del suolo italiano. Il numero dei frantoj, da qualche anno, é notevolmente
aumentato, ed oggi se ne contano oltre 18.000, di cui relativamente assai
pochi son mossi ancora da forza animale e sono rimasti di modello vecchio.
Qna gran parte invece funziona mediante forza idraulica ; altri sono a vapore,
altri usano l'energia elettrica od i motori a gas povero.
Fra questi ultimi ve ne sono di assai importanti, specialmente in To-
scana, nelle Puglie e qualcuno anche nelle Galabrie. La preparazione del
così detto olio al solfuro^ che si ottiene per estrazione delle sanse mediante
solventi diversi (solfuro di carbonio, benzina di petrolio, ecc.), ha pure avuto
in questi ultimi anni un notevole sviluppo; ed oggi si contano oltre 50 olei-
ficii che lavorano in questo senso. L' olio al solfuro ha la sua principale uti-
lizzazione nell'industria dei saponi. 1 tentativi di sostituire il solfuro di
carbonio col tetracloruro di carbonio o con la cosiddetta trielina, altro solvente
clorurato, non hanno dato risultati favorevoli accertati.
Stearina, saponi, glicerina. — Per industria chimica 'dei grassi si
intende specialmente la lavorazione dei medesimi per la produzione delle
28 GUGLIELMO KOERNER
candele steariche, dei saponi, della glicerina: la quale lavorazione, nei gran-
diosi nostri opifici moderni, viene generalmente preceduta dalla preparazione
dei grassi di origine vegetale da semi esotici, mentre i grassi animali per
la maggior parte si introducono sotto forma di sego.
L' impiego del sego per le candele ò di uso assai antico, ed ognuno co-
nosce anche i difetti di questo mezzo di illuminazione: parimenti, fin da
epoca remota si trasformavano i grassi in sapone, facendoli bollire con lisci-
via potassica, sino a soluzione, e precipitando con cloruro sodico il sapone
dmu Nel 1825 i celebri chimici francesi GayLussac e Chevreul, assieme
con rindnstriale Cambacères, presero un brevetto, secondo il quale, dal sapone
potassico, preparato nel modo or ora indicato, si mettono in libertà gli acidi
contenutivi, e, di questi, i meno facilmente fusibili si impiegano per la fab-
bricazione delle candele (steariche), mentre quelli a punto di fusione più
basso si ritrasformano in sapone. Si ottennero in tal modo due prodotti assai
superiori, per qualità, a quelli fin allora avuti, e si realizzò il concetto di
usare una materia prima nel modo più razionale, impiegandone ogni compo-
nente per fabbricare il prodotto al quale meglio si adatta. Da quel tempo
r industria ha fatto, specialmente per opera dell' industriale Millej, molti e
svariati progressi. In Italia, nel 1860 era ancora assai usata la candela di
sego, quantunque in quell'epoca esistessero già alcune fabbriche di candele
steariche : fabbriche che possedevano soltanto mezzi rudimentali. Oggi ab-
biamo una serie di grandiosi stabilimenti, che lavorano i grassi in modo
razionale, destinando la parte migliore di essi, debitamente purificata, alla
alimentazione (margarina); e trasformando il resto, secondo le sue speciali
attitudini, o in candele od in sapone ; ricavando nello stesso tempo Y altro
componente dei grassi, la glicerina, di cui una parte relativamente piccola (^)
viene purificata da noi in appositi stabilimenti, mentre il grosso si esporta.
Il Liebig, nella undicesima delle sue lettere chimiche, parlando dei sa-
poni, così si esprimeva:
« La quantità di sapone consumato è la misura del benessere e della
cultura dei vari Stati. Gli economisti certamente non vorranno riconoscere
al sapone questo merito ; ma si prenda la cosa per burla o sul serio, questo
è certo, che, confrontando il consumo di sapone di due Stati, uguali per nu-
mero di abitanti, il più ricco e progredito è quello che ne consuma di più ;
inquantochè la vendita ed il consumo di questo prodotto non dipende nò dalla
moda nò dal gusto, ma soltanto dal sentimento del bello, del benessere, del
piacere che deriva dalla pulizia. Ove questo sentimento ò ben sviluppato ed
ò in grande considerazione, ivi si trovano agiatezza e cultura associate. I ricchi
del Medioevo, che usavano con essenze e profumerie costose soffocare l'odore
ingrato che esalava dalla loro pelle e dai loro vestiti, che mai venivano a
«
C) Nel 1909 si propararono 2800 quintali di glicerina distillata.
l'industria chimica in ITALIA NEL CINQUANTENNIO ^
contatto col sapone, usavano nei cibi e nelle bevande, nei vestiti, nei cavalli, ecc.,
un lusso assai maggiore del nostro ; ma quanta distanza li separa da noi, che
consideriamo sudiciume e immondezza come sinonimi di calamità e miseria !
« Il sapone appartiene a quella categoria di prodotti, il valore dei quali
sparisce continuamente dalla circolazione e deve essere sempre rinnovato : esso è
uno di quei prodotti deir industria, che dopo Tuso, al pari del sego e deirolio
che si abbruciano per 1* illuminazione, perde ogni suo valore. Con vetro rotto
si possono acquistare lastre nuove : con cenci si possono ottenere vestiti nuovi ;
ma r acqua di sapone non si può mettere un' altra volta in commercio. Si è
tentato, è vero, in alcune grandi lavanderie, di raccogliere l'acqua di sapone,
di separarne gli acidi grassi mediante l'aggiunta di acido solforico, e di im-
piegare questi, dopo un prolungato riscaldamento inteso a liberarli dalle impu-
rità frammiste, a produrre saponi di qualità inferiore; ma anche se si riescisse ad
ottenere così ottimi prodotti, la quantità di sapone ricuperata resterebbe sempre
minima rispetto a quella già consumata, ed il processo, economicamente, non
sarebbe conveniente «.
Il nostro paese ha un' industria saponiera assai ben sviluppata e fiorente,
tale che la sua produzione non solo basta al nostro consumo, ma conduce
anche all'esportazione di quantità notevoli di certi tipi di sapone. Questo
non esclude che alcune qualità di saponi profumati per toilette^ a causa della
moda, più che per la reale superiorità del prodotto, vengano importate in
quantità abbastanza notevole.
Fra grandi e piccole fabbriche di saponi, se ne contano oggi, in Italia,
circa 800; le quali nell'anno 1905 produssero complessivamente 1.500.000
quintali di saponi diversi, di cui si esportarono 30.650 quintali per un va-
lore di 2 milioni di lire, oltre a 1400 quintali di saponi profumati, del valore
di 280.000 lire. L'industria è in continuo aumento, e si raggiunse nel 1908
una esportazione di quintali 61.817.
Da alcuni anni, per iniziativa dei proprietaii delle fabbriche saponifere,
è stata istituita presso il Politecnico di Milano una Scuola per le industrie
delle materie grasse, dotata di laboratoil scientifici e tecnici per lo studio
di questa industria e per la formazione di un competente ed idoneo personale
tecnico, così dirigente come subalterno. Questa istituzione dovrà certamente
arrecare grande giovamento all' industria saponiera, e ne favorirà il progresso.
La carta. — L' Italia fu uno dei primi paesi europei che esercit-arono
r industria della carta fabbricata dai cenci. Le cartiere di Fabriano lavora-
vano fin dal dodicesimo secolo, ed oggi ancora mantengono la secolare fama
per la carta a mano. Da questo paese si diramarono tutti gli artefici che in
breve diffusero tale industria nelle altre regioni.
Quantunque la scoperta della stampa avesse già dato notevole impulso
al consumo della carta, pur tuttavia nel nostro paese l'industria di questa
non raggiunse un grande sviluppo se non dopo \ unità d* Italia.
30 GDGLIELMO KOERNKU
Iq questi ultimi tempi la produzione raggiunse due milioui di quintali
annui, dei quali, centocinquantamila vengono esportati. Si deve peraltro ricor-
dare, ad onore dei nostri industriali di questo ramo, che tutti i miglioramenti
apportati dalla chimica e dalla meccanica furono accuratamente seguiti, co-
sicché oggi, a provare quanto cammino si sia tecnicamente fatto, stanno i pro-
dotti che escono da queste nostre fabbriche, i quali possono gareggiare, per
bontà e perfesione, con tutti quelli delle altre nazioni. Coltivandosi nel nostro
paese grandi quantità di canape e di lino, finché la carta veniva preparata
dai cenci, 1* Italia aveva a sua disposizione la materia prima in abbondanza;
ma in seguito, il consumo sempre crescente di essa, fece sì che tale materia
prima non bastasse più. e la chimica suggerì allora Tuso del legno ridotto
in pasta, indicando a tale scopo il pioppo e l'abete, che oggi forniscono la ma-
teria prima per la produzione della massima parte della carta comune con-
sumata. Nasce da ciò, come conseguenza, che la fabbricazione della carta
è strettamente collegata con la coltura forestale: anzi, da questa direttamente
dipende. Purtroppo oggi il disboscamento e il consumo poco razionale della
legna fan sì, che il nostro paese debba essere tributario al Testerò per la ma-
teria prima. Se però Tesempio dato da alcuni valorosi industriali, che con
saggia previdenza si dedicarono alla coltura razionale del pioppo, sarà, come
è sperabile, seguito anche da altri, il nostro paese avrà fatto un gi-ande
passo verso la sua autonomia in questa industria.
Seta artìflciale. — Anche altre applicazioni della cellulosa furono in-
trodotte con successo in Italia. Fra le principali va ricordata la fabbrica-
zione della seta artificiale. Questa fabbricazione, intravista dal Réaumnr
nel 1784, fu realizzata solo nel 1785 dallo Cliardonnet, il quale riusi a pro-
durre della seta artificiale per mezzo del collodio ; e superate le maggiori diffi-
coltà inerenti al metodo, — tra le quali difficoltà va notata quella di poter to-
gliere al prodotto la facilità di incendiarsi, — nel 1900 incominciò la fabbrica-
zione in grande di questo prodotto, e, cinque anni dopo, soi-sero in Italia le prime
fabbriche. L'inizio della loro vita fu assai difficile; il dazio aperto, il
maggior costo della materia prima da noi, costituirono condizioni molto bur-
rascose per la loro prosperità; ora però T industria si sostiene. Noi contiamo
in Italia tre fabbriche (Pavia. Padova, Venaria Beale): esse producevano
giornalmente, nello scorso anno, dai quattrocento ai cinquecento chilogrammi
di seta al giorno.
Il consumo di questo prodotto in Italia è oggi di 200.000 chilogrammi;
esso va continuamente aumentando. Nel nostro paese la seta artificiale si
tinge anche in modo perfetto; cosicché si importa della seta artificiale bianca
che da noi viene tinta ed ulteriormente lavorata. La lotta tra la seta arti-
ficiale ed il prodotto naturale é oggi al suo inizio ; né è prevedibile in quali
limiti r una sarà vittoriosa sull'altra.
L INDUSTRIA CHIMICA IN ITALIA NEL CINQUANTENNIO
31
La seta artificiale oggi si è affermata nell* industria di alcuni tessuti,
che prima erano di esclusivo dominio della seta naturale : ma siamo tuttavia
assai lontani da un temibile sconvolgimento agricolo-industriale ; e la clas-
sica industria italiana non ha molto da temere dal nuovo prodotto chimico.
Questo, anzi, servirà a migliorare il prodotto naturale, poiché indurrà i pro-
duttori di seta a non impiegare piii quelle esorbitanti cariche di composti
metallici, che tolgono al prodotto ogni suo pregio.
Forse un giorno la seta artificiale, pel suo basso prezzo, diventerà di
uso comune ed a tutti accessibile ; la naturale rimarrà un prodotto fine, ari-
stocratico e assai ricercato.
Coir industria della seta artificiale ha grande attinenza la fabbricazione
del collodio, che costituisce la materia prima di una qualità della seta ar-
tificiale stessa, come pure della celluloide e delle pellicole cinematografiche.
Anzi in Italia, e propriamente a Padova, troviamo Tesempio di una fabbrica
di seta artificiale, che, per la sua potenzialità troppo grande e superiore ai
bisogni deirattuale sua produzione, ha ceduto una parte dello stabilimento
ad una società romana per la fabbricazione delle pellicole cinematografiche.
Anche la trasformazione del cotone in cotone fulminante per esplosivi si
eseguisce su vastissima scala, specialmente nei due grandi stabilimenti di
Avigliana e di Vìllafranca.
Un'altra applicazione utile della cellulosa si ha neir industria del cuoio
artificiale, detto pegamoide, che in Italia si produce su vasta scala e con
molto successo.
Vanto però dell* Italia, fin dai tempi più antichi, ed ancor oggi di gran-
dissima importanza commerciale, è Tindu^itria del vero cuoio e delle pelli
conciate, alla quale strettamente si collega quella degli estratti per la concia
e la tintoria. Le circostanze che favorirono lo svolgersi di tale industria nel
nostro paese, furono la quantità delle pelli prodotte, e l'abbondanza dei ve-
getali atti ad essere usati come materie concianti.
Infatti, fin dal 1271 troviamo in Venezia una corporazione di concia-
tori, retta da leggi e da statuti speciali, e godente particolari privilegii;
ed in Firenze la corporazione dei tintori. L'industria del cuojo si diffuse
rapidamente nelle principali città di Italia, con tanti piccoli stabilimenti.
La statistica dimostra una notevole diminuzione nel numero degli opifici, in
questi ultimi anni; ma fa conoscere che il numero del personale lavorante
e la forza motrice aumentarono notevolmente. Ciò indica un reale progresso
nel senso industriale. Infatti, la produzione dei cnoj conciati, che nel 1868
era di 143,000 quintali, nel 1900 era già salita a 500,000 quintali, per un
valore di 350 milioni di lire.
Le pelli italiane, per la loro ottima qualità, sono quasi totalmente espor-
tate, perchè molto ricercate all'estero ; mentre per il consumo interno noi
lavoriamo il pellame proveniente dall'America e dalle Indie, dal quale si
ottiene nella maggior parte un prodotto di media qualità.
32 GUGLIELMO KOERNER
Estratti concianti. — In questo ultimo yentennio V industria della
concia ha subito un radicale cambiamento, dovuto air impiego degli estratti
concianti. La fabbricazione di tali estratti è un'industria tutta moderna e
ha già raggiunto uno sviluppo tanto esteso che non solo essa basta al nostro
paese, ma è anche arrivata ad esportare una grande quantità dei suoi
prodotti.
Le proprietà concianti deirestratto dì castagno ei*ano state s^nalate
fino dal 1818, e da principio venivano applicate solo come sussidiarie alla
tintura in nero della seta; ma in seguito, a cau^:a della carica eccessiva che
esso impartiva al filo, fu quasi del tutto abbandonato. Fu solo verso il 1890
che la fabbricazione degli estratti da concia venne ripresa in modo razio-
nale: e cosi la quantità dei prodotti, che nel 1895 rappresentava un valore
di 132,000 lire, salì, in un decennio, a circa 4 milioni di lire. É doveroso
però far notare che Y impulso maggiore a questa industria fu dato dal pro-
cesso di concia rapida, brevettato, dei fratelli Durio di Torino ; processo che
peimette di ottenere in pochi giorni, ciò che prima richiedeva un anno e
più. La pratica attuazione di questo metodo fu soprattutto facilitata mediante
i perfezionamenti portati nella fabbricazione degli estratti tannanti stessi,
per merito specialmente della casa italiana Lepetit, Dolfus e C.^
Per la produzione di questi estratti si usano principalmente le piante
di castagno, di quercia, di qnebraco e di sommaco.
Il sommaco è una pianta speciale dell* Italia Meridionale, e del suo
prodotto, di gran valore, si fa una larga esportazione che rappresenta pa-
recchi milioni di lìrd; però, la quantità, che oggi si consuma, di questo pro-
dotto, accenna a diminuire in causa dell* uso del nuovo processo di concia,
detta al cromo.
In Italia si fabbricano estratti anche per la concia al cromo, e per il
processo di concia e tintura simultanee; e di questi prodotti si fa una grande
esportazione. Anche notevoli quantità di estratti coloranti vengono preparati
nel nostro paese; antichissima è tale industria, e tutti sanno che fin dal
secolo decimo quarto con la robbia siciliana e coll'oricella di Firenze si otte-
nevano colori assai rinomati. Oggi però, dopo un periodo di grandissima at-
tività, tale industria dovette soccombere, dopo che la chimica riuscì a pre-
parare, sinteticamente ed a prezzi assai piii convenienti, i principii coloranti
della robbia, partendo dal catrame di carbon fossile. Cosicché, mentre la
tintura eseguita col processo antico — servendosi, cioè, delle radici della
robbia, — doveva esser fatta da mani espertissime, e costituiva una vera arte,
oggi, coi colori sintetici, non solo si ottengono colla massima facilità, e da
chiunque, tutte le gamme di colori possibili, ma anche si può riprodurre
una data tinta quante volte occorre: il che era difiìcilìssimo nel passato.
Se neir industria della produzione diretta dei colori, l' Italia, per ra-
gioni tecniche ed economiche, non assurse a grande importanza, in quella
l'industria chimica in ITALIA NEL OINQUANTBNNIO ^
degli estratti coloranti invece il nostro paese fece grandi progressi ; cosicché
oggi i nostri estratti sono molto apprezzati sui mercati mondiali. Le indu-
strie che maggiormente consumano materie coloranti, sono le tintorie e le
stamperie. Dijficile riesce Tapprezzare e il calcolare quale sia il movimento
industriale in questo ramo, poiché gli industriali, alle nostre più discrete
domande, mantennero il più rigoroso silenzio. Oggi vi sono circa cento sta-
bilimenti che tingono, venticinque che stampano; fra i quali, alcuni hanno
preso grandioso sviluppo, sia nel senso economico, sia nel tecnico, come p. e.
la stamperia De Angelis a Milano, quella Schuepfer e Wenner a Sca-
fati ecc.
La stamperia, che un tempo si eseguiva solo a mano, cominciò a ser-
virsi delle perrotine verso il 1873, ed ancora oggi ne & uso in numero di
circa 45 per alcuni tipi di stampati. Si introdussero in seguito le macchine
a cilindri, che oggi salgono a circa 110. Ora la stamperia da noi ha rag-
giunto un grande sviluppo e, per certi suoi prodotti, ha conquistato in|breve
tempo molti dei più importanti mercati esteri.
Vetri artistici. — Un'arte, più che unlndustria, di cui T Italia van-
tava da tempo antichissimo una rinomanza indiscussa, pari a quella che
ebbe per la tintm*a colla robbia e con Toricella, é costituita dalla fabbrica-
zione dei vetri artistici. Quest'arte ora é divenuta una vera industria; e seb-
bene il nostro paese non possa competere con le altre nazioni per certi tipi
speciali di vetri, come ad esempio (quelli per specchi e quelli per uso chi-
mico ecc., pur tuttavia si può annoverare fra le prime per le vetrerie ar-
tistiche, di cui abbiamo un secolare esempio nella fabbrica di Murano presso
Venezia. Solo in questi ultimi tempi T Italia incominciò anche la lavora-
zione di certi vetri di uso comune, che un tempo erano totalmente impor-
tati; per esempio: i vetri da finestra, e parte di quelli di uso domestico ed
anche dei cristalli da specchio. Ciò non ostante, la importazione di questi oggetti
é solo di poco diminuita : essa perdura tuttora, ed in misura assai rilevante.
Unitamente alVantica rinomanza pei suoi vetri, Tltalia ha sempre avuto
anche quella per le maioliche artistiche e di uso comune; della grande im-
portanza di questa produzione fanno fede i numerosi stabilimenti che pro-
sperano e si trovano in continuo aumento dal 1860 in poi, anche perché le
porcellane, per ragioni non ben precisate, forse per la mancanca di caolino,
0 per il caro prezzo del combustibile, non potendo sostenere la concorrenza
con quelle estere, vengono in gran parte sostituite con la majolica fina negli
oggetti di usi comuni.
Cementi. ^ Sino al 1853 eravamo tributar! air estero per le calci
idrauliche, quantunque possedessimo il materiale primo eccellente per renderci
indipendenti da questa onerosa importazione. Solo con le molteplici costruzioni
Guglielmo Koi^rmer. — L'industria chimica ecc. 3
34 GUGLIELMO KOERNBR
ferroviarie neiritalia centrale, si incominciarono ad aprire le prime fabbriche.
Il buon risultato ottenuto fu di incoraggiamento alla installazione di nuovi opi-
fici ed alla ricerca del materiale necessario. Però la grande ricerca di marne
calcari fece salire notevolmente i prezzi di questa materia prima, e T industria
subì un notevole ristagno, finché nel 1876, nel Casalese, si scoperse che le
marne più argillose, debitamente trattate, potevano fornire dei cementi eccel-
lenti. Da allora incominciò un nuovo periodo floridissimo, sì che la produ-
zione bastò al bisogno interno. La produzione, che nel 1890 era di 100.000
tonnellate, salì fino a 600.000, quantità prodotta neirultimo anno; ed il con-
sumo è in continuo aumento.
Prodotti chimici diversi. — Nel 1860 non esisteva ancora una vera
industria chimica; bastarono allora ai bisogni dei nostri industriali tre fab-
briche di acido solforico, situate a Torino, Milano e Palermo, delle quali
le due prime preparavano inoltre acido cloridrico e nitrico, solfato di soda,
ferrugine e sali di alluminio per tintorie. Vi si ricristallizzava il carbonato
sodico, e si iniziò anche la produzione del vetro solubile per saponerie. Oltre
a ciò, alcuni laboratorii farmaceutici si occupavano della preparazione dei pro-
dotti galenici e di estratti diversi.
Il farmacista Carlo Erba, per il primo si servì di estrattori ad azione
continua, ed introdusse da noi la concentrazione nel vuoto, specialmente per
la produzione del suo estratto di tamarindo. Questo industriale, attivissimo,
pieno di iniziativa, e dotato di grande competenza tecnica, si accinse a pre-
parare anche altri prodotti su grande scala, come mannite, per es., e zucchero
di latte, ecc., per V esportazione; e soprattutto numerose e svariate specialità
farmaceutiche, che forniva a quasi tutte le farmacie del Regno non solo, ma
anche a non poche di altri paesi, ed in ispecial modo delle due Americhe.
Dair estensione raggiunta nella vendita di questi prodotti, derivò per il chimico
milanese la necessità di ampliare i suoi primitivi stabilimenti; non solo,
ma di trasformare, nello stesso tempo, gli impianti, nel senso più moderno
e razionale, e di introdurre tutti i nuovi mezzi per la migliore lavorazione
dei prodotti. E così diede ai suoi stabilimenti il vero carattere industriale,
ed oggi prepara prodotti chimici e galenici di ogni genere, come, ad es., re-
agenti purissimi per uso scientifico, sali di magnesio, anidride carbonica li-
quida, acido solforico purissimo dal zolfo in apposito stabilimento, gli acidi
cloridrico e nitrico, il lattico ed i lattati per l'esportazione, estratti, pastiglie
ed olii e saponi d* uso medicinale, jodoformio, joduri e bromuri, ecc. ecc.
L' Erba ebbe presto altri imitatori negli stabilimenti impiantati in di-
verse parti della Penisola, fra i quali sono degni di speciale menzione quelli
del grossista Imbert a Napoli; quello della Società Lombardo- Napoletana
di prodotti farmaceutici pure a Napoli; di C. Pegna e tìgli a Firenze;
quello dell' Istituto Nazionale di prodotti chimici e galenici a Roma, ecc.
l'industria chimica in ITALIA NEL CINQUANTENNIO 35
Oltre a questi stabilimenti, che in origine ebbero più o meno per iscopo
la produzione di sostanze per uso terapeutico, sorsero in quest'ultimo de-
cennio non poche fabbriche in cui si producono le più svariate sostanze ri-
chieste dalle arti e dalle industrie. Cosi vediamo in attività fabbriche di
cromati; di ferrocianuri fatti dai residui della depurazione del gas illumi-
nante; di colori minerali; di acido acetico preparato dall'acetato calcico
greggio importato dalVAmerica; di solfiti diversi e di iposolfito sodico; e
dei molti altri prodotti necessari! alla fotografia. In fine meritano menzione
speciale le molte e svariate fabbriche di profumeria e di oggetti per l' igiene,
le quali neirultimo ventennio hanno preso grandioso sviluppo.
Gomma elastica. — L' industria della gomma elastica è una vera
conquista tecnica ed economica del nostro paese ; col sorgere di questa in-
dustria, r Italia si è resa completamente indipendente dall'estero, afferman-
dosi gloriosamente nel mondo intero per V incontrastata superiorità di alcuni
suoi prodotti.
L'industria della gomma elastica consiste in una serie di trattamenti
e di processi chimici, ai quali si sottopone un prodotto vegetale, il « caout-
ciouc», contenuto allo stato emulsivo in piante di paesi esotici. Tale indu-
stria si sviluppò da principio in Inghilterra, poi in Francia e in Austria.
In Italia, il primo stabilimento sorse nel 1872 sotto la ragione 0. B. Pirelli
e C, ed ebbe per suo scopo principale la produzione dei più semplici e
correnti articoli di gomma elastica. Nella fabbrica trovavano allora impiego
poche diecine di operai soltanto; e questo modesto inizio doveva preludiare al
grande e meraviglioso sviluppo raggiunto attualmente. La sua attività, di anno
in anno, si estese alla lavorazione di nuovi prodotti; e nel 1880 la ditta si accinse
anche alla lavorazione dei cavi per condutture elettriche, ed a quella della
guttaperca. Nel 1882 iniziò la produzione del filo elastico, che è un pro-
dotto delicatissimo, del quale in quell'epoca non esistevano altre fabbriche
in Europa. Così pure nel 1886, prima fra le fabbriche continentali, la
ditta Pirelli iniziò l'industria dei cavi telegrafici sottomarini, per la posa
e prova dei quali fece costruire la nave telegrafica « Città di Milano «^ . E
mentre la gomma elastica estende le sue applicazioni e si rende indispen-
sabile in ogni specie di industria, nell'igiene, nella chirurgia, negli usi do-
mestici, negli sports, ecc., la Casa milanese dedica la sua attività subito
e con ogni sua cura a questi nuovi rami d'industria, istituendo per ogni
ramo uffici ed impianti speciali porgli studi e le ricerche di carattere scien-
tifico, per Tesame chimico delle materie prime e degli ingredienti, e per
lo studio dei requisiti fisici e meccanici dei prodotti. '
Ma dove il nome della Ditta milanese si è affermato in modo mera-
viglioso, è nella costruzione dei cavi per il trasporto dell'energia elettrica.
La recente teorìa per lo studio dei cavi elettrici destinati al trasporto del-
36 GUOLIELMO KOERNBR - L^INDUSTRIA CHIMICA IN ITALIA BCC.
Tenergia a tensioni elevatissime, dovuta air ingegnere E. Jona, capo elettri-
cista della ditta Pirelli, permise di esperimentare sii cavi alla tensione
enorme di 150,000 volts. Venne così risolto in un modo ingegnosissimo un
problema di straordinaria importanza, prima giudicato di impossibile attua-
zione pratica.
Esorbita dal nostro campo l'enumerare qui tutte le altre geniali appli-
cazioni della Casa milanese; applicazioni tecniche e scientifiche che porta-
rono grandissimi vantaggi alla scienza ed all' industria.
La storia di questa industria, che assurse ad una importanza grandis-
sima fra quelle delle altre industrie italiane, dà anche la più evidente di-
mostrazione di quello che io asserii fin da principio.
Non esìstevano ragioni speciali per le quali l'Italia dovesse essere scelta
come paese più adatto di un altro per una simile industria. Il prezzo piut-
tosto elevato del combustibile e dei solventi : la materia prima non più fa-
cilmente accessibile di quello che non lo fosse in altri paesi: il consumo
interno del prodotto lavorato, almeno all'inizio dell'industria, piccolo e di
poco conto, lasciavano tutt'al più prevedere un avvenire piuttosto modesto
per la nostra industria. La perfetta conoscenza tecnica dell'articolo, insieme
con una direzione amministrativa accortissima e forte, la quale seppe adat-
tarsi agli eventi, nei bruschi periodi che questa industria dovette pur troppo
attraversare, limitando a tempo opportuno le spese e diminuendo il perso-
nale, condusse la Casa milanese a quell'importanza e perfezione oggi rag-
giunta.
Dalla rapida rassegna, che abbiamo fatto, delle industrie chimiche
italiane, appare adunque che il nostro Paese in questi ultimi cinqnant'anni
fece dei progressi notevoli ; e se si pensa che tali progressi andarono affer-
mandosi ed accentuandosi specialmente in questo ultimo decennio, non sem-
brerà temerario l'affermare che il nostro Paese in breve volger di anni potrà
in questo ramo dell'industria, come negli altri, competere colle maggiori
nazioni europee.
Guglielmo Kobrner
Direttore dalla K. Scuola Supcriore di Àgricoltara ecc.
LA CARTA GEOLOGICA D'ITALIA
Alla data della costituzione del nuovo Regno d'Italia le conoscenze sulla
struttura geologica del nostro Paese, abbastanza avanzate per poche parti
di questo — dove, sia per iniziativa dei governanti sia per gli stud! di sin-
goli scienziati italiani e stranieri, già si possedevano elementi più o meno
completi — si dovevano considerare per la massima parte della Penisola
come assolutamente inadeguate in confronto di quelle che altri paesi, prima
del nostro sOrti alla unità e alla indipendenza e costituiti in nazione, già
da lunghi anni conseguivano per i rispettivi territori.
Così, per esempio, già fin dal 1816 l'Inghilterra possedeva una carta
geologica generale in piccola scala, e fin dal 1837 il Governo inglese aveva,
per iniziativa e proposta del geologo De la Bòche, iniziato studi geolo-
gici e rilevamenti regolari del territorio, che si facevano procedere di pari
passo con quelli topografici, sotto un'unica direzione. Inoltre si era istituito
un « Museo di geologia economica « , il cui nome fu poi cambiato in quello
di « Museum of Practical Q-eology » , annettendovi un laboratorio di saggi
chimici e dei corsi speciali di metallurgia e di chimica: ciò che formò il
primo nucleo della ora fiorentissima School of Mines in Jermyn Street. Nel
1845 poi, il rilevamento della carta geologica fu, con atto del Parlamento,
riconosciuto come istituzione autonoma; e gli stanziamenti di fondi occorrenti
per lo svolgimento della sua missione, i quali fino a quella data non supe-
ravano le lire 50,000 annue, furono di anno in anno aumentati in modo che
già nel 1861, quando, come si dirà meglio in seguito, il Sella ebbe a visi-
tare ristituto del Geological Survey, la spesa annua per la Carta geologica
e per la Scuola delle Miniere raggiungeva le lire 425,000, oltre a circa
100,000, pure annue, per la stampa delle carte: e nel 1881 la spesa annua
già si avvicinava al milione, attorno alla quale cifra essa si mantiene anche
attualmente.
In Austria, dove fino al 1844 non esisteva alcuna istituzione geologica,
Teniva pubblicata nel 1847 da Haidinger una prima carta geologica som-
Li'ioi Baldacoi. — La Carta geologica tTItalia. 1
LUIGI BALDACCI
maria deirimpero, e frattanto, per opera di privati geologi largamente sus-
sidiati dalle accademie scientifiche, si andavano pubblicando importanti carte
e monografie geologiche ed industriali, riguardanti specialmente i distretti
più ricchi di giacimenti minerari. Sulla fine del 1849 venne istituita la
K. E. Geologische Reichsanstalt, istituto destinato alla formazione e pubbli-
cazione della Carta Geologica dell'Impero, con una dotazione annua dapprima
modesta, quantunque gl'impianti dei laboratori e musei venissero fatti con
molta larghezza, e la quale raggiunge ora circa lire 140,000 air anno.
In Prussia, già sin dal 1856 era in gran parte pubblicata la carta geo-
logica in 35 fogli, alla scala di 1 : 80,000, delle Provincie Benane e di
Westfalia, rilevate per ordine del governo da S. Dechen, capitano generale
delle Miniere, residente a Bonn, con la collaborazione di altri ufSciali del
suo Corpo ; tale carta presentava un grandissimo interesse, poiché conteneva
la figurazione geologica dei bacini carboniferi della Buhr, della Sarre e
dell'Alta Slesia.
Contemporaneamente, per opera di liberi studiosi, si compievano studt e
rilevamenti geologici nel Thnringer Wald, nello Harz e nella Germania del
Nord, e si costituiva la benemerita Società Geologica (Deutsche geologische
Gesellschaft) con Tìntendimento d'imprimere una maggiore unità a tutti i
lavori, che si compievano, con metodi l'uno dall'altro diversif in varie parti
del territorio tedesco.
Dimostrata con questi primi tentativi la utilità che alla prosperità del
paese poteva pervenire dalla cognizione della sua struttura geologica, sor-
sero rapidamente in Germania l'Istituto Geologico Prussiano (E. Geologische
Beichsanstalt), quello della Sassonia, quello della Baviera, quelli del Wur-
temberg, del Baden ecc., tutti dotati, dai loro governi, di considerevoli e
talvolta monumentali impianti, e di larghi mezzi di studio. A questi gran-
diosi Istituti si devono le bellissime carte geologiche a 1 : 25,000, ed a
1 : 50,000, di quelli Stati.'
Fra le nazioni che assai presto, riconosciuta la utilità degli studi geo-
logici, istituirono dei servizi di Stato bene organizzati per il rilevament<^
della Carta geologica, vanno ricordate la Baviera, la Francia, e non ultima
la Spagna, dove fin dal 1849 il governo rivolgeva il pensiero alla formazione
della Carta geologica con la nomina di una apposita commissione, e più tardi
(1873) con decreto costitutivo affidava la parte principale del lavoro per la
carta geologica, sia della Spagna che delle sue grandi colonie, a quel Corpo
delle Miniere.
In questi brevissimi cenni, tratti in riassunto da un importante e dili-
gentissimo lavoro del compianto F. Giordano ('), non si volle ora che ram-
(') Cenni suW organiuoMione e sui lavori degli hiituti geologici esistenti nei
varii paesi, per F. Giordano, Ispettore nel R. Corpo delle Miniere. Roma, 1881.
LA CARTA GBOLOGICA d'iTALIA
montare i governi che per i primi indirizzarono i lavori per la carta geologica
a una esecuzione sistematica, sotto la responsabilità del governo stesso; ma
in seguito occorrerà anche dare un succinto resoconto di quanto altri Stati
fanno ora in proposito, ed alcuni di essi con mezzi veramente grandiosi.
Non è qui il caso di dimostrare quali e quante applicazioni una buona
carta geologica in scala sufficientemente gitinde e rilevata con unità di con-
cetti e con uniformità di metodi, possa arrecare per la economia di uno
Stato. Basti dire che tutti i grandi problemi interessanti lo sviluppo di
un paese, da quelli del più alto ordine scientifico sino ai più umili, pos-
sono trovare, nella profonda e sicura conoscenza della struttura del terri-
torio nazionale, elementi essenziali o indiretti per la loro soluzione.
Così, per esempio, tutti oramai conoscono quali intime relazioni esi-
stano fra la struttura geologica, la composizione dei suoi terreni e la mor-
fologia di un paese; le grandi questioni di idrologia sotterranea e di bo-
nificamento dei terreni sono inaccessibili a chi non possiede elementi sicuri
sulla costituzione geologica dei vari bacini idrografici e idrologici : le grandi
comunicazioni, sia di ferrovie che di vie ordinarie, hanno bisogno, per riuscire
convenientemente e con sicurezza e stabilità organizzate, che i loro tracciati
siano giudiziosamente scelti, tenendo conto della maggiore o minore solidità
dei terreni, della abbondanza o scarsità dei materiali da costruzione, e di
tanti altri elementi che solo possono venire forniti da una buona carta geo-
logica. E per il nostro paese purtroppo si ebbe più volte a rimpiangere ama-
ramente il fatto che non venne data in simili casi alcuna importanza a tali
studi, e che molte vie di grande comunicazione, non solo ferroviarie, ma
anche semplicemente carreggiabili, ebbero a costare enormemente più del pre-
visto, appunto per la ignoranza delle condizioni geologiche. Eppure, fra i paesi
per i quali la necessità di molteplici vie di comunicazione è più sentita e
maggiore la difficoltà della loro costruzione, tiene certamente uno dei primi
posti il nostro, con la sua singolare conformazione geografica allungata per
più di 1000 chilometri fra due mari, con una catena montuosa dorsale che,
distaccandosi dalla barriera alpina, lo divide in due sino all'estrema Calabria ;
e il nostro Paese, è purtroppo, anche fra quelli per i quali la sicura cono-
scenza della struttura geologica riesce, in questo caso, tanto più indispensa-
bile, in quanto che nella composizione del suo suolo predominano ovunque i
terreni di indole malfida e franosa.
È poi perfettamente noto quante applicazioni lo studio geologico possa
trovare nelle questioni riguardanti i giacimenti di materie utili, quali i me-
talli, le pietre da costruzione, i combustibili fossili, i metalloidi ecc.
Nò si deve dimenticare, quanto la conoscenza della struttura geologica
del territorio possa concorrere ad alleviare le conseguenze dei dolorosi
fenomeni sismici, che con frequenza così disastrosa funestano la nostra
LUIGI BALDACGI
patria. Lo studio accurato di tutti gli ultimi luttuosi terremoti, dai quali
nobilissime Provincie e città italiane furono devastate e distrutte in Sicilia
e in Calabria, provò sino all'evidenza la intima connessione fra la natura del
suolo e la stabilità dei sovrastanti abitati, e la necessità che i fabbricati desti-
nati ad abitazioni e alle altre umane contingenze vengano stabiliti su terreni
rocciosi, solidi e compatti, traverso i quali le onde sismiche si trasmettono
in modo assai più regolare che non nei terreni clastici e frammentari, in modo
che, per la stessa intensità di scossa, gli effetti rovinosi sono assai meno
sensibili per i fabbricati fondati su solidi terreni. Cosi, la questione della mi-
gliore ubicazione per riedificare gli abitati distrutti, e dei migliori metodi
per questa ricostruzione, è puramente una questione geologico-edilizia, poiché,
senza dubbiò, le cause di quei fenomeni sono tino ad ora assai oscure, e la
scienza non può attualmente che constatare e coordinare i fatti avvenuti,
senza che neppure lontanamente si intraveda la possibilità di addivenire a
la formulazione di leggi o di previsioni almeno approssimate.
Ed ora, prima di procedere ad una succinta esposizione storica di quanto
operò il nostro Governo per la formazione della Carta geologica d^Italia, credo
utile accennare sommariamente anche alle ragioni per le quali Tesperienza
ha oramai luminosamente dimostrato la necessità che il rilevamento della
Carta geologica venga fatto sistematicamente, sotto gli auspici e la di-
rezione dello Stato.
Per lo scienziato che ebbe campo di addentrarsi profondamente nello studio
di questioni riguardanti la geologia, sia che, indagando la successione e la sti-ut-
tnra degli avanzi di esseri organizzati, racchiusi nei vari terreni, egli risolva ardui
problemi di cronologia geologica, sia che in regioni particolarmente adatte
agli scelga il suo campo per indagini sulla disposizione, più o meno com-
plessa, dei terreni e sul loro assetto tectonico, potrà talvolta sembrare super-
fluo che i fatti che la scienza gli rivela vengano rappresentati in forma gra-
fica ed accessibile, su una carta geologica ; e, tuttavia, questa rappresentazione
è necessaria, non tanto perchè da essa possono più fìtcilmente trarre utili insegna-
menti per la pratica applicazione una quantità di persone non profondamente ad-
dentrate nelle questioni puramente scientifiche, quanto perchè da tal rappresen-
tazione, convenientemente estesa, si possono dedurre importanti conseguenze
anche di alto ordine scientifico, sulla disposizione generale delle varie forma-
zioni costituenti una data regione.
La prima base di ogni indagine geologica, per ciò che riguarda i ter-
reni stratificati, i quali costituiscono la più gran parte del nostro Paese, è
senza dubbio data dalla stratigrafia cronologica, essa stessa fondata sulla
paleontologia. Solo con quella si stabiliscono le esatte successioni dei ter-
reni costituenti una data regione, mentre, dal loro canto, la petrografia, la
mineralogia e le indagini chimiche sulle roccie e sui minerali, ci fanno pe-
LA CARTA GEOLOGICA D'iTALIA
netrare sempre pid addentro nella conoscenza dei terreni ; ma, contempora-
neamente, il coordinamento e la sintesi di tutti questi dati raccolti, con me-
todo scientifico, costante ed uniforme, integra Topera dei benemeriti singoli
scienziati : e solo quando le due forme di indagine — cioè quella puramente
scientifica e quella avente in mira la utilizzazione delle risorse provenienti
dalla costituzione geologica, presentati allocchio ed alla mente sotto forma
di una chiara carta geologica corredata da spaccati dimostranti la succes-
sione dei terreni e la loro disposizione tettonica — si accompagnano, la cono-
scenza geologica di una regione può dirsi completa. Ora, se per la indagine
di pura scienza non sono strettamente necessari metodi uniformi e sistema-
tici, e se la iniziativa individuale può esplicarsi nel modo che più è con-
facente air abito mentale dello studioso, o in quello che egli giudica più
atto allo scopo da raggiungere, non altrettanto può dirsi per la carta geo-
logica in grande scala, per la quale i requisiti della uniformità di metodo
e della precisione, sia nel rilevamento del terreno, sia nella rappresentazione
grafica e nelle illustrazioni, sono essenziali. Di qui nacque, e fu sin da prin-
cipio compreso, il principio della necessità di affidare a speciali istituti, retti
da leggi e regolamenti appropriati, forniti di mezzi di studio e di personale
presentante adatte disposizioni e grado di istruzione, il rilevamento e la
pubblicazione della Carta geologica in grande scala, di uno Stato.
Tali istituti sono quindi da ogni paese civile considerati come parte
int^rante degli ordinamenti di Stato, e sorretti e forniti di mezzi più o
meno larghi, ma sempre importanti, nelle nazioni più progredite.
Per il nostro Paese, il concetto di rilevare una carta geologica gene-
rale è antico, e in ima delle ultime sedute del Congresso degli scienziati
italiani, riunito a Firenze nel 1841, fu stabilito di formare presso il Museo
di Fisica e Storia naturale di Firenze una raccolta geologica e mineralogica
delle vane regioni d* Italia. Le roccie di questa raccolta avrebbero dovuto
essere disposte geograficamente secondo i vari compartimenti geologici nei
quali può esser divisa Tltalia, e classificate per formazioni, dalla più antica
alla più moderna; si erano stabilite disposizioni per il collocamento dei fos-
sili e dei minerali, e si raccomandava ai geologi disposti a mandare le roccie
in dono, di accompagnarle possibilmente con spaccati geologici, ed anche
con carte geologiche, o per lo meno con carte topografiche contenenti le in-
dicazioni geologiche principali, e di avere speciale cura di mandare i fossili
di terreni secondari d'Italia, la cui conoscenza era, e con ragione, ritenuta
di grande importanza, ma, sino allora, assai poco avanzata.
Fu in tale memorabile occasione nominata una Commissione composta
dei chiari geologi Pareto, Savi, Sismonda e Pasini, incaricata di formare una
tabella indicante i compartimenti geologici in cui può essere diviso il suolo
italiano, e le particolari raccolte che si desideravano per la collezione geolo-
gica generale dell'Italia.
LUIGI BALDACCI
Si era quindi deliberato di stabilire un archivio geologico, aoa colle-
zione generale italiana ed un ufiBcio, in una città centrale, presso un museo
id grande rinomanza; e in questi concetti era veramente contenuto il primo
germe della carta geologica dltalia. Ma disgraziatamente, dopo un prin-
cipio di attuazione^ non si trovò mezzo di proseguire nelle raccolte e nel
loro ordinamento; e d'altra parte gli avvenimenti politici incalzavano, e le
menti dei governi e delle popolazioni si volgevano principalmente a pensieri
e ideali assai lontani da quelli delie sfere serene della scienza e delle sue
applicazioni.
11 Piemonte fu il primo Stato italiano nel quale fu compiuta una carta
geologica di massima del territorio: fino dal 31 ottobre 1846 Carlo Alberto
affidava al Sismonda la formazione di una carta di massima degli Stati di
Terraferma, e tale carta, alla scala di 1 : 50,000, fu compiuta e pubblicata
solo ai primi del 1867.
Per opera del Lamarmora la Sardegna ebbe fin dal 1857 la bellissima
carta a 1 : 500,000, rilevata dal Lamarmora stesso con pochissimi collabora-
tori, ed illustrata, per la parte paleontologica, dal Meneghini. Cosi la carta
come Tottimo testo che Taccompagna, formano tuttora la base principale delle
nostre cognizioni sulla struttura geologica della grande isola.
Nelle Provincie del Lombardo-Veneto, ancora soggette alVÀustria, fino
dal 1856 il v. Hauer e il v. Zepharowich, fojrmanti una sezione dell'Isti-
tuto geologico imperiale di Vienna, compievano il rilevamento geologico
della Lombardia; e in pari tempo veniva ultimato, sotto la direzione del
Foetterle, quello della Venezia, e veniva pubblicata la carta geologica ge-
nerale del Lombardo-Veneto alla scala di 1 : 288,800, in quattro fogli.
Tali lavori furono naturalmente compiuti con Taiuto e col materiale con-
corso degli studiosi delle provincie percorse, ed ebbero notevole influenza
col richiamare sugli studi geologici Tattenzione dei migliori scienziati, in
modo che fu costituita in Milano una Società geologica, la quale allargò
più tardi il suo campo di studi e prese il nome, oramai glorioso, di So-
cietà italiana di Scienze naturali.
Anche in Toscana, per merito di Igino Cocchi, si era, sino dal 1857,
progettata la costituzione di una Società, la quale, col sussidio del Governo,
prendesse di mira il compimento di una carta geologica; ma, come bene
osserva il Cocchi stesso, quegli anni non erano propizi allo svolgimento di
questi utili studi, in un paese che pure ne era stato sempre la favorita
dimora.
Cos), alla data della costituzione del Begno d'Italia, solo i pochi ten-
tativi di cui fu fatto cenno, e alcuni importanti studi regionali — come quelli
dello Scarabelli per le Boms^ne, di Savi e Meneghini per la Toscana, dei
Qemmellaro per la Sicilia, del Ponzi per la Provincia romana, ed altri
non numerosi — mantenevano viva la nobile idea, e maturavano a poco a poco
LA CARTA GEOLOGICA D'ITALIA
il concetto di metter mano ad imo studio geologico generale della Peni-
sola, affidato allo Stato.
AlVillustre ing. Felice Giordano, allora Ispettore delle Miniere degli
antichi Stati Sardi, spetta il principale merito di aver mosso, nell'ottobre
1860, la questione della Carta geologica del Regno con una lettera al Cor-
dova, allora ministro di agricoltura, nella quale lettera si conteneva la pro-
posta di far compilare la carta stessa dagli ingegneri del Corpo Beale delle
Miniere, sotto l'alta sorveglianza del Consiglio di questo nome.
Nel luglio dell'anno successivo, Filippo Cordova, uomo di vaste vedute,
presentava al Se una elaborata relazione, e sottoponeva alla firma reale un
decreto che istituiva una Giunta consultiva per stabilire le norme per la
formazione di una carta geologica, chiamando a farne parte, con altro decreto,
parecchi cultori delle scienze geologiche (Oi o incaricando contemporaneamente
il marchese Strozzi, il conte A. Spada ed il prof. Cocchi di riunirsi in Co-
mitato, con rincarico speciale di provvedere agli atti preparatori della sessione
della Giunta, e con facoltà di fare le spese occorrenti, senza altra preventiva
autorizzazione.
Questo può veramente dirsi il passo decisivo mosso dal nostro Governo
per la formazione della Carta geologica; ma benché già il grande evento
della costituzione del nuovo Begno fosse oramai compiuto e stabilito su basi
incrollabili, la nobile iniziativa del Giordano e del ministro Cordova non
ebbe per allora grande sèguito, e ciò principalmente per le difficoltà finan-
ziarie^nelle cui strette si dibatteva il nuovo Stato, e per altri avvenimenti
politici, i quali richiesero, fino a vari anni dopo, tutta l'attenzione e tutte le
cure dei governanti.
La giunta costituita dal Cordova si riunì per la prima volta a Fi-
renze lo stesso giorno della inaugurazione della prima Esposizione Italiana,
sotto la presidenza del Pareto, e tenne poi altre adunanze, sulle quali ri-
ferì il Capellini in data 28 settembre 1861. Quella relazione accennava alla
necessità di provvedere le basi topografiche per il grande lavoro, e consi-
gliava la costituzione di una Sezione geologica del Consiglio delle Miniere»
per affidarle la direzione dei lavori di rilevamento, e di un corpo speciale
di geologi operatori, da aggregarsi agli ingegneri del Corpo delle Miniere, i
quali avrebbero avuto il compito di eseguire il rilevamento stesso.
In conseguenza di queste proposte della Commissione il ministro Cor-
dova incaricò Quintino Sella, che allora faceva parte del B. Corpo delle Mi-
(*) Ne facevano parte gli iilustri scienziati: Capellini, Cocchi, Costa, Carioni, La-
marmora, Doderlein, Gastaldi, Gemmellaro Carlo, Gemmellaro Gaetano, Meneghini, Om-
boni, Orsini, Pareto, Ricci, Savi, Scacchi, Scarabelli, Sella, Spada, Sismonda, Stoppani,
Strozzi, De Vecchi.
S LUIQI BALDAGCl
niere, di visitare la Francia, ringhilteri*a, il Belgio e la Germania, per stu-
diare la prova che vi facevano i vari metodi colà tenuti nella formazione
delle carte geologiche, e di riconoscere i migliori oi^anamenti degli istituti
incaricati di tali lavori ; e il Sella adempiè da pari suo e in breve tempo il
difficile incarico, e presentò subito una succinta ma esauriente relazione, la
quale venne più tardi pubblicata negli Atti della Società Italiana di Scienze
Naturali (voi. lY, Milano, 1862). La relazione del Sella descrive a fondo
gli ordinamenti governativi per la Carta Geologica della Francia, deirin-
ghilterra, dell'Austria, del Belgio, della Germania e della Svizzera, e fornisce
qualche cenno, ricavato da lettere personali alFautore, sugli istituti geologici
del Canada e degli Stati Uniti d'America.
Le conclusioni della relazione Sella erano di grande importanza; egli
cominciava con l'affermare, che dair esempio delle principali nazioni civili,
dalla unanime opinione di eminenti persone da lui in proposito consultate, e
da quel giudizio personale che della cosa si era formato, riteneva essere utile
all'Italia che si fosse data mano senza indugio alla formazione della carta geo-
logica a grande scala. Egli non nascondeva che la impresa sarebbe riuscita
costosa; e, valutando, sui dati che allora si possedevano, la superficie del nuovo
Begno a 815.000 km. quadrati e a L. 40 la spesa del rilevamento per km*,
prevedeva una spesa di 12 milioni. Tuttavia egli insisteva affinchè si pro-
cedesse al grande lavoro, non solo per i numerosi vantaggi pratici che questo
avrebbe arrecati, ma anche perchè l'Italia, la quale aspirava a prendere fra
le nazioni civili quell'alto posto che le compete, non può esimersi dal por-
tare alle scienze, e tra queste ad una delle più progressive, cioè alla geo-
logia, quel contributo, che le altre nazioni consorelle le danno.
Il Sella faceva rilevare anche la urgenza di dare sollecito principio
all'impresa, non già perchè presto se ne potesse vedere il fine, ma perchè giu-
stamente poneva a calcolo il tempo necessario a formare il personale, che
doveva essere costituito da abili rilevatori, da buoni disegnatori, da chimici
provetti nelle analisi minerali, ecc.
Alla acuta mente del Sella non sfuggiva inoltre la necessità che lo
Stato sin dal principio avocasse a sé la formazione della Carta Geologica
in grande scala ; egli aggiungeva, poi, che si potrebbe forse credere alla con-
venienza di mettere insieme i vari lavori fatti dai geologi italiani e inca-
ricare qualcuno di completare le parti su cui si hanno insufficienti nozioni,
in guisa da pubblicare una carta in piccola scala, per es. a 1/500.000, e
lasciare poscia ad ingegneri mineralogici, a professori od a cultori pri-
vati di geologia, la cura di fare in maggior scala le parti concementi le re-
gioni da loro abitate. Tale sarebbe a un di presso il sistema francese, ma
il Sella credeva che i risultati, quantunque ritenuti ottimi in Francia per ciò
che riguardava la carta in piccola scala affidata a due valenti geologi, non
potessero dirsi soddisfacenti per le carte dipartimentali; egli anzi riteneva
LA CARTA GEOLOGICA D ITALIA
che, a poco a poco, si dovesse finire per rifar tutto il lavoro. Un'altra ragione
scientifica confermava poi l'illustre uomo nel suo concetto, in contrasto col
sistema francese, ed era quella che solo un rilevamento particolareggiato po-
teva fornire la chiave di molte parti della geologia italiana, sulle quali fer-
vevano vive contestazioni, e che offrivano difScoltà grandissime, a causa della
scarsità di fossili.
Biguardo al concetto che il Governo conferisse direttamente rincarico
della carta in grande scala a professori o ad ingegneri per le Provincie da essi
abitate, invece di addossare al Governo stesso un personale apposito, il Sella
dimostrava che il lavoro, in tal guisa condotto, avrebbe mancato di unità; che
vi sarebbero sempre delle difficoltà per la colorazione e le pubblicazioni dei
lavori di ciascun geologo, che non può lasciare ad altri la sorveglianza della
stampa delle cose sue; finalmente che, mancando un intimo contatto fra questi
geologi, i fatti dall'uno osservati non potrebbero servire di norma e di luce
airaltro. Egli concordava quindi, anche per altre ragioni, pienamente nel pen-
siero della Giunta, che cotesti geologi dovessero attendere esclusivamente al
rilevamento geologico, fossero impiegati dello Stato, e che venissero aggregati
al Corpo degli Ingegneri delle Miniere.
Il Sella aggiungeva molti utili suggerimenti alle precedenti considera-
zioni, che qui si vollero espoiTe alquanto per disteso poiché in esse è conte-
nuto il germe di tutto l'organamento del servizio della Carta geologica, or-
ganamento che talvolta fu preso di mira e combattuto da valenti avversarli,
la maggior parte dei quali poi non potè faie a meno di riconoscere la giustezza
e la profondità dei concetti proposti dalla Giunta, e dal Sella propugnati.
Questi insisteva ira l'altro sulla necessità che il personale fosse giovane e
si dovesse formare al rilevamento particolareggiato, facendolo impratichire,
dopo superati i corsi di una Scuola Superiore delle miniere, come, p. es., quella
di Parigi, per un anno in Inghilterra coi geologi del Geological Survey ; discu-
teva poi e combatteva, sia con ragioni proprie che con argomenti tratti da con-
versazioni da lui avute coi più eminenti geologi d'Europa, la proposta della
Giunta, di affidare l'incarico della formazione della Carta geologica ad una
nuova sezione del Consiglio delle Miniere, nella quale fossero chiamati geologi,
paleontologi, mineralisti e chimici di vaglia, e che dovesse dar norma ai rileva-
tori, curare la pubblicazione di un periodico, la formazione di una biblioteca
e di raccolte, avendo poi sotto i suoi ordini un direttore amministrativo per la
diramazione ed esecuzione delle sue prescrizioni ; egli sosteneva invece che la
direzione della Carta dovesse affidai'si ad una sola persona, direttamente respon-
sabile, davanti al Ministro, di quanto si sarebbe operato, e che dal solo Ministro
prendesse ordini, nello stesso modo che il Ministro deve rispondere di ogni
cosa davanti al Parlamento, e conformarsi alle disposizioni di questo solo.
Ma, e qui ancora è da ammirare la profondità di concetti e la preveggenza di
quell'uomo eminente, egli trova che sarebbe molto importante, oltre ad avere
10 LUIGI BALDACCl
ima unica direzione seguendo l'esempio degli altri paesi, che il Ministro chia-
masse ogni anno attorno a sé i geologi eminenti delle varie provinole del
Begno, dando loro qualità di membri straordinari del Consiglio delle Mi-
niere, e facesse esporre davanti ad essi tutti i lavori fatti durante Tannata,
sentisse le loro osservazioni, le loro proposte, e li incaiicasse dell'esame di
questioni che crederà opportuno di affidar loro.
Abbiamo così ben delineato le attribuzioni dei due Corpi, consultivo Tuno,
esecutivo Taltro, ai quali si doveva affidare l'esecuzione del grande lavoro; ed
è precisamente in tal modo che, come si vedrà in seguito, fu, dopo qualche
prova basata su concetti alquanto diversi, instituito il servizio della nostra
Carta geologica in grande scala.
La relazione Sella conteneva in ultimo un preventivo particolareggiato
delle spese e uno schema di decreto per la istituzione del servizio della Carta
geologica, affidandone la esecuzione al Corpo Reale delle Miniere sotto Talta
sorveglianza e direzione scientifica di un Corpo consultivo costituito dai membri
ordinarli del Consiglio delle Miniere cui il Ministro avrebbe aggiunti membri
straordinari, scelti fra i geologi eminenti delle varie provincie del Regno. La
direzione del lavoro doveva affidarsi ad uno degli ispettori delle miniere.
Il Governo accettava interamente le proposte del Sella, e con Decreto del
12 dicembre 1861 ordinava la formazione della Carta geologica del Segno
d'Italia alla scala di 1 : 50.000, affidandone l'esecuzione al Corpo Reale delle
Miniere, al quale venivano aggiunti alcuni fra i più chiari geologi delle varie
Provincie, e stabilendo le norme e il personale per la direzione ed esecuzione
del lavoro : ma tale Decreto non ebbe nemmeno un principio di applicazione,
poiché, sia che la spesa sembrasse eccessiva, sia per altre cause, la relativa
somma non venne stanziata in bilancio.
Il prof. Cocchi, che trovavasi nel 1862 a Londra come commissario spe-
ciale in quella Esposizione internazionale, si dette a studiare questo stesso
argomento ; e qualche tempo dopo il suo ritorno in patria, trovandosi d'accordo
coi concetti e provvedimenti proposti dal Sella, prese a cuore specialmente
di raccomandare che qualche cosa si facesse, adottando un temperamento, fosse
pur temporario, per guadagnar tempo e cammino. Nella Esposizione di Londra
egli aveva notato la grande deficienza della sezione italiana in fatto di Carte
e collezioni geologiche, e riteneva che, quantunque fosse certo che l'Italia po-
teva essere molto più rappresentata, tuttavia non si sarebbe avuto ancor tanto
da tenere una posizione degna di noi. La lacuna inoltre non si palesava
solamente nell'assenza di Carte manoscritte o stampate, ma nella mancanza
di unità di concetto in quelle che si sarebbero potute produrre, tanto
per le scale, quanto per le distinzioni dei terreni e altre particolarità geolo-
giche ; e il Cocchi si domandava, ben a ragione, per quanto tempo ancora si
dovesse aspettare l'inizio di questa opera riconosciuta importante e utilissima,
LA CARTA GEOLOGICA d'iTALIA H
e se le sole considerazioni delle ristrettezze del bilancio nazionale dovessero
tenersi in calcolo per ritardarla indefinitamente, attendendo l'epoca (che allora
sembrava, pur troppo, remota) delle migliori condizioni erariali dello Stato
per dar principio a un lavoro pel quale l'on. Cordova aveva dichiarato che
« fra le materie confidate alle cure del Ministero di Agricoltura, Industria e
<i Commercio, non ve n*è alcuna che non faccia sentire il difetto, in cui siamo,
« dì una buona Carta geologica « .
Nessun pratico effetto ebbe un Decreto Beale del febbraio 1866, col quale
si istituiva nel Consiglio delle Miniere una sezione geologica composta dì
tre membri del Consiglio stesso, la quale doveva sorvegliare i lavori che si
sai'ebbero eseguiti per la Carta geologica del Segno. La Commissione era
composta dei consiglieii Cocchi, Meneghini e Scarabelli, e alle spese per la
Carta geologica si provvedeva con la somma di L. 4000 per indennità ai
geologi operatoli del B. Corpo delle Miniere.
Nel novembre 1866 la Commissione Beale per la Esposizione di Parigi
esortava il Ministro dell'agricoltni-a a provvedere afSnchè coi lavori esistenti
si compilasse una Carta geologica d^Italia nella più grande scala possibile e
con sufficiente prontezza, in modo che essa potesse venir esposta nella Mostra
internazionale del 1867. L'incarico della compilazione di tale Carta fu dal
ministero affidata al Cocchi, il quale, nello stesso tempo, venne nominato pre-
sidente della Commissione geologica suddetta.
La Commissione ritenne possibile la formazione di una simile Carta di
compilazione e deliberò di riunire, sia per acquisto, sia per richieste da farsi
dal Ministro e per cura del Corpo delle Miniere, tutti i materiali editi e
inediti, geologici e minerari. Come Carta topografica di base fu adottata
quella dello Stato Maggiore alla scala di 1/600.000 per Tltalia settentrio-
nale e centrale, e di 1/680.000 per l'Italia meridionale. Sulla Carta stessa
non dovevano rappresentarsi che le grandi divisioni dei terreni, limitandosi le
tinte a nove per i terreni stratificati e a tre per quelli eruttivi. Le regioni
per le quali non si potevano allora raccogliere elementi attendibili, dovevano
lasciarsi in bianco.
Alle richieste del ministero indirizzate alle Prefetture, ai Corpi scien-
tifici e ai privati, corrisposero, in vario modo, circa la metà di questi; ma
molte Prefetture non dettero che notizie insignificanti, e dair assieme di quelle
risposte si poteva s^e'volmente dedurre che gli studi geologici in molte re-
gioni della penisola erano in uno stato affatto embrionale. In fatto di rileva-
menti sistematici e particolareggiati non si poteva allora far conto che su
quelli del Lombardo-Veneto, già citati. Tuttavia, con assai scarsi elementi
il Cocchi compilò una Carta geologica alla scala di 1/600.000, nella quale
però ritalia meridionale era appena rappresentata per una minima parte,
cioè per le Provincie di Napoli e Salerno ; e la Carta fu inviata alla Esposi-
zione di Parigi del 1867, insieme con una succinta descrizione. Le principali
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fonti perla compilazione furono: per la Liguria e Piemonte la Carta geolo-
gica del Sismonda, quella del Pareto, quella classica del Golfo della Spezia del
Capellini e la Carta inedita delle Alpi Pennino, in grande scala, del Gerlach con
gli studi del Gastaldi e del Sella; per le Provincie Lombarde e Venete la
Carta dell'Istituto geologico austriaco; per la Toscana le Carte geologiche
delle Provincie di Pisa, Grosseto e Siena, del Savi, del Meneghini e del Cam-
pani; per le Bomagne, le Marche e T Umbria, le Carte dello Scarabelli e del
Ponzi, una del De Bonis per la provincia di Ancona ed una deirOrsini per
quella di Ascoli ; per la provincia romana la Carta del Ponzi : per quella di
Caserta e di Napoli, una del Tenore ; per gli Abruzzi e Molise servirono gli
studi dello Spada e quelli dell'Orsini, oltre a pochi manoscritti che si pote-
rono raccogliere. Molte osservazioni personali del Cocchi fornirono a questi ma-
teriale per la Toscana e per una parte dell'Umbria, dell'Emilia e della Liguria.
Per risola di Sardegna poi fu integralmente utilizzato il magistrale lavoro del
Lamarmora, conservandone la serie dei terreni, diversa e più particolareggiata
in confronto di quella adottata pel resto della Carta. Era interessante for-
nire alcuni particolari su questa Carta d'insieme del nostro paese, poiché
dopo la Carta geologica d'Italia alla scala di 1/200,000 del Collegno, pub-
blicata nel 1846, essa costituiva il primo tentativo del genere. Essa segna^
per l'ampiezza della scala, pel numero delle suddivisioni dei terreni e per
la maggior copia e bontà dei lavori che le servirono di base, un grande
progresso, per quanto incompleta.
Disgraziatamente, per mancanza di fondi, la Carta non venne pubblicata,
e ne esistono solo due copie manoscritte, una presso il Ministero di agri-
coltura e l'altra presso il prof. Cocchi.
Frattanto, l'idea della formazione della Carta geologica era mantenuta
viva, e con Decreto del 15 dicembre 1867 venne definitivamente istituito
un Comitato geologico, costituendo sotto questo nome la Sezione geologica
del R. Corpo delle Miniere, e gli fu affidato l'incarico ufficiale di compilare
e pubblicare la grande Carta geologica del Regno d'Italia, di dirigere i
lavori, raccogliere e conservare i materiali e i documenti relativi. Così ve-
niva stabilito il principio che lo Stato deve direttamente provvedere alia
formazione della Carta geologica ; e in pari tempo il Decreto disponeva che
il Comitato direttivo fosse corredato di quanto era necessario per renderne
l'opera libera ed efficace, con la possibilità di allargare anno per anno la
sua sfera d'azione a misura dei fondi che verrebbero a tale uopo accordati
dal Parlamento. Rispetto alla dotazione, il Decreto stabiliva che, fino a
quando non fosse altrimenti deliberato, ai compensi ai geologi operatori e
alle spese per acquisto di libri, carte, strumenti ed altro, si sarebbe prov-
veduto con le economie sul bilancio del R. Corpo delle Miniere. Presidente
del Comitato geologico fu nominato il prof. Cocchi.
LA CARTA GEOLOGICA D*ITALIA 13
Una delle prime cure del Comitato — composto di cinque membri, di cui
tre del Consiglio delle Miniere — fu quella di compilare il proprio Begola-
mento, che venne approvato dal Ministero il 30 agosto 1868, essendo al-
lora ministro Ton. Broglio. In questo Regolamento si stabiliva:
1) Cbe la Carta geologica fosse formata e pubblicata nella scala
di 1/50.000 0 nella scala a questa più prossima, se essa mancasse; e che la
medesima fosse corredata da un numero sufiBciente di profili, da un testo
descrittivo e da tutti quei dati, disegni e tavole, che valessero a renderla
più completa.
2) Che il Comitato potesse disporre di un fondo annuo sul bilancio
del Ministero di agricoltura, ed avesse a sua disposizione un locale adatto
presso il Dicastero stesso, nel quale collocare Taichivio geologico che il Comi-
tato medesimo avrebbe dovuto formare, una biblioteca speciale ed un sufBciente
corredo di strumenti per le operazioni di camp^a.
3) Che il Comitato elaborasse anzi tutto una scala di colori e segni
convenzionali da servire di norma nelle sue pubblicazioni.
4) Che per l'eseguimento dei suoi lavori il Comitato, oltre all'opera
gratuita dei suoi membri, potesse valersi di quella di alcuni geologi operatori,
da retribuirsi sul fondo speciale di cui sopra, e nominati dal Ministero in
seguito a proposta del Comitato stesso.
5) Che un nfSciale del Corpo Reale delle Miniere fosse applicato al'
Comitato in qualità di segretario e conservatore dell'archivio.
6) Che fi*a le attribuzioni del presidente vi fosse quella di convocare
il Comitato, di eseguirne le deliberazioni, di fare le comunicazioni d'ufiScio e
di provvedere direttamente alle spese necessarie al servizio.
Come disposizione transitoria era poi stabilito che il Comitato, per ac-
celerare il lavoro, potesse accettare e pubblicare quelle parti di Carta geo-
logica che già fossero state eseguite da abili operatori, sottoponendo però a
certe norme l'accettazione e la pubblicazione di tali lavori.
Per l'applicazione del Regolamento il Comitato non poteva in quell'anno
disporre che di una somma di L. 4000 inscritta nel bilancio del Ministero
sotto il titolo di indennità per geologi-operatori. Con mezzi tanto ristretti
era certo ardua cosa iniziare operazioni di qualche entità; tuttavia il Co-
mitato, nelle sue adunanze del 20 e 21 agosto 1868, deliberava di valersi
di detta somma per affrettare il compimento di alcuni lavori di molta impor-
tanza che si trovavano già avviati in diverse parti del Regno, e particolar-
mente ai due estremi e nelle regioni centi*ali. Questi lavori erano: 1) Il
rilevamento geologico della zona solfifera della Sicilia, per opera dell'ingegnere
Mottura del R. Corpo delle Miniere; 2) la Carta geologica delle Alpi
Graie, lavoro già incominciato dal Gastaldi; 3) il rilevamento geologico
dell'isola d'Elba, da affidarsi al prof. Cocchi.
Il lavoro dell'ing. Mottura doveva estendersi a tutta la regione solfifera
della Sicilia, avendo per base la Carta topografica dell'isola alla scala di
14 LUIGI BALDACCI
1/50.000, allora appena compiuta per opera dello Stato Maggiore; e nelle
istruzioni date a quel valente ingegnere-geologo si contenevano norme serie
ed utilissime affinchè quel rilevamento, oltre a raggiungere lo scopo ultimo di
delimitare esattamente i confini geologici e di stabilire la serie dei terreni
per quelle regioni geologicamente quasi incognite nonostante la loro grande
impoi*tanza industriale, fosse appoggiato a sicura base scientifica : esso doveva
dapprima limitarsi alle formazioni terziarie e post- terziarie, poi che i terreni
piii antichi dovevano essere riservati ad altro rilevamento da farsi in seguito.
Alla fine del 1868 il Mottnra riprese il rilevamento di quella importante
regione, e vi attese poi per qualche anno.
Nel promuovere quei lavori il Gomitato non intendeva di pregiudicare
il lavoro regolare da intraprendersi in seguito; fu quello un provvedimento
temporaneo, preso avanti che il Comitato stesso fosse in grado di funzionare
regolarmente: e produsse senza dubbio qualche buon risultato.
Finalmente, nel bilancio del 1869 potè venire stanziata una somma
assai modesta e inferiore a quella che era stata richiesta, cioè 12.000 lire,
ed essa permise al Comitato di proseguire nella sua opera. Il titolo dello
stanziamento, approvato dal Parlamento il 12 marzo 1869, fu: Sussidio al
Comitato incaricato degli studii preparatorii per la Carta geologica del
Regno,
In una seduta del Comitato del giorno 29 giugno 1869 veniva delibe-
rata la pubblicazione delle « Memorie per servire alla descrizione della Carta
Geologica d*ltalia«, ed a questo scopo fu sull'esiguo fondo di 12,000 lire
impegnata la somma di lire 6000 per la stampa del 1*^ volume, che non potè
poi pubblicarsi che nel 1871, erogando la rimanente somma in aumento della
Biblioteca e dell' Archivio e in varie spese indispensabili. Il Comitato ritenne
a ragione cosa utilissima sotto diversi aspetti di iniziare prontamente una
simile pubblicazione, la quale, oltre a dimostrare l'entità del lavoro fatto
con soavissimi mezzi, avrebbe servito a mettere il Comitato geologico in
più diretta e corrente relazione con quelli dell'Estero, mediante lo scambio
dei rispettivi lavori.
Come primo risultato dei rilevamenti geologici già intrapresi dal Co*
mitato, venivano pubblicate in questo P volume una Memoria del prof. Ga-
staldi, Sulla geologia delle Alpi Occidentali (con una appendice mineralo-
gica del prof. Strùver Sui graniti massicci delle Alpi piemontesi e sui
minerali della Valle di Lanzo), una monografia dell'ing. Mottura Sulla for-
mazione ttrziaria della zona solflfera della Sicilia^ e la Descrizione geolo-
gica delusola d^Elba^ del prof. Cocchi; il volume conteneva inoltre il 1^ fa-
scicolo di un vasto studio Sulla Malacologia pliocenica italiana^ del
prof. C. D'Ancona, al quale era stata affidata la descrixione dei molluschi
fossili terziarii italiani, lasciandogli piena libertà di condurre il lavoro nel
LA CARTA GEOLOGICA D*ITALIA 15
modo che a lui sembrasse più conveniente. Fu adottato, per la pubblica*
zione, il formato in 4°, con carta e caratteri analoghi a quelli dei Matériaux
pour la Carte géologique de la Suisse^ pubblicati per cura della Commissione
geologica svizzera.
NelFanno stesso fu aperto il primo concorso per alcuni posti di geo-
logi-operatori fra i giovani ingegneri laureati in una delle Scuole di appli-
cazione del Regno, e fra i concorrenti ne furono scelti due come geologi e
uno come aspirante. Si riconosceva fin d'allora che un giovane dotato di
buona mente e di forti studi, neiruscire da una Scuola d'applicazione richiede
almeno due anni di tirocinio, ossia di studi pratici di laboratorio e di cam-
pagna, per poter essere impiegato utilmente come geologo operatore ; si rico-
nosceva anche che parecchie nozioni tecnico-minerarie sono necessarie a chi
debba lavorare a carte geologiche precise ed utili anche per le occorrenze in-
dustriali, ciò che portava la necessità di istruire i geologi stessi anche nella
chimica industriale, arte mineraria e metallurgica. Con un buon numero di
giovani così istruiti e addestrati, ben guidati da qualche geologo provetto,
il Gomitato nutriva fiducia di vedere, in un avvenire non molto lontano, com-
piuta la grande opera, feconda di vantaggi economici, degna della patria
comune, e tale da non temere il confronto con ciò che si fa presso le più
colte nazioni del mondo.
Oltre la pubblicazione delle Memorie di cui fu parlato, era stata altresì
intrapresa quella di un periodico mensile, il quale, ad esperienza fatta, fu reso
dapprima bimensile; fu questo il Bollettino del R. Comitato geologico, inteso
a dar conoscenza degli atti del Comitato, a promuovere Tavanzamento della
geologia in Italia e a far conoscere all'Estero 1 nostri progressi in quel
campo. Questo periodico, il quale giunge ora in ogni angolo del mondo
civile, e del quale si è continuata senza interruzione la pubblicazione
dal 1870 fino ad oggi, rs^giungendo ormai 41 volumi, ha grandemente con-
tribuito a fare conoscere la istituzione del Servizio per la Carta geolo-
gica d'Italia, ed è assai apprezzato e ricercato dagli studiosi. Il Comitato
deliberava pure che nello stesso anno 1870 venisse stampato il Catalogo
dei libri e delle Carte appartenenti alla istituzione, e che, anno per anno,
Telenco si tenesse al completo con appositi supplementi contenenti la nota
dei libri e carte acquistati nell'annata.
Nel settembre 1869 veniva definitivamente incaricato deiruflBcio di Se-
gretario del Comitato l'ing. P. Zezi, del B. Corpo delle Miniere, il quale
ritornava appunto allora dagli studi di perfezionamento alla Scuola Superiore
delle Miniere di Parigi e da una visita ai principali istituti geologici di
Europa, dopo essersi in modo speciale dedicato allo studio della geologia.
Co8i l'Ufficio geologico si trovava per la prima volta, sia pur modesta-
mente, provveduto di un personale sufficiente per la sistematica esecuzione dei
lavori affidatigli.
16 LUIGI BALDACCI
Intanto, col regolare avviamento dello scambio delle pubblicazioni, cioè
delle Memorie e del Bollettino, la biblioteca del Comitato riceveva un grande
incremento, anche mercè le somme spese per acquisto di opere speciali. I tre
geologi operatori assunti in servizio per concorso, seguivano nel primo anno
i corsi di studio nell'Istituto superiore di perrezionamento, e facevano, sotto
la guida del prof. Cocchi, escursioni geologiche, una delle quali ebbe per
scopo lo studio dell'Elba. Essi fecero anche un accurato rilievo geologico
dei dintorni di Firenze per collaborare agli studi per la fornitura di acqua
potabile per questa città, e dettero conto delle loro ricerche con qualche im-
portante Nota pubblicata nel Bollettino.
In una adunanza del 15 aprile 1870 il Comitato stabiliva in massima
di pubblicare la Carta geologica dell'Italia superiore e centrale a 1 : 600.000,
già eseguita dal prof. Cocchi per l'Esposizione di Paiigi, introducendovi i
risultati degli studi piti recenti e corredandola di una succinta descrizione e
di profili geologici ; ma a tale idea si dovè rinunziare, non essendosi potuti
ottenere i necessari aumenti di fondi.
Nel successivo anno 1871 vennero alacremente spinti i lavori di pub-
blicazione, e particolarmente quelli relativi al 1^ volume delle Memorie di
cui venne già parlato; fu stampato il 2^ volume del Bollettino, il quale
era stato accolto con larga simpatia e fu sin da principio assai ricercato,
tanto che furono dovuti ristampare parecchi fascicoli del P volume, che erano
interamente esauriti nonostante la copiosa edizione fattane. I geologi operatori
ripresero in primavera le loro escursioni ed esercitazioni nei dintorni di Fi-
renze; e due di essi (Alessandri e Momo) lavorarono poi nell'estate sulle Alpi,
coadiuvando l'ing. Giordano nel rilevamento del grappo montuoso del S. Got-
tardo, rilevamento di cui il Giordano era stato incaricato per gli studi della
grande galleria che avrebbe dovuto attraversare il gruppo suddetto. Questo
impoiiiantissimo lavoro del Giordano venne poi pubblicato nel secondo volume
delle Memorie: esso può ben considerarsi come un vero modello di uno
studio geologico applicato ad una grande opera di comunicazione ferroviaria ;
e le previsioni ivi contenute riguardo alla respettiva posizione e potenza
delle varie roccie da attraversare, furono di grande aiuto nella esecuzione
della galleria, che era a quei tempi la più lunga del mondo.
Nel secondo volume delle Memorie, oltre al citato studio sullo attra-
versamento del massiccio del S. Gottardo, si conteneva una classica mono-
grafia del prof. C. W. G. Fuchs di Heidelberg, sull'isola d'Ischia, con la carta
geologica della medesima isola; una appendice dell'ing. Mottura alla sua
precedente Memoria Sulla formazione terziaria della Sicilia, e la continua-
zione dello studio paleontologico del prof. D'Ancona.
Nelle due Memorie del Mottura, oltre ad una ingegnosa teorìa sulla
origine dello zolfo dei grandi giacimenti siciliani, a un particolareggiato
studio della disposizione minerale rispetto alle roccie che lo contengono ed
LA CARTA &B<H<OQICA D*ITALIA 17
alla teotonica degli strati costituenti la formazione solfifera, si trovano anche
due tentatìri di determinazione cronologica degli strati stessi, i quali poi, col
progredire dei lavori di rilevamento e con la loro estensione a tutta risola,
vennero riconosciuti esattissimi per ciò che riguarda la successione, quan-
tunque la età loro assegnata dal Mottura abbia dovuto essere alquanto rin-
giovanita.
Nel 1872 vennero nominati per concorso tre nuovi geologi operatori,
essendo due dei primi nominati passati ad altri ufficii ; e più tardi fu nomi-
nato un altro geologo operatore nella persona del prof. Seguenza di Messina,
che da tempo andava illustrando la sua provincia e le limitrofe con impor-
tanti studi paleontologici.
La carriera offerta a questo personale, che avrebbe dovuto formare il
primo nucleo per il rilevamento della Carta del B^no, era per verità assai
meschina, sia perchè priva di vantaggi materiali, sia perchè non presentava
alcuna sicurezza di avvenire, essendo quei posti non compresi in un organico re-
golare. Così, mentre da un lato si poteva ragionevolmente supporre che i po-
chissimi che si presentavano a quei concorsi vi fossero attratti da forte voca-
zione per le discipline geologiche, era dall'altro da lamentarsi che nei concorsi
stessi non si potesse fiire più ampia scelta. E il fatto di non aver, fin dal prin-
cipio, saputo provvedere ad attrarre nell'orbita di questo grande lavoro un per-
sonale giovane, attivo e innamorato della geologia, eonstituisce forse uno dei
principali difetti di quella organizzazione, la quale, per altra parte, tanti buoni
lati conteneva e tante probabilità di buona riuscita. Forse anche vi fu spropor-
zione nella distribuzione delle scarse somme assegnate alla istituzione, attri-
buendone una troppo lai^ parte alle pubblicazioni in confronto di quella
che sarebbe occorsa per la pratica istruzione dei nuovi geologi ; ma d'altro
lato è anche da riflettere che tutto ciò che riguardava grandi pubblicazioni
geologiche con carte a colori, tavole di fossili e di sezioni, era allora, in
Italia, in uno stato assolutamente primordiale. Tutto era da organizzare ; in
ogni cosa si doveva procedere per prove e riprove, ed è veramente ammire-
vole che, mercè l'indefessa opera e la abnegazione di quello scarso personale e
con mezzi ristrettissimi, fin d'allora il Comitato geologico italiano sia riu-
scito a conquistare, con l'importanza delle sue pubblicazioni, un posto ono-
revolissimo fra i congeneri istituti, di tanto più antichi e tanto più larga-
mente dotati.
Mentre si provvedeva per la pubblicazione del secondo volume delle
Memorie, il Gastaldi proseguiva il rilevamento geologico delle Alpi occiden-
tali con rintento di portarlo a termine per l'epoca nella quale doveva aprirsi
l'Esposizione internazionale di Vienna; ed afBnchè anche l'Italia venisse in
quella grande mostra rappresentata con un certo decoro e non rimanesse di
troppo indietro alle altre nazioni civili, essendosi anche deliberato dal Mi-
Luigi Bal dacci. ~ Ls Caris ff§ohffiea éTIialia. 2
18 LOIOl BÀLDACCI
nistero di pubblicare i lavori geologici del prof. Ponzi sulla provìncia Ro-
mana, la dotazione per l'anno 1873 venne per la prima volta elevata a
25.000 lire.
Riassumendo, in quella che potremo chiamare la prima fase della co-
stituzione definitiva del Comitato geologico, durante la quale la residenza
fu a Firenze, oltre all'avere intrapreso importanti pubblicazioni, cominciato
la formazione di un nucleo di adatto personale e stabilito scambi! di pub-
blicazioni coi più importanti istituti congeneri del mondo, in modo da co-
stituire una biblioteca la quale fin da allora ebbe considerevole importanza,
furono, come si disse, avviati i lavori di rilevamento alla scala di 1 : 50.000
della zona solfifera di Sicilia coll'ing. Mottura, sussidiati quelle delle Alpi
occidentali del Gastaldi, intrapresi col concorso di nuovi geologi operatori
gli studi del Cocchi all'Elba, nelle Alpi Apuane, nei dintorni di Firenze e
nella Maremma Toscana, oltre a quelli del Giordano per l'attraversamento
del Gottardo; furono anche sussidiati gli studi del prof. Ponzi per la pro-
vincia di Roma, quelli del Seguenza per le Provincie di Messina e Reggio,
e del De Giorgi per la Basilicata e per il Leccese.
Questa prima fase di regolare attività del Comitato si chiuse verso la
metà del 1873, quando con un decreto del 15 giugno di quell'anno, contro-
firmato Castagnola, la sede del Comitato fu trasferita da Firenze a Roma,
il Comitato stesso venne riorganizzato su nuove basi, affidando l'esecuzione
effettiva della Carta geologica ad una sezione del Real Corpo delle Miniere
alla dipendenza dell'Ispettore Capo di quel Corpo, e furono date nuove dispo-
sizioni per l'esecuzione dei lavori.
Veniva con quel decreto fisitta la distinzione, ancor oggi in vigore, fra
Comitato ed Ufficio geologico, incaricato il primo della sorveglianza ed alta
direzione scientifica del lavoro che doveva eseguirsi dair Ufficio. Il Comitato
doveva vigilare il buon andamento dei lavori, dare i consigli necessari per
la migliore riuscita dell'opera e deliberare sulle pubblicazioni, tanto di carte
che di scritti, conservando così integra la funzione direttiva e scientifica
mentre veniva alleggerito della parte più gravosa della esecuzione.
Per l'Esposizione internazionale di Vienna del 1873 erano stati in questa
anno prepai-ati quattro fogli della carta geologica delle Alpi Apuane, rilevati
dal prof. Cocchi, altrettanti della Provincia di Firenze e un foglio dell'isola
d'Elba. Mancando allora una buona carta topografica italiana che potesse
servire di base al lavoro, furono utilizzati i fogli della Carta Austriaca a
1 : 86.400, ricavandone ingrandimenti fotografici a 1 : 50.000 ; e ai sopra
menzionati rilevamenti si aggiunsero quelli delle Alpi occidentali, abbrac-
cianti già gran parte di questa catena, eseguiti per opera dei prof. Gastaldi
e Baretti sulla Carta dello Stato Maggiore a 1 : 50.000, e il foglio di Cai-
tanissetta, alla stessa scala, rilevato dall'ing. Mottnra. La mostra si com-
LA CARTA GEOLOGICA d'iTALIA 19
pletò con le carte già stampate per le Memorie e con tutte le pubblicazioni
fino allora eseguite dal Comitato.
Tali lavori furono assai apprezzati dai competenti, e ricompensati in
modo lusinghiero dalla Giurìa di quella Esposizione.
Il B. Decreto del 15 giugno 1873, del quale fu parlato, stabiliva che
il personale operatore fosse costituito da ingegneri e da aiutanti del B. Corpo
delle Miniere, i quali si fossero particolarmente dedicati alla geologia ed
avessero compiuto un tirocinio pratico, della durata di un anno, nel Geolo-
gical Survey di Londra o in altro Istituto estero designato dal Comitato.
Bestava però (art. 10) in facoltà del Ministro di incaricare geologi estranei
all'Ufficio, del rilevamento di speciali regioni: e ciò fu fatto pel doppio scopo
di non disturbare l'andamento dei lavori in corso nelle Alpi occidentali e
in Sicilia, e di provvedere, alla occorrenza, ad altri rilevamenti, senza aspet-
tare che rUfficio potesse disporre direttamente di personale pratico ed in nu-
mero sufficiente.
Del personale operatore, cui fu già accennato, solo un ingegnere (Bal-
dacci) accettò di recarsi all'Estero a compiere i voluti studi di perfezio-
namento per essere regolarmente nominato ingegnere nel B. Corpo delle
Miniere; gli altri vennero provvisoriamente conservati in servizio presso
l'Ufficio.
Una ricca raccolta di materiali italiani da costruzione e da ornamento
che era stata fatta dal Ministero in occasione dell'Esposizione di Vienna,
passò, per effetto del suddetto Decreto, a far parte delle Collezioni del Co-
mitato; essa era stata messa insieme per mezzo di Giunte provinciali, le
quali in generale gareggiarono di zelo per la sua buona riuscita, e formò
allora la base delle future collezioni del Comitato, che ebbero poi rapi-
dissimo incremento col progredire dei lavori di rilevamento e con notevoli
acquisti di preziose raccolte fatte in seguito dal Comitato.
Il più volte citato Decreto stabiliva (art. 2) che le riunioni del Comi-
tato geologico dovessero tenersi in Boma presso il Ministero di Agricoltura
Ind. e Comm., e che il Comitato dovesse venire convocato dal Ministro ; in
omaggio a tale disposizione, anche la sede dell'Ufficio geologico fu trasferita ai
primi del 1874 a Boma, ed ivi furono ripresi con attività i lavori in corso
e, fra questi, anche la pubblicazione del Bollettino bimensile, che andava
acquistando sempre maggiore importanza per pregevoli lavori originali.
Allo scopo di porre in atto il nuovo ordinamento, il Ministero volle,
come già era stato fatto nel 1861, sentire in proposito il parere dei più re-
putati geologi italiani, inviando loro, verso la fine del febbraio 1874, una
circolare contenente tre quesiti principali, riguardanti la serie generale dei
terreni da adottarsi, i colori e segni convenzionali per rappresentarli sulla
Carta topografica, e finalmente le norme ed istruzioni da impartirsi ai geologi-
^ LUIGI BALDACCI
operatori per la pratica esecuzione del lav^oro di rilevamento ; ciò allo intento
di avviare l'opera con unità di concetto ed uniformità e con la voluta preci-
sione, valore scientifico ed utilità pratica del risultato. Le risposte a tale
questionario furono assai istruttive ed adeguate alla importanza dell* argo-
mento : ma mostrarono la esistenza di notevoli discrepanze. La oooperazione
provvisoria di geologi noti per i loro lavori ed estranei airufScio, fu dai più \
riconosciuta indispensabile se si voleva por mano sollecitamente al lavoro
in attesa che il Comitato potesse disporre del proprio personale ; tale coope-
razione poteva riguardare tanto i lavori già dai medesimi geologi eseguiti e
tuttora inediti, quanto i nuovi rilievi dei quali essi venissero incaricati;
ma tali lavori staccati avrebbero dovuto pur sempre uniformarsi ad un solo
concetto.
In alcune, poi, di quelle risposte, si cominciava fin d'allora a scorgere
un principio di opposizione a che la Carta geologica venisse effettivamente
rilevata dagli ingegneri delle Miniere, ai cui lavori sarebbe, secondo quelle
obiezioni, mancata una seria base scientifica e un sufficiente grado di atten-
dibilità; tali obiezioni presero poi maggior corpo in seguito, quando il la-
voro della Carta geologica già poteva considerarsi come assai ben incam-
minato, e dettero luogo ad amplissime discussioni, le quali portarono final-
mente a un soddisfacente accordo, in modo che l'andamento del lavoro non
ne rimase, come era da temersi, compromesso. Tuttavia, già sin d'allora era
facile rispondere a tali obiezioni con la considerazione che la Carta geolo-
gica ufficiale deve presentare, saldamente posati su basi scientifiche, tutti
quegli elementi di indole pratica ed utile per lo sviluppo di molte importan-
tissime industrie ; e che, per tale scopo, le cognizioni acquistate con studi e
tirocinio speciale, l'abitudine della precisione, la facilità con cui si possono
affrontare e risolvere i più astrusi problemi tettonici e quella di rappresentare
fedelmente sulla carta topografica le particolarità della struttura geologica
di una data regione, meglio che in altri studiosi possono trovarsi in un in-
gegnere del Corpo delle Miniere.
ÀI primo quesito riguardante la serie dei terreni da adottarsi, fu
prevalentemente risposto che, nello stato della geologia in Italia, non si
poteva allora stabilire a priori una serie generale italiana, ed i più si limi*
tarono a proporre serie locali per singole regioni; in verità, tali risposte
erano da aspettarsi fin dal principio, poiché in un paese, come l'Italia ricco
di formazioni, di orografìa complicata, come ne è in generale complesso l'as-
setto tettonico, la serie precisa dei terreni, anziché la base del lavoro, ne
doveva essere la conseguenza e come la sintesi dei rilievi particolareggiati
eseguiti nelle singole regioni. Fu anche opinione di qualcuno di adottare
diverse serie regionali, in base alle quali si sarebbero dovuti eseguire i ri-
lievi; tali serie, col progredire del lavoro, sì semplificherebbero, si avvicine-
rebbero fra loro, e sparirebbero, a lavoro compiuto, per fondersi nella serie
LA CARTA GEOLOGICA d'iTALIA 21
m
generale italiana. Dal punto di vista pratico si riconosceva poi evidente la
utilità delle serie locali molto particolareggiate, le quali permettono anche
la rappresentazione delle particolarità litologiche, che in una serie generale
andrebbero sacrificate al concetto cronologico.
Tale criterio venne sempre seguito nei rilevamenti geologici eseguiti
dagli ingegneri delle Miniere addetti a questo servizio, in modo che sulle
minute di campagna che si rilevano in generale alla scala di 1 : 50,000,
spesso a 1 : 25,000 e talvolta anche in scale maggiori, viene accuratamente
tenuto conto di tutti i piani in cui può suddividersi una serie anche per la
varia composizione litologica. Nella pubblicazione poi della Carta del Regno,
che si fa alla scala di 1 : 100,000, molte di quelle particolarità devono,
anche per ragioni tipografiche, essere raggruppate in modo da uniformarsi a
una serie comprensiva, la quale oramai racchiude tutti i terreni che costi-
tuiscono la nostra penisola.
Sul quesito riguardante la serie dei colori e dei segni convenzionali per
la indicazione dei terreni sulla Carta, alcuni fecero proposte di serie croma-
tiche speciali, altri proposero di seguire Tesempio delFEstero e particolar-
mente della Svizzera, Francia e Inghilterra, essendo i colori adottati da questi
Stati per la loro Carta geologica più intonati e tali da permettere molte
modificazioni senza forti contrasti, in confronto di quelli austriaci ed inglesi ;
le grandi divisioni cronologiche avrebbero dovuto rappresentarsi con tinte
caratteristiche speciali, e le loro suddivisioni con gradazioni delle tinte stesse^
escludendo assolutamente i tratteggi.
Alla data, infatti, nella quale tali opinioni venivano emesse, la tecnica
della stampa di carte geologiche a colori era assai lungi dal raggiungere la
perfezione cui si è giunti oggidì, in modo che attualmente si possono rap-
presentare con tratteggi di varia natura e di differenti colori una quantità
di particolarità e di suddivisioni geologiche, senza nuocere in alcun modo
alla chiarezza delle carte. La questione della coloritura venne poi ripresa
e ampiamente sviluppata nel Congresso geologico internazionale di Bologna,
al quale si accennerà in seguito. Nella nostra Carta geologica, all'uso dei
tratteggi si è dovuto frequentemente ricorrere, essendo quasi impossibile ot-
tenere da una stessa tinta di fondo una quantità di gradazioni di varia in-
tensità per rappresentare i piani, spesso numerosi, di una data serie geolo-
gica, senza incorrere nel pericolo di avere tinte troppo somiglianti e irrico-
noscibili runa dall'altra se esse non sono poste fra loro in immediata vici-
nanza.
I terreni eruttivi si dovevano rappresentare con tinte speciali più vive
di quelle dei terreni sedimentari, e finalmente la Carta doveva portare la
indicazione, fatta a mezzo di segni speciali, di tutti i giacimenti di minerali
utili, delle sorgenti minerali e termali, località fossilifere, stazioni preisto-
riche, ecc.
22 LUIGI BALDACCI
l
Per le norme da prescri?ersi agli operatori, tutti si accordarono nel
concetto che esse dovessero avere Tintento di conseguire il massintio di uni-
formità ed il maggior grado di precisione scientifica e di utilità pratica;
quindi, oltre che alla somma esattezza dei rilievi, essi dovevano porre mente a
tutte le particolarità che per ogni regione venissero loro additate volta per
volta dalla Direzione centrale. Gli operatori dovevano altresì presentare le '
raccolte di roccie e fossili con tutte le indicazioni, oltre a descrizioni orogra-
fiche e geologiche corredate da profili, possibilmente accompagnate dalle
analisi dei materiali utili incontrati.
Queste norme, dettate dai più valenti geologi allora viventi in Italia,
vengono per la massima parte tuttora rigorosamente seguite nel lavoro della
Carta geologica del Beguo.
In considerazione poi delle discrepanze sórte fra i geologi interpellati spe-
cialmente sulla questione della serie dei terreni geologici, il ministero deliberò
saviamente di convocare in Roma quegli illustri scienziati, affinchè discutes-
sero liberamente intorno agli argomenti riguardo ai quali erano stati interro-
gati; eia riunione ebbe luogo presso il Ministero di agricoltura, nell'aprile 1874.
Vi presero parte il ministro Finali, rispetterò delle miniere Axerio ed i
geologi Baretti, Berruti, Capellini, Cocchi, Curioni, D'Achiardi, Gastaldi,
Gemmellaro, Mantovani, Meneghini, Mottura, Omboni, Perazzi, Pirona, Ponzi,
Scarabelli, Sella, Stoppani, Strùver e Taramelli ; funzionò da segretario Tin-
gegnere delle miniere Zezì, e le sedute furono presiedute dal ministro Finali
e, in sua assenza, da Quintino Sella. Dopo animate e interessanti discussioni,
venne fissata una serie generale per i terreni italiani nonché le norme da
seguirsi per stabilire una serie di colori e segni convenzionali, e si convenne
nella necessità di por mano sollecitamente ai lavori di rilevamento, utiliz-
zando a tal uopo tutti gli elementi adatti, sia di personale che di materiali,
a quella data disponibili in Italia. La serie dei terreni, ordinata nel modo
indicato dal Congresso, fu poi comunicata a tutti i geologi intervenuti, affinchè
potessero farvi le osservazioni ritenute da loro opportune e introdurre, airoccor-
renza, suddivisioni nella serie stessa. Delle dotte risposte che si raccolsero
anche in questo appello, fu tenuto conto in seguito nel redigere le istruzioni
da impartirsi agli operatori geologi.
Per l'esecuzione pratica del lavoro fu consigliato di affidare a geologi
locali il rilevamento di determinate regioni nella maggiore scala allora dis-
ponibile, rinviando il completamento e la pubblicazione della Carta alla
scala di 1 : 50,000 all'epoca nella quale l'Istituto Topografico avrebbe ultimati
i suoi rilevamenti. A quella data, le carte cui si poteva ricoiTere erano:
P, l'antica Carta dello Stato sardo, comprendente il Piemonte e la Liguria,
alla scala di 1 : 50,000 ; 2% la Carta dello Stato Maggiore austriaco, com-
prendente la Lombardia, il Veneto, gli ex-Ducati di Parma e di Modena, la
Toscana e l'ex-Stato pontificio, alla scala di 1:86,400; 3% la nuova Carta
LA CARTA GEOLOGICA d'iTALIA 23
dell'Istituto Topografico italiano a 1 : 50,000, ìd corso di rilevamento. Essa
si trovava allora già ultimata per la Sicilia e parte delle provincie meri-
dionali. Mancavano allora totalmente Carte in grande scala per parecchie
Provincie dell' ex-Regno di Napoli e per la Sardegna.
Le norme pratiche riguardanti la serie dei terreni e i metodi di rap-
presentazione stabilite in quel Congresso, furono molto particolareggiate e
non è qui il caso di esporle minutamente, tanto più che, all'atto pratico, per
qualcuna di esse fu riconosciuta la impossibilità di applicazione, e altre fu-
rono poi, come era da attendersi, sostanzialmente modificate.
Frattanto, allo scopo di fornire al Comitato il personale adatto, si era
cominciato fino dal 1873 ad inviare all'estero dei giovani ingegneri, i quali,
ultimati i corsi della École des Mines di Parigi o di altro Istituto superiore
consimile, e fatto un periodo di esercitazioni pratiche presso il Geological
Survey inglese, potevano entrare, dopo circa tre anni, a far parte del perso-
nale suddetto.
Nel 1874 il prof. Gastaldi, coadiuvato dal Baretti, attese ai suoi lavori
nelle Alpi occidentali, rilevando in questo periodo di tempo vari fogli ex
novo e completandone altri ; egli si riprometteva, approfittando anche degli
studi precedenti del Gerlach sulle Alpi Pennine, di dare entro il 1875 il
rilevamento completo delle Alpi occidentali dal confine svizzero del Canton
Ticino sino al Monviso, eccettuatone il gruppo del Monte Bianco, e il Co-
mitato si proponeva di pubblicare nell'anno successivo quella Cai*ta, ridu-
cendola dalla scala originaria di 1 : 50,000 a quella di 1 : 250,000.
L'ing. Mottura attendeva contemporaneamente alla prosecuzione dei suoi
rilevamenti nella zona solfìfera siciliana, e il prof. Seguenza si occupava as-
siduamente dei lavori geologici, di cui era stato incaricato per le provincie
di Messina e Reggio Calabria, valendosi già della Carta a 1 : 50,000 del-
l'Istituto militare.
Il prof. Cocchi andava completando la sua Carta geologica dell'impor-
tantissimo gruppo delle Alpi Apuane, che egli aveva già iniziata ed esposta
a Vienna per la parte meridionale del gruppo stesso. La Carta avrebbe do-
vuto esser terminata nel successivo anno, ed avrebbe compresa tutta la re-
gione che si estende dal Mediterraneo al culmine dell'Appennino fra la Magra
e il Serchio : essa avrebbe dovuto essere accompagnata da una Memoria de-
scrittiva da pubblicarsi in un terzo volume di Memorie.
Le raccolte del Comitato aumentavano intanto notevolmente, poiché al
materiale raccolto dai singoli operatori venivano aggiunte altre e cospicue
collezioni donate al Comitato da studiosi privati ed altre acquistate, come
quella ricchissima del Curioni, comprendente roccie, fossili e minerali della
Lombardia, che costò circa 5000 lire, acquistando il Comitato, insieme con
quella, anche la proprietà della Carta geologica della Lombardia, dal Curioni
stesso rilevata alla scala di 1 : 86,400.
24 LUIGI BALDÀCCI
Sin dal trasferimento del Comitato a Roma ai primi del 1874, era stata
riconosciuta la insofficienza e la poca idoneità del locale che gli era stato
assegnato nell* ex-convento di S. Maria della Vittoria; ma solo nei primi
mesi del 1875 il Ministero di agricoltura potò ottenere da quello dell'Istru-
zione Tuso temporaneo di una parte dei locali occupati dalla B. Scuola di
applicazione per gli ingegneri, e neiraprile di quelFanno vennero ivi trasfe-
riti TufScio e le collezioni.
Per ciò che concerne i lavori per la Carta geologica, ai primi del 1875
veniva afBdato al geologo-operatore Lotti Tincarico di eseguire il rilevamento
geologico del gruppo montuoso di Massa Marittima nella Maremma Toscana,
comprendente le quattro vaste comunità di Massa Marittima, di Montieri,
di Gavorrano e di Castiglione; Talta direzione scientifica di questo lavoro
era afBdata al prof. Meneghini, ed esso presentava un particolare interesse
non solo scientifico, ma altresì industriale, essendo quella regione ricca di
giacimenti metalliferi e di altri prodotti minerari. 11 prof. De Stefani veniva
nello stesso anno incaricato del rilevamento del Monte Pisano, della Mon-
tagnola Senese e delVinterposto gruppo di Jano, interessantissimo per gli
afBoramenti del Carbonifero e per la presenza di giacimenti di cinabro.
Già fin d'allora, merco gli scambi e notevoli acquisti, la biblioteca del
Comitato aveva acquistata una grande importanza ed era ricca di più mi-
gliaia di volumi, ed anche le collezioni costituivano un importante patrimonio
scientifico. Erano in esse comprese : la raccolta di materiali per uso edilizio
e decorativo, comprendente le pietre naturali ed i prodotti artificiali : essa ò
sempre in via di aumento, e la somma disponibile per il suo incremento ve-
niva, secondo il bisogno, erogata in sussidi alle varie Giunte provinciali ; una
raccolta di minerali, roccie e prodotti metallurgici dell Ungheria, regalata
dal governo austriaco in cambio di una collezione di materiali italiani da
costruzione, che aveva figurato alla Esposizione di Vienna; una collezione di
minerali e roccie del Cile, donata dal Ministero di agricoltura; una raccolta
di roccie provenienti dal traforo del S. Gottardo; raccolte di fossili, roccie
e minerali di località diverse; la collezione Curioni già rammentata; una
collezione di roccie delle Alpi occidentali e una raccolta dei prodotti delle
miniere italiane, allora in via di formazione per cura degli ingegneri del
Corpo delle Miniere.
Dairepoca della costituzione del Comitato, 15 dicembre 1867, sino alla
fine del 1874, erano state spese all'incirca L. 122,000, delle quali, circa
27,000 per lavori di rilevamento e sussidi a geologi privati, circa 35,000
per il personale, 26,000 per le pubblicazioni, 18,000 per la biblioteca, e il
rimanente per spese d'impianto, posta e diverse. Aggiungendo a questa somma
il costo della Carta geologica della Savoia, Piemonte e Liguria, in L. 28,500,
si vede che, in cifra tonda, la spesa feitta dal governo per la Carta geologica
raggiungeva appena le L. 150,000.
LA CARIA OBOLOGICA d'iTALIA 25
Il primo efficace principio di un rilevamento regolare della Carta in
grande scala non potè aversi che al principio del 1877, quando, essendo già
tornati dalV estero alcuni dei giovani ingegneri inviati agli studi di perfe-
zionamento ed al tirocinio pratico di geologia, si potè costituire un primo
nucleo in Sicilia, ove esisteva già la carta topografica a ^777^^ e dove già
ring. Mottura aveva, come si disse, iniziati i rilevamenti della parte cen-
trale della zona solfifera. Il lavoro così avviato, si continuò con molta attività
negli anni successivi, essendo stato possibile di assegnarvi nuovo personale,
in modo che già nel 1880 si era ultimato il rilevamento di tutta la zona
solfifera e si possedevano già elementi sufficienti per una sommaria valuta-
zione dello zolfo esistente in quei vasti giacimenti.
Nel 1878 si iniziava il rilevamento dei dintorni di Roma per mezzo
del personale residente presso l'Ufficio geologico, e poco dopo si intrapren-
deva anche quello delle Alpi Apuane e delV isola d'Elba per mezzo di un
nucleo di operatori aventi la loro sede in Pisa, sotto Talta direzione scienti-
fica deir illustre Meneghini di quella Università, allora presidente del
B. Gomitato geologico.
Contemporaneamente si andava facendo una ricognizione generale del-
l'Italia, e particolarmente della sua parte centrale e meridionale, che erano
le meno conosciute e, in talune regioni, anche affatto inc(^nite. Da tali ri-
cognizioni sommarie e dal coordinamento dei lavori preesistenti risultò la
possibilità di compilare una Carta generale d'Italia in piccola scala, la
quale venne poi pubblicata nel 1881 in occasione del Congresso geologico
intemazionale di Bologna, e che segnò un notevole progresso nella conoscenza
geologica del nostro paese.
Terminato, come fu detto, il rilevamento della zona solfifera siciliana,
veniva nel 1880 deliberato di estendere a tutta la grande isola il rileva-
mento geologico, con l'aggiunta di nuovo personale allora tornato dall'Estero,
il quale attese a questo lavoro difficile, disagevole e faticoso, con grande
zelo, sotto l'alta direzione scientifica del prof. Gemmellaro della Università
di Palermo, che, in ben venti anni di assidue e profonde ricerche pa-
leontologiche, era già riuscito a stabilire su sicure basi la complessa serie
dei terreni di queir isola. Tale complesso incomincia dal basso coi terreni
cristallini della parte nord-orientale dell' isola, presentanti numerose varietà
di roccia cristalline e di scisti metamorfici : esso presenta un rappresentante
sicuro del Permocarbonifero nel classico affioramento fossilifero della valle
del Sosio ; è poi quasi completo per i terreni secondari dal Trias al Cretaceo
superiore, e comprende al completo il gruppo dei terreni terziari, fra i quali
ha grandissimo interesse la serie gessoso-solfifera, e di quelli quaternari e
recenti, e vulcanici. L'assetto tettonico dei vari gruppi di terreni è spesso
notevolmente complicato, e non sempre ne è facile una sicura interpretazione;
26 LUIGI BALDACCI
cosi che, applicando in questi ultimi tempi alla Sicilia le moderne ve-
dute sulla tectonica e in particolar modo ani grandi carreggiamenti, si cre-
dette di riconoscere nelle superbe catene montuose secondarie facenti corona
attorno alla lussureggiante Conca d'Oro di Palermo e in altri monti del-
l'isola, delle grandi falde carreggiate da enormi distanze, galleggianti, per
così dire, sugli scisti argillosi terziari che le circondano quasi da ogni
parte.
Ma tale interpretazione tettonica non è sussidiata da nessun fatto
convincente; e certamente, fino a prova contraria, converrà attenersi alla
interpretazione assai più semplice, la quale venne data per la presenza
e disposizione di quelle masse montuose da coloro che ne eseguirono il rile-
vamento geologico particolareggiato, e che si formarono le loro convinzioni
non con semplici escursioni e rapide traversate e con la interpretazione fatta
a tavolino delle Carte geologiche, ma bensì con lunghi e faticosi percorsi,
nei quali il territorio venne passo a passo esplorato.
Mentre per la Sicilia procedeva alacremente il rilevamento regolare,
erano stati presi accordi con alcuni reputati geologi per il rilievo sommario
di altre località geologicamente pochissimo note, come la Basilicata, che fu
affidata al prof. De Giorgi di Lecce, e la Calabria, che si affidò al prof. Lo-
visato.
Nella Esposizione internazionale del 1878 in Parigi, il servizio della
Carta geologica aveva figurato con molto onore e vi fu presentata anche una
gmn parte della carta regolare a 1 : 50 000 della zona solfifera, oltre alla
gran carta delle Alpi Occidentali, del Gastaldi, che si meritò la medaglia
d'oro.
Nell'anno seguente, per la prima volta, l'assegno per la Carta geologica
raggiunse una cifra importante, cioè quasi 60.000 lire. Il Comitato ebbe a
deplorare la perdita del Gastaldi e del Curioni e venne dal Ministero rico-
stituito, portando però il numero dei suoi membri a sette, i quali dovevano es-
sere scelti dal Ministero stesso fra le persone più versata nelle discipline geo-
logiche e minerarie ; del Comitato doveva far parte V ispettore capo del Corpo
reale delle Miniere, il funzionario dello stesso Coi*po, specialmente incaricato
della direzione dei lavori geologici, il direttore della Stazione agraria e U
capo dell'Istituto geografico militare. Fu inoltre deliberato che il Comitato
fosse retto da un^ presidente, scelto ogni anno dal Ministero fra i suoi
componenti, e che si riunisse in sessione ordinaria il primo mese di ogni
anno per la relazione dei lavori compiuti. In pari tempo l'Ufficio geologico
veniva provveduto con sufficiente numero di geologi operatori, di aiutanti, di
ingegneri temporaneamente incaricati, di un paleontologo e di un petrografo,
e il lavoro poteva procedere in modo regolare e con la voluta continuità.
Fu in queir epoca che incominciarono però in seno al Comitato stesso
vivacissime discussioni intorno ai modi più opportuni per spingere più effi-
LA. CARTA GEOLOGICA d'iTALIA 27
cacemente la grande impresa. Nella seduta del 17 marzo 1879 V ispettore
Giordano fece una minuta relazione sull'andamento della istituzione dal 1877
in poi, ed espose le condizioni dell' Ufficio geologico e lo stato dei lavori per
il rilevamento della Carta geologica.
Il prof. Stoppani si dichiarò allora perfettamente contrario al modo con
cui funzionavano il Comitato e l'Ufficio geologico, presentando come precipua
ragione del suo modo di vedere quella che il Corpo delle Miniere, costi-
tuito da ingegneri la cui istruzione era a base piuttosto utilitaria che scien-
tifica, non avrebbe mai saputo dare una Carta geologica veramente scienti-
fica ; egli formulò la proposta di staccare l' Ufficio geologico dal Corpo
delle miniere, facendone un'istituzione autonoma che si doveva porre sotto
la direzione di un'alta autorità scientifica. Questa proposta incontrò na-
turalmente viva opposizione, non soltanto da paii;e del capo del B. Corpo
delle miniere, ma altresì da parte dei professori Meneghini e Capellini;
e dopo ardente discussione, posta a partito la proposta Stoppani, questa venne
respinta.
Il prof. Stoppani ripresentò poi reiteratamente le sue proposte, e nel
1880 ebbe occasione favorevole per sostenere vigorosamente le proprie idee.
In quell'anno era stata convocata una speciale riunione, alla quale parteci-
parono altri geologi invitati dal Ministero, allo scopo di esaminare un disegno
di legge, preparato dall'Ispettore delle miniere, in seguito ad invito del
Ministero stesso, per ottenere dal Parlamento i fondi necessari al compi-
mento e alla pubblicazione della Carta geologica in grande scala. Il primi-
tivo progetto Giordano era ancora informato ai principi generali della isti-
tuzione in vigore e, prendendo per base la pubblicazione della Caiia alla
scala di 1:50.000 entro un periodo di 26 anni, richiedeva una spesa media
di L. 200.000 all'anno, ossia, in totalità, L. 5.200.000. Le proposte del Gior-
dano furono vivacemente combattute dal prof. Taramelli, appoggiato dallo
Stoppani, nel senso già svolto dallo Stoppani stesso nell'anno precedente ; e,
naturalmente, ciò provocò una discussione non lieve. L'on. Sella, che faceva
parte del Comitato, propose allora, per metter termine alla discussione e con-
siderato che la questione non era di somma urgenza e meritava veramente
una speciale ponderazione, che i dissidenti proff. Stoppani e Taramelli for-
mulassero e presentassero un contro-progetto.
In attesa della occasione per riprendere la importante discussione, il
Comitato e T Ufficio geologico si preparavano con grande alacrità a fare de-
gnamente figurare al Congresso geologico internazionale, che doveva radu-
narsi a Bologna nel settembre 1881, i lavori fatti per la grande Carta.
Per tale Congresso il Parlamento votò, in seguito a relazione del Sella, un
concorso di L. 40.000. Il Congresso di Bologna, sotto la presidenza del Ca-
pellini, ebbe una riuscita magnifica, e in esso, oltre alla trattazione, fatta
da sommi scienziati di ogni parte del mondo, dei più alti argomenti e prò-
28 LUIGI BALDACCI
blemi geologici, e specialmente di molte gravi questioni rignardanti la car-
tografia geologica, si compiè un avvenimento assai importante per lo svi-
luppo e l'incremento delle scienze geologiche in Italia, cioè la fondazione
della Società geologica italiana, promossa dagli illustri Sella. Capellini e
Giordano. La Società geologica italiana vive da allora, sempre in ottimo
accordo e in comunanza di intendimenti col servizio della Carta geologica,
di una vita rigogliosa e feconda ; e nel suo ricercatissimo Bollettino, palestra
scientifica dei provetti e dei giovani geologi, videro e vedono la luce Memorie
di grande importanza scientifica.
Nel Congresso di Bologna era anche stata deliberata la formazione di
una grande Carta geologica internazionale delFEuropa alla scala di 1:1.500.000;
e da allora in poi, fra i compiti del servizio della Carta geologica, vi fu quello
di preparare gli elementi riguardanti il nostro territorio, ciò che dette luogo
a numerose escursioni e ricognizioni nelle regioni geologicamente meno co-
nosciute, in modo da poter mettere al coiTonte o migliorare la cartina geo-
logica alla scala di 1 : 1.000.000, che era già pubblicata e che era stata
esposta al Congresso del 1881.
La grave questione già sollevata dai proff. Stoppani e Taramelli ri-
guardo alla nuova sistemazione del servizio geologico, venne rimessa allo
studio e in discussione nel marzo 1882, essendo stata portata dal Ministero
davanti a una autorevolissima commissione appositamente convocata, della
quale facevano parte naturalmente i due professori suddetti. Il progetto Stop-
pani-Taramelli proponeva essenzialmente la fondazione di un Istituto resi-
dente in Roma, con gli stessi oneri, diritti ed attribuzioni delVattuale Co-
mitato, ma costituito da un direttore generale, da dieci geologi distinti in
tre classi, da un segretario, due disegnatori e un custode, e retto da un
Consiglio formato dal direttore e dai tre geologi di prima classe, sotto la
presidenza del Ministro di agricoltura. Il progetto venne esaminato e anima-
tamente discusso articolo per articolo, addivenendosi poi, dopo tre giorni di
sedute, di laboriose riflessioni e di mutue concessioni, a concretare il prò-
getto definitivo da presentarsi alla Camera, il quale venne ad essere una
fusione fra quello primitivo del Giordano e quello Stoppani-Taramelli. Il
progetto redatto dalla Commissione, portava una spesa totale annuale di
L. 212.300, oltre a una spesa fissa di impianto di L. 120.000, mentre nel
progetto Giordano primitivo la spesa annua raggiungeva L. 240.000, delle
quali, 112.000 per il personale, 43.000 per Vindennità di campagna e trasferte,
45.000 per spese di stampa, e il rimanente per laboratorio chimico, colle*
zioni, biblioteca, ecc. Le spese d'impianto erano calcolate, anche nel pro-
getto Giordano, in L. 120.000. Con tale sistemazione la grande Carta geo-
logica del Regno si sarebbe potuta compiere e pubblicare, con tutte le sue
illustrazioni, in 18 anni circa e con una spesa totale di 4 milioni e mezzo.
Le gravi condizioni del bilancio dello Stato non permisero tuttavia che
LA CARTA GEOLOGICA d'ITALIA ^
tali grandiosi concetti potessei-o avere esecuzione, e il lavoro continaò col
medesimo sistema e con gli stessi organamenti, e fortunatamente con una
dotazione annuale sufficientemente larga, poichò questa già raggiungeva, nel
1882, quasi 92.000 lire.
Nel 1883 e nell'anno successivo, molto del lavoro dell* Ufficio geologico
fu dedicato al miglioi-amento della cartina d* insieme, cui fu già accennato ; tiò
che portò la necessità di gran numero di lontane escursioni, senza che il
rilevamento particolareggiato in grande scala se ne potesse di molto avvan-
taggiare. Ma già fin da allora 1* Ufficio possedeva un considerevole numero di
carte rilevate, e cioè principalmente la Sicilia al completo e l'isola d'Elba;
e si pensò ad iniziare la pubblicazione del già fatto, e venne quindi ini-
ziata la pubblicazione di alcuni fogli della Sicilia alla scala di 1 : 100.000,
e dell* isola d*£lba a 1 : 25.000.
Per la pubblicazione della Carta geologica della Sicilia, l'Ufficio non
potè disporre, come carta topografica di base, che della Carta dell'Istituto
geografico alla scala di 1:100.000, la quale, per scopo di rappresentazione
geologica, essendovi la orografia figurata con fitto tratteggio, non si presta
molto felicemente alla chiarezza delle indicazioni e delle diverse tinte geo-
logiche, specialmente per le parti montuose e dove la struttura geologica è
molto complessa.
Il lavoro di pubblicazione della Carta della Sicilia continuò tuttavia
ininterrotto fino al 1886, e la Carta stessa, la quale comprende 28 fogli e
5 tavole di sezioni, è accompagnata da una Memoria descrittiva dell'inge-
gnere Baldacci, con la quale si iniziò una nuova serie di pubblicazioni del
B. Ufficio geologico, e cioè la serie delle Memorie descrittive della Carta
geologica d'Italia, serie che è ora al suo XIII volume.
Una parte speoiale della Memoria descrittiva della Sicilia si riferisce
allo studio particolareggiato dei giacimenti solfiferi ed alle teorie sulla ori-
gine di questi depositi i quali formano certamente la più importante risor&a
mineraria del nostro paese poiché se ne estraggono ogni anno fra 400.000
e 500.000 tonnellate di solfo, metalloide che costituiva, sino a pochi anni
or sono, un vero monopolio per l'Italia e particolarmente per la Sicilia. In-
fatti, fino al 1904 circa, la produzione solfifera italiana costituiva circa i 9
decimi di quella del mondo intero. Disgraziatamente, le circostanze sono pro-
fondamente mutate, e la scoperta e la applicazione di ingegnosissimi metodi
per sfruttare con mezzi grandiosi i colossali depositi di solfo della Luigiana,
han fatto sorgere contro la nostra industria un potentissimo rivale, che già
seppe accaparrarsi il principale sbocco per i nostri solfi, cioè quello degli
Stati Uniti d'America, dove si mandavano già poco meno di 200.000 ton-
nellate all'anno, mentre ora la nostra esportazione solfifera per quei paesi
è ridotta quasi a nulla.
30 LUIGI BALDACCI
Mercè il particolareggiato rilevamento esterno ed interno di tutti i gia-
cimenti solfiferì, valendosi anche degli elementi forniti dalle lavorazioni mi-
nerarie, ring. Baldacci arrivò a valutare la quantità di solfo esistente in
Sicilia in circa 54 milioni di tonnellate : e calcolando la parte già estratta
fino al 1886, egli computava che vi si trovassero ancora disponibili 42 mi-
lioni di tonnellate ; ciò che porterebbe, con la produzione media degli ultimi
decenni, la durata delle solfare siciliane a una ottantina di anni da allora.
Secondo altri, la valutazione Baldacci sarebbe alquanto al di sotto del vero :
ma se si pone mente alle difficoltà, sempre crescenti, della estrazione del mi-
nerale a misura che le escavazioni diventano più profonde, è assai probabile
che la durata stabilita dal Baldacci venga di pochissimi anni sorpassata, e
già fin d'ora molti dei minori giacimenti siciliani possono considerarsi in
via di esaurimento, mentre altri, che ebbero già notevolissima importanza,
sono totalmente esauriti.
La Carta geologica dell' isola d'Elba alla scala di 1 : 25.000 si pubbli-
cava, come si disse, nel 1884, e nel 1885 se ne fece una nuova edizione a
1:50.000; nell'anno successivo venne, per cura dell'Ufficio, pubblicata la
Memoria descrittiva, formante il voi. II della serie suaccennata, e redatta
dall' ing. Lotti che aveva eseguito la maggior parte del rilevamento del-
l'isola. Questa racchiude, come è noto, dei classici giacimenti di ferro, la cui
lavorazione si fa risalire ad oltre tre mila anni addietro, e che fin dall'epoca
romana erano ritenuti come inesauribili; inoltre, la varietà delle roccie da
cui r isola è costituita, dai principali tipi delle roccie massiccie a quelle
stratificate, e la abbondanza di importanti minerali ricercati dai musei di
tutto il mondo, ne facevano un ben degno oggetto di uno studio particola-
reggiato. Ma per ciò che riguarda l'estensione e la potenzialità dei grandi
giacimenti ferriferi, occorrevano indagini assai più spinte e più minuziose che
quelle ordinarie geologiche, e il compito di valutare in grande, come già
era stato fatto per il solfo siciliano, la quantità ancora disponibile dei mine-
rali di ferro, venne poi lodevolmente adempiuto dal Fabri il quale, con una
Memoria (voi. Ili) pubblicata dall'Ufficio geologico nel 1887, offriva un
completo studio geognostico-minerario di quei giacimenti, che erano stati al
proposito esplorati, sia con esattissimi rilievi superficiali, sia con una serie
di trivellazioni per determinarne la potenza. Dallo studio analitico del Fabri
risultò intanto che i giacimenti importanti sono superficiali o possono riguar-
darsi come tali rispetto alla lavorazione, la quale infatti si fa a cielo sco-
perto in tutte le miniere; e la quantità esistente al 1884 venne valutata
dal Fabri a circa 8 milioni di tonnellate di minerale ripartito nei giaci-
menti di Rio, Vigneria, Rio Albano, Terranova e Capobianco, Calamita, Gi-
nevre. Si ritiene che fino a quella data siano state estratte da quelle mi-
niere circa 12 milioni di tonnellate, di cui 4 milioni sarebbero stati esca-
vati nel breve periodo di 33 anni fra 111851 e il 1884.
LA CARTA GEOLOGICA d'iTALIA 31
Il diligente studio del Fabri anaimziava prossimo resaurimento delle
miniere Elbane qualora ne venissero estratte annualmente 400.000 o più ton-
nellate, in conformità dei progetti che fin da allora si erano ideati. Era tuttavia
probabile che, considerata la irregolarità del fondo sul quale i minerali di ferro
si sono deposti, non tutte le trivellazioni fossero eseguite in modo da costituire
delle serie atte a fornire una buona media di potenza dei giacimenti. Se
ciò malauguratamente non fosse, Tesaurimento dei classici giacimenti elbani
dovrebbe essere oramai non lontano, poiché in questi ultimi anni Y impianto
dei colossali altiforni della Società Elba a Portoferraio, di quelli di Piom-
bino, di quelli della Società Uva presso Napoli, ha fatto salire Testra-
zione del minerale deirElba a quelle cifre già così temute dal Fabri, cioè
a 870.000 tonnellate nel 1906, 450.000 nel 1907, 472.000 nel 1908; e
Taumento non accenna a fermarsi.
Dopo quelle del Fabri, altre indagini Airone fatte sulla potenzialità dei
giacimenti ferriferi elbani, e le più recenti si compierono nel 1904. A quella
data si calcolava, con criterii prudenziali, il minerale in essi ancora racchiuso
a circa 7 milioni e mezzo di tonnellate ; detraendo da questa quantità quella
estratta fra il 1904 e il 1909 ed altre quantità già impegnate, la pai*te
ancora disponibile sarebbe stata, ai primi del 1909, non molto più di 6 mi-
lioni di tonnellate.
È ancora da sperare, per l'avvenire dell* industria siderurgica in Italia,
che qualche altro gran giacimento ferrifero di recente scoperta, come quelli
del Messinese, della Maremma Toscana (Val d^Àspra, ecc.), della Nurra in
provincia di Sassari, mantenga le promesse di poter concorrere ad alimentare
con la sua produzione la nostra industria, alleviando così quelli dell'Elba,
i quali ora vi sopperiscono quasi per intero; anche i giacimenti di ottimi
minerali (magnetite ed oligìsto) di Gogne in Valle d'Aosta non sembravano
destinati, almeno fino a questi ultimi tempi, ad aiutare in modo efBcace la
nostra produzione ferrifera. Infatti, indagini esterne appositamente praticate
dal B. UfScio geologico pochi anni addietro, davano come massimo della
quantità di minerale direttamente visibile, sempre valutata con criterio molto
prudenziale, un milione circa di tonnellate. Fortunatamente però, nel 1904
e 1905 il concessionario del principal giacimento di Liconi a Cogne, per
mezzo di ricerche magnetometriche, potè riconoscere che il giacimento stesso
conteneva circa cinque milioni di tonno di roccia mineralizzata. Tale cifra
venne poi confeiiuata con indagini dirette, poiché una serie di perforazioni al
diamante, appositamente praticate nel 1909 e 1910, dà come certa l'esistenza,
nelle viscere del monte, di quella ingente quantità di minerale.
Nel classico giacimento di Traverselle si valuta che possa esser conte-
nuto per circa un milione di tonnellate di magnetite ; e probabilmente una
quantità non molto differente potrà venire fornita dai filoni e banchi di si-
derite, che si trovano in Lombardia negli scisti permocarboniferi e nelle
arenarie della base del Trias (Servino).
32 LUIGI BALDACCI
Dal 1879 in poi, e per alcuni anni, l'assegno stanziato annualmente in
bilancio per il servizio della Carta geologica fu adeguato allo scopo poiché
si niantenne per un certo tempo fra 80,000 e circa 92,000 lire. Nel 1885
sorpassò le lire 100,000, e nel 1887 raggiunse il suo massimo in lire 1(50,800.
Da quell'epoca in poi, esso fu ogni anno fortemente diminuito, finché nel 1891
venne ridotto a sole lire 65,000, a 55,000 e 50,000 negli anni seguenti, e
finalmente a 45,000 nel 1894, mantenendosi d'allora in poi sempre attorno
a questa cifra, veramente insufficiente per far procedere, con sufficiente atti-
vità, di pari passo il lavoro di rile?amento in campagna, con quelli di labo-
ratorio e con le pubblicazioni.
Fra i lavori cartografici di notevole importanza, che l'Ufficio potò produrre
e pubblicare nel periodo prospero delle sue finanze, vi è la carta geologica
delle Alpi Apuane, lavoro per la massima parte compiuto dall'ing. Zaccagna e
in parte dall'ing. Lotti e A^. Fossen, alla scala di 1 : 25.000, su carta topo-
grafica a curve orizzontali, per quello scopo rilevata dall'Istituto geografico
militare. 11 lavoro, particolareggiatissimo e che rappresenta fedelmente la
complessa serie di terreni e la complicata disposizione tettonica a pieghe
ripetute, caratteristiche di quel gruppo montuoso, venne poi pubblicato in 4
fogli, alla scala di 1 : 50.000, accompagnati da tre tavole di sezioni geolo-
giche e da un breve cenno riassuntivo sulla serie dei terreni e sui dati inte-
ressanti Tindustria marmifera. È ora desiderabile che un lavoro di così
grande mole, che occupò il suo principale autore per lunghi anni e che
presenta co»l alto interesse scientifico e industriale, tanto più nell'attuale
florido periodo dell'industria marmifera, possa fra breve venire illustrato da
una Memoria descrittiva, che tratti a fondo tutte le questioni geologiche e
pratiche riguardanti la importante regione.
Fu già accennato che nel 1885 la somma per la Carta geologica sor-
passò le 100,000 lire, e ciò avvenne grazie all'interessamento del ministro
Grimaldi che otteneva in quell'anno di elevare nel bilancio la somma su
detta e quella per il B. Corpo delle Miniere: in tale anno venne pure al-
quanto modificato l'ordinamento del Comitato, portandone a dodici i membri
eletti e a tre i membri dì diritto, e stabilendo che i membri eletti duras-
sero in carica due anni, si rinnovassero per un terzo ogni anno e fossero
sempre rieleggibili.
Nel 1885 stesso fu presentata al Congresso geologico intemazjonale di
Berlino dal Comitato e Ufficio geologico la Carta completa d'Italia allft 8<2ftlft
di 1 : 1.500.000, da servire, come fu detto, per la carta geologica interna-
zionale d'Europa. Per ciò che riguarda le pubblicazioni, ò da squillare per
queir anno l'inizio, nel Bollettino, della Bibliografia geologica iti^liana, la
quale è stata negli anni seguenti proseguita senza interruzione, e toma di
grande interesse agli studiosi. Fu anche deliberato in quell'anno che il Ser-
vizio della Carta geologica sussidiasse sul proprio bilancio la Società geo-
LA CARTA GEOLOGICA d'iTALIA 33
logica con lire 1000 annue; il sussidio fu poi portato a lire 1200, e poco
dopo, per le ristrettezze del bilancio stesso, fu ridotto a lire 500, e tale si
mantiene tuttora. Venne anche ampliato il servizio geodinamico e staccato da
quello della Carta geologica, istituendolo a parte e con appositi osservatorii,
dei quali i primi tre furono impiantati a Bocca di Papa, ad Ischia e
suir Etna.
Già da qualche anno, un altro fatto importante si era veritìcato nel-
Tandamento del servizio della Carta geologica, e cioè le continue richieste
che del personale dei geologi operatori — ormai provetto e addestrato con
lunghi anni di osservazione alla risoluzione di difficili problemi di tectonica, di
petrografia, di idrologia — venivano fatte da vari Dicasterii e particolarmente
da quelli dell* Agricoltura e dei Lavori Pubblici per scopo pratico di opere
pubbliche : come dire, sbarramenti di corsi d*acqua per la creazione di laghi
artificiali, tracciati di ferrovie e di strade ordinarie, consolidamenti di ter-
reni franosi. Lo studio del primo di questi problemi, fatto principalmente nel-
l'Emilia, in Sicilia e in parte in Calabria, occupò, durante tutto il 1886 e sul
principio dell'anno seguente, gran parte del personale disponibile dell'Ufficio.
Lo scopo principale di tali indagini fu, per l'Emilia, duplice: e cioè, in primo
luogo, vòlto a ricercare se con lo sbarramento di varii fra i numerosi torrenti
che scendono dall'Appennino settentrionale verso l'Adriatico, sarebbe stato
possibile, raccogliendo e immagazzinando l'acqua delle forti piene, creare delle
riserve capaci di alimentare il canale Emiliano grande opera in progetto;
in secondo luogo, venire in aiuto all'agricoltura, trasformando in terre irrigue,
vaste estensioni di territorio.
Ma lo studio accurato di questo problema complesso dimostrò che ben
poche erano le località le quali, per ristrettezza dell'alveo, per vicinanza re-
ciproca e solidità delle sponde, si prestavano con sicurezza alla costruzione
di grandi dighe di sbarramento, e che inoltre quelle poche località si trova-
vano a grandi distanze a monte dei terreni da irrigare o del presunto per-
corso del canale Emiliano da alimentare; e in conseguenza, dal punto di
vista economico, essendo anche indispensabili lunghi canali da costiiiirsi su
sponde in gran parte franose, due o tre soltanto di tali grandi costruzioni
avrebbero potuto, con qualche vantaggio, essere eseguite.
È tuttavia assai probabile, oggidì che oltre alla utilizzazione delle acque
per scopo agrìcolo si fa grande assegnamento sulle cadute d'acqua per uso
industriale, che qualcuna di quelle grandi opere possa riuscire economica-
mente proficua.
La ricerca del personale dell'Ufficio geologico per collaborare nella so-
luzione di grandi problemi stradali, ferroviari e costruttivi, continuò sin da
allora ininterrotta, e può dirsi che non vi sia nel nostro Paese opera ferro-
viaria, stradale o idraulica, costruita o progettata in questi ultimi tempi.
Luigi Baldacoi. ~ La Carta fftohp'ca ttltalta, 3
34 LUIGI BALDACCI
alla quale il personale della Carta geologica non abbia portato largo con-
tributo collo studio e con la conoscenza acquistata sulle condizioni geogno-
stiche del territorio del Regno.
Fra le questioni in particolar modo affidate dal Governo al perso-
nale suddetto, chiamato a far parte delle apposite commissioni, sono da
ricordare quelle riguardanti le condizioni geologiche dei tracciati e at-
traversamento deir Appennino per il gmnde acquedotto Pugliese, e quelle
analoghe per le ferrovie complementari del Piemonte (Cuneo- Ventimiglia),
deiritalia Centrale (Aulla-Lucca, S. Arcangelo-Fabriano, ecc.), deiritalia Me-
ridionale (Lagonegro-Castrovillari, Cosenza-Nocera, Cosenza-Paola, ecc.), della
Sicilia (Castelvetrano-Sciacca-Girgenti, Girgenti-Naro, ecc.). Funzionarii dello
stesso ufficio fecero parte delle Commissioni per lo studio geologico delle
ferrovie direttissime Boma-Napoli, Bologna-Firenze, Genova-Milano.
Per il territorio della nostra Colonia Eritrea i primi rilevamenti geolo-
gici vennero eseguiti dal personale stesso; e anche recentemente un funzio-
nario dell'Ufficio (Baldacci) ebbe incarico dal Ministero degli Affari Esteri
di visitare nuovamente la Colonia per riferire sui giacimenti metalliferi e
specialmente su quelli auriferi ivi esistenti.
Dallo stesso ingegnere dell'Ufficio geologico venne visitato e studiato il
grandioso giacimento solfifero della Luigiana (S. U. America) che ha ora
raggiunto una produzione superiore alla metà di quella della Sicilia, e che fa
negli Stati Uniti grande concorrenza ai nostri solfi, in modo da escluderli,
come fu già accennato, quasi completamente da queirimportantissimo mercato.
Sempre a funzionari del nostro Ufficio vennero affidati, sia dal Governo,
sia da Comitati speciali, gli studi sulle condizioni geologiche di nuovi pro-
gettati valichi attraverso le Alpi, quali il Monte Bianco e lo Spinga. In-
carichi privati poi, debitamente autorizzati dal governo, vennero allo stesso
personale affidati per lo studio di problemi geologico-minerari nel Caucaso,
nella Russia Meridionale, nella Repubblica Argentina, al Madagascar, ecc.
Nel 1887 fu intrapreso, sotto la direzione del Taramelli, lo studio geo-
gnostico idrografico della grande valle del Po, secondo un progetto presen-
tato dal Taramelli stesso e approvato dal Comitato; enei 1888 potendosi
disporre di un personale alquanto più numeroso, funzionarono regolarmente
cinque centri di rilevamento aventi sede a Torino per le Alpi occidentali,
a Pisa per la Toscana, a Roma per questa provincia e limitrofe, a Salerno
per il Salernitano Lucania e Puglie, a Catanzaro per le Calabrie.
Nel 1888 venne compiuto il rilevamento della Carta geologico-mineraria
deiriglesiente per opera degli ingegneri del distretto minerario di Iglesias.
La carta, redatta sulla base di una carta topografica appositamente rilevata
dagli ingegneri stessi, fu pubblicata lo stesso anno con una importantissima
Memoria descrittiva dovuta al compianto ing. Zoppi, e furono altresì pub-
LA CARTA GEOLOGICA d'iTALIA 35
blìcati sei fogli comprendenti la Campagna Romana e regioni limitrofe, come
continuazione della Carta regolare iniziata con quella della Sicilia. Anche
per tale carta si adottò la scala di 1 : 100.000, che divenne cosi la scala
ufficiale della grande Carta d'Italia; e alla scelta di questa scala, oltre alla
ragione del costo più proporzionato ai mezzi disponibili e alla maggiore rapi-
dità di pubblicazione, concorsero anche altre importanti ragioni, e cioè, la
possibilità di conservare in quella scala tutte le particolarità della serie
dei terreni, le indicazioni tettoniche e tutte le altre occorrenti, la maggiore
comprensività, e la quasi uniformità con le scale adottate da altri Stati,
quali la Francia, TAustria e la Svizzera.
Nel 1889 il Servizio della Carta geologica ebbe a subire la grave per-
dita deirillustre Meneghini, che per ben 10 anni era stato presidente del
Comitato; e a sostituirlo nella presidenza venne scelto dal Ministero, nel feb-
braio di queir anno, il prof. Capellini, che da quella data fino ad oggi con-
tinua a dare con alta intelligenza e con grande amore la sua opera preziosa per
il buon andamento della istituzione. Avendo in quell'anno il paleontologo del-
r Ufficio geologico, il prof. Canavari, ottenuto il posto del compianto Meneghini
quale professore nella R. Università di Pisa, venne chiamato a sostituirlo
come paleontologo del servizio della Carta geologica il valente dott. Di Ste-
fano, che tenne degnamente quel posto e vi rese 'eminenti servigi fino a
questi ultimi anni, in cui, in seguito alla mort^ deirillustre Gemmellaro, egli
andò a occupare la cattedra di quest'ultimo nella Università di Palermo.
Fra le pubblicazioni di queir anno merita particolare menzione la nuova
edizione della Carta geologica d'Italia alla scala di 1 milionesimo, che
rappresentava e riassumeva lo stato generale delle nostre conoscenze sul-
Targomento a qneirepoca; queste però, da allora in poi, si sono grandemente
estese in modo da far sentire vivamente il bisogno di una nuova Cartina
generale, alla quale si potrà procedere quando si possieda una buona carta
topografica di base, in conveniente scala.
Nel 1890 i lavori proseguirono regolarmente, e fu terminato il rileva-
mento della Calabria; e fra le Memorie descrittive vide la luce la Descri-
zione geologico-mineraria della zona argentifera del Sarrabus nella Sar-
degna orientale, per opera dell'ing. De Castro. Nell'anno stesso Ting. Bal-
dacci, addetto all'Ufficio, ebbe incarico di mettersi a disposizione del Co-
mando militare della Colonia Eritrea; e dopo vari mesi trascorsi in quella
regione, dove ebbe campo di fare numerose escursioni, pubblicò nella serie
delle Memorie descrittive, nell'anno successivo, le sue Osservazioni fatte
nella Colonia Eritrea.
La somma stanziata per il servizio geologico — la quale, dalle 161,000
lire circa, raggiunte nel 1887, era dapprima discesa per un anno a 140,000 e,
per i due anni successivi, a 120,000 — venne, nel Bilancio del 1891, d'un
36 LUIGI BALDACCl
colpo, quasi dimezzata, a causa delle critiche circostanze in cui versava allora
la finanza italiana, e portata a 65,000 lire; neiranno successivo fu ridotta a
55,000, poi a 50,000, e da ultimo a 45,000 dal 1894 in avanti e fino
airanno decorso, nel quale si potè ottenere un lieve aumento di dotazione,
da destinarsi specialmente per le pubblicazioni.
Ciò nondimeno, grazie allo zelo del personale e alla circostanza che già
si erano compiuti gli impianti necessari all'andamento regolare del servizio
(e cioè il laboratorio chimico-petrografico, camere di studio convenienti per il
personale, sistemazione della biblioteca e delle collezioni, le quali ora com-
prendono, oltre a una vasta raccolta di roccie e di fossili a documentazione
della parte finora compiuta della Carta geologica, ed a una buona collezione
di minerali, una raccolta di materiali italiani edilizi e di (ornamento formata
da splendidi campioni squadrati e levigati di roccie provenienti da monu-
menti romani e da ogni parte del mondo), i lavori, specialmente quelli di
rilevamento, continuaiono sempre in modo regolare. La ristrettezza estrema
del bilancio impedì, tuttavia, che si procedesse di pari passo con le pubbli-
cazioni, in modo che da quegli anni fino ad oggi si andò accumulando negli
archivii dell'Ufficio un ingente materiale cartografico, alla cui pubblicazione
si può ora soltanto incominciare ad attendere con una certa attività.
E qui verrebbe opportuno un confronto fra le somme stanziate dal 1891
in poi per il nostro servizio geologico, e quelle che altri Stati, fra cui non
ultimi il Giappone, il Messico, le Colonie Australiane, dedicano a questo
lavoro veramente fondamentale per la economia di un paese. Tale confronto,
che fu fatto altre volte, sarebbe tuttavia doloroso, ed ora giova solo sperare
che le condizioni finanziarie dello Stato permettano di tornare a una dotazione
sufficiente alla regolare continuazione dei rilevamenti ed alla loro pubblicazione.
Gravissima perdita ebbe a soffrire l'istituzione della Carta geologica
d'Italia con la morte deirispettore Giordano, avvenuta nel 1892. A lui suc-
cesse l'ispettore Pollati il quale tenne il posto di direttore del servizio geo-
logico fino alla sua morte, avvenuta nel 1907. È qui doveroso ricordare che
ambedue consacrarono per lunghi anni tutte le forze del loro ingegno e tutta
la tenacità dei loro propositi alla direzione e alla buona riuscita del lavoro ; e
tale opera deve essere oggi in modo particolare ricordata ed affermata, mentre
il loro degno successore, l'ispettore superiore Mazzuoli, con non minore serietà
di intenti e di propositi volge i suoi sfoi-zi alla continuazione del lavoro, che
ormai può fortunatamente dirsi molto avanzato. Ed è giustizia ricordare ora
anche l'opera indefessa dell'ing. Zezi, egli pure Ispettore superiore del R. Corpo
delle Miniere, il quale fino dai primordi della grande intrapresa, e per ben
quaranta anni di seguito, ebbe la effettiva direzione dell'Ufficio geologico,
che, dapprima, come si vide, assai modesto, è assurto in questi ultimi tempi
a notevole importanza, sia pel numeroso personale, sia per la molteplicità
LA CARTA GEOLOGICA d'iTALIA 37
delle pubblicazioni e delle svariate mansioni cui occorre attendere. A questa
opera paziente, costante, e spesso di£Bcile e ingrata, egli dedicò gran parte
della sua vita di funzionario, trovando tuttavia un valido aiuto nel com-
pianto ing. Sormani, il quale pure aveva consacrato tutto se stesso al buon
andamento dei diversi servìzi dell' UfBcio geologico.
Negli anni che seguirono il 1892, ebbero grande impulso i lavori di
rilevamento delle Alpi occidentali, le quali sono ora in modo particolare ri-
levate per tutta la cerchia fra il mare e il lago Maggiore.
Prima di incominciare il rilevamento regolare delle Alpi occidentali,
queste ultime erano state lungamente studiate dal Gastaldi, dal Baretti, e in
parte dal Sella e dal Berruti, e per vari anni Ting. Zaccagna del B. Ufficio
geologico le aveva esplorate a fondo, e, attenendosi alla serie dei terreni sta-
bilita dal Gastaldi, ne aveva in particolare maniera rilevate varie regioni, in
modo da poter già presentare nel 1887 una cartina geologica generale eoa
uimiierose sezioni, gettando le prime basi per il rilevamento sistematico.
Col rilevamento regolare si trovò tuttavia che, in seguito a scoperte di
fossili secondari (triasici e liasici) fatte dairing. Franchi, dapprima in Val
Grana, poi dallo stesso ingegnere e dai suoi colleghi in altre parti delle Alpi
nella grande formazione dei calcescisti con pietre verdi {Zona delle Pietre
Verdi del Gastaldi), gran parte di detta formazione doveva considerai-si noni
più come arcaica secondo i primi autori (Gastaldi, Baretti, Zaccagna), ma.
come secondaria. Questa assegnazione al secondario di un potente terreno,
che occupa tanta parte della catena Alpina, non è tuttavia ancora accettata
dello Zaccagna, ed è questo uno dei grandi problemi per i quali, dovendosi
fra breve addivenire, come si vedrà in seguito, alla pubblicazione dei fogli
a 1 : 100.000 della Carta delle Alpi, il B. Comitato geologico ebbe recente-
mente a pronunziarsi, adottando la determinazione del Franchi.
Fu proseguito e condotto a termine il rilevamento della Basilicata*
in prosecuzione a quello della Calabria, che era stato pubblicato in 20
fogli con tre tavole di sezioni geologiche e che venne presto seguito da
una importantissima Memoria descrittiva, opera dell* ing. Cortese. Proce-^
deva pure regolarmente il rilevamento dellltalia centrale e particolarmente'
della Toscana e regioni limitrofe; e in attesa di poter pubblicare una Me:-
moria descrittiva generale, Ving. Lotti preparava frattanto una descrizione
geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima, accompagnata da una
particolareggiata carta geologica, la quale forma una ottima illustrazione di
queir importante campo minerario, già celebre fino da alta antichità per la
sua produzione metallifera e per i suoi ordinamenti di diritto minerario.
Neiritalìa meridionale si lavorava intanto con attività ai rilevamenti geolo-
gici della. Lucania, del Salernitano, deirAvellinese, delle provincie di Bene*
vento e Campobasso e delle Puglie. Quei rilevamenti potevano dirsi termi-
nati fino dal 1893; ma, per le ristrettezze finanziarie, non fu possibile pen-
88 LUIGI BALDACCI
sare subito alla loro pubblicazione, alla quale fu proceduto soltanto in questi
ultimi tempi.
Neirinteressantissimo e classico gruppo vulcanico laziale fu pure ini-
ziato un particolareggiato studio e rilevamento geologico, con riguardo alle
importanti varietà di roccie vulcaniche, per opera delVing. Sabatini ; il quale
aveva già studiato col Cortese le Isole Eolie, su cui pubblicava insieme
con ring, suddetto una Memoria descrittiva. L*ing. Sabatini pubblicò più tardi
la descrizione geologica del Vulcano Laziale, e intraprese quindi lo studio
dei non meno importanti gruppi vulcanici dei Gimini, Sabatini e Vulsinii,
del quale ultimo gruppo si possedeva già una buona carta geologica con rela-
tivo testo descrittivo, per opera del sig. Moderni del R. Ufficio geologico.
Una questione che fu più volte dibattuta non solo in seno al Comitato
geologico ma anche da altre istituzioni e dal pubblico stesso, fu quella di
iniziare anche nel nostro Paese una Carta ufficiale geognostico-agronomica, a
somiglianza di ciò che si fa da altri progrediti Stati, e di affidarne la ese-
cuzione al servizio della Carta geologica. Allo scopo di farsi un concetto
preciso della applicabilità della proposta e degli ordinamenti nuovi ai quali
sarebbe stato necessario ricorrere, tanto per il personale quanto per i laboratori
« altri impianti, venne fatto dal Comitato geologico un esperimento diretto,
affidando all'ing. Stella deirUfficio geologico Tincarìco di compiere, d'accordo
con l'Ispezione forestale e con la Stazione i^raria di Padova, uno zitudio geo-
gnostico*agrario del territorio del Montello in provincia di Treviso.
Questo studio venne lodevolmente compiuto dallo Stella e reso di pub-
blica ragione in un volume delle Memorie descrittive, accompagnato da una
Carta geognostico-agraria. Da questo esperimento risultò tuttavia la profonda
differenza neirindole dei lavori, cioè tra la preparazione di una Carta geologica
generale e quella di una Carta agronomica, e la necessità, se si voglia affidare
al servizio della Carta geologica anche questo altro incarico, di ampliare no-
tevolmente il personale, aggiungendovi funzionari educati a speciali ricerche
chimico-agrarie e botaniche, e dotandolo inoltre di un laboratorio per le ri-
cerche fisico-chimiche, analogo a quello delllstituto Pediologico di Berlino
0 ad altre simili istituzioni.
Nò conviene nascondersi quanto naggiori siano le difficoltà della forma-
zione di una simile carta, la quale dovrebbe essere redatta a una scala non
minore di 1 : 25.000, per un paese quale l'Italia, in gran parte montuoso,
con grandissima varietà di terreni, di clima, di cultura, in confronto di ciò
che tale lavoro richiede per paesi largamente pianeggianti, uniformi per com-
posizione di terreni e per coltivazioni.
La Carta geologica in grande scala può tuttavia servire come utilissima
base per la eventuale formazione di carte geognostico-agrarie limitate a qualche
regione, alla quale si riconosca uno speciale interesse agricolo: e, certo, il
problema, posto sotto questa forma, presenta dei lati di più fietcile soluzione,
LA CARTA GEOLOGICA d'iTALIA ^^
potendo noi valerci, oltreché eventualmente dello oramai scarso personale del
Servizio geologico, anche deiraiuto delle stazioni agrarie, per le indispensabili
analisi dei terreni.
Dal lato finanziario poi è evidente che alla spesa di simili lavori, pos-
sibili soltanto per certe parti speciali delle varie Provincie del Regno, do-
vrebbero concorrere le Provincie stesse, i Comizi agrarii, e spesso anche i
Comuni e le grandi aziende agricole.
Era stata già compiuta, come più sopra fu detto, una sommaria valuta-
zione della quantità ancora disponibile di due fra i principali cespiti della
nostra industria mineraria, cioè del solfo siciliano e del minerale di ferro
dell'Elba, e si erano eseguiti accurati studi geologico-minerari su altre ma-
terie estrattive, quali i marmi delle Alpi Apuane, i minerali di ferro della
Valle d*Aosta, i minerali di rame, di mercurio e altri della Toscana, e quelli
di argento piombo e zinco della Sardegna. Fu quindi riconosciuta la neces-
sità di praticare analoghe indagini sui giacimenti di combustibili fossili
della Valle d* Aosta, dai quali si riteneva potersi ricavare un aiuto per le
nostre industrie, assai più efficace di quello che sinora se ne otteneva, man-
tenendosi le escavazioni di quelle antraciti entro ristrettissimi limiti. Non è
qui il caso di ripetere come gran parte della inferiorità del nostro Paese nel
campo industriale, sia dovuta alla scarsità di combustibili fossili nel nostro sot-
tosuolo. Come è noto, i principali giacimenti di combustibili fossili in Italia sono
oi-a quelli della Toscana e dell'Umbria, cioè le ligniti picee mioceniche della
Maremma e quelle analoghe del territorio di Spoleto, e quelle plioceniche,
xiloidi, del Valdarno Superiore, oltre a qualche giacimento nel Veneto e ad
altri in Calabria ; questi ultimi attualmente non lavorati. QuSiPtunque da tali
giacimenti si estraggano annualmente qualche centinaio di migliaia di ton-
nellate di combustibile, tale quantità è tuttavia insignificantissima di fronte
ai sempre crescenti bisogni delle nostre giovani industrie e nonostante la
sempre più larga utilizzazione delle energie fornite dalle acque dei nostri
fiumi e torrenti, e in paragone della enorme quantità di carbone che si è an-
nualmente obbligati ad importare dai paesi di noi più fortunati.
Le più insistenti ricerche praticate in ogni angolo del nostro territorio
per scoprire qualche giacimento di litantrace, se pure hanno provato in molte
parti, specialmente nelle Alpi, la esistenza di vari estesi affioramenti di ter-
reno della epoca carbouifera, fecero tuttavia constatare che solo in pochissimi
di essi si trovano materie carboniose di qualche utilità per la industria, quali
le gratìti delle Alpi occidentali o i giacimenti di antracite di La Thuile e
di altre non lontane località nella Valle d'Aosta.
Di compiere lo studio di questi ultimi giacimenti ebbero incarico gli
ingegneri occupati nel rilevamento geologico delle Alpi, e i risultati delle loro
ricerche sono consegnati nel volume XII delle Memorie descrittive, dal titolo
Studio geologico-minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occiden-
40 _ LUIGI BALDACCI
tali italiane. In tali giacimenti assolutamente analoghi a quelli della Savoia
e del Delfinato, quantunque di questi assai meno importanti, si calcola che
siano racchiuse poco più di un milione di tonnellate di mediocre antracite.
Pur troppo, gran parte di questa è di tale qualità da non poter sopportare
forti spese di trasporto, in modo che sarà solo utilizzabile per piccole in-
dustrie locali.
Finalmente, essendo ormai già pubblicata per la massima parte la Carta
geologica della Toscana (13 fogli a 1 : 100.000), 1 ing. Lotti, che ne fu il
principale autore, la accompagnò recentemente con una elaborata descrizione
geologica, la quale forma il volume XIII (e per ora Tultimo) della serie
delle Memorie descrittive.
Fra le pubblicazioni cartografiche di questi ultimi tempi merita un
cenno particolare quella, avvenuta nel 1908, della Carta geologica delle Alpi
occidentali alla scala di 1 : 400.000. Questa carta, ridotta dalle minute di
campagna per la massima parte a 1 : 25.000, presentò, sia per il disegno ori-
ginale che per la riproduzione, grandissime difficoltà, le quali vennero molto
abilmente superate. Essa presenta, sotto forma riassuntiva e sintetica, i risul-
tati di più che 25 anni di assiduo lavoro per parte di cinque ingegneri del-
r Ufficio geologico (Zaccagna, Mattìrolo, Novarese, Franchi, Stella), e fornisce
chiare indicazioni sulla struttura geologica di una gran parte della cerchia
alpina, cioè di quella compresa fra le Alpi Liguri e il Lago Maggiore.
L* Ufficio stesso sta ora preparando, come già fu accennato, la pubblica-
zione di 5 fogli delle Alpi occidentali, alla scala di 1 : 50.000, mentre della
Carta geologica dell'Italia meridionale, in prosecuzione di quella della Lu-
cania, è molto avanzata la pubblicazione e si sta per iniziare quella della
Carta dell'Umbria rilevata dalVing. Lotti.
Il volume XIV delle Memorie descrittive, esso pure in corso di prepa-
razione, conterrà la descrizione dei Vulcani Cimini ; e la II* parte del vo-
lume V delle Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica,
conterrà un interessante studio del dott. Prever sui fossili della Valle del-
TAniene. Del Bollettino del R. Comitato geologico si è frattanto incomin-
ciata la pubblicazione della serie V^ col voi. XLI.
Airinizio del 1911, dei 286.682 chilometri quadrati costituenti la super-
ficie del Regno d'Italia, comprese le isole, erano interamente rilevati, alla
scala di 1 : 50,000 e di 1 : 25,000 (su carte rilevate direttamente a quest'ul-
tima scala 0 ingrandite con la fotografia), circa 201.000 chilometri qua-
drati, nei quali si comprendono la Sicilia, la Calabria, la Lucania, le Puglie
(compreso il Gargano), il Salernitano e l'Avellinese, la Campania, gran parte
dell'Abruzzo, la provincia di Roma, gran parte dell'Umbria, parte delle
Marche, quasi tutta la Toscana (di cui manca solo la parte del versante orien-
tale dell'Appennino), l'isola d'Elba e altre isole toscane (meno Montecristo),
le Alpi Apuane, parte della Liguria orientale e per intero quella occidentale,
LA CARTA GEOLOGICA d'ITALIA 41
le Alpi occidentali fino al Lago Maggiore; e, infine, tutta la parte pianeggiante,
colmata da depositi quaternari e alluvionali, della grande Vallata del Po e
suoi affluenti.
Di questa superficie erano già pubblicati a queir epoca 85.384 kmq., ed
erano in corso di pubblicazione circa 5000 kmq., mentre altri 20.000 kmq.
circa si trovavano in corso di rilevamento.
Rimangono ora da rìlevare le Alpi centrali, di cui fu già da qualche anno
iniziato lo studio ; le Alpi Venete, per le quali da due anni venne affidato
lo studio geologico, avvalendosi di una facoltà data dai regolamenti al B. Co-
mitato e alla direzione del Servizio, a tre valenti geologi (Dal Piaz, Vinassa
e Oortanì) i quali già da tempo andavano illustrando con importanti ricerche
e pubblicazioni quelle regioni ; parte della Liguria orientale, parte dell* Appen-
nino settentrionale e centrale, parte delle Marche e dell* Umbria. Nella re-
gione emiliana dell* Appennino settentrionale venne, inoltre, testò compiuto un
particolareggiato studio di indole tecnica, per opera degli ingegneri del Di-
stretto minerario di Bologna, specialmente in vista di indirizzare razional-
mente le ricerche per i petrolii, dei quali quelle regioni contengono nel sotto-
suolo profondo importanti giacimenti.
Tutti i rilevamenti vengono, dalle minute di campagna, riportati in bella
copia nell'Ufficio geologico e conseiTati negli archivi, per la successiva pub-
blicazione, oppure per metterli eventualmente a disposizione di uffici pubblici
e talvolta anche di privati per studi che abbiano bisogno di basarsi sulla co-
noscenza della struttura geologica di una data regione.
Della Carta geologica del Begno alla scala di 1 : 100.000 sono ora
pubblicate le seguenti regioni : Sicilia in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, Ca-
labria in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, Puglie in 16 fogli, Lucania e Cam-
pania in 12 fogli con 3 tavole, Campagna romana in 6 fogli con 1 tavola,
Toscana in 1 5 fogli con due tavole di sezioni ; oltre a queste, si pubblicò la
carta dei Vulcani Vulsinii alla scala di 1 IpIOO.OOO, con testo illustrativo, e
quella del Vulcano Laziale a 1 ; 75.000 accompagnante la Memoria descrit-
tiva di quel gruppo.
Di carte pubblicate in scale differenti, si hanno: quella delle Alpi Apuane
alla scala di 1 : 50.000 con 3 grandi tavole di sezioni, quelle deirisola d'Elba
a 1 : 25.000 e 1 : 50.000, la Carta geologico-mineraria dell' Iglesiente e quella
del Sarrabus a 1 : 50.000, le carte geologiche riassuntive della Calabria e
della Sicilia a 1 : 500.000, la Carta geologica delle Alpi occidentali fra il
mar Ligure e il lago Maggiore a 1 : 400.000, la cartina geologica generale
d'Italia a 1 milionesimo.
Il Bollettino del R. Comitato geologico ha ora iniziato, come fu già
detto, col voi. XLI la sua V serie; delle Memorie per servire alla descri-
zione della Carta geologica^ si ò pubblicato testò il V volume (in 4"^ grande) ;
delle Memorie descrittioe è in corso di stampa il XIV volume (in 8° grande).
^^ LUIGI BALDAGCI
Ed om, riassnmoDdo in brevi parole tutto quanto venne sinora esposto»
e riandando con la mente il lavoro compiuto, che può considerarsi come assai
vasto in proporzione dei mezzi impiegati, i quali, specialmente airinizio della
istituzione e in questi ultimi anni (1891 e segg.), devono riconoscersi come
appena sufScienti per conservare alla istituzione stessa una vita stentata,
vediamo che il servizio della Carta geologica del Begno è passato per le
diverse fasi di preparazione generale, di istituzione di un primo Comitato
geologico in Firenze, di inizio delle pubblicazioni delle Memorie e del Bollet-
tino, di successive modificazioni negli ordinamenti del B. Comitato geolo-
gico, al quale viene assegnata una funzione consultiva e di alta direzione
scientifica, mentre la esecuzione del lavoro effettivo di formazione della Carta
geologica viene definitivamente assegnata al B. Corpo delle Miniere ; trasferi-
mento del Comitato a Boma, preparazione del personale operatore, e, finalmente,
inizio dei lavori regolari di rilevamento neM877. Da queiranno in poi si
ebbero solo parziali modificazioni negli ordinamenti interni del Comitato e
quelle indispensabili variazioni dipendenti dalle destinazioni del personale,
che non tutto si trova disposto ad accettare i disagi, le fatiche e anche le
maggiori spese della vita di campagna in cambio delle attrattive deirinse-
gnamento universitario o della regolarità e comodità di mansioni più seden-
tarie ; ma il lavoro continuò ininterrottamente, sia per i rilevamenti che per
le pubblicazioni, e ne fa fede la ingente opera finora compiuta, nonostante
le varie difBcoltà spesso assai serie, cui fu accennato, e che non è ora il
caso di ripetere.
Attualmente l'UfScio geologico ancor si dibatte fra le strettezze dipendenti
dalla scarsità in cui è ormai ridotto il suo personale, non solo per il numero,
ma anche perchè i lunghi anni di fatiche e disagi non indifferenti vanno sempre
più logorando anche i meglio dotati da natura per resistervi, mentre le ristret-
tezze di bilancio dal 1891 in poi impedirono che il personale stesso venisse
con venientemente rinsanguato con giovani elementi.
Biguardo all'opera del Comitato e dell'UfScio geologico, della quale si
è dimostrata finora la vastità della mole, si può ben affermare che essa,
oltre che allo sviluppo di un servizio di Stato, indispensabile per un Governo
bene ordinato, ha portato un largo contributo allo incremento delle nostre co-
gnizioni scientifiche sulla costituzione geologica del nostro Paese e alla
geologia in generale. Agli albori del nuovo Begno, tolto, come si vide, qualche
lodevole tentativo di studio geologico di poche e limitate regioni italiane,
la stnittura geologica generale del nostro territorio era ancora una grande
incognita, mentre, oggidì, anche le parti alle quali il rilevamento geologico
LA CARTA GEOLOGICA DÌTALIA ^
dettagliato non venne sinora esteso, sono perfettamente conosciute nella loro
fondamentale struttura.
E mi sia permesso terminare questo imperfetto cenno sul nostro Servizio
geologico, col fervido augurio che, migliorando sempre più le condizioni del bi-
lancio dello Stato, anche questa istituzione, di cui fu dimostrata tutta la im-
portanza per la economia nazionale, abbia da ricevere un novello impulso e un
conveniente sviluppo, in modo che la grande Carta geologica d'Italia, oramai
così avanzata, possa in breve vedersi compiuta e contribuisca per la sua
parte a conservare al nostro Paese un degno posto fra le più progredite
nazioni.
Luigi Baldacci
Ispettore laperiort nel Cerpo Reale delle Miniere.
44 LUIGI BALDACCI
APPENDICE
PUBBLICAZIONI RIGUARDANTI L'ARGOMENTO.
Atti della terza riunione degli Scienziati italiani, tenuta in Firenze nel settembre 1841.
Firenze, tip. Galileiana, 1841.
Sella Q., Sul modo di fare la Carta geologica del Regno d'Italia, Atti della Società
italiana di Scienze naturali. Milano, 1862.
Cocchi I., Introduzione al Voi. I delle u Memorie per servire alla descrittone della
Carta Geologica d^ Italia ». Firenze, 1871.
Id., Introduzione al Voi. II delle vi Memorie e. s.». Firenze, 1878.
Zezi P., C$nn% intomo 'ai lavori per la Carta geologica d'Italia in grande scala,
Roma, 1875.
Giordano F., Cenni sulV organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici esistenti
nei vari paesi» Roma, 1881.
Id., Appunti sovra un progetto di legge pel compimento della Carta geologica. Roma, 1882.
CoMMissioNB per il progetto di legge sulla Carta geologica. Verbali delle sedute 6, 7,
8 marzo 1882. Bollettino R. Comitato geologico, anno 1882, nn. 8-4. Roma, 1882«
Seduta del 80 gennaio 1888 alla Camera dei Deputati. Gap. 88. Carta geologica d'Italia,
Gazzetta Ufficiale. Roma, 1888.
Cermenati M., // R. Comitato geologico d'Italia. Brevi cenni di cronaca. Rassegna
delle Scienze Geologiche in Italia, anno I, yol. I. Roma, 1891.
Zezi P., Notizie sul Servizio della Carta geologica d'Italia, compilate per cura del
R. Ufficio geologico. Estratto dal Catalogo della Bfostra fatta dal ministero di
agricoltura alPEsposizione Nazionale di Palermo nel 1891-92. Roma, 1892.
De Stefani C., La Carta geologica in Italia, e lo Stato. Atti della R. Accademia dei
Georgofili. Firenze, 1898.
Pellati N., Sulla formazione e pubblicazione della Carta geologica del Regno. Atti
del secondo Congresso geografico italiano. Roma, 1895.
Baldacci L., La Carta geologica d'Italia. Atti della Società Ligustica di Scienze natu<»
rali. Genova, 1907.
LA CABTA GEOLOGICA D*1TALIA ^^
PUBBLICAZIONI DEL E. UFFICIO GEOLOGICO
(Dicembre 1910)
IL.IBRI
Bollettino del R. Comitato geologico: Voi. I a XLI, dal 1870 al 1910.
Memorie per servire alla descricione deUa Carta geologica dltalia*.
Voi. L Firenze, 1871. — Intiodasione. — B. Gastaldi, «S^ui^ geologici sulle Alpi
Occidentali, con appendice mineralogica di G. Struever. — S. Mottuba, Sulla fortna-
sione tersiaria nella sona solfif&ra della Sicilia. — I. Cocchi, Descrisione geologica
deirisola d*Slòa. — C. D*Amcona, Malacologia pliocenica italiana. — Un voi. in-4^ di
pag. 364, con tavole e carte geologiche.
Voi. n, Parte 1*. Firenze, 1878. — Introduzione. — C. W. C. Fuchs, Monografia
geologica delVhola d'Ischia, — F. Giordano, Esame geologico della catena alpina del
San Gottardo che deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-
elvetica, — S. Mottura, Sulla formasione iersiatia nella Mona solfi fera della Sicilia;
Appendice. — C. D*Ancona, Malacologia pliocenica italiana (sègnito). — Un voi. in-4»
di pag. 264, con tavole e carte geologiche.
Voi. II, Parte 2*. Firenze, 1874. — B. Gastaldi, Studi geologici sulle Alpi Occi-
dentali; Parte seconda. — Un volarne in-4* di pag. 64, con tavole.
Voi. Ili, Parte 1*. Firenze, 1876. — C. Doelter, R gruppo vulcanico delle Isole
Ponza, — C. De Stefani, Geologia del Monte Pisano. — Un volume in-4® di pag. 174,
con tavole e carte geologiche.
Voi. in. Parte 2*. Firenze, 1888. — G. Menbohini, Paleontologia delVlglesiente in
Sardegna. — M. Canavari, Contribuzione alla fauna del Lias inferiore di Spezia. Un
volume in-4'' di pag. 230, con tavole.
Voi. IV, Parte 1*. Firenze, 1891. — A. Scacchi, La regione vulcanica fluori fera
della Campania* — G. Terrigi, / depositi lacustri e marini riscontrati nella trivella-
zione presso la via Appia antica. — Un volume in-4^ di pag. 186, con tavole.
Voi. IV, Parte 2». Firenze, 1893. — C. A. Weithofbr, Proboscidiani fossili di
Valdamo in Toscana. — M. Canavari, Idrozoi titoniani della Regione mediterranea,
appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. — Un volume in-4® di pag. 214, con
tavole.
Voi. V, Parte 1*. Roma, 1909. — C. F. Parona con la collaborazione di C. Crema
e P. L. Prsver, La fauna coralligena del Cretaceo dei monte d'Ocre. — Un volume
in-4® di pag. 242, con 28 tavole. *
46 LUIGI BALDACCI
Memorie deflcrittiTe della Carta geologica dltalia:
Voi. I. Roma, 1886. — L. Baldagci, Deseriùone geologica delV Itola di Sicilia. —
Un Tolume in-8** di pag. 486, con tavole e una Carta geologica.
Voi. II. Roma, 1886. — B. Lotti, Descrisions geologica delV Itola d'Elba. — Un
volume in-8® di pag. 266, con tavole e una Carta geologica.
Voi. IIL Roma, 1887. — A. Fabri, Relatione tulle miniere di ferro deWItola
d'Elba, — Un volume in-8^ di pag. 174» con un atlante di carte e seiioni.
Voi. IV. Roma, 1888. — 6. Zoppi, Detcritìone geologieo-mineraria deWIgletiente
(Sardegna), — Un volume in-8^ di pag. 166, con tavole, un atlante ed una Carta geo-
logica.
Voi. V. Roma, 1890. — C. De Castro, Detcritione geologieo-mineraria della sona
argentifera del S arr a but {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78, con tavole e una
Carta geologico-mineraria.
Voi. VI. Roma, 1891. — L. Baldagci, Ottervationi fatte nella Colonia Eritrea. —
Un volume in-8^ di pag. 110, con Carta geologica.
Voi. Vn. Roma, 1892. — E. Cortese e V. Sabatini, Detcriiione geologicO'petrO'
grafica delle Itole Eolie. — Un volume in-8^ di pag. 144, con incisioni, tavole e Carte
geologiche.
Voi. VIII. Roma, 1893. — B. Lotti, Detcrisione geologico-mineraria dei dintorni
di Matta Marittima in Tatcana. — Un volume in-8^ di pag. 172, con inciaioni, tavole
e una Carta geologica.
Voi. IX. Roma, 1895. — E. Cortese, Detcritione geologica della [Calabria, —
Un volume di pag. 388, con incisioni, tavole ed una Carta geologica.
Voi. X. Roma, 1900. — V. Sabatini, / vulcani delVItalia centrale e i loro pro-
dotti. Parte 1*^: Vulcano Lattale. — Un volume in-8® di pag. 392, con incieioni, tavola
ed una Carta geologica.
Voi. XI. Roma, 1902. — A. Stella, Descritione geognottico^graria del Colle
Montello (provincia di Trevito). — Un volume in.8^ di pag. 82, con tavole ed una Carta
geognostico-agraria.
Voi. XII. Roma, 1908. — Autori diversi: Studio geologico-minerario tui giaciménti
di antracite delle Alpi occidentali italiane, — Un volume in-8<» di pag. 232, con inci-
sioni, tavole e Carte geologiche.
Appendice al vo). IX. Roma, 1904. — 6. Di-Stefano, Ottervationi geologiche nella
Calabria tettentrionale e nel Circondario di Rottane. — Un volume in-8^ di pag. 120,
con tavola di sezioni.
Voi. Xin. Roma, 1909. — B. Lotti, Otologia della Toscana, — Un volume in-8*
di pag. 484, con 4 tavole.
Voi. XIV (in corso di stampa). — V. Sabatini, / vulcani delVItalia centrale e i
loro prodotti. Parte 2*: Vulcani Cimini. — Un volume in-8®, con Carta geologica, ta-
vole e figure.
Carta geologica d^ Italia, nella tcala di 1 a 1.000.000, in due fogli: 2^ edizione. ~
Roma, 1889.
LA CARTA OBOLOOICA D ITALIA
47
n
Carta geologica della Sicilia, nella scala di
zioni, con quadro d^anione e copertina. —
Foglio N. 244 (Isole Eolie)
• 248 (Trapani)
» 249 (Palermo)
n 250 (Bagheria)
251 (Cefalù)
252 (Naso)
258 (Castroreale)
254 (Messina)
256 (Isole Egadi)
257 fCastelyetrano)
258 (Corleone)
259 (Termini Imerese)
260 (Nicosia)
261 (Bronte)
n
n
1 a 100.000, in 28 fogli e 5 tavole di se-
Koma, 1886.
Foglio N. 262 (Monte Etna)
n 265 (Mazzara del Vallo)
n 266 (Sciacca)
n 267 (Canicatti)
268 (CalUnisetta)
269 (Paterno)
270 (Catania)
271 (Girgenti)
272 (Terranova)
278 (Caltagirone)
274 (Siracusa)
275 (Scoglitti)
276 (Modica)
277 (Noto)
n
n
n
Tavola di sezioni N.
n » N.
» » N.
» » N.
n I» N.
I (annessa
II (annessa
in (annessa
IV (annessa
y (annessa
Carta geologica della Calabria, nella scala
sezioni, con copertina. — Roma, 1901.
Foglio N. 220 (Verbicaro)
n 221 (Castrovillari)
» 222 (Amendolara)
n 228 (Cetraro)
n 229 (Paola)
280 (Rossano)
281 (Ciro)
236 (Cosenza)
287 (S. Giovanni in F.)
238 (Cotrone)
Tavola di sezioni N. I (annessa
n » N. II (annessa
n » N. Ili (annessa
n
n
n
ai fogli 249 e 258)
ai fogli 252, 260 e 261)
ai fogli 253, 254 e 262)
ai fogli 257 e 266)
ai fogli 278 e 274)
di 1 a 100.000, in 20 fogli e 8 tavole di
Foglio N. 241 (Nicastro)
I» 242 (Catanzaro)
n 243 (Isola Capo Rizzuto)
245 (Palmi)
n 246 (Cittanova)
n 247 (Badolato)
n 254 (Messina)
n 255 (Gerace)
n 268 (Bova)
» 264 (Staiti)
ai fogli 286, 287, 238, 241 e 242)
ai fogli 245, 246, 247, 255 e 263)
ai fogli 220, 221, 229 e 230)
Carta geologica delle Paglie, nella scala di 1 a 100.000.
Ne sono pubblicati i fogli seguenti:
Foglio N. 201 (Matera)
« 202 (Taranto)
n 208 (Brindisi)
n 204 (Lecce)
218 (Maruggio)
214 (Gallipoli)
215 (Otranto)
228 (Tricase)
n
Foglio N. 165 (Trinitapoli)
« 176 (Barletta)
n 177 (Bari)
178 (Mola di Bari)
188 rGravina)
189 (Altamura)
190 (Monopoli)
191 (Ostuni)
n
n
n
48 LUIGI BALDACCI - LA CARTA GEOLOGICA d'iTALIA
Carta geolo^ca d«lla Lncauia e Campania, nella scala di l a 100.000.
Foglio N. 198 (Campagna)
I» 199 (Potenza)
n 200 (Laurenzana)
n 209 (Vallo Lucania)
n 210 (Lagonegro)
» 211 (S. Arcangelo)
n 212 (Tursi;
Foglio N. 183 (Ischia)
» 184 (Napoli)
it 185 (Salerno)
n 196 (Vico Equense)
Il 197 (Amalfi)
Sezioni geologiche. Tav. I
n n
li m
Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe, nella scala di 1 a
100.000, in 6 fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888.
Foglio N. 142 (Civitavecchia)
n 143 (Bracciano)
n 144 (Palombara)
Foglio N. 149 (Cenreteri)
n 150 (Roma)
I» 158 vCori)
Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150).
Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50.000, in 4 fogli e 3 ta? ole
di sezioni, con copertina. — Roma, 1897.
Foglio Carrara
» Castelnuovo
Foglio Stazzema
» Seravezza
Tavole di sezioni.
Carta geologica della Toscana (in corso di stampa), nella scala di 1 a 100.000.
Ne sono usciti i fogli: Livorno; Volterra; San Casciano Val di Pesa; Massa Ma-
rittima; Siena; Piombino; Grosseto; Santa Fiora; Orbetello; Toscanella;Pisa; Lacca;
Firenze; Arezzo; Montepulciano; Tav. I e II di sezioni.
Carta geologica dell'Isola d*£lba, nella scala diì a 25.000, in due fogli con teiioni.
Roma, 1884.
Carta geologico-mineraria deiriglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a
50.000, in un foglio. — Roma, 1888.
Carta geologico-mineraria del Sarrabns (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a
50.000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1889.
Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500.000, in un foglio con sezioni. —
Roma, 1886.
Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500.000, in un foglio. — Roma,
1894.
Carta geologica dei Vulcani Vnlsinii, nella scala di 1 a 100.000, in un foglio, con
testo, — Roma, 1904.
Carta geologica delle Alpi Occidentali, nella scala di 1 a 400.000, in un foglio. —
Roma, 1908.
L. B.
ESERCITO ITALIANO
3UE ORIGINI, SUO SUCCESSIVO AMPLIAMENTO, STATO ATTUALE
I.
Cenno sngli ordinamenti militari
del ducato di Savoia e del regno di Sardegna, dalle origini Ano al 1814.
Le forze militari del ducato di Savoia sino al secolo XV. — Emanuele Filiberto (1558-1580):
riordinamento della milizia paesana. — Carlo Emanuele I (1580*1680): perfeziona*
mento della milizia paesana; creazione della fanteria nazionale permanente. — Yit*
torio Amedeo I (1630-1638). — Reggenza di Maria Cristina (1638-1648): decad^iza
della milizia paesana. — Carlo Emanuele II (1648*1675): formazione dei reggimenti
di fanteria d^ordinanza; riordinamento della milizia paesana col nome di battaglione
di Piemonte; reggimenti piemontesi militanti in Francia. — Eeggenza di Maria Gio-
vanna (1675-1684). ^ Vittorio Amedeo II (1684-1730): istituzione della segreteria
di guerra e marina; costituzione dei reggimenti provinciali. ^-* Carlo Emanuele III
(1730-1773): perfezionamento degli ordinamenti militari. — Vittorio Amedeo III
(1773-1796): accrescimento dell'esercito; le guerre dal 1792 ari796; devozione dei
subalpini. — Carlo Emanuele IV (1796-1802) : unione del Piemonte con la Francia;
rinunzia del Re e sua partenza per la Sardegna; riorganizzazione della truppa sub-
alpina e sua riunione con Tarmata francese; campagna del 1799; il Piemonte in
mano agli austro-russi. — Governo repubblicano restaurato in Piemonte dopo la
battaglia di Marengo. — Abdicazione del Re (1802). — Vittorio Emanuele I. —
In Piemonte si costituisce la 27* divisiono militare francese.
Airinizio della guerra del 1859, esistevano in Italia due nuclei prin*
«ipali di truppe regolari: Tesercito sardo e il napoletano. 1 piccoli eserciti
4ella Toscana, d^li Stati pontifici, dei ducati di Modena e di Parma, erano
destinati piuttosto per il mantenimento dell'ordine interno, anziché per imprese
guerresche. Dopo la pace di Villafranca, Tesercito sardo si accrebbe via via
con Tunione dei contingenti lombardi, colla fusione deiresercito della Lega
46iritalia centrale, deiresercito meridionale del generale Garibaldi, e coi
contingenti del disciolto esercito borbonico.
Fiorenzo Bava-Bbcoaris. — Etereiio italiano ecc. 1
FIORENZO BAVA-BECGARIS
L'esercito sardo, o piemontese, fu danqae la solida e robusta base del
grande edificio militare, che in poco tempo si fortificò mercè Topera di sa-
pienti organizzatori, e specialmente per il sacrifizio suiraltaie della patria di
tutte le suscettibilità e di tutti gli interessi, sia regionali che particolari.
Quindi giova accennare sommariamente alle sue ticende, dalle origini fino
al 1859, prima di nan*are quelle dell* esercito italiano, che ne ereditò le
caratteristiche, e che è custode delle sue gloriose ti*adixioni.
Sino al secolo XV, essendo il ducato di Savoia retto a sistema feudale,
le milìzie consistevano in raccolte di armati, la maggior parte a cavallo,
che i feudatari conducevano a loro spese alla chiamata del Duca; poca e
mal considerata era la fanteria. Ma, coir invenzione della polvere, Tarma da
fuoco rialzò d*un tratto l'importanza del fante, e, quando il principe iniziò
la lotta per disciplinare l'individualismo feudale, si valse delle milizie che
le città e i comuni più importanti avevano saputo conservare per resistere ai
feudatari, consolidando la propria autorità a scapito di questi. Gli obblighi
di servizio perdettero quindi il carattere di contratto fra il sovrano e il feu*
datario o il comune, per assumere quello di imposizione: il che condusse
alla creazione di truppe nazionali.
Di questa evoluzione rimane traccia nel codice di leggi o statuti com-
pilato durante il principato di Amedeo Vili (1430), codice che divenne poi
base dell'assetto politico, civile e giudiziario degli Stati sabaudi (^). Al ca-
pitolo De Marescalù et eorum officio^ nel rendere permanente la carica di
maresciallo, e nel regolarne le funzioni ed il potere, prescrisse che nelle
terre sottoposte al suo dominio immediato si formassero i ruoli delle persone
atte a portar le armi, sottoponendole ad obblighi di servizio per la difesa dello
Stato e della persona propria. Esistono documenti che accennano al sistema di
censimento militare, ed all'esistenza di una milizia la quale si mantenne sino
al ritorno di Emanuele Filiberto (1560).
Emanuele Filiberto (1553-1580), vincitore dei Francesi alla battaglia
di S. Quintino, dopo aver liberato con accorta politica i suoi Stati dai Fran-
cesi e dagli Spagnuoli, sistemata la difesa territoriale, riattando le vecchie
fortezze e creandone di nuove, rassodato l'ordinamento politico interno, scon-
volto dal periodo di guerre precedenti, volle mantenere l'indipendenza dello
Stato con una solida forza armata Diede perciò nuova vita alla milizia
paesana, e creò la milizia reale, mediante la leva fatta per comune, assog-^
gettandovi tutti gli uomini validi dai 18 ai 50 anni, proibendo loro di mili*
tare fuori del ducato, e obbligando i Comuni a fornir le armi. Divise la mi-
C) Pubblicato il 17 giugno 1486 sotto il titolo: Decreta seu statuta vetera Sa*
baudiae Ducum et Pedemontii Principum, ristampato sotto lo stesso titolo nell'anno 1589;
Coiraggiunta delle leggi posteriori, sino a quelle di Carlo UT nell'anno 1517.
ESERCITO ITALIANO
lizia di fanteria in colonnellati, corrispondenti alle pr07incie dalle quali si
reclutayano gli uomini, e ogni colonnellato in sei compagnie di 400 uomini
cadauna; la milizia di cavallerìa in sette compagnie, che contavano 50 gregarìi.
Gli arruolati erano chiamati regolarmente ogni domenica nei comuni e
nei borghi per Tistruzione individuale, e, riuniti periodicamente, ogni sessanta
giorni per compagnie; due volte alFanno (Pasqua e S. Martino) per colon*
nellati, e talvolta per le manovre d^assieme (^).
Questa milizia, che raggiunse nel 1568 i 86,000 uomini, sopra una po-
polazione di 1,200,000, sembra non riuscisse molto solida, poiché il Duca,
per affrontare le brevi spedizioni militari contro i Valdesi e contro i ribelli
del Delfinato, assoldò truppe d* ordinanza, formate da mercenari, indigeni e
stranieri.
Le spese per la gente di guerra, durante il principato di Emanuele
Filiberto oscillarono fra un minimo di 66,000 ed un massimo di 288,000
lire piemontesi, circa (*).
Carlo Emanuele I (1580-1630) perfezionò la milizia paesana dìviden*
dola in due categorie: Tuna (scelta) composta dei migliori elementi, che
ordinò in cinque colonnellati di 1600 fanti ciascuno, ed in 17 compagnie di
cavalieri ; Taltra (ordinaria) costituita dai rimanenti atti a portare le armi,
che tenne quale riserva. Ma per sostenere le numerose guerre si servì di
truppe assoldate, parte delle quali nazionali, raggruppate in reggimenti co*
stituiti di 10 compagnie, chiamati « reggimenti di S. A. », che tenne quasi
costantemente in servizio, e che dettero origine alla « fanteria nazionale per-
manente ". Similmente creò compagnie d*ordinanza di cavalleria, e nel 1625
diede impronta militare all'artigli eria, formando una compagnia di bom-
bardieri.
Poco sappiamo circa le spese per l'esercito in questo periodo: si rileva
solamente che nel 1607 esse ammontavano a lire piemontesi 672,621.
Carlo Emanuele I, denominato il Gmnde, sostenne numerose guerre {%
ed ebbe grandi aspirazioni. Di lui, così scrive Cesare Balbo: « Prode
guerriero, buon capitano secondo i tempi, ardito, pronto, bel parlatore, fu
amato dai soldati ch*ei pi^va male ma conduceva bene, adorato dai sud-
(*) Poiché in qaei tempi era ritenuto indecoroso per la nobiltà il combattere a
piedi, così Emanuele Filiberto stentò a trovare i saoi colonnelli per le troppe di fanteria;
i primi farono Tommaso di Valperga, Giorgio Costa di Arignano, Federico Asinari di Carne-
rano, Tommaso Isnardi di Sanfrè, Leonardo di Roero, Piossasco di Scalenghe, Giuseppe
di Carezzana, tutti gentiluomini, i quali, trascurando i pregiudizi di casta, aiutarono
il Principe a far sparire uelFordinamento nuovo i vizi del sistema feudale.
(') La lira piemontese equivaleva, in quell'epoca, a circa lire 2,50 delle attuali.
(•) Guerra per racquieto di Ginevra e del marchesato di Salnzzo (1581-1602); guerra
contro la Spagna per la successione del Monferrato (1618*1618); guerra contro la Spagna
(1624-26); guerra contro la Francia per la successione di Mantova (1628-1630).
FIORENZO RAVA-BECCARIS
diti a cui procacciava la miseria, ma Tonor della guerra ; continuò, compiè
gli ordinamenti civili del padre : parlò, operò italiano... « (^).
Vittorio Amedeo I (1630-1638) diede vita a dieci compagnie di caval-
leria nazionale, ma diminuì il numero dei reggimenti d*ordinanza; ed a
causa della guerra civile, sotto la reggenza della vedova Maria Cristina (1638-
1648), la milizia reale, scelta ed ordinaria, andò in isfaeelo.
Carlo Emanuele II (1648-1675) lasciò traccio profonde nelle istituzioni
militari. Dal principato di lui data la creazione dei reggimenti di fanteria di
linea: essi furono, in ordine di anzianità: Guardia, Savoia, Aosta, Monferrato,
Piemonte, Nizza; nel 1667 costituì il reggimento di Crocebianca, così
chiamato perchè il colonnello e gli ufficiali erano cavalieri di Malta, e
nel 1672 quello di Salnzzo. La repubblica di Venezia ottenne da Carlo
Emanuele li, per la difesa di Candia, assediata dai turchi, due reggimenti
appositamente composti, che presero denominazione, dai loro comandanti, di
Ajassa e di Mezera: vi figuravano i nomi delle principali famiglie deirari-
stocrazia piemontese, e la maggior parte di coloro che vi militarono lasciò
la vita sul campo dell'onore.
La milizia scelta, divenuta priva di consistenza, fu riorganizzata nel 1669
in 12 reggimenti, e formò un sol corpo denominato « battaglióne di Pie-
monte • . Le truppe di Carlo Emanuele II variarono molto di numero a se-
conda delle necessità della guerra (*): da 18,000, scesero a circa 5000
nel 1670; salirono a 20,000 nel 1672, per ridiscendere a circa 6000 negli
anni seguenti. Nel 1675 le spese militari ammontavano ad un milione e
mezzo di lire piemontesi.
È notevole come, per concessione di questo principe, vari reggimenti
militarono al servizio di potentati stranieri; oltre ai due reggimenti ceduti
ai Veneziani, servì in Francia un reggimento di corazzieri, denominato Prin-
cipe di Piemonte, che combattè in Fiandra colle truppe di Luigi XIV, ri-
manendovi poi definitivamente col nome di Piemonte cavalleria; andò pure
in Francia un reggimento di fanterìa denominato Carignano, e vi militarono
i reggimenti fanterìa Marina, Aosta, Nizza.
Durante la reggenza di Maria Giovanna, vedova di Carlo Emanuele li
(1675-1684), lo Stato gode' di perfetta pace : questa servì di preparazione al
glorioso ma tempestoso regno di Vittorio Amedeo II (1684-1780). Questo
principe fu soldato austero e coraggioso, abile generale, uomo politico di
primo ordine, ottimo amministratore, così che potè dirsi di lui fosse « prin-
cipe grande di un piccolo Stato «. Sotto il suo regno fu istituita la segre-
(M C. Balbo, Sommario della Storia d' Italia, libro VII, n. 14.
(■} Le guerre combattute durante questo periodo (1648-1075) furono: cuiitro la
Spagna (1642-59); contro i Valdesi (1615-64); contro Genova (1672); spedizione d'Olanda
(1674-76).
ESBRCITO ITALIANO
teria di guerra e marina per la sopraintendenza di tutto quanto riguardava
le genti di guerra, la loro disciplina, la loro istruzione. Le lunghe guerre (0
da lui sostenute, condussero a mutamenti tanto frequenti nel numero dei reg-
gimenti d'ordinanza, che ò diflScile farne anche sommaria menzione. Fu-
rono rioi^anizzate pure le truppe di leva : ma il concetto di Vittorio Amedeo II
rimase quello dei predecessori, di formar cioè reparti con elementi scelti
sulla totalità degli abili, pronti sempre ad accorrere per la difesa dello
Stato. Creò quindi i reggimenti provinciali, perfezionamento di quelli del
battaglione di Piemonte, e li radicò nelle provincie di cui portarono il
nome (*), della cui gente si formarono, delia cui vita vissero, sicché diven-
nero pei cittadini Temblema visibile del loro dovere militare.
Vittorio Amedeo II scrisse pagine gloriose nel libro della storia mili-
tare del Piemonte, dividendone or le sventure (battaglia di Staifarda, 1690),
or la gloria (batb^lia di Torino, 1706), col cugino prìncipe Eugenio, il
grande capitano, e, per le numerose campagne sostenute, acquistò celebrità
per sé e per i suoi popoli, talché, coiraccrescimento del territorio, venne as*
sunto alla dignità regia.
Le spese militari, durante questo periodo, salirono, da un milione e
mezzo circa, a cinque milioni annui : la forza bilanciata, da un minimo di
5000 uomini a un massimo di 23,000.
Le floride condizioni in cui si trovava il regno alla morte di Vittorio
Amedeo II, furono conservate e migliorate da Cai'lo Emanuele III (1730-
1773). Gli ordinamenti milit«ri prosperarono mirabilmente: amministrazione,
disciplina, istruzione degli uflBciali, raggiunsero un alto grado di perfezione.
Si crearono pure la scuola d'artiglieria, il corpo degli ingegneri, l'arsenale di
Torino; venne perfezionatala fabbricazione della polvere, e furon spese somme
ingenti per sistemare le piazze forti di frontiera e le interne. L'esercito, così
mirabilmente costituito, affrontò e sostenne con gloria le guerre per la succes-
sione di Polonia (1733-38) e per la successione d'Austria. Secondo rafferma*
zione di un ambasciatore veneto del tempo, il regno di Carlo Emanuele III fu
come « un orologio, del quale le ore suonano regolarmente senza la grazia di
un minuto ». Il bilancio delle spese militari salì, nel 1745, a 20,400,000 lire
piemontesi, e negli anni successivi scese a circa 8 milioni.
Vittorio Amedeo III (1773-1796) introdusse molte modificazioni nel-
Tordinamento generale dell'esercito: modificazioni, le quali condussero ad un
aumento eccessivo di ufficiali e di truppe, con un aggravio nelle spese, tanto
(*) Le gaerre combattate durante questo perìodo furono le seguenti : contro la Francia
lG00-d5, contro l'Austria e la Spagna 1696, contro l'Austria (successione di Spagna)
1701-02, contro la Francia e la Spagna (successione di Spagna) 1703-12, contro la Spagna
in Sicilia 1718-19.
(■) Tarantasia, Chablais, Nizza, Aosta, Torino, Vercelli, Asti, Pinerolo, Mondov^,
Casale.
FIORENZO BAYA-BSCCARIS
che queste si resero sproporaionate alle finanze della nazione. Perciò,
nel 1776, il Be fo costretto a demolire Tedificio costruito, e ad adottare un
ordinamento più semplice, e meno dispendioao. Ma poiché questo non ebbe
tempo di consolidarsi, l'esercito si troTÒ impreparato a resistere alla bufera
della rivoluzione francese.
Seguì un lungo perìodo di guerre, dal 1792 al 1815. La campagna sulle
Alpi, tenacemente combattuta n^li anni 1792-96, in unione ad un contin-
gente austriaco, dimostrò quanta salda fosse la fibra del soldato, e quanto
intenso il sentimento di patriottismo e di fedeltà alla casa regnante. Si ri-
tiene che nel 1792 Tesercito del Re ammontasse a 34,000 fanti, 3,000 arti-
glieri e 4,000 cavalli : ammirevole fu lo slancio della popolazione per il concorso
prestato sia in uomini che in danaro: in ogni provincia o città si costituirono
le milizie urbane, le quali raggiunsero la bella cifra di 35,662 uomini.
Il genio di Bonaparte riusci nel 1796 a separare, dopo aspri combat-
timenti, il corpo austriaco dalFesercito del Be. Per effetto dell* armistizio di
€herasco, che precedette la conclusione della pace, Tesercito si ridusse ad 11
reggimenti di fanteria su due battaglioni di 8 compagnie, più una compagnia
in Sardegna : i reggimenti provinciali ridotti a 10 battaglioni ; la cavalleria
a 6 reggimenti di 4 squadroni.
In mezzo a tali rivolgimenti morì Vittorio Amedeo III il 16 ottobre 1796,
e gli successe Carlo Emanuele IV (1796-1802), il quale, dopo Tannessione
del Piemonte alla Francia (dicembre 1798), si ritirò in Sardegna, seguito
da poche truppe. Il governo provvisorio che ne s^uì, decretò che Tesercito
piemontese facesse parte di quello francese. Passarono così al servizio della
repubblica tre mezze brigate di linea e una mezza brigata leggera, 4 reggi-
menti di dragoni, uno d^artiglieria e i corpi del genio e della gendarmeria.
Queste truppe seguirono le armate francesi nel Veneto, in Romagna e in
Toscana, combattendo ovnnque con valore. Al giungere poi degli Austro-
Bussi nel maggio 1799, per le vicende dei combattimenti, sfavorevoli ai
Francesi, si sciolsero, e parte degli uomini, presa prigioniera, fu mandata in
Boemia ed in Ungheria, parte tornò in Piemonte, parte seguì nella ritirata
i Francesi, formando piccoli reparti autonomi che Tanno seguente servirono
di nocciuolo ai nuovi battaglioni che allora si formarono.
Il generale russo Suvarow, entrando in Piemonte (giugno 1799), dichiarò
essere intenzione degli alleati rimettere sul trono il legittimo sovrano,
chiamò alle armi nel giugno i reggimenti provinciali, e nel contempo ordinò
fosse posto mano a riunire soldati d*ordinanza per formarne reggimenti.
Ma l'Austria, nella speranza di annettere il Piemonte, ostacolò la for-
mazione di queste truppe, ed impedì la costituzione di un'amministrazione
militare piemontese indipendente, pretendendo si formassero solo corpi franchi
a disposizione dei generali imperiali. Solo nel dicembre 1799 si cominciò a
dare un indirizzo al riordinamento delle truppe piemontesi ; ed una commis-
ESERCITO ITALIANO
sione, all'uopo nominata, si pose all'opera. Essa, però, presieduta com'era da
un generale austriaco, non ispirò fiducia agli ufBciali ed ai soldati ; e d'altra
parte, essendo priva di mezzi finanziari sufficienti, non potè provvedere agli
assegni ed alla sussistenza delle truppe. Mentre quindi si poteron raggra-
nellare soldati a stento, abbondarono le diserzioni, tanto che alla fine di aprile
del 1800 non erano costituiti che pochi battaglioni di fanteria d'ordinanza
e provinciali, e pochi reparti d'artiglierìa, i quali furono ripartiti nell'armata
austriaca.
Dopo la battaglia di Marengo (14 giugno) i Francesi occupai'ono nuova-
mente il Piemonte, e Carlo Emanuele abdicò, il 4 giugno 1802, a favore del
fratello duca d'Aosta, che prese il nome di Vittorio Emanuele I.
II.
Le miljzie ilaliaiie dorante il periodo Napoleonico.
Condizioni militari d'Italia alla fine del secolo XVIII e al principio del XIX. — Esercito
cisalpino, poi italiano. — Esercito napoletano. — I corpi piemontesi e di altre re-
gioni dltalia, nelle armate napoleoniche.
Gli altri stati d'Italia, alla fine del secolo XVIII e sul principio del
XIX, non avevano vera efficienza militare. Il regno delle Due Sicilie dispo-
neva, nominalmente, di circa 25.000 uomini (*) ; scarse per numero e per va-
lore erano le milizie di Venezia e di Genova; nei due ducati di Milano e di
Mantova, direttamente soggetti all'Austria, le popolazioni erano tenute lon-
tane dall'esercizio delle armi, ciò che consentiva al dominatore di tenerle più
agevolmente soggette ; gli Stati minori si trovavano quasi sprovvisti di forze
militari.
In tali condizioni la penisola giaceva da tre secoli all'incirca, e, tranne
che in Piemonte, le armi erano cadute di mano agli Italiani, e lo spirito e
l'attitudine militari s'erano loro affievoliti, tanto che Buonaparte, nel 1796,
scriveva al Direttorio (*):... Ces peuples là ne sont point guerrieri, et il
faut quelques années d'un bon gouvernemenl pour changer leurs ine li-
naiions (').
(') Di fattoi nel 1790, 15.000 appena erano i disponibili, tra cai 7000 svizzeri o
macedoni, oltre ad ana milizia provinciale di 15.000 nomini non istruiti ne educati mi-
litarmente.
(') Corretpondaneet voi. I, pag. 1629.
(') Veggasi in Memorie storiche militari del Corpo di stato maggiore (voi. I,
pag. 118) lo studio del capitano Brancaccio e del tenente Ragioni: Oli Italiani nelle
guerre napoleoniche.
8 FIORENZO BAVA^BECCARIS
Ma nel lungo e fortanoso periodo che ne seguì, Italiani (l*ogni contrada,
combattendo con le schiere francesi, tennero sempre e dovunque alto l'onore
e la gloria della patria : onde, sebbene il nostro esercito non abbia ereditato
le tradizioni dei corpi in cui essi militarono, è doveroso rammentarli, poichò
ridestarono la coscienza militare delle odierne generazioni.
Qui di seguito si ricorderanno molto brevemente i due principali nuclei
che guerreggiarono nelle armate napoleoniche, cioè l'esercito del regno di
Italia e quello del regno di Napoli, e si menzioneranno pure i contingenti
dati dal Piemonte e da altre regioni d'Italia.
Esercito cisalpino, poi italiano. — Costituitasi, nel 1796, là repub-
blica cisalpina, le forze militari ch'essa radunò per arruolamento volontario (^),
sommarono a circa 15.000 uomini e furono ripartite in 8 legioni di fanterìa,
un battaglione di fanti leggeri, un corpo d'artiglieria e uno del genio (*).
In seguito all'occupazione austro-russa del 1799, queste truppe si sciol-
sero, e la maggior parte riparò in Francia dove, nel marzo dell'anno se-
guente, il primo Console le riordinò in un sol corpo, col nome di « legione
italiana «, agli ordini del generale Giuseppe Lochi. Bioccupata il 2 giugno
Milano, Buonaparte incaricò il generale Pino di formare una legione cisal-
pina la quale, nel 1801, fu riunita alla legione italiana, ed entrambe, rior-
dinate in due divisioni, annoverarono complessivamente cinque mezze brigate
di linea, due mezze brigate leggere, un battaglione bersaglieri bresciani, un
battaglione cacciatori cisalpini, un battaglione guardia del goverao, due reg-
gimenti di usseri ed uno di cacciatori a cavallo, un reggimento d'artiglieria
a piedi, due compagnie d'artiglieria a cavallo, due battaglioni zappatori e la
gendarmeria nazionale.
Nel 1803 Tesercito fu ordinato in 3 divisioni, e, contemporaneamente.
Tenne formato il corpo della guardia, con soldati scelti per valore, condotta
e bella presenza, ripartito in un battaglione cacciatori (nel quale fu incor-
porata la preesistente guardia del governo), un battaglione granatieri, due
squadroni di cavalleria e due compagnie d'artiglieria (^).
(*) n 1** decreto che aprì rarmolamento volontario ad una legione lombarda è del
16 ottobre 1796, e le prime imprese di essa furono vòlte contro le bande incomposte della
reazione. Alcnni della legione parteciparono al combattimento d*Arcole, e Baonaparte détte
loro il vessillo tricolore. Ma il fatto d^arme più importante al quale il nuovo nucleo par-
tecipò sul principio della sua formazione, avvenne il 2 febbraio 1797 al ponte del Sennio
presso Faenza, dove sei battaglioni, dei quali tre di Cispadani (legione cispadana), for*
manti la brigata italiana del Lahoz, ed alcuni cavalli lombardi, affrontarono 6 o 7000 pon-
tifici capitanati dal Colli.
(■) Soltanto con legge del 1® dicembre 1798 s'introdusse la legge sulla leva che ob-
bligava i cittadini al servizio dai 20 ai 25 anni.
(") Nel 1803 fu riordinata pure la scuola militare di Modena già istituita nel 1798
per istruire i giovani aspiranti a divenire ufficiali d'artiglieria o del genio (stabilita^
ESERCITO ITALIANO
Nel 1806, dopo la costituzione del regno d'Italia, le mezze brigate di
fanteria assunsero la denominazione di reggimenti; il P e il 2° reggimento
usseri, mutati in dragoni, presero rispettivamente il nome di dragoni della
Regina e dragoni Napoleone, e il 1^ reggimento cacciatori a cavallo quello
di cacciatori reali. La guardia venne aumentata del corpo della guardia di
onore (quattro compagnie) e del reggimento veliti reali (dodici compagnie),
composti tutti del fiore della gioventil italiana, destinata a servire presso la
persona del re, indi a somministrare rispettivamente ufficiali e sottufficiali
scelti ai coi*pì deiresercito. Le guardie d*onore, dopo due anni di servizio,
avevano grado di sottotenente, i veliti di sergente. La guardia annoverò così
complessivamente 8000 uomini e 800 cavalli circa, e l'intero esercito 24.000
uomini e 4200 cavalli.
Nel 1806, dopo Tacquisto della Venezia e della Dalmazia al regno
d'Italia, si costituì un 6^ reggimento di linea, veneto, un 3^ reggimento
leggero, una legione dalmata e un battaglione cacciatori d'Istria; le guardie
d'onore vennero aumentate di una compagnia.
Nel 1808 l'esercito si accrebbe ancora di un reggimento di fanteria,
il 7^, con soldati proyenienti dal reggimento pontificio della marca d^Ancona,
del reggimento cacciatori a cavallo Principe Beale (2^), e il regno fu ripar-
tito in sei divisioni territoriali (Milano, Brescia, Mantova, Boli^na, Ancona,
Venezia). Nel 1810 si costituì un 3** reggimento cacciatori a cavallo ; nel
1811 fu riordinata l'artiglierìa componendola di un reggimento a piedi, di
due battaglioni di 10 compaguie e di un battaglione di 3 compagnie pon-
tieri, di una d'armaiuoli e tre d'operai, e si costituirono un 4° reggimento
cacciatori a cavallo e un 4^ di fanteria leggera. Alla fine del 1811 l'eser-
cito nazionale annoverava 60.000 uomini e 600 cavalli, ed era composto di
69 battaglioni e 42 squadroni.
Nel 1812, per le enormi perdite subite in Spagna e in Bussia, furono
rinnovati parecchi battaglioni dei reggimenti già esistenti; e, nel 1813, per
la richiesta di rinforzi che l'imperatore mandava dalla Germania, si operò
in anticipazione la leva di 30.000 coscritti ; si arruolarono volontari per for-
mare altri quattro reggimenti (8°, 9^ 10' 11**), e il corpo coloniale della
isola d'Elba, costituito Tanno innanzi, fu numerato 12^ di linea. Contempo-
raneamente ebbe vita un nuovo battaglione bersaglieri bresciani. Alla fine
del 1813 l'esercito ammontava a circa 90.000 uomini e 15.000 cavalli.
come lo è o^gi, nel palazzo dacale) ; nel 1805 fa creata la scuola militare di Pavia per
abilitare quelli aspiranti alle stnaì ài ]mesk,I)ìpìiiYenneTo {ondate xin& scuola d'equitazione
(prima a Milano, poi a Lodi) per perfezionare gli afficiali e i sottaffieiali di cavalleria;
la scuola teoretica e-an poligono per le istruzioni teorico-pratiche dell'artiglieria, una
scuola pei sottuficiali a Cantù e un collegio degli orfani militari a Milano.
10 FIORENZO BAVA-BBCGARIS
Caduto, neiranno successivo, il regno italico, le schiere italiane furono
sciolte e incorporate in reggimenti austriaci. Gli ufficiali, conseryando il loro
grado, vennero accolti o nei corpi austriaci medesimi o in quelli dei rispet-
tivi Stati di origine (^).
Così ebbe fine quest'esercito, il quale, dopo molti secoli, fu, il primo
ad avere nome, capi e bandiere italiane , e che nei suoi 17 anni di vita glo-
riosa, arruolò 213,482 italiani, cioè 165.432 coscritti, 44,000 volontari, 8000
dalmati o istrioti, e perdette in guerra o per malattia 124.759 uomini, dei
quali 26.000 nella campagna di Russia e 14.000 in quella di Spagna. Fu
comandato nel 1805, durante la campagna in Italia, dal Massena; e quando
questi nel 1806 fu posto alla testa dell'esercito destinato alla conquista di
Napoli, dal viceré Eugenio che ne conservò il comando fino al 1814.
Sarebbe lungo e difficile il voler enumerare tutte le battaglie alle quali i
corpi deiresercito italiano presero parte ('), e i grandi servizi da essi resi alla
Francia. La loro storia è confusa con la storia militare deiresercito francese di
queirepoca ; la loro gloria, con la gloria della grande armata. Basti il rammen-
tare che parteciparono alle operazioni del 1801 a Trento e contro Tesercito
del Borbone; alla campagna del 1805 in Italia e in Austria; alla campagna
del 1807, in cui la divisione Teuliò si coprì di gloria nell'investimento di
Colberg; alle aspre e insidiose campagne di Spagna dal 1808 al 1818 (^);
(^) VeggaDsi i due volami dello Zanoìi: Sulla miliiia cisalpino*italiana.
(') Difficile, poiché troppo di frequente i corpi non combatterono rianiti, ma i bat-
taglioni che li componevano erano staccati in teatri di guerra diversi.
(') Sul finire deiranno 1807, con reparti tornati dalle guerre di Napoli e di Ger-
mania, si formò una divisione italiana destinata ad andare in Spagna. Erano 6000 uomini
ed 800 cavalli, al comando del generale Giuseppe Lochi: 2100 erano del regno di Napoli;
il rimanente, del regno d^Italia. Questa divisione passò a far parte delPesercito di osser-
vazione dei Pirenei orientali — gen. Duhesme — concentrato a Perpignan. Al prin-
cipio del 1808 la divisione Lochi entrò in Catalogna, ed andò a presidiare Barcellona ed
i forti circonvicini. Quivi compì un servizio di colonne mohili dirette contro gli insorti
spagnuoli che infestavano le campagne. Avvennero così parecchi scontri. Verso la metà
deiranno gli insorti, aumentati di numero e rinforzati da truppe regolari, investirono com-
pletamente la divisione in Barcellona.
In settembre dello stesso anno si organizzò una seconda divisione italiana, agli
ordini del gen. Pino, la quale fece parte del VII corpo francese, gen. Gouvion de St. Cjr.
Questo corpo, dopo prosa la piazza di Rosas, ruppe Tinvestimento di Barcellona, ed entrò
in quella città.
Nel 1809, il Vn corpo, rinforzato dalla divisione Giuseppe Lochi, assediò e prese
Gerona. Durante le operazioni, St. Cyr fn sostituito da Augeran.
Nel 1810, le due divisioni italiane, molto stremate di forze, furono fnae in una sola
divisione, al comando del gen. Mazzucchelli» poi del gen. Severoli, quindi del gen. Pino
ed infine del gen* Fontana. La divisione assediò e prese Hostalrich e compì altre opera-
zioni minori. NelPanno stesso Aagerau fu sostituito da Macdonald.
Al princìpio del 1811 fu tentata la presa di Tarragona, e quindi la divisione ita*
ESERCITO ITALIANO H
a quella del 1809 (^), dorante la quale, a Sacile (16 aprile) e alla Baab
(14 giugno), razione fu sostenuta in massima parte dagli Italiani; alla
campagna del 1812 in Bussia, dove, appartenendo al 4® corpo, gli Ita-
liani, con energia mirabile e a prezzo di enormi perdite, cacciarono i Bussi
dalle posizioni Malo-Jaro-Slawetz (24 ottobre); a quella del 1818, e final-
mente alle fazioni di guerra del 1814 in Italia.
Esercito napoletano. — Dopo che Giuseppe Bonaparte, il 30 marzo
1806, fu creato, dall'imperatore, re di Napoli, sua prima cura fu di gettare
le basi di un esercito. Egli formò, da prima, due reggimenti di fanteria, di
cui aflSdò il comando ai colonnelli Pignatelli e Caracciolo, che a?ean già
servito nelle milizie del regno d'Italia; e poco dopo, due altri di linea, due
di cacciatori a cavallo ed una compagnia d* artiglierìa montata. Ma non po-
tendo stabilir subito la coscrizione per la riluttanza degli abitanti ad as-
liana, al comando del gen. Peyri, passò a far parte del corpo di Aragona, gen. Suchet.
Con qaesto investì di nuovo Tarragona, che fa presa. La divisione ebbe quindi per co-
mandante il generale Palombini, e venne ripartita in vari presidii. Si formò frattanto in
Italia una terza divisione agli ordini del generale Severoli, la qaale raggiunse Tarmata
di Navarra, passò in Aragona ove combatta le truppe di Mina, e quindi si congiunse
alla 1^ divisione sotto Valenza, ove Suchet aveva posto Tassedio.
Nel 1812, dopo la presa di Valenza, le due divisioni italiane vennero inviate in Ara-
gona a proteggere le retrovie, trovandosi in tal modo impigliate in continui combatti-
menti di piccola guerra. La divisione Palombini fu poi chiamata a Madrid ed inviata in
seguito a Segovia, ove ebbe alcuni scontri con gli Inglesi: fece allora parte delTarmata
del centro.
Nel 1813, la divisione Severoli si riunì a Suchet, e rimase intorno a Valenza; la
divisione Palombini combattè in Bìscaglia, ed intorno a Bilbao.
Nel dicembre di quelFanno le due divisioni rimpatriarono.
Napoleone, nel 26® bollettino dell'esercito di Spagna fece annunziare: ^ L$ milizie
del Regno d'Italia $i sono coperte di gloria \ la loro eccellente condotta ha sensiòil'
mente commosso il mio cuore. Élleno sono composte la maggior parte di corpi formati
da me, durante la campagna deWanno V, I veliti italiani sono disciplinati quanto
prodi, non hanno dato motivo ad alcuna lagnanza, ed hanno mostrato il piU grande co^
raggio.
« Dopo i Romani, i popoli d'Italia non avevano mai fatto la guerra in /spagna ;
dopo i Romani, nessun^ epoca è stata così gloriosa per le armi italiane, V esercito del
Regno dltalia avrà 80.000 soldati, e buoni soldati. Ecco i mallevadori che ha questa
bella contrada, per non essere più il teatro della guerra! n.
(*) L'esercito italico vi partecipò con tre divisioni attive comandate rispettivamente
da Fontanelli, Severoli e Lechi Teodoro, e un corpo distaccato. La prima contava 6300
uomini, 600 cavalli e 8 pezzi; la 3^, composta della Guardia reale, ascendeva a 2600 uo-
mini, 900 cavalli e 8 pezzi, Il corpo distaccato era di 3100 uomini e 900 cavalli. Inoltre
una divisione di riserva (Fiorella) formava i presidii airintemo, e contava 3100 uomini,
500 cavalli e 8 pezzi. In tal modo l'esercito annoverava in Italia 24.000 uomini, 3600
cavalli e 32 cannoni.
12 FIORENZO BAVA-BECCARIS
soggettarvisi e per la facilità cod la qaale i coscritti refrattari avrebbero
potuto riparare in Sicilia, tenuta dai Borboni, compose questi corpi con vo*
lontari e con antichi soldati reclutati tra i prigionieri di guerra napoletani
che domandarono di esservi ammessi.
Nell'agosto del 1808 venne formato, sotto il nuovo regno di Murat, un
corpo di veliti della guardia, e nel 1809 un 5® reggimento di linea, un reg-
gimento d'artiglieria a piedi, due compagnie zappatori del genio; l'artiglieria
a cavallo venne accresciuta di due compagnie.
Nello stesso anno 1809 fu stabilita la legge sulla coscrizione, per la
quale ogni napoletano dai 17 ai 26 anni era soggetto al servizio militare; ne
furono esenti soltanto gli ammogliati o i figli unici e i sostegni di famiglia.
L'anno seguente, cominciando questa legge ad avere esecuzione, si
costituirono altri quattro reggimenti di linea (6**, 7®, 8**, 9®), due reggi-
menti leggeri, un reggimento granatieri, due di cacciatori veliti e uno di
cavai leggeri ; ai quali, nel 1811, si aggiunsero due reggimenti cacciatori a
cavallo. Il corpo della guardia fu trasformato e costituito di tre reggimenti :
uno di usseri, uno di lancieri e il terzo di corazzieri.
Nessun altro aumento ebbe l'esercito fino al 1815 ; e in quest'anuo, allo
aprirsi della campagna contro gli Austriaci, esso si componeva di due divisioni
della guardia (una di fanteria, l'altra di cavalleria), di 4 divisioni di fan-
teria e una di cavalleria di linea con relativa artiglierìa, genio e treno, con
una forza complessiva di circa 52.000 uomini, 7000 cavalli e 78 bocche da
fuoco (*).
alla restaurazione dei Borboni, le milizie furono radunate a Salerno e
quivi mescolate con quelle che aveva condotte Ferdinando I dalla Sicilia.
Le truppe napoletane, come le piemontesi e le cisalpine, e talvolta in
unione con esse, guerreggiarono nelle armate napoleoniche in Catalogna, in
Tirolo, sulla Vistola, sul Lobregat. Il P di linea e il 2^ cacciatori a ca-
vallo operarono nel 1808 in Catalogna assieme con la divisione italiana, e fu-
rono poi raggiunti dal 2^ di linea venuto coi rinforzi condotti dal Saint-Cyr.
Nel 1809, durante l'assedio di Gerona al quale parteciparono tutti i corpi
napoletani, i cacciatori a cavallo acquistarono reputazione di intrepidi.
Nel 1810 giunsero in Spagna due battaglioni del P leggero e parte
del P cacciatori a cavallo che nel 1 809 avean guerreggiato contro TAustrìa
in Tirolo. Tutti i corpi napoletani formarono allora una pìccola divisione
al comando del generale Francesco Pignatelli, divisione che, impiegata alla
difesa della linea d'operazione da Qerona alla fortezza di Bellegarde, contenne
e respinse in vari scontri gli spagnuoli. Nell'agosto, facendo parte, con la divi-
sione italica Severoli, del corpo di Macdonald, partecipò ad un combattimento
(^) Entrarono veramente in campagna circa 34.000 aomini, 5000 cavalli e 56 pezzi
(Colletta, Opere inedite e rare, voi. I, pag. 44).
ESERCITO ITALIANO ^3
tra FoDcalda e Villaret, ove gareggiò di yalore coi Lombardi, e si coprì
di gloria. Durante il resto deiranno fu impegnata a proteggere le retrovie.
Nel 1811, ridotta ad una brigata, della quale ebbe il comando il maresciallo
di campo Ferrier, prese parte all'assedio di Tarragona ed all'espugnazione di
Sagunto.
Nel 1812 i napoletani continuarono a rendere utili ed onorati servizi,
finché, ridotti alla forza di un battaglione, si trovarono col corpo del mare-
sciallo Soult nella sorprendente ritirata che continuò dalla fine del 1813 al
marzo del 1814. Ed è da notare che, mentre quel battaglione pugnava ancora
per la Francia, ad Ancona i Napoletani combattevano già contro la bandiera
di Napoleone.
Altre truppe napoletane guerreggiarono su diversi teatri d'Europa: il P
leggero ed il 1^ cacciatori a cavallo nel 1809 in Tirolo; la guardia d'onore
nel 1812 in Russia, ove rimase quasi totalmente distratta; sei battaglioni
del 6* e del 7^ di linea ed il reggimento granatieri, assieme col 113® di
toscani, furono alla difesa di Danzica, poi alla campagna del 1813 nella
quale combatterono a Lutzen, a Bautzen, a Dresda, a Lipsia (^). Finalmente
i Napoletani nel 1814 campeggiarono sul Po contro i Franco-Italici e, nel 1815,
si batterono contro gli Austriaci sul Panaro e a Tolentino.
Infine occorre rammentare che mentre la massima parte degli Italiani
combattevano a lato delle forze napoleoniche, o fuse con esse, una legione
siculo-calabrese (3000 uomini), costituita a cura di lord Bentink con truppe
del re Ferdinando di Napoli ed emigrati calabresi in Sicilia, sbarcò a Car-
tagena e fu quindi avviata in Catalogna per operare d'accodo con le forze
insurrezionali britanniche.
Contingenti piemontesi e di altre regioni italiane. — Come si è detto
alla fine del precedente capitolo, il 26 agosto 1802 nel Piemonte si costituì
una divisione militare francese (la 27^), e l'esercito piemontese fu definiti-
vamente incorporato in quello repubblicano. Le truppe di fanteria formarono
due mezze brigate di linea (111* e 112*), una mezza brigata Infera (3P),
la 1* legione piemontese (detta poi Legione del mezzogiorno) e il • Bataillon
expeditionnaire piemontais » (denominato in seguito battaglione tiragliatori del
Po); le truppe di cavalleria costituirono un reggimento di dragoni (2P), uno di
cacciatori (26""), una compagnia guardie d'onore a cavallo (1809), e più tardi
(1813) uno di usseri (14^); l'artiglieria formò un battaglione incorporato in
nn reggimento francese (P d'artiglieria); le truppe del genio vennero ripar-
tite nel corrispondente corpo francese. Nel 1803 le mezze brigate si dissero
di bel nuovo reggimenti; il 112^ fu sciolto e gli uomini ripartiti fra il 11 1°
e il 3P leggero.
(*) Vcggasi il volume Tre capitoli della storia del reame di Napoli, del ten. ge-
nerale Franco&co Pignatelli-Strongoli.
1^ FIORENZO BAVA-BECCARIS
Queste truppe non smentirono Tantico valore durante le campagne na-
poleoniche. Il lOP di linea e il 8P leggero, i tiragliatori del Po, il 26^
cacciatori a cavallo e il 2P dragoni parteciparono alla campagna del 1805
segnalandosi nelle giornate di Ulmae di Austerlitz; alla campagna del 1806,
nella quale dettero prova di gagliardia a Jena e ad Auerstaedt, ed i tira-
gliatori del Po a Lubecca; alla campagna del 1807, durante la quale il 21^
dragoni si trovò in testa alla famosa carica di Murat ad Ejlau e, con il 31®
leggero, al fatto d*arme di Friedland. Questi due ultimi corpi, dal 1808 al
1812, guerreggiarono nella penisola Iberica; il 26^ cacciatori li raggiunse pia
tardi, combattendo gloriosamente contro gFinglesi a Rolica (Portogallo), ed
a Vimeiro, ove protesse la ritirata di Junot battuto da Wellington.
Il IH* di linea e il battaglione tiragliatori del Po presero parte alla
campagna del 1809, partecipando alla battaglia di Wagram ed alle cam-
pagne del 1812, del 1813 (a cui prese anche parte il 31® leggero, reduce
di Spagna) e del 1814.
Le altre regioni italiane, a mano a mano che entravano neirorbita
della dominazione di Napoleone, contribuirono pure ad accrescere le file delle
sue armate.
Nel 1805 i Liguri, pochi Romani e Parmigiani composero il 32* leg-
gero che militò in Spagna e partecipò alla campagna del 1813; i Toscani,
nel 1808, costituirono il 113* di linea e il 28* dragoni, i quali guerreggia-
rono in Spagna; il 28* dragoni combattè poi alla Moscowa, e il 118* a
Danzica; entrambi fecero la campagna del 1813 alla quale si trovò pure il
13* usseri costituito Tanno medesimo con Romani.
Le lunghe guerre combattute dagli Italiani sul proprio suolo, in Ger-
mania, in Spagna, in Russia, per oltre un ventennio ; il sangue versato in
più che cento combattimenti, ridestarono il loro valore sopito da tre secoli di
servaggio. Onde si può con sicurezza affermare che il risveglio della coscienaa
politico-nazionale fu preceduto da quello della coscienza militare: e ben a
ragione Napoleone, dimenticando il suo primo giudizio, esule a sani* Elena,
scrisse: La bravoure des troupes italiennes ne petU étre mise en doute à
aucune epoque. Il suffit de nommer Rome et tous les « condottieri » du moyen
àge: et de nosjours, les troupes de la republtque cisalpine, et du royaume
d* Italie (*) ; e dettò la profezia che l'Italia avrebbe un giorno formato una
grande nazione con Roma capitale.
(0 Mémorial de Sainte-HéUne, VI, pag. 228.
ESERCITO ITALIANO 15
III.
Dal 1814 al 1859.
Ritorno del Re Vittorio Emanuele I negli Stati di terraferma. — Riordinamento del-
Tesercito. — La breve campagna del 1815. — San Marzano ministro della guerra. —
La rivoluzione del 1821 e le sue conseguenze militari. — Abdicazione del Re Vii*
torio Emanuele L — Carlo t'elice (1821-1831). — Rivoluzione francese del 1830. —
Apparecchi di guerra. — Carlo Alberto. — Nuovo ordinamento deiresercito du-
rante Tamministrazione del generale Villamarina. — Organizzazione dell^esercito per
le campiigne del 1848 e del 1849. — Il generale Alfonso La Marmora ministro della
guerra, e sue cure per riordinare l'esercito. — La legge sul reclutamento, del 1854. —
Sintesi dell'opera del gen. La Marmora. — La spedizione in Crimea. — Organizza-
zione dell'esercito per la campagna del 1859. — Ampliamento dell'esercito dopo la
campagna.
L*ll aprile 1814 Napoleone abdicava a Fontainebleau ; il 20 mi^gio
Vittorio Emanuele I rientrava in Torino. Quantunque il nuovo Re fosse d-in-
dole buona, ed avesse a cuore la prosperità dello Stato, pure, giudicando
erroneamente i tempi, e ritenendo il turbinoso periodo trascorso cancellato
dairanimo dei soggetti, volle che 1* amministrazione generale dello Stato si
modellasse suirantica, e che Tesercito fosse ordinato sulle basi medesime
in cui si trovava prima della rivoluzione. E pose mano subito a tal ricosti-
tuzione per liberarsi dalla soggezione dair Austria, che con le sue truppe
occupava tuttora lo Stato.
Si ripigliò Tantico sistema per la nomina dei principali funzionari! ; le
provinole furono cioè rette da governatori militari : le città da comandanti di
piazza. Abolita la coscrizione (0, vennero formati i reggimenti d'ordinanza (')
(^) La coscrizione era stata prescritta in Francia nel 1798. Ogni francese era co-
stretto a servire dai 20 ai 25 anni, e dei coscritti si formavano cinque classi, tra le quali
il governo sceglieva finché ne avesse bisogno. Napoleone vi unì l'estrazione a sorte ed
il cambio, ma poi non rispettò nessuna di queste clausole, e, specialmente negli ultimi tempi,
procedette alle leve in massa. Uno degli impegni dei sovrani restaurati fu appunto l'abo-
lizione della coscrizione.
(*) Nella fanteria i reggimenti d'ordinanza furono i seguenti : delle Guardie, di Sar-
degna (rimasto sempre in armi nell'isola), di Savoia, di Monferrato, di Piemonte, di Sa-
luzzo, d'Aosta, della Marina (detto poi di Cuneo), della Regina, di Alessandria e, dopo l'an-
nessione del Genovesato, quello detto di Sarzana, poi di Genova. Furono pure istituite
truppe leggere d'ordinanza, le quali costituirono soltanto battaglioni: due di cacciatori pie-
montesi, detti poi di Nizza (uno dei quali proveniente intero dal servizio di Francia, dove
aveva militato nel 81^ leggero), due della u legione piemontese n (formati in Inghilterra
con prigionieri piemontesi), uno dei «cacciatori della Regina», due di cacciatori italiani.
16 FIORENZO BAVA-BECCARIS
con volontari, antichi soldati piemontesi, o reduci dal servizio di Francia che
si dedicavano alle armi come ad una professione, e i reggimenti provinciali (^)
col vecchio sistema dei contingenti di levata, imposto ai Comuni. Quanto agli
ufficiali, il Be accettò prima gli appartenenti alla vecchia aristocrazia rimasta
fedele al trono; ma, scarseggiando questi e non avendo perizia neiristruire
la milizia secondo le regole del tempi nuovi, tollerò a malincuore Tammissione
di coloro che avevano già servito l'Impero o il regno d'Italia.
Durante la breve guerra del 1815, il nuovo esercito piemontese com-
battè in Savoia accanto all'austriaco, ma dimostrò tali manchevolezze or-
ganiche che, terminatala campagna, il Be s'accinse a mutarne gli ordini
dalle basi. Stabilì la soppressione dei reggimenti provinciali, e Tincorpo-
razione del loro personale in quelli d'ordinanza, e ciascuno di questi divise
in nove categorie di gregari : una di volontari, obbligata al servizio conti-
nuativo per otto anni ; le altre di contingenti di levata vincolati per sedici,
otto dei quali nell'armata attiva e otto nella riserva, ma chianuiti alle armi
periodicamente, due alla volta, per quattro mesi.
E poiché le antiche condizioni per le levate dei provinciali non erano
sufficienti per completare i corpi, così nel febbraio 1816 ristabilì, con
qualche mutamento, la legge sulla coscrizione francese che fu detta « legge
sulla leva militare «, per la quale tutti i cittadini validi, dai 18 ai 24
anni, furono obbligati al servizio. Ma i corpi leggeri e quelli di cavalleria
continuarono ad esser composti per intero di truppe d'ordinanza.
In questo medesimo periodo, sempre sotto l'amministrazione del S. Mar-
zano, che fu a capo della segreteria di guerra fino al 1817, si instituì il
corpo di stato-maggiore alla dipendenza d'un « quartiermastro », ma fin
dal principio se ne alterò il fine, il quale, anziché a funzioni d'indole
prettamente militare, fu vòlto a studi geodetici e topografici ; si divise il
corpo d'artiglieria in attivo e sedentario, l'uno costituito dalle truppe, Taltro
dagli ufficiali incaricati degli studi tecnici ; ed analoga suddivisione ebbe il
coi'po del genio fra il personale assegnato ai servizi di campagna e quello
adoperato per i servizi d'ingegneria. Nel 1816 fu pure istituita l'accademia
militare per abilitare i giovani, in specie di famiglie nobili, a divenire ufficiali.
Nel 1817 si può dire che l'esercito fosse completamente ricostituito (').
Nella cavallerìa i reggimenti d^ordinanza furono : dragoni del Re, dragoni della Regina,
caTalleggeri del Re, cavalleggeri di Piemonte, Piemonte Reale cavallerìa, Savoia cavalieri»,
cavalleggeri di Sardegna. Il corpo reale di artiglieria fa diviso in artiglieria «a piedi»,
(dae battaglioni}, e in artiglieria u volante » pel servizio celere di campagna. Per il traino
delle batterie si formò un corpo del treno.
(*) I reggimenti provinciali furono: Ivrea, Torino, Nizza, Asti, Pinerolo, Novara, Tor-
tona, Acqui, Mondovì, Vercelli, Casale, Snsa.
(') Comprendeva nove reggimenti di linea, uno di granatieri, uno di cacciatori, la
legione reale leggiera, quattro battaglioni di cacciatori, due compagnie leggiere in Sar*
ESERCITO ITALIANO 17
La rivolazione piemontese del marzo 1821, ripercussione di quella napo-
letana del luglio avanti, ebbe, sventuratamente come questa, carattere mili-
tare. L'esercito si divise : parteggiarono gli uni pei liberali, gli altri pel potere
assoluto ; e Vittorio Emanuele I, ritenendosi vincolato ai patti con le potenze
del nord, e temendo, se avesse dato la costituzione, un intervento austriaco,
abdicò il 13 marzo, ed incaricò della reggenza Carlo Alberto di Carignano sino
all'arrivo da Modena di Carlo Felice al quale, per successione legittima,
spettava il trono. Carlo Alberto concesse la costituzione spagnuola ; il nuovo
Be ne disapprovò Tatto invocando soccorsi dall'Austria, ed ingiungendo alle
truppe fedeli di concentrarsi a Novara. Quelle costituzionali si raccolsero in
Alessandria, e di qui mossero tosto contro le prime, ma, dopo breve scaramuccia,
si dispersero, sicché gli Austriaci, valicando il Ticino, rioccnparono parte
dello Stato.
Domata la sommossa, si pose mano ad epurare T esercito sciogliendo i
4Ì0YPÌ che avevano fatto causa comune coi liberali ('), annullando le dispo-
sizioni emanate nel breve periodo della reggenza, destituendo gran numero
di ufficiali. Ristabilito poi Tordine, vennero sancite punizioni severissime
contro i sospetti di liberalismo, e fu sottoposto l'esercito a dura disciplina,
a rigido regolamentarismo.
Carlo Felice — il quale, come Carlo Emanuele IV, fu tra i pochi prin-
cipi della sua stirpe che non ebbero gusti militari (*) — non mutò sostan-
icialmente gli ordinamenti delle milizie (^) ; accrebbe soltanto notevolmente
la flotta per i risultati fortunati della spedìsione di Tripoli del 1825.
Nel 1830 scoppiò la rìvoluzione francese, che sembrò foriera di guerra.
Il Be chiamò alle armi gradatamente i contingenti provinciali, e, abbiso-
gnando di un generale, chiese ed ottenne dalle potenze del nord il mar-
chese Filippo Paolucci che aveva militato prima nel reggimento piemontese
degna, dae reggimenti di cavalleria, due di dragoni e due di cavallcggeri ; i cavalleggerì
di Sardegna; an reggimento di artiglierìa a piedi, quattro compagnie d*artiglieria volante,
tre compagnie d*artiglieria della Sardegna, sei compagnie di zappatori e una di minatori
del genio, e il corpo del treno. I reggimenti di linea, airatto della guerra, s^ingrossavano
di tutti i provinciali, raddoppiavano il numero dei battaglioni portandolo a 4, ed assume-
vano qualifica di brigata.
(') Cioè le brigate di Monferrato, di Saluzzo, d^Alessnndrìa, di Genova, alcuni bat-
taglioni cacciatori e i reggimenti dragoni del Re. Le fanterie si ricostituirono poco ap-
presso, da prima in battaglioni provvisori, poi, in novembre, nelle brigate Casale, Pine-
rolo, Savona ed Acqui, nelle quali vennero incorporati pure alcuni battaglioni cacciatori.
Dei reggimenti di cavalleria sciolti se ne costituì uno solo, detto dei dragoni del Genevese.
(') Della Rocca, Autobiografia di un veterano, I, 57.
(*) Furono oreati soltanto: un battaglione cacciatori (1825), ed un reggimento di
dragoni (1829j, ch'ubbero entrambi il nome d*Aosta; e vennero aumentati gli squadroni
•del reggimento Piemonte Reale (1827).
Fiorenzo Bava-Bbccams. — Esercito it alimo ecc. 2
18 FIORENZO BAVA-BECCARIS
delle Guardie contro T esercito francese, poi in Russia, do?e era salito in
fama di valoroso e buon condottiero. Il Paoluoci ebbe carica d'ispettore ge-
nerale della fanteria e della cavalleria, e facoltà di matare a suo arbitrio
gli ordinamenti militari. Ma, in questo mezzo, morì Carlo Felice (27 aprile
1831), e gli successe Cario Alberto. L'esercito attrasse le cure assidue del
nuovo Se, che parve sin d* allora aver in animo di esseme il comandanto, poiché, |
con decreto del 6 agosto 1831, abolì la carica d'ispettore generale deirar-
mata, riguardato come Teventuale capo in guerra. Rimase quindi interrotto
Tordinamento del Paolucci, ed altri mutamenti avvennero, dei quali alcuni
storicamente importanti, poiché appariscono come base degli attuali. Di essi
fu, per buona parto, autore il generale di Yillamarina, chiamato a reggere
il posto di segretaiùo di Stato di guerra e marina il 5 aprile 1832.
Non mutarono i concetti fondamentali, secondo cui era tradizionalmento
costituito Tesercito : una robusta ossatura di nomini d'ordinanza (0, completata
coi provinciali; ma fu abolito il servizio alternativo di costoro, e imposto
invece Tobbligo di servire due anni in modo continuo. Da questo tempo si
può dire che abbia principio quella che in seguito si disse «feima».
Per inquadrare in guerra il massimo dei richiamati, furono costituito,
come lo sono tuttora, al comando d*un maggior generale, le brigate perma-
nenti di fanteria di due reggimenti, e questi vennero ordinati in tre batta*
glioni, dei quali, due sempre costituiti, ed il terzo, da prima lasciato in con-
gedo, poi, nel 1882, mutato in batti^flione di deposito per servire, in guerra,
di nucleo alle truppe di riserva, e per Tammaestramento delle reclute.
I reparti cacciatori furono soppressi, e gli uomini vennero incorporati
nei reggimenti di linea.
Più brigate di fanterìa costituirono una divisione territoriale corrispon*
dente sempre ad un governo, e comandata da un luogotenente generale, il
quale, come pel passato, al comando delle truppe univa la direzione politica
e di polizia del territorio.
NelFanna di cavalleria si fusero i dragoni coi cavalleggeri; si muta-
rono le denominazioni di alcuni reggimenti, e se ne costituì uno nuovo, detto
di Aosta (*).
Data pure da quest'epoca la suddivisione dell* artiglieria in campale (da
posizione da battaglia, a cavallo) e d'assedio o da difesa (da piazza), e per
(') La categoria d'ordinanza fa, come in passato, composta di individui di recluta-
mento volontario e di surrogati : o qualora essi non fossero bastati a mantenerla a numero,
di iscritti di leva (R. V. 31 dicembre 1881). Gli uomini che la componevano assumevano
servizio per la durata di otto anni, e frequentemente lo riprendevano per guadagnare il
premio di surrogazione. Da questa categoria uscivano i graduati e i sottufficiali.
(*) I reggimenti furono i seguenti : Piemonte Reale, Nizza (antico Piemonte), Savoia»
Genova (antichi dragoni del Genevese), Novara (antichi dragoni del Piemonte), Aosta.
ESERCITO ITALIANO 19
la prima Tolta fìiroDo assegnati alla prima i cavalli per il traino, servizio
disimpegnato fino allora dal treno (^).
Nel 1833 fu prescritto Tordinamento deiresercito in guerra, stabilendo
si dividesse qnesfnltimo in corpi d'armata costituiti da più divisioni; vennero
determinate le funzioni del quartiermastro generale (specie di capo di stato
iMggiore dell'esercito), creata la carica « d'intendente generale « e definita la
composhfoM del quartier generale dell'esercito, principalmente con tutti i capi
dei vari servist; mI 1836, sulla proposta di Alessandro La Marmora si co-
stituì il corpo dei bers^^iari : il quale acquistò subito una gran popolarità
che conserva tuttora, rappresentando una caratteristica speciale dell'esercito
italiano; nel 1887 il Villamarina, volendo aumentare il numero degli
uomini chiamati annualmente, e pieno di lede nelle qualità militari delle
forti popolasioni piemontesi, ridusse a 14 mesi (*) il servizio alle armi dei
provinciali di fanteria, lo mantenne di due anni pei bersaglieri, e prescrisse
che i provinciali medesimi concorressero alla costituzione della cavalleria,
fissando per essi e per quelli di artiglieria la durata del servizio alle
armi in tre anni ('). Così si ebbero ogni anno 8500 uomini da aggiungere
ai soldati di ordinanza, e, con un bilancio complessivo di 75 e 80 milioni,
dedicandone da 27 a 80 all'esercito, si contò di aver cinque divisioni dispo-
nibili in caso di guerra, e numerose riserve per supplire ai vuoti di una
lunga e difficile campana (^).
Nello stesso anno 1837, i reggimenti di fanteria furono numerati dall'I
al 18, e si ordinarono in 4 battaglioni, di cui 8 attivi e 1 di deposito (^).
(') Coirordinamento del 1881 Tartiglieria fa composta dì una brigata di dae reggi-
menti, ciascano di tre battaglioni. Ogni battaglione era formato promiscoamente di com-
pagnie da piazia, da posizione e da battaglia ; inoltre vi erano addette tre compagnie di
maestranza, di artificieri, di pontonieri. Ma Tordinaroento del 1883 divise nettamente
le specialità: rartiglieria da piazza fa composta di dae brigate di sei compagnie ciascana,
qaella campale di qaattro brigate di tre batterie (e qai ricorre per la prima volta la de-
nominazione di batteria), e finalmente gli operai vennero divisi in compagnie, maestranza,
artificieri e pontonieri.
(') Cioè un anno per imparare Tistrazione e due mesi di più per disimpegnare i
servizi territoriali darante Tistrazione delle reclute.
(') La dorata complessiva deirobbligo del servizio venne fissata a 16 anni per la
fanterìa di linea, otto dei quali neirarmata attiva ed otto nella riserva: 14 per i bersa-
glieri, di cui 6 nella riserva; 13 per quelli di artiglieria e cavalleria.
{*) Il Piemonte contava 4 368,972 abitanti, senza gl'isolani, che non erano tenuti
alla leva. Nel 1847 il bilancio passivo ordinario ammontava a lire 84.020.373,89, di cui
lire 13.591.047 per pagamento di debiti ; alla guerra e marina erano assegnate lire 32.437.700,
di cui 28.864.600 cbe permettevano di tenere alle armi circa 43 mila nomini e 5000 ca-
valli.
(*) Ogni battaglione attivo contava in pace 320 uomini circa e si componeva di 4
compagnie; il 1* e il 2* battaglione di ciascun reggimento avevano una compagnia di
granatieri e tre di fucilieri ; il S^ battaglione era formato tutto di cacciatori. Il battaglione
20 FIORENZO BAVA-BECCARIS
Tatte le successive disposizioni, e non furono poche dno al 1847, intesero
a migliorare le condizioni dell'esercito, ma si dedicarono più alla parte for-
male che alla sostanziale.
Per la campagna del 1848, l'esercito fu costituito di due corpi d'armata
formati di due divisioni e di una divisione di riserva. Ciascuna divisione com-
prendeva due brigate di fanteria, un reggimento di cavalleria, da due a
quattro batterie d'artiglieria e un distaccamento del genio. Inoltre al P corpo
d'armata vennero assegnati il battaglione Beai Navi, e il P battaglione
bersaglieri ; al 11^ corpo il 2^ battaglione bers^lieri. I reggimenti di fanteria
costituiti di 3 battaglioni, entrarono in campagna con circa 2000 uomini cia-
scuno ; quelli dì cavalleria con 500 circa, ed altrettanti cavalli ; le batterie
d'artiglieria, su 8 pezzi, contavano 140 uomini e 130 cavalli circa (^). Il to-
tale dell'esercito attivo, era di circa 52,000 uomini e 5,000 cavalli.
Nell'aprile, con le classi di riserva 1819-18-17, si costituirono 19 bat-
taglioni di riserva (*), destinati ad essere impiegati a presidio delle fortezze
e ad alimentare i battaglioni attivi; nel maggio, i battaglioni di deposito
di ciascun reggimento, con la denominazione di quarti battaglioni, vennero
mobilizzati e mandati a presidiar le città di Lombardia ed i Ducati ; il 29
maggio, 12 di questi costituirono una seconda divisione di riserva f^ per spal-
leggiare, occorrendo. Tarmata » , e, per aumentarne la forza, si ordinò che
ognuno di essi ricevesse circa 600 reclute lombarde. Fu questa una divi-
sione difettosa, priva d'artiglieria, deficiente, per numero e per qualità d'uf-
ficiali. Andò sul Mincio, ma cooperò poco alle operazioni; nello agosto fu
sciolta ; i gregari ripartiti nei battaglioni attivi, i quadri rimandati ai depo-
siti per formar nuovi battaglioni.
Le truppe lombarde costituirono anch'esse una divisione regolare di 4
reggimenti (8000 uomini) al comando del generale Perrone, e una di volon-
tali (3000 uomini) al comando del generale Giacomo Durando (^) succeduto
di deposito, che ammontava in pace a 170 uomini circa, doveva, alPatto della guerra, ve-
stire, armare e istruire le cla&si in congedo, avviarle ai battaglioni, così da portare a
200 nomini la for^a delle compagnie attive, ed infine trasformarsi in battaglione di guerra
con 125 uomini per compagnia.
(') Le batterie erano di tre specie: a cavallo, da battaglia, da posisione. Quelle
delle prime due specie erano armate di 6 cannoni di bronzo da 8 (peso approssimativo
della rispondente palla in libbre piemontesi, cioè 8 kg.) e di due obici da 15 centira.;
le ultime, di 8 cannoni di bronzo da 16 (6 k^.).
(') Ne costituì uno ciascun deposito reggimentale. La brigata Guardie aveva un de-
posito solo per entrambi i reggimenti.
(^) Riuscirebbe lungo enumerare i corpi volontari lombardi che si organizzarono du-
rante la campagna e ch< ii parte operarono agli ordini del generale AUemamdi prima,
ESERCITO ITALIANO 21
al generale Allemandi che n*ei-a stato il primo comandante ; le parmensi, due
battaglioni di fanteria, due colonne mobili, ed una sezione di artiglieria ; le
modenesi, un battaglione di lìnea, uno -squadrone di dragoni, e una bat-
teria; le piacentine, una compagnia di crociati ed una di dragoni (').
Il 22 luglio le forze piemontesi, lombarde e dei ducati sul teatro della
guerra, ammontavano a 77.115 combattenti (*)•
Per affrontare la campagna di guerra del 1849, furono chiamate sotto
le armi anche le ultime classi della riserva, formandone due battaglioni per
ogni reggimento attivo ; ma non si tardò a riconoscere la loro poca attitu-
dine al servizio, sicché si licenziarono le due classi più vecchie, facendo pas-
sare al loro luogo, dalVarmata attiva, quelle dei provinciali più anziani e
tutti i meno abili al servizio.
Poi si ricorse a nuove leve, anticipando quella del 1829; e si ebbero
35.000 reclute, delle quali 13.000 di 19 anni; cosi il piccolo esercito piemon-
del generale Giacomo Durando poi; in parte agirono indipendenti. Citiamo solamente i
principali: Legioni Jfanara, Arcioni. Longhena, Tkannòerg; compagnia volontari Vi-
cari Simonetta; 1^ reggimento Cacciatori bresciani, volontari cremonesi Tibaldi^ com-
pagnia guardia nazionale mobile bergamasca ecc. Inoltre, a guardia delle vallate alpine,
vi erano altri corpi: al Tonale un battaglione volontari di Bergamo, allo Stelvio un
grappo di volontari valtellinesù
I governi provvisorii del Veneto e quelli del Friuli costituirono pure varii corpi
franchi o di Crociati, tanto nel primo periodo della guerra, quanto nel secondo. Ram-
mentiamo fra essi il corpo dei volontari del Cadore ì quali, sotto la guida di Pier For-
tunato Calvi, difesero gloriosamente qnelle vallate.
(') Anche dagli altri Stati d*Italia i governi, stimolati dal partito allora dominante,
mandarono sul teatro della gnerra tmppe, le quali agirono talune al comando del quar-
tier generale sardo, altre indipendenti da esso.
La Toscana inviò una divisione (6000 uomini) composta in parte di soldati regolari,
in parte di volontari, comandata dal generale D*Àrco Ferrari, poi dal De Laugier.
II governo pontificio contribuì con due divisioni, una di regolari comandata dal
gen. Giovanni Durando (6500 uomini), Taltra di volontari al comando del gen. Ferrari
alla quale si aggiunsero parecchi corpi franchi raccolti neirEmilia, in Romagna, nelle
Marche e nell* Umbria.
Il Re Ferdinando di Napoli mandò, a malincuore, sotto gli ordini del generale Gu-
glielmo Pepe, 14.000 uomini. Parte marciò per via di terra verso Ferrara, parte fu diretta,
per TAdriatico, ad Ancona; il 10^ di linea e un battaglione volontari andarono invece,
pel Tirreno, a Livorno, e si unirono ai Toscani. Avvenuto a Napoli Teccidio del 15 maggio,
il Re richiamò sollecitamente le truppe. Rimasero soltanto il 10* di linea, che rimpatriò
alla fine di giugno, il battaglione volontari, e pochi altri i quali seguirono il gen. Pepe
a Venezia.
(•) Fabris, Avvenimenti militari del 1848, IH, 386.
22 FIOREf^ZO BAVA-BBfCCARIS
tese crebbe sino a 140.000 uomini (0- La fanteria, che in tempo di pace
contava appena 20.000 uomini, sali a 96.000, e i 58 battaglioni furono por-
tati al numero di 119, di cui 81 dell* armata attiva e 38 della riserva.
Nel febbraio del 1849, coi battaglioni di riserva si costituirono 8 reggi-
menti provvisorii di linea (24^-81^) ed uno di cacciatori guardie (3^). Vennero
inoltre di nuovo riuniti i quarti battaglioni, che formarono reggimenti nu-
merati dal 32^ al 37°. Un ordine ministeriale dell* 11 novembre stabilì che
il corpo dei bersaglieri si ordinasse in cinque battaglioni. Vennero infatti
formati, il P gennaio 1849, il 3° ed il 4° battaglione, in parte con uomini
alle armi, scelti nei corpi di linea, ed in parte con iscritti di leva. L*arti-
glieria e la cavalleria non subirono variazioni organiche di rilievo.
Le truppe lombarde e quelle dei Ducati furono riunite prima a Trecate,
poi a Vercelli e quivi riordinate per cura del generale Olivieri di Vemier.
I corpi e reparti di fanteria vennero costituiti in 10 battaglioni prov-
visorii, e questi raggruppati in quattro reggimenti con numerazione progres-
siva a seguito dei piemontesi (19*^-20'*-21°-22®). I reparti conservati come corpi
distinti, furono : il battaglione bersaglieri {*) Manara, che costituì il 6° batta-
glione bersaglieri ; la legione tridentina, che formò, con due compagnie, il noc-
ciolo del 7° battaglione; il battaglione studenti, i voloutarii valtellinesi e
bergamaschi e la legione polacca. La cavalleria fu ordinata in due reggi-
menti, UDO di cavalleggeri, Taltro di dragoni; Tartiglieria in 3 batterie di
8 pezzi ciascuna; gli zappatori del genio in una compagnia. La maggior
(') La forza deiresercito risultò di 144.071 nomini. Ma su tale cifra occorre fare
le riduzioni seguenti :
Assenti per disposizione del ministero della guerra per il con-
gedo dato alle due classi di riserva più attempate, nonché
a tutti quelli che furono riconosciuti meno atti al servizio
militare 34.779
Malati 10.583
Truppa di riserva lasciata nei presidi . . . , 11.000
K. 8 quarti battaglioni lasciati parte a Voghera ed in Ales-
sandria, parte a Torino e parte alla guardia de* parchi di
artiglieria e di materiali deirintendenza, e formanti una forza
di circa 8.000
64.362
Cosicché la forza componente Tesercito in campagna si ridus&e a 79.709. Dedu-
ceudo da questo i 20.000 nomini circa rimasti sulla destra del Po, compresa la divisione
lombarda, Tarmata attiva sul teatro della guerra risultò minore di 60.000 uomini. Sot-
traendo ancora le perdite avute a Mortara, le truppe deviatesi a Vercelli ed a Casale e
la brigata Solaroli, le forze che si trovarono in linea alla battaglia di Novara non arri-
varono a 50.000 uomini, compresi ancora il treno di provianda, le guide e tutta la truppa
fuori rango. (Dalla relazione della Commissione d'inchiesta sulla campagna del 1849).
(") La legione Manara, che aveva fatto la campagna del 1848, fu sciolta per indisci-
plinatezza, e in luogo di essa venne costituito un battaglione bersaglieri con u finanzieri n
che avevano dato buona prova durante la campagna medesima, e con volontarii.
ESERCITO ITALIANO 23
parte di queste truppe (^) formò la 5^ divisione; le rimanenti furono addette
alla 3* brigata composta (').
I volontari parmensi e modenesi rimasti anch'essi in Piemonte e rin-
forzati con iscritti di leva piemontesi, costituirono il 23° reggimento fanteria
11 quale fu assegnato alla brigata composta della 2* divisione, e il 5*^ bat-
taglione bersaglieri che fece parte della brigata d'avanguardia.
L'esercito entrò in campagna, ordinato in sette divisioni (vennero
aboliti i Comandi di corpo d'armata), sotto il comando di un generale po-
lacco, lo Chrzanowski, ignaro della lingua, delle abitudini, dello stato mo-
rale delle truppe; ed il 23 marzo fu sconfìtto a Novara. Carlo Alberto do-
mandò una tregua a Kadetzky ; ma, non potendo le condizioni presentate da
questo, essere con dignità da lui accettate, nella notte dal 23 al 24 abdicò.
La tregua fu conclusa dal nuovo Re Vittorio Emanuele II ; gli Austriaci
tennero un corpo di 20.000 uomini fra Ticino, Po e Sesia, e diedero metà della
guarnigione d'Alessandria fino alla stipulazione della pace.
Nel novembre del 1849 fu chiamato a reggere il ministero della guerra
il gen. Alfonso La Marmerà (^), che vi rimase quasi senza interruzione
fino al 1860. Il La Marmora sciolse tutti i corpi di fanteria di nuova
formazione, e, contrario di massima alle innovazioni radicali, mantenne per
la fanteria gli organici anteriori al 1848; accrebbe soltanto sensibilmente il
corpo dei bersaglieri che, dal 1850 al 1852, fu portato successivamente sino
a 10 battaglioni, e l'arma di cavalleria, che aumentò del reggimento Saluzzo,
formato nel 1849 con la riunione dei due reggimenti lombardi, e dei reggi-
menti Monferrato e Alessandria, costituiti nel 1850 (^).
II ministero della guerra ebbe, come tutti gli altri ministeri, muta-
menti nell'ordinamento intemo, necessari per porlo in armonia col nuovo
regime costituzionale. Leggère modificazioni nella sua composizione ebbe pure
il «^ Congresso consultivo permanente della guerra * istituito nel luglio del
1848 per esaminare le leggi, i decreti, ì regolamenti e tutte le questioni
intomo alle quali il ministro stimasse opportuno di consultarlo o delle quali
gli affidasse le proposte o lo studio. Quanto al corpo di stato-maggiore, il
gen. La Marmora fin dal 1850, neiresaminare i programmi di studio per gli
ufficiali che vi si dedicavano, osservò che si dava ancor troppo peso agli studt
(^) Cioè i 4 reggimenti di fanteria, i 2 battaglioni bersaglieri, il battaglione studenti,
la legione polacca, due batterie, la compagnia del genio e il reggimento cavalleggeri.
(') Cioè la guardia nazionale mobile di Bergamo, i bersaglieri valtellinesi, i volon-
tari bergamaschi e comaschi, una batteria e due squadroni.
(') Dalla proclamazione dello Statuto a quest'epoca, avevano tenuto il ministero i
personaggi seguenti: gen. Franzini (IG marzo-29 luglio 1848); Provana di Collegno (29
luglio- Ì6 agosto); gen. Franzini (16-22 agosto); col. Alfonso La Marmora (27 ottobre-
16 dicembre); gen. De Sonnaz (16 dicembre 1848-2 febbraio 1849); gen. Alfonso La Mar-
mora (2-9 febbraio); gen. Chiodo (9 febbraio -27 marzo); gen. Morozzo della Rocca (27
marzo - 7 settembre) ; gen. Bava (7 settembre -2 novembre).
(^) Per Tartiglieria si abbandonò la denominazione di batterie da posizione e si dis-
sero tutte da battaglia. Ma di fatto la distinzione rimase, perchè la 3^ batteria di ogni
brigata e la brigata di riserva erano annate con cannoni da 16 B.
24 FIORENZO BAVA-BECCARIS
topografici 6 geodetici, e prescrìsse che gli studi stessi volgessero invece mag-
giormente alle discipline militari; tuttavia queste sue giuste vedute non
ebbero risultati pratici, e una vera riforma radicale del corpo non si ebbe
che dopo il 1866.
Ma l'opera del nuovo ministro volse soprattutto a migliorare il morale
deir esercito, instaurando la disciplina scossa; procurando di stabilire il ca-
meratismo nella classe degli ufficiali, cresciuta notevolmente durante la
guerra con elementi di provenienza diversa, e di sopprimere le rivalità fra
arma e aima, e fra corpo e corpo ; attribuendo a ciascun comandante la piena
responsabilità della disciplina, dell* istruzione e delVamministrazione del pro-
prio reparto, concetto questo del tutto nuovo, poiché insin allora le singole
attribuzioni non erano ben definite; ordinando agli ufficiali di accostare il
soldato per guidarlo, consigliarlo e per inspirare in lui la devozione alle
istituzioni e al dover militare.
Il reclutamento fu regolato dalla legge 20 marzo 1854, la quale rimase
quasi inalterata fino al 1871 , ritoccata parecchie volte poi, e vigente tuttora nel*
Tattnale « testo unico ». Base del nuovo sistema fu che, mentre lo Stato poteva
disporre di tutto Telemento valido della nazione in caso di guerra, era mante-
nuta una razionale proporzione tra la forza sotto le armi sul piede di pace e
quella risultante colla chiamata delle riserve nel caso di guerra. Fissato dal-
Torganico il numero massimo degli uomini (circa 85.500) che lo Stato, in ragione
delle sue condizioni finanziarie e sociali, poteva mantenere in tempo di pace :
fissata a cinque anni la permanenza dei soldati sotto le armi, perchè vi po-
tessero ricevere una salda istruzione tecnica e morale, veniva con apposita
legge annualmente precisato il numero di uomini (in media 9000) neces-
sari a mantenere Tesercito sul piede stabilito. Questo contingente annuo,
detto di 1* categoria, veniva somministrato dai giovani validi primi inscritti
nelle liste di leva, nelle quali venivano segnalati neirordine fissato dalla
sorte tutti i cittadini entrati nel 21° anno di età. Oltre al servizio di cinque
anni sotto le armi, gì* inscritti di prima categoria avevano Tobbligo di rima-
nere, nei successivi 6 anni, in riserva alle proprie case, pronti a ritornare
alle bandiere in caso di guerra. Tutti gì* inscritti sulle liste di leva dopo
quelli assegnati alla 1* categoria, rimanevano, sotto la denominazione di 2*
categoria, sino all'età di 26 anni a disposizione del governo per formare
una speciale riserva destinata a colmare i vuoti che la gneri-a potesse pro-
durre nelle file deiresercito attivo ; e, poiché questi vuoti generalmente non
cominciano a determinarsi se non qualche tempo dopo l'apertura di una cam-
pagna, così gli uomini di 2* categoria non ei-ano tenuti a prestare nessun
servizio durante la pace, potendo ricevere, presso i depositi, almeno i pili ne-
cessari rudimenti di istruzione tecnica al cominciar della guerra. La costitu-
zione e la forza dell'esercito in tempo di pace fu stabilita come segue ('):
(') Mezzacapo, Stato militare d'Italia, in Riv. Milit., 1858, pag. 329.
ESERCITO ITALIANO
25
CORPI
Cavallerìa
Artiglierìa (•)
Stato magg. generale
Corpo dello stato maggiore ....
Casa milit. del Re e dei Prìncipi (^) .
Granatieri e linea . . .
Fanteria (■; { Bersaglieri
Cacciatori franchi . .
di linea
cavalleggeri
Stato maggiore ....
Personale civile tecnico
e contabile ....
Regg. da camp. (18 batt.
da camp., 2 a cavallo) .
Id. da piazza ....
Id. operai (maestranza,
artificieri, armaiuoli,
pontieri)
Compagnia veterani . .
i Consiglio saperiore . .
\ Stato maggiore . . .
{ Regg, zappatori . . .
/ Aiutanti, veterani, perso-
I naie contabile . . .
Corpo sanitario
Battagl. d*ammin. (inferro, e sussist.) .
Treno d*armata
Corpi sedentarii (stato maggiore delle
piazze, invalidi e veterani) ....
Personale amministrativo (minist. e in-
tendenza generale)
Id. di giustizia
Carabinieri
Genio
Totale
3
s
e
I
§
B
o
11
2 '^
1-
20
1
4
5
1
1
80
10
1
820
41
8
12
5
1
10
8
4
8
1
20
25
20
84 91 408 45
20
(JomÌDÌ
37
54
20G
27100
4.078
892
2.268
2.885
120
50
1.556
845
136
8.747
49.583
CvnWi
149
81
42
120
14
2
1.904
4.284
2.005
1.108
1.141
12
696
181
200
—
4
8
42
16
1.025
6
184
._
184
659
—
469
255
1.278
9.464
(') Comprendeva gli aiutanti di campo, gli ufficiali d*ordinanza, una compagnia di
guardie del corpo (composta di soli ufficiali), una compagnia di guardie di palazzo (com-
posta di soli sottufficiali).
(') I reggimenti di linea dipendevano, sotto il rispetto amministrativo, da un gene-
rale ispettore : per la disciplina e per Tistruzione, dai rispettivi comandanti di brigata e
di divisione ; i bersaglieri e la cavalleria eran posti rispettivamente al comando di un ge-
nerale che riassumeva le funzioni di generale di brigata e di ispettore del corpo.
(') n corpo d*artiglieria era diviso, come pel passato, in due parti: personale (truppe)
26 FIORENZO BAVA-EECCARIS
Oli istituti militari eraDo i seguenti:
Collegio militare d'Asti per preparare i giovani airaminissione alla
regia militare accademia ; il battaglione dei figli di militari di Bacconigi per
fornire all'esercito soldati atti a riuscire, dopo breve tirocinio pratico, buoni
sottufficiali; la regia militare accademia per gli aspiranti a divenire uffi-
ciali ; la scuola complementare (o d'applicazione) per gli ufficiali delle armi
speciali ; la scuola militare di fanteria in Ivrea per insegnare ad un buon
numero di ufficiali un metodo unifoime d'istruzione; la scuola militare di
cavalleria in Pinerolo per promuovere e mantenere viva ed uniforme V istru-
zione nei corpi a cavallo.
Il bilancio ordinario annuo, dal 1850 al 1858, s*aggirò intoino ai
32 milioni.
In complesso, il generale La Marmerà, lottando contro difficoltà finan-
ziarie, interessi individuali e pregiudizi inveterati, riuscì, con molta tenacia,
a introdurre nelFesercito le modificazioni necessarie per rigenerarlo moral-
mente e materialmente. Fu suo grandissimo merito l'aver riorganizzato i
corpi di truppa ed i servizi in ragione del numero e della forza che pote-
vansi costituire all'atto della guerra ; l'aver regolato con norme nuove Fam-
mi aistrazione e la disciplina; l'aver dotato l'esercito delle leggi fondamentali
sullo stato degli ufficiali, suiravanzamento e sul reclutamento, leggi che
furono la base dei nuovi ordinamenti; ed infine, prevedendo che un giorno
il Piemonte avrebbe ripreso la lotta contro l'Austria, l'aver provveduto a for-
tificare la frontiera orientale dello Stato, e specialmente la linea del Po.
Nel 1855-56 l'esercito sardo partecipò alla spedizione di Crimea con
un corpo di circa 18.000 uomini al comando dello stesso generale Alfonso
La Marmont. Furono costituite due divisioni (1^ e 2*) di due brigate eia-
cuna, e una divisione di riserva, oltre un'aliquota conveniente di cavalleria,
d'artiglieria e del genio.
Ogni divisione si composa di due brigate provvisorie; e ciascuna di queste,
di un reggimento di fanteria, di un battaglione bersaglieri, di una batteria
da campagna (6 pezzi). Le due batterie di una stessa divisione formarono
una brigata provvisoria dartiglieria. La brigata di riserva avea due batterie,
anziché una. In totale partirono: 5 regg. di fanteria (20 battaglioni), 5 bat-
taglioni bers^Iieri, un reggimento di cavalleria (ch'ebbero tutti qualifica di
provvisori]), 3 brigate d'artiglieria da campagna, un battaglione zappatori del
genio, una brigata d'artiglieria da piazza e distaccamenti pei varii servizi.
t
I
e materiale (servizio tecnico: laboratorii, officine di costruzione, polveriere ecc.)» a ciascuna
delle quali presiedeva un maggior generale ; un luogotenente generale teneva il comando
generale: un comitato centrale, composto degli ufficiali generali e di ufficiali superiori,
dirigeva Tindirizzo scientifico.
ESERCITO ITALIANO 27
Per la costituzione dei reggimenti prowisorii di fanteria, ogni reggi-
mento attivo concorse con un battaglione, e ogni battaglione, con una com-
pagnia; per quella dei battaglioni bersaglieri, ogni battaglione attivo som-
ministrò le due compagnie, e per quella del reggimento di cavalleria cia-
scuno dei 5 reggimenti cavalleggeri diede il suo primo squadrone. Le bat-
terie furono le prime d'ogni brigata permanente; la brigata di piazza si
compose con la 1% 2^ 7* e 8* del regg. da piazza, e il battaglione zappa-
tori del genio con le compagnie 1*, 2^ 6* e 7* del reggimento zappatori.
Così fu trovato ingegnosamente il modo di far concorrere ai pericoli e
alle glorie della spedizione, tutti i corpi dell'esercito.
La forza numerica del corpo di spedizione, tratto quasi per intero di^li
uomini alle armi, ascese in tutto a 18.058 uomini (1038 fra ufficiali e impiegati,
e 17.020 uomini di truppa) e 3496 cavalli. Si mantennero così molto gene-
rosamente i patti, inviando 3000 uomini in più di quello che il Piemonte
avesse convenuto con gli alleati.
La spesa straordinaria che dove' sopportare l'erario per la spedizione,
ascese a L. 74.198.401,68 (')•
Di immenso vantaggio fu questa guerra alla causa italiana : rianimò il
morale delle truppe piemontesi ; rialzò il prestigio delle armi italiane ; e, so-
prattutto, fornì occasione al conte di Cavour di prender parte al Congresso
di Parigi, ove egli seppe proclamare e patrocinare la necessità e il diritto
dell'Italia alla propria indipendenza.
Assicuratasi l'alleanza della Francia, il gran ministro si diede a pre-
parare i mezzi per sostenere la meditata guerra, e per farne nascere il pre-
testo senza eccessive provocazioni. I giornali e le discussioni parlamentari
prepararono l'opinione pubblica; gli animi si accesero in Piemonte, in Lom-
bardia, nel Veneto, in Toscana, in Romagna, e da ogni parte corsero volon-
tarii ad arruolarsi nell'esercito piemontese.
Il 22 aprile 1859, l'Austria intimò al Piemonte lo scioglimento dei
corpi volontari e il disarmo; il 26 il conte di Cavour consegnò all'inviato
austriaco la risposta del suo governo a qnéìVultimaiuniy e nello stesso giorno
l'ambasciatore francese a Vienna dichiarò casus belli il passaggio del Ticino
da parte dell'esercito austriaco.
Alla fine di aprile s'iniziò la campagna. La mobilitazione venne ese-
guita con molta regolarìtà e con sufficiente prontezza. L'esercito si compose
nel suo ordinamento normale, cioè in 5 divisioni miste ed una di cavalleria.
Ogni divisione mista aveva due brigate di fanteria, 2 battaglioni bersa-
glieri, 1 reggimento di cavalleria, 3 batterie da battaglia e 1 compagnia
del genio. La divisione di cavalleria era formata dai 4 reggimenti di caval-
lerìa di linea distribuiti in 2 brigate, e delle 2 batterie a cavallo; resta-
(^) Giornale militare, 1856, pag. 590.
28 FIORENZO BAVA-BECCARIS
vano inoltre il parco d'artiglieria, le batterie da posizione, gli equipaggi da
ponte ecc. In totale, 80 battaglioni di linea, 10 di bersaglieri, 36 squadroni,
22 batterìe e 5 compagnie del genio ; così, insieme col personale dei servizi
amministrativi complementari, si avevano 70.000 nomini, 5000 cavalli e
142 cannoni.
Dei volontari non incorporati nelle file delVesercito regolare si formò
una brigata di circa 3000 uomini, cui si détte il nome di « Cacciatori delle
Alpi «, e che fìi posta sotto il comando del generale Garibaldi (').
Mentre le operazioni di guerra volgevano favorevoli agli alleati, il gran-
ducato di Toscana e i ducati di Parma e di Modena erano abbandonati
dai rispettivi sovrani. In quegli Stati e nelle legazioni di Bologna, di Fer-
rara e nella Bomagna (provincie che si erano contemporaneamente sottratte
alla dipendenza del papa), si costituirono immediatamente governi prov-
visorii.
L' 11 di luglio furono segnati a Yillafranca i preliminari di pace.
Venne stabilito che la Lombardia sarebbe ceduta ali* Imperatore dei Fran-
cesi, e da questo al Se di Sardegna; che l'Italia avrebbe formato una con-
federazione sotto la presidenza del Papa, partecipandovi la Venezia la quale
rimaneva soggetta air Austria; che i sovrani di Toscana e di Modena
sarebbero rientrati nei propri dominii. Questi preliminari ebbero sanzione
definitiva col trattato di Zurigo (10 novembre).
Ultimata la guerra, il La Marmerà assunse, colla presidenza dtrl con-
siglio, nuovamente il ministero della guerra, e lo mantenne fino al gennaio
1860. L^opeia sua, in questi mesi, volse all'accrescimento deiresercito in ra-
gione delVaumento della popolazione.
Venne decretata (29 agosto 1859) la formazione della brigata granatieri di
Lombardia (3*» e 4^), delle brigate Brescia (19^ e 20«), Cremona (21*» e 22*»),
Como (23' e 24^), Bergamo (25* e 26*»), Pavia (27*» e 28^). Nel corpo dei
bersaglieri, il h di giugno si era formato TU*» battaglione; il 9 di set-
tembre venne decretata la formazione di altri cinque (12*»-16*»). Il decreto
del 25 agosto determinò la costituzione di tre nuovi reggimenti di caval-
leria leggera (Milano, Lodi e Montebello).
Nel mese di giugno, il reggimento artiglieria da piazza era stato accre-
sciuto di quattro compagnie attive e di una di deposito; ed il reggimento
operai, di una compagnia deposito di pontieri. Questa specialità, il 3 set-
(^) La forza complessiva, compresi i volontari, al 15 aprile era di 2467 uflSciali e
74.881 gregari, così ripartiti: fanteria: uff. 1569, gregari 49.741 ; bersatrlieri : uff. 216, gre-
gari 7399; cavalleria: uff. 319, gregari 5903; artiglieria: uff. 252, gregari 7197; genio,
treno d*armata, battaglione d'amministrazione: uff. Ili, gregari 4641. («La guerra del
1859 in Italia », pubblicata per cura deirUfficio storico del corpo di stato maggiore. Voi. I,
Doc. 137).
ESERCITO ITALIANO 29
tembre, ebbe un altro aumento di due compagnie e costituì così una
• brigata pontieri * formata di uno stato maggiore e di quattro compagnie
Con decreto del 7 ottobre il reggimento da piazza fu aumentato ancora
di otto compagnie, le quali salirono così a 24 attive, raggruppate in quattro
brigate ; ed il reggimento da campagna venne divisò in due, rimanendo nume-
rato 1^ l'esistente, 2^ quello di formazione nuova. Bimasero al P le due bat-
terie a cavallo, le nove batterie delle brigate pari e la 1* di deposito; forma-
rono il 2^ le nove batterie delle brigate disparì, e la 2* di deposito. La 3* di
deposito fu sciolta. E poiché ciascun reggimento doveva comporsi di 15 bat-
terie da battaglia, le sei mancanti si organizzarono con elementi tratti dalle
antiche (^).
Anche il coi*po del genio subì un aumento notevole. Il reggimento zap-
patori, col decreto del 9 settembre, crebbe di dieci compagnie, e venne così
raddoppiato di forza. Lo si divise in cinque battaglioni, di quattro compagnie
ognuno.
Agli istituti di educazione e di istnizione, fìi aggiunto, con decreto del
26 agosto, il collegio militare di Milano, per fornire allievi idonei all' am-
missione alla regia militare accademia.
La costituzione dei nuovi corpi non avvenne che verso la fine dell'anno,
poiché i reggimenti di fanteria, benché decretati nell'agosto, si formarono
solo in novembre. Il nuovo ordinamento dei reggimenti d'artiglieria e del
genio, non cominciò che in dicembre; qualche mese d'anticipo si ebbe solo
nella formazione dei battaglioni bersaglieri e dei reggimenti di cavalleria.
Per effetto dei preliminari di pace di Villafranca, i soli elementi di
cui si poteva far conto per l'accrescimento dell'esercito erano i lombardi in-
corporati nell'esercito austriaco, che ammontavano a 87,000 circa.
Il 31 di luglio il ministro pubblicò le prime norme per il loro incorpo-
ramento, stabilendo che, a mano a mano che rimpatriavano, quelli delle
classi 1830-81-32-33, dopo breve istruzione presso i depositi dell'arma rispet-
tiva, si mandassero in congedo; gli altri delle classi posteriori 1834-88, si
trattenessero in servizio. Di fatto, neiragosto cominciò il rimpatrio ; ma sul
principiare di settembre, la risposta data dal Re ai delegati toscani, venuti a
presentare i voti d'annessione di quella regione, fu ritenuta dall'Austria uno
strappo alle condizioni dei preliminari di Villafranca, e fece sospendere la
consegna, la quale non ricominciò che in novembre, dopo la stipulazione del
trattato di Zurigo. I grossi drappelli, anzi, non arrivarono che in dicembre.
I1«R. D. 10 novembre regolò definitivamente i loro obblighi di leva,
paleggiando interamente la posizione loro a quella dei nativi delle antiche
Provincie.
(^) Verso la fine del 1859 fa decisa la rigatura dei canuoni da 8 e da 16, e vennero
introdotte le prime spolette meccaniche.
30 FIORENZO BAVA-BECCARIS
lo tali condizioni si apri Tanno I860« darante il quale gli efenti glo-
riM fmr rwerdto e per i prodi volontari del generale Oarìlisldì QMdoasero
alla grande opera delFunità d'Italia.
IV.
L'esercito della lega dell'Italia centrale.
Governi sòrti neir Italia centrale darante la campagna del 1859. — I/esercito toscano. —
Le trappe di Parma e di Modena. — Le troppe delle Romagne. — Il corpo d*armata
del generale Mezzacapo. — L*esercito della Lega.
I nuovi governi sòrti nellltalia centrale nelVaprile del 1859, dopo la
pace di Villafranca, raggrupparono le loro forze in un esercito che fu detto
della Lega, destinato ad opporsi al ritorno dei principi spodestati.
Concorsero a formarlo truppe dell'esercito toscano, già esistenti sotto i
Lorenesi, e truppe nate in Romagna e nei ducati, dopo lo sbandarsi delle
forze pontificie, estensi e parmensi.
Prenderemo in esame ciascuno di questi contingenti, seguendoli sino a
che, riuniti, ebbero sorte comune per fondersi poi nell'esercito italiano.
Ibseana. — L'esercito attivo toscano, al principio del 1859, compren-
deva 12 battaglioni (10 di linea, uno di veliti, uno di bersaglieri, 2 squa-
droni di cavallerìa, 2 batterie campali, una compagnia d*artiglieria da piazza),
con una fonsa complessiva di 10,000 uomini circa.
In seguito al pronunciamento del 2(5-27 aprile, il granduca partiva in
esilio, ed assumeva la direzione della cosa pubblica un governo provvisorio.
11 generale Girolamo Ulloa, chiamato al comando deiresercito, propose, ed
il governo approvò, la formazione di 5 reggimenti di fanteria di linea (*),
di un reggimento granatieri di due battaglioni; di un secondo battaglione
bersaglieri ; di un reggimento dragoni di quattro squadroni ; di un reggimento
d'artiglieria ; di due compagie del genio e dei servizi accessorii.
II 10 mi^gio si iniziarono i movimenti per la costituzione di due corpi
d'operazione da inviarsi ai confini; un terzo corpo di riserva doveva organiz-
zarsi a Firenze. Il 28 maggio sbarcò a Livorno il prìncipe Gerolamo Napo-
C) I reggimenti di fanteria doverano essere su 4 battaglioni, ma pel momento si
formaiono su tre, ottenuti frazionando in tre parti ognuno dei due battaglioni esistenti
ed accoppiando queste frazioni a due a due. Il 1*^ reggimento si costituì coi vecchi bat-
taglioni 7^ e 9^ il 2* col 5^ e 10^ il 3« col 6* e 8^ il 4* col 1° e 2«; il 5° col 3* e 4".
ESERCITO ITALIANO 31
leone col V corpo d armata francese, e da quel giorno le milizie toscane pas-
sarono alla sua dipendenza. Il generale Ulloa le riani iu una divisione (0
che mosse da Pistoia il 18 giugno e giunse sul Mincio il 6 luglio.
Proclamato Tarmistizio di Villafranca, la divisione passò agli ordini di-
retti del Be Vittorio Emanuele, ed il 10 si trasferì a Calcinato, dove sotto-
scrisse un indirizzo al Be ed al governo toscano per chiedere Tannessione al
Piemonte ; poscia ritornò nuovamente a Parma, e vi rimase, per istanza del
governo provvisorio degli ex-Stati estensi.
Il 16 dello stesso mese di luglio, T Ulloa lasciò il comando, e venne so-
stituito dal generale Garibaldi; il 15 ottobre, il colonnello piemontese Cadorna
fu nominato ministro della guerra, e détte nuovo e maggiore impulso alla tras-
formazione dell'esercito da regionale in nazionale, adottando r^olamenti orga-
nici, disciplinari, formali, tattici e amministrativi, eguali a quelli piemontesi.
Il 19, Tesercito assunse la qualifica di Beale, • a dinotare la dipendenza sua dal
capo dello Stato, a norma dello stvtnto costituzionale > ; il 28 ottobre prestò
giuramento di fedeltà a « S. M . Vittorio Emanuele Be eletto • ; il 4 novembre
mutò le denominazioni di alcuni corpi: la 1* brigata ebbe nome di brigata
Pisa; la 2* Siena; la 3* Livorno; la 4* (che era bensì decretata ma non
formata) Pistoia; il reggimento dragoni assunse la qualifica di cavalleggeri
di Firenze; il reggimento cavalleggeri quella di cavalleggeri di Lucca.
Biassumendo, nel novembre, l'esercito toscano si componeva di un reg-
gimento granatieri, di due battaglioni; di tre brigate di linea, ciascuna di
due reggimenti, e ogni reggimento di tre battaglioni; di due battaglioni ber-
saglieri; di quattro batterie campali; di due compagnie d'artiglieria da piazza;
di due reggimenti di cavalleria; di due compagnie di zappatori, del corpo del
(') La divisione toscana fn composta nel modo seguente:
Comandante: generale Gerolamo Ulloa.
1* brigata di fanteria, colonnello Stefanelli:
Reggimento granatieri: 2 battaglioni.
1^ reggimento di linea: 3 battaglioni.
3^ reggimento di linea: 3 battaglioni.
1^ battaglione bersaglieri.
1^ compagnia del genio.
2* brigata di fanteria, tenente colonnello Mussi :
2^ reggimento di linea: 8 battaglioni.
5*^ reggimento di linea: 3 battaglioni.
1^ reggimento cacciatori: 2 battaglioni (volontari).
2® battaglione bersaglieri.
1* compagnia genio.
Riserva. — Artiglieria: 1*, 2*, 3* batteria (18 pezzi).
Cavalleria: 2 squadroni di dragoni.
Gendarmi: una compagnia a piedi e 15 guide a cavallo.
Doveva raggiungere la divisione il 4^ reggimento di linea quando il suo 3^ bat-
taglione avesse raccolto i suoi distaccamenti sparpagliati nelle isole.
32 FIORENZO BAVA-BECCARIS
treno, del corpo sanitario e delle sussistenze. A questi reparti dovevano esserne
aggiunti alcuni altri decretati, cioè una brigata di fanteria, due battaglioni
di bersaglieri, due batterie.
Il 30 dicembre 1859 un'ordinanza del ministero della guerra prescrisse
che i reggimenti di fanteria ed i battaglioni bersaglieri prendessero una nu-
merazione a seguito di quella dei corpi dell* esercito sardo (*), ferme restando
le denominazioni delle brigate.
Nel gennaio 1860 fu promulgata la legge sarda sul reclutamento, e il
27 del mese istesso un'altra ordinanza del ministero stabili la formazione
dei reggimenti 35"* e SG"" (brigata Pistoia) su due battaglioni; il 35^ fu
composto col 1^ battaglione del reggimento granatieri, che fu soppresso, e
col V del 32%' il 36^ col 2^" battaglione granatieri e col 3<> del SP, di
guisa che i reggimenti delle brigate Pisa e Pistoia rimasero o furono com-
posti di due battaglioni solamente^ prevedendo Tordinanza che i terzi batta-
glioni fossero formati all'atto della nuova coscrizione. Vennero organizzati
pure il 19^ battaglione bersaglieri (la formazione del 20^ rimase pure so-
spesa in attesa della nuova coscrizione) (') e la 5* e la 6* batteria di arti-
glieria.
Parma e Modena. — Sui phmi di maggio la duchessa di Parma si
era dichiarata neutrale nella guerra austro-sarda. In quei giorni medesimi
scoppiò la rivoluzione a Massa e Carrara, che fu sussidiata con uomini ed
armi dal Piemonte. Il 2 maggio, sotto la direzione del generale Bibotti di
Molières, veterano delle guerre di Spagna, si iniziò nella Oarfagnana e nella
Lunigiana la costituzione di battaglioni volontari che presero nome di « Cac-
ciatori della Magra • e nei quali affluirono disertori estensi e parmensi, e
volontari, specialmente romani. 11 Bibotti, con queste truppe, si spinse alla
volta di Parma.
Il precipitare degli avvenimenti, la ribellione di Pontremoli, la notizia
della vittoria di Magenta, la pai'tenza di 2000 parmensi per il Piemonte, de-
cisero la duchessa a lasciare definitivamente lo Stato il 9 giugno. Le truppe
ducali furono sciolte dal giuramento di fedeltà, e parte si ritirarono con la
duchessa, parte si sbandarono.
Il 14 giugno arrivarono a Parma i cacciatori della Magra. Il commis-
sario regio Pallieri, giunto il 16, decretò che tutti gli antichi militari
di truppa dell'esercito disciolto si presentassero ai due depositi stabiliti a
C) Brigata Pisa: 29<» e 30^ — Brigata Siena: 31° e SZ» — Brigata Livorno: 33^
e 34'* — Brigata Pistoia (da organizzarsi): 85° e 36°. Battaglioni bersaglieri: 17°, 18°, 19°
e 20° (i due ultimi da organizzarsi).
(^) In realtà, tanto i terzi battaglioni dei 4 reggimenti 31, 32, 85, 86, quanto il
20° battaglione bersaglieri, non vennero formati in Toscana, ma dopo la fusione delle
truppe toscane c^n Tesercito sardo.
BSBRCtTO ITALIANO 33
Parma e a Piacenza; contemporaneamente il generale Bibotti apri un armo-
lamento volontario nei cacciatori della Magra che costituì in reggimento;
ne formò poi nn secondo, in cui entrarono a far parte molti già appartenenti
all'esercito ducale.
L*ll giugno il duca di Modena abbandonava i suoi Stati, seguito da
tutti i militari del suo piccolo esercito in condizione di marciare.
A Modena si formò un governo provvisorio, che proclamò Tannessione al
governo sardo, il quale inviò come commissario Luigi Zini, sostituito il
15 giugno dal Farini, nominato governatore del ducato in nome del luogo-
tenente generale del Be, il principe di Carignano.
I preliminari di Villafranca costrinsero il governo sardo a richiamare
i propri commissarii dalle provincie centrali. Le autorità provvisorie, sòrte in
loro vece negli ex-ducati di Modena e di Parma, si accordarono a procla-
mare il Farini medesimo dittatore. Questi détte subito mano a radunare
forze armate da opporre a quelle concentrate dal duca di Modena nei di-
stretti mantovani, e spedì il 1^ reggimento cacciatori della Magra sul confine,
alla Mirandola, e il 2"* a Carpi. Con pronta risoluzione il Farini ottenne
inoltre dal governo di Firenze, come già si è accennato, che la divisione
toscana si fermasse nel modenese per dare man forte al nuovo governo.
II 1^ agosto i due reggimenti cacciatori della Magra furono raggruppati
in una brigata, che prese il nome di brigata Modena. A questa venne tem-
poraneamente aggiunto un 3^ reggimento, in via di formazione, che 1*8 agosto
servì di nocciolo alla brigata Reggio. NelVagosto pure fu decretata la forma-
zione di due battaglioni bersaglieri e di un'altra brigata che doveva chia-
marsi Parma: ma pel momento non si organizzò che il 5^ reggimento; il
6^ fu organizzato in ottobre. A formare questi reparti concorsero numerosi
volontari e truppe di leva, e ad inquadrarli concorsero ufBciali e sott* ufficiali
deiresercito piemontese in attività di servizio o in congedo, numerosi emigrati
o reduci delle milizie volontarie del 1848.
Romagne. — L*ll giugno gli Austriaci, per effetto della battaglia di
Magenta, sgombrarono le Bomagne. Il mattino del 12 Bologna proclamava
la dittatura di Vittorio Emanuele ed eleggeva una giunta di governo; lo stesso
moto insurrezionale, propagatosi nelle Marche e nell' Umbria, conduceva
all'eccidio di Perugia.
Il teiTore di questa repressione indusse il governo provvisorio a solle-
citare gli armamenti; e il 1^ di luglio, il governo stesso riuscì a mettere
in armi due colonne mobili (') sotto gli ordini del generale Boselli e del co-
{}) Le due colonne mobili si componevano di due battaglioni ciascuna, e ogni batta-
glione contava 500 aomini circa.
FiOBBNZo Bavà-Bbccabis. — Furetto italiano «ce. 3
84 FIORENZO BAVA-BECCARIS
lonDello Masi, ohe si portarono alla Cattolica per difendere la regione contro
nn eventuale assalto dei pontifici.
Il governo delle Bomagne eni tuttavia in nna situazione assai precaria,
onde si rivolse per aiuti al governo piemontese, che provvide ordinando ad
un corpo di truppa, che erasi costituito in Toscana agli ordini del generale
Luigi Mezzacapo, e del quale diremo poi, di passare in Romagna, ed inviando
direttamente un forte nucleo di ufficiali e di sottufficiali in congedo delFeser-
cito, sotto la direzione del ten. colonnello Ferdinando Pinelli, a formare una
brigata di fanteria che doveva chiamarsi Vittorio Emanuele, e della quale
era stata iniziata la formazione a Torino coi volontarii veneti e romagnoli
accorsi in Piemonte.
Nel luglio e nellagosto la brigata fu costituita e i reggimenti numerati
2P e 22^; il 16 settembre essa raggiunse le truppe del Boselli; il 1® ottobre
mutò il nome in quello di brigata Bologna. Contemporaneamente si costituì
una batteria d'artiglieria con risorse locali. Alla cavalleria provvide il go-
verno piemontese organizzando a Torino un reggimento col nome di Vittorio
Emanuele, fotte di quattro squadroni, costituito da volontari di ogni pro-
vincia, che ril luglio giunse a Bologna contemporaneamente alle truppe
che il generale Mezzacapo aveva organizzate in Toscana. Nel settembre le
colonne mobili del Boselli si trasformarono in due reggimenti (25° e 26°)^
costituendo la brigata Ferrara.
4.
Truppe del generale Luigi Mezzacapo. — Per raccogliere la gioventù che
emigrava dalle legazioni, dalle Bomagne, dalle Marche, in Toscana, tentare
nel medesimo tempo una diversione sul fianco austriaco, e creare milizie a
sostegno di quei governi provvisori, il governo sardo aveva affidato sui primi
di maggio al generale Luigi Mezzacapo, coadiuvato dal fratello Carlo e da
ufficiali piemontesi, Tincarico di costituire in Toscana un corpo di truppe che
doveva prendere il nome di 2° corpo dell* Italia centrale (*).
Il Mezzacapo costituì due depositi: l'uno a Marradi, l'altro ad Arezzo;
ed in entrambe le località cominciarono ad affluire considerevolmente i volon-
tari, tanto che in breve tempo in ciascuna si formò un reggimento, e fu sta-
bilito un nuovo deposito a Pontassieve per formarvene un 3°, il quale alla
fine di maggio aveva già preso consistenza. Il 27 di maggio fu ordinata la
formazione di un battaglione di bersaglieri a S. Casciano, e si costituirono
pure uno squadrone di cavalleria, una batteria, e una compagnia del genio.
Il 17 giugno fu ordinato un 4° reggimento di fanteria, traendone gli elementi
dagli altri tre, che erano troppo forti di gregari e scarsi di ufficiali. II
25 giugno furono chiusi gli arruolamenti e soppressi i depositi.
(') Non si sono trovati ordini scritti al riguardo, né sembra che siano stati redatti*.
Il conte di Cavonr volle far apparire, di fronte al governo pontifici^, cke il governo prov--
visorio di Bologna agisse di proprio impulso.
ESERCITO ITALIANO 36
QaandOf alla fine di maggio, le truppe toscane dipendenti dall' Ulloa si
concentrarono al confine, il Mezzacapo radunò le proprie attorno a Firenze;
nella seconda metà di giugno i corpi assunsero, per ordine di Cavour, nume-
razione a seguito dei reggimenti deiresercito sardo ('), e mutarono di sedi:
il V e il 2"" reggimento si trasferirono a Pisa e a Pontedera; il 3® venne
mandato ad Empoli, il 4^ rimase a Firenze. Alla fine di giugno la divi-
sione venne diretta nelle Bomagne, a disposizione di quel governo, per guardare
il confine contro un presunto attacco dei pontifici, riunendosi cosi alle truppe
del Boselli che fu posto agli ordini del Mezzacapo. Per effetto poi dei patti
di Villafranca, cessò d'appartenere ali* esercito sardo e passò alla dipendenza
del governo provvisorio delle Romagne.
La Lega. — Nel mese di agosto 1859, auspice il Farini, venne conclusa
una lega militare fra la Toscana, Modena, Parma e le Romagne, e ne fu
nominato capo il generale deiresercito piemontese Manfredo Fanti, e coman-
dante in 2* il generale Garibaldi.
Il generale Fanti pose mano a dare un migliore assetto alle truppe,
ordinandole in unità simili a quelle deiresercito sardo, procurando di raf-
forzarvi l'ordine, la disciplina, e di riordinare i servizi.
Il 1^ ottobre, il Fanti stabilì che gli otto reggimenti dislocati in Ro-
magna prendessero le denominazioni seguenti :
-....-- ( 19*^-20** brigata Ravenna.
Diyisione Mezzacapo. . . . J ^^^ ^i» id. Forlì.
.. _ ,,. { 21»-22<» id. Bologna.
^^- »^^"' U50-26- id. Ferrara.
La riunione delle Romagne, di Parma e di Modena, sotto il Farini,
permise di riordinare ed imificare maggiormente le truppe di quelle regioni.
Fu costituito un solo ministero della guerra con sede a Bologna, e il terri-
torio fu circoscritto in due divisioni territoriali. Le truppe di fanteria (1* gen-
naio 1860) ebbero i reggimenti numerati consecutivamente a quelli dell'eser-
cito sardo (*) e del toscano; Tartiglieria fu riunita in due reggimenti, l'uno
da campagna e l'altro da piazza.
Nel gennaio 1860 il generale Fanti fu chiamato a Torino a reggere il
ministero della guerra, pur conservando il comando dell'esercito della Lega ;
(*) I reggimenti presero la numerazione di 19®, 20®, 23®, 24°; il battaglione bersa-
glieri quella di 11®.
(•) Brigata Ravenna (già 19« e 20®): 37® e 38® — Brigata Bologna (già 21® e 22®)
890 e 40» - Brigata Modena (già 1® e 2®): 41® e 42® — Brigata Forlì (già 23® e 24®)
430 e 44® — Brigata Reggio (già 3® e 4®): 45® e 46® — Brigata Ferrara fgià 25* e 26®)
47» e 48® — Brigata Parma (già 5® e 6®): 49° e 50®. — Battaglioni bersaglieri: furono
numerati dal 21® al 27®.
36 FIORENZO BAVA-BECGARIS
e il 18 marzo, per la annessioDe della Toseana, dell* Emilia e delle Bomagne
al regno di Sardegna, quelle truppe furono riunite airesercito sardo.
11 contributo di quelle regioni fu il seguente:
TOSCANA. — Fanterìa di linea: 8 reggimenti (4 di 3 battaglioni e
4 di 2).
Bersaglieri: 3 battaglioni (17«, 18% 19^).
Cavalleria: 2 reggimenti (Firenze e Lucca).
Artiglieria da campagna : 6 batterie.
Id. da piazza: 6 compagnie.
Genio: 2 compagoie.
EMILIA. — Fanteria di linea: 14 reggimenti (7 di 3 battaglioni e
7 di 2).
Bersaglieri: 7 battaglioni (2P-27*).
Cavalleria: 2 reggimenti e 2 squadroni Guide (Usseri di
Piacenza e Vittorio Emanuele).
Artiglieria da campagna: 9 batterie.
Id. da piazza: 6 compagnie.
Genio: 8 compagnie.
In complesso: 20 reggimenti di fanteria, 10 battaglioni di bersaglieri,
4 reggimenti cavalleria, 2 squadroni Guide, 15 batterie campali, 12 com-
pagnie da piazza, 10 compagnie del genio, con un totale di 45,000 uomini,
dei quali, 15.000 Toscani e 30,000 Emiliani {^). Risultato veramente onore-
vole per coloro che avean saputo far sorgere ed organizzare quelle truppe,
superando ostacoli di ogni sorta, con la sola guida del patriottismo e della fede
neiravvenire d'Italia.
(«) Devesi aggiungere la scuola militare di Modena fondata con determinasionfl dal
5 ottobre 1859 per preparare sottotenenti per le troppe deirEmilìa; il liceo militare di
Firenze riordinato con la legge del governo provvisorio del 31 ottobre delPanno mede-
simo, e la tcuola militare a Parma, già esistente nel ducato fin dal 1836.
ESERCITO ITALIANO 91
V.
Dal 1860 al 1870.
Cenno sulle principali irasformazioni deiresercito dal 1860 al 1866. — Il f^enerale Fanti
ministro della gnerra. — Rianione deiresercito della Lega con Tesercito sardo. —
L*aumento notevole dei quadri. — L^ordinamento del marzo 1860. — La spedizione
garibaldina. — La campagna nelle Marche e noli* Umbria. — L^esercito meridio-
nale. — L*e8ercito borbonico. — Riordinamento generale deiresercito secondo le
idee del generale Fanti, nel gennaio del 1861. — La gaardia nazionale. — La reazione
nel Mezzogiorno e intervento deiresercito per reprimerla. — Ministeri Della Rovere
e Petitti, e ritorno all'antico sistema sardo nella costituzione deiresercito. —
Aspromonte. — Le condizioni economiche del paese influiscono sulPordinamento
deiresercito. — Il generale Pettinengo ministro della guerra. — L'organizzazione
deiresercito per la campagna del 1866. — Nuove riduzioni dal 1867 al 1870.
La fortuna delle armi e il poderoso aiuto dell'imperatore dei francesi
avevano, sullo scorcio del 1859, permesso che la Lombardia si unisse col
regno di Sardegna; il patriottismo delle popolazioni e le arti diplomatiche
condussero, nella primavera del 1860, airannessione delle Provincie del
centro; la gloriosa spedizione garibaldina e la provvida campi^na deireser-
cito regolare compirono neiranno medesimo Topera, liberando il mezzogiorno
e parte degli Stati soggetti alla Santa Sede.
Ma, a terminar 1* impresa dell'indipendenza e dell'unità nazionale, man-
cavano ancora il Veneto e Roma. Solo da una nuova guerra contro l'Austria
si poteva sperare l'acquisto del primo, tanto più necessario al nuovo regno
in quanto che il trattato di Zurìgo, confermando i patti di Villafranca e
lasciando TAustrìa padrona del Mincio e deiroltre Po mantovano, le aveva
mantenuta tanta potenza offensiva di qua dalle Alpi da render quasi illusoria
la proclamata indipendenza italiana. Perciò tra il 1860 e il 1866 fu supremo
scopo del governo e del popolo italiano prepararsi a guerra^ sia di difesa
sia di offesa^ contro l'Austria^ quando la buona occasione si presentasse.
I provvedimenti a tale scopo possono cosi riassumersi:
1®) Creazione ed addestramento di un esercito mobile sufficiente per
ogni bisogno di guerra, sia offensiva, sia difensiva, e apparecchi intesi a trar
profitto, in caso di bisogno, di quell'elemento volontario, cui l'Italia era in
gran parte debitrice dell'unione delle Provincie meridionali.
2^) Assetto delle opere stabili di terraferma, per modo da costituire un
assieme di punti fortificati che supplisse alla mancanza di una buona fron-
tiera strategica contro l'Austria.
8^) Allestimento di un naviglio da guerra.
33 FIORENZO BAVA-BECCARIS
a^MiMa^
In questo studio si accennerà solo al primo di tali punti, gli altri non
appartenendo all'assunto prefisso.
L'esercito italiano, come si disse, fu composto per virtù di aggregazioni
ed ampliamenti successi?!, stando nucleo e base l'antico esercito sardo.
Quest'opera, cominciata, nel 1859 dal genemle Lamarmora e continuata dai
successori, e in ispecie dal generale Fanti, è, in questo periodo, segnata
cronologicamente dalle principali fasi seguenti:
l"") Nel 1860: unione, all'esercito dell'alta Italia, delle tnippe della
Toscana e dell'Emilia ; primo ordinamento Fanti (^), in molte parti diverso
dall'antico sardo del La Marmerà.
2'') Nel 1861 : ammissione, nell'esercito, dei soldati e di uno scarso nu-
mero di u£Sciali del disciolto esercito delle due Sicilie ; prime leve generali ;
conseguente aumento della forza e dei quadri dell'esercito, e secondo ordi-
namento Fanti.
8^) Nel 1862 e nel 1863: incorpoi'azione, nell'esercito, di un numero con-
siderevole di ufficiali del disciolto esercito dell'Italia meridionale; ordina-
mento Petitti, simile del tutto all'antico ordinamento sardo del La Marmerà.
4^) Nel 1864, nel 1865 e sui primi del 1866: ridazioni deiresercito per
cause economiche.
5^) Dal marzo al giugno del 1866: preparazione per la campagna di
guerra contro l'Austria.
Accenneremo brevemente a queste diverse fasi, durante le quali, quattro
ministri si succedettero al potere : il Fanti da prima, poi, alternativamente,
per due volte il Della Rovere e il Petitti, e infine il Pettinengo.
In data 29 febbraio lb60 l'esercito sardo-lombardo aveva la forza totale
di 127,000 uomini, con 14,000 cavalli, così divisi:
Fanteria (4 reggimenti granatieri, 26 di linea, 2 cac-
ciatori delle Alpi) 76,264
Bersaglieri (16 battaglioni) 11,657
Cavalleria (4 regg. corazzieri, 8 cavalleggeri) .... 9,401.
Artiglieria (1 regg. operai, 1 da piazza, 2 da campagna) . 11,931
Genio 3,668
Treno d'armata , 2,974
Battaglione d'amministrazione 2,727
Carabinieri 5,481
Corpi diversi (Istituti e servizio sedentario) 3,729
Totale . . . 127,577
(^) II 20 gennaio 1860 Cavour riprese il potere lascialo dopo Yillafranca, e chiamò
a reggere il ministero della guerra il generale Manfredo Fanti, che sostituì il generale
Alfonso La Marmora.
ESERCITO ITALIANO
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Avvenuta Tannessione della Toscana e deirEmìlia, un regio decreto del
25 marzo stabii) che Tesercito, costituitosi in quelle due regioni, fosse riunito
air esercito sardo; che tutte le leggi e i regolamenti vigenti in questo, sinten-
dessero comuni ad entrambi, e che gli ufficiali ed i sottufficiali conservassero
il grado e Timpiego che avevano il giorno deirannessione.
In tal modo, il nuovo esercito attivo contò:
Fanteria (4 regg. granatieri, 52 di linea) 111,770
Bersaglieri (27 battaglioni) 15,567
Cavalleria (4 regg. di linea, 6 di lancieri, 6 di caval-
leggeri, 1 di Guide: 64 squadroni) 12,902
Artiglieria (1 regg. operai, 3 da piazza, 4 da campagna:
36 compagnie, 47 batterie) 15,938
Genio (2 reggimenti : 32 compf^ie) 5,191
Treno 4,939
Corpo d*amministrazione 3,911
Carabinieri 7,877
Corpi diversi (Servizio sedentario ed istituti) .... 5,268
Totale (0 . • . 183,363
Uno degli eifetti immediati e più importanti di questo ampliamento
fu Taumento notevole dei quadri. Nell'esercito sardo, l'anno innanzi, per la
formazione dei nuovi corpi, era stato necessario nominare sottotenenti in nu*
mero notevol mente maggiore dell'usato (*) e decretare numerose promozioni ;
lo stesso fatto accadde nell'esercito toscano ch'orasi piti che raddoppiato; nel-
l'emiliano, creato di pianta, gli ufficiali provenienti dalle truppe regolari
(') DIMOSTRAZIONE,
Era l'esercito, al 28 febbraio 1860 127,000
Congedando i Savoiardi e Nizzardi (circa 12,000) 115,000
Aggiunti
Lombardi provenienti dal servizio austriaco, classi 1880-81-d2-38 18,000
Esercito deirEmilia 30,000
Esercito Toscano 15,000
Leva in Lombardia, classe 1839, I categoria 4,600
Leva in Toscana, classe 1841, I categoria 3,600
li categoria 1838, antiche proviucie 8,000
Totale . . . 189.200
La differenza, in meno, di 5,887 aomini, deve ascriversi alle rifonne e congedi per
tempo finito.
1') Soccorse a quel bisogno nu apposito corso suppletivo di pochi mesi, istituito
presso la scuola militare di Ivrea.
40 FIORENZO BAVA.-BECCAR1S
dell* Austria, di Parma, di Modena, del Papa e dello stesso Piemonte, o re-
duci delle milizie venete o romane del 48 e del 49, ebbero in pochi mesi
tale aumento da ottenere rapidissime promozioni. Questi sistemi irregolari
di nomine o di avanzamenti, dovuti alle imperiose necessità del momento,
condussero a un impoverimento nella qualità dei quadri, poiché vi entrarono
persone che, pure essendo animate da sentimenti di sano patriottismo, di-
fettavano di coltura, di esperienza e di capacità militare.
Airatto della fusione i quadri contavano alVincirca il 68,2 % di ufficiali
sardi, 1*11,6 Vo di toscani e il 20,2 Vo di emiliani (').
Il 25 marzo stesso venne pure decretato un nuovo ordinamento del-
Tesercito. Invece dell'antico sistema sardo, che poneva i corpi alla dipen-
denza dei comandi delle divisioni territoriali, del tutto diversi da quelli che si
costituivano all'atto della mobilitazione, l'esercito fu ripartito, tìn dal tempo
di pace, in « 13 divisioni attive » raggruppate in 5 grandi comandi militari
i quali, all'atto della gueiTa, dovevano trasformarsi in altrettanti comandi
di corpo d'armata. Questo sistema volle rendere meno accentrato il comando,
piii sollecita la mobilitazione, e permettere la conoscenza reciproca dei capi
delle maggiori unità coi sottoposti (*). I grandi comandi si costituirono il
1^ aprile, e il territorio a ciascuno assegnato venne detto « dipaiiimeuto » (^). Le
13 divisioni attive fiuono costituite ciascuna di due brigate di fanteria, di
due battaglioni bersaglieri e di un reggimento di cavalleria; i quattro reggi-
menti di cavalleria di linea formarono una divisione di cavalleria di riserva.
Le prime cinque divisioni si composero di truppe sarde d'antica formazione;
la 6* e la 7* ebbero i r^gimenti formati nel 1859 ; due di questi ed una
brigata toscana composero 1*8^; la 9* fu interamente toscana; in parte to-
scana, in parte emiliana, la 10*; le altre tre, emiliane, ad eccezione dell'ultima
ch'ebbe il reggimento cavalleggeri d'Alessandria, di antica formazione.
Le divisioni andarono a presidiare provincie diverse da quelle di loro
(*) Questo calcolo venne fatto snlla base dei quadri della fanteria, ma poche va-
rianti si avrebbero se analogo si facesse per le altre armi.
(') Le modalità di questo nuovo ordinamento furono studiate da una commissione
costituitasi nel febbraio sotto la presidenza del generale Cialdini e della quale facevano
parte il generale Maurizio De Sonnaz e il tenente colonnello Ricotti.
e) Il 1^ gran comando (Alessandria) comprese Tantica divisione territoriale di Ales-
sandria e le sotto-divisioni di Novara e di Pavia; il 2^ (Brescia) abbracciò il territorio
fira il Mincio e TAdda, riunendo le divisioni di Brescia e di Cremona; il 8^ (Parma) ebbe
quello fra Trebbia e Panaro; il 4* (Bologna) quello fra Panaro e Pavullo. Finalmente il
5° (Torino) conservò la zona dell'antica divisione militare di Torino. Furono tempora-
neamente mantenute le divisioni territoriali di Savoia, di Genova, di Milano e della Sar-
degna, la sotto-divisione di Nizza e la divisione di Toscana, che comprese pure i territori
di Massa e Carrara.
ESERCITO ITALIANO ^1
origine; e in tal modo il generale Fanti volle principiar Topera di fusione
dell'esercito e delle varie parti dltalia così felicemente rìnnite.
Per riordinare Tamministrazione centrale in modo consentaneo alle
nuove esigenze, e per ottenere che • la spedizione degli affari riuscisse piii
semplice e più facile, concentrando nelle varie divisioni gli affari riguardanti
le specialità di ciascun'arma • (^), con decreto del 9 di maggio il ministero fu
diviso in un segretariato generale e in tre direzioni genemli, Tuna delle
armi di linea, l'altra dello speciali e la terza dell'amministrazione militare.
Nel corpo di stato maggiore il ministro non ritenne opportuno intro-
durre subito modificazioni sostanziali, « trattandosi di questione grave e di£S-
cile, la quale voleva esser ponderata in tempi tranquilli » (*). Ne aumentò,
solo nel marzo, gli organici con u£Sciali che mostravano di possedere la ca-
pacità per appartenere al corpo : e la maggior parte venne tratta dalle armi
di linea, perchè nelFartiglieria v'era scarsezza di personale.
L'ordinamento della fanteria non subì modificazioni. Nel febbraio fu
ordinata la costituzione della brigata Pavia, sospesa dal ministero La Mar-
mora; nel maggio, quella dei Cacciatori delle Alpi mutò denominazione in
quella di brigata Alpi, e i suoi reggimenti furono numerati 5P e 52*; nel
giugno si sciolse la brigata Savoia, per la cessione di questa provincia alla
Francia, e si ricostituì sotto il nome di brigata Be, che ebbe in retaggio
dalla prima nobili tradizioni di valore e di gloria; si formò il 20® batta-
glione bersaglieri; e si instituì, quale ente consultivo del ministero, nn
comitato delle armi di fanteria e cavalleria (^), sopprìmendo il congresso con-
sultivo permanente della guerra; nell'ottobre finalmente vennero creati i
terzi battaglioni dei reggimenti toscani ed emiliani che ne avevano sol-
tanto due. In questo tempo venne pure modificato l'aimamento, adottando
il fucile rigato mod. 1860 (^) e il vestiario, abolendo le antiche mostr^gia-
ture che distinguevano i corpi.
(*) Direttiva data dal generale Fanti alla Commissione presieduta dal generale Valfré,
incaricata del riordinamento deiramraiuistrazione della guerra.
(') Da ona lettera del generale Fanti al capo di stato maggiore. (Archivio del co-
mando del corpo di stato maggiore. Cartella n. 37).
(^) I comitati delle varie armi avevano per scopo di discutere e preparare tatti i
progetti di leggi e di regolamenti relativi all'arma o alle armi rispettive, proporre al
ministero le varianti che ritenessero necessarie, ed esaminare le note caratteristiche degli
nfficiali.
(*) Fin allora la fanteria di linea era stata armata del fucile a percussione a canna
lìscia mod. 1844 cai. mm. 17,5 ; i bersaglieri a carabina rigata mod. 1856 sistema Miniè.
Nel 1857 il parlamento aveva votato nn premio di lire 15.000 agli inventori d* mi* arme
che, oltre possedere tutti i perfezionamenti recati fin allora alle armi portatili, riunisse
pure tutte le qualità d*arme da guerra, cioè fosse di maneggio facile e atta al combat-
timento alla baionetta. Ma il risultato del concorso non rispose alle aspettative ; parecchie
armi furono provate, e non si trovarono corrispondenti alle condizioni richieste dal mini*
42 FIORENZO BAVA-BECCARIS
La cayalleria fa rìordioata nel giugno. Aboliti i corazzieri, istituiti dal
generale Lanoarmora Tanno innanzi, Tarma fu suddivisa in cavalleria di
linea (Nizza, Piemonte Reale, Savoia, Genova), lancieri (Novara, Aosta, Mi-
lano, Montebello, Firenze, Vittorio Emanuele) e cavalleggeri (Saluzzo, Mon-
ferrato, Alessandria, Lodi, Lucca, Usseri di Piacenza). Rimase pure il reg-
gimento Guide. I reggimenti continuarono ad essere formati di uno stato
maggiore, 4 squadroni attivi ed uno di deposito.
Con decreto del 17 giugno venne riordinata « Tarma di artiglieria « {^).
Furono soppresse le cariche di comandante generale, di comandante del
personale e di direttore del materiale, mantenuto il comitato per soprain-
tendere alTandaroento generale tecnico e amministrativo dell'arma, e creati
5 comandi temtoriali retti da manieri generali i quali, nei limiti del ter-
ritorio loro assegnato, dovevano disimpegnare le incumbenze del comando
del personale e della direzione del mateiiale. Lo stesso decreto divise Tarma
in otto reggimenti. Il reggimento opei'ai continuò a comporsi di due brigate:
la prima di operai, di pontieri Taltra. Il 1°, 2°, 3^ e 4® reggimento costitui-
rono i reggimenti da piazza ; e sebbene Torganico di ciascuno fosse stabilito
in 12 compagnie, raggruppate in 3 brigate, sul principio se ne costituirono
11 soltanto; la 12* venne formata solo in novembre. A ciascun reggimento
nuovo, l'antico sai'do somministrò otto compagnie; due il toscano e una Temi-
liano. Le compagnie 4^ 5* e 6^ emiliane, furono sciolte.
I reggimenti da campagna (5^, 6^, 7^, S"") si costituirono di dodici bat-
terie da battaglia, ad eccezione del 5^ il quale, conservando le due batterie
a cavallo con numerazione a parte, ebbe 10 sole batterìe da battaglia. Per
formare i quattro reggimenti, vennero spezzati gli antichi due delTesercito
sardo: il P fornì le due batterie a cavallo e le prìme sei di battaglia al 5^
di nuova formazione, le rimanenti al 7^ ; il 2^ détte le prime otto da bat-
taglia al 6^ e le sette rimanenti alT8^. L'artiglieria toscana fornì due bat-
terie al 5^ due al 6^, una al 7^ una alT8^ ; quella delTEmilia, due al 5%
due al 6^ due al 7^ e tre alTS**.
L'arma del genio ascese a 32 compagnie: e però con decreto del 5
maggio venne costituito un 2^ reggimento zappatori, e questo e l'esistente
ebbero tre battaglioni di quattro compagnie. Due compagnie delTEmilia ven-
stero. Keirottobre dtrl 1859 fu nominata una cummissiuiie per sperimentare parecchi tipi
dì fucile e scegliere quel sistema che meglio si prestasse a trasformare il focile a canna
liscia mod. 1844. Fu esclusa Tidea di adottare un nuore fucile di calibro minore, per il
non breve tempo che sarebbe occorso a fabbricarlo e soprattutto per la spesa. La com-
missione preferì il sistema francese, proponendo la rigatura e il raccorciamento di quello
mod. 1844 e lo studio di un alzo graduato fino a 850 passi.
(') Questa denominazione sostituì Tantica di « corpo reale d^artiglieria », e analo-
gamente per l'arma d*;! genio.
ESERCITO ITALIANO 43
nero sciolte, e il personale delle medesime incorporato fra le altre del reg-
gimento. Formarono il 1^ reggimento lo stato maggiore di quelle, già esi-
stente, colle prime 10 compagnie attive e la 1* di deposito; le altre due
compagnie attive e due di deposito vennero formate colla 1^, 2*, 3% 4^ zap-
patori del genio deirEmilia, e con la 1* della Toscana; formarono il 2^ reg-
gimento Io stato maggiore e il deposito di quello formato neirEmilia, le
altre dieci compagnie del reggimento sardo, la 5^ 6% 7* e 8* dell'Emilia
e la 2* della Toscana.
L'arma ebbe poi un riordinamento definitivo con decreto del 18 giugno.
Il treno d'armata, ch'era di sette compagnie, fu aumentato di altre
otto nel marzo e nell'aprile; finalmente, con decreto del 6 settembre, venne
costituito di venti compagnie e due di deposito. Venne ordinata la compera
di 6000 cavalli, che fu effettuata in breve spazio di tempo.
Il battaglione d'amministrazione, che contava tre compagnie soltanto
(una d'infermieri, una di sussistenza, una di deposito), fu convertito il 29
febbraio in « corpo d'amministrazione » di dodici compagnie (7 d'infermieri,
4 di sussistenza e una per servizi d'ordinanza), e il 6 settembre accresciuto
sino a venti compagnie (10 d'infermieri, 6 di sussistenza, 4 pei servizi di
ordinanza) (').
L'esercito, cos) ricostituito, fu portato quasi sul piede di guerra fin dal
gennaio 1860 con richiami di classi dal congedo, tanto per sostenere la ferma
politica che il conte di Cavour intendeva seguire, quanto per timore che eventi
impreveduti potessero annientare tutto ciò che la fortuna delle armi e il senno
dei reggitori avevano insin allora prodotto.
Nel maggio, intanto, Garibaldi aveva iniziata la sua gloriosa spedizione,
all'annunzio della quale, in alcuni dei giovani corpi emiliani, composti quasi
tutti di volontaii, si produsse un vivo fermento, in parte spontaneo, in parte
fomentato dai comitati d azione, poiché tutti volevano accorrere sotto le in-
segne dell'eroe, per liberare il mezzogiorno d'Italia. Ma ben presto la ragione
e la disciplina ebbero il sopravvento sull'entusiasmo, e quei corpi rientra-
rono neirordine. Fu sciolta solamente la brigata Ferrara (20 maggio), e rico-
stituita con compagnie di vecchi reggimenti.
Nel mese di settembre s'iniziò la campagna nell'Umbria e nelle Marche,
per la quale furono mobilitati due coi*pi d'armata : il 4^ comandato dal ge-
nerale Cialdini; il 5*, dal generale Della Bocca: ne assunse il comando in
(^) Con decreto del 18 marzo vennero pure riordinate le scuole di reclutamento degli
nfiSciali: airaccademia militare di Torino furono ammessi solamente gli aspiranti alle
armi speciali; la scuola militare di Modena e quella di cavalleria a Pinerolo, furono riser-
vate a preparare i giovani destinati a divenir rispettivamente ufficiali nelle armi a piedi
di linea ed ufficiali di cavalleria. Il liceo militare di Firenze e la scuola militare di Parma
furono mutati in collegi militari.
4^ FIORENZO BAVA-BBCCARIS
capo lo stesso generale Fanti. Il 4^ corpo era composto della 4*, della 7*
e della 13^ divisione; il 5^ della 1^ e di una divisione mista, detta di ri-
serva, formata da una brigata di fanteria, di 4 battaglioni bersaglieri, di 2
batterie e di 2 reggimenti di cavalleria.
Mentre la l^ la 4* e la 7* divisione erano costituite di corpi antichi
sardi e di corpi formati nel 1859, la 13* divisione e la divisione di riserva
lo erano invece quasi interamente di truppe emiliane o toscane.
In tutto, il corpo di spedizione ammontava a 32,000 uomini, con 78
pezzi d'artiglieria.
La campagna nel centro d* Italia fu rapida e ricca di risultati : le giovani
truppe, non meno delle antiche, si coprirono di gloria. Basti rammentare la
fiera resistenza del 26^ battaglione bersaglieri a Gastelfldardo, l'attacco della
brigata Bologna e dei battaglioni bersaglieri 23^ e 25^ al Monte Pelago e al
Monte Pulito durante l'assedio di Ancona, e la resistenza della 13* divisione
nel superare le aspre giogaie dell* Appennino.
Caduta Ancona, S. M. il Be assunse il comando deiresercito, tenendo
presso di so il generale Fanti quale capo di stato maggiore; e poichò gli
eventi politici volgevano propizi a completar Topera di liberazione del Mez-
zogiorno, così il Be mosse a quella volta con le truppe ch'erano nelle Marche
e neir Umbria, ad eccezione della 18* divisione che fu rimandata al Po.
Garibaldi intanto, liberata la Sicilia, e passato sul continente, il 7 set-
tembre entrava tiionfalmente in Napoli ; il 1* e il 2 ottobre sconfiggeva i
borbonici sul Volturno, presso S. Maria e Caserta Vecchia ; ma le sue truppe
non avrebbero avuto forze né mezzi per far cadere le fortezze di Capua e di
Gaeta, ultimi temibili baluardi del Borbone : onde fu necessaiia la discesa del-
l'esercito regolare. Questo marciò per la litoranea adriatica fino a Pescara,
donde per Chieti, Sulmona, Isernia e Venafro, sboccò nella pianura di Caia-
nello, nei pressi del qual paese Vittorio Emanuele e Garibaldi s'incontrarono
il 26 ottobre. Lo stesso giorno i Borbonici furono sconfitti a S. Giuliano,
il 29 ottobre al Garigliano, il 4 novembre a Mola di Gaeta, e in questa
medesima giornata si arrese la piazza di Capua. Bestava Gaeta, che fu cinta
d'assedio dalle truppe del 4® corpo, e che capitolò il 12 febbraio 1861. Mes-
sina e Civitella del Tronto si arresero nel marzo successivo.
Coiii terminò felicemente quella campagna, che permise al primo parla-
mento italiano, radunatosi il 19 febbraio 1861, di proclamare ufficialmente
Vittorio Emanuele, primo Be dltalia (legge del 17 marzo), e, conseguen-
temente, di dare all'esercito la denominazione di esercito italiano.
Ma due gravi problemi rimasero: il regolare cioè le sorti dell'esercito
meridionale, nonché quelle deiresercito delle due Sicilie che, per motivi politici
d'ordine diverso, non si reputava conveniente di mantenere né di inquadrare
nell'esercito regolare.
ESERCITO ITALIANO 45
11 16 novembre (^) fu decretato che Vesercito meridionale si trasfor-
masse in un corpo di volontari separato dall'esercito regolare, e fu stabilito che
gli ufBciali ?i potessero appartenere, dopo che una commissione ne avesse va*-
gliato i servizi e i precedenti, e che la truppa si assoggettasse alla ferma <}i
due anni. Ma, nel giorno medesimo, un altro decreto stabilì che, a coloi:o
i quali avessero voluto congedarsi, il governo avrebbe concesso tre mesi di
paga e il viaggio di ritomo a carico dello Stato, se di truppa ('), e sei mesi
di stipendio, se u£Bciali muniti del brevetto dittatoriale.
Gli ufBciali ammontavano in principio a 7800 ; ma ne furono dispensati
per nomina non regolare, o chiesero le dimissioni, 8900, onde ne rimasero
circa 3400. La maggior parte di questi dichiarò di voler continuare a rimanere
in servizio. Ma i gregari, sia per non assoggettarsi ad una ferma, sia per
l'attrattiva della gratificazione, chiesero ed ottennero il congedo, così che il
governo, nella considerazione che il comando generale dei volontari e le unità
e i reparti da essi costituiti non avevano più motivo organico di esistere, e
che il mantenerli produceva forte spesa, li sciolse dal P febbraio 1861, e
riunì gli ufBciali e gli avanzi della truppa in Piemonte nei depositi dei vaii
corpi.
Il decreto dell'll aprile 1861 confermò e completò quello dell'll no-
vembre 1860 circa la costituzione del corpo dei volontari, dichiarando che
esso dovesse esser mantenuto « come elemento di forza che in circostanza di
guerra avrebbe contribuito alla difesa dei diritti sacri della nazione « , e sta-
bilendo che con gli ufBciali fossero costituiti i quadri di tre divisioni (') da
riempire al momento del bisogno con volontari che avessero già soddisAitto
agli obblighi di leva, o con emigrati politici.
Nel tempo stesso, il decreto stabilì che gli ufBciali fossero collocati in
aspettativa o in disponibilità per riduzione di corpo, sino a quando il go-
verno non avesse creduto opportuno di richiamarli o in caso di guerra o
temporaneamente, per provvedere al loro addestramento. Ma quest'ultima dis-
posizione urtò contro difBcoltà pratiche insuperabili, perchè, per fornire i
soldati necessari all'istruzione, o dovevasi riconere a chiamate di volontari,
0 assegnarvi reclute o soldati di leva. Inopportuno sembrò il primo mezzo, che
sarebbe equivalso a una dichiarazione di guerra; pericoloso il secondo, perchè
si sarebbe creato un secondo esercito nello Stato {*). D'altra parte, in seguito
(') In qnesto medesimo giorno» un ordine del giorno del Re dichiarò che Tarmata
dei volontari avera hen meritato della Patria e della Sua Persona.
(') Per ordine del Re, anziché tre, furono concessi sei mesi di paga e la razione Tiveri ;
ogni gregario ebhe quindi 162 franchi e il viaggio gratuito per tornare in famiglia.
(*) Con decreto del 20 ottobre furono portate a quattro e venne ricostituito il comando
superiore dei volontari.
l*) Veggasi la relazione che precede il decreto del 27 marzo 1862.
46 FIORENZO BAVA-BECCARIS
alle operazioni della commissione di scrutinio o per volontarie dimissioni, il
numero degli ufficiali che, come si disse, era di 3400, si era ridotto a 2800,
dei quali, 500 circa impiegati militari. Onde, con decreto del 27 marzo 1862,
il corpo dei volontari venne sciolto e gli ufficiali trasferiti col loro grado nel^
Tesercito regolare (*)•
Per lo scioglimento deiresercito regolare delle due Sicilie furono prese
altre determinazioni.
Fin dal novembre del 1860 i prigionieri di guerra napoletani vennero
distribuiti nei depositi dei vari corpi neiralta Italia; il 20 dicembre si ri-
chiamarono alle armi gli appartenenti alle ultime quattro classi di leva
(dal 1857 al 1860), trattenendo i prigionieri che vi eran compresi e riman-
dando alle case loro quelli delle leve anteriori; il 27 del mese istesso si
estese l'obbligo della leva ai Siciliani, che ne erano stati sin allora esenti;
il 20 marzo cessò la prigionia di guerra per tutti, e quelli delle leve dal 1857
al 1860 vennero mandati in licenza per due mesi, con l'obbligo di ripresen-
tarsi il 20 di maggio.
Questo provvedimento fu preso perchè si ritenne che, ponendo i giovani
a contatto con i loro concittadini, pronunciatisi volontariamente Italiani, do-
vesse in essi pure afforzarsi il sentimento d'italianità; ma Teffetto riuscì di-
verso dal preveduto, poiché la maggior parte, abbandonata a se stessa ed alle
méne dei nemici del nuovo stato, stretta fra la miseria e la seduzione, ac-
crebbe le bande reazionarie, e pochi obbedirono al richiamo.
Qualche anno dopo soltanto, poterono cominciare le operazioni regolari
di leva, quando cioè si attenuò la reazione borbonica e il conseguente bri-
gantaggio ch'eran divampati nelle provincie.
Gli ufficiali che accettarono il nuovo ordine di cose, furono ammessi nel-
Tesercito regolare, e una commissione di scrutinio ne determinò ì gradi, rico-
noscendo soltanto quelli acquistati sino a tutto il 7 settembre 1860.
L'annessione delle Marche e deirUmbria e del mezzogiorno, aveva
frattanto condotto ad un nuovo ampliamento e ad un conseguente riordina-
mento dell'esercito, che fu stabilito con decreto del 24 gennaio 1861.
I reggimenti di fanteria, ch'erano parte su 4, parte su 3 battaglioni, ven-
nero tutti composti di 3 battaglioni attivi di 6 compagnie ciascuno e di un
(^) Altro decreto del 15 maggio stabilì che il « corpo dei Cacciatori del Tevere » che si
era formato neirUmbria, quando Tesercito stava per occupare quelle provincie, e che aveva
concorso alle operazioni delle truppe regolari spingendosi fino a Viterbo e poi rimanendo in
quelle provincie a tutelarvi Tordine interno, fosse trasformato in u legione dei Cacciatori
del Tevere », con carattere di corpo regolare. L'il agosto 1863, la legione, per la scarsità
dei gregari volontarii, venne sciolta, e gli ufficiali incorporati neiresercito regolare.
ESERCITO ITALIANO • ^'^
deposito di 3 compagnie (^); ma la 5* e la 6* di ogni battaglione non fu-
rono costituite subito : se ne previde soltanto la formazione a mano a mano
che ai corpi fossero giunti uomini di nuova leva. Nel contempo, coi quarti
battaglioni degli antichi reggimenti se ne crearono 12 nuovi (*), coi quali
si costituirono 3 nuove divisioni. La forza di guerra delle compagnie venne
stabilita di 4 ufiBciali e 146 gregari. Con lo stesso decreto venne altresì
aggiunto a ciascun reggimento un ten. colonnello per supplire nelle assenze
il colonnello e per coadiuvarlo nel comando, e fu determinato che l'aiutante
maggiore in 1* di ciascun reggimento fosse capitano, anziché tenente.
Il corpo dei bersaglieri prese la semplice denominazione di « Bersa-
glieri » e fu ordinato in 36 battaglioni attivi, numerati progressivamente,
e in 6 battaglioni di deposito. Per ogni 6 battaglioni attivi e uno di depo-
sito venne nominato un comandante, colonnello o tenente colonnello, e fu
soppresso quindi il comando generale.
Nel maggio il comitato delle armi di fanteria e cavalleria venne sop-
presso, e istituito per ciascuna delle due armi un comitato proprio.
La cavalleria continuò ad essere divisa in cavalleria di linea, lancieri,
reggimento guide, e ciascun reggimento venne composto di uno stato mag-
giore, 6 squadroni attivi ed uno di deposito. Lo squadrone di cavalleria in
tempo di gueiTa era previsto della forza di 5 ufficiali e 145 gregali.
Nell'arma di artiglieria fu modificata la costituzione del comitato ed
accresciuto a 6 il numero dei comandi territoriali. Quanto ai corpi, la bri-
gata pontieri venne disgiunta dal P artiglieria operai, e se ne costituì un
reggimento pontieri (9**) di 8 compagnie; il P reggimento operai venne
aumentato di una compagnia maestranza e di una compagnia artificieri : ogni
brigata dei reggimenti da piazza (2^, 3^, 4?) fu portata da 4 a 6 compagnie,
di guisa che i reggimenti stessi salirono a 18 compagnie, oltre a 2 di depo-
sito. I reggimenti da campagna (5^, 6^, 7'', 8^) si aumentarono di 4 batterie da
battaglia e di una di deposito ciascuno: cosicché il 5^ reggimento ebbe
2 batterie a cavallo, 14 da battaglia e una di deposito ; il 6^, il 7^ e l'S®
ebbero 16 batterie da battaglia e 2 di deposito. La forza di guerra della
batteria di battaglia, composta di 6 bocche a fuoco, fu prevista di 3 ufficiali,
159 uomini di truppa e 118 cavalli; quella delle batterie a cavallo, di 3 uf-
ficiali, 183 uomini di truppa )9 170 cavalli.
(*) I depositi, in pace, avevano due disparati e ben distinti uffici: essere cioè il
centro amministrativo del reggimento, e il laogo ove le reclute venivano riunite ed istruite
allorché giungevano alle armi. In guerra dovevano ricevere, vestire, armare le classi pro-
vinciali e addestrare quelle che non avevano ricevuto istruzione.
(') Brigata granatieri di Napoli (5^ e 6^), brigata Umbria (53^ e b4% brigata Marche
(55? e 56«), brigata Abruizi (57» e SS^), brigata Calabria (59*» a 60«), brigata Sicilia
(61^ e 62*).
48 FIORENZO BAVA-BECCARIS
Neirarma del genio fu pure modificato rordinamento del comitato e
aumentato il numero delle direzioni. Le truppe rimasero costitnite di 2 reg-
gimenti, ciascuno di 8 batti^lioni attivi e im deposito ; ma ogni battaglione
fu portato da 4 a 6 compi^[nie. Ciascnna compagnia di guerra ebbe la forza
di 2 ufficiali e 154 gregari.
Il treno d'armata Tenne costituito di 3 reggimenti, formati di 8 com-
pagnie e una di deposito.
L'esercito, così riordinato, fu diviso in 6 corpi d'armata, una divisione
di cavalleria di riserva e una riserva generale d'artiglieria. Ogni corpo
d'armata venne costituito di 3 divisioni di fanteria, ad eccezione del 5® che
n*ebbe 2 soltanto; d'una brigata di cavalleria, di uno squadrone guide, di
mia compagnia zappatori del genio, di nn distaccamento del corpo d'ammi*
nistrazione e di un altro del treno, e ciascuna divisione ebbe 2 brigate di
fanteria, 2 battaglioni di bersaglieri e 3 batterie da battaglia. La divisione
cavalleria di riserva continuò ad essere formata dai 4 reggimenti di linea e
dalle 2 batterie a cavallo; la riserva generale d'artiglierìa, di li batterìe da
battaglia (').
Il 9 giugno 1861 vennero sciolti i 0011)1 d'armata e mantenute le 17
divisioni attive. Il terrìtorio fu diviso in 6 grandi dipartimenti militari, dipen*
denti ciascuno da un gran comando con sede rìspettiva a Torino, Milano,
Parma, Bologna, Firenze, Napoli {% e ogni dipartimento comprese un deter-
minato numero di divisioni e di sottodivisioni territoriali. Il comando di
queste era esercitato dai comandanti le divisioni attive o da ufficiali generali
appositamente designati; ma tanto i grandi comandi quanto quelli di divisione,
avean 2 stati maggiori : l'uno per le truppe mobilitate, Taltro territoriale.
Il 4 scosto 1861 venne pubblicata la legge con la quale fu costituita
in tutto il regno la « Guardia Nazionale » , ordinata in battaglioni di 600
uomini e composta di volontari, o, in mancanza di questi, di individui ohe
avessero superato i 35 anni e soddisfatto agli obblighi di leva. Era preve-
duto se ne costituissero 220 battaglioni, e però fu accordato al ministero un
(>) Nella tornata del 23 marzo 1861, il generale La Marmora mosse interpellania al
ministro della guerra sai riordinamento del Fanti, e propose su di esso la sospensiva. Alla
discussione intervenne pure il Cavour il quale sostenne essere la Camera incompetente
in questioni tecnico-militari; e però Tordinc del giorno La Marmora fu respinto $ grande
maggioranza.
(') Il 1^ dipartimento comprese le divisioni di Torino, Genova, Alessandria e la sot*
todivisione di Novara ; il 2^ le divisioni di Milano, Brescia e Cremona e la sottodivisione
di Pavia; il 8® le divisioni di Parma, Piacenza e Modena; il 4<* quelle di Bologna, An-
cona e Forlì e la sottodivisione di Rimini; il 5^ le divisioni di Firenze, Livorno, Siena
e la sottodivisione di Perugia; il 6^ le divisioni di Napoli, Chietì, Bari, Salerno e Ca-
tanzaro. La Sardegna ebbe un comando di divisione a Cagliari ; la Sicilia, un comando
di divisione a Palermo, al quale era devoluto il comando generale di tutte le truppe roo*
bilizzate nell'isola, e due comandi di sottodivisioni a Messina e a Siracusa.
ESERCITO ITALIANO ^^
credito straordinario di 30 milioni per sopperire alle spese deirarmamento
e della formazione.
Infatti, rs di settembre, un apposito decreto ordinò la chiamata dei mi-
liti a mano a mano che i bist^ni l'avessero imposto, e specialmente per fre-
nare la reazione che andava sempre più dilagando nel mezzogiorno*
A questa già si accennò incidentalmente, discorrendo degli sbandati del-
Tesercito delle due Sicilie. Generata dal repentino turbamento delle idee e
degli interessi, favorita dal clero ed incoraggiata per vecchia abitudine di-
nastica dal Borbone, infierì specialmente negli Abruzzi, alla frontiera ponti-
ficia, in Basilicata. L'esercito e la guardia nazionale mobile furono chiamati
a domarla. Questa fece mediocre prova; l'altro non ne guadagnò, poichò quasi
metà della fanterìa attiva era disseminata nelle Provincie del mezzogiorno;
« e quel guerrìgliare alla spicciolata con piccolissimi drappelli, dando la caccia
per ampi tratti di paese, senza quei vincoli che legano le operazioni di
guerra e ne costituiscono forse la difficoltà maggiore, mentre potò giovare ad
ingagliardire il soldato e sviluppare noi graduati inferiori l'attitudine alle
fazioni minime della guerra, fu più dannoso che vanti^ioso, così per l'istru-
zione tattica, come per la disciplina, e singolarmente per coloro che eserci-
tavano comando cui non erano stati prima preparati da una sufficiente pratica
di buona guerra ordinata « (^). Questa calamità per l'Italia durò parecchi
anni ancora, cioè fin quasi al 1870, ed a mano a mano tutti i corpi si av-
vicendarono nelle provlncie meridionali in quel servizio irto di pericoli e
privo di gloria.
Il 5 settembre 1861, dopo circa tre mesi di reggenza tenuta dal Bicasoli ('),
fu nominato ministro della guerra il generale Della Bovere, che tenne il por-
tafoglio sino al 8 marzo 1862. In questo breve periodo fu istituita una eom"
missione permanente per la difesa dello Staio (^), con esplicito mandato di
studiare quale assetto territoriale di difesa meglio si convenisse di fronte
all'Austria; fu riordinato il ministero della guerra (^), ritoccato l'organa-
mento delle armi speciali, in ispecie sotto il rispetto amministrativo, e final-
mente fu condotto a compimento Tordinamento decretato dal Fanti, ad ecce-
zione di quello della fanteria, che venne modificato dal ministro Petitti non
appena succeduto al Della Bovere. Infatti il 23 marzo 1862 un reale decreto,
(1) <i La campagna del 1866 ia Italia », voi. I, pag. 9.
(*) 12 giugno 5 settembre 1861.
(') Questa commissione, composta dì 13 generali deirescrcito e da un ammiraglio
e presieduta da S. A. R. il principe Eugenio di Carignano, presentò il 2 agosto 1871
una relazione a corredo d'un piano generale della difesa dltalia.
(*) Fu diviso in un segretariato generale e cinque direzioni generali: Fanteria e
Cavalleria; Armi speciali; Leve, bassa forza e matricole; Servizi amministrativi; Conta-
bilità. Ciascuna direzione ebbe un numero di divisioni e di sezioni maggiore del
passato.
FiORBMZO Bava-Bbccaris. — astretto italiano ecc. 4
50 FIORENZO BAVA-BECCARIS
ritornando pienamente airordinamento del 1852, stabilì che le 18 compagnie,
che per il P aprile dovevano essere formate in ciascun reggimento, fossero
riunite in 4 battaglioni di 4 compagnie ciascuno.
Colle 2 compagnie sopravvanzate in ciascun reggimento e con la 8^ di
deposito, il 29 giugno 1862, venne decretata la formazione di altri 12 reggi-
ménti di 4 battaglioni (^) e una compagnia di deposito, mentre agli antichi
ne furono lasciate due.
I quarti battaglioni, non appena costituiti, furono distaccati tutti nel
mezzogiorno (*) in aiuto delle divisioni colà stanziate per combattervi il bri-
gantaggio, così da permettere che l'Italia superiore e media fossero guarnite
dal maggior numero possibile di divisioni attive ben composte ed ordinate.
Conseguentemente fu mutata la costituzione interna di talune divisioni, asse-
gnando a quelle distaccate nelle provincie meridionali 2 battaglioni di ber-
saglieri, come era precedentemente stabilito, uno solo a tutte le altre, per
averne così disponibili da lasciare pure nel mezzi^iorno; e vennero soppressi
presso le divisioni i due stati maggiori, riunendoli in uno solo.
II ritorno all'antico sistema sardo nella costituzione dei corpi, oltre che
da ragioni d'indole militare, che sarebbe troppo lungo esaminare e discutere ('),
fu voluto dal Petitti per inquadrare gli ufiBciali dei volontari di cui si è
. altrave discorso.
Nel dicembre fu aumentato il numero delle batterie campali, di guisa
che i reggimenti ne ebbero 19 ognuno e una di deposito; ma nel marzo
successivo si formò un nuovo reggimento numerato 10®, e ciascuno rimase
formato di 15 batterie.
Altre variazioni notevoli ali ordinamento durante il 1862 furono: la crea-
zione di un comitato superiore delle varie armi, i mutamenti ordinati con la
legge del 24 agosto alla legge sul reclutamento, mutamenti che restrinsero le
esenzioni per motivi di famiglia e le surrogazioni (^), finalmente la costitu-
ii) Oltre le divisioni territoriali, fnroiio matitenate nel mezzogiorno circoscrizioni
minori, dette « zone », alla dipendenza di mag^ori generali.
(') Sono ampiamente esposte in un opuscolo scritto nel 1863 in risposta ad un altro
pubblicato dal generalo Fanti in difesa del proprio operato.
(») Cioè le brigate Granatieri di Toscana (?<> e 8»), Cagliari (eS'» e 64*), Valtellina
(65<» e 66«>), Palermo (67« e 68*), Ancona (69* e 70*), Puglie (71* e 72*).
(*) Rammentiamo che per la logge sul reclutamento del 1854, estesa al nuovo regno,
ogni cittadino delhi età di 21 anno poteva esser chiamato a far parte dciresercito. Le
esenzioni ridacevano a 80 000 uomini circa il contingente di 200.000 inscritti Qnesto
contingente era diviso in due categorie: la prima, di 40 a 50.000 uomini, entrava nelle
file deiresercito ed era obbligata al servizio per 1 1 anni, di cui 5 alle armi e 6 in congedo
illimitato ; la seconda, obbligata al servizio militare per 5 anni, era esercitata in paco
per 40 0 50 giorni alPanno Lo cinque classi di 2* categoria, con le 6, piti vecchie, dello
provinciali, davano gli uomini necessari ad accrescer la forza delPcsercito, mediante pr^r-
ziale 0 totale chiamata di esse, a seconda del bisogno. V'era poi un piccolo nucleo d*or«
dinanza con ferma continua di 8 anni alle armi.
ESERCITO ITALIANO 51
zione in Sioilia di un nuovo gran dipartimento militare che prese il numero
di 7.
I fatti di Aspromonte condussero neiragosto a dichiarare in istato d'as-
sedio tanto il Napoletano quanto la Sicilia, nelle quali provincie furono ri-
spettivamente designati quali commissari sb-aordinarii coi più ampi poteri, i
generali La Marmerà e Cialdini. Gli avvenimenti eccezionali in quelle Pro-
vincie dimostrarono come fosse più facile e pronto formare divisioni colle
truppe stanziate in prossimità del luogo ove se ne presentava il bisogno,
anziché riunire ed inviarvi divisioni attive. Sembrò inoltre che il mantenere
le divisioni attive medesime in tempi ordinari, non fosse cosa adatta né a
conciliar le esigenze del servizio territoriale né a mantener la truppa in
quei luoghi che si prestavano meglio alle istruzioni ; onde, con decreto del
23 febbraio, esse vennero sciolte, e mantenute le sole divisioni territoriali se-
condo la circoscrizione decretata il 9 giugno 1861.
Questo fu il passo ultimo per il ritomo definitivo all'antico sistema di
ordinamento sardo.
Intanto 1*8 dicembre 1862 il generale Della Rovere ritornò al mini-
stero in lu(^o del Petitti e vi si mantenne fino al 28 settembre 1864.
Durante Tanno 1863 non avvennero, neirordinamento generale dell'eser-
cito, mutamenti ricordevoli, ad eccezione della formazione di due squadroni
provvisori di cavalleria, con i quali, nel gennaio dell'anno seguente, si for-
marono i due reggimenti lancieri di Foggia e cavalleggeri di Caserta (0«
Nel 1864 le condizioni finanziarie dello Stato, fatte gravi, mentre ri-
chiesero dal paese nuovi sacrifici, imposero le massime economie; ma nel
realizzarle, il nuovo ministro gen. Petitti, succeduto nuovamente, il 28 set-
tembre, al Della Rovere, non diminuì la forza attiva dell'esercito né recò
mutamenti all'organamento dei corpi: si limitò a introdurre, più che altro,
modificazioni amministrative in ispecie nei servizi dell'artiglieria e del genio
e nel corpo del treno d'armata che fu ridotto al numero denomini stretta-
mente indispensabile pei servizi di pace.
Furono soppressi i depositi di tutti i coi-pi, ad eccezione di quelli dei
reggimenti di bersaglieri e di cavalleria, ritornando, anche sotto questo ri-
spetto, all'antico ordinamento sardo. Ma per l'arma di fanteria, la soppres-
sione fu graduale, poiché fu giocoforza mantenere i reggimenti di stanza
alle frontiere e quelli impiegati nella repressione del brigantaggio, a causa
della loro estrema mobilità.
Nell'arma d'artiglieria il P reggimento (operai) fu sciolto e il reggi-
mento pontieri numerato 1*; e poiché nel dicembre del 1863 era stata
(') Nel 1863 farono adottati i cannoni di bronzo da cm. 9 per le batterie campali
e quelli da cm. 12 con cui si formarono batterie da posizione, trainate dal treno e ser-
vite dairartiglieria da piazza.
52 FIORENZO BAVA-BECCARIS
formata in ogni reggimento una nuova batteria, così i reggimenti da cam-
pagna risultarono composti di 16 batterie ciascuno; quelli da piazza di 16
compagnie. Con decreto, poi, del 18 dicembre, furono introdotte anche neiram-
ministrazione centrale notevoli diminuzioni di personale.
In quest*anno medesimo furono compilate le tabelle organiche per la
formazione dell'esercito in caso di mobilitazione. Doveva essere ordinato in
7 corpi d'armata, una divisione di cavalleria di riserva e una riserva generale
d'artiglieria; i primi 6 corpi composti di tre divisioni, Tultimo di due. La
divisione di fanteria conservava la costituzione stabilita dagli ordinamenti
precedenti, con una forza presunta di 18.900 uomini, 608 cavalli e 18 cannoni.
A ciascuno dei primi 6 corpi d'armata erano assegnati due reggimenti
di cavalleria leggera; air ultimo, tre reggimenti. Quindi un corpo d'armata
avrebbe contato 44.000 uomini, 5000 cavalli e 60 cannoni, tranne il 7^ che
avrebbe avuto invece 31.000 uomini, 4900 cavalli e 40 cannoni. Di più, a
ciascun corpo d'armata, veniva assegnato un parco generale d'artiglierìa, un
equipaggio da ponte, un parco telegrafico, una compagnia del treno d'armata,
un drappello del corpo d'amministrazione e uno dei carabinieri.
La divisione cavalleria di riserva conservava la vecchia costituzione in
quattro reggimenti di cavalleria di linea e due batterie a cavallo, contando
4266 uomini, 8798 cavalli e 12 pezzi.
La riserva generale d'artiglieria doveva comporsi di 18 batterie e di 18 co-
lonne di riserva di munizioni ; in tutto, 4185 uomini, 2792 cavalli, 126 cannoni.
Pel passaggio dal piede di pace a quello di guerra, ogni reggimento di
fanteria doveva costituire un deposito di 2 compagnie ; la forza di ciascuna
compagnia attiva doveva essere portata da 90 a 176 gregari; in ogni reg-
gimento di cavallerìa doveva essere formato un 7® squadrone di deposito, e
la forza di ciascuno squadrone attivo doveva essere portata da 146 a 150
uomini e da 112 a 120 cavalli; ogni batteria aumentare da 6 ad 8 pezzi,
i cannonieri da 112 a 186, i cavalli da 50 a 138.
Con tale organico si prevedeva che la forza combattente dovesse ascen-
dere a 311.978 uomini^ 42,867 cavalli, 538 cannoni.
Neppure durante il 1865 l'ordinamento deiresercito subì variazioni; ma
verso gli ultimi mesi deiranno le condizioni della finanza, rese sempre più
difficili, imposero nuove economie. Oltre che licenziare in modo assoluto gli
uomini che avevan terminato la ferma, furono congedati pure molti altri che
senza la ragione economica sarebbero dovuti rimanere, più o meno tempo, an-
cora alle bandiere ('). Inoltre vennero soppressi definitiyamente i depositi dei
(*) Il 25 settembre furono congedati gli uomini appartenenti alla 1* categoria della
classe 1840 e i napoletani delle leve del 1859 e del 1860; il 14 dicembre i napoletani
della classe 1861 e gli uomini d'ordinanza che dovevano terminare il proprio servigio
negli anni 1866, 1867, 1868; il 80 dicembre i militari del treno d'armata delle classi
1841 e 1842.
ESERCITO ITALIANO 58
reggimenti bersaglieri e di cavalleria e il 3^ reggimento del corpo del
treno d'armata che rimase costituito di 2 reggimenti di 10 compagnie
ciascuno.
Sui primi del 1866 al generale Petitti successe il generale Di Petti-
uengo come ministro della guerra, e questi accettò la condizione di sotto-
porre a nuore economie il bilancio della guerra ; poichò, a questo solo patto il
La Marmerà, presidente del Consiglio, aveva potuto trovare un ministro delle
finanze, che fu lo Scialoja. Già il Petitti aveva diminuito di 9 milioni il
bilancio; ora volevasi ridurlo di altri 11 almeno. Era un*ardua impresa,
non volendo scomporre l'esercito; d*altra parte riusciva impossibile avvici-
narsi a quella somma con economie nei diversi rami deiramministrazione.
Onde il nuovo ministro decise di sospendere le operazioni di leva, sicché sul
principio del 1866, proprio alla vigilia dei gravi avvenimenti che in Europa
andavano maturandosi, vennero a mancare air esercito 40.000 uomini della
classe del 1845, che sarebbero dovuti arrivare in gennaio.
La situazione politica europea cominciò a rabbuiarsi, poiché la conven-
zione di Gastein, conclusa tra Austria e Prussia, non sembrava aver intera-
mente sopito le questioni fra queste due potenze a proposito dei ducati del-
l'Elba. L'Italia, nella speranza di acquistare il Veneto, si accostò alla Prussia
e concluse con essa un'alleanza offensiva e difensiva. L'opinione pubblica
cominciò ad accendersi, così che nel marzo si effettuò la chiamata della se-
conda categoria della classe del 1845, chiamata che era stata sospesa nel
gennaio. Ma poiché nell'aprile l'Austria procedette apertamente a prepararsi
alla guerra, l'Italia dal canto suo fece altiettanto.
Furono diramati gli ordini per la formazione dei depositi, richiamate alle
armi le classi 1884, 35, 36, 37, 38, 39, 40 e gli uomini di 2* categoria
delle classi 1840 e 41 ; fu ordinato che i corpi si ponessero sul piede di guerra.
Mentre si eseguivano tali operazioni, il governo, vista la convenienza
di porsi in buon atteggiamento difensivo, divisò di radunare l'esercito su
Piacenza e Bologna. Vennero formati:
Sul Mincio:
3 corpi d'armata, ognuno di 4 divisioni, una brigata di cavallerìa
(3 reggimenti), una comp. zappatori, 1 equipaggio da ponte, una comp. treno ;
una divisione di cavallerìa di rìserva (2 brigate di 2 regg. ognuna e
2 batterie a cavallo di 6 pezzi ciascuna);
una riserva generale d'artiglieria (9 batterie), parchi e servizi.
Sul basso Po:
1 corpo d'armata di 8 divisioni e 2 brig. di cavallerìa di 3 regg.,
una batt. da montagna, una rìserva d'artiglieria da battaglia (4 batt.) e una
54 FIORENZO BAVA-BECCARIS
riserva d'artiglieria d'assedio (in complesso 174 pezzi da 40 GB, da 16 BB
e da 8 BB), 2 comp. zappatori, equipaggi da ponte, nna comp. treno, parchi
e servizi.
Ciascuna divisione di fanteria, tanto snl Po quanto sul Mincio, compren-
deva due brigate dì fanteria, 2 battaglioni di bersaglieri, 1 brigata di 8 bat-
terie, 1 comp. zappatori a 1 comp. treno. Per T eccedenza dei richiamati dal
congedo, ogni reggimento di fanteria formò un 5^ battaglione, ogni reggi-
mento bersaglieri un 9^ battaglione, ecc. I reggimenti di fanteria portarono in
campagna 4 battaglioni, i reggimenti bersaglieri 8, i reggimenti di caval-
leria 5 squadroni (il reggimento guide 6). Con le unità rimanenti furono
costituiti in successive riprese:
20 reggimenti di fanterìa temporanei (18 di linea, 2 di gran.);
2 reggimenti di cavalleria temporanei (1 lane, 1 cavali.) di 4 squa-
droni riuniti in brigata, i quali dovevano concorrere con la guardia nazio-
nale a presidiare le fortezze e a mantenere l'ordine nel paese.
Si aumentò pure di 12 compagnie (6 per reggimento) l'artiglieria da
piazza, di 20 batterie (4 per reggimento) quella da campagna, di 8 com-
pagnie (4 per reggimento) il genio, e si ripristinò il treno d'armata in 3 reg-
gimenti.
Dopo la battaglia di Custoza, per marciare dal Po air Isonzo, si rav-
visò opportuno di diminuire la mole dei corpi d'armata. Se ne formarono 7,
6 dei quali di 3 divisioni e 1 di sole 2. Con i reggimenti temporanei di
granatieri e con gli 8 di fanteria si costituirono 5 brigate, e con queste si
creò un corpo d'armata di riserva di 2 divisioni, dotandolo di batterie prov-
visorie. In seguito il B. D. 17 agosto stabilì la formazione di 80 sesti bat-
taglioni, dei quali n'erano formati 2 quando, finita la campagna, vennero sciolte
tutte le nuove formazioni, tranne i 5 battaglioni bersaglieri dal 41^ al 45^.
Alle forze regolari messe così in armi per la guerra, conviene aggiun-
gere il corpo dei volontari italiani, agli ordini del generale Garibaldi, de-
stinato ad operare contro il Tirolo occidentale. Fu costituito da 5 brigate
di fanteria (10 reggimenti), 2 battaglioni bersaglieri, 2 squadroni guide, e
una compagnia del genio; dell'esercito regolare vi furono assegnate una bri-
gata di 3 batterie da campagna e una batteria da montagna (totale 24
pezzi), e più tardi il 41^ battaglione bersaglieri e una compagnia del genio.
In totale, 38.000 uomini, 870 cavalli, 24 pezzi. Essendo stato il corpo
garibaldino creato d' iniziativa del governo, con la dichiarazione che i volon-
tari non avrebbero avuto diritto, dopo la guerra, che a sei mesi di soldo, il
corpo, al momento della pace, fu sciolto senza speciali provvedimenti.
Ultimata la campagna, vennero sciolte le grandi unità di guerra; ma in-
tanto il 22 agosto, al generale Di Pettinengo, succedeva, come ministro, il
generale Cugia.
ESERCITO ITALIANO
^5
I buoni successi prussiani persuasero il goTemo a istituire, fin dal tempo
dì pace, TufiBcio di capo di stato maggiore, lasciando ancora in funzione il
comando del corpo di stato maggiore. Fu nominato il generale Oialdini
(R. D. 18 agosto 1866); ma questi, dopo brevissimo tempo, vi rinunciò e
non ebbe successori.
II dissesto finanziano, nel quale si dibatteva lo Stato, obbligò il nuoTO
ministro, sullo scorcio del 1866 e nei primi mesi del 1867, alla soppres-
sione del gran comando di Palermo e delle divisioni di Messina, di Udine
e di Forlì ; allo scioglimento provvisorio di un battaglione per ciascuno degli
80 reggimenti di fanteria, di una compagnia per ciascuno dei 45 batta-
glioni bersaglieri, di una batteria per ogni reggimento d'artiglieria da cam*
pagna e di 4 compagnie per ogni reggimento da piazza; di 2 compagnie
per ogni reggimento del treno d* armata e dei comandi militari di circon-
dario, trasferendo le loro attribuzioni in un numero molto inferiore di co-
mandi militari di provincia. Vennero ridotti inoltre i quadri del corpo di
stato maggiore, del corpo sanitario, della giustizia militare, delle inten-
denze.
Il ministro nominò poi una commissione composta di ufiiciali generali,
e della quale egli medesimo tenne la presidenza (^), per studiare un nuovo or-
dinamento che, pur basandosi suiresperìenza sia nostrana che forestiera,
tenesse il massimo conto delle condizioni finanziarie del paese. Ne conseguì
un progetto di legge che, per la caduta del ministro Cngia (10 aprile 1867),
fu presentato alla camera dal successore gen. Di Bevel (').
Questo progetto modificava tanto il reclutamento quanto l'ordinamento.
Notevoli, come istituzioni nuove, le « milizie presidiarie » (fu questa la
prima volta in cui venne adombrata in Italia Tidea d'una milizia di ri-
(') La commissione fu composta dei generali Cadorna, Bixio, Govone, Ricotti,
Di Pralormo e Bertolè-Viale ; e no vennero nominati segretarii il ten. colonn. Ricci e il
maggiore Mocenni. Il ministro, nella prima sedata, enumerando i motivi che lo avevano
indotto a convocare la commissione stessa, disse di non avere avuto di mira Timitazione di,
qaantOj dopo gli eventi militari delPanno 1866, era stato fatto in altri paesi d* Europa,
ma di voler porre efficace rimedio agli inconvenienti manifestatisi nei nostri ordinamenti
militari durante la campagna del 1866, e particolarmente al grande squilibrio tra la forza
dell'esercito mobilitato e quello alle armi; ai non buoni elementi che costituivano il
corpo di riserva, e alla difficoltà dei depositi per istruire la grande massa dei richiamati.
Parlando della questione finanziaria, accennò alle cause per cui 1* opinione pubblica re-
clamava economie sul bilancio della guerra, ma dichiarò che esse dovessero conciliarsi
coi bisogni di forza armata necessarii per lo stato anormale della Sicilia, per il brigan-
taggio, per la necessità di vigilare la frontiera pontificia e per le molte richieste che
anche in altre parti del regno si facevano per servizi di pubblica sicurezzs. (Archivio
storico Corpo di stato maggiore. Studii tecnici - Cart. 3).
(') Fu questa la prima volta in cui Tordinamento dell'esercito venne presentato in
forma di legge.
^ FIORENZO BAYA-BBCCARIS
serra) (^) e i distretti, enti territoriali immediatamente dipendenti da quelli
di divisione, ai qaali venivano assegnati compiti disimpegnati da vari organi
(comandi di provinole, depositi, magazzini di vestiario ecc.) : cioè, nei tempi
ordinari, di chiamare le leve annuali, di tenere i ruoli degli uomini in con*
gedo, di istruire le seconde categorie ; e, all'atto della guerra, di richiamare
le classi in congedo, di equipaggiarle, di inviarle ai corpi, di essere centri
di costituzione di reparti presidiar!.
Come si scorge, è il germe dell'idea della costituzione dei distretti
quali vennero posti in atto, qualche anno dopo, dal ministro Ricotti.
Per realizzare le maggiori economie il progetto sopprimeva 8 reggimenti
di fanteria, lasciando i rimanenti di tre battaglioni, e riduceva i corpi
del treno e d*amministrazione ; le armi a cavallo eran lasciate quasi inal-
terate.
Ma il progetto di legge non giunse in porto perchè i lavori parlamen-
tari non lo permisero. Invece, in quelFanno, la discussione del bilancio fu am-
plissima, poiché la commissione incaricata di esaminarlo (relatore Farini)
aveva proposto riduzioni in tutti i capitoli così da realizzare un*economia
di circa 19 milioni sui 155 circa, posti in previsione dal ministero. Ma il
Di Bevel accettò alcune proposte, altre ne respinse, e il risultato si fu che,
secondo il voto emesso dalla Camera, fu ritardata la chiamata della classe
del 1846, furono soppressi i grandi comandi, e apportate riduzioni minori
airordinamento.
(^) Rammentiamo che Tesercito attivo era costìtnitu dalle 11 classi di 1* categoria
alimentate dalle 5 di 2% e che non esisteva una milizia di riserva. I servizi territoriali
6 quelli delle fortezze eran disimpegnati dalla guardia nazionale, la quale per la sua costi-
tuzione, durante la campagna dui 1866, non aveva reso utili servigi. Nel progetto Di Revel
Tesercito attivo era formato invece dalle prime 8 classi di leva e dagli uomini di 2*
categoria delle prime 8 classi, e le milizie presidiane (96 battagl.) dalle 3 classi più
anziane di 1* categorìa e dalle 2 più anziane di 2*. La durata della ferma rimaneva di
5 anni, per tutti, tranne che per la cavalleria, rispetto a la quale era portata a 6. Si
calcolava che la forza disponibile deiresercito fosse la seguente:
Elementi costanti 25.000 uomini
L 8 classi di fant., artigl. ecc. \
\ 1* categ., 13 di cavalleria . f 300.OOO id.
Esercito attivo \ Id., 13 classi del treno e (
corpo d'araministr. . . '
2» categ., 3 classi 105.000 id.
Totale . . . 480.000
w-v . ... . ( r categ., 3 classi ) linOAn
Milizie presidiane j ^, .^ ^ ^,^^^. J . . • 140-000
Totale generale . . . 570 000
ESERCITO ITALIANO ^7
Tuttavia, ad onta di tali strettezze economiche, fu stabilita la somma
di lire 1.380.000 per dotare la fanteria di armi portatili a retrocarica (^), e
si instituì la scuola superiore di guerra come scuola di perfezionamento per
gli ufGiciali aspiranti al corpo di stato maggiore.
Il 27 ottobre 1867, al ministro Di Bevel successe il Bertelo- Viale.
L' impresa di Mentana destò qualche preoccupazione, onde fu richiamata dal
congedo la classe del 1842, e si ricostituirono le quarte compagnie nei batta-
glioni bersaglieri, e i quarti battaglioni nei reggimenti di fanteria.
II nuovo ministro presentò poi un nuovo disegno di legge sul recluta-
mento che proclamava, per la prima volta, il servizio personale obbliga-
torio, riducendo la ferma per poter aumentare il contingente annuo, e insti-
tuiva il volontariato di un anno. Questo disegno non giunse alla discussione
parlamentare.
Divenuto ministro, il 14 dicembre 1869, il gen. Govone nel gabinetto
Lanza, con programma di strettissime economie, il bilancio della guerra fu,
come quattro anni innanzi, alla vigilia dei più gravi avvenimenti europei,
nuovamente ridotto, e il contingente annuo abbassato da 40 a 30.000 uomini.
Sopravvenne in queste contingenze la guen*a franco-tedesca e Toppor-
tunità della occupazione di Boma da pai*te dell'Italia. Per questa impresa
furono apparecchiati 50,000 uomini, così raggruppati : IV corpo d'armata (Ca-
dorna), comprendente le divisioni 11* (Cosenz), 12* (Mazé de la Bocbe), 13*
(Ferrerò) e una riserva; 2* divisione (Bizio) e 9* divisione (Angioletti), stac-
cate. Ogni divisione comprendeva due brigate di fanteria, due battaglioni di
bersaglieri, 3 batterie da campagna: cioè 8172 uomini e 149 cavalli in media.
Le divisioni 2* e 9* avevano in più una compagnia del genio ciascuna ; la
2* divisione contava in più della 9* un battaglione bersaglieri e una batteria.
La riserva si componeva di 6 battaglioni beraaglieri, 3 batterie da posizione,
una brigata di 3 compagnie zappatori del genio, l reggimento di caval-
leria, 1 parco d'artiglierìa, un equipaggio da ponte.
Questa parziale mobilitazione rivelò che l'esercito non era in condizioni
da poter affrontare una grande guerra. D'altra parte le sconfitte patite dalla
Francia e la ferma volontà di mantenere Boma a capitale d'Italia volsero
l'opinione pubblica in favore delle istituzioni militari. Per conseguenza gli
anni 1870 e 1871 segnarono il principio di un'era nuova per la storia del
l'ordinamento dell* esercito.
O II 20 agosto 1867 il ministero detenninò la trasformazione dei focili mod. 1860
e delle carabine da bersaglieri, in armi a retrocarica ; e, in seguito agli studi d'una com-
missione appositamente institnita a Torino, venne adottato l'otturatore sistema Carcano.
58
FIORENZO BAVA-BECCARIS
V.
Dal 1870 adoggi(').
11 generale Ricotti ministro della guerra. — La nuora legge sul reclutamento, del 1871; dif-
ferenze colla legge prussiana. — Modificazione all'ordinamento, nel triennio 1871-1873.
— La legge del 7 giugno 1875 che stabilì il servizio personale obbligatorio. —
Creazione della milizia territoriale; abolizione della guardia nazionale. — L'ordina-
mento Mezzacapo nel 1877. — L'ordinamento Ferrerò nel 1882. — L'ordinamento
Bertele- Viale nel 1887. — Il generale Pelloux ministro della guerra nel 1891, e
provvedimenti per ridurre le spese militari. — Il ministro Mocenni e i decreti-
legge del 1893. — Le proposte del ministro Ricotti nel 1896. — Ritorno del gene-
rale Pelloux al ministero, e nuovo ordinamento del 1897. ~ La questione dei
quadri degli ufficiali e dei sottufficiali, e le leggi relative per risolverla. ;— La
commissione d'inchiesta istituita il 1907. — L'amministrazione Casana nel 1908. —
Il generale Spingardi ministro della guerra, e ordinamento del 1910. — Forza del-
l'esercito.
L*àDno 1871 spuntò fra gli ultimi bagliori d*una fra la guerre più for-
midabili che la storia rammenti.
Le vittorie dei Prussiani indussero i legislatori europei a imitarne gli
ordinamenti militari, e T Italia seguì pure tale indirizzo, per quanto le sue
speciali condizioni politiche ed economiche glielo permisero. Così durante il
triennio 1871-73, essendo ministro il generale Bicotti, succeduto il 7 settembre
1870 al generale Govone, una serie di leggi e di decreti trasformò radical-
mente l'esercito, sia sotto i riguardi del reclutamento, sia sotto quelli del-
Torganamento.
La legge prussiana sul reclutamento si distingueva per due caratteri
essenziali: Tobbligo al servizio per tutti i cittadini, ed il sistema ter-
ritoriale nella costituzione dei corpi, caratteri che concedevano di trar par-
tito di tutte le forze valide del paese e di mobilitarle in brevissimo tempo:
Di più, la durata del servizio e la forza dei contingenti annui permettevano
pure di tener Tesercito diviso in due grandi parti : Tuna, che aveva per noc-
ciolo Tesercito stanziale; laltra, che si costituiva soltanto al momento della
guerra.
La legge italiana invece, la quale non era che la piemontese del 1854
ritoccata successivamente, e, forse in alcuni punti, peggiorata, non sanciva il
(^) Buona parte delle notizie contenute in questo capitolo, vennero tratte da « Le
istituzioni militari italiane n di A. Ca\ aciocchi ed £. Santangelo.
ESERCITO ITALIANO S9
principio deir obbligo generale al servizio (^) ; manteneva come base del re-
cintamente e del completamento dei corpi il sistema così detto nazionale;
divideva il contingente in due categorie, e non provvedeva alla costituzione
di riserve.
La legge del 19 luglio 1871 si limitò a modificare parzialmente questo
stato di cose con taluni provvedimenti che, in parte, erano già stati presen-
tati dai generali di Bevel e Bertele- Viale, e che si possono riassumere nei
seguenti :
abolizione dei vai-ì modi di esonerazione concessi dalla legge 1854,
ad eccezione della surrogazione, mentre airaffmncazione si sostituì il pas-
saggio alla seconda categoria;
istituzione del volontariato di un anno;
durata totale del servizio di 12 anni per la prima categoria (di cui
4 alle armi), tranne per la cavalleria, che l'ebbe di 9 soli (di cui 6 alle
armi) ;
durata del servigio di 9 anni per la seconda categoria, con un mas-
simo di 5 mesi d'istruzione ripartibili in uno o più anni;
istituzione di una milizia provinciale, destinata a sostegno dell' esercite
attivo in tempo di guerra, e pai-ticolarmente a concorrere con esso alla di-
fesa interna dello Stato, ordinata territorialmente, e formata dalle 8-4 ultime
classi di prima categoria, e dalle 4-5 ultime di seconda categoria.
1 punti essenziali che distinguevano ancora la nostra legge dalla prus-
siana, consistevano nel diritte parziale all*affrancazione, mantenuto quale ce-
spite d'entrata; nella costituzione a sistema nazionale dell'esercite attivo per
evitare il pericolò del regionalismo; nella divisione del contingente in due
categorìe per non aumentare notevolmente la fon&a bilanciata e per non di-
minuire di troppo la ferma.
Quanto all'ordinamento, il generale Bicotti avviò le riforme più urgenti
con una serie di regi decreti, prendendo impegno di sottoporre all'approva-
zione del parlamento, nel più breve tempo possibile, una legge complessiva
al riguardo, affinchè non fosse scossa la stabilità delle istituzioni militari^
come lo era stata nel periodo 1860-66. In virtù di tali decreti, pubblicati
sulla fine del 1870 e sui primi del 1871, furono soppressi il comitato su-
periore delle varie armi e quelli di fanteria e di cavalleria, ed instituito un
comitato delle armi di linea; ridotti i quadri dello stato maggiore generale;
riordinati gli 80 reggimenti (granatieri e fanteria) su 3 battaglioni in luogo
(*) Infatti la legge del 1854, oltre che concedere resonerazione dal servìzio per scambio
di numero, la surrogazione di fratello, la surrogazione ordinaria, lo scambio di categoria,
ammetteva pure la liberazione dal servizio col versamento di una somma da pagarsi in
premio ad un « affidato » idoneo ad assumere il servizio dellMnscritto ; la legge del 1866
peggiorò questo stato di cose, sostituendo alla liberazione Taffrancazione, per la quale si
otteneva di esser dispensati dal servizio mediante pagamento di una somma determinata.
<^0 FIORENZO BAVA-BECCARIS
di 4 ; abolite le brigate permasenti di fanteria e sostituite con brigate for-
mate uormalmente da 2 reggimenti appartenenti alla medesima divisione
territoriale; ordinati i bersaglieri in 10 reggimenti di 4 battaglioni ognuno ;
cresciuta la forza di guerra della compagnia da 150 a 200 uomini.
La cavalleria crebbe di un reggimento (Roma), e fu ripartita in 10
regg. di lancieri e 10 di cavalle^eri numerati progressivamente ; e ciascuno
costituito di sei squadroni. Questi vennero ingrossati in uomini e cavalli, così
da mantenerli di forza presso a poco eguale, tanto in pace, quanto in guerra.
L'artiglieria si riordinò in 11 reggimenti, di cui il 1® di pontieri e gli
altri 10 formati ognuno di 8 batterie da battaglia, 4 comp. da piazza, 3 comp.
treno, 1 batt. deposito. Il genio si costituì in un sol corpo di 30 compagnie
zappatori e di una compagnia treno e un deposito. Fu soppresso, per ragioni
economiche, quale corpo autonomo, il treno d'armata, che nel lugl*o 1869
era stato dal generale Oovone denominato treno militare, e il relativo ser-
vizio venne affidato ai reggimenti d'artiglieria e del genio.
Il corpo d*amminÌ8trazione fu sciolto, e la truppa ripartita fra le com-
pagnie infermieri istituite presso gli ospedali militari; al servizio ordinario
dei panifici venne provveduto con operai borghesi.
Il territorio dello Stato fu diviso in 16 divisioni territoriali e in 45
distretti militari, nuova istituzione, sebbene già ideata nel progetto di Bevel,
e resa necessaria per lo sviluppo quantitativo dell'esercito. I distretti militari,
oltre che ad attendere alle operazioni di leva, a raccogliere, armare ed iniziare
l'addestramento delle reclute delF esercito permanente, e ad istruire i contin-
genti di 2^ categoria, furono destinati a funzionare da centri di mobilitazione
dei richiamati dal congedo, da centri di mobilitazione e di formazione dei re-
parti d'un esercito territoriale (^) che il ministro aveva in animo di costituire, e
finalmente da grandi depositi di an'edamento dei corpi esistenti nel territorio
della loro circoscrizione. Essi cominciarono a funzionare regolarmente dall'anno
1871 medesimo, provvedendo all'istruzione della seconda categoria della classe
1849 e alle operazioni di leva della elasse 1850.
Questi decreti vennero completati, corretti e sanzionati dalla legge del
30 settembre 1873 di ordinamento dell'esercito e dei servizi dipendenti dalla
amministrazione della gueriti. Le principali innovazioni di questa legge furono:
(') u Nel mio concetto — ed è precisamente quello espresso in entrambi i progetti
« di legge presentati al parlamento da due miei predecessori — questo secondo esercito
tt non potrà essere ordinato che regionalmente, cioè a provincia per provincia e quindi
«per distretto, dacché la provincia è Teleraento territoriale del distretto; e si costituirà
« in parte dei soldati in congedo illimitato delle classi più anziane di 1* categoria, in
u parte con uomini di 2' categoria. Ogni distretto, in ragione del numero rispettivo di
tt codesti soldati, e vuol dire generalmente in ragione della popolazione, dovrà formare
<i due 0 più hattaglioni, per i quali avrà sempre apparecchiati i quadri, mediante ufficiali
« appositamente destinati n. (Relazione del ministro Ricotti al R. D. del 13 novembre 1870).
ESERCITO ITALIANO 61
instituzione di un comitato di stato-maggiore generale, e fusione, in
un solo, di quelli di artiglieria e genio;
formazione di 24 compagnie alpine, su base territoriale, riunite in
7 riparti divenuti, nel 1874, battaglioni (') ;
ordinamento deirartiglieria da fortezza in 4 reggimenti di 15 com-
pagnie, e di quella da campagna in IO reggimenti di 10 batterie e 3 com-
pagnie treno ('). Alcune compagnie da fortezza furono trasformate in batterie
da montagna. Si stabilì pure la costituzione di alcune compagnie di arti-
glieria da costa (^);
ordinamento del genio in 2 reggimenti, ognuno di 14 compagnie zap-
patori, 4 di pontieri (trasferitivi dall'artiglieria), 2 di ferrovieri e 3 del
treno ;
conferimento del carattere di ufSciale e del grado effettivo ai medici,
commissari, veterinari e contabili. Di questi ultimi, con B. D. del 3 ot-
tobre 1872, erasi formato un corpo a sé, mentre, per lo innanzi, le funzioni
contabili presso i corpi di truppa erano disimpegnate da uflBciali com-
battenti.
Per la costituzione cianica, determinata dalle due leggi di cui si è
discorso, la forza deir esercito permanente, nello stato di pace, fu stabilita
in 224,323 uomini (130 ufficiali generali; 1223 ufficiali superiori; 10,834
ufficiali inferiori; 16,431 sottufficiali; 192,836 caporali e soldati; 2870 im-
piegati di vario grado non militari), e 26,228 cavalli.
La medesima legge previde la costituzione della milizia mobile, ossia :
900 compagnie di feinteria e 60 di bersaglieri, aventi per centri di forma-
zione i distretti a cui gli uomini appartenevano per la leva ; 60 compi^ie
d'artiglieria e 10 del genio, aventi quali centri di formazione i corpi me-
desimi dove i militari avevano già prestato servizio.
I quadri organici sul piede di guerra potevano contenere nell'esercito
permanente una forza di 350,000 uomini ripartiti in 10 corpi d'armata,
ciascuno di due divisioni, con 800 pezzi d'ai*tiglieria campale. Se non che,
in ragione dei crediti per allora assegnati al bilancio, si potevano prelevare
65,000 uomini soltanto per il contingente annuo di prima categorìa. Otto
di tali contingenti concorrevano a formare l'esercito di prima linea, il quale,
per conseguenza, deducendo le perdite, avrebbe avuto la forza massima
(') Con R. D. del 15 ottobre 1872 erano state già forinate 15 compagnie alpine a
guardia della frontiera occidentale e settentrionale ; e questa istituzione, dimostratasi uti-
lissima, fu subito imitata dalle potenze confinanti.
(') Nel 1873 fu adottato il cannone di bronzo da 7 era. a retrocarica, ma ne furono
armate solo le due prime batterie d*ogni brigata; le altre sostituirono il materiale da 9,
con quello da cm. 12.
(*) Una compagnia era stata già formata con R. D. 15 gennaio 1878, col nome
di 6*^ compagnia operai da costa.
62 FIORENZO BAVA-BECCARIS
complessiva di 300,000 combattenti, alimentato da 8 classi di seconda ca-
tegorìa, cioè da altri 200,000 uomini circa. La milizia mobile comprendeva
250,000 nomini. In complesso adnnque, secondo il nnovo ordinamento, le
forze disponibili per la guerra contavano 750,000 uomini.
AlV aumento dei quadii subalterni, per una massa così imponente di
gregari, fu provveduto coU'istituzione degli ufficiali di complemento, tratti
dai sottufficiali congedati dopo 12 anni di servizio, o dai volontari di un
anno.
Giova ora feir sommaria menzione di quanto venne stabilito per rin-
forzare la compagine morale ed intellettuale deiresercito, e specialmente
dei quadri, e per rialzare il sentimento di responsabilità e d'iniziativa di
questi ultimi, rammentando: le disposizioni ministeriali relative alla
libertà d*azione dei comandanti di reggimento, di battaglione e di com-
pagnia ; la legge che détte facoltà al ministro di collocare a riposo gli
ufficiali inadatti al servizio attivo, e la conseguente miglioria di carriera
negli ufficiali rimanenti (^) ; le disposizioni per sviluppare 1* istruzione negli
ufficiali (perfezionamento delle scuole sia superiori che professionali, c<)rsi
d'istruzione per Tavanzamento da tenente a capitano, istituzione degli esami
per la promozione da capitano a maggiore, invio di ufficiali all'estero per
istudiarvi le istituzioni militari) ; la pubblicazione di un nuovo regolamento
di disciplina contenente disposizioni piti consone allo spirito nuovo dei
tempi; i provvedimenti intesi a migliorare il reclutamento dei sottufficiali
(istituzione dei battaglioni distruzione) ed a provvedere all'avvenire dei sottuf-
ficiali stessi (ammissione nelle scuole di fanteria e cavallerìa pei meritevoli di
divenire ufficiali; facilitazione per gli alfcri a conseguire un impiego dopo il 12®
anno di servizio) ; le disposizioni per diminuire l'analfabetismo nell'esercito.
L* istruzione generale si avvantaggiò pure grandemente coi grandi campi
di istrugione, che si eseguirono in quegli anni, e colla pubblicazione della
istruzione per l'ammaestramento tattico delle truppe di fanterìa, che segnò
un progresso nell'impiego degli ordini tattici moderni.
Nel 1873 si chiuse il periodo di queste trasformazioni cianiche, le
quali gittarono le basi d'un esercito più numeroso e più ordinato. Negli
anni successivi, fino al 1876, le nuove istituzioni militari presero radice tanto
nell'esercito quanto nelle popolazioni, e se ne curò a grado a grado il mi-
glioramento a seconda che le necessità e l'esperienza imposero.
Così, fra le innovazioni prìncipali di questo tórno di tempo, vi fu la piena
e completa applicazione del servizio personale obbligatorio stabilito con la
(■) Durante la campagna del 1866 ]a formazione di nuovi reparti cagionò un no-
tevole aumento di quadri e conseguenti promozioni e nomine di nuovi ufficiali, coiiì che
alla conclusione della pace di ufficiali sì ebbe tanta esuberanza, che molti furono collo-
cati in disponibilità o in aspettativa, e le carriere ne risultarono notevolmente ritardate.
ESERCITO ITALIANO ^3
legge del 7 giugno 1875. Venne di conseguenza abolito il passaggio alla
2* categoria mediante pagamento; si istituì la 3^ categoria per gli esenti
per. titoli di famiglia ; si portò a quindici anni la durata totale dell'obbligo
militare con conseguente passaggio alla milizia territoriale d^li uomini di
1» e 2* categoria, dopo aver compiuto il servizio nelV esercito permanente
e nella milizia mobile ; Tenne lasciata la ferma di cinque anni solo per la
cavalleria, riducendola a tre anni per le altre armi.
La legge 30 giugno 1876, creò la milizia territoriale e la milizia co-
munale, abolì la guardia nazionale, conservando in vigore per tre anni
la legge 4 agosto 1861 che dava facoltà di mobilitarne 220 battaglioni se
le necessità l'avessero consigliato.
Altre importanti disposizioni vennero emanate in questo periodo^ quali :
la legge per la requisizione dei quadrupedi; le istruzioni per la mobilita-
zione e la formazione di guerra, i regolamenti d'istruzione e di servizio interno.
Inoltre, durante l'amministrazione del generale Ricotti venne rinnovato
l'armamento dell'esercito (0; iniziata la costruzione d'una fabbrica d'armi
a Terni; cominciate le fortificazioni, sia terrestri (per la difesa della fron-
tiera occidentale), sia marittime (attorno al golfo della Spezia); ampliatala
fonderia di Torino; acquistato materiale di artiglierìa, sia di gran potenza
sia da campagna (*) ; provvisti oggetti di mobilitazione, cioè carreggio,
attrezzi di accampamento, viveri di riserva ; e finalmente venne posto mano
ai lavori necessari per tracciare la carta topografica del niezz(^iorno.
L'opera dell'amministrazione della guerra nel decennio 1876-86 fu, in
complesso, di sviluppo e di perfezionamento progressivo del sistema iniziato
dal gen. Ricotti. Nove volte cambiò il ministro in quei dieci anni (^), ma
l'indirizzo rimase sempre lo stesso, ed il bilancio della guerra andò gra-
datamente aumentando in modo che fu possibile provvedere parzialmente
(^) Fin dal 1869 vennero eseguite esperienze comparative fra tre nuovi tipi di fucile
a retrocarica di piccolo calibro, cioè sui fucili raod. Burton, mod. Valdocco e inod. Wet*
terlj; e, nel marzo 1870, a tali tipi si aggiunsero quelli mod. Remington e Wcrndl. Per
i risultati di tali esperienze venne adottato il Wetterly del cai. di mm. 10.35, fucile che
per la robustezza di costruzione, per la giustezza, gittata e radenza di tiro, costituiva una
delle armi migliori fra quelle adottate allora dagli eserciti europei.
(') Nel 1876 fu adottato il cannone da 9 di acciaio, rigato cerchiato, a retrocarica,
che sostituì quello da 12 cm. Nel 1880 Tartiglieria campale subì una trasformazione ra*
dicale, poiché, al cannone da 7 cm. mod. 1873, fu sostituito quello in bronzo compresso
che ne accrebbe notevolmente Tefficacia; e vennero adottati il cannone da 9 cm. di bronzo,
a retrocarica, con affusto in lamiera, in luogo dì quello di legno mod. 1844, e il cannone
da 7 cm. da montagna.
(") Mezzacapo dal 25 marzo 1876 al 24 marzo 1878; Bruzzo dal 24 marzo 1878 al
19 ottobre 1878; Bonelli dal 19 ottobre 1878 al 19 dicembre 1878; Mazè de la Roche
dal 19 dicembre 1878 al 14 luglio 1879; Bonelli dal 14* luglio 1879 al 13 luglio 1880;
Acton dal 18 luglio 1880 al 27 luglio 1880; Milon dal 27 luglio 1880 al 25 marzo 1881;
Ferrerò dal 4 aprile 1881 al 23 ottobre 1884 ; RicoUi dal 23 ottobre 1884 al 4 aprile 1887.
64 FIORENZO BAVA-BECCARIS
anche all'assetto difensivo del territorio, iniziando la costruzione del campo
trincerato di Boma e dei forti di sbarramento della cerchia alpina. Oltre
poi a qnesto lavoro palese, intenso fh quello di preparazione alla guerra, per
quanto ha tratto alla mobilitazione.
Nel 1877, il ministro Mezzacapo, per accostare maggiormente Tordi-
namento di pace a quello di guerra, modificò la legge del 1878 sulla cir-
coscrizione territoriale militare, così da mettere in armonia il numero dei
grandi comandi di pace con quello delle grandi unità di guerra dell* esercito
permanente. La legge relativa (22 marzo 1877) determinò la circoscrizione
territoriale militare per il servizio generale, così:
10 comandi di corpo d'armata, in luogo di 7 comandi generali;
20 comandi di divisione, in luogo di 16;
74 distretti militari (^);
20 comandi superiori dei distretti.
Con legge del 28 luglio 1876 le compagnie alpine furono accresciute
a 36 e raggruppate in 10 battaglioni, con forza permanente di guerra.
Le gravi preoccupazioni sòrte nella opinione nazionale dopo gli avveni-
menti connessi al trattato di Berlino : il fatto che quasi tutti gli altri Stati
avevano in armi un corpo d'armata di due divisioni per ogni due milioni
circa di abitanti, ed in confronto l' Italia, con quasi 30 milioni, non aveva,
dopo l'annessione del Veneto e di Roma, aumentato le proprie forze, indussero
nel 1882 le classi dirigenti a dare all'esercito un ordinamento più vasto.
Perciò, essendo ministro il generale Ferrerò, il parlamento approvò la crea-
zione di due nuovi corpi d'armata con le due nuove leggi snll'ordinamento
(29 giugno 1882) e sulla circoscrizione militare territoriale (8 luglio 1883),
per effetto delle quali l'esercito risultò, nel 1884, così formato:
Fanteria . . — 96 reggimenti di linea, riuniti in 48 brigate, delle quali
8 nuove: Boma, Torino, Venezia, Verona, Friuli, Sa-
lerno, Basilicata, Messina, coi reggimenti numerati
da 79 a 94. Ogni reggimento di 3 battaglioni di
4 compagnie;
12 reggimenti bersaglieri, di 3 battaglioni di 4 compagnie;
6 reggimenti alpini (20 battaglioni, 72 compagnie) varia-
mente composti (di 3 0 4 battaglioni, ognuno di 3 o
4 compagnie);
87 distretti con 98 compagnie permanenti.
(*) La legge del 6 dicembre 1877 ne portò il numero a 78; quella del 6 luglio 1879
a 81, e finalmente quella II J3 settembre 1882 a 82.
ESERCITO ITALIANO ^5
Cavalleria. — 22 reggimenti, fra cui due nuovi, Padova (21") e Catania
(22''), raggruppati in 5 brigate. Ogni reggimento di
6 squadroni.
Artiglieria. — 12 reggimenti artiglieria da campagna: ogni reggimento
di 3 brigate (10 batterie), una brigata treno di 3 com-
pagnie e un deposito;
5 reggimenti artiglieria da foiiezza : ogni reggimento di
3 brigate (12 compagnie da fortezza o da costa) e
un deposito: 2 reggimenti hanno in più una brigata
di 4 batterie da montagna;
2 brigate d ai-tiglieria a cavallo (4 batterie).
Genio .... — 4 reggimenti divisi per specialità:
1<» e 2® zappatori: ogni reggimento di 4 brig. (14 com-
pagnie), 2 compagnie treno e un deposito;
3^ reggimento di una brigata ferrovieri (4 compagnie):
2 brigate telegrafisti (6 compagnie), una brigata zap-
patori (4 compagnie): 2 compagnie treno e un deposito;
4* reggimento pontieri : 2 brigate pontieri (8 compagnie),
una brigata lagunari (2 compagnie) : una brigata treno
(4 compagnie) e un deposito.
Per quanto riguarda la milizia mobile, la legge del 1882 ne fissò i
quadri corrispondenti a metà circa di quelli dell'esercito permanente; cioè:
48 reggimenti di ftnterìa, 18 battaglioni bersaglieri, 36 compagnie
di alpini;
13 brigate artiglieria da campagna (52 batterie e una compagnia
treno), 4 batterie da montagna;
32 compagnie d*artiglieria da fortezza e da costa, 4 batterie da
montagna ;
16 compagnie zappatori del genio, 3 di telegrafisti, 2 di ferrovieri,
4 di pontieri;
12 compagnie di sanità, 12 di sussistenza.
In queste truppe non furono compresi i reparti della Sardegna, che si
ordinarono localmente in milizia speciale per poter contare in guerra su una
più pronta ed efficace difesa dell'isola mediante tutti gli elementi colà
disponibili, compresi i richiamati dell* esercito permanente, che all'atto della
mobilitazione non si era certi di poter trasportare nel continente. Tale milizia,
composta delle classi di milizia mobile e di quelle in congedo dell'esercito
permanente, di 1* e 2* categoria, comprendeva 3 reggimenti di fanteria,
un battaglione di bersaglieri, uno squadrone di cavalleria, 2 batterie da cam*
pagna, una compagnia di artiglieria da fortezza, una compagnia genio, una
di sanità, e una di sussistenza.
FiORiMZO Bàvà-Bscoaris. — Eteretto italiano tee. 5
66 FIORENZO BAVA-BECCARIS
Con la stessa legge si riordinò la milizia territoriale in 320 battaglioni
di fanteria, 30 battaglioni di alpini (72 compagnie), 20 brigate d'artiglieria
da fortezza (100 compagnie), 6 brigate del genio (20 compagnie), 13 com-
pagnie di sanità e 13 di sussistenza (una per la Sardegna).
Tutti questi proY?edimenti furono dal ministro Ferrerò studiati col con-
corso del generale Cosenz, da lui chiamato alla carica, allora istituita (B. D.
29 luglio 1889), di capo di stato-maggiore delFesercito.
La circoscrizione territoriale comprese 12 corpi d'armata, 24 divisioni e
il comando militare di Sardegna dipendente dal comando del IX corpo d'ar-
mata (Roma), divenuto piti tardi 25^ divisione. Sulla base dei 12 corpi di
armata furono determinati i servizi di sanità e di commissariato, stante la loro
immediata attinenza coi bisogni delle truppe, mentre per gli altri servizi
si adottarono speciali circoscrizioni, ottenendo 14 direzioni d'artiglieria,
19 direzioni del genio (oltre 4 straordinarie per la marina), 11 legioni ter-
ritoriali carabinieri r., 19 tribunali militari.
Nello stesso anno 1882, con legge del 29 giugno, si modificarono al-
quanto gli obblighi di servizio, riducendo a 4 anni la ferma della caval-
leria; si fissò l'obbligo di servizio nell'esercito permanente pei carabinieri
a 9 anni, di cui 5 alle armi, e la ferma di due anni per una parte del
contingente; si aggiunsero altri casi di esenzione al già lungo elenco dei
sostegni di famiglia; si estese la rivedibilità a due volte. Inoltre la legge
8 luglio 1883 diminuì di un centimetro la statura degli iscritti e stabili
un nuovo criterio per ripai'tire il contingente di 1^ categoria.
Altri atti importanti dell'amministrazione Ferrerò furono : la legge sulla
posizione di servizio ausiliario (17 ottobre 1881), la legge che costituì in
corpo morale l'associazione della Croce rossa (30 maggio 1882), Y istituzione
del tiro a segno nazionale (2 luglio 1882), la formazione di guerra delle
guardie di finanza (24 ottobre 1882), l'istituzione di una scuola d'applica-
zione di sanità militare (16 novembre 1882), la legge sullo stato dei sottuffi-
ciali, la creazione di un ispettore generale della cavalleria (26 luglio 1883)
e l'istituzione dei plotoni di istruzione nei reggimenti di fanteria, bersaglieri,
e alpini, in luogo dei battaglioni di istruzione per il reclutamento dei sottuf-
ficiali (15 novembre 1883); atti che furono completati da altri nella seconda
amministrazione Ricotti (1884-1887). Nel gennaio 1887 il fucile mod. 1870
fu trasformato in quello a ripetizione (0*
(') La trasfurmazionc del fucile mod. 70 in arme a ripetizione fu imposta dal fatto
che le altre nazioni avcirano già armato le proprie truppe o starano per armarle con
fucili a caricamento celere e di piccolo calibro: la Francia col Lebel (1886); rAu&tria
,col M&nnlicher (1888); la Germania col Mauser-Mfinnlicher (I888j. Il 25 gennaio 1887,
in seguito alla buona riuscita degli esperimenti eseguiti presso vari! coi pi, il ministero
determinò che il fucile mod. 1870 fosse trasformato in fucile a caricamento rapido, se*
eondo il sistema del capitano d'artiglieria Giuseppe Vitali. Il fucile prese la denomina-
zione di mod. 70-87.
ESERCITO ITALIANO 67
Si ottenne così un esercito numericamente forte, ma con una proporzione
relativamente scarsa di cavalleria e d'artiglieria, il cai accrescimento era
stato rimandato ad un tempo di più fiorenti finanze. Nel 1887 il generale
Bertolè-Viale, ministro per la seconda volta, preoccupato di tale deficienza
e della difficoltà che avrebbe incontrata la mobilitazione delle batterie su
8 pezzi, presentò al parlamento uno schema di legge per aumentare le
armi a cavallo, per mobilitare le batterie su 6 pezzi e per portare da 80
a 96 i pezzi per ogni corpo d* armata. Oli altri eserciti ne avevano già 96, con
tendenza ad accrescerli. Propose perciò di raddoppiare il numero dei reggi-
menti d'artiglieria da campagna, costituendone altri 12 detti di corpo d'armata,
composti di 2 brigate di 4 batterie ciascuna (una brigata da 7 cm., l'altra da 9)
con 2 compagnie treno, e 12 detti di divisione, con 2 brigate di 4 batterie
(tutte da 9) e 2 compagnie treno ; di riunire le batterie da montagna in un
reggimento di 3 brigate (9 batterie).
Il progetto contemplava ancora la formazione di due nuovi reggimenti
cavalleggeri, per poter mobilitare 3 divisioni di cavalleria (12 reggimenti)
ed assegnare un reggimento a ciascun corpo d*armata ; ma poiché mancava la
cavalleria per le grandi unità di milizia mobile, proponeva la formazione
di uno squadrone di riserva per ognuno dei 24 reggimenti, da costituirai dal
deposito appena indetta la mobilitazione. Per provvedere d'artiglieria le 3
divisioni di cavalleria, si aumentavano da 4 a 6 le batterie a cavallo, rac-
cogliendole in reggimento di 3 brigate con 4 compagnie treno, destinate a
fornire in guerra i scitìzÌ generali al comando supremo, alle armate e alle
divisioni di cavalleria.
Tutti questi provvedimenti ed altri che aumentarono il corpo degli alpini,
le compagnie da fortezza e da costa e le truppe del genio, vennero sanciti
colla legge del 23 giugno ; e questa si coordinò con la preesistente, nel testo
unico in data 3 luglio 1887 (^). Detta legge in alcuni punti toccava anche l'or-
dinamento delle milizie; riduceva cioè a 22 compagnie gli alpini della milizia
mobile (una per ogni battaglione permanente) ; costituiva quelli della milizia
territoriale in 22 battaglioni di 75 compagnie, come per l'esercito permanente ;
formava 9 batterie da montagna di milizia mobile presso il rispettivo reg-
gimento; aumentava da 1 a 86 le compagnie da fortezza della stessa milizia
e da 1 a 4 quelle della milizia speciale di Sardegna; portava da 16 a 21
le compagnie del genio della milizia mobile, e da 20 a 30 quelle della ter-
ritoriale; sanciva infine altre disposizioni di minor conto.
(') Si ebbero così le variazioni seguenti airordinamento del 1882: Alpini: 7 reg-
gimenti (22 battaglioni, 75 compagnie); Cavalleria: 24 reggimenti, fra cui due nuovi
(Umberto I 23*; Vicenia 24®): Artiglieria: 24 reggimenti campali, 1 da montagna, 1 a
cavallo; Genio: 4 reggimenti divisi per specialità: 1® e 2<* zappatori di 18 compagnie,
1 compagnia treno e un deposito; 3*^ reggimento di 7 compagnie zappatori. 6 telegrafisti,
1 specialisti, 3 del treno e l deposito; 4** reggimento di 8 compagnie pontieri, 4 ferro-
vieri, 2 lagunari, 3 del treno e 1 deposito.
68 FIORENZO BAVA-BBCCARIS
Qaeste modificazioni andarono compiendosi nei saccessivo anno 1888,
anno in cui venne modificata ancora la legge snl reclutamento (leggi dell'I
e deirs marzo).
In questo perìodo incominciò l'espansione coloniale dell'Italia in Africa.
Nel 1885 ayyenne la prìma spedizione (col. Saletta), seguita presto da
altre; poi, dopo il fatto di Dogali, 1* att^giamento aggressivo del negus
Giovanni indusse il governo a inviare importanti rinforzi e determinare, con
legge del 10 luglio 1887, Ut costituzione di un corpo speciale delle truppe
d* Africa che fu posto al comando del generale di San Marzano (13 battaglioni
di fanteria, 8 di bersaglieri, 1 squadrone cacciatori, 6 batterie, 2 compagnie
del genio). Dopo la ritirata delle truppe abissine (aprile 1888) il grosso della
spedizione italiana rimpatriò, e il corpo speciale fu ridotto a pochi battaglioni.
Dopo la creazione dei due corpi d'armata, il bilancio della guerra, che
nel 1882 era di 288 milioni, sali, nel 1888-89, con le spese straordinarie,
a 408 milioni. Ma, Taumento delle spese per i vari servizi pubblici, il con-
tinuo diminuire delle pubbliche entrate, l'impossibilità di applicare nuove
imposte 0 di esacerbire le esistenti, indussero a una riduzione geneitile dei
bilanci a cui non potè' sottrarsi quello della guerra. Perciò il ministro Pelloux,
succeduto il 6 febbraio 1891 al generale Bertele -Viale, espose un programma
di strettissime economie, pur dichiarando di voler mantenere immutato l'or-
dinamento precedente. Per fronteggiare intanto le momentanee esigenze fi-
nanziarie e per non diminuire ì corpi d'armata, ridusse notevolmente, durante
parte dell'anno, la forza alle armi, anticipando nel 1891 i congedamenti e
ritardando nell'anno successivo la chiamata delle reclute sino alla primavera ;
espediente questo che, continuato poi, condusse al così detto sistema dei pe-
riodi di fona massima e di fona minima (^).
Il ministro propose poi riforme d'ordine puramente amministrativo, im-
piegando a prò dei servizi che piti ne avevano bisogno le economie che pote-
vano risultare, e propose che il bilancio fosse consolidato nella cifra di 246
milioni, di cui 7 per TEritrea.
Questo programma, accettato dalla Camera, stava per essere attuato,
quando il 24 novembre 1898 cadde il ministero Pelloux (^).
(^j La giunta del bilancio accettò a malincuore questo sistema anzi: propose che,
per far fronte alle angustie economiche in queiranno, la leva fosse fatta incorporando le
reclute nei reggimenti vicini ai distretti. Ma il ministro non accettò Tidea, per non creare
un precedente che avrebbe potuto essere invocato altre volte, e temendo che con ciò si
venisse a toccare la grave questione del reclutamento territoriale.
(') Durante il minis>tero Pelloux vennero adottati i nuovi regolamenti di servizio
intemo, di esercizi e di servizio in guerra basati sul principio d*una piii equa riparti-
zione delle responsabilità in tutti i gradi della gerarchia. Il 29 marzo 1892, le armi a
piedi furono armate col fucile mod. 1891 che presentava allora, e presenta tuttora, ottime
qualità balistiche e di fabbricazione.
ESERCITO ITALIANO ^^
Il generale Mocennì, nuovo ministro, acconsentì a diminuire di 16 mi-
lioni il bilancio, e nel novembre 1894 emanò alcuni decreti-legge da applicare
immediatamente, in attesa della approvazione delle Camere. I decreti-legge
condussero a importanti modificazioni deirordinamento dell* esercito nella
circoscrizione territoriale, negli stipendi, nelle indennità degli ufficiali e della
truppa, neirordinamento del personale dell'amministrazione centrale della
guerra.
Le polemiche sollevate dalla stampa impedirono di mettere in vigore
le modificazioni riguardanti la circoscrizione territoriale ed i distretti, prima
di aver ricevuta Tapprovazione dal Parlamento; ma gli altri decreti ebbero
effettiva esecuzione.
Per la diminuzione della forza bilanciata fu applicata su vasta scala
la ferma di due anni, congedando una parte della classe dopo il secondo
periodo d'istruzione e lasciandone un'altra in congedo illimitato sino alla
chiamata della seguente; di guisa che» contando i volontari, i rivedibili e
gli uomini per qualunque motivo già in servizio, appena il terzo del contin-
gente poteva fruire di tre periodi d* istruzione.
La situazione fu aggravata dalla necessità d'inviare numerosi rinforzi
neir Eritrea, improvvisando reparti in cui erano raccolti uomini provenienti
da tutti i corpi dell* esercito.
I decreti-le^e approvati dalla Camera dei deputati, con la riserva che il
reclutamento dovesse conservale integralmente il carattere nazionale, stavano
per essere discussi al senato, allorché nel marzo 1896, in seguito alla bat-
ti^lia di Adua, cadeva il gabinetto Crispi, ed al genei-ale Mocenni succedeva,
nel gabinetto Di Budini, il generale Ricotti. Questi, dichiarò che col bilancio
di 225 milioni, escluse le pensioni e le spese d'Africa, non assumeva la re-
sponsabilità di conservare Tesercito in 12 corpi d'armata: ma con quella
somma ch'era stabilita dal ministero precedentemente, avrebbe assunto la
responsabilità del potere, riducendo o i corpi d'armata o un equivalente
numero di compagnie, squadroni e batterie. Infatti, pur lasciando l'esercito
ripartito in 12 corpi d'armata e 25 divisioni territoriali, propose, per ciascun
arma, l'organico seguente:
Arma di fanteria: 82 comandi di brigata di fanteria di linea, 8 co-
mandi di brigata alpina, 96 reggimenti fanteria di linea, 8 reggimenti ber-
saglieri, 8 reggimenti alpini, 88 distretti militari, compagnie di disciplina ecc.
Ogni reggimento di fanteria di linea sarebbe stato composto di uno stato
maggiore, 3 battaglioni (ciascuno di 3 compagnie) e un deposito ; i reggimenti
bersaglieri e alpini simili a quelli di fiinteria, ma con un deposito di piti per
ciascuno. I distretti avrebbero costituito in tutto 91 compagnie.
Arma di cavalleria: Un ispettorato, 7 comandi di brigata, 24 reggi-
menti, 4 depositi allevamento cavalli ; ogni reggimento costituito da uno stato-
maggiore, 4 0 5 squadroni e un deposito. In totale, 108 squadroni.
70 FIORENZO BAVA-BECCARIS
Arma di artiglieria: Un ispettorato generale, 5 ispettorati, una direzione
delle esperienze e scuola centrale di tiro, 8 comandi d*artiglierìa, 12 dire-
zioni territoriali, 18 reggimenti da campagna, 1 reggimento a cavallo, 2 reg-
gimenti da montagna, 5 reggimenti da fortezza, 4 compagnie operai. Compo-
sizione dei reggimenti d'artiglieria da campagna : 1 stato maggiore, brigate
di 2 0 3 batterie e compagnie treno, 1 deposito. In totale: 112 batterie e 36
compagnie treno ; per Tartiglieria da fortezza, analogamente.
Arma del genio : Un ispettorato generale, 2 ispettorati, 4 comandi terri-
toriali, 15 direzioni, 5 reggimenti. In totale: 22 brigate, 65 compagnie,
7 compagnie treno.
Per compensare in qaalche modo la diminuzione delle unità perma-
nenti, si sarebbero aumentate quelle di milizia mobile. Il corpo d'armata
di guerra sarebbe risultato, così, costituito da 9 reggimenti di fanteria,
1 di cavalleria, e 9 batterie; con un complesso di 22,300 fucili, 630 cavalli
e 72 pezzi.
I comandi dì divisione sarebbero stati soppressi, continuando tuttavia
a sussistere quali autorità territoriali per il tempo di pace.
Questo disegno di legge era stato già approvato dal senato dopo una
lunga e seria discussione, e presentato alla Camera la cui commissione aveva
già riferito in senso favorevole, quando una crisi politica indusse il generale
Bicotti a lasciare il portafoglio. Questo veniva accettato TU luglio 1896
dal generale Pelloux, il quale, contrario alla diminuzione, sia dei corpi d'ar-
mata che delle unità elementari, propose di mantenere lo $tata quo, a condi-
zione che fossero concessi i mezzi da lui ritenuti suflBcienti, cioè 239 mi-
lioni, e che le spese d'Africa, eventuali, non fossero più comprese nel bilancio
della guerra. Il progetto Pelloux, presentato nell'ottobre 1896, aveva spe-
cialmente di mira di conservare 12 corpi d'armata, di trasformare ì distretti
militari, di consolidare i quadri della milizia mobile, di ridurre e sempli-
ficare gli organi amministrativi e i contabili, di aumentare i quadri delle varie
armi, di aumentare la forza bilanciata.
II ministro sperava di portare gradualmente la forza bilanciata a
215,000 uomini, chiamando nel marzo le reclute alle armi a piedi e conge-
dando la classe anziana in ottobre ; mantenendo la forza delle compagnie di
fanteria di circa 100 uomini per sette mesi dell'anno (forza massima), e di
60 durante i 5 mesi rimanenti (forza minima).
Nella discussione del progetto, l'attenzione del parlamento si concentrò
particolarmente su questi tre punti: forza delle compagnie, sistema misto
di reclutamento e di mobilitazione, trasformazione dei distretti. La que-
stione della forza delle compagnie provocò numerose discussioni ed appas-
sionò vivamente gli spiriti ; il generale Pelloux sostenne che il numero delle
attuali compagnie costituiva il minimum indispensabile per la difesa del
ESERCITO ITALIANO 71
territorio; e poiché il bilancio dod permetteva di tenerle numerose in
pace, bisognava rassegnarsi ad organici di pace limitati, capaci però di in-
quadrare in guerra tutti gli uomini disponibili.
Per conciliare poi il voto del parlamento, che imponeva di conservare
il reclutamento nazionale, con le necessità della mobilitazione, che richiede-
vano un rapido completamento, propose un sistema speciale, col quale gli
inconvenienti inerenti al sistema misto (nazionale per il reclutamento e re-
gionale per la mobilitazione) erano attenuati mediante una particolare rota-
zione dei cambii di guarnigione; sistema che durò sino al 1905, anno in
cui si ritornò semplicemente al sistema misto.
Per la trasformazione dei distretti, il ministro Pelloux propose di affi-
dare ai depositi dei reggimenti di fanteria e di bersaglieri tutte le operazioni
concementi la loro mobilitazione e quella delle unità di milizia mobile cor-
rispondenti, analogamente a quanto già si praticava per la cavalleria, per
r artiglieria e per il genio. Così i distretti, semplici organi di reclutamento
in tempo di pace, sarebbero stati in guerra incaricati soltanto della requi-
sizione dei quadrupedi e della formazione delle unità di milizia territoriale.
L*ordinamento Pelloux, senza richiedere alla nazione sacrifìct pecuniarii
troppo considerevoli, si sperava permettesse di mantenere organici di pace
abbastanza forti, affinchè Tistruzione potesse svilupparsi completamente in
7 mesi deiranno; di più, con le disposizioni relative ai depositi ed ai di-
stretti, mirava a facilitare le operazioni di mobilitazione ; infine, neirintento
di aumentare la consistenza della milizia mobile, provvedeva a costituire
una pai-te notevole dei quadri ad essa occorrenti, mediante ufficiali deir eser-
cito permanente.
Tutte queste proposte vennero sancite dalla legge del 28 giugno 1897,
secondo la quale Tesercito permanente rimase ordinato in 12 corpi d'armata
e in 25 divisioni territoriali, e costituito principalmente come segue :
Fanteria. . — 96 reggimenti di fanteria di linea (1152 compagnie e 96
depositi), riuniti in 48 brigate ;
12 regg. bersaglieri (144 compagnie e 12 depositi) ;
7 regg. alpini (75 compagnie e 7 depositi);
88 distretti militari (soppresse le 96 compagnie permanenti).
Cavalleria. — 24 regg. (144 squadroni e 24 depositi) ;
4 depositi d'allevamento (mentre prima erano 6).
Artiglieria. — 24 regg. da campagna (186 batterie, 36 compagnie treno
e 24 denositi):
e 24 depositi);
1 regg. d artiglieria a cavallo (6 batterie, 4 compagnie treno
e 1 deposito);
deposito) ;
72 FIORENZO BAVA-BBCCARIS
Genio .... — 5
1 regg. d'artiglierìa da montagna (15 batterìe e 1 deposito);
22 brigate d* artiglierìa da costa e da fortezza (78 com-
gnie) (»).
reggimenti (60 compagnie, 10 compagnie treno e 5 de-
positi) («) ;
1 brigata ferrovieri (6 compagnie).
Inoltre 12 legioni di carabinierì reali, 12 compagnie di sanità, 12
compagnie di sussistenza, ecc.
Alla milizia mobile si aumentarono 2 battaglioni bersaglieri e 16 com-
pagnie alpine; si sostituirono 81 squadroni di milizia ai 25 di riserva
precedentemente previsti; si aumentarono 9 batterie da campagna (di cui
6 in luogo di quelle ti-asformate in batteria da montagna), 38 compagnie
d'artiglieria da costa e da fortezza e 9 compagnie treno; si formarono 32
compagnie del genio.
Quanto alla milizia territoriale, la principale modificazione consistè nel-
Taumento di 4 battaglioni.
Nel decennio successivo al 1898 (^) nessuna legge segnò modificazioni
di rilievo airordinamento generale dell'esercito. Ma in questi anni me-
desimi venne producendosi una crisi, tanto nei quadri degli ufficiali, quanto
in quelli dei sottufficiali. Nei primi, gli aumenti avvenuti dal 1882 al
1888 in conseguenza dell* accrescimento dei corpi d'armata, e le conse-
guenti larghe promozioni ed ammissioni straordinarie, avean prodotto un'ec-
cezionale lunga permanenza nei gradi inferiori ; nei secondi, un gran numero
(*) Si sanzionarono le disposizioni dei decreti-legge del 6 novembre 1894, e cioè:
soppressione di 6 batterie da campagna e creazione di 6 batterie da montagna; scio-
glimento dei 5 reggimenti d'artiglieria da fortezza e dei loro depositi, e formazione di
22 brigate autonome da costa e da fortezza, le cui compagnie erano state portate a 76. Con
legge del 21 luglio 1902, le brigate da costa e da fortezza furono nuovamente riunite in
reggimenti.
(') Si sanzionarono le disposizioni dei decreti-legge del novembre 1894 In forza di
essi era stato creato il 5^ reggimento genio, separando le duo specialità: zappatori e mi-
natori, ed alleggerendo i due primi reggimenti che comprendevano 18 compagnie e co-
stituivano corpi di difficile comando. Inoltre era stata resa autonoma la brigata ferro>ieri,
accrescendola di 2 compagnie; e infine creata una nuova compagnia specialisti.
(*) In questo periodo furono ministri i generali seguenti: Asinari di San Marzano
(14 dicembre 1897-4 maggio 1899); Mirri (14 maggio 1899-7 gennaio 1900) Pelloui (reg-
gente 7 gennaio 1900-7 aprile 1900); Ponza di S. Martino (7 aprile 1900-27 aprile 1902);
Ottolenghi (14 maggio 1902-29 ottobre 1903); Pedotti (3 novembre 1903-22 dicembre
1905); Mainoni d'Intignano (24 dicembre 1905-27 maggio 1906); Vigano (29 maggio
1906-29 dicembre 1907).
ESERCITO ITALIANO 73
d'individui che avevano conseguito il diritto airimpiego civile non pote-
vano ottenerlo poiché non erano disponibili i posti occorrenti. Per rime-
diare a tale stato di cose furono attuati yarii provvedimenti legislativi,
quali la legge per Tavanzamento (luglio 1896), che stabilì anche i li-
miti massimi di età; la legge per la promozione straordinaria di 400 te*
nenti di fanteria e per la concessione dell'aspettativa speciale ad altret-
tanti capitani (luglio 1902); le numerose modificazioni alla legge sullo
stato dei sottufficiali (luglio 1902, giugno 1904, maggio 1905, luglio 1906,
luglio 1007, luglio 1908), coordinate poi tutto in un testo unico pubblicato
con R. D. 6 maggio 1909; il provvedimento per gli ufficiali inferiori circa
Taumento degli stipendi e la sostituzione deiraumento quinquennale al-
Vaumento sessennale, e circa Tistituzione del congedo provvisorio (luglio 1904);
le altre modificazioni agli stipendi ed agli assegni fìssi degli ufficiali
(luglio 1908); l'estensione deiraspettativa speciale ai capitani di tutto le
armi, e la limitazione a 15 anni (dalla data di anzianità a sottotenente
effettivo) della permanenza massima degli ufficiali nei gradi subaltorni
(luglio 1909).
In questo medesimo periodo di tempo altre disposizioni legislative de-
terminarono un mutomento d'indirizzo nell'entità della forza media alle armi.
La chiamata straordinaria di una classe di leva avvenuta neirantunno del
1904 per ragioni d'ordine pubblico, dimostrò come, tanto sotto i riguardi
economici quanto sotto quelli organici, non fosse consigliabile il tenere per
oltre sei mesi dell'anno la forza assottigliata al punto da essere a mala
pena sufficiente al disimpegno dei servizi territoriali; così che il ministro,
generale Pedotti, decise di chiedere al parlamento i fondi necessari per un
adeguato aumento della forza bilanciata. Questo aumento, concesso già per
l'esercizio fìnanziario 1905-1906, segnò un passo importante per il consolida-
mento delle istituzioni militari, al quale concorse pure notevolmente la legge
15 dicembre 1907, votata durante il ministero Vigano, che apporto impor-
tanti modificazioni ai criteri per l'assegnazione alla l^ 2* e 3^ catogoria Q).
Effetto di tale legge fu infatti un notevole accrescimento nel contingente annuo
incorporabile, che da 70,000 uomini crebbe a circa 100,000 di 1^ categoria
e 20,000 di seconda.
Nel 1899 (B. D. 19 luglio) venne istituita una Commissione suprema
mista per la difesa dello Slato « allo scopo di dare alla difesa stessa unità
d'indirizzo e carattere di stabilità, promuovendo e mantenendo tra le più
elevate autorità dell'esercito e della marina il voluto a palamento nelle
più importanti questioni che vi si riferiscono ».
(') Raromentiamo che dal 1891 al 1907 la seconda categoria era di fatto sparita, e
che anche la 1* categoria era scemata notevolmente d*anno in anno, tanto che, mentre
grincorporati della classe 1877 furono 101,068, quelli della classe 1885 raggiunsero ap-
pena il numero di 77,856.
74 FIORENZO BAVA-BBCCARIS
Nel 1906 (R. D. 4 marzo) furono modificate le attribuzioni del capo
di stato maggiore dell'esercito, stabilite col decreto del 29 luglio 1899 (^).
Tuttavia i bisogni deiresercito e Tamministrazione dei bilanci militari
divennero argomento di discussioni sempre più vive nel parlamento e nella
stampa militare e politica; cosicché il ministero Giolitti stabili di nominare
una commissione parlamentare per indagare suirorganizzazione e sulV ammini-
strazione dei servizi dipendenti dal ministero della guerra. Istituita con legge
del 6 giugno 1907, tale commissione fu composta di sei senatori eletti dal
senato, di altrettanti deputati eletti dalla Camera, e di cinque membri no-
minati con decreto reale; e per Tesecuzione del proprio mandato, ebbe
facoltà di eseguire tutte le indagini reputate opportune per l'accertamento della
verità, con poteri eguali a quelli attribuiti dal codice di procedura penale ai
magistrati inquirenti. La commissione doveva riferire al parlamento entro
un anno dalla propria costituzione; ma non avendo potuto in tale tempo
esaurire il compito suo, con legge 28 giugno 1908 venne prorogato il termine
del mandato al 30 giugno 1909. In effetto, le relazioni su svariati argomenti
furono presentate a mano a mano che ne veniva ultimato lo studio, e le ultime
lo furono soltanto nel luglio 1910 (').
Durante l'amministrazione del senatore Casana, succeduto il 29 dicembre
1907 al generale Vigano, fu modificata la composizione della Commissione
(') Il K. D. 4 marzo 1906 ebbe per consegaenza qd accentramento di facoltà sul-
rnfficio del capo di stato maggiore il quale fa elevato alla facoltà di stabilire i concetti
fondamentali a cui deve informarsi la preparazione alla guerra e di preparare i progetti
di operazione da svolgersi dorante e dopo la radunata.
(') I principali argomenti trattati dalla commissione di inchiesta nei vart periodi
furono i seguenti:
1^ relazione (17 maggio 1908): Difesa confini — Sedi dei reggimenti — Assegni
degli ufficiali — Carriere degli ufficiali — Giudizi disciplinari — Heclami — Vettova-
gliamento e indennità truppa — Stato dei sott*ufficiali.
2* relazione (28 giugno 1908): Nuovo materiale dei cannoni da campagna.
3* relazione (15 dicembre 1908) : Ordinamento generale deiresercito e delle varie
armi — Istruzione della truppa.
4* relazione (26 maggio 1909) : Ferma — Operazioni di leva — Funzioni dei distretti
— Allievi sergenti — Volontarii di un anno — Ufficiali in congedo — Amministrazione
generale deiresercito — Questione ippica — Stato degli impiegati civili.
5^ relazione (21 dicembre 1909): Amministrazione centrale della guerra — Pensioni.
6^ relazione (22 marzo 1910): Servizi medico e farmaceutico — Cambii di corpo e
di residenza degli ufficiali — Invenzioni concernenti Tarmamento deiresercito.
7* relazione (28 maggio 1910): Questioni relative alPapplicazione della ferma bien-
nale — Carabinieri reali — Compagnie costiere — Fabbricati e alloggi militari.
S"" relazione (30 giugno 1910): Contratti — Stabilimenti d*artiglieria, del genio, di
commissariato — Istituto geografico militare — Professori e maestri civili — Con
clusione.
ESERCITO ITALIANO 75
suprema mista per la difesa delio Staio (*), istituito il Consiglio dell'eser-
cito (*) (R. decreto 2 febbraio 1908) e modificate ancora, ampliandole. le at-
tribuzioni del capo di stato maggiore deiresercito (R. decreto 5 marzo 1908).
TI 27 marzo 1909 il ministro stesso presentò al senato il nuovo disegno di
legge sullo stato degli ufficiali ; ed il 29 dello stesso mese, alla Camera dei
deputati, quello recante modificazioni al testo unico delle leggi d'ordinamento
deiresercito e dei serviz! dipendenti dell* amministrazione della guerra. Ma es-
sendosi poi il ministro Gasana ritirato dal governo (4 aprile 1909), tali disegni
di legge non giunsero alla discussione.
Il successore, generale Spìngardi, proponendosi di ripresentarli dopo
averli modificati con alcuni emendamenti, ne stralciò subito le disposizioni
riflettenti gli alpini, la cavalleria e Tartiglieria da montagna. Infatti, con
legge del 15 luglio 1909, vennero costituiti 5 nuovi reggimenti di caval-
leria, togliendo uno squadrone a ciascuno degli esìstenti ; aumentate le bat-
terie da montagna da 15 a 24, e riordinate in due reggimenti; formato un
nuovo reggimento di alpini con elementi tolti agli altri e con la creazione
di tre nuove compagnie. La brigata specialisti del genio, che fin allora aveva
fatto parte del 8^ reggimento, venne costituita in ente autonomo.
Con legge del 80 giugno 1910, conseguente a quella del 15 di-
cembre 1907, che aumentava il contingente annuo, venne stabilita la ferma
di due anni, e il 17 luglio 1910 fu promulgata la legge riflettente Tordina-
mento generale deiresercito, legge la quale non fece che ritoccare e am-
pliare Tordinamento precedente secondo le nuove necessità imposte dalla
tecnica militare.
In tal proposito Ton. Di Saluzzo, nella relazione precedente al disegno
di legge, aveva osservato che un esercito vive la vita stessa della nazione
che lo ha creato, e risente in sé quel vario moto che le correnti speciali
attivano nel paese; ma esser necessario che tale moto sia seguito senza sbalzi
repentini, e l'esercito non divenga libero campo alle fantasie sconvolgitrici
di innovatori.
Questo concetto fu confermato nella relazione del ministro Spingardi,
presentata al Senato il 29 giugno 1910: «... a costo anche di sacrificare
personali convincimenti sul migliore assetto ideale dell'esercito nostro, nessuno
sconvolgimento si vuol ora portare al suo ordinamento, reso ormai tradizio-
nale da una quasi trentennale esistenza; si vogliono soltanto rafforzare e
completare quelle parti che col tempo si sono palesate deficienti, sviluppare
(*) Ne Tennero chiamati a far parto il presidente del consiglio dei ministri, i mi-
nistri della gaerra e della marina e i due capi di stato «maggi ore deiresercito e della marina.
(') Il Consiglio deiresercito ebbe per compito di illaminare il ministro salle più
importanti questioni deirordinamento militare, e faron chiamati a fame parte gli ufficiali
generali designati per un comando d*armata, il capo di stato maggiore deiresercito, il
ministro e il sottosegretario di Stato alla guerra.
76 FIORENZO BAVA-BECCARIS
i servizi ora insoiTereuti, allargare i quadri degli ufficiali per un migliore
inquadramento, seguire insomma ì progressi dei principali eserciti esteri, pur
senza abbandonarsi a gare di competizione che stremerebbero le nostre fi-
nanze e si risolverebbero in definitiva nel fiaccare anziché rinvigorire le forze
vive del paese » (*).
Le principali innovazioni introdotte, furono:
Alto comando. — Costituzione, in modo permanente, di quattro co-
mandi d'armata ('). Riconoscimento legale della Commissione suprema mista
per la difesa dello Stato^ e del Consiglio deWesercito.
Arma di fanteria:
1®. Trasformazione dell* ispettorato d^Ii alpini in [spettoralo delle
truppe da montagna (^), e dei tre comandi di gruppo alpino in altrettanti
comandi di brigata alpina.
2^. Formazione di 12 battaglioni ciclisti; conseguente mutamento
nella composizione dei reggimenti bersaglieri che risultarono così costituiti
di 4 battaglioni dì 3 compagnie ciascuno.
3"*. Assegnazione ad ogni reggimento di fanteria di linea e di alpini
di un nucleo di milizia mobile.
(') L^ordinameiito generale in 12 corpi d*armata e 25 divisioni territoriali non venne
infatti modificato. Si ventilò il progetto di togliere alle divisioni le incombenze territo-
riali per affidarle ai comandi di corpo d^armata, lasciando alle prime il solo compito di
vigilare Tistruzione delle truppe e Taddestramento dei reparti delle diverse armi da esse
dipendenti. Ma la commissione parlamentare, esaminatrice del progetto di legge, non trovò
conveniente tale mutamento che avrebbe aumentato il lavoro dei comandi di corpo d*armata
favorendo Taccentrameato amministrativo che si voleva appunto ridurre La relazione della
commissiono medesima aggiunse, che solo nel caso in cni venissero soppressi i Comandi
di brigata, potrebbe esser conveniente togliere alle divisioni le attribuzioni territoriali.
Così pure l'idea di sopprimere il corpo di stato maggiore ponendo in suo luogo
ufficiali in serviiio di stato maggioret come in Francia, non fu approvata dalla commis-
sione la quale si augurò che si provvedesse « a un più equo, logico e illuminato sfrut-
tamento deiringcgiio e deirattività degli ufficiali che al corpo appartengono, tnppo spesso
impiegati in lunghe e penose mansioni burocratiche e sottratti a quel contatto con le
truppe per essi cos\ benefico e da essi cosi vivamente desiderato nel proprio, ben inteso,
interesse professionale ».
(') Neirordinamento precedente, i tenenti generali, che in tempo di guerra dovevano
assumere i comandi di armata, erano semplicemente designati fra i comandanti di corpo
d*armata. Tale sibteraa, oltre che condurre al grave inconvenionte d'uno spostamento nei ti-
tolari dei più elevati comandi all'atto della mobilitazione, non consentiva a tali ufficiali
di dedicare tutti la loro attività airelevatissimo ufficio cui erano destinati, perchè assor-
biti di continuo nelle cure del comando del corpo d^armata.
(3) Coirordinamento precedente, le sole truppa alpine avevano un ispettore a sé,
mentre Tartiglieria da montagna dipendeva dall'ispettorato rispettivo. Un unico ispettorato
delle truppe da montagna permette dì provvedere alle complesse necessità di un'armo-
nica preparazione alla guerra in quelle regioni.
ESERCITO ITALIANO 77
4^. Assegnazione ai depositi di fanteria della formazione dei reparti
di milizia territoriale.
Arma di cavalleria. — istituzione di tre comandi permanenti di
divisione di cavalleria.
Formazione di squadroni di rimonta presso i depositi di allevamento
cavalli.
Arma di artiglieria. — Gostitnzione di un Ispettorato generale^ com-
posto degli ufficiali generali ispettori dirigenti gli studi relativi alle varie
specialità d'arma e di servizio ('), e di un ispettorato delle costruzioni di
artiglieria (').
Aumento di tre comandi di artiglieria da campagna, e di un comando
di artiglieria da foi-tezza.
Ripartizione deirartiglieria da campagna in 36 reggimenti (12 di corpo
d'armata di 6 batterie, e 24 di divisione di 5 batterie, e 1 di deposito). Ri-
costituzione delle sette batterie trasformate in addietro in batterie da mon-
tagna ; formazione di 24 batterie dì deposito per fornire gli elementi essen-
ziali alle batterie di milizia mobile.
Costituzione di due batterie a cavallo, riducendo le esistenti da 6 a
4 pezzi.
Creazione di due reggimenti di artiglieria pesante da campo di 20 bat-
terie in totale.
Ripartizione delVartiglieria da fortezza e da costa in 10 reggimenti,
denominati tutti « da fortezza > (di cui uno più particolarmente adoperato per
il servizio d'assedio), e creazione di 15 nuove compagnie.
Abolizione degli ufficiali delle fortezze.
Suddivisione del personale dell'arma in due categorie, dei combattenti
e dei tecnici, con ruoli distinti (^) ; istituzione di un corso superiore tecnico
di artiglieria (legge 10 luglio 1910).
Modificazioni negli organici del personale civile (ragionieri d'artiglieria
e capi tecnici).
(*) Coirordinamento preesìstente, gli ispettori delle diverse specialità d*anna e di
seirisio costituivano enti separati, qnasi indipendenti dallHspettorato generale, tanto che
nel progetto di legge presentato dal senatore Gaaana questa carica era soppressa e gli
ispettori speciali venivano posti alla dipendenza del capo di stato maggiore deiresercito.
CoU*ordinamento Spingardi, invece, gli ispettori di artiglieria non hanno più distinzione
specifica fra di loro, e, collegialmente riuniti, formeranno la commissione permanente
degli ispettori di artiglieria.
(') L'aver lasciato distinto V ispettorato delle costruzioni, deriva dal criterio per cui
neirarma si è proceduto ad una radicale separazione del ramo tecnico dal combattente.
(*) Il servizio tecnico comprenderà un personale di ufficiali specialmente preparati
alle funzioni di costruttori d'artiglieria, con molo e gerarchia propria, i quali dovranno
aver compiuto un corso tecnico superiore, e prestato per due anni servizio negli stabilimenti.
78 FIORENZO BAVA-BECCAKIS
Arma del qenio. — Costituzione di un ispettorato generale del genio,
analogo a quello dell'artiglieria.
Aumento di un comando territoriale del genio.
Creazione di tre compagnie telegrafisti e di tre compagnie specialisti.
Trasformazione della brigata ferrovieri in reggimento, colFaggiunta di
due compagnie automobilisti.
Modificazione negli organici del personale civile (ragionieri geometri e
capi tecDici).
Distretti. — Trasformazione dei distretti in semplici distretti di re-
clutamento, sopprimendo tutte le funzioni finora disimpegnate, relative alla
mobilitazione (formazione della milizia territoriale e requisizione quadrupedi).
Con altre leggi venne completamente trasformato Tordinamento ammi-
nistrativo deiresercito, abolendo le masse dei corpi, degli istituti e degli
stabilimenti militari, nonché le masse individuali (^), provvedendo direttamente
ai pagamenti delle truppe e dei servizi con gli stanziamenti aunuali di
bilancio.
Fu pure stabilito un fondo di riserva sul quale il ministero potrà, in caso
d' insufficienza di crediti, fare dei prelevamenti, e venne concessa al ministero
stesso la facoltà dì ottenere in casi di bisogni eccezionali, non previsti in bi-
lancio, l'apertura d*un credito sulla tesoreria generale, mediante decreti reali.
Di più, venne mutato l'ordinamento del personale militare ammmistra-
tivo, sostituendolo con un corpo di commissariato per sovraintendere ai ser-
vizi di amministrazione generale e particolare, ai servizi della sussistenza,
del casermaggio, del vestiario, e con un corpo di amministrazione per la te-
nuta dei conti presso determinati reparti. Nel corpo di commissariato poi,
furono compresi ufficiali delle sussisterne militari^ con limitata gerarchia
e con ruoli a parte.
Riassumendo, quando Tordinamento previsto dalla legge del 17 luglio
1910 sarà completamente attuato, la formazione organica dell'esercito di
pace sarà la seguente (') :
(') Le masse erano alimentate dalVassegno del soldato ed avevano la funzione di
provvedere a tutti i var! servizi stabiliti per il mantenimento dei soldati e dei quadru-
pedi di truppa: servizi dandole generale o dMnteresse collettivo {maèza generale)^ wx'^ìzì
del vitto (waMfl rancio), servizio del corredo {mussa vestiario), servizio mantenimento
quadrupedi {massa cavalli), ecc. Le masse, introitando gli assegni fissi e spendendo quanto
occorreva per provvedere ai vari servizi, generavano un credito o un debito, secondo il
costo, sul mercato, dei diversi generi. Ora da parecchi anni, essendo il costo stesso aumen-
tato, e rassegno del soldato essendo invece rimasto stazionario, le masse erano assotti-
gliate, precipitando in un deficit che non potevano più riparare colle sole proprie risorse.
Di qui la necessità di leggi speciali che sanassero questo debito.
Cj Vedi : Tabelle graduali numeriche e di formazione del B. Esercito (1910, bozze
di stampa).
ESERCITO ITALIANO
79
CORPI
Battaglioni
Compagnie»
Squadroni
0 Batterio
PKBSONALE
UlBcUli
Truppa
CaTalli
di truppa
Case militari di S. M. il Re e dei
RR. Principi
Comando del corpo di stato mag-
giore
Comandi territoriali:
12 corpi d*armata
25 divisioni
Carabinieri :
Comando generale deirarma .
11 legioni territoriali. . . .
1 legione allievi
Fanteria :
Ispettorato troppe da montagna
48 comandi di brigata e 8 co-
mandi di brigata alpina
2 reggimenti granatieri .
94 reggimenti di linea .
12 reggimenti bersaglieri
8 reggimenti alpini . .
Cavalleria:
l ispettorato generale di caval-
leria
8 comandi di divisione di caval-
leria
8 comandi di brigata di caval-
leria
29 reggimenti di cavalleria. .
4 depositi allevamento cavalli
7 depositi eavalli stalloni . .
Artiglieria:
1 ispettorato generale d* arti-
glieria
1 ispettorato delle costruzioni
d*artiglieria
6
282
48
26
24
1,129
144
78
145
19
90
108
185
10
668
46
102
180
6,062
792
546
16
1.060
40
14
18
13
27,750
2,251
2,558
120,839
13,872
18,484
25,888
480
584
8,460
268
14
920
114
820
23,107
80
FIORENZO BAVA-BECCARIS
CORPI
Battaclloai
Conpagiiitt,
Squdnmi
0 Battone
PERSONALE
UffioUli
Trappa
CaraUi
di troppa
Segue Artiglieria:
Una direzione delle esperienze
d'artiglieria
9 comandi d*art. da campagna
4 comandi d^artigl. da fortezza
13 direzioni d'artiglieria. . .
36 reggimenti d'artiglieria da
campagna (^)
1 reggimento d'artiglieria a
carallo (*)
2 reggimenti d'artiglieria cam-
pale pesante
2 reggimenti d'artiglieria da
montagna . .
• • •
10 reggimenti d'artiglieria da
fortezza
Stabilimenti d'artiglieria . .
Genio:
1 ispettorato del genio . . .
2 comandi del genio ....
12 direzioni del genio . . .
2 reggimenti del genio zappa-
tori (•)
1 reggimento del genio tele-
grafisti (•)
1 reggimento del genio pon-
tieri (»)
1 reggimento del genio mina-
tori («)
1 reggimento del genio ferro-
rieri (')
1 battaglione del genio spe-
cialisti (*)
Stabilimenti del genio .
5
4
4
3
222
12
20
24
98
27
17
13
13
8
6
4
18
12
72
1,867
68
118
148
498
61
12
19
128
125
83
65
64
59
43
5
24,290
1,406
1,828
3,789
11,735
2,814
2,262
1,480
1,063
1,381
889
15,350
1,054
842
1,878
44
142
82
129
115
12
80
(*; Comprese 36 compagnie treno. — (■) Comprese 4 compagnie treno. — (•) Com-
prese 3 compagnie treno. — (^) Comprese 2 compagnie treno. — (*) Comprese 2 compa-
gnie lagunari e 3 compagnie treno. — (*) Compresa una compagnia treno. — (^) Com-
prese 2 compagnie automobilisti ed una sezione per esercizio di linea. — (*) Compiete
una compagnia operai ed una compagnia treno.
ESERCITO ITALIANO
81
BfttUffUoni
Compagnia,
Squdnmi
PERSONALE
Caralli
CORPI
0 Batterie
Ufficiali
Tmppa
di troppa
88 distretti di reclutamento . .
«^M»
551
«^
____
Corpo invalidi e Teteraui . . .
—
2
11
—
Sanità :
1 ispettorato di sanità . . .
—
9
—
12 direzioni di sanità . . .
—
24
—
27 direzioni di ospedali prin-
cipali, 3 direzioni di ospe-
dali snccursali, 12 compa-
gnie di sanità
12
346
3,652
Commissariato :
1 ispettorato dei servizi di com- 1
missarìato f
12 direzioni di commissariato, /
stabilimenti vari, e 12 com- 1
pagnie di sussistenza . . . i
12
529
3 819
18
Scuole militari
—
429
1,921
1,158
Personale della giustizia militare
^^^
21
—
Istituto geografico militare . .
—
11
—
Stabilimenti militari di pena. .
1
1
49
332
—
Nota, — I 213 ufficiali veterinari, componenti il corpo veterinario militare, sono
compresi nel numero degli ufficiali dei vari comandi, direzioni e corpi.
Tale forza organica raggiunge i 272,629 uomini, ma la forza bilanciata
è, di fatto, inferiore a tale ci&a. Infatti il bilancio 1911-912 (^) provvede a
mantenere alle armi, durante l'esercizio, 240,000 nomini, ossia 32,629 uomini
in meno della forza organica (97,97 Vo)- Limitando il paragone alle quattro
armi combattenti, si hanno i seguenti rapporti:
FOB
ZA
DiFFBRBNZA
organica
biUncUU
MBOlntA
percentuale
Fanteria . . .
. 152.543
132.819
— 19.724
— 12.93
Cavalleria . . .
. 26.189
22.110
— 4.079
— 15.58
Artiglieria. . .
. 43.259
36.948
— 6.316
— 14.61
Genio ....
. 10.430
9.216
— 1.214
— 11.64
Totali .
. 232.421
201.088
— 31.333
— 12.62
(^) Veggasì Allegato n.* 2 allo « Stato di previsione della spesa del ministero deUa
guerra per TeserciKio finanziario 191 1-12 «. La forza organica in esso riportata non cor-
Fiorenzo Bava-Bbooab». — Esercito italitmo eco.
82 FIORENZO BAVA-BECCARIS
La differenza rappresenta una minore forza di 16 uomini circa nelle
compagnie di fanteria, 28 o 29 uomini negli squadroni, 20 nelle batterie, |
12 nelle compagnie del genio. \
La differenza non sarebbe troppo sensibile se gli organici non fossero
già assottigliati tanto, da rimanere inferiori a quelli degli altri eserciti
europei; ma Taumento di 81,000 uomini, quanti ne occorrono per mante-
nere sotto le armi la forza organica, importerebbe una maggiore spesa di
circa 18 milioni.
Airatto della guerra l'ordinamento deiresercito non muta nelle sue linee
generali: i corpi si completano con le classi richiamate dal congedo e coi
cavalli precettati o requisiti ; le grandi unità si costituiscono in massima con
gli stessi corpi da cui sono formate le corrispondenti unità territoriali, alle
quali saranno tolti o aggiunti quegli elementi che eccedono o difettano alla
formazione di guerra.
La legge ultima sulV ordinamento deiresercito, a differenza della prece-
dente (Oi non fissa il numero delle unità di milizia mobile e di milizia ter-
ritoriale, che verranno costituite all'atto della mobilitazione : onde, per otte-
nere la forza approssimativa di guerra, giova meglio presentare in uno specchio
quella (') delle classi istruite, rispettivamente ascritte alFesercito perma-
nente, alla milizia mobile e alla milizia territoriale, nel mese di luglio 1910:
risponde esattamente a qaella indicata nelle tabelle graduali numeriche dalle quali fu
estratto il prospetto; ma la differenza è di lieve entità e dipende dalVepoca diversa in
coi Tennero pubblicati i due documenti.
(') La legge suirordinameuto deiresercito, del 29 giugno 1882, modificata da quella
del 28 giugno 1897, fissava la forza seguente per le unità di milizia mobile e di milizia
territoriale :
Milizia mobile: Fanteria, battaglioni 153; Bersaglieri, battaglioni 20; Alpini, bat-
taglioni 88; Cavallerìa, squadroni 31; Artiglieria, batterìe da campagna 63, batterìe da
montagna 15, compagnie da fortezza 78, compagnie treno 24 ; Genio, compagnie 54, com^
pagnie treno 4.
Milizia territoriale: Fanteria, battaglioni 234; Alpini, battaglioni 75; Artiglierìa^
compagnie 100; Genio, compagnie 30.
(') La forza delle classi in congedo venne desunta dalle « Relazioni sulla leva di
terra n annualmente pubblicate dal ministero della guerra.
Per ridurre la forza stessa a quella approssimativa di guerra fu tolto il 20 per cento
dal numero degli assegnati alPesercito permanente e alla milizia mobile, ed il 30 per centa
dal numero degli assegnati alla milizia territoriale.
ESERCITO ITALIANO
88
CLASSI
FORZA
I
Categoria
II
Categoria
CLASSI
FORZA
Catogoria
II
Catogorla
Esercito Permanente
Sotto lb armi (^)
1889
1888
In CONGEDO ILLIMITATO
93,000
80,000
1887
1886
1885
1884
1888
1882
1881
15,000
15,000
70,000
54,000
62,000
65,000
69.000
80,000
80,000
Milisla Mobile
1880
1879
1878
1877
67,000
75,000
80,000
81,000
Totale.
653,000
30,000
Totale .
Milizia Territoriale
1876
1875
1874
1873
1872
1871
303,000
Totale .
55,000
67,000
57,000
51,000
67,000
60,000
357,000
In complesso, adnnque, la potenzialità deiresercito italiano di guerra ò
N.
14,000
la seguente:
Esercito permanbntb:
nfBciali in servizio attivo permanente
Id. in posizione di servizio ausiliario
e di complemento
SottnflBciali e raffermati
Carabinieri
Classi alle armi
Classi in congedo
Totale . . .
Milizia mobile
Milizia territoriale (compr. gli ufSciali)
Totale generale • <, .
(^) L^aumento notevole nella forza delle classi del 1888 e 1889 è doTuto alla legge
del 10 dicembre 1907, che, diminuendo le esenzioni, accrebbe notevolmente il contingente
annao assegnato alla 1^ e alla 2* categoria.
»
16,000
11
17,000
9
25,000
9
203,000
»
450,000
N.
725,000
9
308,000
9
366.000
N.
1,893,000
84 FIORENZO BAVA-BECCARIS
forza beD rilevante se posta a confronto con quanto T Italia poteva porre in
armi nel 1861 (200 mila uomini circa) e nel 1870 (600 mila uomini circa).
Ma gli enormi eserciti moderni, espressione della nazione armata, ri-
chiedono una preparazione tecnica molto accurata, sia per Tistruzione delle
truppe durante la pace, sia per l'inquadramento, la rapida raccolta e la ri-
partizione di queste masse, che in tempo brevissimo dovi-anno essere armate
e traspoiiate al luogo di radunata: quindi le più meticolose cure debbono
essere consacrate in tempo di pace alla provvista, alla buona conservazione
ed alla ordinata distribuzione dei materiali occorrenti, armi poiiiatili, cannoni,
equipaggiamento ; è indispensabile inoltre che le ferrovie siano tali, per ubi-
cazione e potenzialità, da permettere il sollecito concentramento di tutte
queste masse sul teatro della guerra. E importa sopra tutto che il paese
sia preparato moralmente alla guerra con una educazione virile della gio-
ventù, che vuole essere inspirata a retti principii di disciplina e d'ordine, e di
amore alle istituzioni militari e patrie.
VII.
I bilanci militari dal 1882 al 1910.
Condizioni del bilancio alla costituzione del regno d*Italia. — Le spese per la guerra
del 1866. — Riduzioni successive del bilancio. — La prima amministrazione Ricotti.
— Gli aumenti dal 1876 al 1888-1889. — Le riduzioni del 1890. — Le spese
d'Africa. — Il bilancio consolidato del 1897. — L'ascensione del bilancio dal 1900
in poi.
Qua e là, nel corso di questo studio, si è accennato all'influenza delle
condizioni generali economiche del paese sul bilancio militare e alle conse-
guenze che ne subì l'ordinamento generale dell* esercito. Si crede ora conve-
niente di riassumere con dati di fatto ciò che frammentariamente si è esposto,
per dare un'idea complessiva di quanto il paese, in cinquantanni, dedicò
alle proprie istituzioni militari terrestri.
Il regno dltalia, all'atto della sua formazione, ereditò dagli antichi
Stati una somma di oneri effettivi, di gran lunga maggiori delle risorse delle
quali gli Stati stessi eran capaci ; i debiti contratti per le guerre intraprese
e le spese per il mantenimento dell'esercito, pressoché continuamente sul
piede di guerra, sia per la repressione del brigantaggio, sìa per la prepara-
zione delle nuove lotte per la redenzione delle terre ancora in possesso dello
straniero, contribuirono, non in piccola misura, a mantenere, in quei primi
ESERCITO ITALIANO 85
anni di vita del nuovo regno, il sensibilissimo squilibrio fra le entrate e le
spese effettive (0-
Infatti, il primo bilancio del regno d* Italia, quello deiranno 1862, si
chiuse con un disavanzo effettivo di oltre 446 milioni, che venne attenuan-
dosi, a grado a grado, fino al 1865.
In questo periodo le spese militari ordinarie si mantennero tra i 197
milioni (1863) e i 144 (1867); le straordinarie (') salirono complessiva-
mente a 260 milioni.
La guerra per la liberazione della Venezia costò circa 330 milioni (^).
Gessata la guerra, le spese straordinarie vennero grandemente ridotte;
le ordinarie si aggirarono intorno ai 150 milioni annui: e nel 1869, le une
e le altre, complessivamente, ammontarono a circa 184 milioni.
Tale diminuzione dei bilanci, sebbene dovuta ad imprescindibili neces-
sità economiche, ridusse l'esercito ad un punto tale che, come venne detto a
suo tempo, l'Italia, nel 1870, non si trovò in condizioni di poter affrontare
una campagna di guerra.
Condotta a compimento la grande impresa politica dell'uBÌtà nazionale,
si iniziò il periodo dell'assetto finanziario dello Stato, e il disavanzo venne
riducendosì a poco a poco. Durante la prima amministrazione del generale
Ricotti (1871-1876), il bilancio ordinario oscillò fra i 150 e i 160 milioni;
i principali crediti straordinari vennero concessi con le leggi del 16 giugno
1871, 26 aprile e 12 luglio 1872, 29 giugno 1875, per un complesso di
123 milioni.
Nel 1871 la commissione presieduta da S. A. It. il Principe di Cari-
guano, commissione alla quale si ò accennato nel corso di questo studio.
(') Ragioneria generale dello Stato: «11 bilancio del regno d*italìa negli esercizi
finanziari dal 1862 al 1900 », pag. 9.
(') Le spese ordinarie sono qnelle di carattere permanente, perchè dipendenti da
necessità invariabili dei vari servizi; le straordinarie sono quelle occorrenti anno peranno
per lavori, servizi e provviste non di carattere normale e permanente, come nuove forti-
ficazioni, rinnovamento di materiali d*artiglieria, rinnovamento d*anni portatili, ecc.
(') Infatti, le spese straordinarie militari, in dipendenza della guerra, furono:
Spese autorizzate dalla legge 1*^ maggio 1866, n. 2872, ed inscritte
in bilancio con i decreti 20 maggio 1866, n. 8010; 7 giugno 1866, n. 3385;
14 giugno 1866, n. 8009 L. 196.134.710
Spese autorizzate dalla legge 28 giugno 1866, n. 2987, ed inscrìtte in
bilancio con i decreti 4 luglio 1866, n. 3061 ; l"" agosto 1866, n. 3145 ;
l"" agosto 1866, n. 3146; 8 settembre 1866, n. 3205; 29 settembre 1866,
n. 3255; 2 dicembre 1866, n. 3483 L. 213.492.500
Totale . . . L. 409.627.210
Deduzione per annullamenti di spese disposti con i decreti 29 set-
tembre 1866, n. 3255, e 2 dicembre 1866, n. 3485 L. 80.900.000
Spe^a totale risultante n 328.727.210
\
I
86 FIORENZO BAVA-BECCARIS !
■
presentò un piano completo per la difesa dello Stato, la cui attuazione avrebbe
richiesto una spesa di 400 milioni. Non essendo il bilancio generale in grado '
di fronteggiarla, il governo si limito a chiedere, in via straordinaria, 152 mi-
lioni; dei quali la metà, circa, destinati ai bisogni dell'esercito combattente,
Taltra metà alle fortificazioni. Sebbene il disegno di legge relativo fosse
approvato dalla Camera, il ministro delle finanze, on. Minghetti, domandò,
durante la discussione al senato, la sospensiva di ogni deliberazione per
quanto riguardava le fortificazioni, per le quali erano già stato concesse
L. 33.800.000 il 12 luglio 1872. Il senato, con ordine del giorno del ge-
nerale Cialdini, acconsentì, raccomandando al governo di presentare le stesse .
proposte, appena ne avesse avuto i mezzi. Nel 1875 furono concesse per le
fortificazioni, con la legge 29 giugno citata, altri 22 milioni circa. I rima-
nenti 77 milioni furono impiegati per fabbricazione di fucili e di artiglierie
campali e per approvvigionamenti di mobilitazione.
All'avvento della Sinistra al potere (18 marzp 1876), il bilancio della
guerra fu aumentato, cosi nella parte ordinaria (tino a 170 milioni circa) come
nella straordinaria, alla quale furono concessi circa 120 milioni con l^gi 29
aprile e 30 maggio 1877, 8 dicembre 1878. 27 luglio 1879 e 13 giugno 1880.
Con i crediti straordinari stabiliti in questo periodo (1876-1880), i$i
provvide principalmente a continuare la fabbricazione del nuovo fucile mo-
dello 1870, alla costruzione di una fabbrica d'armi a Temi, all'assetto di-
fensivo della città di Spezia, dello stretto di Messina e della frontiera alpina,
alla fabbricazione di cannoni campali e di gran potenza, airampliamento
della fonderia di Torino, alla provvista di oggetti di mobilitazione e ai la-
vori per la carta topografica generale d'Italia.
Neir aprile del 1880 la Camera dei deputati voto un ordine del giorno
che invitava il ministero della guerra a presentare al più presto possibile
un disegno di legge che contemplasse tutto quanto occorreva per la difesa
dello Stato. Il ministro, generale Ferrerò, nominò una nuova commissione di
altissime autorità militari per studiare il vasto problema e, momentanea-
mente, presentò alla Camera un disegno di legge che richiedeva, in via
straordinaria, 141 milioni, i quali vennero accordati con le leggi del 30 giugno
e del 5 luglio 1882. Intanto il bilancio ordinario era salito a 190 milioni
circa.
La Commissione presento, nel 1883, una relazione, nella quale dichiarava
che, per fronteggiare tutte le spese necessarie a porre il paese in istato di
perfetta difesa, occorreva circa un miliardo (^). Il ministro scelse quanto gli
sembrava più urgente (fabbricazione di armi portatili, fortificazioni a difesa
(^) Atti parlamentari. Discorso del senatore Luigi Pelloux, nella tornata del 29 giufi^o
1905. Non è da meravigliare se le proposte di questa commissione triplicarono la pre-
cedente domanda di crediti straordinari, dati i progresrsi industriali che la tecnica militare
aveva fatto in quel decennio.
ESERCITO ITALIANO 87
delle coste, di sbarramento, e di Boma) e domandò un credito di 240 milioni
circa, concessi due anni dopo, nel 1885, durante Tamministrazione Bicotti,
con le leggi del 21 dicembre 1884 e del 2 luglio 1885.
Nel quadriennio 1886-1890, durante il quale il bilancio ordinario era
aumentato a mano a mano da 210 a 257 milioni, vennero accordate, con
leggi del 21 dicembre 1886, 28 giugno e 10 luglio 1887, 30 dicembre 1888
e 6 aprile 1890, altri 100 milioni circa nella parte straordinaria.
Cosicché, nel decennio 1881-1890, le somme straordinarie concesse som-
marono in complesso a circa 480 milioni ; e con tale somma, e con i residui
di precedenti crediti, oltre che continuare i lavori e le provviste del decennio
precedente, si iniziò il campo trincerato di Bomai, si sistemarono o si co-
struirono molti fabbricati militari, fra cui quello del ministero della guerra:
si trasformò il fucile mod. 1870 a ripetizione, si iniziò la confezione della
balistite, costruendo il polverificio di Fontana Liri.
Dal 1885 al 1890 gravarono pure sui bilanci militari i primi stan-
ziamenti per i distaccamenti d'Africa, ed alla concessione dei crediti straor-
dinari, a tal uopo necessari in questo periodo, provvidero le leggi 6 febbraio
e 10 luglio 1887 e 30 marzo 1890. Devesi ancora aggiungere che, nel
triennio 1887-1889, furono ancora concessi 82 milioni per ferrovie strategiche
che, sebbene a carico del bilancio dei lavori pubblici, furono valutate come
necessarie alla difesa dello Stato.
L'esercizio finanziario 1888-1 889 si chiuse con un disavanzo effettivo
che sorpassò i 258 milioni di lire, cifra mai raggiunta dal 1870 in poi; e
però più grave si presentò agli uomini del governo il problema di rimet-
tere il bilancio in pareggio : tanto più gl'ave, in quanto che il disagio eco-
nomico della nazione, succeduto a quel periodo di prosperità relativa che
fu caratterizzato dallabolizione del corso forzato, sembrava escludere sia la
possibilità di nuovi gravami, sia Finasprimento di quelli già imposti (').
Si rese quindi necessario non solo di porre un freno al continuo incre-
mento degli oneri del bilancio, ma ben anche di procrastinare quelle, tra le
spese già esistenti, che non avessero carattere di assoluta necessità. Tale
programma di economia cominciò ad avere attuazione per opera del ministro
Giolitti, neiresercizio finanziario 1889-1890. Il generale Pelloux, nominato
ministro della guerra, determinò che il bilancio militare fosse consolidato
in 239 milioni; ma tale consolidamento non fu sanzionato da una legge.
Dal 1893 al 1895-1896 il bilancio, essendo ministro il generale Mo-
cenni, subì un'ulteriore diminuzione di 16 milioni sul precedente, cosicché
le spese ordinarie in quel periodo scesero fino a 217 milioni; le straordi-
narie si aggirarono intomo ai lo milioni annui.
(') Ragioneria generale dello Stato : « U bilancio del regno dltalia negli esercii!
finanziari dal 1862 al 1907-1908 n, pag. 14.
88 FIORENZO BAVA-BECCARIS
Nel medesimo periodo, una serie di provvedimenti finanziari aumentò
notevolmente le entrate, tanto che la previsione dell'esercizio 1895-1896
si chiudeva con un avanzo previsto di circa 32 milioni. Ma i tristi casi di
Àfrica turbarono notevolmente la situazione finanziaria.
Infatti, neiresercizio 1894-1895 il bilancio dove* sostenere maggiori
spese per le prime spedizioni, e nel successivo esercizio 1895-1896 presentò
Taumento dovuto ai due crediti straordinari autoriz-/.ati per le spese della
guerra, Tuno di lire 19.500.000 assegnato con la legge 26 dicembre 1895,
n. 74, e l'altro di lire 94.500.000 concesso con la legge 26 marzo 1896,
n. 76, da ricavarsi dal prestito di 140 milioni autorizzato con la legge
stessa. Sull'esercìzio 1896-1897 gravò ancora la seconda quota del prestito
suddetto, che détte alle spese militari un contiibuto di altri 41 milioni.
Tale aumento di spese condusse ad un aggravio oneroso sul bilancio
generale, il quale nel 1895-1896 si chiuse con un deficit di 65 milioni.
Iniziatasi la politica di raccoglimento, dopo il breve ministero Ricotti
— il quale, come si disse, non volle accettare la responsabilità del potere se
non a condizione di aumentare il bilancio o di ridurre gli organici — tornò
al potere il generale Pelloux, durante il cui ministero il bilancio della guerra
fu consolidato in 246 milioni, compresi 7 milioni per l'Eritrea. Si volle il
consolidamento del bilancio col proposito di « dare una sicura base ai calcoli
finanziari dell'avvenire a fine di poter volgere ogni incremento delle entrate
ed ogni nuova eventuale risorsa del bilancio ad altri determinati intenti e
scopi di riforma tributaria e di riordinamento amministrativo « (').
Si sperò pure che, consolidando il bilancio, si potessero apportare riforme
economiche nei servizi amministrativi dell'esercito a beneficio della parte
combattente ; ma di fatto non si riuscì a tale intento, poiché, a seconda delle
necessità più urgenti dell'uno o dell'altro servizio, sì accrebbero le somme
dei capitali corrispondenti, depauperandone altri (e specialmente quelli rela-
tivi alla forza bilanciata), i quali ne scapitarono.
Quanto alle spese straordinarie, il ministro Pelloux, alla fine del 1897,
richiese 75 milioni da ripartirsi nel quinquennio 1897-1903, che, aggiunti
alla rimanenza allora disponibile su vari capitoli, di circa 15 milioni, forma-
vano un complesso di 90 milioni. La commissione generale del bilancio
approvò tale progetto; ma per le dolorose vicende del 1898, le quali condus-
sero all'esercizio provvisorio, la discussione non ebbe luogo, ed il parlamento
concesse la parte di fondi strettamente necessaria all'esercizio 1898-1899.
Il successore, generale di San Marzano, presentò pure un disegno di legge
conforme al precedente ; ma anche questa volta la Camera concesse soltanto
le somme indispensabili per Tanno 1899-1900, oltre 15 milioni e mezzo per
il rinnovamento dell'artiglieria campale, ed invitò il ministro a studiare e
(*) Atti pcarlamentari, Discorso dell'on. Sonnino nella tornata del 26 marzo 1901.
ESERCITO ITALIANO 89
ripresentare un nuovo disegno di legge di spese straordinarie per il quin-
quennio 1900-1905. Sulla base di tale invito il generale Pelloux, ministro
reggente, presentò, il 31 gennaio 1900, un diseguo di legge per spese straor-
dinarie ; ma le vicende parlamentari ne impedirono la discussione (^).
Succeduto al ministero il generale Ponza di San Martino, il bilancio
della guerra, a cominciare dair esercizio 1900-901, venne consolidato, con legge
del 5 maggio 1901, per un sessennio, nella cifra di 259.000.000, per la
parte ordinaria; e la legge stessa assegnò pure, per lo stesso sessennio,
96.000.000 (16 annui) alle spese straordinarie, prescrivendo che, di essi, al-
meno 60.000.000 fossero dedicati al rinnovamento delle artiglierie campali (').
Ma negli ultimi due esercizi del sessennio la cifra consolidata fu accre-
sciuta di undici milioni, che il parlamento concesse per diminuire il periodo
di forza minima, col fare la chiamata delle classi in autunno anziché in
marzo (leggi 27 giugno 1905, n. 277; e 2 luglio 1905, n. 297). Così il bi-
lancio ordinario della guerra ammontò, per ciascuno dei due esercizi 1904-05
e 1905-06, a 270.000.000.
Terminato il sessennio, occorreva stabilire se convenisse continuare per
gli anni seguenti nel sistema di bilancio consolidato, o richiedere anno per
anno al parlamento le somme occorrenti a seconda dei bisogni. La questione
rimase in sospeso per un anno, poiché esigenze varie (fra cui probabilmente
il proposito di aspettare che fosse compiuta la conversione della rendita) in-
dussero il governo a considerare Tesercizio 1906-07 come un prolungamento
del sessennio, conservandogli lo stanziamento complessivo di 270.000.000
(leggi 80 giugno 1906, n. 269, esercizio provvisorio dei bilanci; e 80 di-
cembre 1906, n. 645).
La legge u. 496, del 14 luglio 1907, consolidò ancora la parte ordi-
naria del bilancio, per il quadriennio 1906-907, 1909-910, nella cifra di
270.050.000, e prescrisse che le economie di ciascuno di tali esercizi si con-
sideiiissero impegnate e fossero mantenute nel conto consuntivo, per sop-
perire ad eventuali ulteriori bisogni ; ed anche che le economie non neces-
sarie pei bisogni della pai-te ordinaria, fossero devolute alla parte straordi-
naria (art. 1). Ma trovandosi Tesercito in un periodo di essenziali riforme.
(M Atti parlament. Discorso deiron. Afan de Rirera, nella tornata del 23 raarzo 1901.
(') Rammentiamo che in quel perìodo il rinnovamento del materiale di artiglieria
era ritenuto questione di massima importanza ed urgenza. Anzi, mentre inizialmente
Tamministrazione della guerra si era limitata a proporre la sostituzione del materiale da
75 B (il quale non dava più affidamento di efficace servizio in guerra), durante le fasi
attraverso alle quali ebbe a passare il disegno di legge, il programma fu esteso anche
alla rinnovazione del materiale da 87 B. Per il nuovo armamento fu prescelto quel ma-
teriale da 75 A ad affusto rigido, che allora rappresentava, a parere dei tecnici, il mi-
gliore; ma la fabbricazione ne fu poi sospesa quando si riconobbe la necessità di adot-
tare il cannone ad affusto a deformazione.
S^ FIORENZO BAVA-BECCARIS
aventi portata finanziaria progressiva ed incerta, con varie leggi, di cui si
menzionano qui appresso solo le principali, furono concessi alla parte ordi-
naria del bilancio nuovi e rilevanti fondi in più della cifra consolidata.
Esercizio 1908-909.
Legge n. 384, del 80 giugno 1907, relativa al riordinamento della
carriera d'ordine delle amministrazioni centrali .... 93.000
Legge n. 495, del 14 luglio 1907, che sancì provvedimenti a fa-
vore degli ufiSciali inferiori 1.376.000
Legge n. 304, del 30 giugno 1908, riguardante provvedimenti
per il miglioramento economico degli impiegati civili delle
amministrazioni centrali e dipendenti 198.000
Legge n. 362, del 6 luglio 1908, che migliorò gli stipendi ed
assegni fissi, provvide a maggiori spese per chiamate di
classi dal congedo, per casermaggio, per miglioramento della
razione del soldato 7.135.000
Legge n. 404, del 30 giugno 1909, riguardante aumenti di as-
segni per corredo, viveri, foraggi, casermaggio e per lavori
e fitti di immobili militari 10.000.000
Per nuove spese d'ordine e per l'esercizio di linee ferroviarie 87.000
Il consuntivo di quest'esercizio si chiuse con una spesa di L. 301.938,958
di cui 37,306,630 di debito vitalizio.
Esercizio 1909-910.
Somme extra-consolidate, dovute alle leggi n. 384 del 30 giugno
1907, n. 495 del 14 luglio 1907, n. 304 del 30 giugno
1908 1.667.000
Legge n. 362, del 6 luglio 1908 9.485.000
Legge n. 404, del 30 giugno 1909, pei motivi già specificati
neirecercizio precedente e per portare la forza bilanciata
da 205,000 a 225,000 uomini 16.000.000
Legge n. 473, del 15 luglio 1909, per il nuovo ordinamento
della cavalleria, degli alpini e dell'artiglieria da montagna 418.000
Legge n. 493, del 19 luglio 1909, modificante quella sull'avan-
zamento 530.000
Legge n. 780, del 26 dicembre 1909, per sovvenzioni alle masse
interne dei corpi 7.500.000
Per nuove spese d'ordine e per Tesercizio di linee ferroviarie 87.000
Il consuntivo di quest'esercizio si chiuse con una spesa di L. 320,923,147
di cui 37,216,560 di debito vitalizio.
ESERCITO ITALIANO ^1
A cominciare dall'esercizio 1910-11 il bilaDcio non venDe più soggetto
esplicitamente a vincolo di consolidamento. Ma essendo rimasta al ministro,
per effetto dell'art. 5 della legge del 30 giugno 1909, n. 404, la facoltà
(già precedentemente accordatagli) di conservare le economie eventualmente
rimaste per sopperire ad ulteriori bisogni, la cifra di 270,050,000 sembra
si debba continuare a considerare come consolidata quale limite minimo di
spesa^ nei bilanci futuri.
Lo stato di previsione per Tesercizio finanziario 1910-11 previde una
assegnazione complessiva di parte ordinaria di lire 306.728.900, alla quale
debbono aggiungersi le somme stabilite dalle leggi seguenti:
Legge n. 226, dell* 8 maggio 1910, a favore degli ufficiali d'or-
dine delle amministrazioni dipendenti 570.850
Legge n. 362, del 30 giugno 1910, per l'adozione della ferma
biennale 3.100.000
Legge n. 511, del 17 luglio 1910, per sovvenire le masse in-
terne dei coi-pi 7.500.000
Legge n. 515, del 17 luglio 1910, modificante il testo unico delle
leggi sull'ordinamento del B. Esercito (spesa crescente per
gli esercizi futuri fino a 6.000.000) 2.300.000
Alle spese straordinarie nel medesimo periodo, necessarie per dar com-
pimento al programma dell'assetto definitivo dello Stato, si provvide con
leggi speciali. Già venne accennata quella del 5 maggio 1901, che conce-
deva 96.000.000 per il periodo 1900-06. La legge stessa permise inoltre al
governo di alienare le opere fortilizio, gli immobili, i terreni, le armi, i
materiali riconosciuti non più necessari alla difesa nazionale e ai bisogni
dell'esercito, ed aumentare, con tali entrate, gli stanziamenti di parte straor-
dinaria.
La legge 30 dicembre 1906, concedette altri 16 milioni per l'eser-
cizio 1906-07, e finalmente quella del 14 luglio 1907 ne concedette 60 (0
per gli esercizi 19061910, ripartiti in tre sole annualità di 20 milioni cia-
scuna, di cui 4 in aggiunta ai 16 del 1906-07, 16 per il 1907-08 e 20
per ciascuno degli esercizi 1908-09 e 1909-10 {*).
(ij Effettivamente il ministro» generale Vigano, il 2 febbraio 1907 presentò alla
Camera un disegno di legge nel qaalé richiese 200 milioni ripartiti uniformemente in
■dieci annualità. Tale disegno di legge fu oggetto di lungo studio da parte della commis-
sione parlamentare dei dodici, la quale, per deferenza alla commissione d* inchiesta, allora
nominata, lo emendò col criterio di concedere al governo solo i fondi necessari per non
arrestare i lavori e le provviste più urgenti e per dare svolgimento a quella parte del
programma che Tamministrazione aveva prestabilito dicompiere nei primi tre anni, senza
pregiudizio delle conclusioni cui poteva in seguito pervenire la commissione d^inchiesta.
(*) A questa somma devesi aggiungere Taltra di L. 7.032.586 stabilita con legge
D. 284 del 2 luglio, per sovvenzioni alle masse interne dei corpi.
92 FIORENZO BAVA-BECCARIS
Nella seduta del 4 giugno 1908, e cioè poco prima che la commissione
d'inchiesta pubblicasse le sue conclusioni sulle fortificazioni e sull'arma-
mento deirartiglieria, il ministro Oasana presentò un disegno di legge col
quale richiese 223.000.000 di parte straordinaria; dei quali, 13 in aggiunta
ai 16 del 1907-08, e 210 erogabili in quote crescenti dai 25 ai 35.000.000,
a cominciare soltanto dalF esercizio 191011, cioè in prosecuzione delle an-
nualità concesse dalla legge del 14 luglio 1907, e sino all'esercizio 1916-17
incluso. Il parlamento approYÒ il disegno di legge (legge n. 361, del 5 luglio
1908). Il ministro, nella sua relazione, dichiarò che tale concessione non
escludeva la possibilità di ulteriori domande di fondi.
Infatti la richiesta contenuta in tale disegno di legge si palesò infe-
riore ai bisogni segnalati dalla commissione d'inchiesta la quale, d^accordo
coi tecnici, aveva fissato una somma superiore.
Il ministro Spingardi, nel maggio 1909, presentò alla Camera un dise-
gno di legge col quale richiese 125.000.000 di parte straordinaria: somma
che venne concessa con legge del 30 giugno 1909.
Finalmente la legge n. 422, dell'I 1 luglio 1910, accordò 10.000.000
per la costruzione di dirigibili, aeroplani e relativi impianti, lavori, ecc.
Si compendiano qui di seguito tali assegnazioni secondo i vari raggrup-
pamenti di spese:
ESERCITO ITALIANO
93
&AOORUPPAMENT0 DBLLB SPBSB
ASSEGNAZIONI
ConcMBe
dalla Ime
80 dieeioDre
n. 645
I. Armi portatili, mitragliatrici e
relative munizioni, accessori, buf-
fetterie e trasporti relativi . .
n. Approvvigionamenti di mobili-
tazione, ripartizione e trasporto
dei medesimi, provviste, impianti,
lavori relativi, trasporti per la
brigata specialisti e ferrovieri e
per le altre specialità del genio
militare
m. Artiglieria da campagna a ca-
vallo e da montagna, corrispon-
denti munizionamenti e mate-
riali relativi ai servizi di mobili-
tazione (sostituzione del cannone
da 75 M 1906 col oannone da 87 B)
IV. Artiglieria di gran portata ed
armamenti delle difese costiere
e terrestri, parco d'assedio, ma-
teriali, provviste e relativi tras-
porti per le dette artiglierie. .
V. Lavori, provviste e mezzi di
trasporto per fortificazioni ter-
restri e costiere, strade, ferrovie,
ed opere militari
VI. Costruzioni di nuovi fabbricati
militari, trasformazione ed ain-
pliamcnto di quelli esistenti,
impianto e riordinamento di po-
ligoni e di piazze d'armi ed acqui-
sto di immobili all'uopo occor-
renti. Costruzione, sistemazione
ed ampliamento dì stabilimenti
varii
VII. Ac-|UÌsto di quadrupedi per
la cavalleria, le artiglierie e le
mitragliatrici
Vm. Somme e calcolo a disposizione
Totale obnsbalb . .
500.000
1.200.000
Coocette
dalla legge
14 laglio
1907
496
n.
Conceeie
dalla Ugge
5 laglio
1908
n. 861
Concesse
dalla legge
30 giugno
1909
n. 404
Concesse
dalla l^^e
10 Inglio
1910
n. 422
TOTALI
2.800.000
1.400.000
6.000.000
15.000 000
9.000.000
15.000.000
3.200.000
24.800.000
10.300.000
13.700.000
600.000
16.000.000
13.000.000
11.180.000
82.000.000
44.000.000
50.000.000
5.000.000
1.000.000
1.000.000
60.000.000
16.000.000
l.OOO.OOo
22 300.000
39.400.000
30.000.000
50.000.000
14.000.000
5.000.000
5.000.000
223.000.000
3.200.000
0)
3.000.000
125.000.000
145.800.000
105.800.000
80.900.000
24.800.000
0.000.000
6 000.000
10.000.000434.000.000
(I) Veggasi legge di storni n. 218, dell' 8 maggie 1910.
94
FIORENZO BAVA-BECCARIS
La ripartizione delle assegnazioni fatte dalle varie leggi fra i diversi
esercizi finanziari, dal P luglio 1906 al 30 giugno 1917, fu la se-
guente :
ESERCIZI
riNANZIARII
Legge
30 dicembre
1906
n. 645
Legge
14 luglio 1907
n. 496
(Tiganò)
Legge
5 luglio 1908
n. 861
(Casana)
Legge
30 giugno 1909
n. 404
(Spingardi)
Legge
11 luglio 1910
n. 422
(Spingardi)
Totali
1906-1©07
16.000.000
4.000.000
—
—
__
20.000.000
1907-1908
n
16.000.000
18.000.000
—
29.000.000
1908-1909
n
20.000.000
n
20.000.000
—
40.000.000
1909-1910
V
20.000.000
n
20 000.000
10.000.000
50.000.000(1)
1910-1911
n
n
25.000.000
25.000.000
n
50.000.000(2)
1911-1912
n
n
25.000.000
80.000.000
n
65.000.000(2)
1912-1913
n
n
30.000.000
30.000.000
n
60.000.000
1913-1914
n
n
80.000.000
»
n
80.000.000
1914-1915
ti
»
30.000.000
j»
n
30.000.000
1915-1916
n
n
35.000.000
»
n
85.000.000
1916-1917
n
n
85.000.000
n
n
35.000.000
Totali . . .
16.000.000
60.000 000
228.000.000
125.000.000
10.000.000
434.000,000
Con queste poche pagine si ritiene di aver fornito un* idea, se non com-
pleta, almeno riassuntiva, delle vicende dei bilanci militari dal 1862 ad
oggi. Le tabelle che seguono, porgono notizie precise del modo come vennero
ripartite le spese, sia ordinarie, sia straordinarie, tanto pei bisogni dell'eser-
cito, quanto per le imprese coloniali affrontate in questi ultimi cinquanta
anni.
(*) La legge n. 780, del 26 dicembre 1909, autorizzando, come si disse, la spesa di
lire 7,500,000 per sovvenire le masse interne dei corpi, diminuì tal somma dairas-
segno straordinario del 1909>10 e la reintegrò in parti uguali negli esercizi 1911-12
e 1912-13.
(*) La legge n. 422, del 10 luglio 1910, aumentò di 15 milioni la competenza del
1909-910, contro diminuzione di altrettanta somma nella competenza del 1910*911.
ESERCITO ITALIANO
95
Spese effettive ordinarie e straordinarie
aooertate per gli esercizi finanziarli dal 1862 al 1909-910.
ANNI
Spes* ordinarie
Spese
straordinarie
ANNI
Spese ordinarie
Spese
straordinarie
1862. . . .
172.307.350
122.211.754
1886-87 . .
217.602.691
51.644.403
1868. .
196 811.698
55.731.313
1887-88 . .
240.627.085
75.980.000
1864. .
192 986.419
64.023.705
1888-89 . .
250.349.042
152.790.000
1865. .
175.666.832
16.968.562
1889-90 . .
257.813.620
47.684.460
1866. .
165.087.110
345.704.066
1890-91 . .
252.890.999
32.548.926
1867. .
144.246903
7.809.070
1891-92 . .
248.298.748
18.018.412
1868. .
150.066,492
17.270.687
1892-93 . .
233 253.771
12.993.551
1869. .
187.910 806
11.619.743
1898-94 . .
238.063.927
15 376.109
1870. ,
177.190.840
5.795.995
1894-95 . .
217.422.255
15.229.229
1871. ,
142.917.222
8.159.410
1895-96 . .
326.807.132
15 767.185
1872. .
151 977.820
14.088.439
1 896-97 . .
255.537.519
16.874 750
1878. ,
156.109.006
20.567.456
1897-98 . .
279.765.041
18.177.734
1874. .
165.722.581
17.503.226
1898-99 . .
262.446 282
18 399.079
1875. .
165.629.625
14.355.648
1899-900 . .
258.134.616
16.803.890
1876. .
164.622.080
21.503 687
1900-901 . .
258.105.650
22.681.458
1877.
171.949.005
35.345.489
1901-902 . .
264.652.413
20.782.685
1878.
170.814.699
37.350.988
1902^03 . .
258.403.240
18.903.642
1879. .
173.780.556
14.805.988
1903-904 . .
258.838.201
20.175.958
1880.
191.613.244
19.862-749
1904-905 . .
270.903.943
19.479.258
1881.
187.205.784
23.726.666
1905-906 . .
264.419.365
26.611.854
1882.
190.079.436
44.041.666
1906-907 (') .
258.998.380
27.415.894
1888.
199.830.993
56.931.666
1907-908 (») .
266 975.484
88.209.185
1884 (V
* se
im.)
107.266.345
11.518.912
1908-909 (") .
291.208718
54.545.250
1884^
206.650.027
47.111.400
1909-910 (") .
308.854.172
73.592.174
1885-86
209.884.527
43.205.000
(■) Per ciascano degli esercizi dal 1906-907 al 1909-910, farono realizzate .le eco-
nomie descritte nella colonna I della tabella seguente, le quali, in virtù delFart. 1 della
legge n. 496 del 14 luglio 1907, vennero impiegate nella parte ordinaria dei bilanci come
è specificato nella colonna II della tabella stessa.
1 II
1906-907 . . . 11.870.368,99 —
1907-908 . . . 6.283.129,34 1.315.028,00
1908-909 . . . 7.454.153.03 13.383.895.37
1909-910 . . . 2 985.595,40 8.447.847,30
Nelle spese effettive accertate, tali economie sono conteggiate nel bilancio in cui
furono effettivamente impiegato. Alia fine dell'esercizio 1909-910 rimanevano disponibili
lire 2.460.879,73 quali economie del bilancio precedente, e lire 2.985.595,40 quali eco-
nomie del bilancio 1909-910.
or,
FIORENZO BAVA-BECCARIS
Le somme innanzi dimostrate indicano le spese accertate, ma in esse
sono comprese le partite figurative e le somme erogate per i bisogni qui
l'ARTITE
figaratire
8PB8A ORDINARIA
ESERCIZIO
Bichiami
di eUati e rìUidi
di congedo
per ordine
pnbblico
Debito
TiUlltio
Snssidii
aUe fiimifUe
dei
rìchiainaii
aiU
Casa Tnmte
188C-86
1 583 200
1 519 100
1 575 700
1716 300
1 763 100
1 778 400
1 598 320
1 305 420
1 126 632
892 400
718 949
541 669
496 715
299 979
319 101
295 95 1
318 312
328 955
391 140
390 417
397 285
367 534
852 366
360 21 1
399 38 1
7.561.675
10.152.000
6.021.600
6.353.400
11.283.500
34.598.586
34.856.371
34.898.745
34.776 099
34.500 554
35.030.145
35 267.366
35.527 768
35.834.247
36.457.676
36.590.755
37 306.630
36.911.239
363.600
187.696
174.705
483.200
225.000
180.000
118.088
317.019
518.000
50.000
50.000
50.000
50.000
50.000
50.000
50.000
1886-87
1887-88
1888-89
1889-90
1890-91
1891-92
1892-93
1898-94
1894-95
1895-96
1896-97
1897-98
1898-99
1899-900 . . . ,
1900-901
1901-902
1902-903
1903-904
1904-905
1905-906
Ì906-907 . . ,
1907-90S
1908-901»
1909-910
(M Qacsti dati Tennero fomiti dalla Divisione « Ragioneria » del Ministero della Guerra.
(*) Gol bilancio di previsione per l'esercizio 1898-99 il contributo dello Stato p^r le spese della colonia
nel bilancio della guerra e la seconda concernente le spese civili nel bilancio degli affiirl esteri, venne riunito
(^) À cominciare dairesercizio 1905-906 cessarono gli stanziamenti speciali nel bilancio della guerra,
Cina solo un presidio di 800 marinai e una nave da battaglia di 2* classe.
{*} Nel luglio 1909 furono ritirate le truppe da Oandia; ma nel bilancio 1909-910 figura ancora la
ESERCITO ITALIANO
97
appresso specificati (^); onde togliendo le seconde dalle prime, si ottengono
le spese reali ^ ossia le effettivamente impiegate ai bisogni dell' esercito:
SPESA STRAORDINARIA
SPBSE COLONIALI (8)
InTio di trnpp*
in OÌM
(8)
Ibtìo di truppe
ìa Oriente
(Candia)
(4)
Suaidl
alle funigUe
dei
richiamati
Contribniione
ipeee
AMoa
Indennità per la
eommiaiione di
inohieeta ani
aerrisl dell*nm«
miniatrasione
della gaerxa
Fondi
per riparare
ai danni eaniati
dal terremoto
del
88dioembrel908
Ordinarie
Straordinarie
^^,^
^^,^
^^^^
^^^^
^^
^•^m
_^,.
.^^
—
—
—
—
1.730.000
8.500.000
—
—
—
—
14.012.697
22.810.000
—
—
—
—
—
13.604.484
—
—
—
—
—
17.286.826
3.000.000
—
—
—
—
16.214.212
—
—
—
—
—
—
12.661.675
—
—
—
—
7.179.900
—
—
—
—
—
—
7.927.118
—
—
—
—
—
8.454.000
—
—
—
—
—
—
118.000.000
—
—
300.000
—
—
—
44.800.000
—
—
1.200.000
250.000
—
—
18.600.000
-^
—
924.974
200.000
1.000.000
—
—
—
—
500.000
—
—
—
—
—
6.300.000
850.000
—
—
—
—
—
8.850.000
850.000
—
—
—
—
—
1.800.000
880.000
—
—
—
—
—
1.285.000
850.000
—
—
—
—
984.000
850.000
—
—
—
—
—
480.000
—
—
—
—
—
—
400.000
—
—
50.000
—
—
—
—
—
—
50.000
—
—
—
280.000
—
—
50.000
5.896.000
—
—
—
226.662
—
—
50.000
4.000.000
—
—
spesa per liquidazione di* spese effettnate precedentemente.
FiOBBMXo Batà-Bbcoàbi8. — BitTcU^ Uthoù eco.
98
FIORENZO BAVA-BECCARIS
Sono pare comprese, nelle cifre rappresentanti le predette spese, le
somme seguenti, provenienti da alienazioni, economie e reintegri varii (leggi
n. 151 del 5 maggio 1901, n. 496 del 14 luglio 1907, e n. 404 del 80
giugno 1909).
ESERCIZIO
Somme
proY«iii«nti
da Tondita
di prodotti
dei dopoiiti
di alIeTAmento
(spes* n«lU
parte ordinaria)
Somme
proTenientl
da alienasioni
di immobili
miliUrì
e materiali
(epeee sella parte
■traordinaria)
Economie
realiisate
Biilla competenia
e reeidoi paeeivi
della
parte ordinaria
(epeee nella parte
etraordinaria)
1901-902
1902-903
1903-904
1904-905
1905-906
1906-907
1907-908
1908-909
1909-910
89.255
289.090
334.910
450.012
400.578
732.858
676.637
387.782
270.661
66.570
843.816
1.^40.254
1.888.349
4.577.483
2.315 506
3.072.106
2.940.459
342.472
1 .050.974
805.004
8.283.690
2.356.903
340.896
246.021
224.536
Totali
89.255
699.132
2.229.700
2.595.270
10.522.612
7.666.743
3.333.065
3.705.923
3.435.656
Questa monografia, in molte parti incompleta, compendia le vicende
dell'esercito italiano dalle sue orìgini al momento attuale: è incompleta, perchè
trascura le trasformazioni nell'armamento, le fortificazioni, ed altre materie,
le quali, per essere svolte, anche sommariamente, avrebbero richiesto altret-
tanto spazio di quello concesso.
Non sarebbe stato neppure fuori d'opera lo studio dell'evoluzione dello
spirito delle truppe dai tempi feudali ai moderni ; quello dell' influenza eser-
citata sull'organismo militare dal predominio della aristocrazia nella costitu-
zione dei quadri, predominio che nell'esercito piemontese si mantenne fino
al 1848; ed avrebbe potuto costituire anche argomento d'interesse l'ana-
lisi della psicologia dell'esercito, dopo che in esso si fusero, in epoche e cir-
costanze diverse, tanti disparati elementi.
Ma tali studi avrebbero oltrepassato i modesti limiti di questo scritto,
il quale ha voluto soltanto dimostrare, con dati di fatto, come il nuovo regno,
fra i tanti bisogni a cui doveva provvedere, non abbia trascurato quelli re-
clamati dalla difesa nazionale.
ESERCITO ITALIANO 99
I sacrifici pecuniarii e personali a cui si è sottoposto il paese, hanno
condotto alla formazione di un esercito, la cui forza combattente è molto
ragguardoTole, e che, colle leggi testé Yotate, aumenterà gradatamente di
numero, tanto da non essere inferiore, in ragione della popolazione, a quelli
delle altre nazioni.
Meno alacremente si ò provveduto alla difesa stabile, cioè alle fortifi-
cazioni periferiche, costiere, ed inteme ; ma, sotto un certo aspetto, il ritardo
non è troppo da deplorare, poiché i contìnui progressi della chimica e della
meccanica, mentre offrono air industria degli strumenti guerreschi largo campo
di attività e di guadagno, procurano agli Stati spese ingenti, costringendoli a
modificare ed a rinnovare frequentemente gli armamenti. Questa ineluttabile
necessità, alla quale nessun paese può sottrarsi, per non rimanere in uno
stato pericoloso d'inferiorità, fu, in certo modo, a noi favorevole ; poiché le
condizioni della finanza non avrebbero concesso spese straordinarie tali da
mutare il già fatto, in breve spazio di tempo.
La zelante, assidua preparazione scientifica e tecnica degli organi diri-
genti ; il patriottismo del parlamento ; le marziali tradizioni di casa Savoia,
i cui Principi condivisero sempre le sorti delle loro truppe, e dei quali, alcuni
sono circondati da una luminosa aureola di gloria, per essere stati valenti
generali, fra cui eccelle il Principe Eugenio, sono fattori, i quali danno af&-
damento che T esercito del nuovo regno, sorretto dallo spirito vivificante della
nazione, saprà combattere, per la difesa e la gloria della patria, con lo stesso
entusiasmo, con ugual fede e con pari disciplina, onde erano animati i sol-
dati regolari e i volontarii nelle guerre del nostro riscatto, duci Vittorio
Emanuele e Garibaldi.
Roma, dicembre 1910.
Ten. gen. Fiorenzo Bava-Beccaris
Senatore del Segno.
Nota, — Nella compilazione di questa Memoria mi ha prestato il suo efficace con-
corso il capitano Ginlio Del Bono, addetto alPafficio storico del Comando del Corpo di
■Stato Maggiore.
\
APPENDICE.
Guerre, campagne e fatti d'arme combattuti dall'esercito piemontese,
poi dall'italiano.
EPOCA
TBUPPB COMBÀTTEKTI E MOTIVO
DELLE GUERRE
FATTI D'ARME PRINCIPALI
1560-1561
1581-1602
1582-1602
1613-1616
1616-1618
1625
1628-1680
1630-1632
1635-1659
1672
EMANUELE FILIBERTO.
Ducali contro Valdesi.
CARLO EMANUELE I.
Combattimenti di poca importanza nelle valli
del Pollice e del Chisone.
Dncali contro Ginevrine e Bernesi (per ' Combattimenti ed assedii nel Delfinato ed in
la conquista di Ginevra).
Ducali, Spagnuole, Pontificie, contro
Francesi (per Tacquisto del marche-
sato di Saluzzo).
Ducali contro Spagnuole e Mantovane
(per la successione del Monferrato).
Ducali e Francesi contro Spagnuole e
Mantovane (per la successione del
Monferrato).
Ducali e Francesi contro Imperiali e
Spagnuole.
Ducali, Imperiali e Spagnuole contro
Francesi (per la successione di Man-
tova).
VITTORIO AMEDEO L
Ducali, Imperiali e Spagnuole contro
Francesi (per la successione di Man-
tova).
VITTORIO AMEDEO I.
REGGENZA DI MARIA CRISTINA.
CARLO EMANUELE H.
Ducali, Parmensi e Mantovane contro
Spagnuole e Imperiali (preminenza
nell'Italia superiore); — guerra ci-
vile durante la reggenza di Maria
Cristiiia di Francia.
Ducali contro Genovesi (per la prepon-
deranza in Liguria).
Provenza, nella Valle del Vraita e del Po
superiore. Notevoli Tassedio di Berre, di Ca>-
vour e la battaglia di Pontcharre (6 set-
tembre 1591).
Combattimento e assedi di Alba, Torino, Nizza,
Asti, Oucglia, Zuccarello.
Battaglia della Motta (presso Vercelli), 14 settem-
bre 1616; assedio di Vercelli, 24 maggio -26
luglio 1617.
Difesa di Verrua.
Sampejre (valle di Vraita), 14 agosto 1628; as-
sedio di Casale, combattimenti in Savoia;
Pinerolo; Val di Snsa, 1680.
Combattimenti di poca importanza fra Torino<
Pinerolo-Carignano.
Assedio di Valenza, 1685; spedizione di Lo-
mellìna; combattimento di Tomavento e di
Mombaldone, 1686; assedio di Vercelli. 1687.
Dal 1687 al 1659 la guerra si svolge con
assedi delle principali città del Piemonte,
volta a volta perdute e poscia riconquistate
da una delle due parti. La guerra termina
nel 1659, con la pace dei Pirenei.
Ponte di Mozzo, 18 luglio; Zuccarello, 28 luglio ;
Monte Chiappa, 24 luglio ; Garlenda, 27 luglio ;
Stellanello, 27 IngUo ; Castelveechio, 6 agosto ;
Ovada, 10 ottobre.
102
FIORENZO BAVA-BECCARIS
EPOCA
TRUPPE COMBATTENTI B MOTIVO
DELLE OUEBBE
FATTI D'AWE PRINCIPALI
1674-1678
1690-1695
Spedizione in Olanda (con Tannata di
Francia).
VITTORIO AMEDEO II.
Dncali, Imperlali e Spagnuole contro
Francesi.
1696
1701-1702
1703-1712
Ducali e Francesi contro Imperiali e
Spagnuole..
Ducali, Francesi, Spagnuole contro Im-
periali (successione di Spagna).
Ducali e Imperiali contro Francesi e
S])agnuolò (successione di Spagna).
1718-1719
1733-1735
Re^e e Francesi contro Spagnuole in
Sicilia (possesso della Sicilia).
CARLO EMANUELE IIL
Regie e Francesi contro Imperiali (suc-
cessione di Polonia).
1742-1748
Regie e Imperiali contro Francesi e
Spagnuole (successione d*Austria).
Assedio di Oud^narde, settembre-ottobre 1674.
Staffarda; attacco e assedio di Susa, nov. 1690;
Villafranca a Mare, 15 marzo 1691; investi-
mento di Nizza, marzo 1691; Avigliana, 29
maggio 1691; difesa di Cuneo, giugno 1691;
difesa di Carmagnola, novembre 1691 ; difesa
Montmelian, nov. 1691; Embrnn, 18 agosto
1692; assedio di Pinerolo e S. Brigida, 81
luglio- 14 agosto 1698; Marsaglia, 4 ottóbre
1693.
Assedio di Valenza, settembre-ottobre.
Chiari, 1 settembre 1701; Luzzara, 15 agosto
1702.
Difesa di Vercelli» giugno-luglio 1704; difesa
d* Ivrea, agosto-settembre 1704; difesa di
Verrua, ottobre 1704 -aprile 1705; difesa di
Chivasso, giugno-luglio 1705; difesa di To-
rino, maggio - 7 settembre 1706 ; assedio di
Casale, dicembre 1706; assedio di Tolone, 27
luglio -31 agosto 1707 ; Cesana, 2 a gostol708;
assedio di Fenestrelle, agosto 1708.
Difesa della cittadella di Messina, luglio-agosto
1718; difesa di Trapani, 1718; di^sa di Mi-
lazzo, Augusta e Taormina.
Assedio di Pizzighettone, dal 9 al 80 novem-
bre 1733; assedio castello di Milano, dal 15 di-
cembre 1733 al 2 gennaio 1734; assedii di No-
vara, Arena, Serravalle, gennaio 1734; as-
sedio di Tortona, 26 gennaio-5 febbraio 1734 ;
Colorno, 25 maggio -4 giugno 1734; Parma,
29 giugno 1734; Guastalla, 19 agosto 1734.
Assedi di Modena e della Mirandola, giugno 1742;
Camposanto, 8 febbraio 1743; Ca^teldeltino, 8
agosto 1743; Montalbano e Villafranca, 20
aprile 1744; Pietralunga, 19 luglio 1744;
Madonna deirOlmo, 30 settembre 1744; di-
fesa di Cuneo, agosto-ottobre 1844; difesa di
Serravano luglio 1745; difesa di Tortona,
ottobre 1745; Bassignana, 23 settembre 1745;
difesa di Valenza, ottobre 1845; assedio di
Valenza, aprile 1846; Tidone, 10 ag08tol746;
la Turbia, 17 ottobre 1746; assedio di Ge-
nova, maggio 1747; Madonna della Miseri-
cordia, 21 maggio 1747 ; Montalbano, 6 giu-
gno 1747 ; Assietta, 19 luglio 1747 ; assedio
di Bastia (Corsica), maggio 1748.
ESERCITO ITALIANO
103
rfk
EPOCA
TKUPPE COMBATTENTI E MOTIVO
DELLE OUEBBE
1792-1796
VITTORIO AMEDEO IH.
Regie e Imperiali contro Francesi.
1815
1S48
VITTOniO EMANUELE L
Regie contro Francesi.
CARLO ALBERTO.
Sarde contro Aastrìache (per 1* indipen-
denza d* Italia).
FATTI D'ARME PRINCIPALI
1849
Sarde contro Austriache (per V indipen-
denza d* Italia).
1855-1856
VITTORIO EMANUELE IL
Sarde, Francesi, Inglesi contro Russe.
Difesa di Cagliari, 29 dicembre 1792; Anthion,
8 giugno 1793; Col della Valtellina. 25 no-
vembre 1793; Brich d'Utello, 25 novembre
1793; La Thuille, 28 marzo 1794; Saccarello,
27 aprile 1794; Briga. 28 aprile 1794; Cla-
vières, 80 agosto 1795; Loano, 28 novembre
1795;Montenegino. 11 aprile 1796; Monte-
notte. 12 aprile 1796 ; S. Michele, 19 aprile
1796; Mondovì (Bricchetto), 21 aprile 1796.
L*Hopital, 25-28 giugno; Grenoble. 6 luglio.
Allarme di Marcarla snirOglio. 6 aprile; com-
battimento di Goìto, 8 aprile; occupazione
di Monzambano, 9 aprile; occapazione di
Borghetto. 9 aprile ; dimostrazione contro Pe-
schiera. 10 aprile; tentativo d^attacco contro
Peschiera. 18 aprile ; assedio di Peschiera, 14
aprile - 80 maggio ; dimostrazione su Man-
tova. 19 aprile; occupazione di Villafranca
(combattimento tra Ganfardine e Caselle), 26
aprile ; combattimento di Colà e occupazione
di Paceogo, 28 aprile; combattimento di San-
drà (S. Giustina). 29 aprile ; battaglia di Pa-
strengo. 30 aprile; ricognizione su Affi-Ca-
vajon-Piovezzano (Ponton). 5 maggio; battaglia
di S. Lucia. 6 maggio; combattimento di Cal-
raasino-Cisano. 29 maggio ; battaglia di Goito,
30 maggio; occupazione di Rivoli. 10 pingno;
ricognizione sulla Corona, 11 gingno; scara-
muccia di Calzoni, 14 giugno; combattimento
della Corona, 18 giugno; investimento di
Mantova, 13-26 luglio; combattimento di
Governolo. 18 luglio; combattimento di Ri-
voli. 22 luglio ; combattimento di Sona (Som-
macampagna - Staffalo - M. Torre-Custoza), 24
luglio; combattimento di Monzambano di
Ponte, 24 luglio; combattimento di Custoza
(So mmacampagna-Berettara-C ustoza- Valeggio )
25 luglio ; combattimento di Volta. 26 e 27
luglio; combattimento di Castellucchio, 27
luglio; combattimento di Gadescoy 30 luglio;
combattimento di Gingia dei Botti, 30 luglio;
combattimento di Gazze. 30 luglio ; combat-
timento sul canale della Muzza (Basiasco),
2 agosto; battaglia di Milano. 4 agosto.
Combattimento della Cava. 20 mano ; combatti-
mento della Sforzesca (S. Siro-Sforzcsca-Gam-
bol<')), 21 marzo; combattimento di Mortara,
21 marzo ; battaglia di Novara, 23 marzo.
Battaglia della Cernala, 16 agosto 1855 ; attacco
e presa di Sebastopoli, 16 agosto 1855.
104
FIORENZO BAVA-BECCA RIS
BPOCA
TBUPPB GOMBATTEHTI E MOTIYO
DELLB OUI&BB
PATTI D'AKME PRINCIPALI
1859
Sarde e Francesi contro Austriache (per
r indipendenza d* Italia).
1860-1861
Sarde contro Pontificie e Borboniche
(per la libertà d* Italia).
1866
Sarde contro Austriache (per la li-
bertà d* Italia).
Scontro di Zinasco, 29 aprile ; scontro di Torr«
Berettì,! maggio; ricognizione di Frassineto, 3
maggio; difesa del ponte di Valenza, 4 maggi i»;
ricognizione di Castelnuovo Scrivia, 5 maggio;
ricognizione snl Po, 7 maggio; ricogniziouu
del nemico contro la testa di ponte di Ca-
sale, 8 maggio ; ricognizione su Vercelli, 10
maggio; ricognizione verso Cascina Strà, 12
maggio; combattimento di Montebello, 20
maggio; dimostrazioni sulla Sesia e ricogni-
zioni, 21 e 25 maggio; Sesto-Calende, 25
maggio ; combattimento di Varese, 26 maggio ;
combattimento di S. Fermo, 27 maggio; com-
battimento di Laveno, 30 maggio; combatti-
menti di Palestre e di Vinzaglio, 30 maggio ;
combattimenti di Palestre e di Confienza, 31
maggio; dimostrazioni del nemico sulla Sesia
di fronte a Gazze, 1 giugno ; battaglia di Ma-
genta, 4 giugno; combattimento di Seriate,
8 giugno; combattimento di Treponti, 15
giugno; combattimento di Rocca d*Anfo, 22
giugno; ricognizione su Pozzolengo, 22 giu-
gno; combattimento di Bagolino, 23 giugno,
e Monte Snello, 24 giugno ; battaglia dì San
Martino e di Madonna della Scoperta, 24 giu-
gno; combattimento di Bormio, 8 luglio.
Presa di Città di Castello, Il settembre 1860;
presa di Pesaro, 11 settembre 1860; presa di
Fano, 12 settembre 1860; combattimento di
Sinigaglia.. 13 settembre 1860; presa di Pe-
rugia, 14 settembre 1860; presa di Spoleto.
17 settembre 1860; batUglia di Castelfì-
dardo, 18 settembre 1860; assedio di Ancona,
24-29 settembre 1860; combattimento di
S. Angelo e Caserta Vecchia, 2 ottobre 1860 ;
combattimento del Macerone, 20 ottobre 1860;
combattimento di S. Giuliano, 26 ottobre 1860 ;
ricognizione del Garigliano, 29 ottobre 1860 ;
assedio di Capua, 26 ottobre - 2 novembri) 1860 ;
assedio di Gaeta, 12 novembre 1860- 13 feb-
braio 1861; combattimento di Mola di Gaeta, 4
novembre 1860; fatti d*arme sotto Gaeta, 12
e 29 novembre 1860; assedio di Messina, 1
e 12 marzo 1861 ; blocco e assedio di Civitella
del Tronto, 16 gennaio -20 marzo 1861 ; com-
battimento di Tagliacozzo, 13 gennaio 1861 ;
combattimento della Scurgnla, 22 gennaio
1861 ; combattimento di Banco, 2è gen-
naio 1861.
Battaglia di Custoza, 24 giugno ; Medole, 2 lu-
glio; espugnazione di Borgoforte, 6 e 18
luglio; combattimento di Darzo, 10 luglio;
espugnazione di Gligenti, 15 e 19 luglio;
Condino, 4 luglio; combattimento di Bez-
zecca, 21 luglio; combattimenti di Cimego,
21 luglio; combattimento di Primolano, 22
luglio; combattimento di Borgo, 23 luglio;
combattimento di Borgo e Levico, 23 luglio ;
combattimento diVigolo, 25 luglio; combat-
timento di Versa, 26 luglio.
BSBROITO ITALIANO
105
IFO0À
TBUPPI COMBÀTTSnn K MOTITO
DILLE OUKREE
FATTI D*ASME PRINCIPALI
1870
1887-1801
1000-1901
Italiane contro Pontificie (per la li-
bertà d*IUlia).
UMBERTO I.
Italiane contro Abissine.
Italiane contro Cinesi.
Roma, 20 settembre 1870.
Saati, 25 gennaio 1887; Dogali, 26 gennaio
1887; Saganeiti, 8 agosto 1888; l"* Agordat,
27 giugno 1890; Halat, 22 febbraio 1891;
Serobeiti, 16 gìogno 1892; 2^ Agordat, 22
dicembre 1893; Cassala, 17 luglio ]894;Halai,
18 dicembre 1894; Coatit-Senafè, 18 e 16
gennaio 1895; Debra Ailà, 9 ottobre 1895;
Amba-Alagi, 7 dicembre 1895; Macallè, 7 e
20 gennaio 1896; Adua, 1 marzo 1896; Monte
Mocram-Tucrnf, 2 e 8 aprile 1896; Adigrat,4
maggio 1896; scontri di Scìaglet, 21 gen-
naio, e Tessenei, 1 febbraio.
Occupazione dei forti di Sha-hai-cuan, 2 ottobre
1900; combattimento di Cn-nan-sien, 2 no-
vembre 1900.
\
NOTA.
Questo quadro dimostra come Tesercito subalpino, del cui sviluppo abbiamo dato in principio
un breve ragguaglio, abbia, nel corso di tre secoli, sostenute 19 guerre, con 69 campagne, non con*
tando quelle motivate dai torbidi interni, e la guerra civile durante la reggenza di Madama Cristina.
Le truppe ducali, divenute regie con Vittorio Amedeo II, primo re di Sardegna (onde Tappel-
lativo di sardo airesercito), furono, in tutte le guerre, direttamente comandate dai Dncbi e dai Re, i
quali enuio nelle stesso tempo generalissimi delle truppe alleate; in loro assenta erano sostituiti
da principi della Casa, i quali ordinariamente comandavano in sottordine. Ciò spiega come, tranne
poche ecceiioni, nessun generale non appartenente a Casa Savoia, esercitò un alto comando. Emanuele
Filiberto, Carlo Emanuele I, Vittorio Amedeo II, Carlo Emanuele HI, furono generali di vaglia; a
tutti però flovrastò di molto il Prìncipe Eugenio, grande e valoroso stratega d'imperitura fama.
Le lunghe e continue guerre servirono a costituire Tanima guerriera dei popoli del Regno
Sabaudo; non|le rimpiangiamo: esse costituirono il vitale lievito della formazione del nuovo esercito.
ftouwzo Bava-Bbooabis. — Fttrciio iidioMo «oo.
8
OPERE CONSULTATE
SA.LUCB8 (ÀLBX Dx) . flistoiro ixìilitaire dn Piémont.
PcNBLLi Augusto . . Storia militare del Piemonto in continaazione di quella del Salasso ,
cioè dalla pace di Aqaisgrana sino ai d\ nostri.
Costa de Beaursgard. Mémoires historiqaes sor la maison royale de Saroie et sur les
pays soumis à sa domination depuis le commencement do oniième
siècle jasqa*à Tannée 1790 inclusivement.
Carutti Domenico . Storia del reg^o di Vittorio Amedeo II.
Id. Storia del regno di Carlo Emanuele III.
Id. Storia della diplomazia della corte di SaToia.
GuiCHENON Histoire généalogiqae de la royale maison de Savoie.
Comando Corpo Stato Maggiore. Le istitazioni militari del ducato di Savoia e del Regno
di Sardegna (di prossima pubblicazìcne).
LissoNi Antonio . . Compendio della storia militare italiana dal 1792 al 1815.
Zanoli Alessandro. Sulla milizia cisalpina italiana. Cenni storico-statistici dal 1796
al 1814.
(Ano.nimo) Fasti e vicende degli italiani dal 1801 al 1815| o, meglio, memorie
di un ufficiale per servire alla storia militare italiana.
EocH Mémoires de Massena.
Colletta Pietro. . Opere inedite e rare.
Pignatelli-Strongoli. Tre capitoli della storia del reame di Napoli.
Mezzacapo Carlo. . Stato militare d* Italia, in «Rivista militare italiana», anno 1858.
Corsi Carlo Sommario di storia militare.
Fabris Cbcilio ... Gli avvenimenti militari del 1848-49.
Comando Corpo Stato Maggiore. Memorie storiche militari.
Id. Relazioni e rapporti finali sulla campagna del 1848 in alta Italia.
Id. La guerra del 1859 per 1* indipendenza d'Italia.
Cavaciocchi e Santangelo. Le istituzioni militari italiane.
Perrucchetti .... Questioni militari d'attualità.
Ragioneria Generale dello Stato. Il bilancio generale del regno d'Italia negli esei^
cìzì finanziarli dal 1862 al 1907-908.
Atti della Camera e del Senato del Regno.
Giornali Giornale militare ufficiale.
I'
(1) Per teli ape^e, veggaai tahelli nel t«bU).
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MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI
PREFAZIONE
L'illustre Presidente dell' Accademia dei Lincei aveva dato incarico al
tenente generale del Genio navale senatore Masdea, di ricordare le vicende
della nostra Marina militare e delle costnizioni navali militari.
La scelta non poteva essere migliore. Edoardo Masdea, ingegnere navale
valentissimo^ autore lodato dei progetti delle nostre più moderne navi, aveva
speso tutta la vita per la Marina ; da giovane aveva lavorato accanto a Be-
nedetto Brin fin dall'epoca della costruzione dell* « Italia « ; aveva passato
buona parte della sua brillante carriera al Ministero della Marina, a studiare
e progettare navi ; aveva assistito alla costruzione della nostra flotta, e cono-
sceva a fondo uomini e cose. Chi poteva, meglio di Ini, trattare della Marina
nostra? Ed egli vi si era accinto con l'entusiasmo, che metteva in tutto quanto
occupava la sua lucida mente di studioso, specie trattandosi di costruzioni
navali, scopo precipuo della sua vita; aveva preparato parecchi appunti, aveva
scritto alcuni brani, quando improvvisamente venne a mancare, lasciando largo
rimpianto nella Marina.
E poiché io aveva raccolti tutti i suoi manoscritti, essendo a Lui legato
da vincoli di parentela, si volle che avessi continuato il lavoro: tanto più
che avevo avuto V onore di stare presso di Lui, per ragioni di servizio, in
questi ultimi anni, ed avevo avuto occasione di eseguire qualche ricerca per
questo suo speciale studio.
Mi schermii sul principio dall'assumere un incarico, che ritenevo e ri-
tengo superiore alle mie forze; ed anche perchè rifuggivo dal legare il mio
modesto nome ad un'opera nella quale collaborano uomini tanto preclari ; ma
poi potè su di me il consiglio e l'autorità dell'illustre ammiraglio senatore
OfTRTAvo Bozzoni. — Marina militare e Costrufiont navali» 1
GUSTAVO BOZZONI
Oualterio, e mi assunsi V incarìco che il Presidente ToUe benignarsi di affi-
darmi, anche perchè convinto che avrei fatto opera riguardosa verso la me-
moria del Masdea, non lasciando nell* oblio un lavoro da lui iniziato.
Nota. — Il senatore Masdea si era occupato della parte che si rife-
risce al naviglio dalla costituzione del Begno al 1880, e dei cenni storici e
tecnici; io ho rispettato quanto egli aveva scritto, completando le parti
mancanti, poiché, come ho già accennato, lo scritto era a brani staccati.
Pertanto, i par^rafi 3-4-11-12-13-14-15-16-17-18-22-25-26-28-30-31-82
della Parte II sono integralmente del Masdea.
Ing. Gustavo Bozzoni
Ma^iore del Genio Narale
MARINA MILITARE B COSTRUZIONI NATALI
PARTE PRIMA
ORDINAMENTO GENERALE
All'alba del nuovo Regno costìtuitoai per volontà di popolo e lealtà di
Principe, allorché vi mancavano ancora le provincie Venete e quelle sotto-
poste al dominio pontificio, l'ordinamento generale della Marina da guerra
era, per sommi capi, il seguente (R. D. 17 novembre 1860).
1. Il Ministero della Marina (creato col R. D. 10 gennaio 1861, col quale
si abolivano i Ministeri di Napoli e Palermo) limitava la sua opera all'alta
direzione delle cose marittime ed airamministrazione pecuniaria; la tratta-
tiva degli affari tecnici era devoluta al Consiglio di Ammiragliato ; le par*
ticolarità del servizio ai comandi dei dipartimenti.
Il Consiglio di Ammiragliato (R. D. 21 febbraio 1861) era presieduto
dal ministro e composto di ufficiali ammiragli e dell* Ispettore generale delle
costruzioni navali: deliberava sulle questioni riguardanti Tordinamento e
r amministrazione della Marina, le costruzioni, i bilanci, i progetti di
legge, ecc. ecc.
I dipartimenti erano tre: Settentrionale con sede a Genova, Meridio-
nale con sede a Napoli, dell'Adriatico con sede ad Ancona, ed erano coman-
dati da ufficiali ammiragli, i quali proponevano al ministro le navi da armare
0 disarmare, le promozioni e destinazioni degli ufficiali, ecc., e sovrainten-
devano al servizio degli arsenali.
In ogni dipartimento eravi un Commissario generale dipendente diret-
tamente dal Ministero, al quale faceva capo tutto il servizio amministrativo
e contabile degli arsenali, degli uffici dipartimentali e delle navi dipendenti.
2. Il personale della R. Marina era composto (R. D. 1® aprile 1861)
dai seguenti Corpi:
1*) Corpo dello stato maggiore generale, al quale erano aggregati
i cappellani^ gli ufficiali piloti, gli ufficiali macchinisti^ gli ufficiali di
maggiorità^ gli ufficiali d'arsenale ed il personale civile delle segreterie
dei comandi in capo*
GUSTAVO BOZZONI
2®) Corpo del Genio navale, costituito da ufficiali ìngegaeri per il
servizio degli arsenali.
3*) Corpo sanitario.
4°) Corpo di commissariato.
5^) Corpo reale equipaggi costituito su due divisioni: una con sede
a Genova, Taltra con sede a Napoli (10.500 uomini).
6®) Corpo fanteria real marina, costituito su due reggimenti aventi
sede a Genova ed a Napoli (190 ufficiali e 5700 uomini).
3. Naviglio. — 11 naviglio dello Stato era costituito da 97 navi, delle
quali due corazzate, 30 navi ad elica, 41 a ruote e 24 a vela, per un tonnel-
laggio complessivo di tonn. 112.726. Esso era formato da 38 navi provenienti
<ialla Marina sarda, 33 dalla Marina napoletana, 9 dalla Marina toscana e
2 dalla Marina romana trovate nel porto di Ancona. Sono comprese in questa
«numerazione le navi ancora in corso di costruzione (le due corazzate) o navi
in istato da subire grandi riparazioni o trasformazioni: tolte le quali, il
naviglio da potersi armare effettivamente, a queir epoca, era ridotto a 22 navi
ad elica, 35 a ruote e 22 a vela, per im totale di 77.000 tonnellate, 12.160
cav. nom. e 745 cannoni.
4. Arsenali. — In fatto di arsenali, la Marina napoletana possedeva
Tarsenale di Napoli ed il cantiere di Castellamare, dove si trovavano in co-
struzione, a queir epoca, due fregate ad elica: « Farnese » (poi « Italia i>)e
« Gaeta » , ed una corvetta ad elica, Y « Etna » ; la .Marina sarda possedeva
Tarsenale di Genova ed il cantiere della Foce, nel quale si trovavano in
«ostruzione due fregate ad elica: «i Principe Umberto » e <« Principe di Cari-
gnano», e la corvetta ad elica « Principessa Clotilde ».
Oltre i suddetti arsenali e cantieri delle Marine sarda e napoletana, il
Regno d'Italia si trovò a possedere, alla sua costituzione, anche il cantiere di
Livorno con un bacino di carenaggio, e quello di Ancona.
Nei due dipartimenti settentrionale e meridionale, gli arsenali erano co-
stituiti su tre direzioni dei lavori: delle costruzioni navali, degli armamenti
e delle macchine; i comandanti in capo del dipartimento esercitavano la vi-
gilanza sugli arsenali, coordinando l'opera delle tre direzioni. Le maestranze
erano in parte costituite da operai borghesi arruolati militarmente, ed in
parte da forzati, che tino al 1867, fino all'epoca, cioè, in cui i bagni penali
furono alla dipendenza dell'Amministrazione della Marina, si mandavano al
lavoro negli arsenali.
5. Scuole e ospedali. — A Napoli e a Genova esistevano due Scuole
di Marina per la formazione degli ufficiali di stato maggiore; gli ufficiali
degli altri corpi della marina, che non erano militari, ma bensì assimilati, veni-
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI
vano reclutati fra giovani borghesi, salvo che per gli ufficiali piloti, i quali
provenivano dalla Scuola dei Pilotini del cessato Begno delle Due Sicilie.
Parimenti a Napoli e Genova eranvi due ospedali dipartimentali; nel
dipartimento dell' Adriatico, cioè ad Ancona, oravi un ospedale secondario \
esistevano poi scuole per i mozzi, scuole per i meccanici, ecc.
6. Alla morte del conte di Cavour, il generale Menabrea, che gli suc-
cesse nella direzione degli affari della marina, istituì un ufficio tecnico presso
il Ministero, costituito da ufficiali dei vad corpi della B. Marina, con le man-
sioni di esaminare i disegni di ordinamento marittimo, delle costruzioni,
degli armamenti, e di curare gli affari scientifici.
Nel 1863 furono riordinati gli arsenali, costituendoli su 3 direzioni dei
lavori : Costruzioni navali. Artiglierìa, Armamenti ; ed i servizi amministra-
tivi furoDO messi alla dipendenza del comandante in capo.
Nq^ 1865 (B. D. 11 marzo) fu riordinato dal ministro Angioletti il Mi-
nistero della marina, costituendolo su 3 Direzioni generali : Servizio militare
marittimo, Servìzi amministrativi, Marina mercantile e Bagni penali.
Nello stesso anno fu istituito un Comando militare a Spezia e fu ceduto
air industria privata il cantiere navale dì Livorno, venendo soppresso in quel
porto il Comando di Marina.
7. Sottoscritto a Berlino, 1*8 aprile 1866, il trattato dì alleanza offensivo
e difensivo fra Italia e Prussia, in previsione della guerra all'Austria, nella
quale la Marina doveva avere parte importante, furono in fretta armate molte
navi ; fu aumentato il numero degli ufficiali, richiamandone alcuni, che avevano
lasciato il servizio, altri chiamandone dalla marina mercantile; furono ri-
chiamate classi di leva, portando Teffettivo degli uomini del Corpo Beale
Equipaggi a 17.020, e con B. D. 3 maggio fu costituita Tarmata di opera-
zione. Da Taranto, punto di riunione, la sera del 21 giugno Tarmata partì,
diretta ad Ancona.
Ebbe così inizio la campagna che si chiuse con la dolorosa sconfitta del
20 luglio, data memorabile il cui ricordo fìi sanguinare ancora il cuore degli
italiani.
Firmata la pace con TAustria il 3 ottobre 1866, il Begno d* Italia ebbe
le provincia venete ; e, con B. D. del 6 dello stesso mese, il dipartimento del-
TAdriatico fu trasferito da Ancona a Venezia.
Nel successivo anno 1868, con B. D. 20 settembre, il ministro Biboty
riordinò le scuole di marina di Genova e Napoli, unificandole come istituto
su due divisioni: la prima, di 2 anni, a Napoli; la seconda, parimenti di 2
anni, a Genova.
Nel 1869 fu inaugiu-ato TArsenale della Spezia, e Tanno successivo fu
trasferita alla Spezia la sede del dipartimento settentrionale, rimanendo a
GUSTAVO BOZZONI
OenoTa un Comando locale. Il dipartimento della Spezia fu detto primo, quello
di Napoli secondo, quello di Venezia terzo. Poco dopo (B. Decreto 8 no-
vembre 1872), anche il Comando di Marina di Genova venne soppresso e
l'arsenale ceduto all'industria privata.
Nel 1872 fu riordinata l'Amministrazione centrale e costituito l'Ufficio,
poi Istituto idrografico, a Genova; nel 1875 fu riordinato nuovamente il
Ministero, costituendo la Direzione generale delle costruzioni navali, la Di-
rezione generale di artiglieria ed armamenti, la Direzione generale della ma-
rina mercantile; e neU'istesso anno furono militarizzati i corpi fino allora
assimilati.
Nel 1878 furono, con la legge 8 dicembre, riordinati i corpi militari e
civili della Marina, e fu costituita l'Accademia navale a Livorno.
Dopo questa epoca, l'ordinamento della Marina non subì altre modifica-
zioni radicali. Esso è pertanto costituito attualmente da un'amministrazione,
alla quale fanno capo e dalla quale dipendono tutti gli organi locali, e dai
consessi consultivi.
Qui appresso riassumiamo per sommi capi la funzione dell'Amministra-
zione centrale, quella dei Consessi consultivi e quella degli organi locali.
Amministrazione centrale.
L'Amministrazione centrale è ripartita nei vari Ufficii e Direzioni ge-
nerali, ciascuno dei quali sovraintende ad un particolare ramo del servizio
della vasta azienda.
1 principali uffici sono:
Gli Uffici di gabinetto del ministro e del sottosegretario di Stato;
Le Direzioni generali delle costruzioni navali, dell' artiglieria ed arma-
menti, degli ufficiali e servizio militare e scientifico, del Corpo reale equi-
paggi, della Marina mercantile e dei Servizi amministrativi;
Gli Ispettorati di sanità, di commissariato, del Corpo delle capita-
nerie di porto e dei Servizi marittimi ;
L'Ufficio di Stato maggiore;
L'Ufficio del Genio militare;
L'Ufficio di Ragioneria.
1 Consessi consultivi.
8. Consiglio Superiore di Marina. — Nella Marina sarda esisteva, fin
dal 1849, un Consiglio permanente di Marina, che nel 1856 s'intitolò Con-
gresso permanente della Marina militare. Nel 1861, con R. D. 21 febbraio,
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI
ftt istituito il Consiglio di ammiragliato^ che nel 1866 (B. D. 80 dicem-
bre) cambiò la denomiDazione con quella di Consiglio superiore di Marina.
Esso era incaricato principalmente dell'esame dei progetti delle costruzioni,
che si eseguivano per conto della B. Marina.
Negli anni 1894 e 1899 questo Consesso subì radicali riforme; attual-
mente ne son fissate la composizione e le attribuzioni con la legge n. 404,
del 27 giugno 1907.
Il Consiglio è presieduto da un'ammiraglio o yiceammiraglio ; ne fanno
parte due ufficiali ammiragli, il tenente generale del Genio navale, il
maggiore generale macchinista, il direttore generale capo della Direzione
generale dei Servizi amministrativi ed un capitano di vascello con le fun-
zioni di segretario. Sono membri straordinari del Consiglio i direttori ge-
nerali ed i capi degli Uffici principali del Ministero.
Il Consìglio è chiamato a dar parere sugli ordinamenti militari, e circa
la costituzione dei coi*pi della Marina ; emette il giudizio sui progetti delle
navi, sui contratti per forniture di grande importanza, sulValienazione delle
navi ecc.; compila i quadri di avanzamento per i vari corpi della B. Ma-
rina, esprime parere sulle azioni di valore, sulle pubblicazioni, sulle cam-
pagne ecc. ecc.
9. Comitato degli ammiragli. — Fu istituito nel 1886 dal ministro
Brin; venne soppresso nel 1899, e ripristinato nel 1907 con la legge 27 giugno
1907. È un consesso costituito dai comandanti in capo di forze navali pre-
senti nelle acque dello Stato, dai comandanti in capo dei dipartimenti, dal
presidente e dal vicepresidente del Consiglio superiore di Marina, dal te-
nente generale del Genio navale ed infine dal capo di stato maggiore della
Marina, il quale ha le funzioni di relatore. È presidente del Comitato il
primo iscritto nel ruolo degli ufficiali ammirigli in servizio attivo; ma il
ministro della Marina ha la facoltà di assumerne la presidenza.
Il Comitato degli ammiragli non è permanente, ma è convocato quando
se ne riconosca il bisogno, ed è chiamato a dar parere sulle questioni della
più alta importanza, relative al programma delle costruzioni navali ed alla
costituzione delle forze navali. Compila altresì i quadri di avanzamento degli
ufficiali degli alti gradi.
10. Comitato per l'esame dei progetti di navi. — Istituito nel 1880,
soppresso nel 1889, il Comitato per Vesame dei progetti di navi fu rico-
stituito con la citata legge del 1907.
Questo consesso è presieduto dal tenente generale del Genio navale, ed
è composto di ufficiali generali e superiori dello stato maggiore del Genio
navale e macchinisti. È un consesso eminentemente tecnico, che determina
i criteri informativi per lo studio dei progetti delle navi: esamina i prò-
^ GUSTAVO BOZZONI
getti delle navi e degli apparati motori : stabilisce le condizioni tecniche per
le forniture di navi, macchinari, materiali : esamina i capitolati d'oneri per
le dette fornitore ecc.
Aggregato al Gomitato è nn Ufficio tecnico esecutivo, retto da un mag-
giore generale del Oenio narale.
11. Consiglio superiore della Marina mercantile. — Fin dal 1816
esisteva nella Manna sarda un Consiglio di ammiragliato mercantile, che
fa conservato nella Marina italiana, subendo una serie di trasformazioni, così
nella denominazione, come nelle sue attribuzioni ; finché nel 1885 fu isti-
tuito con la denominazione attuale.
Il Consiglio è composto del direttore generale della marina mercantile,
di funzìoDart di vart ministeri ecc., ed è chiamato a dar parere su tutte le
questioni interessanti la Marina mercantile.
Organi locali.
12. Agli effetti militari, — cioè, per quanto riguarda la difesa delle
coste ed il servizio degli arsenali, — il litorale italiano è diviso in tre zone,
che prendono nome di Dipartimenti marittimi: il P con sede a Spezia, il
2^ a Napoli, il 8° a Venezia. Esistono poi Comandi militari a Taranto ed
alla Maddalena.
Nelle sede dei dipartimenti e Comandi militari, esistono arsenali, can-
tieri per la costruzione e riparazione del naviglio, depositi di combustibili,
di mimizioni di viveri, ospedali, comandi di difese marittime ecc., tutti sotto
la giurisdizione del Comandante in capo del dipartimento o del Coman-
dante militare. Tali comandi sono affidati ad ufRciali ammiragli dipendenti
direttamente dal Ministero.
13. Agli effetti mercantili e commerciali il litorale italiano è diviso
in 24 compartimenti marittimi, suddivisi a loro volta in Capitanerie di
porto, uflicii e delegazioni di porto. 1 compartimenti, le capitanerie, gli
uffici, sono retti da Capitani ed ufficiali di portOy dai quali dipendono i
servizi dei porti e del demanio marittimo, la polizia marittima, la vigilanza
sulla pesca, la vigilanza sulla gente di mare, il servizio della leva marit-
tima, le tasse marittime, i premi di costruzione, di navigazione ecc.
14^ Il Corpo degli ufficiali di porto venne istituito nel 1865 fondendo
il Corpo dello stato maggiore dei porti della Marina sarda, con quello dei
Consoli del mare della Marina napoletana; e fu corpo militare: poi divenne
corpo civile, conservando però la divisa militare.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI
Dato COSÌ no rapido cenno agli ordinamenti generali della Marina, pas-
seremo ad occuparci brevemente del personale^ delle scuole militari e
degli arsenali.
Personale.
16. Il personale della B. Marina si compone di Corpi militari ed im-
piegati civili.
Sono Corpi militari:
a) Lo Stato maggiore generale (ufRciali di rascello) ;
*) Il Qenio navale, che si suddiride in uflBciali ingegneri, ufficiali
macchinisti ed assistenti ;
ó) Il Corpo sanitario;
d) Il Corpo di Commissariato;
e) Oli ufficiali del Corpo B. Equipaggi;
f) Il Corpo Beali Equipaggi.
Sono corpi civili:
a) Oli impiegati del Ministero;
b) Il Corpo delle capitanerìe di porto;
e) I professori e maestri degli istituti militari marittimi;
d) I farmacisti;
e) Il personale tecnico dipendente dalle Direzioni dei lavori;
/) Il corpo dei contabili;
g) I disegnatori.
16. Corpo dello stato maggiore generale. — Alla costituzione del
Begno dltalia, al Corpo dello stato maggiore (ufficiali di vascello) erano
aggregati gli ufficiali di maggiorila, gli ufficiali piloti, gli ufficiali di arse-
nale, i cappellani ed il personale civile delle segreterie dei Comandi in capo.
Soppressi nel 1876 il corpo degli ufficiali piloti, quello degli ufficiali
di maggiorità e degli ufficiali di arsenale, i primi passarono in parte negli
ufficiali di vascello, i secondi passarono nel Commissariato, e gli ufficiali
di arsenale passarono a far parte del Corpo civile tecnico.
Nello stesso anno furono soppressi i cappellani, e gli ufficiali macchi-
nisti furono incorporati nel Corpo del Genio navale.
La legge 3 dicembre 1878, che stabilisce le mansioni dei vari corpi
della B. Marina, assegna allo Stato maggiore generale le seguenti:
armare, guidare, comandare le navi dello Stato: comandare i diparti-
menti e le piazze marittime, il Corpo reali equipaggi, le scuole di ma-
rina ecc. ;
10
GUSTAVO BOZZONI
dirìgere il servizio di artiglieria ed armamenti, il servizio idrografico
ed astronomico, nonché tatti i servizi attinenti alla navigazione ed ogni altro
di carattere militare marìttimo.
Il reclutamento degli ufficiali di stato maggiore è fatto per mezzo del-
TAccademia Navale, di cui diciamo in seguito.
Il seguente specchietto dimostra la storia organica del Corpo dello Stato
Maggiore dal 1861 al 1910:
OBADl
1861
1870
1880
1800
1000
1010
Ammiragli
Vice-ammiragli ....
Contro-ammiragli . . .
Capitani di vascello . .
Capitani di fregata . .
Capitani di corvetta . .
Tenenti di vascello . .
Sotto tenenti di Vascello
Gnardie marine. . . .
Totale .
1
8
10
12
36
150
150
150
512
1
1
10
33
50
180
150
145
570
1
4
9
34
40
20
200
150
48
1
5
15
46
59
56
309
167
78
1
7
14
58
70
75
400
166
120 f
501
736
911
1
7
15
56
75
85
420
340
999
17. Corpo del Genio Navale. — Il Corpo del Genio Navale esisteva
già con diversa denominazione nella Marina sarda e nella Marina napole-
tana. Nel 1861, con B. D. 1^ aprile assunse Fattuale denominazione: era
però costituito allora di soli ufficiali ingegneri; nel 1866 il Corpo del Oenio
Navale fu militarizzato, e nel 1878, con la legge del 3 dicembre, fu ad esso
aggregato il Corpo degli ufficiali macchinisti.
Alla costituzione del Segno esisteva un piccolo nucleo di macchinisti (12),
dei quali buona parte erano stranieri (inglesi e francesi); e nel 1862, per
ispirazione del conte Cavour, che intendeva così sottrarsi airelemento stra-
niero, fu creato (B. D. 25 settembre) il corpo dei macchinisti, aggregandolo
allo Stato maggiore generale, che non subì notevoli modificazioni fino al 1878,
epoca nella quale, come si è detto, gli ufficiali macchinisti passarono a far
parte del Qenio navale.
Le attribuzioni degli ufficiali ingegneri sono essenzialmente quelli di pro-
gettare e costruire le navi e gli apparati motori ; ripararli ; vigilarne la costru-
zione presso gli stabilimenti privati. La loro azione principale si esplica
pertanto negli arsenali e cantieri privati. Ufficiali generali del Corpo fanno
MARINA MILITARE B COSTRUZIONI NAVALI
11
parte del Consiglio superiore di Marina, del Gomitato degli amnaìragli,
del Comitato dei disegni delle navi ecc., ed un ufficiale generale è preposto
alla Direzione generale delle costruzioni navali presso il Ministero.
Gli ufficiali macchinisti, a cui è affidato Tesercizio degli apparati mo-
tori delle navi, esplicano la loro azione specialmente a bordo delle navi per
la direzione dei servizi delle macchine, e negli arsenali e nei cantieri dello
Stato presso la Direzione delle costruzioni navali, per il montamento e le
riparazioni delle macchine. Ufficiali generali e superiori del Corpo fanno
parte dei consessi consultivi, e degli Uffici tecnici del Ministero.
Gli ufficiali ingegneri sono reclutati mediante esame di concorso fra
giovani borghesi laureati ingegneri; sono ammessi in servizio col grado di
tenente, e quindi inviati alla Scuola navale di Genova, per cons^uire la
laura di ingegnere navale e meccanico — a meno che non posseggano già
il detto titolo — . Ai concorsi sono ammessi anche le guardiemarine dello
stato maggiore generale, ed i sottotenenti macchinisti.
Gli ufficiali macchinisti provengono dai sottufficiali macchinisti, i quali
sono tratti dall'apposita Scuola macchinisti esistente a Venezia.
Le due tabelle che seguono, dimostrano lo sviluppo del Corpo del Genio
navale (ingegneii e macchinisti) dal 1861 al 1910.
Corpo del Genio navale.
a) Ufficiali inoeoneri
a B A D l
ISSI
1S70
imo
iseo
IMO
1010
Tenente generale
—
1
1
1
1
Maggiori generali
1
2
2
2
2
3
Colonnelli
2
6
6
6
7
8
Tenenti-eolonnolli
8
12
6
6
9
10
Mafftriori
_
^MHk
6
6
11
15
*■&!&*"■' •••••••••
Capitani
16
20
80
47
55
Tenenti
18
10
8
12
15
18
Sotto-tenenti
8
8
—
6
5
TOTALB . . .
87
54
49
69
97
110
ì
12
GUSTAVO BOZZONI
b) Ufficiali macchinisti.
GRADI
IMI
1870
1880
1890
1900
1010
Maggior Generale
—
—
—
1
1
Colonnelli
—
—
—
1
1
2
Tenenti-colonnelli
—
—
—
3
5
6
Macrfiriorì .
8
6
8
20
28
Capitani
1
^ 12
)
8
12
42
68
76
Tenenti ]
24
30
47
97
112
Sotto-tenenti
30
30
77
70
79
Totale . . .
12
65
78
178
262
301
18. Corpo Sanitario. — Nel 1861 il Corpo sanitario era costituito da
8 medici capi dipartimento, 3 medici divisionali, 34 medici di vascello,
50 di fregata e 20 medici aggiunti. Nel 1862 (B. D. 21 aprile) fu isti-
tuito un Consiglio superiore di sanila militare marittima: con la quale
istituzione cessò la dipendenza del Corpo sanitario marittimo, per il servizio
tecnico, dal Consiglio di sanità deiresercito. Nel 1869 (B. D. 27 maggio) la
direzione degli ospedali, fino allora tenuta dagli ufficiali di vascello, fu assunta
dai medici; nel 1875 il Corpo sanitario fu dichiarato Corpo militare. Nel-
l'anno successivo fu istituito un U^cio, centrale di sanità marittima presso
il Ministero, ufficio che diventò poi Fattuale Ispettorato di sanità retto
dal maggiore generale medico. Kecentemente è stata istituita la Scuola di
sanità militare marittima, la quale però non ha iniziato ancora il suo fun-
zionamento (B. D. 7 settembre 1910).
Gli ufficiali medici sono reclutati per concorso fra giovani borghesi
aventi la laura in medicina e chirurgia, e sono ammessi in servizio col grado
di tenente. Le attribuzioni del Coi-po sanitario sono quelle stabilite dalla
legge del 1878: e cioè, la direzione del servizio sanitario a bordo delle regie
navi, e nei dipartimenti, negli stabilimenti ed istituti militari marittimi,
ed infine il servizio sanitario sulle navi del commercio, che trasportano i
nostri emigranti.
MARINA MILITARE B COSTRUZIONI NAVALI
13
Tabella dimostrante lo sviluppo dbl corpo sanitario
DAL 1861 AL 1910
OBADI
IMI
1870
1880
1800
1000
1010
Maggior generale
Colonnelli . .
Tenenti colonnelli
Maggiori . . .
Capitani . . .
Tenenti . . .
Sotto-tenenti
Totale . . .
8
3
50
20
76
1
3
6
51
50
111
1
3
4
9
43
57
117
1
8
8
13
59
61
145
1
6
11
23
75
68
179
1
6
11
23
107
79
227
19. Corpo di Commissariato, — Fu costituito dal eonte di Cavour
con legge 21 febbraio 1861, formandolo con gli ufficiali amministrativi delle
Marine sarda e toscana e col Corpo amministrativo contabile della Gia-
nna napoletana, ed ebbe attribuzioni autonome di controllo con dipendenza
dair Amministrazione centrale.
Nel 1863 i commissari generali furono posti alla dipendenza dei co-
mandanti in capo dei dipartimenti, ed il Corpo fu diviso in duo categorie:
Commissari e Contabili, con assimilazione a gradi militari.
Nel 1875 il Commissariato fu dichiarato Corpo militare ed assunse
Tattuale denominazione di Corpo di Commissariato militare marittimo.
Nel 1876, sciolte le categorie degli ufficiali di maggiorità e del personale
civile delle segreterie dei comandi in capo, esse vennero in parte fuse col
Commissariato, nel quale entrarono pure a far parte alcuni ufficiali del sop-
presso Corpo di fanteria real marina.
Attualmente, agli ufficiali di Commissariato sono attribuiti i seguenti in-
carichi :
Acquisto, conservazione e distribuzione dei viveri; amministrazione e
contabilità dei corpi, navi, istituti e stabilimenti marittimi ; servizio ammi-
nistrativo presso i Comandi in Capo e le direzioni dei lavori; servizio dei
contratti nelle sedi dipartimentali, ed in generale ogni altro servizio am-
ministrativo 0 contabile occorrente nell'Amministrazione militare marittima.
Nel 1906 fu creato presso il Ministero della Marina Tlspettorato di
Commissariato, retto dal generale commissario, con le seguenti attribuzioni:
personale del Commissariato, servizio sussistenze, ispezioni amministrative e
tecniche ecc.
u
GUSTAVO BOZZONI
Oli ufficiali commissari sono reclutati mediante concorso fra giovani
borghesi, che abbiano ottenuta la licenza liceale o d'istituto tecnico, nonché
fra i sottufficiali del C. B. E., che abbiano almeno due anni di grado e siano
dì condotta esemplare.
Alcuni ufficiali del Corpo sono ammessi a seguire un corso biennale di
merceologia, tecnologia tessile e chimica presso il B. Istituto superiore di
studi commerciali, coloniali ed attuariali di Boma, per conseguire il diploma
di periti in merceologia. Detti ufficiali periti sono destinati al servizio
tecnico di collaudo e ricezione di materiali, viveri, vestiario ecc.
Nella tabella che segue è dimostrato lo sviluppo organico del corpo.
GRADI
18«1
1870
ISSO
ISQO
1900
1910
Maggior generale ....
Colonuelli
Tenenti colonnelli . . .
Maggiori
Capitani
Tenenti
Sotto-tenenti
Totali . .
1
1
3
3
3
4
6
8
9
10
13
17
10
10
12
20
26
51
55
80
121
107
60
66
80
113
107
30
34
50
20
28
162
177
235
292
292
1
6
17
28
107
64
16
239
20. Ufficiali del Corpo Reali Equipaggi. — Gli ufficiali di questo
Corpo, istituito con legge 19 giugno 1888, provengono dai sottufficiali delle
varie categorie del Corpo B. Equipaggi e possono raggiungere il grado mas-
simo di capitano. Prestano servizio presso le direzioni dei lavori degli ai'se-
nali, secondo la loro specialità, nelle caserme in qualità di istruttori, negli
uffici amministrativi del Corpo B. Equipaggi e negli ospedali : quelli di al-
cune categorie possono anche ricevere destinazione di imbarco in servizi
sott'ordini.
All'atto dell'istituzione di questo Corpo, il numero degli ufficiali era
di 50; attualmente Torganico è composto di 141 ufficiali, dei quali: 30 ca-
pitani, 54 tenenti e 57 sottotenenti.
21. Corpo Reali Equipaggi. — Il Corpo Beali Equipaggi è il com-
plesso degli uomini costituenti la bassa forza: divisi in sott'ufficiali. sotto-
capi (caporali) e comuni (marinai), ed in varie categorie, secondo le varie
specialità: cannonieri, marinai, torpedinieri, fuochisti, ecc. ecc.
La sede del Comando del Corpo, dove è accentrata Tamministrazione, è
attualmente al Ministero della Marina; mentre nelle sedi di dipartimenti e
dei comandi militari o difese, vi sono depositi o distaccamenti.
MARINA MILITARB B 009TR0ZI0NI NAVALI IS
La forza complessiva del Corpo B. Equipaggi era, nel 1861, di 15,000
nomini. Lo specchio segnente ne mostra le successiTe variazioni.
Anno 1866 17,000
1870 11,000
1880 50,000
. 1890 20,000
» 1900 23,000
» 1910 28,600
9
9
Istituti Militari.
Per la preparazione alla carriera militare marittima esistono attual-
mente due scuole : l Accademia Navale di Livorno per la formazione degli
uflBciali dello Stato Maggiore Generale, e la Scuola Macchinisti di Venegia
per la formazione dei sottufficiali macchinisti, che, dopo adeguato tirocinio,
diventano ufficiali.
22. Accademia Navale. — Alla costituzione del Segno d'Italia esiste-
vano due scuole di Marina: quella di Napoli e quella di Genova; il con-
trammiraglio Sibotj, ministro della Marina, con B. D. 20 settembre 18(58
riordinò le due scuole, unificandole come istituto, per modo che gli allievi
compissero la loro educazione per i primi due anni alla scuola di Napoli, e
per i successivi nella scuola di Genova.
Nel suddetto decreto si legge la volontà di riunire le due scuole in un
solo istituto ; ma soltanto dopo dieci anni, nel 1878, mercè l'opera di Be-
nedetto Brin, il Parlamento fu chiamato a votare 1* unificazione delle due
scuole di Marina in un istituto di Studi militari marittimi a Livorno, ed
il 6 novembre 1881, alla presenza di S. A. B. il duca di Genova, venne
inaugurata, con la denominazione di Accademia Navale, questa Scuola di
Marina della nuova Italia, la cui istituzione era stata propugnata, fin dalla
costituzione del Begno, dal conte di Cavour.
L'Accademia navale sorge in uno dei più ameni punti della riviera
livornese, e precisamente dove era anticamente il lazzaretto di s. Jacopo;
l'ampio edificio, costruito appositamente per lo scopo a cui deve rispondere,
è fornito di spaziose sale per dormitori, per studio, per refettorii; piazzali
per esercitazioni militari e ginnastiche; porticciuolo ger esercitazioni mari-
naresche, ecc. Possiede un ben fornito museo di materiale di artiglieria, ma-
teriale subacqueo, modelli di navi e di macchine, ecc.
16 GUSTAVO BOZZONI
Fino dalla sua fondazione, la B. Accademia navale era divisa in cinque
corsi: i giovanetti vi erano ammessi in età dai 12 ai 15 anni, e ne usci-
vano col grado di guardiamarina alFetà media di 18 anni.
Neiranno 1897, fu modificato Tordinamento dell' Accademia, riducen-
dolo da 5 a 3 corsi: condizione per Tammissione era quella di possedere
la licenza liceale o di istituto tecnico o di collegio militare, ed età fi-a
i 18 e i 19 anni.
Gol primo sistema si avevano guardiemarine dell'età di 18 anni ; col
secondo, invece, Tetà media si è elevata a 22 anni. Prevalendo ora il concetto
di avere, anche nei gradi elevati, ufSciali quanto è più possibile giovani, ed
anche perchè si ritiene vantaggioso addestrare i giovani alla vita del mare
in età più tenera, si è reputato conveniente di ritornare al sistema antico di
reclutare i giovanetti iti età dai 13 ai 15 anni; e recentemente è stato ban-
dito il primo concorso per l'ammissione all'Accademia col nuovo sistema.
Essendo di quattro anni la durata complessiva del corso, si avranno le guar-
diemarine dell'età media di 18 anni, come per lo passato.
All'Accademia navale sono annessi : un corso superiore per i sottotenenti
di vascello per l'abilitazione alla promozione a tenenti di vascello; corsi di
perfezionamento per i tenenti di vascello ; ed un corso superiore per i tenenti
e capitani macchinisti.
È comandante dell'Accademia un contrammiraglio: i professori sono
civili per le materie scientifiche e letterarie; militari, e tratti dagli ufficiali di
vascello e del Genio navale, per le materie professionali.
23. Scuola Macchinisti. — Nel 1862 fu istituita a Genova una Scuola
Macchinisti per la formazione degli aiutanti macchinisti. La scuola ei*a alla
dipendenza del Comando della Divisione del Corpo R. Equipaggi, ed era di-
retta da un capo meccanico (maggiore). Il corso era suddiviso in 3 anni:
condizione per l'ammissione era di possedere il certificato di promozione
dalla 3* alla 4* classe elementare. Nel 1863 fu modificato l'ordinamento,
portando la durata del corso a 4 anni; e nel 1867 la scuola fu trasrerita a
Venezia, nella sede attuale.
Nel 1895 la scuola stessa subì un radicale mutamento: i corsi furono
ridotti da 4 a 3, e per Tammissione si richiese il certificato di licenza di
scuola tecnica o quello di ammissione al P anno di Istituto tecnico, oltre
l'esame di concorso.
Attualmente la Scuola macchinisti è diretta da un capitano di vascello;
ne sono professori ed istruttori ufficiali ingegneri e macchinisti, e profes-
sori civili.
Alla uscita della scuola, gli allievi conseguono il grado di furiere mag-
giore; dopo un anno, ritornano alla scuola di Venezia per seguire un corso
di perfezionamento.
MARINA MILITARE B COSTRUZIONI NAVALI 17
Arsenali.
24. Come si è già accennato, la Marina Italiana possedeva, alla pro-
clamazione del Segno, gli arsenali di Genova, Livorno, Napoli, coi cantieri
di Castellammare e di Ancona. Annesse le Provincie venete, la Marina acquistò
anche il vecchio arsenale della gloriosa Bepnbblica. Il numero era eccessivo,
nò alcuno di essi era in condizioni di costruire moderne navi di grosso ton-
nellaggio. Occorreva diminuirne il numero ingrandendo i rimanenti, scavar
darsene e bacini, provvedere i mezzi di lavoro occorrenti alla cambiata tecnica
delle costruzioni navali, e nello stesso tempo provvedere alla difesa degli
arsenali stessi. Fu così che, con Tandare degli anni, furono aboliti gli ar-
senali di Genova, Livorno ed Ancona, cedendoli alla industria privata; fu
costruito l'arsenale di Spezia e poi quello di Taranto, e furono ingranditi
quelli di Venezia, Napoli e Castellammare, dotandoli di necessari mezzi di
lavoro.
26. Arsenale di Spetia. — Fin dal 1805 Napoleone I aveva rivolto
r attenzione alla Spezia ed aveva divisato di farne una piazza forte, dotata
di arsenale marittimo ; e fin da quell'epoca gli ingegneri francesi presero a
studiare la questione, e furono anche iniziati i lavori per la difesa del golfo
e della città (poi sospesi e ripresi varie volte). I progetti studiati furono
molti, ma sempre col criterio fondamentale di fabbricare Tarsenale nel seno
del Yarignano. Il conte di Cavour decise invece di costruirlo tra la città
della Spezia ed il paesello di S. Vito, e nel 1860 diede incarico al generale
del Genio navale Domenico Chiodo di preparare il progetto.
Morto il Cavour, gli successe nel dicastero della Marina il generale
Luigi Federico Menabrea, che, nello stesso giorno in cui assunse il portafoglio,
presentò alla Camera il disegno di legge per la costruzione delFarsenale, pre-
parato da Cavour. L'arsenale doveva comprendere: 2 darsene, 4 bacini di
carenaggio, moli, calate ecc. ; il tutto, per l'importo presunto di 40 milioni.
Il progetto fu approvato dalla Camera e convertito in legge il 18 luglio 1861 :
dopo otto anni, il 28 agosto 1869, Tai-senale di Spezia fu inaugurato alla
presenza del duca di Genova.
L'arsenale di Spezia occupa l'area di 1.000.000 di mq. ; comprende
2 darsene, 3 scali di costruzione, 6 bacini (dei quali il maggiore lungo
m. 210), e costò 50 milioni. In seguito, nell'arsenale di Spezia si sono andati
facendo tutti gli impianti di macchinari ed attrezzi voluti dalla tecnica
moderna: cosicché, al giorno d'oggi, questo nostro arsenale maggiore può
sostenere il confronto coi migliori arsenali dell'estero.
GrsTWo Bozzoni. — Monna mìh't.ire e Costrusioni navali. 2
18 GUSTAVO BOZZONI
Neirarsenale di Spezia si costniiscono navi complete, artiglierie di pic-
colo e medio calibro; e recentemente è stata impiantata a S. Bartolomeo
anche la fabbrica dei siluri.
Riportiamo qni sotto l'elenco delle navi costruite e varate alla Spezia:
Corazzata « Palestre » 1871
Cannoniera « Sentinella » 1874
» « Guardiano » 1875
Corazzata « Doria » 21 novembre 1885
Incroc. torpediniere « Montebello 1888
n « ft Monzabano » 1888
» « « Confienza t ...... . 1889
Corazzata « Sardegna > 20 settembre 1890
Incrociatore « Calabria « 1894
Sottomarino « Delfino » 1895
Incroc. corazzato « Carlo Alberto > . . 27 settembre 1896
Corazzata « Regina Margherita »... 30 maggio 1901
« » Regina Elena » .... 11 giugno 1904
« « Roma » . 21 aprile 1907
9 « Conte di Cavour « (in costruzione).
26. Neirarsenale di Spezia è notevole la vasca Fronde per le esperienze
di architettura navale.
Fino a pochi anni addietro, le norme che si seguivano per prevedere
la resistenza che una nave avrebbe incontrato nel muoversi nell'acqua ad
una data velocità, e per calcolare quindi la potenza di macchina occorrente,
consistevano nel proporzionarla alla superficie della sezione massima im-
mersa 0 ad altra sua funzione. Il sig. W. Fronde fu il primo a dar vita
al metodo sperimentale, intraprendendo lo studio della resistenza delle navi
mercè l'analisi di quella misurata rimorchiando i loro modelli ed applicando
la legge di similitudine dinamica enunciata da Newton. Il Fronde dimostrò
la pratica attendibilità della legge di similitudine applicata ai modelli delle
navi, eseguendo le memorabili esperienze del 1871 con la corvetta « Grey-
hound 1 ed il rimorchiatore « Active » , e quindi costruì in Ingiiilterra la
prima vasca per esperienze coi modelli.
Contemporaneamente, in Italia, a Castellammare, per opera deiringe-
gnere del Genio navale A. Lettieri, poi maggior generale, si eseguirono
nelle vasche del legname esperienze di trazione col modello del « Duilio •.
Successivamente il Ooverno inglese impiantò a Gosport, presso l'arsenale di
Portsmouth, una vasca di 120 m. di lunghezza, ed allora Benedetto Brin,
mente aperta ad ogni progresso, volle che anche la Marina italiana avesse
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 19
la vasca per esperienze di architettura navale, vasca che fa impiantata alla
Spezia nel 1887, per opera deirora colonnello del Genio navale G. Bota.
La vasca è lunga m. 146, larga 6, profonda 8. I modelli delle navi da
sperimentare si costruiscono in parafBna, e sono sagomati con adatta inven-
zione : si fanno quindi correre nella vasca rimorchiandoli, e si registrano con
apposito apparecchio dinamometrico le resistenze incontrate dal modello alle
varie velocità.
Nella vasca si eseguiscono anche esperienze di rollìo, con modelli di
eliche allo scopo di determinare le migliori proporzioni da assegnare alle
eliche stesse per ottenere la massima efficienza, ecc. ecc.
27. Arsenale di Napoli. — La fondazione di questo arsenale risale al
1517. Fu ultimato nel 1577, ma subì sempre continue e radicali trasforma-
zioni; ebbe per il primo in Italia un bacino di carenaggio in muratura co-
struito dal principe di Iscbitella nel 1852: bacino insufiSciente ora per le
moderne grandi navi, perchè lungo solo 75 metri. L^arsenale ha attualmente
una buona darsena, uno scalo adatto per le piccole navi e torpediniere, ed è
principalmente adibito alla riparazione delle navi della flotta ed alV allesti-
mento delle navi costruite a Castellammare : e pertanto è stato recentemente
riordinato e fornito di moderni macchinar! ed attrezzi.
28. Cantiere di Castellammare. — Risale al 1605 la fondazione di questo
cantiere che costruì per lunghi anni le navi in legno dei Borboni.
Alla costituzione del Begno d* Italia, fu continuata la trasformazione, già
iniziata dal Governo napoletano, per rendere il cantiere di Castellammare
atto a costruire navi in ferro; e nel 1873 si potè impostare sullo scalo il
s Duilio » che, attraverso immense diflBcoltà ed incertezze, fu felicemente
varato 1*8 maggio 1876, fra il delirio della popolazione accorsa da tutta Italia
e dall'estero ad assistere al varo da molti (ed anche da tecnici) ritenuto
impossibile! Direttore dei lavori e del varo era in queirepoca Antenore Boz-
zoni, padre di chi scrive queste poche note, allora colonnello del Genio na-
vale, poi tenente generale e presidente del Comitato pei disegni delle navi ;
e chi scrive, per quanto fosse allora in età tenerissima, ha impresse nel
cuore le ansie di quei giorni!
Dal varo del « Duilio » in poi, numerose sono state le navi costruite a
Castellammare, né mai si è avuto a lamentare il benché minimo incidente
nei vari: ciò che forma Torgoglio di quelle maestranze, fìere ancor oggi di
aver costruito il a Duilio • . Bicordo le principali navi varate :
Corazzata « Duilio » 8 maggio 1876
it « Italia » 29 settembre 1881
» « Ruggiero di Lauria » . . . . 9 agosto 1884
I
I
20 GUSTAVO BOZZONI
Mta
Incrociatore « Etna « 26 settembre 1885
Corazzata « Be TTmbei-to » 17 ottobre 1887
Incrociatore « Marco Polo » 27 ottobre 1892
» « Yettor Pisani » 14 agosto 1895
Corazzata « Emanuele Filiberto » .... 29 settembre 1897
» « Benedetto Brin » 7 novembre 1901
» « Vittorio Emanuele » .... 12 ottobre 1904
» K Napoli » 10 settembre 1905
Incrociatore « San Giorgio *» 27 luglio 1908
» « San Marco » 20 dicembre 1908
Corazzata « Dante Alighieri » 20 agosto 1910
29. Arsenale di Venezia. — La sua origine risale al 1100. Col vol-
gere degli anni e col crescere dei bisogni della gloriosa Repubblica, l'arsenale
venne di mano in mano ampliato. Dopo il 1866 esso fu trasformato dal ge-
nerale Chiodo, ed attualmente occupa Tarea di mq. 370.000 ; ha tre scali di
costruzione, due bacini di carenaggio, dei quali il più grande è lungo m. 175:
un terzo bacino, lungo più di 200 metri, è attualmente in costruzione.
Da circa un quinquennio, cioè dalla costruzione del sommergibile « Glauco* ,
l'arsenale di Venezia è dedicato più specialmente alla costruzione del naviglio
sommergibile.
Bicordo le navi più importanti varate a Venezia:
Incrociatore « Cristoforo Colombo »... 17 settembre 1875
Corazzata « Morosini » 30 luglio 1885
• Incrociatore « Stromboli » 4 febbraio 1886
Corazzata « Saint Ben » 20 aprile 1897
Incrociatore « Francesco Ferruccio »... 23 aprile 1902
30. Arsenale di Taranto. — L'idea di una base navale a Tarauto
risale al 1865 (^). Nel 1871 fu presentato alla Camera dei Deputati il pro-
getto di legge per costruire a Taranto un arsenale marittimo: ma il pro-
getto non fu discusso se non nella seduta del 28 aprile 1873. Il mi-
nistro chiedeva lo stanziamento di 6.500.000 lire per cinque anni : il progetto
fu approvato dalla Commissione di deputati incaricata degli opportuni studi,
ma non fu discusso alla Camera e, per varie vicende, non divenne legge
se non il 29 giugno 1882. Nello stesso anno furono iniziati i lavori.
L'arsenale di Taranto occupa l'area di 600.000 mq. : ha un bacino di
210 metri di lunghezza (un altro, ancora più grande, è in costruzione), due
scali di costruzione, grandi ofScine, ecc.
Una sola nave è stata costruita finora a Taranto: l' incrociatore « Puglia »» ,
varato il 22 settembre 1898.
(') I primi studi forono fatti dal Saiiit-Bon, allora capitano di fregata, e dal maggiore
del genio Guaraschi: i jrcnerali Chiodo e Prato compilarono pai il progetto definitivo.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI
21
PARTE SECONDA
IL NAVIGLIO
GENERALITÀ
1. Ai principi deiranno 1861 la flotta italiana, costituita essenzialmente
dalle navi della Marina sarda e della Marina napoletana , era composta di
97 unità, del dislocamento complessivo di 112.700 tonnellate, che portavano
complessivamente 1146 cannoni, disponevano della forza motrice di 17.700
cavalli vapore (nominali) e rappresentavano, nel totale, il valore approssima-
tivo di 85 milioni di lire. Fra le 97 unità, due sole (in costruzione) erano
corazzate; 30 erano ad elica, 41 a ruote, le altre avola.
Ora, dopo un cinquantennio, la nostra flotta, compresevi le navi in co-
struzione od allestimento, conta ben 842 unità, delle quali, 25 da battaglia,
173 siluranti e 112 onerarie, costituenti il dislocamento complessivo di ben
506.700 tonnellate, e la forza motrice di i.ij^.^ro cavalli vapore; è armata
con 1940 cannoni di grande, medio e piccolo calibro, e rappresenta, nel com-
plesso, il valore approssimativo di 948 milioni di lire.
Il seguente prospetto ^> nel quale, per diverse date del cinquantennio
dell'unità d* Italia, trovasi indicato il numero delle unità costituenti la flotta,
il dislocamento e la potenza di macchine complessiva, il numero totale dei
cannoni ed il valore approssimativo — dimostra il progresso del naviglio in
questi 50 anni.
DATA
Numero
d«n«
navi
Dislocamento
Fona
delle macchine
Numero
dei cannoni
Nnmero
delle
mitragliatrici
Valore
appr088ÌmatÌY0
Anno 1861 ....
97
112.726
17.710
1146
—
85.071.865
!• gennaio 1870 . .
74
152.451
25.376
644
149.859.000
Id. 1880 . .
78
157.647
24.165
650
—
206.98t'.000
Id. 1890 . .
278 1 811.923
429.811
587
38
4J»5.629.000
Id. 1900 . .
324
882.397
688.854
1981
123
573.589.700
Id. 1911 . .
342
506.755
1.186.270
1989
77
948.075.000
22
OnSTAYO BOZZONI
Il dislocamento della maggior nave da battaglia della nostra flotta del
1861, cioè del vascello ad elica «Re Galantuomo », era di tonn. 3800, ed
il costo approssimativo era di circa 3 milioni: la potenza dell'apparato motore
ne era di 450 cavalli nom., la velocità sotto vapore di appena 7 miglia
all'ora. Come si è già accennato, al 1861 la nostra flotta non contava che
dae sole navi corazzate («Terrìbile» e «Formidabile») ancora in costm-
zione in Francia, e queste erano pure le sole due navi da battaglia a scafo
di ferro cbe allora avesse la flotta, mentre tutte le altre navi, tranne alcuni
piroscafi da trasporto acquistati poco prima, erano a scafo di legno.
Le corazze delle due suddette navi erano di ferro come tutte le altre di
quel tempo, ed erano grosse soltanto 12 centimetri ; la velocità era di circa
10 nodi, la potenza di macchina di 400 cav. nom.
I più potenti cannoni esistenti allora, erano quelli da 20 centimetri,
lunghi meno di 8 metri, pesanti tonn. 5 circa ed aventi potenza balistica
di 166 dinamodi.
Ora, dopo un cinquantennio, le maggiori navi da battaglia della nostra
Marina hanno il dislocamento di oltre 22.000 tonn., costano oltre 60 mi-
lioni, hanno potenza propulsatrice di oltre 26.000 cav. asse e potranno rag-
giungere velocità di 22 e 23 miglia: le corazze che le proteggono sono di
acciaio di grossezza di 20 e 25 centimetri : ed i maggiori cannoni che le
armano, pesanti oltre 60 tonn. e lunghi meglio che 14 metri, hanno la pò*
tenza balistica di oltre 16.000 dinamodi.
Per molti anni ancora dopo il 1860, 1* Italia fu tributarìa dell'estero per
la costruzione delle navi in ferro prima, per la fornitura degli acciai per gli
scafi, delle macchine, delle artiglierie, delle corazze poi. Ora le navi da guerra
sono costmite in paese completamente: gli scafi, le macchine, le corazze, le
artiglierie, i siluri, tutto viene fabbricato negli arsenali dello Stato o nei can-
tieri nazionali ; ed italiane sono le ferriere e le acciaierie che forniscono la
materia prima.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 23
Cenni storici.
2. Alla costituzione del Regno d' Italia, incombeva sul Paese, e princi-
palmente sugli uomini di governo, la necessità di preparare la flotta per la
guerra contro l'Austria, ritenuta generalmente prossima ed inevitabile; ma
forse più gravi ancora, dal lato tecnico ed amministrativo, si presentavano
questioni importantissime, riguardanti la trasformazione del naviglio.
A queir epoca, infatti, le marine più progredite erano in un*éra di com-
pleta trasformazione : adottavano le navi a vapore ; agli antichi scafi di legno
sostituivano le navi in ferro : discutevano circa Tadozione delle navi coraz-
zate; ed il nostro paese, scarso di risorse finanziarie, quasi privo affatto di
industria metallurgica, povero di industrie meccaniche, pur doveva provve-
dere al più importante elemento della sua difesa sul mare, cioè alla flotta.
3. Al principio della seconda metà del secolo XIX, la manna da guerra
velica si poteva ritenere già completamente tramontata dopo molti secoli di
sovrano imperio sui mari : la navigazione a vapore Taveva soppiantata com-
pletamente, e gli antichi e gloriosi vascelli, le classiche navi di linea che
combatterono a Navarino, ad Aboukir, a Capri, a Trafalgar, cedevano lo
scettro del dominio del mare alle navi a ruote e ad elice, ai vascelli ed alle
fregate miste.
Ma non era ancor lontano il tempo nel quale Napoleone il Grande dava
del sognatore a Roberto Fulton : quello nei quale si ritenea irrealizzabile la
traversata deirAtlantico con navi a vapore: quello nel quale le idee del
principe di Jonville, ammiraglio della Marina francese, che propugnava la
trasformazione della Marina militare a vela in quella a vapore, erano derise
come il sogno di un pericoloso innovatore. La traversata dell'Atlantico fu
compiuta prima dal bastimento americano « Savannah »,che nel 1819 andò
da New-York a Pietroburgo; poi, nel 1825, dal brigantino inglese da 175
tonn. « Falcon »; e nel 1838, il piroscafo « Great Weastern », di 1340 tonn.
e 440 cav. nom., compì la traversata da Bristol a New-Tork in 15 giorni,
portando a bordo tutto il carbone necessario (600 tono.). Poco dopo, la stessa
compagnia proprietaria del « Great Western « faceva costruire il « Great
Bretain »,di 5450 tonnellate e 1000 cav. nom., primo grande piroscafo a
scafo di ferro e con propulsore ad elice.
Le Marine da guerra considerarono da principio i piroscafi come atti sol-
tanto al servizio di rimorchio ; quando essi furon cresciuti di portata e di velo-
24 OD STAVO BOZZONI
cita, li adoperarono come trasporti, ma niuno pensa?a che si potessero adot-
tare come navi di linea, con i propulsori a ruote tanto esposti alle offese del
nemico. Eppure, la trasformazione si compì celeremente dopo 1* introduzione
deirelica come mezzo propulsivo, che permise dapprima Tadozione dei tipi
di vascelli e fregate miste, dotati cioè di macchine ausiliarie, per poi pas-
sare gradatamente al tipo di vascello a vapore rapido, il cui primo esemplare
fu il « Napoleon « ; vascello di 90 cannoni progettato dal celebre ingegnere
Dupuy de L$me, la cui costruzione fu propugnata dal Principe di Jonville
(1850). Ma quante incertezze si dovettero vincere; quante difficoltà da supe-
rare ; quanti pregiudizi da combattere ; quante resistenze da parte dei pratici !
4. L'apparizione della nave corazzata, doveva dar luogo ad eguali discus-
sioni ed eguali resistenze in tutte le Marine militari; e per meglio rammen-
tare ed illustrare le difficoltà ed incertezze, che si presentavano agli ammi-
nistratori ed agli uomini tecnici che erano a capo delle Marine all'epoca
della costituzione del Begno d* Italia, circa la preferenza da darsi alle navi
a scafo metallico piuttosto che a quelle a scafo di legno, alle corazzate piut-
tosto che ai vascelli o alle fregate, mi piace ricordale o riportare quanto
disse Benedetto Brin nel suo pregevolissimo libro: « La nostra Mai-ina mili-
tare*, edito nel 1881, nel quale egli difese strenuamente la sua opera
d*ingegnere navale e di ministro della Marina.
Bicorda il Brin che nel 1844 l'ammiraglio francese Labrousse propose
al suo governo la costruzione di un ariete a vapore protetto con piastre di
12 cm. ; il tipo ardito e nuovo non sollevò serie obbiezioni, ma fu messo da
parte^ e Tammiraglio Jurrien de la Oravier ebbe a dire in proposito, che
M tale è in effetto la sorte che spetta agli spiriti troppo pronti e logici ;
d*un solo slancio essi traversano lo spazio, con un solo pensiero amvano
allo scopo, al quale gli uomini del mestiere non vorrebbero arrivare che
a tappe ».
In America, il sig. Thomas Grey progettò di corazzare le navi, e fu
trattato da pazzo ; ma quando ì fatti dimostrarono che il pazzo ^veva ragione, il
Senato americano accordò una pensione alla vedova dell'infelice inventore.
Sin dal 1816, dai fratelli Stevens fu proposto, ma senza successo, un sistema
di corazzatura a piastre angolate ; ed esito parimente infelice ebbero le ana-
loghe proposte fatte nel 1841 dagli ammiragli Stewart e Perry, e dai colon-
nelli Thair e Tolton. Lo stesso celebre generale Paixhans, inventore delle
granate, allorché di queste furono dimostrati i terribili effetti a Sinòpe,
propose di proteggere i fianchi delle navi con piastre di ferro ; ma TAmmi-
ragliato inglese combattè e seppellì la proposta.
Perfino dopo Tesperimento delle batterie corazzate « Lave » , « Deva-
station « , « Tonnante « , progettate dairingegnere francese Ouyiesse^ e che di-
mostrarono la loro immensa superiorità sui vascelli di linea, riducendo al
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 25
silenzio, e senza riportare alcuna avaria, i forti di Kimburo, contro i quali
i vascelli stessi si erano dimostrati impotenti (1857), non si credette airav-
venire delle navi corazzate; ed uflBciali distintissimi della Marina inglese e
della Marina francese, giudicarono pubblicamente che « lunico bastimento
di linea, la nave da guerra atta a battere il mare, sarebbe stato sempre il
vascello » .
La « Gioire » , la prima vera nave corazzata costruita in Francia dal
Dupuy de Ldme, fu giudicata in Inghilterra come un fiasco colossale, ed
il generale Douglas, autore classico in materia di artiglieria navale, scri-
veva nel 1861 che: « Se Tlnghilterra s'infatuasse in questa invenzione, e co-
minciasse a rinnovare il proprio naviglio con navi corazzate, avrebbe finito al
certo di appartenere alla categoria di potenza navale di prim'ordine, e perde-
rebbe r imperio dei mari » ; ed asseriva che « la velocità e la protezione metal-
lica sono due qualità che si escludono *; e che « una fregata rapida e ben
armata, poteva combattere con vantaggio contro una corazzata come la « Gioire «,
ridotta a nuioversi lentamente per la pesante corazza che deve portare " .
Anche negli Stati Uniti d*America la questione delle corazzate trovò a
quell'epoca grandi opposizioni, ad onta che si dovesse creare il naviglio,
sotto la spinta dell'incalzante guerra di secessione, e ad onta che i seces-
sionisti avessero già in costruzione la corazzata « Merrimac ». E fu ventura
che, prevalendo le idee del ministro della Marina, fosse ordinata la costruzione
dei monitorBy che contribuirono indubbiamente a decidere la guerra in fovore
della grande fiepubblica americana.
Come la giornata di SinOpe del 80 novembre 1858, fra una divisione
della squadra russa ed una divisione della squadra turca, segnò la condanna
delle navi in legno, perchè i russi, adoperando le granate, distrussero in breve
ora le navi nemiche, che perirono vittime dell'incendio: cosi i fatti della
guerra di secessione di America, e più specialmente il combattimento di
Hampton Soad delli 8 marzo 1862, fecero cessare tutte le incertezze, i
dubbi, le opposizioni suiradozione delle navi corazzate nelle varie Marine, e
tutte le nazioni si misero decisamente a riformare le loro flotte in naviglio
moderno.
6. Nel primo periodo delle corazzate — che va dal 1854, cioè dalla data
dell'apparizione delle prime batterie corazzate francesi Lave^ Tonnante, De-
voitation^ Congreve^ Foudroyante. fino al 1863 approssimativamente — il ca*
rattere della corazzatura è quello di essere estesa su tutta la murata o su
buona parte di essa, conservando le navi l'armamento di numerosi cannoni
di calibro moderato. Capostipite di queste corazzate, la « Gioire «. La Ma-
rina italiana si attenne a questo tipo di corazzatura per le prime navi
corazzate che costruì: « Terribile « e « Formidabile » (1861) ; « Be d'Italia •
26 GUSTAVO BOZZONI
6 « Re di Portogallo» (1863); «Roma» (1865); «Guerriera» e «Vo-
ragine» (1866) (0.
Ma fin dairinizio delle corazzate, gli artiglieri avevano portato la loro
attenzione sulla necessità di perforare le corazze: quindi le artiglierie aumen-
tavano di calibro e di energia di perforazione, e, di conseguenza, ne venivano
radicali rifoime nei sistemi di corazzatura, per la riconosciuta necessità
deiraumento di grossezza delle piastre stesse.
Si progettavano quindi navi a batteria centrale e cintura corazzata^
nelle quali la superficie corazzata era ridotta ad una cintura al galleggia-
mento, limitata al ponte di batteria, ed alla parte centrale fra batteria e
coperta, che costituiva il ridotto, dove erano sistemate le artiglierie. La minore
estensione della corazzatura permise di aumentare la grossezza di questa; come
pure Taumentato calibro dei cannoni, ne riduceva il numero. Prototipi di
questo sistema di corazzatura furono il « Bellerophon » in Inghilterra (1863) e
r«Océan » in Francia (1864). La Marina italiana s* informò a questo tipo
di corazzatura per le navi « Principe di Carìgnano » e « Messina » (1864-65);
tf Venezia » e « Conte Verde » (1865); « Maria Pia », « San Martino »,
« Castelfidardo », « Ancona » (1863-64); « Palestre » e « Varese » (1865).
6. Ma il continuo aumento della potenza delle artiglierie e, quindi, della
grossezza delle corazze — si era rapidamente giunti dai 10-12 cm. delle prime
corazzate ai 22 cm. delle navi tipo « Richelieu » (1867); ai 85 cm. delle
navi tipo « Redontable » (1867); ai 22 cm. delle navi « Principe Amedeo » e
nuova » Palestro » (1868) — condusse al sistema delle navi a torri, seguendo
il concetto di sistemare i cannoni, anziché in recinti corazzati fissi, entro
torri girevoli e disposte in guisa da dare alla nave la possibilità di sviluppare
un fuoco molto intenso in tutte le direzioni.
Le prime navi a torri furono costruite in America durante la guerra di
secessione, e furono i monilors, navi di basso bordo con cintura corazzata e
ponte di coperta corazzato. Seguirono in Inghilterra le navi tipo « Royal
Sovereign » , anch*esse di basso bordo : quindi il « Monarch » , con altezza di
bordo suflSciente a navigare al largo : e finalmente i tipi « Devastatiou » , che
furono i più perfetti. In Italia si ebbe fin dal 1866 la prima nave a torri,
r ft Affondatore » . munita di due torri con cannoni da 254 mm. e protetta
al galleggiamento da cintura completa di 11 cm.
7. Con la costruzione delle navi a torri, in Inghilterra e in Francia si
era giunti ad impiego di piastre di 35 e 38 cm.; ma intanto gli artiglieri
si accingevano alla costruzione di cannoni strapotenti, quali furono quelli
(>) Le date fra parentesi si riferiscono al varo delle navi.
MARINA MILITARE E COSTROZIONl NAVALI ^7
del « Dailio » e del « Dandolo » : e ciò doveva necessariamente portare ad un
ulteriore aumento nella grossezza delle piastre, accompagnato da notevoli
varianti nei sistemi di corazzatura fino allora usati, per diminuire la super-
ficie protetta. D^altra parte sorgeva minacciosa la torpediniera: quindi la
necessità di aumentare la velocità delle navi da battaglia, e di aggiungere
airarmamento principale un certo numero di cannoni di piccolo calibro per
respingere le torpediniere.
Gli studi per la ricerca del nuovo tipo di nave, procedevano in Inghil-
terra e in Italia; e primo risolse il problema, in Italia, Benedetto Brin,
progettando il «Duilio», la cui costruzione fu iniziata nel 1878.
Il « Duilio ir , fondato sul concetto del ridotto centrale corazzato con le
estremità non corazzate, ma suddivise in minuti compartimenti stagni, dei
quali quelli a murata riempiti di materie ingombranti ed ostruenti in modo
da assicurare, per quanto vulnerabili, una efBcace protezione alla galleggia-
bilità e stabilità, risolveva il problema della nave accoppiante ad un potere
offensivo, sino allora insuperato, un sistema difensivo perfettamente nuovo ed
una velocità a quei tempi sconosciuta per le navi di linea. Col « Duilio » ,
tipo riprodotto poi nel « Dandolo « , V Italia si metteva alla testa di tutte le
nazioni marinare. Poco dopo T inizio della costruzione del « Duilio », T Am-
miragliato inglese deliberava la costruzione dell* « Inflexible » , nave dello stesso
tipo del « Duilio », ma di dislocamento alquanto superiore e di velocità infe-
riore di ben due nodi.
Il « Duilio » e il « Dandolo » restarono per vario tempo le più belle
e potenti navi del mondo. L'ammiraglio inglese Spencer Bobìnson ebbe a
dire, parlando delle marine militari : «L'Italia ha la sua antica flotta coraz-
zata composta di sole navi di secondo ordine : ma ne ha due, il « Duilio •
e il « Dandolo » , extrapotenti » ; ed il senatore Bonjean disse al Senato ame*
rìcano: «Il solo «Duilio» della Marina italiana potrebbe distruggere tutta
la nostra flotta».
& Al tipo « Duilio » seguì il tipo « Italia » progettato dal Brin nel
1875,- secondo il concetto del Saint Bon di abolire la corazzatura verticale,
dotando la nave di elevatissima velocità, grande autonomia, rimanendo la
protezione affidata essenzialmente ad un ponte corazzato subacqueo e ad una
struttura cellulare completa.
L*« Italia» e la «Lepanto» riconfermarono per alcuni anni il nostro
primato navale guadagnato con la costruzione del « Duilio » .
A queste due navi seguirono le tre navi tipo « Ruggiero di Lauria »,
messe in costruzione negli anni 1881 e 1882, con le quali si ritornava al-
l'incirca al tipo «Duilio».
Benedetto Brin, tornato al potere nel 1884, potè mettere in cantiere
nello stesso anno le navi da lui studiate, « Re Umbelle » , • Sardegna » ,
28 GUSTAVO BOZZONI
ft Sicilia «fSegairae la costruzione ed apportai'vi quei perfezionamenti che la
introduzione dei cannoni a tiro rapido e delle granate ad alto esplosivo resero
necessari.
9. I sette anni che Brìn rimase al potere, segnarono un periodo vera-
mente brillante: essi costituirono, mi sia permessa l'espressione, il periodo
d'oro della nostra Marina, la cui fiotta era stimata la seconda del mondo.
In quei periodo, oltre le navi tipo « Re Umberto » , furono costruite le
navi « Fieramosca » e «Marco Polo», 12 navi tipo «Tripoli» e « Parte-
nope » , 5 navi tipo « Lombardia », e fu dato largo sviluppo al naviglio silu-
rante, costruendo ben 96 torpediniere ; furono inoltre posti in atto i progetti
di Rrin per V emancipazione della industria navale italiana dall' estero, fon-
dando in quel settennato i stabilimenti di Terni, Pozzuoli e Venezia, onde
si potesse fin d'allora fabbricare in Italia corazze, grosse artiglierie, siluri
e lanciasiluri, e sviluppare le industrie meccaniche per la costruzione degli
apparati motori delle nostre maggiori navi.
10. Alle navi tipo « Be Umberto » seguirono le due navi tipo « Saint Bon »
(1893-94), disegnate dal PuUino ed ispirate al concetto di aver le murate
protette da grande estensione di corazza; quindi le navi tipo «Carlo Alberto»
e « Garibaldi » (1893-95), incrociatori dotati di alta velocità e protetti con
estesa corazzatura, disegnati dal Masdea ; quindi le navi « Benedetto Brin » ,
concepite dal Brin stesso, e dis^nate dal Micheli (figlio) (1889), con estesa
ma sottile corazza, ed alta velocità.
Seguirono poi i tipi « Vittorio Emanuele » (1901-903), progettati dal
generale Cuniberti, navi potentemente armate, dotate di alta velocità e valida
protezione; i tipi di incrociatori corazzati «San Oiorgio » (1905-907), del
Masdea ; e infine le navi tipo Dreadnought, attualmente in costruzione : <r Dante
Alighieri » , « Conte di Cavour » , « Giulio Cesare » e « Leonardo da Vinci » ,
parimenti progettate dal Masdea.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 29
Cenni tecnici.
11. Dopo questa rapida enumerazione dei principali tipi delle nostre
navi maggiori, mi sia consentita una breve digressione — dirò così, tecnico-
professionale — in ordine alle navi da guerra: essa mi servirà per accen^
nare T essenza ed i principali requisiti delle navi stesse, e per far rilevare
le difficoltà che bisogna superare loro nello studiarne il progetto, a ciò che
meglio esse rispondano al precipuo loro scopo, in relazione al progresso dei
tempi, allo stato delle industrie che hanno attinenza con la loro costruzione,
ed airarte della guerra.
CertOf il seguirmi non sarà divertente; ma io spero che quanto andrò
esponendo potrà riuscire non privo d' interesse anche per coloro i quali,
versati in altri studi ed in altre discipline, non hanno domestichezza con la
materia delle costrazioni navali: giacché anche essi potranno formarsi una
idea generale del complesso problema che si riferisce alla nave da guerra
e delle difficoltà che si oppongono alla sua risoluzione, e saranno indotti
pertanto a giudicare con benevolenza Topera di chi ha il non facile compito
di stabilire le caratteristiche onde le navi da guerra debbono esser fornite
e di studiarne i progetti e dirigerne la costruzione, in guisa che la nave
riesca corrispondente alle caratteristiche prestabilite nella maggiore possibile
misura : il compito, insomma, di preparare alla patria quelle navi che sono
destinate a difenderne la integrità sui mari, ad assicurare la prosperità delle
grandi città marittime, e a tutelare la vita e la proprietà dei cittadini.
12. La nave da guerra è essenzialmente un complesso edificio gallega
giante, semovente e combattente, che deve pertanto possedere le facoltà e le
caratteristiche, talvolta opposte, occorrenti per galleggiare, navigare e com-
battere, nella maggiore reciproca misura compatibile nel difficile compromesso
che la nave rappresenta; compromesso, che si traduce nell* ottenere la mas-
sima potenza guerresca^ cioè il più potente armamento^ la massima pro-
tezione la massima velocità^ la massima autonomia, col minimo dislocamento
e con la minima potenza di apparato motore; ottenere, cioè, il massimo rendi-
mento, con la minima spesa.
13. Tutti sanno che, in omaggio al principio di Archimede, il peso del
liqìiido spostato da un corpo immerso in equilibrio, ossia il sno dislocamento,
è precisamente eguale al pe:;o del corpo stesso preso nel suo insieme; ma a
molti passa inosservato il fatto che, mentre, nel complesso, peso e disloca-
mento debbono necessariamente essere eguali, tuttavia i pesi delle diverse
zone di una nave possono essere, anzi sono quasi senopre, ben diversi dai
30 GUSTAVO BOZZONI
dislocamenti delle zone immerse che vi corrispondono: zone, il cui volume
ed il cui dislocamento variano grandemente col muovere del bastimento in
mare agitato.
In altre parole, mentre la somma di tutte le pressioni elementari eser-
citate dall'acqua contro la carena della nave, è eguale necessariamente al
peso totale della nave stessa, per alcune zone si verificherà un eccesso di peso
sulla spinta della corrispondente zona, per altre eccesso di spinta sul peso.
E specialmente per le moderne navi da guerra, con enormi pesi di corazze
e di artiglierie concentrati entro zone ristrette, il fenomeno degli eccessi di
peso 0 di spinta assume proporzioni rilevanti, e si producono degli sforzi
enoimi, ai quali devono contrapporsi le reazioni strutturali dello scafo, che
non debbono eccedere, naturalmente, i limiti voluti dalla elasticità e dalla
resistenza dei materiali, in modo che non si abbiano a produrre deformazioni
permanenti o lesioni di sorta.
Aggiungerò che l'accoppiamento di due o più cannoni di grosso calibro
nella stessa torre o piattaforma girevole, costituisce un peso mobile di molte
centinaia di tonnellate (tonn. 700 ali* incirca nelle moderne navi « Dante
Alighieri * e tipo « Giulio Cesare " ), il quale deve essere sorretto dalle strut-
ture locali, che debbono essere inoltre tanto robuste, da poter sopportare
r enorme cimento cui si trovano sottoposte durante lo sparo, cimento ohe
muta d'intensità e di direzione, sia col girare dei pezzi, sia con l'angolo
di elevazione al quale essi sono puntati.
14. È noto, del pari, anche ai piii profani delle cose di marina, che,
affinchè un corpo immerso nell'acqua o in altro fluido assuma movimento
progressivo, occorre imprimergli una certa forza, o, meglio, una certa quantità
di energia cinetica, che deve appunto eguagliare la somma delle energie
consumate o assorbite nel movimento. Per una nave, queste energie sono
quelle dovute essenzialmente all'attrito dell'acqua sulla sua carena, alla for-
mazione delle onde, ed al movimento vorticoso che assumono le molecole
liquide; bisogna quindi che sia comunicata alla nave una quantità di energia
meccanica corrispondente alla totalità di tutte queste forze ritardatrici.
L'appai-ato motore è destinato appunto a fornire Tenergia motrice, o,
meglio, a trasformare l'energia latente, contenuta nel combustibile portato a
bordo, in energia cinetica, ossia in energia meccanica di movimento. E quindi
occorre che esso sia atto a compiere questa trasformazione, nella misura occor-
rente: fa d*uopo, cioè, che esso sia capace di sviluppare la potenza meccanica
occorrente, nel tempo richiesto, per vìncere la somma di tutte le resistenze, ossia
di tutte le energie assorbite nel movimento. Ma, nelle navi da guerra, ciò non
basta ancora, poiché V apparato motore, oltre alla condizione essenziale dello
sviluppo di una data potenza, che ordinariamente si computa in cavalli-vapore
deve soddisfare ad altre condizioni di carattere militare : e propriamente deve
essere sistemato in modo da risultare, per quanto è possibile, difeso dagli
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI
81
effetti delle armi nemiche; deve essere ripartito in modo che questi effetti
abbiano le minori conseguenze possibili ; deve essere disposto in maniera, da
nuocere poco o nulla alle facoltà militari e alla galleggiabilità della nave, e
da contribuire, anzi, ad aumentare i mezzi di sicurezza della nave stessa.
Ed il lettore vorrà riconoscere che non è facile il soddisfare convenien-
temente a tanti requisiti ed a tanti vincoli, quando rifletta che Tapparato
motore di una moderna nave da battaglia, la cui potenza raggiunge e tal-
volta supera i 40.000 cavalli-vapore, corrispondente alla potenza di oltre 100
locomotive per treni espressi ; che il numero di caldaie occorrente per otte-
nere un così elevato sviluppo di potenza è molto ragguardevole, supera spesso
il 20 e talvolta il 30 ; che il peso di uno di questi potenti apparati motori
supera le 2000 tonnellate, e che la quantità diaria, che si deve sommini-
strare alle caldaie per ottenere la perfetta combustione, si eleva tavolta a
4-500.000 metri cubi per ogni ora.
16. Ho creduto così di fai* cenno di alcune delle pib importanti questioni
che si debbono risolvere, e di alcune delle più importanti caratteristiche
tecniche, architettoniche e militari, che si debbono conferire ad una nave da
guerra; ma abuserei troppo della pazienza del lettore, e mi allontanerei troppo
dai limiti impostimi dallo scopo di questa breve rivista, se volessi soltanto
enumerare, senza neppur discuterne, tutti gli svariati meccanismi ausiliail,
le numerose sistemazioni ed i molteplici servizii ai quali si deve provvedere,
in una moderna nave da guerra. Dirò soltanto che pel governo della nave,
cioè per la manovra del timone; pel servizio delle ancore; per quello da
ormeggio e tonneggio; per la ventilazione ed il rìscaldamento dei locali in-
terni; per la refrigerazione dei depositi delle munizioni; per la conservazione
dei viveri putrescibili; per i mezzi dì imbarco e manovra delle munizioni;
per il servizio delle imbarcazioni ; per il servizio di esaurimento delle grandi
masse d'acqua, e di prosciugamento ed allagamento dei doppii fondi e delle
stive; per servizio da incendio; per le comunicazioni meccaniche, acustiche
e telefoniche e per le trasmissioni degli ordini in generale, e per altri minori
servizii (cucine, ospedali, forni ecc. ecc.), sopra una recente nave da guerra
di 1* classe, cioè sopra una delle nostre gi-andi unità, non occorrono meno di
120 a 150 meccanismi e macchine ausiliarie, che complessivamente assorbono
non meno di 1500 a 2000 cavalli di potenza.
Premessi questi pochi cenni storico-tecnici, tratterò brevemente della
trasformazione della nave corazzata verificatasi nella nostra Marina nel Cin-
quantennio dell'Unità d'Italia, dividendo lo studio in 5 periodi di 10 in
10 anni; accennerò poi rapidamente al naviglio minore.
In appositi prospetti in appendice ho raccolto dati sommarli del navi-
glio in servizio od in costruzione a diverse date corrispondenti appunto ai
suddetti periodi decennali.
32 GUSTAVO BOZZONI
LE NAVI CORAZZATE
Dal 1860 al 1870.
16. Come ho già detto, alla proclamazione del Regno d* Italia, la R. Ma-
rina non aveva che due navi corazzate: la «Terribile» e la «Formi-
dabile», classificate come batterie coraszate^ entrambe in costnizione in
Francia presso la Soc. des Forges e Ghantiers de la Mediterranée, alla Seyne
(contratto giugno 1860); costruzione, era che stata volata dal Conte di
Cavour,
Erano navi in ferro, di 2700 tonn., con le murate totalmente protette
da corazze di ferro di 11 cm.; armate con 20 cannoni, dei quali 16 da
160 mm. e 4 da 204 mm., disposti tutti nella batteria ; avevano macchine di
400 cavalli nominali, ed erano capaci di raggiungere velocità di 10-11 nodi.
Queste navi erano sprovviste di alberatura; lo scafo non era suddiviso da
paratie ; erano munite di un piccolo rostro, e, per forme e caratteristiche ar-
chitettoniche, erano pressoché simili alle navi in legno. Aspre crìtiche fiirono
sollevate contro queste navi ; e la Commissione incaricata del loro collaudo
in Francia, ebbe a dire che « le navi non hanno proprietà tali da potersi
« considerare come batterìe corazzate, ma piuttosto come corvette ad elice
« corazzate ; e perciò la Commissione crede che la R. Manna debba utiliz*
« zarle nel miglior modo, relativamente alle loro qualità, modificando gli scafi,
« Tarmamento ed il carico » .
Il generale Bixio, valoroso soldato e marinaio, in Parlamento ed in una
vibrata lettera diretta al Movimento di Genova (21 dicembre 1861) ne fece
aspra censura dicendo : « Quanto alle due corvette corazzate, la « Terribile «
« e la « Formidabile » , il ministro della Marina si troverà certamente solo
« a classificarle elementi di una flotta navigabile »; e soggiungeva persino:
« Del resto, i bastimenti corazzati sono ancora un* incognita per tutti, e solo
« si crede che, quando siano spinti alle dimensioni del Warrior, offrano pos-
« sibilità di essere classificati per bastimenti militari speciali, ed in certi
« casi ben particolari » .
17. Seguirono a queste due navi le due corazzate a scafo di legno « Re
d'Italia " e « Re di Portogallo »: le pratiche per la costruzione delle quali
erano state iniziate dal Conte di Cavour, nel 1860, col costruttore Weeb di
MARINA MILITARE K COSTRUZIONI NAVALI 38
New- York, e condotte a teimine dall* ammiraglio Persano. Nell'agosto 1861
fu concluso il relativo contratto, e le due navi furono varate neiraprile e
neiragosto 1863.
Queste navi, del dislocamento di 5700 tonn., avevano le murate comple-
tamente corazzate con piastre di ferro di 11 cm.; avevano un piccolo sperone;
erano armate con 36 cannoni in batteria; avevano macchine di 800 cavalli
nominali, velocità 10-11 nodi.
18. Seguirono poi le 4 corazzate a scafo di ferro, costruite pur esse in
Francia, classificate come pirocorvette ad elice corazzate, la cui costruzione
fu decretata dal Parlamento il 7 giugno 1862.
Le prime due, la « Maria Pia « e la « San Martino « , furono costruite alla
Seyne presso la Soc. des Forges e Chantiers de la Mediteri-anée, e varate
neiraprile e nel settembre 1863; la 3^ cioè la « Gastelfidardo », fu costruita
a Nantes presso il Cantiere Gouin, e varata neiragosto 1863; l'ultima, cioè
r « Ancona » , costruita a Bordeaux presso il cantiere Arman, fu vai-ata nel-
r ottobre 1864.
Queste navi erano notevolmente più grandi e veloci delle due prime
corazzate in ferro, poiché avevano il dislocamento di circa 4300 tonn., e la ve-
locità di 13-14 nodi, che per quei tempi era abbastanza elevata; avevano
apparati motorì di 700 cav. nom. ; erano quasi totalmente sprovviste di al-
beratura. Avevano la prora molto sporgente al di sotto del galleggiamento :
erano, cioè, provviste di sperone.
Il loro armamento originale era costituito da 26 cannoni, dei quali, 4 da
204 mm. e 22 da 160 mm. ; lo scafo era di ferro, senza doppio fondo, e
ben poco suddiviso da paratie stagne; le caldaie erano situate tutte in unico
locale.
La corazzatura di queste navi era del sistema a cintura e batteria (in
, seguito fu modificata quando fu modificato l'armamento): le piastre erano
della grossezza di cm. 11 per le prime 3 navi, e cm. 12 la 4% sovrapposte
a grosso cuscino di legno quercia.
19. Altre due navi in ferro, la « Varese * e la « Palestre * (nomi ri-
prodotti poi in successive navi), furono costruite in Francia alla Sejne nella
istessa epoca, e varate alla fine dell'anno 1865. Furono classificate canno-
niere di 1^ classe. Avevano il dislocamento di sole 2000 tonn. ; la potenza
dell'apparato motore era di 300 cav. nom.; la velocità di 7-8 miglia;
ed erano armate con 4 cannoni di 204 mm. e protette col sistema a cintura
e batteria, con piastre di 11 cm.
20. In quel torno di tempo si costruivano anche le corazzate a scafo
di legno « Principe di Carignano « , « Messina » , « Boma » , « Venezia « e
Gustavo Bozzo:«i. — Marina mititart « Costrutioni navali, 8
34 GUSTAVO BOZZONI
«Conte Verde», la 1* a Castellammare, le altre 3 alla Foce e la 4* a Li-
vorno, varate; e s'iniziava la costruzione delle navi « Principe Amedeo « e
« Palestre » (nuova), messe ip cantiere a Castellammare ed a S. Bartolomeo
nel 1865, studiate e destinate a portar corazze di 12 cm. come le altre navi
citate.
Ma ci occuperemo solo di queste, che furono le ultime navi corazzate
in legno costruite dalla Marina Italiana, per ricordare che rincalzare dei
progressi delle artiglierie e delle corazze, fece si che per le 3 ultime navi,
«Venezia*, «Palestro* e « Principe Amedeo « , si addivenisse a radicali
trasformazioni, mentre erano ancora in cantiere. Alla « Venezia « si demolirono
le estremità per ricostruirle in ferro e restringere al ridotto centrale la co-
razza, portandone lo spessore da 12 a 15 cm. . Alla « Palestre « e al « Prin-
cipe Amedeo « si fece dapprima la stessa operazione : poi, mutato criterio, si
portarono i ridotti corazzati alle estremità, e si rifecero in ferro le murate
della parte centrale della nave.
21. In generale, le disposizioni architettoniche e strutturali delle prime
navi a scafo metallico costruite dalla Marina italiana, non presentavano
alcuno di quei vantaggi che furono di poi ottenuti in larga misura con le
costruzioni metalliche; che, di fatto, erano informate agli stessi concetti
costruttivi delle navi in legno, dalle quali derivavano.
Nei primi anni del Regno d'Italia è assai notevole fra le costruzioni
delle navi quella deir^ Affondatore «, ariete corazzato di 4000 tonn. e 700
cav. nom., costruito a Milwal sul Tamigi e varato nel 1865. Era a scafo
di ferro, con cintura corazzata al galleggiamento di 1 1 cm., e con due torri
corazzate per i grossi cannoni di 254 mm., ed era dotato di velocità supe-
riore alle navi allora in servizio, e munito di lungo e robusto sperone.
È pure interessante notare il varo della « Vedetta «, avviso di 830 ton-
nellate e 660 cav., la prima nave in ferro costruita in Italia: varo avvenuto
alla Foce, il 24 ottobre 1866.
In complesso, però, nello sviluppo delle costruzioni navali nei primi anni
del Regno, non si volle, come dice il Brin nel suo libro già citato, « tener
rocchio rivolto ai probabili progressi, ma si stimò meglio restar sempre al
ii di sotto dello stato attuale » : e le navi esistenti alla costituzione del Regno
e quelle costruite, tolto forse T « Affondatore », per lo svolgersi degli eventi
e per il progresso delle artiglierie, delle corazze ecc., si trovarono ben
presto ad aver valore militare assai scarso, e si rese quindi inevitabile la
legge di alienazione del 1875.
Fin dal 1867, discutendosi il bilancio della. Marina alla Camera dei
Deputati, fu presentato nn ordine del giorno per stabilire un servizio di na-
vigazione mercantile fra Venezia e 1* Egitto, ed il ministro del tempo espresse
Vintenzione^di consegnare a qualche Compagnia di navigazione alcune navi
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 35
della Marina, noa atte, pel progresso dei tempi, al servizio in guerra. La pro-
posta sollevò grande discussione, ma fu messa poi in tacere.
22. Il 16 maggio 1869 fu presentato alla Camera dei Deputati, dal
ministro Riboty, un piano organico del materiale della R. Marina, il quale,
invero, come rilevasi dalla relazione che lo accompagnava, non era proposto
in base alle esigenze marittime del paese, ma era piuttosto subordinato alle
ristrettezze della finanza, ed era considerato come un principio per Y impianto
della futura marina italiana.
Con tale piano organico si proponevano in tutto 82 navi: delle quali,
20 di linea, 7 fregate, 5 corvette, 16 cannoniere, 6 avvisi, 8 trasporti,
10 navi guardacoste e 12 rimorchiatori. Il proposto organico calcolava in
60 milioni la spesa occorrente, da ripartirsi in 10 anni ; presumeva in 44 mi-
lioni la spesa totale ordinaria annua per la Marina, ed in 23 milioni quella
da destinarsi alla manutenzione e riproduzione del naviglio.
Questo progetto di organico del materiale fu deferito al Comitato della
Camera, il quale a sua volta ne affidò Vesame ad una sotto-commissione. Ma,
nel frattempo, il Ministero Menabrea si ricompose, e la Commissione dovè
domandare al nuovo gabinetto se riteneva ammissibile la cifra complessiva
prevista nel bilancio normale: intervenuta poi la chiusura della sessione, il
progetto di egge non lebbe altro sèguito. Caduto il Ministero Menabrea, il pre-
sidente del nuovo gabinetto, Oiov. Lanza, nel suo dÌ8Coi*so alla Camera (15 di-
cembre 1869) espresse quali fossero gì* intendimenti del Governo rispetto alla
Marina, e cioè che V indirizzo del g2L\Ayi^i\x^ era quello di economizzare essenzial-
mente Bulle spese militari, cioè sui due bilanci deW Esercito e della Marina.
23. Nominato ministro della Marina il contrammii*aglio Guglielmo Acton
il 15 gennaio 1870, i principi della più stretta economia del programma
ministeriale vennero ampiamente sviluppati sotto la sua amministrazione
durata per oltre un anno e mezzo: fu prorogato da 8 a 18 anni il tempo
fissato per il riordinamento dell'arsenale di Venezia; fu definitivamente ab-
bandonata r idea della costruzione del bacino di carenaggio ad Ancona, sta-
bilita nel 1862.
Dal 1870 al 1880.
24. Questo periodo è particolarmente interessante, perchè in esso la
Marina cominciò a liberarsi della depressione nella quale era caduta dopo
la guerra del '66, e cominciò il fecondo periodo del risorgimento della nostra
flotta e delle nostre istituzioni militari marittime.
Al principio di questo periodo apparvero in Italia vari opuscoli, opere
di ufficiali ed ingegneri, atti a richiamare l'attenzione del paese sulle con-
dizioni materiali e morali della Marina, a dimostrare la urgente necessità
36 GUSTAVO BOZZONI
di provvedere a che V Italia creasse una Marina forte e temuta, per la su-
prema necessità della difesa delle sae coste, dell'esistenza sua stessa.
Il 3 giugno 1871 Tammiraglio Bìbotj, ex-ministro della Marina, pro-
mosse in Senato un* interpellanza sull'armamento generale della Marina, dimo-
strando la necessità di un piano organico: la discussione si chiuse con
l'ordine del giorno Cialdini-Menabrea, col quale il Senato esprimeva la ne-
cessità di un forte ordinamento della Marina.
25. Il 31 agosto 1871 il senatore Biboty assumeva per la seconda volta
il portafoglio della Marina, surrogando il contrammiraglio Ouglielmo Acton :
ed il 6 settembre emanò un lungo ordine del giorno, nel quale diceva che
il governo era penetrato dalla necessità di mantenere la marina in buono
stato, e capace di fare degnamente fronte a qualunque evento; e che « la
istruzione del personale ed il rinnovamento del naviglio, erano le due grandi
necessità del momento*. Nella tornata del 12 dicembre il Biboty presen-
tava infatti alla Camera un progetto di legge relativo al piano organico del
personale e del materiale della Marina, esponendo i criteri die lo avevano
guidato a compilarlo.
Col detto piano organico, la forza del naviglio si poi-tava a 73 navi, di
cui 12 di linea, 8 fregate, 7 corvette, 4 cannoniere di 1^ classe, 8 di
2* classe ecc., e sul bilancio della Marina si proponeva un aumento di lire
25.750.000, diviso in cinque esercizi, dal 1872 al 1876: con la quale somma
si calcolava di costruire 2 navi di linea, 2 cannoniere di 1^ classe, 2 di
2* classe e 10 guardacoste.
La Giunta, nominata dalla Camera per Tesame di questo progetto di
legge, nominò a sua volta una sotto-Commissione, che portò da 73 a 102
navi il quadro della flotta ; ma, per varie vicende, l'organico della flotta non
fu più portato in discussione alla Camera.
26. Intanto, il Consiglio Superiore di Marina, chiamato ad emettere pa-
rere sulla scelta dei tipi di navi, propose, nel gennaio 1872, la costruzione
di 3 grandi navi da battaglia a torri, 2 navi da crociera da 450 cavalli e
2 da 160 cav., tutte progettate dairallora direttore del Genio navale Bene-
detto Brin. La corazzata a torri era armata con 4 cannoni da 60 tonn., protetta
con corazze di 55 cm. nella parte centrale; la velocità era prevista in 15 nodi.
I piani subirono qualche modificazione; poi vennero approvati definiti-
vamente dal Consiglio superiore nell'agosto 1872, e nel successivo gennaio
venne messo in costruzione a Castellammare il « Duilio*. Contemporanea-
mente veniva impostata alla Spezia la nave gemella « Dandolo « .
Caratteristica principale di questo tipo di nave, era la riduzione della
superficie corazzata alla sola parte centrale, per proteggere Tapparato motore
e le torri dei grossi cannoni; la protezione delle estremità era affidata ad
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 37
una minuta suddivisione in compartimenti stagni, con concetto assolutamente
nuovo. L'armamento, che in origine doveva essere costituito da 4 cannoni
da 60 tonn., fu invece costituito di 4 cannoni da 100 tonn., del calibro di
450 mm., i più potenti cannoni (ino allora fabbricati (è da ricordare che il
calibro 450 non è stato mai più raggiunto o superato nelle moderne arti-
glierie), ad avancarica ed a caricamento idraulico.
Il « Duilio », lungo ra. 103, largo m. 19,75, con immersione di m. 8,20,
aveva un dislocamento di 11.140 tonn.; l'apparato motore era costituito da due
macchine della potenza complessiva di 7000 cav. ind., e la velocità prevista
era di nodi 16, superiore di molto a quelle di tutte le altre navi del mondo,
in servizio od in costruzione.
27. A lungo si era discusso in Italia ed alPestero, da tecnici e da incom-
petenti, circa questa nave, che da molti era giudicato un colossale errore ; se
ne riteneva perfino impossibile il varo. Ma il << Duilio » fu varato felicemente
rS maggio 1876, alla presenza dei Sovrani e di spettatori deliranti; e quattro
anni dopo potè compiere brillantemente le prove in mare, e fare il giro dei
principali porti italiani, dove si accorreva a,i ammirare questa nave colos-
sale, che, da sola, elevava a potenza di primo ordine la Marina italiana.
28. Il l'' dicembre 1873 il contrammiraglio Pacoret di Saint-Bon, suc-
ceduto al Biboty nel dicastero della Marina, presentò alla Camera un pro-
getto di legge per Talienazione di ben 25 navi, delle quali, 7 corazzate, 9 ad
elica e 9 a vela; ma il progetto non fu discusso, per varie vicende parla-
mentari. Convocata una nuova legislatura, il 23 novembre 1874 il ministro
Saint-Bon ripreseutò il progetto di legge, che fu discusso ed approvato dalla
Camera il 26 febbraio 1875.
L*ammiraglio Saint-Bon, esponendo francamente quale fosse lo stato
della Marina, quale il materiale cattivo, quale il buono, concluse che la
flotta italiana possedeva soltanto due navi di linea buone: il « Duilio» e
il « Dandolo ». Si discusse lungamente di cannoni, di corazze, di velocità: fa
una lotta « acerba fra i sostenitori ed oppositori del ministro : la lotta fra
passato ed avvenire » . Alla discussione prese parte anche il Gen. Garibaldi,
che si associò alle idee espresse dal ministro, di alienare cioè le navi in-
servibili, e costruire le navi corazzate; ed il Saint-Bon concluse esponendo il
sistema che egli intendeva seguire nello nuove costruzioni : « esaminare cioè,
quando si mette in cantiere una nave, dove ci conduce la curva del pro-
gresso, e prevedere, al tempo in cui quel bastimento potrà essere varato,
quali siano le idee che prevarranno ».
29. Frutto delle idee del Saint-Bon fu la costruzione deir« Italia », pro-
gettata dal Brio ed impostata a Castellammare nel gennaio 1876.
38
GUSTAVO BOZZONI
Il concetto del Saìnt-Bon era quello di avere una nave potentissima
per facoltà offensive e difensive, dotata di velocità superiore a quella di tutte
le navi di battaglia in costruzione od in progetto, di grande autonomia,
ed atta ad intraprendere qualsiasi navigazione oceanica. Si trattava, in con-
clusione, di costruire una nave molto più veloce del « Duilio « , più efficace-
mente protetta, più potentemente armata; e non potendosi adottare efficace
corazzatura al galleggiamento senza incorrere in dimensioni assolutamente
esagerate, si rinunziò alla protezione del bagnasciuga, assicurando la galleg-
giabilità con un ponte subacqueo corazzato, della grossezza di 8-10 cm., e con
la corazzatura dei boccaporti, ed assicurando la stabilità con un bene inteso
sistema cellulare, cioè con una suddivisione minuta in compartimenti stagni,
della zona compresa fra il ponte dì corridoio ed il ponte corazzato, formando
la così detta zattera cellulare, e adottando i « cofferdam • , cioè corridoi longi-
tudinali a murata, da riempirsi con sughero, tipba o altro materiale ingom-
brante e leggero, e capace quindi di impedire Ventrata di grande quantità di
acqua in caso di falle.
Un'altra importante innovazione introdotta nella costruzione dell* « Italia " ,
fu r adozione del ferro omogeneo (acciaio malleabile) nella costruzione dello
scafo, allo scopo di alleggerire lo scafo stesso, realizzandosi così, rispetto al
ferro, una economia, in peso, del 15 Vo- Furono dovute superare non poche
difficoltà nella lavorazione di questo materiale nuovo ; ma i risultati furono
ottimi, e da allora in poi il ferro omogeneo fu introdotto nelle nostre
costruzioni navali.
L'armamento progettato per V « Italia » era originalmente di 2 cannoni
da 100 tonu., montati entro due torri girevoli corazzate, racchiuse da un ri-
dotto a murate verticali protette da corazzo di 45 cm. In seguito, nel 1878,
l'armamento fu modificato raddoppiandolo: e cioè fu stabilito in 4 cannoni
da 100 tonn. (del calibro di 431 mm.), montati su piattaforme girevoli in
barbette racchiuse nel ridotto corazzato; 18 cannoni da 149 nella batteria
ed in coperta, che furono poi ridotti ad 8 cannoni da 149 e 4 da 120.
L'apparato motore, della potenza complessiva di 12.000 cav. ind., era
costituito da 4 macchine, ciascuna a 3 cilindri agenti sopra due assi e due
eliche, e 26 caldaie ellittiche sistemate in 6 locali distinti, ed era calcolato
per imprimere alla nave la velocità di nodi 17. Infatti, alle prove, la nave
raggiunse nodi 17.8. (La gemella « Lepanto »» raggiunse invece la velocità
di nodi 18.4, con lo sviluppo di circa 16.000 cav. ind.).
L'« Italia», lunga m. 122, larga m. 22,54, immersa m. 9,30, ebbe,
quando fu completamente ultimata, un dislocamento di tonn. 15.700 circa.
Essa fu varata il 29 settembre 1880, ed entrò in servizio nel 1885.
30. Il 26 marzo 1876 l'ing. Benedetto Brin, allora Ispettore del Genio
navale, assumeva il portafoglio della Marina, sotto il primo Ministero De-
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 81)
pretis. Questi, in un discorso-progi-amma pronunziato ai suoi elettori di Stia-
della nell'ottobre 1876, diceva, fra Valtro, che il ministro della Marina
avrebbe presentato anche esso il suo codice, cioè quello della Marina mer-
cantile, informato ai principi della maggiore libertà; e inoltre avrebbe presen-
tato » due leggi da lungo tempo desiderate, cioè il piano organico del per-
« sonale, ed il piano organico del materiale della Marina militare » .
Nel discorso della Corona del 20 novembre 1876, discorso che fu l'ultimo
pronunziato da Vittorio Emanuele II, era confermata la promessa di restaurare
la Marina: « Noi non possiamo diminuire le spese già tanto parcamente misu-
« rate per l'Esercito e per la Marina i», diceva il Gran Re; e piti oltre:
« Converrà infine pensare risolutamente a restaurare la marineria t>.
Benedetto Brin presentò infatti, entro un termine relativamente bievo,
alla approvazione della Camera, il progetto di piano organico del materiale.
La Flotta italiana, mercè tale progetto, veniva ad essere così costituita:
16 navi da guerra di 1^ classe
10 » • • 2* »
20 » . • 3* »
2 » sussidiarie » 1» »
8 » » » 2* »
4 » » » 3* »
12 navi di uso locale.
In totale, 72 navi, per un complessivo valore di L. 275.000.000.
Con lo stesso progetto si fissava lo stanziamento di L. 146.000.000 per
le costruzioni navali nel decennio 1877-1887.
Questo progetto, approvato dalla Camera, divenne legge il 1^ luglio 1877.
Nel novembre 1876 il ministro Brin aveva fatto impostare nel Cantiere
Orlando di Livorno la « Lepanto », gemella dell*» Italia «, dando così un
poderoso impulso alla industria privata delle costruzioni navali.
31. Dovendo provvedere alla costruzione delle quattro navi di 1* classe
previste nella legge organica del materiale ora citata, il ministro di Broc-
chettì, succeduto al Brin il 24 marzo 1878, incaricò gli Ispettori del Genio
navale Brin e Mattei di recarsi in Francia ed in Inghilterra per studiare
quali fossero le idee prevalenti circa le navi corazzate; e nell'ottobre dello
stesso anno, il Consiglio superiore si occupò del programma delle navi.
Il Consiglio prese a base il tipo <t Italia « e discusse quali modifiche
e varianti convenisse apportarvi ; e, per quanto all'estero prevalesse il concetto
di non oltrepassare pei cannoni il peso di tonnellate 50, non trovò alcuna
ragione perchè la nostra Marina, dopo aver introdotto nelle precedenti navi
il cannone da 100 tonn., e dopo avere superato felicemente tutte le difii-
coltà di istallazione e manovra, dovesse tornare indietro, e venne nella de-
40 GUSTAVO BOZZONI
terroiDazione di proporre, per le navi di 1^ classe, Varraamento composto di
2 cannoni di 100 tonn. e da cannoni di piccolo calibro e mitragliere; la
velocità eguale a quella deir« Italia "; la protezione simile a quella del-
l'« Italia». Si rimaneva, in sostanza, al tipo « Italia », con un dislocamento
minore.
Dal 1880 al 1890.
32. Questo periodo fu agitato in principio da un*aspra, ma non inutile
polemica sul tipo delle grandi navi allora in costruzione od allestimento, e
su quello delle nuove navi cbe si dovevano mettere in costruzione. La po-
lemica, pur troppo, non si mantenne nel sereno campo tecnico obbiettivo; vi
partecipò largamente la stampa quotidiana con articoli talvolta violenti contro
uomini e navi : e la grave e complessa questione fu pure trattata in varie
riprese nei due rami del Parlamento, con la serenità e la ponderatezza che
airimportanza dell'argomento si addicevano.
Ricorderò che in allora, e propriamente dal novembre 1879 al maggio
1883, era ministro della Marina quel valente e stimato tattico navale, che
fu l'ammiraglio Ferdinando Àcton, elevata mente ordinata e ordinatrice;
ricorderò pure che il « Duilio " compiva nel 1880 le prove di collaudo e le
sue prime navigazioni: T» Italia* veniva varata il 29 settembre 1880; la
« Lepanto • era in istato di avanzata costruzione.
Si dovevano stabilire le caratteristiche delle navi di 1* classe, da co-
struirsi in base alla legge del 1877, come si è già accennato avanti : carat-
teristiche, delle quali si era già occupato il Consiglio superiore di Marina;
ed appunto sulle caratteristiche di queste navi incominciò la polemica, che
si estese, si allargò e prese la forma di una lotta accanita fra i sostenitori
delle navi grandi e quelli delle navi di dimensioni moderate,
I primi attacchi dei sostenitori delle navi moderate furono contro il
n Duilio *,che era dichiarata nave fantastica^ con armamento sbagliato, ve*
lecita problematica, mancante di stabilità, di qualità evolutive, ecc.; ma
presto si riseppero i brillanti risultati delle prove in mare, sia dal lato della
velocità, sia da quello della stabilità, navigabilità e qualità evolutive: risultati
che, riportati alla Camera, furono considerati come una vittoria morale, e provo-
carono l'ordine del giorno Crispì, approvato all'unanimità nella seduta del
19 febbraio 1880: « La Camera, soddisfatta dal successo ottenuto nella co-
« stmzione del « Duilio » , e nella fiducia che, con esso, la bandiera nazionale
« sventolerà gloriosa a tutela della patria, esprime la gratitudine del Parla-
« mento ai valorosi che Io costruirono ».
Ed allora gli strali dei denigratori delle grandi navi si portarono più
specialmente contro il tipo « Italia ".
La questione delle navi fu discussa alla Camera nella tornata del 28 aprile
1880, alla quale presero pai-te principalmente l'ammiraglio di Saint-Bon,
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 41
che ebbe parole vibrate contro gli incompetenti, che criticavano le navi senza
conoscerle; Tispettore del Genio navale Brin, che concluse esortando la Ca-
mera a non mettersi in una vìa di regresso nelle nuove costruzioni ; ed il mi-
nistro Àcton, il quale affermò che « anche il numero delle navi è un fattore
di potenza marittima^, e che, per le condizioni del nostro bilancio, era ne-
cessario provvedere navi più piccole. E la lotta per la scelta del tipo delle
navi di battaglia, si chiuse con un voto del Parlamento che indicava la cifra
di 10.000 tonn. come limite massimo pei* il tonnellaggio delle future navi.
33. È opportuno ricordare che rUfficio tecnico del Ministero, al quale
era preposto 1* ingegnere navale Carlo Vigna, così immaturamente rapito
all'affetto dei suoi ed al bene della Marina, studiava il progetto della
così detta nave tattica, nave di dimensioni modeste e di dislocamento assai
minore del « Duilio " (7000 tonn.); ma questo progetto non ebbe seguito.
Furono invece studiate dall'ispettore del Genio navale Micheli (padre) i
piani delle navi tipo « Bnggìero di Lauria • , che rappresentavano un tipo
« Duilio » modificato, cioè più veloce e più potentemente armato, ma meno
corazzato. Di queste navi, ne furono costruite 3, e cioè: il « Lauria «, im-
postato a Castellammare nelVagosto 1881 e varato nel 1884; il « Morosini «,
impostato a Venezia, parimenti nell'agosto 1881, e varato nel 1885; il
» Doria », impostato a Spezia nel gennaio 1882 e varato nel 1885. Entra-
rono in effettivo servizio negli anni 1888-89-91, rispettivamente: ebbero le
seguenti caratteristiche principali:
Dislocamento: Tonn. 11200.
Armamento: 4 cannoni da 431, a retro carica. — 2 cannoni da 152. —
4 cannoni da 120. — Numerosi cannoni di piccolo calibro.
Apparato motore della potenza di 10.000 cavalli ind. — Velocità di nodi 17.
Il sistema di corazzatura di queste navi era simile a quello del « Duilio « :
salvo che la grossezza delle corazze del ridotto era di cm. 45
Di queste tre navi, le due prime, « Morosini « e « Lauria « , sono ormai
radiate dal nostro naviglio.
34. Con la costruzione di queste navi, non mancava, a completare l'or-
ganico, che una sola nave da battaglia di 1* classe. 11 ministro Acton, nel
presentare alla Camera il bilancio di previsione pel 1883, prevedeva l'im-
postamento di 2 corazzate : una per completare il detto organico, Taltra per
sostituire la corazzata « Venezia «, che aveva dovuto essere radiata prima
del tempo stabilito. Le due navi furono la « Umberto » e la « Sicilia « , impo-
state rispettivamente a Castellammare ed a Venezia il 10 luglio ed il 3 no-
vembre 1884. Un terzo esemplare, la « Sardegna «, fu impostata a Spezia il
24 ottobre 1885 (ministro il Brin).
42 GUSTAVO BOZZONI
La costrazioDe dell* » Italia » e della « Lepanto « , nelle quali era stato
ammirabilmente sviluppato il concetto, nuovo ed ardito, del decorazzameuto
delle murate, faceva assurgere la nostra Marina ad una potenza di P ordine;
ma quando ancora queste navi erano in costruzione, già si pensava a pro-
teggere nuovamente le murate delle navi contro gli attacchi delle artiglierie
a tiro rapido. Il Brin, con la sua mente divinatrice, aveva, fin dairepoca del
loro progetto, espresso Tintendimento di corazzare leggermente le murate;
ma ne fu distolto dal Saint-Bon. Constatata però la efficacia tremenda delle
granate mine, ed essendo progredite le artiglierie a tiro rapido, (acque il
convincimento die queste armi nuove potessero vincere la nave, pur lasciando
intatte le parti vitali protette da grossa corazza. Fu rimessa perciò in onore
la corazzatura sottile, con disposizioni analoghe a quella delle prime navi co-
razzate, ma con piastre di qualità perfezionata; e, conseguentemente, si deli-
berò di munire le navi tipo « Re Umberto », quando erano già sugli scali, di
una estesa corazzatura di murata, con piastre di acciaio omogeneo. E pertanto
il sistema protettivo di queste navi fu costituito da un ponte corazzato esteso
da poppa a prua, come neir <» Italia », e della grossezza di 5-11 cm.; da una
struttura cellulare sopra il detto ponte, estesa da poppa a prua; da una corazza
di murata di 10 cm., elevata dal ponte protetto alla coperta del cassero
centrale, ed estesa per circa Va ^^^^^ lunghezza della nave, cioè per tutto
lo spazio occupato dall'apparato motore e dai depositi delle munizioni; e
da due barbette corazzate con piastre di 35 cm., contenenti le piattaforme
dei grossi cannoni.
L'armamento di queste navi fu costituito da 4 cannoni di 343 cm. nelle
due torri. 12 cannoni da 120 nella batteria corazzata, 4 cannoni da 120
e 8 da 152 in coperta.
Le navi tipo « Re Umberto * furono varate fra il 1888 e il 1891, ed
entrarono in servizio fra il 1898 ed il 1896. Esse hanno un dislocamento di
18.900 tonn.; un apparato motore a triplice espansione, della potenza di
18-19000 cav. ind.; e sono capaci di raggiungere velocità di 18- 19 nodi.
Queste navi, Kno a pochissimi anni or sono, constituivano una potente divisione
della nostra flotta.
Dal 1890 al 1900.
36. Questo periodo è caratterizzato dal concetto, mai più abbandonato,
della cintura corazzata completa al galleggiamento, e di una estesa prote-
zione delle murate, per opporsi ai continui progressi delle artiglierìe di
grosso e medio calibro.
Appunto in base a queste direttive, dall'ispettore del Genio navale
Giacinto PuUino, furono studiati i piani delle due corazzate « Emanuele Fi-
liberto " ed « Ammiraglio di Saint-Bon », la cui costruzione, deliberata dal
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 48
Saint-BoD nel 1891, veuoe poi iniziata a Castellammare ed a Veuezia, ri-
spettivamente negli anni 1893 e 1894.
Queste due navi, potentemente armate e con uno splendido sistema di
protezione, segnano una notevole riduzione del dislocamento, ottenuta in parte
con i perfezionamenti introdotti nella costruzione dello scafo, ed in parte per
la velocità piuttosto limitata per la quale le navi furono progettate.
Le caratteristiche principali sono le seguenti:
Dislocamento 9800. — Armamento costituito da 4 cannoni da 254 mm.
in due torri binate all'estremità di una cittadella corazzata racchiudente 8
cannoni da 152 mm. e 8 cannoni da 120 sul ponte scoperto. — Corazzatura
costituita dalla cintura al galleggiamento, dello spessore massimo di cm. 25,
completa da poppa a prua; murato della cittadella protette con piastre di 15 cm.;
ponte corazzato subacqueo dì 70 mm.; coperta della cittadella e delle estre-
mità della batteria, protetta con doppio fasciame. — Apparato motore della pò*
tenza di 14.000 cav., calcolato per imprimere alla nave una velocità di 18 nodi.
Queste due navi entrarono in servizio fra il 1902 ed il 1903.
36. Seguirono alle navi tipo « Saint-Bon » le due corazzate « Regina
Mai'gherita * e « Benedetto Brin j*, concepite dal Brin stesso negli ultimi
tempi del suo ministero, che furono anche gli ultimi della sua vita (Brin
mori il 24 maggio 1898, essendo ministro), ed i cui progetti furono svilup-
pati dall'ispettore del Genio navale Alfredo Micheli (figlio).
Il concetto ispiratore di queste navi fu l'aumento, del calibro delle arti-
glierie medie e la loro sistemazione in torri : la Telocità superiore a quella
di qualsiasi altra nave da battaglia : la corazzatura assai estesa, ma ridotta
di spessore. Queste navi furono messe in costruzione nel 1898 e 1899 — la
« Margherita » a Spezia, il « Brin • a Castellammare — ed entrarono in ser-
vizio nel 1904 e 1905.
Il dislocamento di queste navi è di 13.400 tonn.. L'armamento è costi-
tuito da 4 cannoni da 305 in due torri binate all'estremità di una citta-
della; 4 cannoni da 203 in torrette sui fianchi; 12 cannoni da 152 nella
cittadella. La protezione è costituita dalla cintura completa del galleggia-
mento ed alla cittadella, di 15 cm; ponte di protezione corazzato di 80 mm.,
e ponti superiori protetti con doppio strato di lamiere.
L'apparato motore, costituito da 2 macchine a trìplice espansione e da
caldaie a tubi d'acqua, ha la potenza di 19.000 cav. ind.
La velociti^ raggiunta da queste navi è di oltre 19 nodi.
37. Altra caratteristica del perìodo 1890-1900 fu l' introduzione, nella
nostra Marina, i&ìVincroctalore corazzato, concepito come piccola nave da
combattimento con i tipi « Garibaldi ", riprodotti in 3 esemplari (Garibaldi,
Varese, Ferruccio).
Questo tipo fu preceduto dal « Marco Polo », di 4600 tonn. e 19 miglia
44 GUSTAVO BOZZONI
e armato con 6 cannoni di 152 mm. e 10 da 120 mm., che, messo in can-
tiere a Castellammare nel 1890, progettato senza corazzatura verticale, ebbe
poi le murate corazzate con piastre di 10 cm. ; e poscia dai tipi » Vettm*
Pisani» e « Carlo Alberto *, messi in costruzione nel 1892-93, del disloca-
mento di 6800 tonn., della velocità di 19 nodi, armate con 12 cannoni da 152,
6 da 120, e protetti con cintura da 15 cm. completa al galleggiamento, ele-
vata fino al corridoio, e cintura nella parte centrale dal corridoio alla co-
perta, parimenti di 15 cm.
Il tipo « Garibaldi » ha il dislocamento di 7400 tonn., la velocità di 20
nodi, ed è armato con 1 cannone da 254 mm. a prua in torre, 2 cannoni
da 203 mm. in unica torre a poppa, 14 cannoni da 152, dei quali 10 in
batteria e 4 in coperta. Il sistema protettivo di queste navi è costituito da
cintura completa al galleggiameuto elevata fino al corridoio, di piastre di
acciaio cementato di 15 cm. ; cintura nella parte centrale dal corridoio alla
coperta di piastre, di 15 cm.; ponte protetto paraschegge; ponte di corri-
doio raddoppiato alle estremità, e ponte di coperta raddoppiato sulla cit-
tadella.
La costruzione dei due primi esemplali di questo tipo di nave fu ini-
ziata presso r industria privata, e precisamente presso i cantieri Ansaldo di
Genova e Orlando di Livorno, nel 1893. £s:>i però furono ceduti, col con-
senso del nostro Governo, alla Repubblica Argentina. Le nostre attuali navi
«Garibaldi» e «Varese» furono quindi costruite nel 1898, la prima a Ge-
nova, la seconda a Livorno ; un terzo esemplare, il « Ferruccio » , fu impo-
stato nel *99 a Venezia: entrarono in effettivo servizio nel 1901 i due primi,
e nel 1905 il terzo.
Questo tipo di incrociatore, progettato dal tenente generale del Genio
navale Masdea (come anche i precedenti tipi « Pisani » e « Marco Polo « ), venne
giudicato assai favorevolmente in tutto il mondo, come quello che, in un dislo-
camento moderato, racchiude un potente armamento e ana valida protezione ;
ed ancora al giorno d*oggi, queste nostre 3 navi rappresentano un valore
bellico non disprezzabile. — Non sarà inutile ricordare che, oltre le due
navi costruite nel '93 e cedute all'Argentina, ben altri 5 esemplari ne furono
costruiti per marine estere : e due di essi, il « Nisshim » e il « Kasuga • ,
ceduti al Giappone, presero parte, e non ingloriosa, alla battaglia di Tsushima.
Dal 1900 al 1910.
38. Questo periodo, ad onta che in principio fosse stato molto agitato
per le critiche mosse, fin dal decennio precedente, ali* Amministrazione ma-
rittima, al materiale, al personale, — critiche che condussero alla nomina della
Commissione d'inchiesta sulla B. Marina (Legge 27 marzo 1904), — è stato
assai fecondo per le costruzioni navali.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 45
39. Nel 1900, sotto il Ministero Bettòlo, furono iniziati dal colonnello
del Genio navale, ora maggiore generale, Vittorio Cuniberti, gli studi per
un nuovo tipo di nave da battaglia: studi che, continuati sotto il Ministero
Morin, condussero alle navi tipo « Vittorio Emanuele ^ costruite in 4 esem-
plari, cioè « Vittorio Emanuele » , «Regina Elena », «Roma» e «Napoli»
— le prime due impostate nel 1901 a Castellammare ed a Spezia, rispet-
tivamente ; le altre due impostate, due anni dopo, a Spezia e a Castellammare.
Queste quattro navi, entrate in servìzio effettivo fra il 1907 ed il 1908,
hanno le seguenti caratteristiche principali:
Dislocamento: tonn. 12625.
Velocità: nodi 22.
Apparato motore della potenza di 19,000 cav. ind. — 2 motrici alternative
a triplice espansione. — Caldaie a tubi d*acqua.
Armamento: 2 cannoni da 305 in due torri sull'asse longitudinale della
nave, una a prora l'alti-a a poppa. — 12 cannoni da 203 mm., disposti
in 0 impronti binati, 3 per lato. — 16 cannoni da 76 mm. e 10 da 47. —
4 tubi di lancio.
Corazzatura: È costituita da una cintura completa al galleggiamento, di
25 cm. al centro e 10 cm. alle estremità; da un ridotto di batteria di
20 cm. e dal ponte protetto esteso da poppa a prora. Gl'impianti da
305 sono protetti con piastre da 20 cm. : quelli da 203 con piastre
di 15 cm.
Caratteri principali di queste navi, che furono giudicate le prime del
mondo all'epoca della loro costruzione, sono quelli di aver un potente aima-
mento secondario ; la corazzatura studiata in modo da ridurre al puro neces-
sario la superficie protetta, a vantaggio della grossezza della corazza; la velo-
cità elevatissima; scafo leggero, traendo partito dairadozione dell'acciaio ad
elevata resistenza, usato per la prima volta in Italia per queste navi.
Queste quattro navi, ad onta della rivoluzione avvenuta negli ultimi
anni per Tadozione, da parte di tutte le marine, delle navi tipo Dreadnought,
rappresentano pur sempre una potentissima divisione, sia per il loro potente
armamento, sia per la valida protezione e l'elevata velocità.
40. Nel 1901, e propriamente con la data 13 giugno, ministro della
Marina il vice-ammiraglio Costantino Morin, fu promulgata una importante
legge, con la quale il bilancio della Marina veniva consolidato in modo da
non eccedere la spesa di L. 120.000.000 nell'esercizio 1900-1901, e quella
di L. 121.000.000 nei quattro esercizi successivi, fino cioè al 1905-906.
Nel 1903, succeduto al ministro Morin l'ammiraglio Carlo Mirabelle,
questi, nel suo discorso alla Camera, nella tornata del 26 maggio 1904,
espresse le sue idee circa il naviglio della nostra marina, dicendo che « nella
46
GUSTAVO BOZZONI
nostra Marina difetta il numero degli incrociatori da 6 a 8 mila tonn., e
manca in modo assoluto quel tipo di incrociatore corazzato dalle 9 alle
10 mila tonn., che rappresenta un utile compromosso con la costosa e
grande nave da battaglia, che può efficacemente con questa entrare in
linea, e che soprattutto può fare il servizio di crociera e di esploMioue, e
accettare all'occorrenza il combattimento con grandi incrociatori delle altre
marine e anche con le potenti navi di linea « « . Queste navi da
battaglia, relativamente meno costose, fortemente protette e fortemente ar-
mate, dotate di un largo raggio d'azione, di alta velocità, di poca pesca-
gione e di buona stabilità di piattaforma, e adatte alle condizioni idrogra-
fiche dei nostri bacini strategici, costituiranno un altro nucleo, veramente
■
prezioso per la nostra flotta •.
Pertanto il ministro esponeva il suo intendimento di costruire senza
indugio alcuni incrociatori corazzati di 9-10 mila tonnellate, in luogo della
6^ nave tipo «Vittorio Emanuele ", che era prevista nel bilancio precedente; e
di costruire una nave speciale per 1* impiego delle torpedini da blocco, nave
di medio tonnellaggio velocissima e protetta, e numerose torpediniere di
1* classe e battelli sommergibili.
41. Il tipo d'incrociatore corazzato, propugnato dall'ammiraglio Mira-
bello, fu realizzato dal tenente generale Masdea col progetto del «San
Giorgio », del quale furono costmiti a Castellammare due esemplari, «San
Giorgio « e « San Marco « . È da ricordare che, contemporaneamente, il
comm. Giuseppe Orlando aveva studiato e messo in costruzione un incrocia-
tore corazzato, di caratteristiche non molto dissimili dal tipo « San Giorgio •;
e che, offerto V incrociatore al governo, furono introdotte nel progetto le op-
portune modificazioni nelV armamento e nella corazzatura, per renderlo per-
fettamente omogeneo al tipo « San Giorgio " ; e questo incrociatore, così modi-
ficato, venne riprodotto in 2 esemplari: « Pisa », costruito nel cantiere Orlando
di Livorno (1903), e « Amalfi », costruito nel cantiere Oderò di Genova (1905).
Il « San Giorgio » ha le seguenti cai-atteristiche :
Dislocamento: tonn. 9800.
Velocità: nodi 23.
Apparato motore della potenza di 18.000 cav., due motrici alternative a tri-
plice espansione e caldaie a tubi d*acqua.
Armamento: 4 cannoni da 254 mm. in due impianti binati (uno a prora,
l'altro a poppa) sull'asse longitudinale della nave. — 8 cannoni da
190 mm. in 4 impianti binati al centro sui fianchi.
Corazzatura: È costituita dalla cintura completa, al galleggiamento, della
grossezza di 20 cm. al centro e 9 cm. alle estremità; cintura di 16-18 cm.
al corridoio, e cintura di cm. 18 alla batteria, nella parte centrale;
MARINA MILITARB E COSTRUZIONI NAVALI
47
ponte protetto esteso da poppa a prora. — Gli impiantì da 254 sono
protetti con piastre di 180 mm. ; quelli da 190 con piastre di 160 mm.
L*incrociatore « San Marco " è geoiello del « San Giorgio », eccetto che
per l'apparato motore che è costituito da turbine Paraons su quattro assi.
Esso è la prima nave da guerra italiana con motrici a turbine, ed alle prove
ha dato ottimi risultati, ottenendosi circa mezzo miglio di velocità in più
del « San Giorgio » .
Le due navi « Pisa « ed <t Amalfi « hanno caratteristiche di arma-
mento, protezione e velocità, eguali al « San Giorgio » ; ne differiscono per la
disposizione dell* apparato motore, per la struttura dello scafo, per le sud-
divisioni interne, e per il dislocamento, che risulta lievemente superiore
(tonn. 10.100).
Questi quattro incrociatori sono entrati in servizio fra il 1909 ed il 1910,
ed hanno dato alle prove risultati brillantissimi.
42. Con legge 2 luglio 1905 il bilancio della Marina fu aumentato a
lire 125,000,000 per Tesercizio 1904-905; a lire 126,000,000 per Tesercizio
successivo; a lire 133,000,000 per i due esercizi 1906-907 e 1907-908, ed
a lire 134,000,000 per i susseguenti esercizi fino al 1916-917.
L'organico del materiale, quando fossero state compiute le costruzioni
in corso e le radiazioni delle navi previste nella iste.ssa legge, era portato,
per quanto riguarda le navi di battaglia, a
2
nari tipo
« Benedetto Brin > .
4
id.
« Vittorio Emanuele » .
2
id.
» Pisa » .
2
id.
« San Giorgio <>.
1
id.
Incrociatore corazzato-A.
3
id.
« Be Umberto » .
2
id.
« E. Filiberto >.
3
id.
« G. Garibaldi • .
2
id.
« V. Pisani ».
Neiristessa legge era prevista la costruiione di una nave da blocco,
che fu studiata dal generale Cnniberti. Data però la rapida trasformazione
della nave da battaglia nelle altre marine, Tammiraglio Mirabelle, confor-
tato dal parere del Comitato degli ammiragli, stabilì di rinunziare alla
costruzione del 5*^ incrociatore (A) e della nave da blocco, e di devolvere i
fondi, assegnati per queste navi, alla costruzione di una grande nave da
battaglia « potentemente armata, con la quale verrà in moto notevole au-
mentato d'un tratto il numero complessivo dei cannoni di grosso calibro della
48 GUSTAVO BOZZONI
nostra flotta *> (Discorso Mirabello alla Camera dei Deputati, nellB tornata
del 14 dicembre 1906).
E la nave progettata dal generale Masdea è la nostra « Dante Ali-
ghieri » , varata a Castellammare il 20 agosto ed attualmente in allestimento
a Spezia. Essa ha il dislocamento di 19,000 tonn. alFincirca: è armata con
12 cannoni da 305 mm., e numerosi cannoni di medio calibro (120 mm.): è
dotata di elevatissima velocità e di estesa e grossa corazzatura.
43. Con legge 27 giugno (ministro Mirabello) il bilancio della Marina
per resercizio 1909-910 fu portato a lire 163,437,000, e furono stabiliti
assegni straordinari per costruzione ed acquisto di navi, materiali e munizio-
namento, per provvedere al proseguimento della costruzione della « Dante
Alighieri » , alla costruzione di altre 3 grandi navi da battaglia, di 3 navi
per servizio di esplorazione, e di numerosi cacciatorpediniere, torpediniere e
sommergibili.
In forza di questa legge, si è potuta quindi iniziare la costruzione delle
3 grandi navi tipo « Conte di Cavour « : la prima, « Conte di Cavour « , alla
Spezia; le altre due, « Giulio Cesare « e « Leonardo da Vinci •, a Sestri
Ponente ed a Genova, rispettivamente nei cantieri Ansaldo e Oderò; come
pure si è potuto dar principio alla costruzione delle tre navi di esplorazione
« Quarto « , « Marsala » e « Nino Bixio • , nei cantieri dello Stato, ed alla
costruzione del naviglio silurante, presso i cantieri privati nazionali.
Le navi tipo « Conte di Cavour", di dislocamento alquanto superiore
alla « Dante Alighieri « , furono l'ultima opera del Masdea, e furono opera
veramente perfetta. Esse, per il potentissimo armamento (13 cannoni da
305 mm.), la geniale disposizione delle artiglierie, la efficace corazzatura,
l'elevata velocità, sono di molto superiori alle navi coetanee delle altre
marine. Queste tre navi dovranno entrare in servizio nel 1913; mentre la
« Dante Alighieri • dovrà essere completamente armata nel 1912.
44. Recentemente, il contrammiraglio Leonardi-Cattolica, che regge ora
le sorti della nostra Marina, ha chiesto al Parlamento nuovi fondi per la
costruzione di altre navi da battaglia, ed ha bandito il concorso fra alcuni
dei nostri ingegneri del Genio navale, per il progetto di una grande nave,
formidabilmente armata, dotata di elevatissima velocità.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 49
Le corazze.
45. Ultimata questa breve rassegna delle navi corazzate, non sarà forse
inutile spender qualche parola sull'evoluzione delle piastre di corazzatura
per il nostro naviglio.
La storia di esse può dividersi in tre grandi periodi: il I^ che va
dairepoca deiradozìone delle piastre di corazzatura in t'erro fucinato, fino
all'epoca in cui comparvero le prime piastre di acciaio nelle esperienze di
tiro al Muggiano per la scelta delle piastre del « Duilio » (1876); il 2^ che
va fino al 1890 all' incirca, e che è il periodo nel quale si fabbricarono
piastre di acciaio dolce e piastre compound; il 3^ che è il periodo ultimo
nel quale comparvero le piastre di acciaio al nichel dapprima, e poi le piastre
cementate.
Le prime piastre di corazza furono fabbricate in ferro fucinato ; ebbero
spessore da 10 a 12 cm., e tutte le corazzate italiane anteriori al • Duilio »
ebbero piastre dì tale specie, di spessore non superiore a 22 cm.
Le piastre di acciaio dolce fabbricate dalla ditta Schneider del Creuzot,
apparvero per la prima volta nel 1876, e furono sperimentate al cannone al
balipedio del Muggiano, per la scelta delle piastre di corazzatura del
• Duilio » . Dimostrarono la loro superiorità sulle piastre di ferro, e furono
adottate pel « Duilio « e pel « Dandolo « , che ebbero piastre dallo spessore
di 55 cm.
Le piastre di acciaio dolce avevano però il difetto di fendersi facilmente;
furono perciò fabbricate piastre compound, costituite cioè di due strati:
Testerno di acciaio, 1* interno di ferro fucinato; e queste piastre si contesero
per lungo tempo il campo con quelle di acciaio dolce Schneider. La nostra
nave « Italia » fu munita di piastre compound della ditta Cammell ; la
ft Lepanto » , invece, ebbe piastre Schneider.
46. Intanto, nel 1883, la società Terni, incoraggiata da Benedetto Brìn,
che volle fermamente emancipare la costruzione navale italiana dalla sogge-
zione agli stabilimenti metallurgici dell'estero, assunse la fabbricazione delle
piastre di acciaio dolce, che la ditta Schneider aveva in costruzione per il
» Lauria » e delle quali già aveva consegnato una parte ; e per un certo
tempo le piastre furono costruite a Terni sotto la direzione degli ingegneri
della ditta Schneider, che aveva fatto rimpianto dell'acciaieria. Il « Lauria »
fu Tultima nave che venne rivestita di corazze fabbricate, in parte, all'estero:
da allora in poi, le corazze furono fabbricate semj>re a Terni, se si eccet-
tuino quelle per l' incrociatore « San Marco » che furono recentemente &b-
bricate in America, presso la ditta Midwale.
Gustato Cozzoni. — Marina militart e Coslrusioni navalù 4
50
GUSTAVO BOZZONI
Dopo il 1890 sì cominciarono a fabbricare piastre di acciaio al nichel,
al cromo nichel ecc., e piastre indurite dalla parte estema mediante la tem-
pera con vari sistemi, o mediante la eemenlasione, consistente nel fabbricare
la piastra di metallo omogeneo, e sovracarburare la faccia esterna per un
certo spessore. Fra i vari sistemi, tenne il primato per nn certo tempo il
sistema dell'americano Harvey, sistema che fa adottato anche dalle acciaierie
di Temi per le piastre delle nostre navi «Filiberto* e «Saint- Ben ».
Le navi precedenti, tipo « Doria • e tipo « Be Umberto « , ebbero piastre
di acciaio dolce ; le nari tipo « Pisani « , tipo « Regina Margherita « , tipo
» Garibaldi « , « Begina Elena « e « Vittorio Emanuele » , ebbero piastre di
acciaio al nichel a superficie indurita, brevetto speciale Temi. Le altre due
navi • Boma «e « Napoli », e le successive, hanno avuto piastre Erapp, che
sono piastre a superficie esterna indarita con un processo speciale, che con-
siste neiradoperare il gas illuminante per ottenere la carburazione.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 51
IL NAVIGLIO MINORE
Senza riandare ad epoca remota, ci limiteremo, per il naviglio mi-
nore, a fare nn rapidissimo cenno dei più recenti tipi della nostra marina;
e, tralasciando di occuparci del naviglio onerario, accenneremo solo agli inero-
datori, agli esploratori ed al naviglio silurante.
47. Incrociatori - Esploratori. — Il primo esemplare di incrociatore
che la Marina italiana possedette, fu il « Bausan « « incrociatore protetto del
dislocamento di 3800 tonn. e 18 miglia di velocità, armato con due can-
noni da 254 mm. e quattro da 152 mm., e munito un ponte di protezione.
Esso fu acquistato in Inghilterra, ed entrò in servizio nel 1885.
Dal «Bausan* derivarono le navi «Etna*, «Vesuvio*, « Fieramosca • ,
« Stromboli » , progettate dair ispettore del Genio navale Vigna, ed entrate
in servizio fra il 1888 ed il 1889. Queste navi, che sono ormai tutte radiate
dal naviglio, furono denominate arieti torpedinieri. Seguirono le navi « Pie-
monte • e le sette navi tipo « Lombardia »; la prima costruita in Inghil-
terra, le altre in Italia fra il 1890 ed il 1894, del dislocamento di 2400-
2500 tono., della velocità di 18-19 nodi, armate con cannoni da 152 e da
120. Queste navi, che sono ormai in buona parte radiate dal naviglio, furono
progettate dal Masdea e furono classificate come incrociatori protetti.
48. Come navi di esplorazione avemmo prima le navi « Tripoli « e
«Ooito* (1886), poi «Montebello* e «Monzabano* (1889), disegnate dal
Brin, del dislocamento di 850 tonn., di velocità superiori a 20 nodi e, primo
esempio nelle marine da guerra, munite di tre eliche; quindi le navi tipo
« Partenope *, di 850 tonn., 20 nodi, armate con un cannone di 120 mm.
e munite di ponte protetto, che entrarono in servizio fra il 1890 e il 1895
e si dissero incrociatori torpedinieri.
Più recentemente furono costruite, ed entrarono in servizio nel 1900, le
due navi « Agordat* e «Coatit*, progettate dal colonnello del Genio navale
Soliani, di 1800 tonn., 23 nodi circa ed armate con 12 cannoni di 76 mm.:
e queste navi sono veri tipi di esploratori, per quanto, al giorno d*oggi,
la loro velocità sia scarsa.
^2 GUSTAVO BOZZONI
Attualmente sono in costruzione tre navi per servizio di esplorazione:
« Quarto » , « Marsala » e « Nino Bixio « r la prima a Venezia^ progettata dal
maggiore del Genio navale O. Truccone; le altre due a Castellammare, pro-
gettate dal colonnello del Genio navale G. Rota. Queste tre navi avranno
dislocamento poco superiore a 3000 tonn., velocità di nodi 28 ; apparato mo-
tore a turbine ; e saranno armate con cannoni da 120 mm.
Naviglio silurante.
40. Cacciatorpediniere, — Nel 1886 Benedetto Brin disegnò e fece
costruire la « Folgore » , — nave di poco più che 300 tonn., che raggiunse la
velocità di 20 nodi, — lanciandoCgOsì V idea del cacciatorpediniere. Seguirono
il «Fulmine», di 298 tonn. e 26 nodi, disegnato dal tenente generale del
Genio navale Martinez, ed entrato in servizio nel 1900; quindi i sei tipo
» Lampo » , di 320 tonn. e 30 nodi, costmiti ad Elbing dalla ditta Schichau
(1900-902); poi i sei tipo «Nembo», di 330 tonn. e 30 nodi, costruiti nello
stabilimento Pattison a Napoli (1902-903); e finalmente i dieci tipo « Ber-
sagliere », di 370 tonn. e 20 nodi, costruiti a Genova nel cantiere Ansaldo
(1906-910).
Dieci cacciatorpediniere, di 620 tonn. e 30 nodi, con motrici a turbina,
sono attualmente in costruzione presso il cantiere Pattison di Napoli ed il
cantiere Orlando di Livorno.
50. Torpediniere. — La prima torpediniera posseduta dalla Marina
italiana, fu il «Nibbio», di 19 tonn. e 170 cavalli, costruita dal Thornycroft
in Inghilterra nel 1878; seguirono altre piccole torpediniere di 13, 25 e
40 tonn., costruite parimenti in Inghilterra dal Thornycroft e dal Yarrow
negli anni 1881 e 1882. Nell'anno 1883 fu incominciata in Italia la costru-
zione delle torpediniere : e, precisamente, la prima di esse fu la « Voga » , di
36 tonn. e 430 cav., costruita nello stabilimento Orlando. Seguirono le ditte
Pattison, Oderò e Guppy, che negli anni dal 1883 al 1886 ne costruirono
19 delle stesse dimensioni.
La prima torpediniera Schichau, di 85 tonn., 1000 cav. e 20 nodi, fu
costruita nel 1886 ad Elbing; nei successivi auni, fino al 1893, furono co-
struite numerose torpediniere tipo Schichau, di 80 tonn. e 1000 cav., parte
ad Elbing e parte in cantieri italiani.
Tutte queste torpediniere furono classificate come torpediniere di 2* e
3* classe, secondo il loro dislocamento; attualmente, un gran numero di
esse è stao radiato dal nostro naviglio.
Fra il 1905 e il 1906 furono adottate nella nostra Marina le torpediniere
d'alto mare tipo « Alcione » , « Orione » , « Perseo » , « Cigno » , aventi disio-
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI . «^3
camento di 200 tonn. air incirca, e velocità di 25 nodi: furono costruite
in buona parte nei cantieri nazionali.
Attualmente sono in costruzione 32 torpediniere, del dislocamento di
120 tonn. e della velocità di 30 nodi circa: delle quali, 12 presso la ditta
Pattison, 12 presso la ditta Oderò ed 8 presso la ditta Ansaldo. Di queste
ultime, due avranno apparato motore a turbine.
51. / sottomarini. — Fin dal 1888 il ministro Ferdinando Acton, im-
pressionato dei successi ottenuti con i battelli sottomarini del Nurdenfeld e
del Waddington, costruiti rispettivamente in Svezia ed in Inghilterra nel
1885, volle che la Marina italiana intraprendesse studt in rapporto a questa
importante questione.
Il colonnello del Genio navale Giacinto Pullino (poi tenente generale
e presidente del Comitito), progettò un sottomarino, il « Delfino », che fu
messo in costruzione a>la Spezia nel 1889 e cominciò i suoi esperimenti nel
1892, quasi contemporaneamente ai primi esperimenti iniziati in Francia
col « Gymnote » .
Gli esperimenti del « Delfino» furono più volte sospesi, poi ripresi:
ma, in complesso, la Marina italiana, fino al 1900, poco si occupò del pro-
blema dei sottomarini e dei sommergibili.
Il B Delfino «, del dislocamento di tonn. 95 in emersione e 107 in im-
mersione, aveva motore elettrico con accumulatori : la parte dello scafo che
emerge nella navigazione sopracquea, era protetta con piastre di 5 cm., ed
era munito di torretta di bronzo pel comandante. Il « Delfino » fu ano dei
primi battelli sottomarini ad avere il periscopio e la bussola a giroscopio,
e fu il primo che riuscì a lanciare siluri, stando fermo od in moto, con esito
felice (1895); cosicché furono risolte fin d*allora in Italia le questioni, che
poi più tardi dovevano tanto interessare l'opinione pubblica in Francia e
altrove. Ma, come ho detto, la Marina italiana, in complesso, non si occupò
molto di queste nuovissime armi, fino a che, nel 1898, il ministro Bettole
bandì fra gli ingegneri del Genio navale un concorso per il progetto di
un sommergibile.
Furono in seguito riprese le esperienze del • Delfino • , modificandolo e
migliorandolo, e aggiungendovi un motore a scoppio per la navigazione so-
pracquea; e, con la scorta dei risultati ottenuti, furono costruiti a Venezia i 5
sommergibili « Glauco « , « Squalo » , « Narvalo « , • Otaria • , « Tricheco • ,
del dislocamento di 150 tonnellate in emersione e 200 tonn. in immei-sione,
provvisti di motori a scoppio per la navigazione sopracquea e di motori elet-
trici per la navigazione subacquea, e capaci di raggiungere la velocità di
14 nodi navigando in emersione e 7 nodi navigando in immersione. I motori
a scoppio servono anche a caricare gli accumulatori per la navigazione sub-
acquea, cosicché i battelli avendo in se stessi i mezzi di produzione della
energia elettrica, non sono obbligati a ritornare alla costa per rifornirsene.
54 GUSTAVO BOZZONI
Questi 5 battelli, entrati in serrizio fra il 1905 ed il 1908, hanno dato
ottimi risultati, così da mostrare che ritalia, per qnanto si fosse per un certo
tempo mantenuta lontana dal problema dei sommergibili, ha saputo guada-
gnare il tempo perduto, ottenendo risultati ai quali le altre marine non sono
arrivate che dopo lunghi, costosi tentativi ed esperimenti. Autore dei pro-
getti di questi sommergibili è Tingegnere Cesare Laurenti, ex-uflSciale del
Qenio navale.
Becen temente è entrato in servizio un altro sommergibile : il « Foca « ,
di dislocamento alquanto superiore ai precedenti, e di velocità anche supe-
riore (15 nodi in emersione, 9 nodi in immersione), costruito nel cantiere
della Società Fiat San Giorgio, alla Spezia.
Attualmente sono in costruzione 13 sommergibili, e cioè:
8 presso la Società Fiat San Giorgio, progettati dall'ing. Laurenti,
e aventi il dislocamento di tonn. 245 in emersione e 800 in immersione, e
la velocità di 12 e 8 nodi rispettivamente.
2 presso l'arsenale di Venezia, del dislocamento di 225 e SOOtonn.
e della velocità di 12,5 e 8 nodi, progettati dal maggiore del Genio navale
C. Bernardis.
2 presso l'arsenale di Spezia, del dislocamento di 320 e 300 tonn. e
della velocità di 14 e 8 nodi; progettati dal capitano del Genio navale
V. Cavallini.
1 a Kiel, presso il cantiere Germania, della ditta Erupp, di tonnel-
late 300 e tonn. 215, e della velocità di 12 e 8 nodi.
MARINA MILITARE B COSTRUZIONI NAVALI ^^
CONCLUSIONE
Oiiinto al termine di questa arida esposiziono, e considerando nel com-
plesso la Marina nel cinquantennio deirUnità dltalia, specialmente nei
riguardi del naviglio, a me pare che si debbano considerare 5 grandi perìodi :
Il primo, che va fino alla battaglia di Lissa, nel qnale, predominando
l'impellente necessità di approntare la flotta per la gnerra, si ebbe di mira
la imperiosa necessità di aver presto navi, senza guardare troppo ai pro-
babili progressi. D*altra parte, grandi erano in allora le incertezze circa
i tipi delle navi e Tadozione delle corazzate ; in ogni modo, però, si riuscì a
formare in pochissimo tempo, dalla riunione delle due Marine, la sarda e
la napoletana, una Marina che, in fatto di materiale, non aveva nulla da
invidiare a quella delle altre nazioni.
Il secondo periodo, che succedette alla dolorosa sconfitta di Lissa, fu
assai triste: Paese e Parlamento perdettero la fiducia nella Marina e se ne
disinteressarono ; i bilanci furono assottigliati ; il naviglio invecchiava, né si
pensava a rinnovarlo ; la Marina, sentendosi non amata e poco apprezzata nel
paese, si rinchiuse in se stessa. Ma dal suo seno dovevano sorgere gli uomini
che dovevano rigenerarla: e prima ufficiali ed ingegneri, con articoli, opuscoli,
libri, diedero Tallarme sulle condizioni materiali e morali della Marina, poi
Biboty, Saint-Bon e Brin richiamarono il paese alla realtà delle cose, ed alla
necessità di avere una Marina forte e temuta.
Cominciò così, dopo il 1875, il 3® periodo, nel quale, per opera di quei
grandi, la novella Marina fu creata; e per la genialità delle meravigliose
navi concepite da Benedetto Brin, la nostra flotta fu considerata, per vario
tempo, seconda soltanto alla flotta della Marina inglese.
Ma, pur troppo, questo periodo d*oro della nostra Marina non potè durare
a lungo, non essendo possibile elevare il bilancio della Marina alle cifre a
cui avrebbe dovuto mantenersi per essere in relazione con l'aumento verti-
tigìnoso dei bilanci delle altre Marine del mondo: la potenzialità della
nostra flotta discese, dal 2^, al 5^ e 6^ posto ; e, fatalmente, una nuova onda
di crìtiche, di sospetti di sfiducia si riversò suir Amministrazione, sul ma-
teriale, sul personale della Marina, causando un nuovo periodo di depressione
morale e materiale.
Questo stato di cose dipendeva, come ho accennato, da ragioni esclusi-
vamente economiche, e non già da deficienza nel materiale o nel personale ;
56 GUSTAVO BOZZONI
che, in fatto di materiale, il Corpo del Oenio navale, seguendo le brillanti
tradizioni di Benedetto Brin, ha saputo sempre mantenersi all'avanguardia
di ogni progresso nel campo delle costruzioni navali, progettando e costruendo
navi ammirate e lodato ovunque per la genialità dei concetti informativi e
per la brillante riuscita. Ed in fatto di personale, i nostri ufficiali e marinai
hanno sempre dimostrato in opere di guerra ed in opere di pace le loro alte
qualità di valore, patriottismo ed abnegazione, così da mantenere elevatis-
simo il nome del marinaio italiano.
Ma anche questo nuovo periodo di depressione della Marina è ormai
finito per opera di altri grandi, fra i quali è doveroso ricordare il ministro
Mirabelle ed il capo di Stato maggiore ammiraglio Bettole, i quali hanno
saputo dimostrare quanto valessero in realtà le nostre navi e i nostri marinai,
ed hanno saputo far riacquistare alla Marina la fiducia del Paese, senza
la quale non è possibile resistenza di una grande Marina moderna, il cui
materiale, costosissimo ed in continua :tra8formazione, richiede gravissimi
sacrifici.
Ed ora, grazie a Dio, in questo nuovissimo periodo di attività, la Marina
nostra cammina sicura sulla via dove la conduce il suo destino, per la salute
e la grandezza d'Italia; e l'Italia guarda con fede le sue navi, i suoi marinai.
Ing. Gustavo Bozzoni
Maggiore del Genio Merale.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 57
APPENDICE
Nei prospetti che seguono, sono riimiti dati sommari circa il naviglio
italiano: le spese sostenute per la Marina e le principali leggi dì piani or-
ganici, consolidamento del bilancio della marina, assegni straordinarì ecc.;
ed è infine riportato Telenco dei ministri e dei sottosegretari di Stato della
Marina, dalla proclamazione del Regno fino ad oggi.
E propriamente, per qaanto riguarda il naviglio, i quadri numeri 1, 2,
8, 4, 5, 6, dimostranti la composizione della flotta a diverse date del cin-
quantenario, — e precisamente al principio degli anni 1861, 1870, 1880, 1890,
1900, 1911, — indicano il numero delle navi, il dislocamento il numero dei
cannoni, la potenza delle macchine per le varie classi di navi secondo la
classificazione ufficiale dell'epoca;
il quadro n. 7 dimostra più dettagliatamente la composizione della
flotta al P gennaio 1911;
il quadro n. 8 indica le date dell' impostamento, del varo e delFen-
trata in servizio delle maggiori navi costruite dopo il 1870.
E per quanto riguarda le spese:
Nel quadro I sono presentate le spese effettivameate sostenute per
ramministrazione della Marina nei vari esercizi dal 1861 al 1909-910.
Nel quadro II sono indicate le spese sostenute negli esercizi 1862,
1870, 1880, 1889-90, 1899-900, 1809-910, suddivise in parte ordinaria e
parte straordinaria.
'
58
GUSTAVO BOZZONI
Prospetto N. 1.
Naviglio in servizio o in costruzione
ALLA PROCLAMAZIONE DEL REGNO d'ItALIA
TIPO DKLLK HAYI
Nun«n>
DìslocAinento
Porta
rnsochin*
Nuiaro
dei
cannoBi
Nayi COBAZZATB
Batterìe corazzate ....
Navi a elica
Vascelli a elica
Fregate di 1* rango. . . .
Corrette » . . .
n di 2® raDgo . . .
Cannoniere
Ayyìsì.
Traspoiti
Nati a ruote
Pirofregate di 2® ningo . .
Pirocorrette » . .
Piroscafi
Avvisi
Trasporti
Rimorchiatori
Navi a vela
Fregate di 1^ rango.
Corvette »
n di 2^ rango
Brìgantìni
Trasporti,
Golette
Bovo .
Cutter.
Totale del natiolio
2
1
9
3
1
8
2
6
11
7
8
2
7
6
3
2
4
6
5
2
1
1
5.400
97
3.880
81.931
6.514
1.524
1.932
588
9.065
15.053
4.837
8.002
495
7.580
837
7.891
8.042
2.708
3.250
2.830
330
80
137
112.726
800
450
4.C50
1.120
350
410
160
1.590
3.680
1440
860
160
1730
280
17.710
40
64
450
60
10
32
4
12
80
24
24
4
14
2
Yaloro
approMimaliTO
5.238.000
8 069.000
27.174.000
5.736.200
1.285^00
2.131.12^
822.000
3.287.000
14.875.780
3.791.940
2.966.344
450.000
3.851.000
796.000
132
4.432.650
40
1.660000
52
1.225.000
84
1.514.858
16
1.168.476
—
135.000
.~
8.000
2
54.000
1.146
85.071.865
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI
59
Prospetto N. 2.
Naviglio in servizio o in costruzione al 1^ gennaio 1870.
TIPO DSLLE NAVI
Numero
Dialocamento
Fona
dolio
macoli ine
Numero
dei
cannoni
Valore
approBiimatlTO
Nati da battaglia
Navi corazzate
21
74.742
11.810
200
80.866.848
» ad elìca
18
41.296
6.370
888
41.584.147
n a ruota
18
1 6.040
4.180
80
16.279.200
Totale . . .
57
182.078
21.860
618
138.729.697
Nati da trasporto
Navi ad elica
10
16.811
2.486
20
9.058.868
n a mote
7
8.562
1.080
6
2.075.940
Totale del naviglio . . .
74
152.451
25.876
644
149.859.000
Prospetto N. 8.
Naviglio in servizio o in costruzione al P gennaio 1880.
tipo delle navi
Numero
Dislocamento
Fona
deUe
maeeUne
Yalore
approeeimatlTO
Navi da battaglia di 1* classe
Id. 2* classe
Id. 8* classe
Nayi sussidiarie di 1* classe
Id. 2* classe
Id. 8« classe
Id. uso locale
14
10
20
2
4
11
12
96.500
24.870
16.880
7.460
6.670
8.859
1.958
12.100
4.200
4.250
1.000
970
980
665
147.920.000
27.886.000
18.484.000
5.200.000
2.864.000
3.759.000
1 .928.000
Totali . . .
73
157.647
24.165
206.986.000
00
GUSTAVO BOZZONI
Prospetto N. 4.
Naviglio in servizio o in costruzione al 1** gennaio 1890.
TIPO DELLB NAVI
Numero
DÌHloc*mento
Forza
delle
macchine
Namero
d«i
eannoni
Yalore
approsaimaiiTO
Navi da battaglia di li^ classe . .
Id.
Id.
di 2* classe . .
di 3* classe . .
Navi onerarie dì 1* classe
Id.
Id.
di 2* classe
di 3* classe . . .
Navi scuole
Navi centrali (difesa locale) . . .
Cannoniere lagunari a ruote . . .
Torpediniere avviso
Id.
di alto mare . • .
Id. costiere di 1* classe.
Id.
id. di 2* classe.
Totale .
15
19
27
53
6
64
88
21
278
144.521
53.446
22.525
22.292
7.818
2.367
16.365
30.194
528
1.280
5.540
1.302
3.755
811.923
1 83.542
106.243
58.991
15.077
5.391
1.311
3.376
16.287
890
880
67.900
16.800
4.128
429.811
218
166
158
23
14
8
34
55
6
20
38 mìtragl.
587 - 88
264.426.000
89.742.000
40.081.000
10.129.000
5.067.000
1.337.000
17.682.000
34.241.000
312.000
8.286.000
20.021.500
6.643.500
2.683.000
495.629.000
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI
61
Prospetto N. 5.
Naviglio in servizio o in costruzione al 1*" gennaio 1900.
TIPO DELLE NAYI
Namero
Dislocamento
Forza
d«Ile
macchine
Namero
dei
cannoni
Valore
approialraatlTO
Navi da battaglia dì 1* classe .
Id.
Id.
Id.
Id.
Id.
Id.
2^ classe .
8* classe .
4* classe .
5^ classe .
6* classe .
7» classe .
Totale . .
Cacciatorpediniere
18
6
9
15
55
176,144
85.050
25.950
17.780
21.721
13.712
771
291.128
11
Torpediniere di 1*, 2*, 3", 4* classe 144
Navi sussidiarie di 1', 2*, 8% 4* classe
45
2.538
10.215
68.208
Navi di oso locale (nei porti marittimi) 30 3.751
Rimorchiatori
Bette
25
9
Cannoniere lagunari
1.645
4.472
440
178.086
66.875
28.858
82.875
67.053
61.801
4.280
429.778
64.800
mltr.«
684 - 82
179-10
178 - 18
98-10
228 - 20
142
12
1476 - 85
221.882.000
79.000.000
35.520.000
27 424.000
42.381.000
28.461.000
1.968.000
486.686.000
64
Totale generale del naviglio ' 324 382.397
130.193
202 - 38
56.950
189
2.788
20
2.557
25
1.468
—
• 325
5
688.854
1981-123
10.198.000
39.253.920
69.248.660
15.076.470
1349.570
1.572.080
260.000
578.589.700
62
GUSTAVO BOZZONI
PROSI-KTro N. 6.
Naviglio in servizio o in costruzione al 1*^ gennaio 1911
(riassuntivo)
TIPO DELLJB NAVI
Namero
Dislocamento
Forsft
d«ll«
miiochlae
Nayi da battaglia di 1* classe
Id.
Id.
Id.
2* classe
8* classe
4* classe
Id. 5* cli^se
Id,
6* classe
Totale .
23
1
KaYÌ sassidiarie di l*, 2*» 3^, 4* classe
Navi di uso locale
Cacciatorpediniere
Torpediniere
« .. «. ( sottomarini
Battelli ]
f sommergibili
Tonale generale del naviglio .
11
317.020
35.050
4.580
17.800
17.370
10 240
52
27
85
29
129
20
842
401.560
59.390
416.000
68.600
10.600
90.040
53.860
50.000
Nomerò
dei
CAimoni
Yalore
«pprOMimatiTO
689.100
47.630
18.032
12.180
15.613
4.980
506.755
11.7(»8
mìtr.*
940-40
172- 5
28- 1
68- 5
138- 6
56- 0
1402-57
132- 8
25- 0
587.000.000
79.200.000
11.820.000
85.800.000
87.700.000
23.880.000
774.400.000
45.710.000
9.720.000
202.880 118-0
223.337
11.670
1.186.270
262 - 12
0- 0
1939 - 77
41.985.000
56.300.000
20.010.000
948.075.000
MARINA MILITARE S COSTRUZIONI NAVALI
68
Probpbtto N. 7.
NAYiaLlO IN SERVIZIO 0 IN COSTRUZIONE AL 1® GENNAIO 1911.
TIPO DELLE NATI
Nmn.
DislOMIIMlliO
Fona
d«lle
macchine
Numero
doi
cannoni
Talora
approssimativo
Nati da battaglia di 1* classe
*Tipo Dante Alighieri
* 1» Ginlio Cesare
n Regina Margherita. . . .
1» Vittorio Emanuele ....
n Pisa
1
3
2
4
2
2
2
8
2
1
1
19.000
66.000
26.000
50.500
20.230
19.670
19.600
41.000
31.550
11.200
12.270
26.000
72.000
39.700
77.700
38.000
88.000
27.800
52.500
27.800
10.300
6.200
miir.*
49 - 2
156 - 6
88 - 4
176 - 8
64 - 4
70 - 4
70 . 2
120 - 6
81 - 4
32 - 0
34 - 0
60.000.000
192.000.000
59.320.000
131.300.000
51.200.000
n San Giorgio
n Emanuele Filiberto . . .
» Re Umberto
n Italia
» Andrea Doria
» Dandolo .......
53.900.000
**47.420.000
86.634.000
61.750.000
20.850.000
23.190.000
Totale . . .
Navi da battaglia di 2* classe
Tipo G. Garibaldi
n Carlo Alberto
23
3
2
817.020
22.050
18.000
416.000
42.200
26.400
940-40
102 - 3
70 - 2
587.564.000
49.700.0000
29.500.000
Totale . . .
5
85.050
68.600
172- 5
79.200.000
* Navi in costruzione.
64
GUSTAVO BOZZONI
Prospetto N. 7 (seguito).
TIPO DBLLE NATI
Nati da battaglia di 8* classe
Tipo Marco Polo
Nati da battaglia di 4* classe
*Tìpo Quarto
* » Marsala. .......
n Giov. BaasaD
n Etna . . .
Totale • . .
Navi da battaci ia di 5^ classe
Tipo Piemonte
n Etruria
Totale . . .
Navi da battaglia di 6^ classe
Tipo Agordat
» Tripoli
» Partenope
Totale . . .
Numero
1
2
1
1
1
6
2
3
11
Dislocamento
4.580
8.800
6.940
3.830
3.730
17.800
2.640
14.730
17.370
2.620
2.520
5.100
Fori«
delU
macchino
Nnmeio
dei
cannoni
Talora
approstimatlro
1 0.240
10.600
25.000
52.000
6.470
6.570
90.040
12.200
41.860
58.860
16.400
8.200
25.400
50.000
mitr*
28 . 1
18 • 1
26 - 2
W-1
17 - 1
m^mm
68 - 5
19 - 1
119 - 5
188 - 6
24 - 0
19 - 0
13 - 0
56 - 0
11.820.000
8.000.000
16.000.000
5.500.000
5.800.000
35.800.000
5.700.000
32.000.000
87.700.000
6.980.000
5.400.000
11.500.000
23.880.000
* Navi in costruzione.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI
65
Prospbtto N. 7 (seguito).
TIPO DELLE NAVI
Nmaro
DÌalocaiii«Bto
Fona
d«ll«
maeehin*
Nani«ro
d«i
cuuoni
Talora
approBsimatiTO
Nati sussidiarib di 1* classe
Tipo Trinacrìa
1
9.200
6.120
mitr.»
6-0
3.870.000
» Bronte
2
18.980
8.300
8-0
5.540.000
Totale . . .
3
28.1 80
14.420
14-0
9.410.00O
Navi sussidiarie di 2* classe
Tipo Verbano
1
3.000
1.000
4-0
500.000
n Flavio Gioia
2
5.760
7.440
22-2
10.500.000
» Vulcano
1
2.850
3.340
4-0
4.500.000
Totale . . .
4
11.610
1 1.780
30-2
15.500.000
Navi sussidiarie di 3* classe . .
7
10.070
7.540
53-4
10.100.000
Navi sussidiarie di 4* classe . .
13
9.530
1 3.890
35-2
10.700.000
Nati di uso locale
Piroscafi
3
820
610
—
1.190.000
Cisterne , .
20
5
2.530
255
1.600
12-0
1 .200.000
Sambuchi
80.000
Rimorchiatori
45
4.135
6.528
21 -0
8.940.000
Cannoniere lagunari
2
212
900
2-0
500.000
Bette
10
5.080
2.080
—
2.800.000
Totale . . .
85
13.032
11.703
25-0
9.720.000
Gustavo Bozzoni. ^Marma militare e Coslrusioni navali.
66
GUSTAVO BOZZONI
Prospetto N. 7 (8$guito).
TIPI DELLB NAVI
Numero
Dislocamento
Forca
delle
mMoblne
Numero
dei
oaBBoal
Valore
approeeimaliTO
Cacciatorpedinixrb
Tipo Bersagliere
10
3.920
61.000
rnitr.*
40 - 0
12.475.000
n Lampo
6
1.920
33.600
36 - 0
7.100.000
n Nembo
6
1.960
31.500
31 - 0
7.400.000
n Fulmine
1
300
4.730
5 - 0
1.160.000
* n Pattison
6
4.080
72.000
6 - 0
18.800.000
Totale . . .
29
12.180
202.830
118 - 0
41.985.000
Torpediniere d^alto mare ....
28
6.000
70.000
84- 0
18.800.000
» di 1* classe ....
8
1.500
18.000
16- 0
8.800.000
n di 2* classe ....
51
4040
50.000
102- 0
16.000.000
* » di 3* classe ....
30
8.600
81.000
60- 0
15.000.000
» di 4* classe ....
12
473
4.837
0-12
2.700.000
Totale . . .
129
15.613
223.^^37
262-12
56.800.000
Battelli sottomarini
1
100
150
262 - 12
330.000
n sommergibili tipo Glaaco
I
980
8.720
4.920.000
* n sommerg. tipo Foca, e altri
13
3.900
7.800
—
14.760.000
Totale . . .
20
4.980
11.670
—
20.010000
Totali oenerali del naviglio. .
342
506.755
1.186.270
1939 - 77
948.075.000
* Navi in costraiione o in allestimento.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI
G7
00
òQ999Qoowa)a)C»a>0)CbOOOoooooooOf-ii-NOf-i
OOOOQOOOOOOOOOOOOOOOOO^OdOdOaOaOdOXCbOftAOdOCbCbCb
'3 « S £ S
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e
g8
0 O
68
GUSTAVO BOZZONI
Spese effettive sostenute per la B. Marina
DAL 1861 AL 1910.
Quadro I,
ANKO
SPESA
ANNO
SPESA
•
1861
50.850.000
1885-1886
83.957.490
1862
78.234.520
1886-1887
95.260.600
1863
60.463.340
1887-1888
114.154.300
1864
59.308.500
1888-1889
157.638.330
1865
59.738.900
1889-1890
123.353.000
1866
61.866.230
1890-1891
113,028.100
1867
45.609.100
1891-1892
105.139.100
1868
38.769.980
18921898
101.758.400
1869
32.052.800
1893-1894
100.076,300
1870
25.072.900
1894-1895
95.676.470
1871
29.125.120
1895-1896
96.069.700
1872
31.439.200
1896-1897
103.094.500
1873
34.783.600
1897-1898
107.532.130
1874
35.146.870
1898-1899
110.381.680
1875
36.098.140
1899-1900
120.898.000
1876
37.998.450
1900-1901 .....
131.524.700
1877 ...-.,..
42.909.990
1901-1902
127.850.000
1878
48.246.550
1902-1903
131.917.633
1879
42.718.240
1903-1904
131.945.516
1880
45.128.417
1904-1905
136.179.182
1881
44.722.387
1905-1906
184 571.820
1S82
49.077.700
1906-1907
160.135.910
1S83
63.085.150
1907-1908
168.347.690
1* semestre 1884 • . .
29.392.000
1908-1909
180.905.065
1884-1886
77.157.100
1909-1910
158.151.800
Spesa totale nbl cin^^uantkn.mo . . L. 4.188.542.900
MARINA MILITARE B COSTRUZIONI NAVALI
69
Quadro II.
Spese accertate per la Regia Marina.
SSERCIZII
Parte ordinaria
Parte straordinaria
Spesa totale
1861 . .
1870 . .
1880 . .
1889-1890
1899-1900
1900-1910
32.500.000
25.072.900
41.788.011
108.700.000
119.523.000
139.445.100
18.350.000
3.340.406
14.653.000
1.375.000
18.707.700
50.850.000
25.072.900
45.128.117
123.353.000
120.898.000
158.151.800
Principali leggi rignardanti spese straordinarie,
consolidamento del bilancio.
Nel 1871 fu presentato dal ministro Uiboty un progetto di piano or-
ganico della flotta, col quale il naviglio avrebbe dovuto essere portato ad
un totale di 73 navi, delle quali 12 di linea, 3 fregate, 7 corvette ecc., ma
il progetto non fu mai discusso alla Camera. La spesa straordinaria occor-
rente era prevista in L. 25.750.000, divisa in 5 esercizi dal 1872 al 1876.
Nel 1875 fu dal ministro >Saint-Bon presentato ed approvato alla Ca-
mera il progetto di alienazione del naviglio (Legge 31 marzo 1875). Le navi
da alienare erano in numero di 33.
Nel 1876 il ministero Brin presentò il progetto del piano [^organico
col quale veniva fissata la composizione della flotta in 72 unità, delle quali
16 navi di 1* classe, 10 di 2^ 20 di 3* ecc.; con lo stesso progetto di
legge, veniva fissata la durata delle navi in 25 anni, e si prevedeva quindi
la somma da stanziarsi per la riproduzione del navìglio.
Tale progetto divenne legge il P luglio 1877, e per essa si stanziava
per il decennio 1877-1878 la somma di L. 146.000.000 per la costruzione
del naviglio, incluse le spese per la riproduzione del naviglio stesso. Tra-
scorso il decennio, la somma per riproduzione e manutenzione del naviglio
veniva fissata in L. 29.150.000.
Nel 1887 Benedetto Brin presentò un altro progetto di legge, concer-
nente un aumento di fondi per le costruzioni navali e variazione del piano
organico. Tale progetto divenne legge il 30 giugno 1887.
70 GUSTAVO BOZZONI
Veniva con essa stabilita la spesa straordinaria di 85.000.000 in
aggiunta agli assegni fatti con la precedente legge del 1877, ripartita negli
esercizi dal 1887-88 al 1895-96.
La forza del nayiglio era annientata rispetto a quella stabilita nel piano
organico del 1877, e portata da 10 a 20 per le navi di 2* classe: da 20
a 40 per le navi di 8* classe, ecc. Si aggiungevano inoltre 190 torpe-
diniere.
La somma di L. 85.000.000 era così ripartita:
L. 37.000.000 per costruzioni navali.
» 29.000.000 « acquisto artiglierie e siluri.
i> 9.000.000 « Tarsenale di Spezia.
fi 9.000.000 « Tarsenale di Taranto.
i> 1.000.000 » l'arsenale di Venezia.
Con la legge 13 giugno 1901 (ministro Morin), il bilancio della Marina
fu consolidato nella somma di L. 123.000.000 per l'esercizio 1900-1901,6
di L. 121.000.000 negli esercizi successivi, fino al 1905-906.
Con legge 2 luglio 1905 (ministro Mii-abello), il bilancio della Marina
fu portato a
L.. 125.000.000 per l'esercizio 1904-905
1» 126.000.000 » 1905-906
» 133.000.000 » 1906-907
yi 133.000.000 » 1907-908
e per gli esercizi successivi, fino al 1916-917, a L. 134.000.000.
Con i su detti assegni si provvedeva alla costruzione di 8 incrociatori di
10.000 tonn., 10 cacciatorpediniere, 7 sommergibili ecc., ed air impianto di
una fabbrica di siluri a S. Bartolomeo, nonché alla preparazione del nuovo
munizionamento occorrente.
Con legge 27 giugno 1909 (ministro Mirabelle), il bilancio della Marina
per Tesercizio 1909-910 fu portato a L. 163.427.000; furono stabiliti i se-
guenti assegni per costruzione di acquisto di navi, materiali, munizionamento :
L. 52.370.000 per l'esercizio 1909-910
» 60.000.000 » 1910-911
» 70.000.000 1» 1911-912
n 70.000.000 « 1912-913
1» 80.000.000 » 1913-914
» 80.000.000 » 1914-915
n 80.000.000 » 1915-916
In queste somme sono comprese le assegnazioni derivanti dalla legge
2 luglio 1908.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 71
MINISTBI DELLA MARINA
DALLA PROCLAMAZIONE DEL REGNO D ITALIA
Benso di Cavour conte Camillo, deputato al Parlamento, notaio della Corona, ministro
segretario di Stato per gli Afhri esteri» presidente del Consiglio dei ministri — dal
17 marzo al 4 giugno 1861*
Menabbba conte Luigi Federico, luogotenente generale, senatore del Regno — dal 12
giugno 1861 al 8 marzo 1862.
Pbllion di Pbbsano conte Carlo, vice ammiraglio, aiutante di campo onorario di S. M.
— dal 8 marzo air 8 dicembre 1862.
Ricci marchese GHloranni, capitano di vascello in ritiro, deputato al Parlamento — daU
r8 dicembre 1862 al 22 gennaio 1863.
MsNABREA conte Luigi, predetto, incaricato della reggenza del Ministero — dal 22 al
2'5 gennaio 1863.
Di Negro marchese Orazio, vice ammiraglio in ritiro, senatore del Regno — dal 25
gennaio al 22 aprile 1863.
Cuoia cav. Eflsio, maggiore generale, deputato al Parlamento, aiutante di campo ono-
rario di S. M. — dal 22 aprile 1863 al 24 settembre 1864.
Ferrerò della Mabuoba car. Alfonso, deputato al Parlamento, ministro segretario di
Stato per gli Affari esteri, presidente del Consiglio dei ministri, incaricato interi-
nalmente del portafoglio della Marina — dal 24 settembre al 21 dicembre 1864.
Angioletti Diego, luogotenente generale, senatore del Regno — dal 21 dicembre 1864
al 20 giugno 1866.
Deprbtis Agostino, deputato al Parlamento nazionale — dal 20 giugno 1866 al 17 feb-
braio 1867.
Biancheri Giuseppe, depatato al Parlamento nazionale — dal 17 febbraio al 10
aprile 1867.
Pescetto Federico, maggior generale del Genio militare, deputato al Parlamento nazio-
nale — dal 10 aprile al 27 ottobre 1867.
Msnabrea conte Luigi, predetto, incaricato della reggenza del Ministero — dal 27
ottobre al 10 novembre 1867.
Provana del Sabbione conte Pompeo, vice ammiraglio — dal 10 novembre 1867 al
6 gennaio 1868.
KiBOTT Augusto, contr* ammiraglio, deputato al Parlamento nazionale — dal 6 gen-
naio 1868 al 14 dicembre 1869.
Castagnola aw. Stefano, ministro di Agricoltura Industria e Commercio, deputato al
Parlamento nazionale, incaricato interinalmeute del portafoglio della Marina — dal
14 dicembre 1869 al 15 gennaio 1870.
AcTON Guglielmo, co ntr* ammiraglio, senatore del Regno — dal 15 gennaio 1870 al 31
agosto 1871.
7^ QOSTAVO BOZZONI
BiBOTT Angusto, predetto, in ritiro, senatore del Regno — dal 81 agosto 1871 ali* 11
loglio 1873.
Pacorbt db Saint-Bon Simone, contr* ammiraglio, deputato al Parlamento nazionale
— daini luglio 1878 al 25 mano 1876.
Brin Benedetto, ispettore del Genio navale, deputato al Parlamento nazionale — dal
25 marzo 1876 al 23 marzo 1878,
Di Brocchetti Enrico, vice ammiraglio, senatore del Regno — dal 24 roano al 24
ottobre 1878.
Brin Benedetto, predetto — dal 24 ottobre al 19 dicembre 1878.
Ferracgiù avv. Niccolò, deputato al Parlamanto nazionale — dal 19 dicembre 1878 al
14 luglio 1879.
BoNELLi Cesare, tenente generale, senatore del Regno, ministro della Guerra, incaricato
di reggere interinalmente il Ministero della Marina — dal 14 luglio al 25 novem-
bre 1879.
ÀcTON Ferdinando, contr* ammiraglio, senatore del Regno — dal 25 novembre 1879.
Confermato ministro con regio decreto 29 maggio 1881. Cessò il 17 novembre 1883.
Del Santo Andrea, vice ammiraglio, deputato al PiMrlamento nazionale — dal 17 no-
vembre 1883 al 30 marzo 1884.
Brin Benedetto, predetto, ispettore generale del Genio navale, deputato al Parlamento
nazionale — dal 30 marzo 1884 al 9 febbraio 1891.
Starrabba di Rudinì marchese Antonio, deputato al Parlamento nazionale, presidente
del Consiglio dei ministri, ministro segretario dì Stato per gli Affari esteri, inca-
ricato interinalmente di reggere il Ministero della Marina — dal 9 al 15 febbraio 1891.
Pacoret de Saint-Bon Simone, predetto, vice ammiraglio, senatore del Regno — dal
15 febbraio 1891. Confermato ministro con regio deoreto del 15 maggio 1892
— Morto il 26 novembre 1892.
Brin Benedetto, predetto, deputato al Parlamento nazionale, ministro segretario di Stato
per gli Affari esteri, incaricato di reggere interinalmente il Ministero della Marina
— dal 27 novembre all' 8 dicembre 1892.
Bacchia Carlo Alberto, vice ammiraglio, senatore del Regno — dairS dicembre 1892
al 15 dicembre 1893.
MoRiN Costantino Enrico, vice ammiraglio, deputato al Parlamento nazionale — dal
15 dicembre 1893 al 10 marzo 1896.
Brin Benedetto, predetto, deputato al Parlamento, ispettore generale del Genio navale
in posizione ausiliaria — dal 10 marzo 1896. — Confermato ministro con regio
decreto del 14 dicembre 1897 — Morto il 24 maggio 1898.
AsiNARi DI S Marzano Alessandro, tenente generale, senatore del Regno, ministro della
Guerra, incaricato di reggere interinalmente il Ministero della Marina dal 24 maggio
al 1^ giugno 1898.
Canevaro Felice Napoleone, vice ammiraglio, senatore del Regno — dal V al 29 giu-
gno 1898.
Palumbo Giuseppe, vice ammiraglio, deputato al Parlamento nazionale — dal 29 giugno
1898 al 14 maggio 1899.
Rettolo Giovanni, contr' ammiraglio, deputato al Parlamento nazionale — ■ dal 14 mag-
gio 1899 al 24 giugno 1900.
MoRiN Costantino Enrico, predetto, senatore del Regno, dal 24 giugno 1900. — Confer-
mato ministro con regio decreto 15 febbraio 1901. Cessò il 22 aprile 1908.
Rettolo Giovanni, predetto, deputato al Parlamento nazionale — dal 22 aprile al 21
giugno 1903.
MARINA MILITARE E COSTRUZIONI NAVALI 73
MoRiN Costantinu Enrico, predetto, senatore del Regno, ministro segretario di Stato
per gli Affari esteri, incaricato di reggere interinai mente il Ministero della Marina
dal 21 giugno al 8 novembre 1903.
GioLrm Giovanni, deputato al Parlamento nazionale, presidente del Consiglio, ministro
segretario di Stato per l'Interno, incaricato interi nalmente del Ministero della
Marina dal 3 novembre air 11 dicembre 1908.
MiBABBLLo Carlo, vice ammiraglio, senatore del Regno, dallMl dicembre 1903. Confer-
mato ministro successivamente con regi decreti del 28 marzo 1905, 24 dicembre
1905, 8 febbraio e 29 maggio 1906. In carica fino al 12 dicembre 1909.
Bbttòlo Giovanni, predetto, vice ammiraglio, deputato al Parlamento nazionale — dal
12 dicembre 1909 al l^" aprile 1910.
Leonardi Cattolica Pasquale, contr* ammiraglio, senatore del Regno — dal V aprile 1910.
GUSTAV.O BOZZONI - MARINA MILITARB £ COSTRUZIONI NAVALI ^^
SOTTOSEGRETAaiI DI STATO PER LA MARINA
(dalla Istltuione - Legge 18 febbraio 1888, n. S79S)
Ragcbia Carlo Alberto, vice ammiraglio, deputato al Parlamento nasionale — dal 18
febbraio al l"" dicembre 1888.
MoBiN Costantino Enrico, contr* ammiraglio, deputato al Parlamento nazionale — dal
r dicembre 1888 al 19 febbraio 1891.
CoRm Rafbele, contr* ammiraglio, deputato al Parlamento nasionale — dal 19 feb-
braio 1891 al 19 gennaio 1893.
Palumbo Giuseppe, contr* ammiraglio — dal 19 gennaio al 15 dicembre 1898.
Sebra Luciano, oontr* ammiraglio — dal 15 dicembre 1898 al 9 marzo 1896.
Palumbo Giuseppe, predetto, vice ammiraglio, deputato al Parlamento nazionale — dal
9 marzo 1896 al 29 giugno 1898.
QuioiNi PuLiOA Carlo Alberto, vice ammiraglio — dal 29 giugno 1898 al 24 giugno 1900.
Sbrra Luciano, predetto, yice ammiraglio, deputato al Parlamento nazionale — dal
24 giugno 1900 al 21 aprile 1903.
Retnaudi Carlo Leone, contr* ammiraglio — dal 28 aprile al 17 dicembre 1908.
AuBRT Augusto, contr* ammiraglio, deputato al Parlamento nazionale — dal 17 dicem-
bre 1903. Confermato sottosegretario di Stato con regio decreto del 31 marzo 1905.
Cessò il 22 dicembre 1905.
Bianco Augusto, contr* ammiraglio — dal 24 dicembre 1905. Confermato sottosegretario
di Stato con regio decreto dell* 8 marzo 1906. Cessò il 1® giugno 1906.
AuBBT Augusto, predetto, yice ammiraglio, deputato al Parlamento nasionale — dal 1*
giugno 1906 al 12 dicemabre 1909.
Chimisnti prof. avr. Pietro, deputato al Parlamento nazionale — dal 15 dicembre 1909
al P aprile 1910.
Bbroamasoo ing. Eugenio, deputato al Parlamento nazionale ~ dal 2 aprile 1910.
L'INDUSTRIA DEI TRASPORTI MARITTIMI
].
Precedenti storici.
LVyolozìone storica della Marina mercantile e i snoi fattori. — Il vapore e le gerarchie
marittime. — L'Italia nelle ìndnstrie del mare prima dell* invenzione del vapore. —
Napoli al principio del secolo XIX alla testa del progresso marittimo in Italia. —
Prime Società italiane di navigazione a vapore. — Origine delle convenzioni ma-
rittime. — Marina libera e Marina sovvenzionata. — Le convenzioni e la coscienza
marittima. — Lotta tra la vela e il vapore ; navi miste. — I cantieri italiani e lo
prime costruzioni in ferro. — Il vapore e i traffici siciliani. — La a Transatlantica »
e i traffici italiani con TÀmerica e col Levante. — Le Marine dello Stato Pontificio,
della Toscana e del Governo dittatoriale di Sicilia.
L*evoluzioDe storica della Marina mercantile, durante il secolo decimo-
nono, ebbe presso tutti i popoli civili tre grandi fattori : T invenzione del
vapore; la conseguente sostituzione del ferro al legno, e, pia tardi, dell' ac-
ciaio, nella costruzione delle navi; la politica coloniale degli Stati.
È fuor di dubbio che il primo di questi fattori fu anche causa deter*
minante degli altri due, in quanto che entrambi ad esso debbono, in parte
notevole, la loro origine. Infatti: senza l'invenzione del vapore, mercè la
quale l'uomo riesci a costringere in poco spazio e tradurre in moto, quindi
in lavoro, una forza naturale ingente che prima era rimasta inerte, non sa-
rebbero stati possibili i progressi della metallurgia in generale, e della
siderurgia in particolare, che condussero alla odierna meravigliosa facilità di
lavorazione del ferro e dell'acciaio, in grazia della quale le costruzioni navali
hanno oggi conseguito l'alto grado di perfezione e di rapidità che a tutti ò noto.
Parimenti, senza la nave a vapore — che significa emancipazione quasi
completa della navigazione dalla servitù degli elementi fisici, ed è ad un
Giovanni Boncaoli. — L'industria dei trasporti marittimi, l
GIOVANNI RONCAGLI
tempo garanzia di sicurezza e rispaimio di tempo — Tespansione economica
e politica dei popoli civili, che ha determinato la formazione di nuovi e
vasti imperi coloniali, non*avrebbe potuto essere così rapida e così estesa
come di fatto è stata. E mentre nel campo della navigazione Tinvenzione
del vapore dava luogo ad una semplificazione sorprendente di mezzi, in
quello delle industrie in generale essa si traduceva in un impulso quanto
mai vigoroso alla produzione, sino a determinare, con una esuberanza di
questa, o a rendere più impellente, per i popoli produttori, la necessità di
quella espansione economica, per la quale la Marina veniva apprestando mezzi
sempre più facili e sempre più efficaci.
Non sarebbe possibile rendersi ben conto della evoluzione compiuta
dalla Marina mercantile nazionale, senza essersi prima formato un concetto
chiaro della evoluzione più genei*ale compiuta dalla civiltà contemporaoea
nel campo economico ; anche perchè, pur dovendosi ammettere che gli stessi
fattori non esercitarono sempre identiche influenze presso le Marine dei di-
versi Stati, dobbiamo però riconoscere che, in sintesi generale, Tevoluzione
storica della Marina, nel periodo che consideriamo, ò stata presso tutti i
popoli un gigantesco progresso. Di guisa che può ben dirsi che gli effetti
singoli differenti, prodotti dalle medesime cause presso nazioni diverse, hanno
condotto ad un risultato sostanzialmente identico per tutti.
L'invenzione del vapore venne d*un subito ad assegnare un valore, prima
quasi sconosciuto, ai combustibili fossili; ed ecco determinarsi un primo
spostamento della capacità relativa dei singoli Stati per rispetto al nuovo
modo di locomozione sul mare. Uguali prima tutti davanti a quella grande
e volubile forza che è il vento, forza che ben potrebbe dirsi democratica
perchè a disposizione di tutti in ugual modo, Tapplicazione del vapore alla
industria crea d'improvviso privilegi e monopoli: ed ecco i popoli dividersi
in ricchi e poveri, in aristocrazie e democrazie, rispetto al carbone.
Poco più tardi, quando appunto il ferro comincia a sostituirsi al legno
nelle costruzioni navali, ecco determinarsi nuove differenze fra Stato e Stato,
nuovi privilegi, nuovi monopoli affermarsi ed imporsi. E vediamo nazioni,
presso le quali prosperava un tempo l'industria del costruire navi, perchè
ricca ne era la terra di selve d'ogni miglior legname, decadere in quella
arte, soverchiate dall'onda nuova di ferro e di fuoco, e cedere ad altre, meglio
apparecchiate da natura ai nuovi bisogni, il posto onorevole che avevano te-
nuto per secoli.
L'Italia fu tra queste. Le costruzioni navali italiane, segnatamente lo
liguri, andavano celebri nel mondo per solidità ed eleganza di forme. La
ricchezza delle foreste nazionali fornendo materiale eccellente e a buon mer-
cato, prosperavano i cantieri sulle spiagge, in ispecìe sulle due Riviere.
l'industria dei trasporti marittimi
La prodazione eccellente della canapa e del lino somministrando a sua
Tolta materia ottima per i cordami e per le vele, la nave italiana che an-
dava in mare, signora dei traffici un pò* dappertutto nel mondo, quasi non
aveva chiodo che non fosse fatto di materia casalinga; non ima cordicella,
fra le mille esili e robuste della ricca attrezzatura, che non fosse stata torta
di canapa cresciuta in casa ; non im lembo delle candide vele che non fosse
intessuto di canapa o lino nazionale.
E la tradizione di secoli, coltivata da costante lavoro, aveva creato
maestranze eccellenti nell'arte loro ; sì che anche in terra straniera non sol-
tanto andava onorata fama dei maestri d*ascia e dei velai italiani, ma ne
era eziandio ricercata Topera e questa generosamente ricompensata.
Nò vi era uomo di mare che, avendo per alcun tempo esercitata Tarte
sua, non sapesse riconoscere a primo aspetto, nei mari più diversi e più tra
loro lontani, la nave genovese: il barco, come questa soleva chiamarsi nel
gergo dei marinai liguri. Suoi caratteri distintivi: Teleganza delle forme
dello scafo ; lo slancio della prora, che pareva fatta più a scavalcare che a
frangere le onde, e la larghezza abbondante del crociamo, ossia dei pennoni.
La quale non a caso era diventata fattezza spiccatissima del veliero mercan-
tile italiano, bensì per il maturato proposito di dare alle vele la maggior
possibile ampiezza senza di troppo elevare l'alberatura a scapito della sta-
bilità, specialmente quando si navigasse con vento di lato.
Così andavano le cose, quando nel 1818, undici anni appena dopo il
primo viaggio di Fulton (^), il « Beai 'Ferdinando > , primo, a quanto si
crede, nel Mediterraneo, prese il mare da Napoli, spaventando, più che me-
ravigliando, le ignare popolazioni delle coste (*).
0) Roberto Falton, nonostante i snoi esperimenti vittoriosi fatti salla Senna il 9
agosto del 1803, era stato abbandonato da Napoleone che, impazientito, alle sue nuove
richieste d'ainto gli aveva vòlto le spalle, chiamandolo sognatore. Solo quattro anni più
tardi egli giunse finalmente a dimostrare la possibilità pratica delTapplicazione del va-
pore alla propulsione delle navi; precisamente lUl agosto 1807, col vapore a Clermont »
da lui fatto costruire suirEast River, Fnlton parti da New-Tork, risalendo 1* Hudson sino
ad Albany, donde tornò a New-York. Egli percorse così in 32 ore alPandata e in 30 al
ritomo, quella distanza, che è di 150 miglia marine.
(") Il tt Ferdinando I ». più comunemente detto u Keal Ferdinando », fu costruito
in Napoli per conto della ditta Pietro Andriel e C. e varato nell'agosto del 1818. Era.
in legno ed a ruote, della portata di 253 tonn. con macchina di 12 cavalli nominali.
Intraprese il suo primo viaggio tra Napoli, Genova e Marsiglia sul finire di settembre»
al comando delPalfierc di vascello Giuseppe Libetta, che di quel viaggio lasciò memorie
piene d'interesse; e si narra che alcuni pescatori, presso Fiumicino, in veder fumo che
s'inalzava da una nave in vista, credutolo dMncendio, accorressero con le loro barche.
Il volgo, poi, détte a quella nave il nomignolo di Serpentone, forse paragonandola al
leggendario serpente di mare.
GIOVANNI RONCAGLI
Questa prima apparizione della nave a vapore sul mare nostro e sotto
la bandiera di uno Stato italiano, non rimase un fatto isolato, ma fu il prin-
cipio di quella trasformazione del materiale nautico che ci condusse poi al-
l'ordinamento dell*industria della navigazione a vapore in Compagnie ed alla
partecipazione di queste ad alcuni servizi pubblici prima esercitati dagli Stati.
Il nuovo mezzo di locomozione marittima non era più gratuito come il vento :
il carbone costava caro, tanto più che si doveva farlo venire da fuori; la
costruzione della nave a vapore, meno semplice di quella del veliero^ costava
notevolmente di più, anche perchè, mancando in paese il ferro e i mezzi per
lavorarlo, bisognava ricorrere all'estero, almeno per i macchinarli ('). Mutate
dunque in tal guisa le condizioni finanziarie per gl'impianti e resercizio,
non bastavano più le forze individuali ; onde nacque il bisogno di radunarle,
costituendo Società di navigazione, che intrapresero viaggi regolari per il
trasporto delle merci e dei viaggiatori (') e che presto sostituirono lo Stato
nel trasporto della posta. Si ebbero così le prime forme di quei contratti
fra Stati ed armatori privati o Compagnie, che anche oggi vanno sotto il
titolo di K convenzioni marittime * ; loro sostanza, il pagamento da parte dello
Stato di ima specie di nolo à forfait o commisurato alla percorrenza, sempre
però più elevato del nolo corrente dì mercato, in considerazione dei vincoli
e degli oneri speciali derivanti dal servizio postale.
La convenzione tra il governo di Sardegna e la Società Rabattino di
Genova, conclusa poco dopo il 1848, per il trasporto della posta fra Genova
e la Sardegna e più tardi sino a Tunisi ; quella quasi contemporanea tra il
governo borbonico e la ditta Ignazio e Vincenzo Florio di Palermo, per lo
stesso servizio fra la Sicilia e le minori isole siciliane; la convenzione del 1853
fra il Piemonte e la Compagnia Transatlantica^ genovese, per servizi re-
golari con le due Americhe, e laltra stipulata poi nel 1857 dal Florio me-
desimo per il servizio postale fra Napoli e la Sicilia, sono i primi esempi
di convenzioni marittime italiane, anteriori tutti alla costituzione del Uegno
d'Italia.
Con questi contratti la Marina mercantile veniva a dividersi in due
grandi branche: la Marina libera, e quella sovvenzionata. La prima, conti-
nuando, anche dopo T adozione del vapore, nel regime di assoluta libertà che
era tradizione antichissima della marineria, senz* altri vincoli oltre quelli
imposti dalle leggi marittime generali, non obbediva che airinteresse degli
(') Le prime macchine marine fatte in Italia farono costruite a Napoli nel 1850
presso lo stabilimento di Pietrarsa.
(') La Società napoletana detta delle Due Sicilie è la prima Compagnia di navi-
gazione costituitasi nel Mediterraneo; essa incominciò Tesercizio nel 1828 con nn piro*
scafo costruito in Inghilterra.
l'industria dei trasporti marittimi
armatori, provvedendo, di conse^enza, a quello del commercio nazionale,
che era base del primo. La Marina sovvenzionata invece, vincolata a parti-
colari condizioni di materiale, di itinerario, di orario ecc., perduta quella
indipendenza, si avviava a diventare, come divenne poi, una specie di organismo
di Stato, Teconomia del quale era governata da privati, sotto la vigilanza
e col sussidio dello Stato.
L'influenza che esercitarono sullo sviluppo della Marina mercantile
questi vincoli contrattuali con lo Stato, fu tale in seguito, che giova entrare
sin d'ora in qualche particolare. Ricorderemo, a titolo d'esempio, i patti
principali della convenzione con la Transatlantica, la prima che sia stata
conchiusa in Italia per servizi oceanici.
Secondo quella convenzione, che, stipulata il 5 aprile 1858, divenne ese-
cutiva con legge dell' 11 luglio, la Compagnia si obbligava a costruire sette
piroscafi ad elica, di non meno di 1500 tonn. e con macchine della forza
minima di 250 cavalli, capaci di trasportare almeno 80 passeggeri di prima
classe e 100 « di prua >, come dice il testo ufficiale; e assumeva impegno
di intraprendere, entro un anno dalla promulgazione della legge, viaggi re-
golari mensili fra Genova e New-Tork, toccando Marsiglia, Barcellona, Ma-
laga, Gibilterra e Madera, e fra Genova e Montevideo, toccando, oltre glK
scali precedenti, anche Fernambuco, Bahia e Bio Janeiro. La durata det
viaggio, comprese le fermate nei porti, non doveva superare i 22 giorni fra
Genova e New-Tork e i 88 fra Genova e Montevideo. Ogni viaggio per
TÀmerica del Nord sarebbe stato ricompensato con un sussidio di L. 22,000,
mentre ogni viaggio per l'America del Sud avrebbe dato diritto ad una
sovvenzione di L. 30,000. In complesso, dunque, la Compagnia, qualora
avesse compiuto effettivamente un viaggio al mese per ciascuna destinazione,
avrebbe percepito la sovvenzione annua totale di L. 624,000, equivalente a
poco più di due lire per miglio. Inoltre le sue navi, equiparate in ciò a
quelle della Marina Beale, sarebbero state esenti dalle tasse d'ancoraggio e
consolari. La convenzione doveva durare 15 anni.
Questa citazione alquanto particolareggiata dei patti della prima con-
venzione italiana per servizi oceanici ò utile per collocare in conveniente
situazione cronologica l'orìgine di certi privilegi e di certe forme di mono-
polio che, come si vedrà nel seguito, esercitarono una influenza notevole
sulle sorti della Marina mercantile a vapore e più ancora sulla coscienza
stessa della nazione, dopo la proclamazione del nuovo Begno. Infatti, da questi
provvedimenti d'ordine politico ed economico, diventati necessari soltanto
perchè lo Stato non poteva più provvedere direttamente, come in passato, in
causa delle aumentate esigenze, ebbe origine la credenza generale che la
contribuzione dello Stato fosse una necessità per lo sviluppo della Marina
mercantile. Vedremo in seguito quali effetti abbia prodotto sul progresso
della Marina, e in generale sull'economia nazionale, questa credenza.
6 GIOVANNI RONCAGLI
¥ ¥
L* adozione della macchina a vapore per la propnlsìone delle navi non
giunse però così presto a generalizzarsi in Italia, come forse erasi pensato
sni primordi della nuova èra della navigazione. Jl veliero pareva vedesse di
mal occhio il suo giovane compagno dalle viscere ardenti ; e mentre veniva
contestandogli a palmo a palmo il campo, pur retrocedendo lentamente, volle
ad esso associarsi, quasi per sorvegliarlo, se non per dominarlo un giorno:
in apparenza, per aiutarlo. Così le prime navi a vapore furono tutte navi
miste ; e se ne ebbero di due tipi : quello della nave a vapore con velatura
ausiliaria, durato lungamente e scompai-so appena da pochi anni dal servizio
mercantile, e l'altro della nave a vela con macchina ausiliaria. Quest'ultimo
tipo, meno generalizzato dellaltro, è però sopravvissuto, e certo vivrà lunga-
mente ancora, in quanto che rappresenta oggi l'espressione più logica del
primitivo connubio e la sua più pratica applicazione. Il vapore non ucci-
derà mai del tutto la vela; e ciò, non tanto a cagione di quelle incancel-
labili differenze fra Stato e Stato delle quali fu fatto cenno da principio,
quanto perchè la forza naturale e gratuita del vento esisterà sempre. L'uomo
è incline per natura ad utilizzare tutto quaoto cade in suo potere: in mare
il vapore non sostituirà mai del tutto il vento, come in terra non sostituirà
mai la forza idraulica anch'essa inesauribile. Vediamo ancora oggi mulini
a vapore, idraulici ed a vento, coesistere accanto ai mulini elettrici che rap-
presentano l'ultima conquista dell'uomo nella meccanica industriale: coesi-
stere non solo, ma progredire e perfezionarsi di pari passo, solo dividendosi
il campo anziché contenderselo. Così in mare: il vapore, che ha già total-
mente soppiantato la vela nelle Marine militari, non farà mai altrettanto
in quelle mercantili. Ristretto, sì, rimarrà il campo riservato alla nave ve-
liera; né sarà quel campo interdetto mai al piroscafo; ma rimarrà. Ed in
quello il vento servirà sempre la navigazione, in omaggio ad un principio
immutabile di equilibrata economia: sarà, quel campo, costituito negli oceani
dalle grandi zone dei venti costanti o periodici, e, nei mari che dovrebbero
dirsi territoriali, dalle zone frequentate dal piccolo cabotaggio, dalle navi-
celle pescherecce ecc.; ma sarà campo perpetuo che nessuna scoperta chiu-
derà mai se non sarà di forza altrettanto perpetua, generale, libera e gra-
tuita quanto è quella del vento.
Mentre nelle Marine di Sardegna e del Reame di Napoli, soli Stati
veramente marittimi della penisola, a quel tempo, venivano prendendo posto
le navi a vapore, continuavano i cantieri italiani, in particolare quelli della
Liguria, a fabbricar velieri in legno, e gli armatori a mandarne un po' per
tutti ì mari. La costruzione in ferro non fece che più tardi la sua appari-
l'industria dei trasporti marittimi
zione siccome quella che richiedeva impianti nuovi e maestranze nuovamente
addestrate, oltre al materiale da lavoro che si doveva far venire da fuori.
Pare che Y « Azzardoso « , brigantino in ferro della Marina Sarda, costruito a
Genova nello storico cantiere della Foce, verso il 1859, sia stato, nel campo
deirarchitettura navale, il primo saggio dì costruzione metallica paesana.
I velieri napoletani e siciliani trafficavano attivamente coi porti degli
Stati Uniti, dove trasportavano zolfo, agrumi e sommacco, tornandone in gran
parte carichi di quelle esili tavolette onde gli agrumai fanno poi le casse,
nelle quali spediscono i loro prodotti.
La intensità di questi traffici fece sin d^allora pensare alla convenienza
di sostituire il vapore alla vela su quelle linee; ma l'avversa fortuna incon*
trata da due armatori palermitani, il De Pace ed il Tagliavia, che succes-
sivamente vollero tentare la prova, indusse gli spiriti meglio intraprendenti
ad aspettare tempi più maturi. Non si può dire che di questo insuccesso
abbia avuto a soffrire gran danno il commercio di quelle regioni, perchè sa-
bito dopo, sotto la bandiera inglese, chiamatavi dal Tagliavia medesimo, fu
istituita quella comunicazione regolare che ancora oggi VAnchor Line man-
tiene con suo profitto, nonostante la concorrenza che sul mercato degli Stati
Uniti fanno oggi alla Sicilia gli agrumi della California e gli zolfi della
Luisiana e del Giappone. Ma se non ebbe a soffrirne il commercio, certa-
mente ne sofferse V economia generale; perchè tutto l'utile che poteva oflfrire
la nuova industria di trasporti per via di mare esulò dalla Sicilia e dal
Napoletano, e questo danno certamente non fu mai compensato col maggior
benefizio che traevano pochi enti locali dal maggior traffico in alcuni porti.
•
Le vicende della guerra per T indipendenza, ed alcune difficoltà sdrte
nella costruzione delle navi, ritardarono anche Tesecuzione dei progetti ma-
rittimi approvati dal Parlamento subalpino mediante la convenzione con la
Transatlantica. Soltanto il 20 ottobre del 1856 la Compagnia potè* veramente
stabilire una comunicazione regolare col Bmsile, dopo avere migliorato la
propria situazione finanziaria, ricorrendo, con Taiuto del governo, al capitale
inglese. Stipulata il 23 maggio dello stesso anno una nuova convenzione, in
luogo della precedente, la Transatlantica assumeva i servizi con TAmerica
Meridionale e col Levante, sino a Trebisonda, con un sussidio annuo di oltre
un milione, riducibile a poco meno di un milione dopo i primi anni. La
linea per gli Stati Uniti fu, di comune accordo, abbandonata, in causa della
troppo attiva concorrenza straniera.
Se non che, non ostante le migliorate condizioni, la Compagnia, per de-
ficiente ordinamento, per indisciplina degli equipaggi e per sinistri patiti in
mare, lungi dal consolidarsi, venne troppo presto a dissolversi. La sua fiotta,
composta in origine dei quattro piroscafi • Genova », « Torino i», • Conte di
8 GIOVANNI RONCAGLI
Cavour » e « Vittorio Emannele v», tutti press'a poco uguali (circa 1500 ton-
nellate di dislocamento e 700 cavalli indicati di forza), al 1860 erasi ridotta
a due soli, il «Cavour* e il «Vittorio Emanuele». Il • Torino «, che era
stato acquistato dalla Marina siciliana durante Tepopea garibaldina, investito
sugli scogli della costa calabrese il 20 agosto di quell'anno, era stato messo
a fuoco da Bixio, acciò non cadesse preda del Borbone ; il « Genova « era pa-
rimenti andato distrutto dairincendio in un porto di Spagna, mentre era in
viaggio per il Piata, carico di materie esplosive. Gli altri due passarono a far
parte delFarmata del nuovo Regno : il secondo, mutando in quello di « Volturno «
il suo nome di « Vittorio Emanuele «, già portato da una bella e gloriosa
fregata di linea.
Cadeva per tal modo, si può dire appena nato, il frutto della sapiente
iniziativa presa dal Conte di Cavour ; la marina a vapore della nascente Italia
si rattrappiva un'altra volta, dopo un tentativo di espansione che era forse
stato alquanto prematuro.
Accanto alle Marine di Sardegna e del Bearne di Napoli, poc'altra cosa
rimaneva degli altri Stati minori.
La Marina mercantile dello Stato pontifìcio veniva terza per numero di
navi e per tonnellaggio, ma era ben lontana da quella importanza che, a
malgrado delle difScoltà dei tempi, avevano le altre due.
Due litorali disgiunti, due marine distinte. Tale la condizione generale
di quella Marina; la quale, al l"" gennaio 1847, cioè poco dopo Tassunzione
di Pio IX al soglio, possedeva — come narra il Cialdi — 1323 Davi del
tonnellaggio complessivo di 26280.59 tonnellate.
Queste cifre stanno a dirci che nel numero tramandatoci dal valente
scrittore di cose di mare, andavano comprese le navicelle del piccolo cabo-
taggio e della pesca; ed era appunto il piccolo cabotaggio ragion d'essere
principale di quella Marina: il tonnellaggio medio non giungeva alle 20 ton-
nellate, uguale nel Tirreno come neirAdriatico ; mentre a questo mare tro-
vavansi ascritte 1136 navi di 22437.21 tonnellate, in quello non se ne avevano
che 187, con 3843.38 tonnellate.
Tuttavia, la Marina del litorale adriatico, quella che poi si aggiunse
subito alle altre nel foimare la Marina del nuovo Regno, era, più della so-
rella tirrena, dedita ai viaggi di lungo corso e di gran cabotaggio. E mentre
navi pontifìcie del compartimento di Ancona, condotte da capitani in gran
parte anconitani, traflBcavano in tutto il Mediterraneo e specialmente col
Levante, con Vlnghilterra, la Scandinavia, il Baltico e coi porti delle due
Americhe, le piccole navi tirrene facevano a mala pena qualche viaggio per
la Spagna o verso qualche altro porto del Mediterraneo occidentale. Dallo
Stato romano si esportavano a Napoli e a Genova cereali, lane, legname e
l'industria dei trasporti marittimi ^
carbone di legna, prodotti di pastorìzia e droghe, e su questi trafSci locali
yi7e?a la piccola Marina tirrena dei pontefici.
Il Granducato di Toscana vantava ottimi marinai nelle popolazioni lito*
ranee di Livorno e Viareggio e in quelle deirisola d'Elba; e i velieri toscani
facevano più generalmente vis^gi di gran cabotaggio. La Marina a vapore
ebbe anche essa i suoi rappresentanti sotto la bandiera granducale in alcuni
piroscafi che come il « Giglio », il « Castore « ed il « Polluce « , costruiti
in Livorno nel piccolo cantiere detto dei Quattro Mori, facevano specialmente
viaggi per TÀrcipelago toscano e la vicina Genova.
Finalmente, va ricordata la Marina siciliana del periodo dittatoriale,
che, allestita con patriottico slancio da Luigi e Paolo Orlando, fu strumento
importantissimo della storica rivoluzione. Militare e mercantile al bisogno:
i nomi gloriosi dei « Washington « , dei « Cambria », dei • Rosolino Pilo » e
di altri, sono ad un tempo legati al risorgimento politico della nazione italiana,
e a quello pia umile, ma non meno benefico, della sua Marineria mercantile.
II.
Periodo iniziale, dal 1860 alle Convenzioni del 1877.
La sitaazione marittima generale della nuova Italia nel 1860. — Intervento dello Stato ;
convenzioni con le ditte Florio e Rubattino; prime forme rudimentali di credito
navale. — Il Canale di Suez e i trafori alpini ; conseguenze sui traffici marittimi del
Mediterraneo. — Pregiudizi della consuetudine velica. — La Società anglo-italiana
AdriaticO'Orieniale, — La Valigia delle Indie. — La linea Genova-Bombay isti-
tuita da Rubattino. — La Trinacria. — Ripresa delle comunicazioni con T America
meridionale. — Evoluzione della pubblica coscienza in materia di sovvenzioni ma-
rittime. — Le conyenzioni del 1877.
Tale era la situazione della Marina mercantile presso gli Stati marit-
timi d'Italia all'alba del risorgimento nazionale.
Compiuto finalmente il voto secolare degli Italiani, occorreva dar mano
a riordinare la situazione economica del paese, molto depressa per le lunghe
servitù politiche e disordinata dalla rivoluzione; e i nuovi reggitori, non
ostante la immensa congerie di cose alle quali dovevasi provvedere, non tar-
darono a dare le loro cure anche alla Marina, mostrando di intendere quale
alta funzione essa eserciti neireconomia generale della nazione.
Il bisogno di creare una forte Marineria mercantile risultava da alcuni
fatti generali, che contribuivano a determinare la situazione economica della
nuova Italia. A parte la necessità di stabilire comunicazioni regolari tra il
continente e le isole, e di assicurare così il servizio della posta, la confor-
10 GIOVANNI RONCAGLI
inazione corografica del territorio e la sua struttura orografica, messe in rap-
porto con la popolazione, già sin da allora così intensa in qualche parte da
dar luogo ad una emigrazione, facevano dell* Italia un paese di importazione.
I prodotti paesani più necessari alla vita erano insufficienti ; le industrie si
trasformavano in conseguenza dellMnvenzione del vapore ; altre nuove sorge-
vano, come ad esempio quella delle costruzioni metalliche, aiutate da uno
spirito di intraprendenza assai promettente, cui favoriva con grande efficacia
il progredire della scienza in tutti i rami, anch^esso agevolato in parte
dalla nuova libertà. Nuovi bisogni si fecero pertanto sentire, e fra i primi
quello di introdurre da fuori, per le nascenti industrie, il ferro e il carbon
fossile che mancavano in casa.
D*altro canto, il risveglio industriale, sebbene ancora al suo inizio, deter-
minava Topportunità di ricercare per tempo mercati di sbocco per alcune esu-
bei-anze di produzione che si sarebbero presto verificate : donde il traffico di
esportazione. Al quale doveva più tardi aggiungersi quello specialissimo del
trasporto degli emigranti, quando, per il rapido incremento della popolazione,
e per tante altre cause diverse, questo fenomeno venne ad assumere quelle
rilevanti proporzioni che perdurano ancora.
Finalmente, favorendo il nuovo stato politico ogni sorta di transazioni
fra popoli liberi, il commercio in generale veniva riguadagnando quella forza
d'espansione in tutti i sensi che la lunga oppressione politica aveva in gran
parte depressa ; cadute le barriere protezionistiche degli antichi Stati italiani,
gli scambi, anche interni, si rianimavano, e il generale progresso della mec-
canica e della costruzione navale, secondando il forte spirito avventuriero dei
nostri marinai, generava una forza nuova che bisognava volgere a profitto
della economia nazionale.
La navigazione a vapore, sebbene in via di generalizzarsi, era però an-
cora in periodo di esperimento: dominatrice del mercato marittimo un po' da
per tutto nel mondo, ma in Italia specialmente, era sempre la vela: e nono-
stante Teloquenza dei fatti e dei risultamenti già ottenuti in poco meno di mezzo
secolo dalla prima comparsa del piroscafo nel Mediterraneo, la forza della
consuetudine contrastava ancora il trionfo del vapore; soltanto generazioni
nuove avrebbero potuto renderlo intero.
Data questa situazione di fatto, era naturale che ad aiutare lo sviluppo
della navigazione a vapore dovesse intervenire lo Stato; tanto più che, do-
vendosi provvedere a stabilire comunicazioni marittime regolari fra le diverse
regioni, e con le isole, non c'era ormai da esitare nella scelta del mezzo.
Fra i primi atti del Governo, dopo la proclamazione del nuovo Regno,
vanno registrati la conferma per altri otto anni del contratto con la ditta
Florio per i servizi fra Napoli e la Sicilia, e la convenzione del 21 no-
l'industria dei trasporti marittimi 11
yembre 1861 oon la ditta Rubattino di Genova, per il servizio postale della
Sardegna.
Seguirono quella del 3 dicembre 1861 con la ditta Accossato e Pei-
ranOy pure di Genova, per il servizio postale fra il Tirreno e TAdriatico, al
quale furono adibiti quattordici piroscafi, e Taltra dell'S aprile 1862, con la
ditta Florio, già ricordata, per sistemare in modo definitivo il servizio postale
fra i porti della Sicilia e quelli del continente.
È da notarsi che con queste convenzioni, tutte, dal più al meno, uguali
nella sostanza e nella forma, mentre provvedeva ad assicurare l'esercizio della
navigazione marittima fra certi determinati porti, mediante l'assegnazione di
un compenso proporzionale alla percorrenza, il Governo veniva fortemente in
aiuto delle ditte armatrici, fornendo loro capitali sotto forma di anticipazioni
senza interessi, con lo scopo di aiutare la formazione delle nuove flotte a
vapore ('). Sostanzialmente, per quanto in forma rudimentale, trattavasi di
atti di vero credito navale, a condizioni di favore, giustificate dalla ecce-
zionalità del momento ; essi non furono però mai integrati e disciplinati con
la creazione di un istituto di vero credito navale, che, ove fosse sdrto a
tempo, avrebbe forse potuto agevolare la costituzione della Marina a vapore
del nuovo Regno e favorirne il successivo sviluppo.
In grazia di questi provvedimenti, ebbe vita, in breve tempo, una Manna
sovvenzionata, composta all'incirca di una quarantina di piroscafi eccellenti,
tutta dedicata ai servizi marittimi interni.
Ma con l' insuccesso della Transatlantica, il primo tentativo di stabilire
servizt oceanici era andato fallito ; le comunicazioni regolari con le due Ame-
riche venivano a mancare; soltanto più tardi, il gagliardo e illuminato pro-
posito del Conte di Cavour doveva tradursi durevolmente in atto (').
Intanto, ad estendere sempre più gli effetti della rivoluzione determinata
nel campo dei traffici marittimi dall'invenzione del vapore, contribuiva la
grande idea di Ferdinando Lesseps. Concepita nel 1854, essa era già entrata
nel campo dei fatti. La Compagnia universale del Canale marittimo di
Suez aveva cominciato ad emettere le sue azioni; e i lavori per la esca-
vazione del Canale, intrapresi nel 1862, erano proseguiti alacremente.
Il tenue filo d'acqua già veniva distendendosi sulle sabbie ardenti del-
l'Istmo di Suez, e in breve volgere di tempo si sarebbe allacciato dall'un
capo al Mediterraneo, bmlicante di navi, dall'altro al solitario Mar Bosso,
dominio ancora quasi esclusivo dei piloti arabi e indiani.
(*) La somma di 5,800,000 di lire così distribuita: al Florio un milione, al Rubat-
tino 1,800,000 lire, e alla ditta Accossato e Peirano 3,000,000.
(') Promovendo la costituzione della Tran$atlantica, il Conte di Cavour aveva
voluto che ritalia, risorgendo, stendesse le proprie braccia sui due emisferi; e questo suo
proposito era dimostrato dalle convenzioni per le linee di America e del Levante.
12 GIOVANNI RONCAGLI
L'unione dei due mari voleva dire Tinaugurazione di una nuova èra di
attività mediterranea. Il mare deirantichità classica e medievale, il mare
dei traflBci per eccellenza, rimasto per secoli senza competitori, e che aveva
veduto le grandezze di Atene e di Boma e, più tardi, degli Arabi, dei Nor-
manni e delle Repubbliche italiane, stava per entrare in un periodo nuovo
di importanza e di prosperità. Bacino chiuso sino a quel tempo, era allora
presso a diventare un tratto importantissimo, anzi il più importante della
nuova via per le Indie.
Lltalia che, in grazia dei primi trafori alpini, si apprestava ad entrare
in più intimi rapporti con l'Europa centrale, comprese bens) Timportanza
deiravvenimento che stava per compiersi, ma non così da trarne subito par-
tito con alcuno di quegli atti di energia collettiva che furono talvolta la for-
tuna di un popolo.
Il Governo del tempo, preoccupandosi appunto delle conseguenze che
avrebbe avuto sull'economia nazionale l'apertura del Canale di Suez, ebbe
in vista due cose: attirare sul territorio nazionale il commercio di transito
dell'Europa con gli scali dell'India e dell'estremo Oriente, cui sperava avreb-
bero favorito i passi ferroviari alpini; preparare la Marina mercantile nazio-
nale a prendere posto onorevole nella nuova gara che indubbiamente si sa-
rebbe accesa all'aprirsi del Canale.
Ma il paese non corrispose che troppo imperfettamente alle chiare, seb-
bene ottimistiche, vedute dei suoi reggitori. Ancora sotto Tìnfluenza della per-
turbazione generale che avevano cagionata i fatti della rivoluzione e le guerre
deir indipendenza, forse anche cedendo troppo ad un bisogno di raccoglimento,
il paese mostrò di non rendersi esatto conto dell'importanza di ciò che stava
per accadere.
D'altra parte, poi, anche in questa occasione venne a palesarsi tutta
intera la fatale forza ritardatrice della consuetudine.
Una delle grandi obbiezioni clie da molti si movevano allora contro
la vantata utilità del Canale di Suez, non certo ad impugnarla, bensì a
scemarla, era questa : la nuova via non sarebbe stata utile alle navi a vela,
perchè troppo gravosa la tassa di transito e perchè il Mar Rosso, a cagione
del clima inclemente e dei vènti che vi dominano, non era adatto alla na-
vigazione a vela di lungo corso.
Tutto ciò era esatto, ma non così la conseguenza che da quelle premesse
fu tratta: doversi cioè affidare mediocri speranze a quella nuova via, perchè
non opportuna per i velieri. Se fin d'allora si fosse dato mano ad una più
vigorosa trasformazione del materiale, affrettando lo sviluppo della naviga-
zione a vapore, la Marina mercantile italiana avrebbe potuto prepararsi un
ben diverso avvenire.
Bene intesero invece altri popoli questa necessità; onde quando la
congiunzione dei due mari fu compiuta, numerose si incamminarono le navi
l'industria dei trasporti marittimi 13
di altre bandiere per l'angusto solco, che nella sua picciolezza veniva a
compiere fatto sì grande ; ed ebbe vita quella fìtta rete di ricchissimi traf-
fici che oggi è fonte principale di prosperità per chi seppe osare allora.
Il Governo, come già fu detto, aveva bene misurato sin da principio
la portata economica della grande opera; e prevedendo quella deviazione dei
trafBci che si ebbe subito, da ponente verso levante, per la nuova via ma-
rittima, il 2 gennaio del 1862 concludeva con Tindustriale inglese Sir
Charles M. Palmer una convenzione per quindici anni, in virtù della quale
ebbe vita la Società anglo-italiana Adriatico' Orientale per i servizi regolari
tra Venezia e TEgitto; porto d'armamento, Ancona.
Intendimento degli uomini preclari che dettero vita a questa prima na-
vigazione italo-egizìa, ei*a quello di far s) che Tltalia prendesse posizione in
quella grande fiumana di trafSci che — sin d'allora lo si intuiva — sa-
rebbe venuta a stabilirsi tra TEuropa centrale, le Indie e l'Estremo Oriente,
avvolgendo intera la penisola. E mentre provvedevano ad assicurare coi servizi
della Adriatico- Orientale la parte marittima del tragitto, con l'apertura
della Galleria del Fréjus ed il completamento della linea ferroviaria lungo
il lido adriatico, tendevano alacremente a dare all'Italia quella posizione che
la natura e l'arte cooperanti le avevano assegnata nel movimento dei tra£Bci
indo-europei. Natura ed arte cooperavano a fare dell'Italia il paese di tran-
sito per eccellenza, siccome situato precisamente sull'asse della grande fiumana
e ricco di incanti e di seduzioni che favorivano il passaggio dei viaggiatori
per le sue terre e le sue città. E con questa chiara visione delle cose e dei
fatti, si preparava sin d'allora la via a quella Valigia delle Indie che, se mag-
giore fosse stato a quel tempo lo slancio italiano verso la navigazione a vapore,
avrebbe forse potuto diventare trafiBco italiano per il transito mediterraneo.
Come per le convenzioni da prima ricordate, anche con questa conchiusa
con la Adriatico- Orientale, il Governo faceva alla Società un'anticipazione
di un milione e mezzo di lire, senza interessi, e al tempo stesso concedeva
un sussidio di 35 lire per lega navigata, riducibile a 32 dopo i primi cinque
anni e a trenta nell'ultimo quinquennio.
Nel primo anno di esercizio, che fu il 1863, quattro piroscafi in ferro
e ad elica, del tonnellaggio di poco meno che 1000 tonnellate, i primi in
Italia che fossero mossi da macchine composite {compound), furono messi
in linea e percorsero, durante Tanno, 35.904 leghe, trasportando 967 pas-
seggeri e 1566 tonnellate di merci.
« D'allora in poi — scrive il Raineri (0 — essi eseguirono i loro
viaggi puntualmente, con soddisfazione del pubblico, e, per la bontà e cele*
(>) S. Raineri, Storia tecnica e aneddotica della navigazione a vapore, Roma, 1888.
14 GIOVANNI RONCAGLI
rità del materiale, per la disciplina ed emulazione dei capitani ed equipaggi,
qnasi tutti d* Ancona, porto d'armamento; per il buon trattamento dei pas-
seggeri, la Società si meritò ben presto una bella riputazione nel porto di
Alessandria « .
Compiuta, poco dopo, la ferrovia litoranea Ancona-Brindisi, la linea fece
capo a quest'ultimo porto, proseguendo però fino a Venezia; e Ancona di-
venne porto di scalo.
Ma l'impresa era straniera, e per questa ragione, non ostante l'ottimo
servizio, il contratto non fu rinnovato alla scadenza, nò altro vi fu sosti-
tuito sotto bandiera nazionale, se non molto più tardi, e in condizioni meno
vantaggiose (0-
A secondare l'azione del Governo nel promuovere e neirassicurare co-
municazioni marittime in armonia coi tempi nuovi, un'ardita iniziativa li-
gure intervenne. Quando nel 1869 le navi di tutto il mondo convennero in
Egitto a festeggiare l'apertura del Canale di Suez, tra quelle, e tra le prime
a passare dall'uno all'altro mare, furono i bei piroscafi di Baffaele Bubat-
tino, coi quali fu inaugurata quella linea fra Genova e Bombay che, dopo
avere meritato le simpatie e la preferenza degli stessi Inglesi, decaduta più
tardi per mancata rinnovazione del materiale, è ancora oggi nel novero delle
linee sovvenzionate dallo Stato, con le stesse caratteristiche di tonnellaggio
e velocità con le quali essa era stata istituita dall'intraprendente armatore
ligure. Questa linea fu poi prolungata sino a Singapore e a Giava, con di-
ramazioni per Calcutta, nel Mar Rosso ed alle coste della Palestina.
Poco prima dell'apertura del Canale, la Compagnia Rubatlino aveva
stipulato un patto col Governo, in forza del quale essa si impegnava ad ese-
guire un servizio regolare tra Genova ed Alessandria d'Egitto, che, insieme
con quello fatto dalla Adriatico- Orientale^ veniva a dotare l'Italia di un
sistema di comunicazioni eccellenti con l'Egitto, sempre basato sul concetto
che il transito euro-indiano avesse a prendere la via dell'Italia. A quel
tempo non era stata ancora immaginata quella sapiente politica ferroviaria
che, frustrando ogni ragione geografica, fece più tardi la fortuna della Ma-
rina germanica; la stessa Germania doveva ancora compiere la sua unità
politica. Nessuno, pertanto, poteva allora prevedere che il vantaggio della mi-
nore distanza itineraria sarebbe stato un giorno quasi annullato da una politica
di tariffe ferroviarie e doganali ; e che, contro quell'elemento geometrico na-
turale, sarebbe sórto ciò che fu chiamato la disianza economica, per la
(^) Sino al 1891 la linea Venezia-Alessandria fa esercitata dalla Peninsular ^ Orientai
Steam Ship Company, che, facendo, per conto del Governo inglese, il servizio della Fa-
ligia delle Indie fra Brindisi e Alessandria d^Egitto, aveva stipulato un contratto col Go-
verno italiano per il prolungamento della linea fino a Venezia. Dopo il 1891 quel servizio
fu assunto dalla Navigazione Generale Italiana che lo esercitò fino al 1910.
l'industria dei trasporti marittimi 15
quale, posto in seconda lìnea il fattore « tempo * , avrebbe trionfato invece
il fattore « tariffa » .
Per ristituzioue del nuovo servizio con TEgitto, il Governo italiano aveva
concesso alla Compagnia Rttbattino un prestito senza interessi, continuando
in quella politica marittima che era stata inaugurata da Cavour. Dopo la
apertura del Canale, prolungato il servizio sino a Bombay, il nuovo tronco
della linea dalFltalia alle Indie fu dapprima esercitato per conto della
Compagnia, e solo alcuni anni più tardi, in seguito ad una nuova conven-
zione, anche a quel tronco fu assegnata una sovvenzione annua ed il rim-
borso delle tasse per il passaggio del Canale.
Nel dicembre del 1869 erasi costituita in Palermo una Società, la Tri-
nacria, principalmente per i servizi del Levante, e il Governo, mediante
convenzione sottoscritta il 14 aprile 1872, le concedeva una sovvenzione per
un servizio settimanale da Messina e da Venezia a Costantinopoli.
Dati i tempi, la sua flotta, composta di ottimi piroscafi, che, come il
« Pelerò «, il « Solunto », il « Segesta «, il « Simeto » ed altri, stazzavano
intorno alle 1800 tonnellate, poteva dirsi una delle piti importanti per numero
di unità e tonnellaggio totale ; essa, pertanto, sin dal suo nascere, veniva a
costituire una concorrenza temibile per la Società Florio, rimasta, sino a
quel tempo, quasi dominatrice assoluta delle comunicazioni marittime sici-
liane.
Quasi nello stesso tempo, il Governo concedeva speciali facilitazioni alla
Compagnia genovese G- B. LavarellOy che con piroscafi di elevato tonnel-
laggio (sopra le 3000 tonn.), quali il « Nord America » (^), il « Sud America » ,
i* K Europa » , bellissimi quattr* alberi, che ebbero giusta fama ai tempi loro,
aveva istituito comunicazioni regolari con VAmeiica meridionale, specialmente
per il trasporto dei passeggeri e degli emigranti, riprendendo in tal modo i
traffici rimasti interrotti per l'insuccesso della Trafisatlantica.
Contemporanee di queste sono altre iniziative marittime, come quella
della Compagnia Ilalo-platense, che, colFaiuto dei governi italiano e argen-
tino, fece, per qualche tempo, viaggi regolari dall'Italia al Bio della Piata,
ma fallì anch'essa quasi allo stesso momento; quella del Lloyd italiano,
detto di Calcutta, ch'ebbe vita molto breve, e l'altra dell'armatore Tom-
maso Pertica, che col piroscafo « Bianca Pertica ", di circa 1000 tonnellate,
fece alcuni viaggi da Genova a Bosario di Santa Fé, trasportando la posta
per conto del Governo. Anzi, il « Bianca Pertica » va ricordato in modo spe-
ciale siccome primo piroscafo che, proveniente da porti esteri, approdasse a
Bosario.
(*) Naufragato nel 1883 sulle secche di Capo Palos (Murcia), nel luogo stesso dove
23 anni dopo naufragò il a Sirio « della Navigazione Generale Italiana.
16 GIOVANNI RONCAGLI
Così, dopo il 1862, insieme con alcune iniziative nel campo della Ma-
rina libera, si erano venuti sviluppando i servizi sovvenzionati, regolati poi
definitivamente con le convenzioni del 1877. Concessionari principali di questi
rimanevano sempre le Società Florio di Palermo e Rabattino di Genova.
Le condizioni, in base alle quali il Governo aveva stipulato le diverse
convenzioni durante questo periodo, erano venute modificandosi alquanto, man
mano che la rete dei servizi si estendeva. Non si trattava più soltanto di
ricompensare il servizio postale, cioè di pagare un nolo, per quanto spe-
ciale, dati gli oneri speciali : bensì di aiutare le Compagnie contraenti a so-
stenere le spese di comunicazioni, che in buona parte, anche sotto il titolo
di « postale « , rivestivano di fatto un vero carattere commerciale. La misura
del compenso veniva ora determinata sulla base di un bilancio presuntivo
dell'esercizio; e il concetto informatore del provvedimento da parte dello
Stato, era quello di compensare la perdita con sufficiente larghezza, affinchè
l'esercizio potesse equamente rimunerare il capitale.
Il bisogno per T Italia di prendere posizione, nel Mediterraneo special-
mente, come potenza marittima; la deficienza di capitali; il carattere alea-
torio delle imprese maiittime in generale, e particolarmente di quelle che
la ragione politica suggeriva comò più importanti, resero necessaria questa
forma d'intervento dello Stato, senza la quale difficilmente la Marina mer-
cantile, avrebbe potuto battere certe linee e frequentare certi mercati.
Il concetto della integrazione del bilancio industriale mediante una sov-
venzione, che fu poi, più 0 meno imperfettamente, messo in pratica ad ogni
nuova occasione, può dirsi abbia avuto orìgine in questo periodo. Prima del
1862 — come già fu detto a suo luogo — esso era soltanto quello di ri-
compensare il servizio postale, ritenuto allora come la sola necessità alla
quale lo Stato dovesse provvedere.
Nel 1876 la Trinacria^ male amministrata, dovette dichiarare falli-
mento. La sua flotta, composta allora di tredici piroscafi, fu tutta rilevata,
per il prezzo di L. 9,154,000, dalla ditta Florio, la quale, in seguito ad accordo
col Governo, subentrò anche nel contratto per le linee sovvenzionate.
Con questo cospicuo incremento del materiale, la Florio assumeva quella
posizione di preponderanza che doveva poi condurla alla fusione con la Ru-
ballino; dalla quale, come vedremo, ebbe origine la Navigazione Generale
Italiana.
Venute a scadere le convenzioni del 1877, si trattava di rinnovarle, e
sino d'allora, sebbene prevalesse il concetto di perseverare nel sistema delle
sovvenzioni postali e commerciali, si cominciava a discutere se fosse vera-
mente utile sovvenzionare linee di carattere prevalentemente commerciale.
L'opinione pubblica era favorevole a questo concetto: contrario invece si mo-
L*INDUSTBIA DEI TRASPORTI MARITTIMI 17
straya il Ooyerno, presieduto allora dal Mingbetti, il quale riteneva doversi
limitare le sovvenzioni tlìe linee interne di carattere prevalentemente postale.
Quando però si dice • opinione pubblica « , bisogna riferirsi al tempo del quale
si parla; ed a quel tempo non si può dire che esistesse una vera coscienza
marittima nel paese; la quale anche oggi, sebbene assai più d'allora svi-
luppata, non è tuttavia così chiara e sicura come si potrebbe desiderare.
L'opinione pubblica intorno al 1877 in materia di traffici marittimi era, più
che altro, Tespressione della tendenza prevalente presso le Compagnie dì na-
vigazione e gli armatori, naturalmente rivolta verso la conservazione di uno
statu quo già sperimentato con profìtto; la nazione, si può dire, era a ciò
completamente estranea. E quella tendenza degli armatori veniva, dopo circa
tre lustri di esperienza, a dimostrare come il metodo della sovvenzione fissa,
troppo laicamente applicato sin d* allora, esercitasse un'azione deprimente
nello spirito d'iniziativa.
Caduto nel 1876 il Minghetti, e succedutogli il Depretis, prevalse il
concetto di mantenere le sovvenzioni alle linee intemazionali di carattere
commerciale. Le linee commerciali inteme erano ormai diventate in gran
parte parallele a linee ferroviarie, per la qual cosa poteva ritenersi che esse
fossero ormai superflue; ma in &tto, sebbene allom il corso dei noli fosse
abbastanza elevato, le tariffe ferroviarie erano quasi proibitive, specie per il
trasporto delle merci povere, al quale particolarmente servivano le linee ma-
rittime inteme.
Su queste basi furono stipulate le convenzioni del 1877, con le quali,
ridotti alquanto i servizi intemi, si estendevano invece quelli internazionali.
Fu istituita la linea da Genova a Singapore ; altre ne furono create tra la
Sicilia e i porti dell* Arcipelago e fra questi e Venezia, intensificando cosi
le comunicazioni col Levante, dove 1* influenza italiana, stabilitasi fin dal
tempo delle gloriose repubbliche marinare di Genova e di Venezia, non era
ancora stata soverchiata dall'influenza francese e da quella germanica venuta
poi. Altre comunicazioni internazionali furono aggiunte più tardi (1879) per
eollegare l'Italia meridionale alla costa tripolina, migliorando ancora i nostri
scambi con la Reggenza di Tunisi.
Con le convenzioni del 1877, la materia dei servizi marittimi, d'in-
teresse generale, veniva ad essere per la prima volta organicamente siste-
mata.
OtovANNi KoNCAOLi. ^ L'itidiutria dei trasporti tnorittimu
18 GIOVANNI RONCAGLI
III.
Periodo dì maturità. La egemonìa della N. G. L
Uoione delle Società Florio e Ruòattino. — La Navigazione Generale Italiana e Topera
saa. — La Veloce a V Italia. — Influenza germanica sulle industrie marittime ita-
liane. — Iniziative marittime in Adriatico; risveglio di Venezia; la Società Vene'
giana di Navigaiione a vapore, — Nuove imprese di navigazione nel Tirreno;
Navigazione Alta Italia, Società Meridionale di Trasporti marittimi, i due Lloyd.
— Armatori privati. — La Società Reale italo-britannica. — Le convenzioni del
1893. .— Riflessioni sulle convenzioni in generale.
Nel 1881 le dae ms^giori Compagnie, la Florio e la RubaUUo^ ven-
D6ro ad accordi tra loro e, col favore del Governo che vedeva di buon
occhio la formazione di un forte organismo navale, riunitesi in unica So-
cietà, costituirono quella Navigazione Generale Italiana che doveva poi,
per oltre 28 anni, tenere quasi assoluto il privilegio dei servizi sovvenzio-
nati dallo Stato.
La Società Florio, centro a Palermo, raccoglieva ormai tutto il movi-
mento della navigazione a vapore del mezzogiorno.
La vecchia Società delle Due Sicilie, male diretta e male ammini-
strata, a stento aveva potuto sostenersi fino al 1862; non avendo voluto
prendere impegni col Governo italiano, perchè pare che i suoi reggitori, fe-
deli ancora al Borbone, sperassero in una prossima restaurazione, dovette
dichiarare il fallimento* Il quale non fu soltanto il fallimento di una So-
cietà, ma la cessazione per lunghi anni di ogni industria marittima propria-
mente napoletana.
La Florio nel 1881 possedeva 43 piroscafi, quasi tutti in ferro, staz-
zanti in complesso 82.809 tonnellate di registro (nette) ed era valutata in
26.790.000 lire. Fra le migliori unità figuravano, oltre quelle provenienti
dalla fallita Trinacria, che in parte erano di costruzione nazionale, il
e Vincenzo Florio * e il « Washington « di oltre 2800 tonnellate lorde, co-
struiti in Inghilterra nel 1880, i quali, a quel tempo, rappresentavano quasi
Tultima espressione del progresso, anche sotto laspetto dello comodità per
il trasporto dei passeggeri di classe.
La Rubattino, centro principale del movimento marittimo nel Tirreno
superiore, contava nel 1881 40 piroscafi della complessiva stazza netta di
26.918 tonnellate, valutata in 23.086.000 lire. Anch^essa comprendeva unità
importanti come il • Manilla » di 3900 tonnellate di stazza lorda, e il
« Singapore » di 3685 tonnellate, entrambi di costruzione inglese.
l'industria dei trasporti marittimi 19
La Navigazione Generale Italiana fu legalmente costituita in Roma
il 4 settembre 1881 con rogito del notare Giuseppe Balbi e per la durata
di 80 anni a datare dal 1^ luglio di queiranno. Il suo statuto fu appro-
vato con decreto reale il 16 marzo 1882 (^). Il capitale sociale fu fissato
in cento milioni di lire italiane, rappresentato da 200.000 azioni del valore
singolo di L. 500, divise in due serie di 50 milioni ciascuna, delle quali
la prima soltanto fu emessa allatto della costituzione, con versamento di
sette decimi (35 milioni).
La sede della Società fu stabilita in Boma; due sedi compartimentali
furono erette, Tuna in Oenova, l'altra in Palermo, trasformando le direzioni
colà preesistenti delle due Compagnie; sedi succursali furono create a Na-
poli e a Venezia.
La fiotta iniziale delle Società riunite era dunque costituita da 88 pi-
roscafi, del tonnellaggio netto complessivo di 59.727 tonnellate, con 19.246
cavalli nominali dì forza, e del valore di L. 49.876.000.
A questa si aggiunsero nell'anno stesso altri sei piroscafi: « Archi-
mede » , s Jonio « , « Faro « , • Oiava » , « Abissinia » e « Calabria « , coi
quali la stazzatura totale fu portata a 67.029 tonnellate ed il valore a
L. 54.744.971.
Dati i tempi, questa flotta era indubbiamente una delle più importanti
del Mediterraneo, non superata che dalle Messageries Maritimes. Essa si
accrebbe più tardi, in parte per nuove costruzioni e in parte per nuovi
acquisti, anch« da altre Compagnie minori venute man mano a cessare.
L'esercizio non comprendeva soltanto i servizi sovvenzionati, ma pochi
anni dopo la sua costituzione, la Compagnia aveva già sviltippato anche una
larga rete di servizi lìberi commerciali e d'emigrazione. Per tal modo la
' sua bandiera si spingeva verso oriente fino ai porti dell' India, della Cina
meridionale e delI'Australasia, e verso occidente fino alle eoste atlantiche
delle due Americhe.
Fra i concetti ai quali s'inspirarono i pubblici poteri neUassecondare
l'unione delle due Società non ultimo era quello di contribuire a c^iientare
sempre meglio l'unità nazionale, stabilendo una comunione d'interessi eco-
nomici fra regioni che, come la Liguria e il cessato regno delle Due Si-
cilie, rappresentavano, anche prima della fondazione del nuovo Begno, i due
madori centri di attività commerciale della penisola.
Ventotto anni di storia dimostrano ora che, favorendo queir unione, si ot-
tenne bensì che fosse costituita una flotta numericamente forte, ma si venne
(*) Con la legge 23 luglio 1881, n. 839, il Governo era stato autorizzato a permet-
tere Tunione delle due Società.
20 GIOVANNI RONCAGLI
anche ad s^evolare Taffermazione di un monopolio, gli effetti del quale, non
intrayvednti allora, si manifestai'ono soltanto più tardi.
La Navigazione Generale Italiana^ data la sua posizione privilegiata,
venne man mano orientando la propria azione verso un obbiettivo ben chia-
ramente definito: quello di intensificare sempre di più i servizi liberi, ed
in modo particolare quelli per le due Americhe, per trasporto di emigranti
e di passeggeri di classe. Con la solida base che loro fornivano il largo pri-
vilegio dei servizi sovvenzionati e più tardi il premio di navigazione, le linee
libere non tardarono a prosperare.
Così avvenne che il materiale adibito ai servizi sovvenzionati fu, in gene-
rale, meno curato di quello ch'era assegnato ai trafSci liberi con rAmerica.
Fatte poche eccezioni, fra le quali è giusto ricordare quella delle linee postali
Napoli-Palermo e Napoli-Messina, esercitate sempre con ottimi vapori e con
ottimo servizio, la flotta sovvenzionata divenne una specie di asilo dove un
pò* per volta andavano a finire la vita loro le navi che non potevano più essere
utilizzate in altro modo. La Compi^nia, nella sua lunga gestione dei ser-
vizi sovvenzionati, a traverso parecchie convenzioni, da quelle del 1877 alle
ultime del 1898, informò sempre l'opera propria a due criteri fondamentali:
quello di utilizzare fino all'estremo limite il materiale, sopportando rilevanti
spese di manutenzione, riparazione, trasformazione ecc., e l'altro di tenere
alte le tariffe, pur mantenendole, talvolta anche notevolmente, al di sotto
dei limiti massimi fissati dai contratti col Governo.
Le convenzioni stabilivano bensì codesti limiti massimi ; però se il prin-
cipio generale di questa limitazione era eccellente, non si può ugualmente
dire che fossero convenienti i valori numerici adottati; i quali in pratica
risultarono eccessivi, e, appunto perchè tali, consentirono alla Compagnia di
praticare quella sua « politica dei noli ».
Non mancarono in proposito le lagnanze dei caricatori e delle Camere
di commercio, ma queste non valsero mai ad ottenere miglioramenti : la legge
dava alla Compagnia il diritto di praticare quella « politica » , essa lo eser-
citava; soltanto un'altra legge avrebbe potuto privamela. Avvenne così che
non di rado le merci nazionali trovassero la convenienza a preferire altre
bandiere a scapito del prestigio marittimo nazionale e dell'interesse gene-
rale, rispetto al quale ogni sottrazione di noli è sempre un danno.
La utilizzazione del materiale veniva spìnta a tal s^no che tra il 1895
e il 1904 la spesa annuale di manutenzione ordinariia si elevò sino a rap-
presentare il 23 Vo d^l valore d' inventario e il 16 Vo ^^^^^ spesa totale di
esercizio, pure distribuendosi agli azionisti dividendi che variarono da un mi-
nimo di 4,5 Vo Ad un massimo di 7 Vo sul valore di borsa delle azioni ; il quale,
durante quel decennio, si mantenne sempre notevolmente sopra la pari (').
(') Nel 1896 il capitale sociale era stato ridotto a 60 milioni, rappresentati da
200.000 azioni di 300 lire ciascuna: versati 88.000.000. Il valore della flotta, che al 30
giugno 1895 era di L. 56.196.402,96, era stato di conseguenza ridotto a L. 82.896.585.
l'industria dei trasporti marittimi 21
In conseguenza di questa utilizzazione ad oltranza, la flotta, già in
parte composta di elementi non giovani sin dairinizio, si trovò presto ad
essere costituita in prevalenza da veterani del mare, e, nel complesso, molto
in arretrato eoirincalzante progresso.
Nel 1893, stipulate le nuove convenzioni col governo, il naviglio so-
ciale fu sottoposto a visita accurata, in seguito alla quale la Società dovette
sopportare una spesa straordinaria di oltre quattro milioni e mezzo per met-
tere le sue navi nelle condizioni stabilite dai capitolati.
Undici anni dopo, al 30 giugno 1904, sopra 102 navi che componevano
la flotta, per un tonnells^gio complessivo di 224.142,98 tonnellate di stazza
lorda, 72 avevano da 20 a 40 e più anni di età, cinque sole contavano da
10 a 20 anni, e 25 erano di età inferiore a 10 anni. Ma le navi di più
recente costruzione erano quasi esclusivamente adibite ai servizi liberi.
Un vero avviamento industriale moderno deiropera sociale non si palesò
che dopo il 1903, quando, anche in seguito alla legge suH'emigrazione, la
Compagnia sentì la necessità di dare un grande sviluppo al materiale per
i trasporti oceanici, così da poter meglio sostenere la lotta contro la bandiera
estera, entrata, piena di forze nuove, in concorrenza. Da quel tempo Torien-
tamento verso i servizi liberi venne ad essere risolutamente affermato, e fln
d'allora la Compagnia cominciò a far sapere che alla scadenza delle con*
venzioni in corso, cioè nel 1908, essa non avrebbe partecipato ai futuri con-
tratti col governo.
Durante il periodo che qui consideriamo, la Navigoiione Generale aveva
esteso la propria rete d* interessi, assicurandosi il controllo su due altre So-
cietà sòrte specialmente per i trafSci d'emigrazione: la Veloce e Yllalia,
entrambi con sede in Genova.
La prima, fondata con un capitale di 13 milioni, interamente nazio-
nale, non ebbe vita prospera, e in breve volgere di anni era quasi diven-
tata proprietà straniera, essendo le sue azioni passate in massima parte nelle
mani di capitalisti germanici. La seconda era notoriamente un'appendice di
una grande Compagnia tedesca, la Hamburg Amerika Linie^ creata per trarre
partito dal grande movimento d'emigrazione dall'Italia e profittare dei premi
di navigazione : esempio di quella vigorosa invadenza economica della Ger-
mania sui mercati principali del mondo, che è base principale della politica
del giovane impero.
La stessa Navigazione Generale appoggiata alla Banca Commerciale^
notoriamente invasa da capitale tedesco, non potè sfuggire a quell* influenza.
Le condizioni poco liete nelle quali si svolgevano gli afikri della Ve-
loce^ una certa delusione patita dai promotori dell* Aa/ta favorirono l'inter-
vento della Navigazione Generale^ la quale s'impadronì di tutte e due le So-
22 GIOVANNI RONCAGLI
cietà, facendone due proprie dipendenze, ch'essa però mantenne amministra-
tivamente distinte.
•
Sino dalla sua fondazione, la Navigazione Generale estendeva i suoi
traffici anche air Adriatico, e, appunto per questo, aveva stabilito una suc-
cursale a Venezia.
Ma le aspirazioni locali di Venezia e dei paesi adriatici, in generale,
erano piuttosto verso una marineria propria, sebbene alle aspirazioni non
corrispondessero precisamente le iniziative pratiche. Venezia, specialmente,
che già da parecchi anni dava un contributo assai modesto di navi e di uomini
alla Marina di lungo corso, pareva stanca del mare e quasi non possedette
una sola nave a vapore propria, sino a quando, nel 1900, fu costituita la
Società Veneziana di Navigazione a vapore che, con un capitale di 4 mi-
lioni e con una sovvenzione dallo Stato, intraprese servizi commerciali con
Calcutta.
A Bari si era costituita sino dal 1876 una piccola Società denominata
Paglia, con un capitale di un milione e per la durata di dieci anni, che fu
poi piti volte prorogata con aumenti di capitale sino a raddoppiarlo. Questa
Società esercitava servizi di cabotaggio sulle due sponde deirAdriatico e
lungo le coste del Tirreno; tentò anche, ma con poca fortuna, qualche
viaggio verso l'America meridionale, e dovette rinunziarvi nel 1901 in causa
della concorrenza.
A Brindisi nel 1902 era sorta un'altra piccola Società anonima detta
dei Caricatori Riuniti (*) con un capitale di 700.000 lire, rappresentato
da 700 azioni di lire mille ciascuna, con lo scopo di esercitare principal-
mente il cabotaggio delle coste adriatiche e verso il nord d'Europa.
Le iniziative marinaresche in Adriatico non andavano più oltre, seb-
bene l'approssimarsi della scadenza delle Convenzioni del 1893 venisse de-
terminando una situazione particolare che, se non poteva dirsi a priori fa-
vorevole alle imprese marittime, perchè non si poteva sapere quali provve-
dimenti sarebbero stati adottati, era tuttavia tale da dimostrare la neces-
sità di tenersi pronti.
Di questa necessità si erano invece preoccupati da tempo i centri ma-
rittimi del Tirreno. Tonno, in seguito alla legge dei premi aveva dato
l'esempio d'una Società creata per profittare di quelli, con servizi commer-
ciali lìberi : la ditta Luigi Capuccio e C. — che prese poi il nome di Navi-
gazione Alta Italia — la quale con un capitale di 10 milioni, oggi possiede
una bella fiotta di cargo boats, composta di dieci unità, tutte di costru-
zione italiana, tranne le macchine, stazzanti in complesso 42.800 tonnellate
di stazza lorda, e le più vecchie delle quali hanno appena dieci anni di età.
(*) Oggi Caricatori e Scaricatori Riuniti.
l'industria dei trasporti marittimi 23
A Napoli, press*a poco allo stesso momento, era sorta la Società meridio*
naie di Trasporti marittimi, con quattro piroscafi da carico del comples-
sivo tonnellaggio lordo di oltre 16.000 tonnellate.
A breve intervallo tra loro erano sorti in Genova il Lloyd Italiano^
con capitale di 20 milioni, e in Torino il Lloyd Sabaudo, con 30 milioni ;
Tuno e l'altro principalmente per il traffico degli emigranti, ma con ogni
possibilità di partecipare in seguito anche ai servizi sovvenzionati.
Il Lloyd Italiano era stato fondato nel 1904 dal senatore Erasmo
Piaggio, già amministratore delegato della Navigazione Generale Italiana.
La sua flotta iniziale comprendeva sei piroscafi per emigranti, dei quali
quattro costruiti in Italia nel cantiere di Biva Trigoso, e gli altri due di
costinizione inglese. Il tonnellaggio complessivo era di circa 32.500 tonnel^
late. Nel 1909 vi fu aggiunto il piroscafo « Principessa Mafalda », gemello
del « Principessa Jolanda », sventuratamente naufragato al varo. Il « Ma-
falda * di 9210 tonnellate (stazza lorda) e dotato di una velocità massima
di quasi 19 miglia, è uno dei piroscafi più importanti che battano la linea
del Piata in servizio di passeggeri di classe, ed è inscritto fra gì' incrociatori
della B. Marina.
Il Lloyd Sabaudo, fondato nel 1906, mise in mare una flotta di cinque
vapori, del tonnellaggio lordo totale di oltre 34 mila tonnellate, tutti a
doppia elica e tutti inscritti nei ruoli del naviglio ausiliario: dotati di
buone velocità ; i più veloci, il « Tommaso di Savoia » e il « Principe di
Udine », entrambi di circa 7700 tonnellate di stazza lorda con 18 miglia
di velocità, appartengono alla categoria « incrociatori ».
I premii, i trasporti di emigranti, ì servizi sovvenzionati,, furono le tre
grandi leve che, senza certamente produrre tutti gli effetti che se ne atten-
devano, giunsero tuttavia a stimolare le energie latenti e a fare notevoU
mente accrescere il naviglio nazionale a vapore, aggiungendovi anche unità
notevoli quali non si erano avute mai. Basti ricordare che fino al 1906 il
tonnellaggio massimo delle navi a vapore inscritte nelle matricole non arri-
vava alle 6000 tonnellate, mentre oggi siamo poco distanti dalle 10.000.
A questo movimento dì progresso avevano partecipato anche armatori
diversi, come i Fratelli Peirce di Messina, i Ciampa di Sorrento, i Parodi
e gli Zino di Genova, ecc., mettendo in mare piroscafi da carico importanti,
come r « Italia » dei Fratelli Peirce, magnifico cargo boat di 6366 ton-
nellate lorde, il « Dinnamare » della stessa ditta, di 4137 tonnellate, il
« Delphine » dell'armatore W. F. Becker di Torino, di 5271 tonnellate, ecc.,
tutti in acciaio, di costruzione nazionale.
È pure da ricordarsi, sebbene non abbia avuto fortuna, la Società Real^
Italo- Britannica con sede in Londra, incoraggiata da Francesco Crìspi, in ser-
W GIOVANNI RONCAGLI
vizio postale, ma specialmente per favorire il commercio degli agrumi e delle
frutta in generale tra la Sicilia e V Inghilterra. Impiantatasi con una flotta
di cinque piroscafi ( » Carlo Poerio « , « Francesco Crispi », « Il Principe di
Napoli it , « Buggero VII « , <t Silvio Spaventa » ) stazzanti in complesso
11.400 tonnellate lorde, vuoi perchè il suo tonnellaggio fosse eccessivo in
rapporto al traffico, vuoi per la stessa concorrenza britannica, nonostante
gli aiuti del governo dovette cessare Tesercizio nel 1894. Il suo materiale
passò tutto sotto bandiera inglese.
Venute a scadere nel 1893 le Convenzioni del 1877 e le successive
aggiunte di poi, il Parlamento dava nuovamente facoltà al Oovemo di appro-
vare con decreto reale:
a) due convenzioni stipulate con la Navigazione Generale Italiana:
la prima per i servizi con la Sardegna, la Sicilia, la Tripolitania, la Tunisia,
Malta, la Corsica, il Levante, l'Egitto, il Mar Bosso e le Indie; la seconda
per i servizi con le isole dell'Arcipelago toscano e con Pantelleria e le
Pelagio ;
b) una convenzione con la Puglia per servizi di cabotaggio fra le
due sponde dell'Adriatico;
e) una convenzione con la Società Napoletana di Navigazione per
il servizio del Golfo di Napoli e delle isole Pontine;
d) una convenzione con la Società Siciliana di Navigazione per il
servizio tra la Sicilia e le isole Eolie;
e) una convenzione con la Compagnia olandese Nederland per un
servizio tra Genova e Batavia.
I servizi erano per la prima volta divisi, a seconda del loro carattere,
nelle tre categorie di postali, misti postali commerciali, e commerciali >
II metodo seguito era quello della sovvenzione a forfait, tranne per la
prima delle convenzioni con la Generale, quella che radunava tutti i prin-
cipali servizi nel Mediterraneo ed al di là di Suez, secondo la quale la
sovvenzione era corrisposta in ragione di lega effettivamente navigata, da
computarsi in base a distanze nautiche preventivamente calcolate, il cui
elenco faceva part« del quaderno d'oneri annesso alla convenzione.
A tutte le condizioni d'esercizio provvedevano i quaderni d'oneri, ai
quali andavano unite anche le tabelle dei limiti massimi delle tariffe dei noli
per le merci e dei biglietti di passaggio per i passeggeri, oltre «He condi-
zioni per il trattamento da corrispondersi a questi durante il viaggio.
La Navigazione Generale ebbe cosi riconfermato il privilegio quasi
assoluto dei servizi sovvenzionati, per altri quindici anni, poiché la durata
delle nuove convenzioni era stabilita fino al 80 giugno 1908.
l'industria dei trasporti marittimi 25
Nella sostanza le convenzioni del 1893 non differivano sensibilmente
da quelle del 1877, salvo per qualche miglioramento nelle velocità e nelle
caratteristiche tecniche dei piroscafi. La rete delle linee sovvenzionate, presso
a poco era rimasta quale era risultata dopo le convenzioni addizionali del
1888, con le quali si erano migliorati i servìzi per la Sardegna, e quelle del
1888, che rendevano definitive le comunicazioni con gli stabilimenti colo-
niali del Mar Bosso, istituite in via provvisoria nel 1885, particolarmente
per il servizio delle truppe durante quel primo periodo della nostra politica
coloniale. Sistemate cosi le comunicazioni marittime mediterranee e quelle
con le Indie e con le Colonie, restava da provvedere per Venezia che insi-
stentemente domandava un coll^amento diretto con le Indie. La linea
Venezia-Alessandria d'Egitto, data in concessione alla Navigazione Gene-
rale^ obbligava il commercio di Venezia con le Indie ad un trasbordo
in Alessandria, e Venezia reclamava un provvedimento che valesse ad
evitarlo.
Nel 1895 fu, a questo scopo, stipulata una convenzione con la Pentn-
sular & Orientai S. S. CK, che già faceva il servizio postale inglese fra
Brindisi e Alessandria d* Egitto ; ma quattro anni più tardi, essendosi rico-
nosciuto che quel servizio non corrispondeva ai bisogni del commercio, la
convenzione fu annullata, e le somme risparmiate furono devolute a miglio-
rare le comunicazioni con la Tunisia e ad istituire un servizio per Bengasi
e la costa di Soria.
Poco dopo, nel 1901, in seguito a convenzione speciale, la Navigazione
Generale assumeva Tobbligo di prolungare quattro volte Tanno, sino a
Bombay, la linea Venezia-Alessandria. Ma anche questo provvedimento non
soddisfece gli interessi di Venezia; per la qual cosa, nel 1908, il Governo,
presi accordi con la Società Veneziana di Navigazione a vapore che, come
fu detto, si era costituita nel frattempo, le afSdò il servizio Venezia-Calcutta,
mediante una sovvenzione di L. 1.100.000, da corrispondersi fino alla sca-
denza delle convenzioni del 1898.
Questa concessione alla Veneziana fu alquanto contrastata dalla Navi-
gazione Generale, la quale, appoggiandosi a particolari clausole dei suoi
contratti col Governo (art. 4 dei quaderni d'oneri), invocava in proprio fa-
vore un diritto di prelazione. Ma, dopo un dibattito, portato anche sulla
pubblica stampa, la concessione ebbe corso, e con essa furono soddisfatti le
aspirazioni e i legittimi interessi di Venezia, la quale, dopo molti anni, ac-
cennava ad un promettente risv^lio di attività marinara.
Le convenzioni del 1893 subirono poi col tempo parecchie varianti:
principali tra queste gli ampliamenti dei servizi adriatrìci afBdati alla Puglia
ed attuati nel 1899 e nel 1901; la soppressione delle linee costiere della
Calabria e della Sicilia nel mare siculo, dopo l'apertura delle ferrovie lito-
ranee di quelle regioni, e finalmente la istituzione di un servizio mensile
26 GIOVANNI RONCAGLI
fra Genova e rAmerica Centrale, mediante convenzione speciale con la Veloce^
e dietro concessione di un sussidio annuo di L. 550.000.
In questo assetta) dato ai servizi marittimi, la spesa complessiva sop-
portata annualmente dallo Stato era di oltre dodici milioni, dei quali più
di nove erano assorbiti dalla Navigazione generale.
Non considerato il contratto con la Nederland per i servizi con Batavia
(di carattere specialissimo, che si potrebbe chiamare di pai-zìale noleggio a
forfait, perchè in sostanza la Compagnia si obbligava soltanto a trasportare
la posta e i passeggeri e a riservare un certo spazio della stiva per le merci
italiane), la percorrenza totale annua sulle linee sovvenzionate con le con-
venzioni del 1893 era di 2.388.460,4 miglia nautiche, onde la spesa media
per miglio, posta a carico del bilancio dello Stato, veniva ad essere di
L. 5,17.
Il periodo dal 1893 in poi, durante il quale, mediante convenzioni sup-
pletive, variazioni ai primitivi contratti ecc., si venne man mano regolando
r intervento dello Stato in rapporto alle necessità via via riconosciute, è in
sostanza un periodo di esperimento. Nei riguardi del commercio marittimo
nazionale non si può dire che i risultati abbiano compensato interamente
il grave onere sopportato dair erario: nei riguardi poi del contributo ali* in-
cremento della Marina nazionale, i fatti sono ancora meno soddisfacenti.
Dai tempi, che diremmo classici, delle Compagnie Florio e Rubattino, cia-
scuna delle quali aveva in mare flotte che, per i tempi loro, erano flotte
di primo ordine, ai giorni nostri nei quali la flotta sovvenzionata ci dà lo
spettacolo d' un asilo di veterani, per quanto in parte ancora validi, il cam-
mino fatto, per quel che riguarda la consistenza del materiale nautico, non
potrebbe dirsi di progresso. Ma la storia di 50 anni di questo regime vale
a dimostrare che non bisogna chiedere al regime delle convenzioni ciò che
non può dare. Si tratta unicamente di contratti che hanno per iscopo, non
già di far progredire la Marina, come erroneamente si crede, ma di assicu-
rare certe comunicazioni marittime di utilità generale, in determinate condi-
zioni tecniche, di tariffe, di periodicità ecc. Data la natura unicamente con-
trattuale, è ben naturale che il materiale, a fine del periodo, venga a trovarsi
in condizioni peggiori che all'inizio del medesimo, tanto peggiori, poi, se
nemmeno da principio esso non era in condizioni ottime, come fu spesso il
caso nelle convenzioni diverse stipulate in Italia dal 1862. Un impulso vero,
naturale, alla industria dei trasporti, e quindi di riflesso un incremento ed
un miglioramento vero del materiale, non possono essere determinati da
alcuna legge oltre quella economica generale della domanda e dell'offerta.
I provvedimenti legislativi possono disciplinare il fenomeno e regolarne il
corso: non certamente provocarlo.
l'industria dei trasporti marittimi 27
IV.
Il protezionismo marittimo in Italia.
La politica marittima deir Italia. — Inchiesta parlamentare sulla Marina mercantile. —
Protezionismo marittimo. — I premi di navigazione. — Effetti delle leggi protet-
tive sullo sviluppo e la trasformazione del naviglio nazionale ; speculazioni favorite
dal premio. — L^allarme per la pubblica finanza, e i decreti-catenaccio. -^ Arma-
tori e costruttori.
Sino verso il 1880 non si può dire che 1* Italia, per ciò che riguarda
la sua Marina mercantile, abbia seguito un programma e &tto una politica
marinara sistematica : i bisogni generali erano troppi e si doveva provvedere
d'urgenza; donde la impossibilità di anteporre studi metodici e di coordi-
namento, e di soddisfare alle più svariate necessità, senza imperfezioni nei
provvedimenti e senza lasciare lacune.
Verso il 1877 la nostra Marina mercantile occupava bensì il terzo
posto fra le grandi Marine d'Europa, venendo essa subito dopo la Francia
per numero e tonnellaggio di navi ; ma la parte presa dalla nostra bandiera
nei trasporti mondiali non era che del 5 Vo (0 ^ ^& ^^^^ predominava ancora.
Sopra un valore di poco superiore ai 200 milioni di lire attribuito a
tutto il naviglio mercantile italiano allora in servizio, la Marina a vela
rappresentava ancora un capitale di 130 milioni.
Nel 1880 la nostra Marina mercantile era decaduta dal terzo al quinto
posto, e la situazione era tale da lasciar comprendere che, date le vicende
del mercato generale e il basso corso dei noli, avrebbe corso rischio d'essere
in breve soverchiata del tutto dalle concorrenti straniere, alcune delle quali,
come la germanica, progredivano con ragione annuale da impensierire ; mentre,
per la protezione onde godevano da parte dei rispettivi Governi, erano in
grado di meglio far fronte alle c^i.
Questo stato di cose e la preoccupazione per l'avvenire, indussero a pen-
sare alla opportunità di venire in aiuto alla Marina nel duplice intento di
affrettare la trasformazione del materiale, riducendo sempre più 11 naviglio
veliero, e di metterla in grado di lottare vantaggiosamente contro la con-
correnza straniera.
(') La sola Marina ligure assorbiva il 3,5 Vo* Questa situazione durò pres8*a poco
dal 1866 al 1880.
28 GIOVANNI RONCAGLI
Si venne così alla nomina della Commissione parlamentare d* inchiesta
sulla Marina mercantile, ch*ebbe a presidente il conte Codronchi e a rela-
tore Paolo Boselli (0-
La Commissione fece le sue indagini fra il 1880 e il 1882, esaminando
con grande cura, con metodo e profondità d'analisi, tutti gli aspetti del pro-
blema che le era stato proposto. I suoi studi, che sono un prezioso docu-
mento di dottrina e di spirito pratico, furono la culla di quella serie di
disposizioni legislative note sotto il titolo di « Provvedimenti a favore della
Marina mercantile « che dal 1885 in poi sono venuti regolando la delicjita
materia del « protezionismo marittimo ». E molte delle imperfezioni riscon-
trate poi nelle disposizioni di legge, come molte delle lagnanze anche pre-
senti che partono dalla voce pubblica, sono forse dovute al non aver tenuto
quegli studi in tutta quella considerazione ch'essi meritavano.
Con la legge del 6 dicembre 1885, n. 3547, serie III, fu inaugurato
in Italia il protezionismo, sostanzialmente concretato in due ordini di prov-
vedimenti. Il primo era diretto ad iocoraggiare le costruzioni navali paesane,
con lo scopo di determinarne il predominio sulle straniere, neiresercizio dei
traspoi-ti sotto bandiera nazionale; col secondo si premiava la navigazione
in ragione del cammino percorso e della capacità della nave (stazza), nel-
r intento di assicurare in certo modo al capitale investito in imprese di
navigazione, se non un minimo d' interesse, almeno un contributo sul quale l'ar-
matore potesse contare con sicurezza. Eccezionalmente si premiava il trasporto
del carbone, in ragione del peso trasportato da porti oltre lo Stretto di Gi-
bilterra, purché il carico non fosse inferiore ai tre quinti della stazza; e
questa eccezione mirava ad accordare sotto altra forma un premio ai viaggi
verso porti atlantici e settentrionali dell' Europa, che erano stati esclusi dal
premio di navigazione.
Questa ultima disposizione, abrogata poi con la legge successiva (*), fu
ed è rimasta la sola che si ispirasse, per quanto in forma empirica, al con-
cetto di comprendere il criterio del carico effettivamente trasportato fra
quelli da servire alla determinazione del premio, anzi del diritto al premio*
prima che della misura di questo.
Tutte le leggi venute dopo questa, sino a quella del 16 maggio 1901,
con la quale il premio di navigazione fu abolito, non presero mai per base
del premio altri elementi oltre la percorrenza e la stazza.
(0 La proposta di legge per an* inchiesta sulle condizioni della Marina mercantile
italiana, e sai mezzi più acconci ed efficaci per assicnrarne TarTcnire e promaoverne lo
svolgimento, fa, d* iniziativa parlamentare, presentata alla Camera dei Deputati il 26
giugno 1880; l'inchiesta fu ordinata con legge 23 marzo 1881, e affidata ad una Com-
missione di 15 membri, cinque dei quali nominati dalla Camera, cinque dal Senato e
gli altri cinque per decreto reale.
(») 23 luglio 1896, n. 318.
L INDUSTRIA DEI TRASPORTI MARITTIMI 29
Il Regolamento per Tapplicazìone della legge del 1885 aveva stabilito
che, per godere del diritto al premio, le navi dovessero dimostrare d*avere
trasportato merci per un decimo della stazza, o passeggeri per un ventesimo.
Nel 1896 il ministro della Marina, ammiraglio Morin, col disegno di
legge presentato al Parlamento il 3 luglio, propose di aumentare del 10 ^U
il premio di navigazione a quelle navi che avessero imbarcato nei porti
dello Stato tante merci per almeno la metà della stazza. Era questo un altro
tentativo, per quanto embrionale, di vincolare parzialmente il premio al traf-
fico effettivamente compiuto; ma la Commissione parlamentare, relatore
Ton. Randaccio, si oppose al provvedimento; il quale fu abbandonato, allo
stesso modo come, col Regolamento per Tesecuzione della nuova legge, fu
abbandonata la condizione posta dal Regolamento del 1885 per la determi-
nazione del diritto al premio. Con ciò rimaneva definitivamente stabilito che
il premio di navigazione era accordato alla nave per la nave, con assoluta
indipendenza dal trafBco, cioè dalla vera sua ragion d'essere.
Assolutamente i tempi non erano ancora maturi per intendere Timpor-
tanza delFassociazione del fatto del trafBco a quello della navigazione, nei
riguardi del premio.
Nel decennio stabilito dalla l^ge del 1885, le cose della Marina mer*
cantile non corrisposero troppo bene alle speranze. Dal punto di vista del
materiale, di piroscafi superiori a 500 tonnellate, appena 11 ne furono co-
struiti sui cantieri nazionali, per una stazza lorda complessiva di 19.438
tonnellate; se ne acquistarono invece ben 107 all'estero (sempre di tonnel-
laggio superiore alle 500 tonnellate) per una stazza lorda complessiva di
201.522 tonnellate, più che decupla di quella della costruzione nazionale.
Accanto a questa introduzione di nuovo materiale a vapore, va ricor-
data anche quella di materiale veliero in acciaio, per un tonnellaggio lordo
di 86.1 16 tonnellate, tutto costruito in Italia.
Appare da tutto questo che la sostituzione del materiale a vela con
altro a vapore fu largamente conseguita, in quanto che, non tenuto conto
delle navi in legno, che rappresentano una parte assai piccola, il tonnellaggio
del naviglio a vela aggiunto nel decennio alla nostra flotta mercantile fu
meno di un sesto di quello aggiunto al naviglio a vapore.
Nel complesso, cioè tenuto conto simultaneamente delle nuove inscri-
zioni nelle matricole e delle cancellazioni, fra il 1886 e il 1894 il tonnel-
laggio delle navi a vapore in Italia aumentò di 82.930 tonnellate.
Non lo stesso si può dire a riguardo deirimpulso dato alle costruzioni
nazionali. Sebbene la legge avesse esplicitamente escluso dal premio di na-
vigazione le navi di costruzione straniera che non fossero risultate inscritte
nelle matricole nazionali entro un anno dalla promulgazione della legge, gli
acquisti all'estero furono, come abbiamo detto piti sopra, straordinariamente
numerosi.
30 GIOVANNI RONCAGLI
Questo fatto, preso in se stesso, sembra tanto meno esplicabile in quanto
che, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare circa gli effetti stimolanti
del premio di navigazione, i piroscafi inscritti per concorrere al premio furono
sempre assai pochi, e il loro numero, anziché crescere durante il decennio,
andò costantemente diminuendo sino a ridursi, negli ultimi anni, a poco più di
un terzo di quello delle prime inscrizioni (^).
Una spiegazione si ritrova invece nella così detta speculazione dei
« ferri vecchi « , quella che fece dire ad un nostro insigne ammiraglio e sta^
tista, essere la Marina mercantile italiana diventata una « Marina di rigat*
tieri 9 . Amara, ma giusta definizione. Nonostante la lusinga del premio, gli
armatori preferivano comperare all'estero navi vecchie, e ad ogni modo di
tile età da non poter più aspirare al premio. Considerato il tenore medio
del menmto dei noli, allora relativamente alto, l'esiguità del capitale esposto^
la mite spesa d'esercizio, ridotta a limiti estremi, anche a scapito del
benessere degli equip^^, gli armatori andavano quasi sicuri di fare un
buon impiego del loro danaro, molto migliore di quello che avrebbero potuto
fare se, per concorrere al premio, avessero fatto costruire nuove navi sui
cantieri nazionali, pagandole assai più care. Naturalmente la speculazione
fu possibile grazie ad una vera pletora di materiale in vendita, specialmente
sul mercato inglese, in parte dovuta al generalizzarsi delle costruzioni in
acciaio; ma dal complesso delle cose sembra logico dedurre ohe la trasfor-
mazione della Marina mercantile, durante il periodo considerato, e il suo
incremento assoluto, assai più che conseguenza dei provvedimenti l^islatìvi
di tutela, fossero effetto di cause generali e delle condizioni generali del
mercato mondiale a quel tempo.
Considerati in se medesimi, gli effetti della legge del 1885 furono assai
meschini; ma è giusto ricordare che, come osservava lo stesso relatore della
Commissione parlamentare, la legge, dati i mezzi finanziari dei quali sì di<-
sponeva, non aspirava ad altro se non a preservare la Marina, a difenderla, in
quanto era possibile, dalla schiacciante concorrenza straniera : non si trattava
di creare, ma soltanto di non lasciar deperire.
Sono 86,725,000 lire, in cifra tonda, che risultano pagate in quel pe-
riodo di tempo, in esecuzione della legge e del R. Decreto del 22 marzo 1888,
n. 5872 ('), che, in conseguenza della nuova legge doganale del 14 luglio 1887,
modificava, aumentandoli, i compensi alla costruzione. Ma se da tale somma
si detrae quella erogata in rimborsi e restituzioni di dazi pagati sui mate-
riali da costruzione, che ammontò nel decennio a lire 8,844,000, la somma
effettivamente spesa dallo Stato a profitto della Marina mercantile si riduce
a lire 27,881,000, donde una media annua di poco più di due milioni e mezzo.
(*) Le inscrizioni ebbero un massimo di 86 piroscafi nel 1887, per nna stazza netta
complessiva di 63.297 tonn., ed un minimo nel 1895, di 13 piroscafi per tonn. 15.575.
(■) Convertito poi nella legge 30 giugno 1889, n. 6200, serie III.
l'industria dei trasporti marittimi 31
Era dunque naturale che, con mezzi così limitati, il legislatore non
potesse proporsi che il modesto scopo chiaramente definito dal relatore della
legge. Tuttavia ciò non basta a giustificare la continua decadenza della Ma-
rina, non ostante l'incremento assoluto del materiale. À parte le altre cause,
anzi le maggiori, dovute al rapido e gigantesco progresso delle Marine con-
correati, non è provato che una maggiore spesa avrebbe potuto produrre
effetti migliori. Anzi l'esperienza fatta poi, e segnatamente Tesempio della
Francia, la quale, pure spendendo con grande liberalità, non è mai riescila
ad ottenere che risultati meschini, stanno a dimostrare come i provvedimenti
finanziari del tipo di questi descritti, non servano a creare ed anche val-
gano mediocremente a sostenere.
Alla scadenza della legge del 6 dicembre 1885, nonostante i risultati
poco incoraggianti, Governo e Parlamento ammisero la opportunità di per-
severare nel sistema dei premi, a ciò indotti specialmente dagli esempi che
ci davano altri Stati, come la Francia, l'Austria . e TQngheria, i quali, pres-
soché simultaneamente, avevano votato nuove leggi protettive delle loro Ma-
rine, a base di sussidio finanziario (^). Si ebbe così la nuova legge del 23
luglio 1895, n. 318, sostanzialmente simile alla precedente, ma ispirata ad
una maggiore libertà e ad una notevole maggiore larghezza di aiuti finan-
ziai! nei riguardi del premio di navigazione.
Soppressa ogni esclusione dal premio per viaggi in servizio di traffici
internazionali, esteso anzi il benefizio del premio a qualunque viaggio anche
neirinterno dello Stato, limitatamente però ai piroscafi; aumentata la mi-
sura unitaria del premio; presa a base del computo la stazza lorda, in
luogo della netta come era stato stabilito nella legge precedente; prolun-
gato il limite d'età delle navi per acquistare il diritto al premio, ecc.,
confidavano Governo e Parlamento che la Marina mercantile potesse, sotto
questo nuovo regime più libero e più liberale, raccogliere quei benefizi che
la legge del 1885 non aveva in pratica potuto dare.
Ma questa fiducia posava tutta sopra un'idea: quella che il progresso,
la prosperità, la fortuna della Marina mercantile, potessero essere regolati
da provvedimenti d'ordine amministrativo e finanziario, indipendenti affatto
dal principale dei fattori economici del traffico, cioè dal movimento d'uomini
e cose sulle vie del mare. La stessa idea che in Francia aveva dato già
risultati negativi, copiata da noi e adattata ai nostri mezzi più limitati,
persisteva, nonostante l'eloquenza dei fatti in contrario.
Quali furono gli effetti di questa nuova legge ?
Parve da principio che gli armatori non si rendessero ben conto della
portata delle nuove disposizioni legislative riguardanti il premio di naviga-
ci) In Francia con la legge del 30 gennaio 1893; in Austria con la legge del 27
dicembre 1893; in Ungheria con la legge del 30 giugno 1893.
32 GIOVANNI RONCAGLI
zione, io confronto delle precedenti (^). Ma non andò molto che si videro
Compagnie ed armatori affrettarsi a commettere nnoTO navi ai cantieri na-
zionali, nnove Società costituirsi per esercitare la navigazione sotto Tala be-
nefica del premio, nuovi cantieri sorgere sulle nostre spiagge; tutto un mo-
vimento nuovo e gagliardo di capitale e di lavoro verso Tindustria dei tras-
porti marittimi.
Sotto il regime della legge in parola, fu più attiva la sostituzione del
materiale a vela con piroscafi, che aveva subito un rallentamento dopo il
primo slancio del quale già abbiamo parlato ; e reputati armatori, quali la
ditta F. S. Ciampa e Figli di Oastellamare di Stabia, i Fratelli Dall'Orso
e gli Accame di Qenova, la ditta Peirce Becker e Hardt di Messina, ed
altri, presero ad armare piroscafi per trafSci liberi di mercanzie^ Furono
fondate in Genova la Società Commerciale Italiana {E. Raggio e C), più
particolarmente per il trasporto dei carboni, e con capitale tedesco, la Italia^
per servizi liberi regolari fra Genova e il Rio della Piata, Società che (U
italiano non aveva nulla oltre il nome e la bandiera, essendo essa noto-
riamente una dipendenza della potente Hamburg Amerika Linie di Am-
burgo; in Venezia la Società Veneziana di navigazione a vapore per il
trafBco delle merci — segnatamente cotoni e juta — fra Venezia e le Indie
inglesi; a Torino la ditta Luigi Capuccio e C, divenuta poi la Naviga^
itone Alta Italia, per trafSci liberi di merci ; e a Napoli la Società meri-
dionale di trasporti marittimi. Quest'ultima però ebbe vita brevissima ed
effimera, perchò a pochi mesi di distanza dalla costituzione, e quando appena
uno dei suoi quattro piroscafi da carico era entrato in servizio (gli altri non
erano ancora pronti), per ragioni di scissure fra gli azionisti, ne fu decretato
lo scioglimento; e il suo materiale, passato nelle mani del Florio, andò a
far parte della fiotta della Navigazione Generale Italiana (*).
Questo risveglio d'attività marinara fece sorgere nuovi cantieri navali
a Palermo, ad Ancona, a Biva Trigoso sulla Riviera di levante, e gli altri
già esistenti condusse a migliorare i loro impianti, aumentando il numero
degli scali, rinnovando i macchinari e adottando mezzi e metodi di lavora-
zione piti conformi alle nuove esigenze.
Le statistiche ufficiali ci mostrano che mentre fra il 1882 e il 1896 si
ebbe un massimo di produzione di tonnellate 7.113 di stazza lorda di piro-
(^) In pratica, il premio di nayigazione, in molti casi, renira ad essere più che rad-
doppiato.
(') La Navigazione Alta Italia e Tarmatore Becker, già socio della Ditta Peirce
Becker e Jlardi di Messina, il 20 settembre del 1910 sottoscrissero ana convenzione col
Consorzio autonomo del porto di Genova, per la quale fa isiitaito un regolare servizio
commerciale libero per T importazione dei cotoni dairAmerica del Nord e Tesportazione
dei prodotti nazionali dai vari porti italiani agli Stati Uniti. La flotta iniziale delle ditte
consorziate si componeva di 14 piroscafi della portata complessiva di 86|985 tono. La
linea, denominata La Creola, fu inaugurata un mese dopo.
l'industria dei trasporti marittimi 33
scafi in aceiaio, sùbito dopo la promalgasione della legge del 1896 la pro-
duzione aumentò rapidamente, sino a raggiungere nel 1900 il massimo di
68.294 tonnellate di stazza lorda, mai superato in seguito. E mentre, come
già fu detto, sotto r impero della l^ge del 1885 la costruzione dei yelieri
in ferro ed acciaio ebbe una grande prevalenza su quella dei piroscafi ('), essa
4MSSÒ invece improvvisamente appena promulgata la nuova le^e, sì che fino
al 1902 non fu costi-uita una sola tonnellata di velieri a scafo metallico,
ed anche più tardi queste costruzioni furono scarsissime ed intermittenti.
Tutto questo materiale nuovo andò naturalmente inscritto per concor-
rere al premio di navigazione man mano che fu pronto ; però, in causa delle
cancellazioni che avvenivano di navi giunte al limite d*età stabilito dalla
^^S^j il numero dei piroscafi ammessi al godimento del premio venne a di-
minuire nel quadriennio 1897-1900, mentre il loro tonnellaggio totale si man-
tenne pressoché invariato. Per le navi a vela invece, mentre la diminuzione
numerica fu assai maggiore, anche il tonnelUggio complessivo subì una di-
minuzione notevole, conseguenza naturale della sospesa costruzione di velieri
a scafo metallico, della quale si ò già parlato.
Dal complesso di questi fatti parve che la Marina mercantile nazionale
avesse finalmente trovato la via del rinascimento e vi si fosse incamminata
sotto promettenti auspici: l'accresciuto tounellaggio, e soprattutto Timpulso
4ato al suo rinnovamento ; Testendersi delle costruzioni metalliche, e segna-
tamente di quelle in acciaio ; il degradare della costruzione di navi a vela,
ormai limitata ai piccoli legni destinati al cabotaggio interno, alle barche
peschereccie ed altri galleggianti d'uso locale, parevano altrettanti segni non
dubbi d*una ripresa vigorosa di espansione marinara.
Il Bernardi (*), dal cui diligente riassunto cronologico dei provvedimenti
a favore della Marina mercantile, in Italia, tra il 1885 e il 1901, sono
tratti in buona parte i dati di fatto ricordati in queste note, dopo aver messo
in chiaro che nel quadriennio 1897-1900 fu erogata in premi di naviga-
zione la somma di lire 12.842-202,84, corrispondenti ad una media annua
4ì oltre 3,200,000 lire, mentre la media annua del decennio 1886-95 era
stata soltanto di 2,390,000 lire; dopo aver notato che erano stati spesi in
compensi alla costruzione circa nove milioni, mentre sotto il regime prece-
dente se ne erano spesi appena poco più di sette in tutto il decennio,
conchiude dichiarando evidente la maggiore efScacia della legge del 1896
in confronto della precedente del 1885, ed esclama:
« Orbene, questi risultati della legge 1896 i quali, nonostante Tonare
derivante alTerario, avrebbero dovuto essere accolti con manifesta soddisfa-
(^) 35,116 tonn. di stazza lorda per i velieri.
19,438 n n n piroscafi superiori a 500 tonn.
(<) G. Bernardi, / provvedimenti a favore della Marina mercantile, in « Rivinta
Marittima n, aprile 1905.
Giovanni Bonoagli. — L'industria iti trasporti marittimi, 8
34 GIOVANNI RONCAGLI
zione, sia per la loro benefica influenza sali' economia generale dello Stato,
sia perchè mostravano che finalmente l'Italia aveva una legge atta ad aiu-
tare validamente il risorgimento della propria Marina mercantile, questi
risultati, ripetiamo, produssero invece nella gran maggioranza del paese un
vivo senso di sgomento « .
Un allarme infatti ci fu, e nel Parlamento e nel Governo, determinato
non tanto dagli effetti accertati, quanto dalle previsioni che si facevano sugli
ulteriori effetti finanziari della legge.
Se non che tanto i mediocri risultati della legge del 1885, quanto gli
altri, assai promettenti, di quella del 1896, erano, in realtà, molto meno
dovuti alle leggi stesse che a particolari condizioni del mercato generale, e
principalmente al corso dei noli, molto depresso durante il regime della
prima legge, notevolmente risollevato più tardi durante quello della seconda.
Una prova della scarsa relazione tra questi provvedimenti e il risveglio
determinatosi nella Marina intoiiio al 1897, sta nel fatto che, mentre nel
quadrienno 1897-900 si costruirono nei nostri cantieri 38 piroscafi in aeciaìo
di tonnellaggio superiore a 500 tonnellate, per un complesso di quasi
128,000 tonnellate, nello stesso periodo ne furono acquistati ali* estero ben
108, tutti superiori a 500 tonnellate, e tutti destinati all'esercizio della na-*
vigazione, per un tonnellaggio complessivo di oltre 212.000 tonnellate.
Ebbero forse torto Governo e Parlamento di impressionarsi delle conse-
guenze finanziarie alle quali avrebbe dato luogo la legge del 1896, qualora
non fosse stata temperata opportunamente ; ma di fronte alla proporzione
fra il materiale costruito in Italia e quello introdotto dalFestero, che non
aveva diritto ad alcuno dei vantaggi concessi dalla legge, non si poteva non
riconoscere che la Marina aveva trovato da vivere e prosperare senza il
premio di navigazione, il quale quindi, perdurando quelle condizioni, sarebbe
diventato superfluo.
Con la preoccupazione finanziaria prevalse anche questo pensiero; e
più tardi, a traverso alcuni decreti reali, coi quali si limitava Tapplicazione
di taluno dei benefizi della legge ('), si giunse alla legge del 16 maggio 1901^
n* 176, oggi ancora vigente, con la quale veniva fissata in otto milioni al-
l'anno la somma da erogarsi a favore della Marina mercantile. Provveduto
ad xin- equo trattamento che rispettasse i diritti ormai acquisiti, la legge
aboliva di netto il premio di navigazione per l'avvenire, e per le costruzioni
navali ripristinava il regime della importazione in franchigia di dazio. E il
regolamento del 13 novembre 1902 per l'esecuzione della legge, determi-
nava limiti minimi di carico, al di sotto dei quali non si faceva luogo a
concessione di premio alle navi che conservavano il diritto a concorrervi.
(') R. Decreto 8 aprile 1900, n. 135 (decreto catenaccio), decaduto per fine di le--
gislatura; R. D. 17 giugno 1900, n. 220; R. D. 16 novembre l&OO, n. 877.
l'industria dei trasporti marittimi 35
Il principio che aveva indotto airabolizione del premio di navigazione
non eia però tanto la persuasione della inutilità del premio, quanto il concetto
della possibilità di fare in modo che di un benefìzio accordato alla costru-
zione avesse a godere di ritiesso anche l'industria della navigazione, la quale
— si diceva allora — avrebbe potuto ottenere dai cantieri nazionali condi-
zioni più vantaggiose per provvedersi delle navi. Ma la pratica non corri-
spose alla teorica : i cantieri, favoriti dalla legge e quasi contemporaneamente
anche dai provvedimenti riguardanti Temigrazione, per la quale si fece luogo
ad una maggior richiesta di tonnellaggio, assunsero di fronte airindustria
dell'armamento una posizione di imperio che, se non le fu di danno, certa-
mente non le riesci di vantaggio.
Ed anche oggi, mentre altri principi s'invocano per provvedere alle sorti
della Marina mercantile in modo più razionale ed efficace, una lotta sorda
fra costruttori ed armatori perdura; ed è questo forse il maggiore degli
ostacoli che si oppongono air adozione di un regime di protezione più con-
facente ai bisogni veri del commercio marittimo e dell* industria delVarma-
mento.
V.
La Marina e l'emigrazione.
I trasporti degli emigranti. — Arfliatorì e noleggiatori. — La legge del 1901. — La con-
correnza straniera. — La flotta di emigrazione ai giorni nostri.
Una delle maggiori basi per l'industria libera dei trasporti marittimi
era ed è tuttora l'emigrazione.
Dalla costituzione del nuovo Segno in poi questo efflusso di vita e di
lavoro nazionale verso terre straniere, e specialmente verso le due Americhe,
ò venuto intensificandosi fino a raggiungere, nel 1905, la cospicua cifra di
726,000 persone. La popolazione in continuo aumento; la terra produttiva
e messa a produzione, insufficiente ; il costo della vita in progressivo aumento ;
la speranza di far fortuna; le lusinghe che venivano dall'esempio di chi
già Taveva tentata con qualche vantaggio, erano tutte cause concorrenti a de-
terminare quell'esodo e ad accrescerne le proporzioni.
Il trasporto degli emigranti a traverso l'Atlantico era stato uno degli
scopi della navigazione mercantile degli Stati italiani anche prima della
costituzione del nuovo Begno. Già le navi della Marina sarda facevano viaggi
trasportando emigranti, specialmente verso l'America del Sud, in massima
parte contadini e valligiani delle Alpi ; ma a quel tempo si trattava di tra-
36 GIOVANNI RONCAGLI
sporti occasionali: la partenza avveniva soltanto quando c*era abbastanza
gente da trasportare perchè il viaggio fosse rimunerativo.
L'origine dei servizi regolali per Temigrazione si può stabilire intomo
al 1870. La Società di navigazione G- B, Lavarello e C.\ la Compagnia
R. Piaggio e figli, coi bellissimi vapori « Umberto I « e « Regina Margherita » :
più tardi la Veloce, fondata con capitale in massima parte genovese, oggi
una delle nostre maggiori, sono tutte imprese sorte appunto fra il 1870 e
il 1880, principalmente per il trasporto degli emigranti, agli speciali bi-
sogni dei quali cominciarono sin d'allora ad adattarsi le navi.
A questo genere di trasporti parteciparono sempre ad un tempo Com-
pagnie libere ed altre assuntrici di servizi sovvenzionati, queste ultime però,
come la Navigazione Generale Italiana, impiegando generalmente un ma-
teriale fatto apposta e distinto dal resto delle loro flotte. A queste, poi,
come a quelle, si aggiungeva una terza categoria d'industriali marittimi,
quella dei noleggiatori; i quali, prendendo a nolo piroscafi generalmente
stranieri, quasi sempre vecchi e male andati, spesso al limite legale di tol-
leranza in fatto di requisiti nautici e di adattamenti, riescivano anche essi a
fare viaggi lucrosi.
La speculazione, dalla sua forma più umile del noleggio, a quella più
elevata del trasporto fatto con navi apposite, diventava dì anno in anno più
rimunerativa. L'Argentina, il Brasile, gli Stati Uniti domandavano a vicenda
braccia e braccia per le vastissime loro terre da dissodare, per le cento
opere gigantesche di miglioramento civile alle quali si metteva mano in
quei giovani paesi; in Italia il disagio economico, conseguenza naturale del
rapido cammino della nazione sulla via del progresso, era in continuo
aumento. Fra questi due poli, positivo Tuno, negativo l'altro, svolgevasi
sempre più intensa la corrente umana. Le navi partivano sovraccariche, bene
spesso in condizioni pietose dal lato della comodità e dell'igiene; le autorità
preposte a vigilare chiudevano un occhio, e la speculazione prosperava;
mentre accanto ad essa, ausiliaria, o complice che si voglia dire, ne pro-
iiperava un'altra, quella dell'incetta degli emigranti : una vera tratta.
Preoccupatasi la pubblica opinione un po' alla volta, vuoi per i lagni
che sollevava nei centri d'emigrazione l'ingordigia degl'incettatori, vuoi per
lo spettacolo di miseria immonda che si rinnovava di continuo nei grandi
porti d' imbarco, vuoi ancora per quello pietoso di coloro che rimpatriavano
respinti o in fuga davanti al disinganno, vuoi finalmente per la severità di
nuove leggi emanate nei paesi d'immigrazione, tali da impensierire sulla
aorte che avrebbero incontrato i partenti al loro arrivo a destino, si recla-
marono provvedimenti atti a regolare in forma più civile ed umana le di-
verse fasi dell'esodo penoso, ma inevitabile. E venne la legge del 31 gen-
naio 1901, della quale conviene riassumere i concetti principali, specialmente
per quanto riguarda la disciplina del trasporto marittimo.
l'industria dei trasporti marittimi 37
Dettate ottime norme per impedire, fin doy*ò umanamente possibile, la
trista speculazione degl* incettatori di carne umana, due concetti predomina-
rono nei riguardi del trasporto : quello di migliorare sino al massimo possi-
bile le condizioni del trasporto dal punto di vista della sicurezza, della co-
modità e dell'igiene, e l'altro di ridurre contemporaneamente la misura del
prezzo di noleggio. Queste coudizioni sarebbero contradditorie se si dovesse
riconoscere che nel passato l'equità abbia presieduto alla speculazione del
trasporto marittimo. Ma in fatto era tutt'altra cosa : cattive e sovente anche
pessime le condizioni materiali e morali nelle quali compievasi il viaggio ;
elevati i noli, Vemigrante, lusingato, attratto nella rete degl'incettatori, era
spesso trattato molto male a bordo e pagava cara la sua volontaria prigionia
in mare.
11 legislatore mostrò dunque di vedere assai chiaro nelle cose quando
stabil) come base i due concetti che abbiamo testé ricordati e che, rispetto
alle condizioni di quel tempo, solo in apparenza sono contradditori.
Se non che, a conseguire quel duplice intento, parve non sarebbero
bastate disposizioni specifiche di legge. E piti che a queste si volle incor-
rere ad un . agente indiretto, stimolante di emulazione, che si riteneva dovesse
essere altamente benefico : la concorrenza.
La legge, pareggiando nei diritti e nei doveri la bandiera nazionale e
la straniera, in base a quel principio della libera bandiera del quale forse
abbiamo, in diverge occasioni, abusato a nostro danno, venne in sostanza a
rivolgere alle imprese nazionali di trasporti marittimi una sfida. « Emulate
gli stranieri, che vengono ai porti nostri con navi grandi, sontuose, veloci! ':
ecco il cartello.
La sfida non rimase certamente senza effetto : dalla promulgazione della
legge in poi, le nostre maggiori Compagnie di navigazione, come la Navi-
gazioiie Generale Italiana, la Veloce, Yltalia^ hanno messo in mare flotte
intere di navi nuove, belle e veloci, in parte costruite appositamente per il tra-
sporto degli emigranti, e fornite di tutto punto, secondo le più raffinate esigenze
deirigiene. Altre Compagnie sono soiie, come il Lloyd Italiano e il Lloyd
Sabaudo già ricordati, appunto per dedicarsi, come si sono dedicate, princi-
palmente a quel traffico. Ma è assai difficile dire oggi se non sia stata ecces»
siva r interpretazione data al principio della uguaglianza delle bandiere,
nell'applicazione che ne fu fatta a questo ramo particolare del trasporto
marittimo.
Riservare alla Marina nazionale certi determinati trasporti è concetto
vecchio, che ha molti ed autorevoli sostenitori, come ha molti e parimenti
autorevoli contradditori. Tuttavia fra queste due diverse tendenze, ugual-
mente assolutistiche ma contrarie Tuna all'altra, protezionista Tuna, liberista
l'altra, vi è, come sempre, la via di mezzo; e questa è rappresentata dal-
l'opinione di coloro i quali, senza voler escludere la bandiera straniera dai
38 GIOVANNI RONCAGLI
servizi di emigrazione, ne Yorrebbero convenientemente limitata la parteci-
pazione, con qualelie provvedimento che, senza offendere i trattati, favorisse
la bandiera nazionale.
Sino ad oggi, però, prevalenti in questa competizione di principi sono
rimasti i metodi liberistici ai quali la legge è informata. E gli effetti di
questo liberismo, nonostante T aumento ragguardevole del naviglio nazionale
in servizio di emigrazione e il suo notevole miglioramento, si riassumono in
una persistente preponderanza della bandiera estera. Le flotte straniere in
servizio della nostra emigrazione, protette dai governi, o almeno non così gra-
vate d'oneri come la Marina nazionale, formate a prezzo di minori sacrifizi
iniziali, per il minor costo del denaro e dei materiali da costruzione, ven-
gono a trovarsi di fronte alla nostra in condizioni di effettivo privilegio, a
malgrado di ogni principio teorico d'uguaglianza tra le bandiere. Quella
parte della nostra Marina mercantile che si dedica al trafSco degli emigi-anti
ha bensì progredito in via assoluta, sia per numero e tonnellaggio di navi,
sia per velocità, sia infine per adattamenti e trattamento in generale : e tutto
oiò pure essendo stato sempre mantenuto relativamente basso il tenore medio
dei noli, e non essendo mancate le crisi; ma l'invadenza della bandiera stra-
niera e la sua prepotenza, spinta sino a determinare una vera guerra dì ta-
riffe nel 1907 e 1908, avevano quasi convertito in regresso relativo il pro-
gresso assoluto.
Certamente del cammino se n'ò fatto, e grazie all'energia spiegata dalle
Compagnie nazionali e mercè l'opera savia dei corpi amministrativi preposti
alla disciplina legale dell'emigrazione, la partecipazione straniera ai tra-
sporti di emigranti dall'Italia è diminuita alquanto negli ultimi anni; ma
siamo ancora lontani abbastanza da quel limite al quale la bandiera nazio-
nale può ragionevolmente aspirare, senza venir meno al rispetto che si deve
ai trattati.
La nostra flotta d'emigrazione comprende oggi più di quaranta grandi
piroscafi, per un tonnelli^gìo complessivo di oltre 250,000 tonnellate, dotati
di velocità che variano da un minimo di 11 miglia airora ad un massimo
di oltre 16 miglia, capaci di trasportare, per ogni viaggio, più di 60,000
emigranti, ciascuno di essi convenientemente fornito di cuccetta nelle bat-
terie e nei ponti di corridoio, oltre a 3500, circa, passeggeri di classe.
Questa flotta è ripartita fra sette ditte armatrici che sono: la Naviga-
zione Generale Italiana^ la quale possiede da sola un terzo del tonnel-
laggio totale; Y Italia Q\9k Veloce^ che vengono subito dopo per importanza,
la prima con 42.000, l'altra con 48.000 tonnellate; il Lloyd Sabaudo con
34.000 e il Lloyd Italiano con 32.500 ; e finalmente la Siculo-Americana
e la Ligure Brasiliana, con un tonnellaggio complessivo di 21.000 ton-
nellate.
l'industria dei trasporti marittimi 39
Parecchie navi della flotta d'emigrazione sono inscritte nei ruoli del
naviglio ausiliario dello Stato, e alcune di esse nella categoria incrociatori
ausiliari, dati i loro requisiti di velocità.
Il tonnellaggio della nostra flotta d'emigrazione è oggi di poco infe-
riore alla metà di quello totale delle navi a vapore inscritte nelle matricole
del Segno.
Ciò prova che i trasporti a vapore veramente commerciali sono ancora
relativamente limitati in rapporto al commercio marittimo nazionale, tanto
più se si pensa che nel tonnellaggio totale sono compresi i piroscafi delle
linee sovvenzionate, alcune delle quali, pur essendo di carattere commer-
ciale, hanno piuttosto funzione politica e fanno in realtà poco trafiSco. L'ele-
vata partecipazione della bandiera estera ai nostri traffici commerciali è
altra e maggiore testimonianza di questo stato di cose, a modificare il quale
non basta certamente l'azione dei pubblici poteri: questa in massima può
secondare e favorire, ma non creare ciò che non esiste.
VI.
Periodo di trasformazione.
La scuola liberista e le convenzioni marittime.
I servizi amminÌ3tratiyi per la Marina mercantile. — La scaola liberista; suo contrasto
con la tradizione del metodo della sovvenzione fissa. — La Commissione Reale per
i servizi marittimi. — Il credito navale. — Dal progetto Baccelli alla legge del 5
aprile 1908. — I servizi marittimi di Stato. — L'insaccesso della legge del 1908. ~
Difficoltà della situazione; trattative con le Compagnie di navigazione e gli arma-
tori. — La convenzione col Lloyd lùaliano. — Intervento degli armatori Peirce o
Parodi, — La sospensiva e le aste. — Le influenze locali e Timpreparazione gene-
rale del paese. — I porti minori e le linee di concentramento.
Sino da quando si discatena in Parlamento la legge del 1901 sui prov-
vedimenti a favore della Marina mercantile, la coscienza pubblica aveva
cominciato a sentire la necessità di dare al protezionismo marittimo un in-
dirizzo diverso. Eravamo allora alla metà del periodo di durata delle con?
venzioni del 1893 per i servizi postali e commerciali, che avrebbero dovuto
scadere nel 1908; e quest'altro importante problema da risolvere cominciava
ad occupare le menti. Oià sino d'allora il legislatore, bene misurando la
gravità della questione, aveva, coU'art. 15 della legge, &tto obbligo al Oc-
verno di presentare entro Tanno 1903 il nuovo disegno di legge per i ser-
vizi marittimi sovvenzionati dallo Stato. Cosi tutto il problema marittimo.
40 GIOVANNI RONCAGLI
della nazione avrebbe potuto a?ere una soluzione organica, tale che rispon-
desse, meglio delle precedenti, alle mutate condizioni generali del paese
dal punto di vista dei suoi commerci e dei suoi traffici interni ed intema-
zionali. Sino d'allora cominciavano a farsi strada neiropinione pubblica al-
cuni concetti nuovi, come quello della concentrazione dei servizt marittimi
sotto una unica amministrazione, Taltro deirunificazione dei due problemi,
andati sinora distinti, dei provvedimenti a favore della Marina mercantile e
delle convenzioni marittime, e finalmente quello del « premio raziooale » airin-
dustrìa dei trasporti, cioè di un contributo di Stato che fosse proporzionato con
equo criterio al benefizio arrecato da queir industria all'economia nazionale.
La opportunità di radunare sotto una direzione unica tutti i diversi
rami deiramministrazione della Marina mercantile, tenuti fino allora divisi
fra parecchi Ministeri, appariva evidente, per dare unità d'indirizzo alle cose
della Marina in generale e per meglio preparare la soluzione dei problemi
che incombevano. Se non che, difficoltà di varia indole, non ultime quelle
create dalla lunga consuetudine burocratica, contrastavano fortemente la via
verso riforme di questo genere.
La convenienza di radunare in una serie unica di provvedimenti legis-
lativi tutta razione dello Stato in rapporto alla Marina mercantile ed a
vantaggio della medesima, parve anch'essa evidente, per le grandi affinità
che esistono fra i vail servizt ai quali la Marina mercantile provvede, qua-
lunque sia il regime sotto il quale essa svolge l'opera propria. In questo
senso si ebbero notevoli scritti d'uomini di alta competenza, quali l'am-
miraglio Bettole e il senatore Piaggio ('); e la stessa « Commissione Beale
per i servizi marittimi », nominata col B. Decreto del 13 settembre 1902,
interpretando largamente il proprio mandato, estese le proprie indagini a
tutto intero il problema marittimo, e propose misure ch'essa ritenne atte a
risolverlo integralmente.
Le delusioni alle quali aveva dato luogo l'applicazione delle leggi suc-
cedutesi per ì provvedimenti a favore della Marina mercantile, e la scarsa
soddisfazione data al pubblico interesse dalle varie convenzioni per i servizt
postali e commerciali, spianarono la strada a nuove idee, rimaste lunga-
mente latenti, o germogliate lungo il cammino spinoso dell'esperienza.
Cosi si formò quella « scuola liberista « die, accettando il concetto della
sovvenzione fissa (a forfait o per lega di percorrenza, o per viaggio) sol-
tanto come una necessità, quando siavi l' interesse generale di sostenere
ad ogni costo una data linea, propugna oggi vigorosamente la opportunità
di rivolgere le maggiori cure alla Marina libera, perchè in essa riconosce
la maggiore forza fattiva della Marina mercantile, senza alcuni di quei carat-
(*) G. Bettòloy Siato e Marina mercantile, in « Nuova Antologia », voi. 104 (marzo-
aprile 1908), p. 454 e segg. ~ E. Piaggio, Lo Stato e La Marina mercantile, in « Nuova
Antologia**, voi. 112 (luglio -agosto 1904), p. 288 e he^g.
l'industria dei trasporti marittimi 41
teri che fanno della Marina sovvenzionata, postale e commerciale, un orga-
nismo più 0 meno statale, tardo e poco produttivo.
Questa scuola, alla quale con un recente voto aderiva anche il Senato
del Segno (^), propugna sostanzialmente due principi, l'uno all'altro indis-
solubilmente associati: quello di limitare l'applicazione del regime delle
sovvenzioni fìsse ai soli servizi veramente indispensabili neirinteresse gene-
rale del paese, quando sia accertato, o si presuma con fondamento, che non
possano offrire una base alKesercizio industriale libero, perchè non rimune-
rativi; Taltro, di provvedere alle sorti della Marina libera con metodo ra-
zionale, a base di premio commisurato al traffico da essa effettivamente
compiuto, di mitigazione d*oneri fìscali, di eventuali privilegi nei trasporti
per conto dello Stato, di tariffe ferroviarie protettive, ecc.
Col sorgere delle idee liberiste, si determinò, come era naturale, una
reazione. Il regime della sovvenzione fissa aveva abituato il ceto marittimo
in generale a considerare il sussidio dello Stato come un diritto, quasi come
un titolo fisso di reddito, da computarsi nel bilancio presuntivo di qualunque
impresa regolare di navigazione. D'altra parte la consuetudine aveva fatto
nascere una infinità d'interessi locali più o meno estesi, da quelli regionali
e municipali a quelli del personale navigante e dei lavoratori dei porti; e
tutti questi interessi coalizzati si opponevano anch'essi accanitamente all'idea
nuova.
In questo contrasto, i pubblici poteri si mostrarono perplessi, e l'opera
del Governo e del Parlamento, pur essendo stata molto intensa, non poteva
non portare le stimate della incerta coscienza che la dirigeva. La materia
marittima, in generale, era famigliare a pochi; si può quasi dire che la
grande maggioranza fosse costituita dagVindifferenti : esigendo gli argomenti
marittimi un corredo di conoscenze tecniche ed economiche piuttosto esteso,
pochi si affaticavano a procurarselo. Inoltre, non pareva che la questione
marittima fosse abbastanza politica per infervorare gli animi, e invogliare
a prenderla a cuore.
(>) L'ammiraglio Canevaro, relatore per TUfiicio centrale del Senato sul disegno di
legge per le « Convenzioni provvisorie e definitive pei servizi postali e commerciali ma-
rittimi, ed altri provvedimenti a favore delle industrie marittime n, nella sua relazione
deiril giugno 1910 cosi si esprime:
tt . . . . gli Uffici e li Commissione tengono a dichiarare che non escludono il regime delle
sovvenzioni, ma che intendono esso sia limitato soltanto a quelle linee che hanno carattere
postale e politico, e che per il rimanente si cerchi, per quanto è possibile, di essere larghi
neiraccordare aiuti alla marina libera: a qaella marina libera che non può lasciarsi
abbandonata a se stessa di fronte alle vigorose concorrenze di altri paesi, ma che deve,
con opportune provvidenze e con facilitazioni finanziarie di vario genere, essere messa in
condizioni di lottare, senza rimanere in quello stato di inferiorità che oggi da ogni parte
si lamenta v (v. Atti parlamentari, Senato del Regno; Legisl. XXIII, I Sessione
1909-910 ecc., n. 258 A).
42
GIOVANNI RONCAGLI
Quando, adunque, nel febbraio del 1906, la Commissione Beale pre-
sentò le sue conclusioni, concretate in una serie di proposte che ritarda-
vano insieme il riordinamento dei servizi sovvenzionati e i provvedimenti a
favore della Marina mercantile in generale, il Governo non si trovò prepa-
rato ad affrontare tutto intero il complesso problema; mise da parte le pro-
poste della Commissione Beale, e solo, accettandone il concetto di mettere
air asta per piccoli gruppi ì servizi da sovvenzionare, stralciò il quadro di
questi e, modificandolo in qualche parte, lo prese per base d*un disegno di
logge per i servizi postali e commerciali, che fu presentato al Parlamento
il 5 aprile del 1906.
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Già da quando erano state pubblicate le proposte della Commissione
Beale, l'opinione pubblica si era pronunziata: quel progetto, grandioso nella
sua concezione tecnica, esubei-ante anzi per tonnellaggi e velocità, in qualche
parte eccessivi, appariva poi assolutamente inadeguato, per la parte finanziaria,
alla vastità ed alla somma delle esigenze che in esso erano concretate. Per la
parte finanziaria il progetto considerava due specie di provvedimenti, cioè una
sovvenzione fissa per ciascuna linea, commisurata al tonnellaggio ed alla per-
correnza, ed un beneficio indiretto, proporzionato alla spesa d'impianto del
materiale, per mezzo di un « Credito navale » . Questo istituto, mezzo privato,
mezzo di Stato, avrebbe fornito capitali agli armatoli e alle Compagnie ad
un saggio d'interesse stabilito e dietro opportune garanzie e riserve sulla
proprietà delle navi; e al pagamento delle somme dovute dai mutuatari
avrebbe contribuito lo Stato, corrispondendo loro una quota annua calcolata
in base al valore del naviglio, variabile a seconda dei servizi ai quali questo
doveva essere adibito.
Calcolato tutto, sovvenzione e credito navale, il progetto della Commis-
sione reale veniva a concedere un compenso di lire 2,63 per miglio, cioè la
metà circa della sovvenzione media per miglio concessa dalle convenzioni
ancora vigenti.
L'opinione pubblica aveva dunque dichiarato inaccettabili le proposte
della Commissione Beale ; ma il Governo, forse anche perchè impedito d'ap-
profondire la questione per mancanza di tempo, in causa del lungo ritardo
frapposto dalla Commissione nel presentare la propria relazione, pure avendo
elevato a lire 3,88 il contributo medio per miglio, mantenendone le due
componenti (sovvenzione fissa e compenso per interessi sul credito navale),
aveva contenuto le sue proposte in limiti troppo inferiori alla più mo-
desta pratica possibilità, date le condizioni tecniche che si pretendevano
nelle navi e neiresercizio della navigazione (').
(*) Disegno di le^ge n. 409 A (Baccelli A.), presentato alla Camera dei Deputati
nella seduta del 5 aprile 1906.
l'industria dei trasporti marittimi 43
Se non che, caduto nel giugno dello stesso anno il Gabinetto (Sonnino),
il disegno non potè essere discusso. Il governo succeduto, Ministro delle poste
l'on. Schanzer, ripresone Tesarne, presentò poi una serie di emendamenti [in
forza dei quali, rimandandosi Tistìtuzione del Credito navale, si ritornava
al vecchio concetto unico della sovvenzione fissa, e nel tempo stesso si mo-
dificava parzialmente anche il piano delle linee. Ma la sovvenzione media
per miglio, da lire 3,89, siccome proposta dal disegno di legge del 5 aprile
1906. discendeva a lire 3,75.
Sebbene il Governo fosse già in ritardo di tre anni rispetto al limite
d\ tempo fissatogli dalla legge del 1901, per presentare le nuove proposte
pei servizi sovvenzionati, la Commissione parlamentare, nominata per riesa-
minare il disegno di legge 5 aprile 1906 e gli emendamenti Schanzer, non
presentò la sua relazione alla Camera dei Deputati che il 22 giugno del
1907. E il disegno fu approvato dieci mesi più tardi, diventando legge sol-
tanto il 5 aprile 1908, cioè esattamente due anni dopo la presentazione
alla Camera del primo progetto (Baccelli), e con cinque anni di ritardo su
quanto era stato stabilito con l'art 15 della legge 16 maggio 1901.
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Frattanto un certo timore di supposti occulti accordi fra Banche e So-
cietà di navigazione a danno dello Stato, l'esistenza dei quali non fu però
mai bene accertata, aveva fatto nascere ed accreditata presso alcuni l'idea
che lo Stato medesimo dovesse farsi armatore per assumere l'esercizio diretto
delle linee postali. A conforto dell'idea, si argomentava essere queste linee
una continuazione marittima della rete ferroviaria (^): non esservi dunque
ragione di mantenerle in regime d'esercizio privato, visto che già lo Stato
aveva assunto l'esercizio delle Strade Ferrate. Fosse questo ragionamento
frutto di maturo pensiero, o soltanto seduzione di novità, non è possi-
bile dire; il fatto sta che si giunse persino a suggerire che lo Stato,
abbandonate le Compagnie al loro destino, senz'altro esercitasse diretta-
mente tutti i servizi postali e commerciali, né mancò chi si mostrasse
propenso ad afiidargli anche il monopolio del trasporto degli emigranti.
Propugnatrice della statizzazione dei servizi postali interni, per le co-
municazioni fra il continente e le grandi isole, era stata la Commissione
Beale. Il suo relatore, nella elegante relazione, come nei suoi discorsi in
Parlamento e sulla pubblica stampa, compiè opera di vero apostolato della
nuova idea ; alla quale non era forse estranea la spiccata tendenza dei
tempi verso ciò che fu detto il « socialismo di Stato >.
(') Cfr. E. Piaggio, Lo Stato e la Marina mercantile, in u Naova Antologìa »
16 luglio 1904.
44 GIOVANNI RONCAGLI
La cosa fa luni^amente dibattuta in pubblico, talvolta anche con asprezza ;
i pareri, in argomento, erano molto divisi, e una prova di questo conflitto
di opinioni si ebbe specialmente nel fatto dell'alternata vicenda che questa
parte dei provvedimenti ebbe a subire nei diversi disegni elaborati dai
Ministri, prima che il Parlamento giungesse a discuterne uno, il primo, che
fu poi approvato e tradotto in legge il 5 aprile del 1908. Proposto dalla
Commissione Reale, il progetto d'esercizio di Stato delle linee per la Si-
cilia e per la Sardegna fu abbandonato dal Gabinetto Sennino (progetto
Baccelli), e ripreso poi dal Gabinetto Giolitti (emendamenti Schanzer).
Il dibattito, se non pervenne mai a mettere d'accordo le opinioni in
contrasto, valse però a far bene risultare un fatto importante: quello
cioè che lo Stato avrebbe, con l'esercizio diretto delle linee interne, pa-
gato ad assai più caro prezzo il servizio postale marittimo. Onde, non molto
dopo l'approvazione della legge del 5 aprile 1908 n. IH, che istituiva
la Navigazione di Stato, e ne affidava l'esercizio ali* Amministrazione delle
Strade Ferrate, ed ancora prima che l'esercizio fosse inaugurato, si leva-
rono voci autorevoli in Parlamento e fuori, ad ammonire a riguardo della
spesa eccessiva che stava per aggravare il pubblico erario.
Per effetto della legge del 5 aprile 1908, ebbe vita una flottiglia di
piroscafi, alcuni dei quali molto veloci ed eleganti, ma assai costosi, che
oggi servono le linee di Stato fra Napoli e la Sicilia, e fra Civitavecchia e
la Sardegna. Sono in tutto nove piroscafi, per un dislocamento complessivo
di 22.260 tonnellate. Quattro di questi, cioò i vapori « Città di Catania «
« Città di Palermo », « Città di Messina », « Città di Siracusa », di circa 3500
tonnellate di stazza lorda ciascuno, assegnati ai viaggi per la Sicilia, sono
dotati della velocità normale di 20 miglia, mediante apparati motori della
forza massima di 12.500 cavalli indicati; i due primi, anzi, sono i primi
piroscafi di bandiera italiana sui quali siano stati applicati motori a turbina (^).
Altri tre, ossia il « Caprera ». il « Città di Sassari » e il « Città di Cagliari » , di
circa 1500 tonnellate di stazza lorda, addetti ai servizi per la Sardegna, sulla
linea Civitavecchia-Golfo Aranci, dispongono di una forza di 3800 cavalli in-
dicati e di una velocità normale di 15 miglia. Finalmente i due nltimi, il
« Terranova » e il « Maddalena » , di circa 500 tonnellate di stazza lorda,
e 12 miglia di velocità, sono adibiti al servizio locale fra La Maddalena e
Terranova. Tutti gli apparati motori, non a turbina, sono a triplice espan-
sione, eccezione fatta per il « Caprera » che ha una macchina a quadruplice
espansione con quattro cilindri. I piroscafi sono tutti di costruzione nazionale,
tranne il « Terranova » costruito a Glasgow nei cantieri della ditta
A. Sf, J. Inglis Ltd.
(*) Turbine Parsons compound.
l'industria dei trasporti marittimi 45
Le condizioni tecniclre ed economiche di questi servizi di Stato non sono
per ora note, giacché siamo appena al loro inizio ; ma, se nel campo tecnico
si possono fare previsioni abbastanza buone, nel campo economico una sola
previsiono è possibile e sicura : quella cioè che essi costeranno, c<^me si du-
bitò da prima, assai più di quanto sarebbero costati sotto quel regime di
sovvenzione che si volle abbandonare.
Sebbene esercitati direttamente dallo Stato, questi servizi conservano in-
tero il loro carattere mercantile, e in ciò si differenziano dai servizi di
Stato del Segno delle Due Sicilie e di quello di Sardegna che, come è stato
detto a suo luogo, erano afBdati a navi della Marina militare, condotte e
servite da ufficiali ed equipaggi r^. Una sola eccezione è stata fatta con
l'art. 5 della legge, che stabilisce non essere i piroscafi delle linee di Stato
e tutto il corredo loro di attrezzi, provviste ecc., come pure le officine ed il
materiale di porto adibito al servizio dei piroscafi stessi, soggetto a pignora-
mento 0 sequestro, né a vendita giudiziale. Questa eccezione era necessaria
per mettere, di fronte ai terzi, la Navigazione di Stato in condizioni giuri-
diche analoghe a quelle di altre aziende di Stato che esercitano pubblici
servizi, come le Ferrovie, le Poste, i Telegrafi, i Telefoni ecc., per le quali
tutte il materiale di esercizio e le relative dipendenze sono protetti da dispo-
sizioni consimili. E^sa non muta la natura mercantile e industriale delFim-
presa e solo costituisce un privilegio necessario per assicurare la continuità
e la regolarità dei servizi.
L'accoglienza fatta dal paese, e in particolai- modo dal ceto marittimo
alla legge del 5 aprile 1908, fu delle più sfavorevoli. Era unanime il sen-
timento della impossibilità di trovare Compagnie ed armatori che fossero
disposti ad assumere i servizi voluti da quella legge, alle condizioni che
essa determinava, le quali apparivano manifestamente troppo onerose, sia per
la gravità degli impegni dipendenti dagli impianti che, come fu già detto,
avrebbero dovuto essere grandiosi ed in qualche parte eccessivi, sia per le
molte limitazioni della libertà industriale, specie per riguardo alle tariffe,
sia finalmente per la esiguità della sovvenzione, la quale non avrebbe in alcun
modo consentito agli assuntori quel ragionevole lucro al quale dava loro di-
ritto la loro qualità di industriali. Tutti previdero la completa diserzione
delle aste, e la previsione si avverò. Indette queste durante Testate del 1908,
una sola domanda di concorso fu presentata ed una sola aggiudicazione ebbe
luogo, quella per il minuscolo gruppo di linee fra il porto di Bavenna e
quelli di Trieste e di Fiume, da esercitarsi con due piroscafi del complessivo
tonnellaggio lordo di 640 tonnellate e per una sovvenzione annua totale di
di lire 60.000. L'insuccesso della legge non avrebbe potuto essere più
completo.
46 GIOVANNI RONCAGLI
Dopo tauti anni di studi, sarebbe stato dunque impossibile di provvedere
alla sistemazióne dei servizi marittimi alla scadenza dei contratti vigenti, se
il Governo, in previsione di un ritardo, non avesse in tempo stipulato e fatto
approvare dal Parlamento convenzioni provvisorie con gli assuntori, per una
proroga di due anni, cioè sino al 30 giugno 1910.
Però, non ostante la dilazione, era urgente trovare una via d'uscita,-
tanto più che, Tesperimento delle aste easeiìdo stato fatto durante le vacanze
parlamentari, il Governo non aveva modo di interpellare il potere legi-
slativo.
Ma la legge del 5 aprile 1908 non permetteva di modificare le condi-
zioni per la concessione dei servizi, pure dando la facoltà di ricorrere alla
trattativa privata in caso d'insuccesso delle aste. Il Governo si trovava
pertanto di fronte ad un dilemma : o rimanere inoperoso sino alla ripresa dei
lavori parlamentari, o preparare una soluzione extra-legale della grave que-
stione, da sottoporsi a suo tempo all'esame del Parlamento. Fu preferita
qnesta seconda via.
Cominciò così una sene di trattative con le Compagnie di navigazione,
risultato delle quali fu la conclusione di accordi con le minori Società, per
alcuni gruppi di linee secondarie, a condizioni alquanto diverse da quelle
della legge.
Ma rimaneva da provvedere al blocco principale delle linee, per il quale
un appello del Governo agli aimatori era rimasto senza effetto.
Un gruppo finanziario, rappresentato dall'armatore cav. Luigi Capuccio
di Torino e dal prof. Brunelli direttore della Veloce, propose allora al Go-
verno di esaminare la questione; e avendo questo annuito, nuove trattative
furono incamminate.
Da prima, e come primo passo, il Governo invitò i i-appresentanti del
gruppo a far conoscere a quali patti, per riguardo alla sovvenzione, essi
avrebbero ritenuto possibile di assumere tutto il blocco residuato dei servizi,
ferme restando le condizioni tecniche e di esercizio volute dalla legge.
La risposta risultò inaccettabile.
A questa tennero dietro due proposte di iniziativa del gruppo, secondo
le quali, fatte alcune riduzioni nel piano organico delle linee, e modificata
qualche altra condizione, l'onere per sovvenzioni sarebbe stato notevolmente
ridotto.
Ma il Consiglio dei Ministri, avendo riconosciuto di non poter accettare
le proposte, perchè sempre troppo gravose per l'erario, deliberò di rinunciare
al proposito di trattare per questa via, e autorizzò il Ministro delle poste
a prendere accordi col senatore Erasmo Piaggio, la cui alta competenza era
notoria, per elaborare, di concerto con lui, un nuovo disegno di legge da
presentarsi al Parlamento.
l/lNOUSTRIA DEI TRASPORTI MARITTIMI 47
Già in un importante opuscolo da lui pubblicato nel 1906 {^), Tautorevole
e intraprendente armatore aveva esposto alcun i suoi concetti sul modo dì ri-
solvere la difficile quistione delle convenzioni marittime; e mentre in esso
illustrava quel principio, che fu poi accettato ed introdotto nella legge del 1908,
secondo il quale il governo delle tariffe marittime avrebbe dovuto esse ri-
servato allo Stato, alla stessa guisa delle tariffe ferroviarie, delineava per
sommi capi tutto un sistema, in base al quale, a suo parere, si sarebbe
dovuto provvedere.
Aderendo alFinvito del Governo, il Piaggio studiò da prima ud progetto
limitato ai servizi più necessari, d'indole postale e politica ; poscia, abbando-
nato questo, e trattando non più come privato, esperto dei traffici marittimi,
ma come presidente del Lloyd Italiano, del quale era fondatore, elaborò, di
concerto col Ministro delle poste e telegrafi, on. Schauzer, un progetto com-
pleto per i servizi che ancora non erano oggetto di altre convenzioni, e in
base a questo, il 23 aprile 1909, stipulò una convenzione col Governo, nella
quale erano sviluppati in tutti i loro particolari, ed applicati, i concetti
appena delineati neiropuscolo del 1906.
Il disegno di legge presentato alla Camera dei deputati dal Ministro
delle poste e telegrafi 1*8 maggio 1909, oltre a convenzioni di minor conto
per alcune comunicazioni d'ordine secondario, cioè con la Società Veneziana
di Navigazione a Vapore per servizi commerciali tra Venezia e Calcutta ;
con la Puglia per servizi di cabotaggio in Adriatico; con altre minori per
piccoli servizi locali nell* Arcipelago Toscano, nel Golfo di Napoli ecc., ; e
con la Nederland per i servizi con Batavia, proponeva al Parlamento di
approvare la convenzione stipulata col senatore Piaggio in nome del Lloyd
Italiano, per la durata di 25 anni, secondo la quale il Lloyd si impegnava
ad esercitare tutti i servizi postali e commerciali interni ed internazionali
nel Mediterraneo, compresi i servizi di cabotaggio mediterraneo-adriatico ; le
grandi linee per le Indie e la Gina ; i servizi per il Mar Bosso e TOceano
Indiano sino a Zanzibar, e finalmente quelli per TAmerica Centrale. La con-
venzione esigeva T impiego di 80 piroscafi, del tonnells^gio lordo complessivo
di 197.200 tonnellate: stabiliva gli itinerari e la perìodicità dei viaggi, cosi
che ne sarebbe risultata una percorrenza annua totale di 2.711.714 miglia;
e fissava in lire 17.322.000 la sovvenzione iniziale da corrispondersi per i
primi cinque anni, che erano detti di esperimento, salvo poi a deliberarne
la misura definitiva quando, in base ai risultati industriali del quinquennio
di prova, si sarebbe potuto determinare la media passività effettiva dei ser-
(«) E. Piaggio, Lo Stato e le convenzioni marittime, Roma, Casa Editrice Ita-
liana, 1906.
48 GIOVANNI RONCAGLI
vizi, considerati nel loro complesso (^). Era inoltre stabilito che lo Stato ga-
rantirebbe le obbligazioni emesse dalla Società per un massimo corrispon-
dente al triplo del proprio capitale (stabilito in 20 milioni), e assicurerebbe
un minimo d'interesse al capitale azionario; esso però avrebbe una ingerenza
diretta nell'azienda sociale per mezzo di suoi delegati nel Consiglio d'ammi-
nistrazione, e parteciperebbe agli utili della medesima secondo certe deter-
minate norme, a parziale sollievo dell'onere finanziario che assumeva.
*
Se la legge del 5 aprile 1908 era stata, come fu detto, male accolta
dal pubblico, che la giudicò subito inapplicabile, quale in pratica si addi-
mostrò poi, il nuovo disino di legge incontrò, sino dal suo primo apparire
in forma frammentaria sui giornali quotidiani, una decisa ed energica oppo-
sizione. La durata della convenzione col Lloyd Italiano^ più lunga di dieci
anni di ogni altra pid lunga diventata esecutiva dalla costituzione del Regno
in poi, appariva manifestamente eccessiva, specialmente perchè, dato il ra-
pido trasformarsi del materiale ai tempi nostri, in causa dell'incessante pro-
gresso, era evidente la opportunità di non interdirsi per legge la possibilità
di migliorare sempre, in avvenire, i servizi sovvenzionati. La grande estensione
dei servizi stessi e la situazione di privilegio che, per diversi aspetti, veniva
ad essere assicurata all'assuntore, conferivano alla convenzione una spiccata
fisonomia di monopolio, contraria allo spirito dei tempi. Le sorti della Ma-
rina libera apparivano specialmente compromesse da questa larga concessione
monopolistica, in quanto che i servizi sovvenzionati, aiutati in ciò anche da
disposizioni particolari del disegno di legge sui provvedimenti a favore della
Marina mercantile, che era stato quasi contemporaneamente presentato dal
Ministro della Marina (Mirabelle) ('), venivano ad esercitare di fatto una
potente concorrenza. L'esperimento quinquennale non affidava in alcun modo
dal punto di vista dei criteil che se ne volevano ricavare; sembrava piut-
tosto un periodo di tolleranza concesso all'assuntore per utilizzare sino al-
*
l'estremo il materiale vecchio, del quale si sarebbe provveduto da principio.
E sebbene le opinioni fossero concordi nel riconoscere l'opportunità di un
periodo di tolleranza, cinque anni parevano troppi. Le stesse due convenzioni
private, passate fra il Lloyd Italiano e la Navigazione Generale Italiana,
l'una per la cessione di 48 dei piroscafi che questa avrebbe avuto disponibili
alla cessazione dei contratti in corso, l'altra per la vendita di 35 mila azioni del
(') L^articolo 14 del disegno di legge definiva questa media passività siccome di£Ee-
renza fra la media delle spese (escluse le quote per il fondo delle grandi riparazioni e
miglioramenti del materiale) e la media dei prodotti (escluse le sovvenzioni).
(') L*art. 11 del disegno di legge, presentato dal Ministro Mirabelle alla Camerali
12 maggio 1900, escludeva dal godimento del contributo i viaggi liberi che risultassero
paralleli e concorrenti ai servizi sovvenzionati o esercitati dallo Stato.
l'industria dei trasporti marittimi 49
Lloyd Italiano, delle qaalì la Navigazione Generale Italiana era in possesso,
foroBa wxgamaaào di ^«deli» diSSanza che, fondata o no, non giovò certamente
ai propositi del Goveiiio. Il fatto che la misura della sorvenzione definitiva
fosse lasciata indeterminata, senza nemmeno un limite prudenziale qualsiasi,
era interpretato come un pericolo per Terario. L'ingerenza diretta dello Stato
nell'azienda, con tutto il complesso di controlli che la legge del 1908 affi-
dava all'Ispettorato dei servizi marittimi, oltre ad ispirare una mediocre fiducia,
avrebbe tolto all'azienda stessa quasi ogni carattere industriale ed ogni ne-
cessaria elasticità, per trasformarla in una specie di azienda statale larvata.
La garanzia delle obbligazioni e di un minimo di interesse appariva sic-
come onere gravoso, non compensato dal vantaggio della partecipazione agli
utili, ritenuta più illusoria che reale; e il dominio delle tariffe per parte
dello Stato era giudicata una eccessiva limitazione di quella libertà ohe è
la prima tra le condizioni necessarie a determinare il buon esito di una im-
presa marittima a base internazionale, esposta piti di qualunque altra alle vi-
cende della concorrenza. Questa delicata materia delle tariffe era dalla legge
affidata ad un « Gomitato per i servizi marittimi « , costituito in prevalenza
da funzionari. A prescindere da ogni considerazione di competenza, il concetto
medesimo di un imperio statale su ciò che costituisce la miglior arma di
lotta nella concorrenza mondiale, non era accettato dalla coscienza pubblica.
C*era bensì qualche solitario che mostrava di ammettere una identità che
non esiste fra le Strade Ferrate, che sono un servizio assolutamente intemo,
governabile per atto di imperio, e i servizi marittimi, che sono di continuo
esposti alla concorrenza straniera, anche sulle linee di cabotaggio interno:
ma questo concetto non trovava che scarsi seguaci.
La energica pressione della pubblica opinione sul Governo e sulla Com-
missione parlamentare per l'esame del disegno di legge, esercitata per mezzo
della stampa e di pubbliche e private adunanze, produsse subito qualche ef-
fetto, quali la fissazione, per parte della Commissione parlamentare, di un
limite insuperabile per la sovvenzione definitiva (circa venti milioni) ; la sop-
pressione del privilegio stabilito dall'articolo 11 del disegno di legge sui
provvedimenti a favore della marina mercantile ecc. Ma non per questo mutò
il contegno sfavorevole del paese, reso anche più vivace dalle cupidigie
politiche, le quali trovavano ormai, nella vasta e difficile quistione, terreno
favorevole per espandersi.
Mentre la Commissione parlamentare proseguiva il suo esame, due
ditte di ben noti armatori, i fratelli Peirce di Messina e Napoli e Angelo
Parodi di Genova, insieme associate, l'il giugno presentavano al Governo
una proposta concreta per assumere tutti i servizi considerati nella conven-
zione col Lloi/d Italiano, a condizioni che in generale parvero notevolmente
piii vantaggiose, e per una sovvenzione complessiva (a forfait) di 18 mi-
lioni per 25 anni.
GiovAMMi BoKcAQLi. — L'indutMa dn trasporti marittimi, 4
50 GIOVANNI RONCAGLI
Questa proposta contribuì ad accendere maggiormente gli animi, anche
perchè, avendo il Governo dichiarato di non poterla prendere in considera*
zione, il rifiuto fu variamente interpretato.
Tuttavia la cosa ebbe come conseguenza il trionfo del concetto della
rinnovazione delle gare d'appalto, sebbene combattuto apertamente alla Ca-
mera dei deputati dallo stesso Ministro delle poste. Di fronte alla vigorosa
opposizione che incontrava la convenzione col Lloyd Italiano, il Qoverno si
sarebbe trovato in serio imbarazzo se il rappresentante di questa Società,
con dichiarazione del 7 luglio, comunicata dal Presidente del Consiglio alla
Camera nella seduta del giorno successivo, non avesse acconsentito a che fos-
sero aperte nuove gare sui servizi considerati nella convenzione da lui sot-
toscrìtta, solo riservando intatto il diritto del Lloyd nel caso che le aste
fossero andate deserte. In seguito a questo atto, il Ooverno prese impegno
di indire nuove aste, prima della ripresa dei lavori parlamentari.
Queste, bandite il 3 ottobre, per tre gruppi di servizi rispettivamente
denominati del « Tirreno Superiore > , del « Tirreno Inferiore > e dell* « Adria-
tico », ebbero luogo il 23 dello stesso mese. Aggiudicatari del primo e terzo
gruppo rimasero le Ditte consorziate Peirce e Parodi, e del secondo il
Lloyd Sabaudo.
Soccombente nella gara per il gruppo adriatico era rimasta la Società
Veneziana di Navigazione a Vapore. Questo fatto contribuì a riaccendere
la competizione fra Tirreno e Adriatico, ossia tra Liguri e Veneti, che, sino
dal principio della lunga discussione, era stata la nota prevalente ed uno dei
più forti ostacoli incontrati dal disegno di legge.
Ma durante il lungo dibattito, era intanto venuta acquistando sempre
maggior vigore la scuola liberista, la quale, profittando della ostilità che
incontrava in generale il disegno del Governo, non perdeva occasione per
affermarsi sempre meglio. Discorsi notevoli, informati ai concetti della nuova
scuola, erano stati pronunziati alla Camera da parecchi oratori ; e lo stesso
ammiraglio Bettòlo, a buon diritto considerato il capo della scuola, in un breve
ma eloquente discorso pronunziato il 4 luglio, aveva apposto il suggello della
sua grande autorità alla tendenza nuova.
Da tutto ciò e dal fatto che, non ostante le aste e la divisione in tre
gruppi, la sostanza delle convenzioni rimaneva invariata, Topposizione trasse
sempre maggior forza. Aggiungevansi lo scontento generale deirAdriatico, e
quello particolare di Napoli e di Palermo, che ritenevansi danneggiati, e
una infinità di minori lagni per approdi desiderati o per altro. La situazione
si presentava dunque assai difficile.
Dal complesso delle cose appariva manifesta la impreparazione politica
del paese, che si dibatteva in mezzo ad una serie infinita di questioni par-^
l'industria dei trasporti marittimi 51
ziali 6 perdeva così di vista la principale. Le grandi comunicazioni ocea-
niche, quelle che più drogai altra sono destinate a fare la fortuna di un
popolo intraprendente nei commerci marittimi, parevano dimenticate. Le esi-
genze dei porti, specialmente secondari, erano quanto si può dire eccessive:
non ve n*era uno che non avesse buone ragioni da mettere innanzi per do-
mandare il tale 0 tal altro servizio non considei'ato nel disegno di legge, o
l'approdo dei piroscafi addetti a tale o a tale altra grande linea oceanica.
Ognuno di essi voleva avere il modo di comunicare direttamente con tutto
il mondo quasi senza trasbordi; in una parola: 1* interesse generale della
nazione era soffocato sotto un fitto mantello intessuto d* una infinità d' in-
teressi parziali più o meno estesi, ma in gran parte limitatissimi e molto
localizzati.
Il concetto di avere pochi grandi porti specialmente adibiti al servizio
delle grandi linee oceaniche aveva trovato benefica e tranquilla applicazione
nel caso dei servizi transatlantici d'emigrazione: Napoli, Genova e Palermo
sono oggi, in forza di questo principio, i tre porti dove si accentra tutto il
movimento degli emigranti in Italia. E questo fatto, assai provvido per T eco-
nomia generale dell'emigrazione e particolare del trasporto degli emigranti,
si è determinato spontaneamente, senza difficoltà, e senza conflitti.
Il concetto analogo applicato più generalmente ai servizi mercantili per
merci e passeggeri, in movimento su grandi linee di lungo corso, incontra
invece difBcoltà gravi in quei porti e in quelle regioni che si credono ta-
gliati fuori dal movimento generale dei traffici, soltanto perchè non compresi
in quegl* itinerari.
Il disegno di legge delle aste, considerava, quasi come appendice, un
servisio così detto « di ooncentramento », il quale, sebbene applicato con
interpretazione restrittiva, e limitatamente ai litorali inferiori della penisola,
si inspirava all'ottimo principio di far dipendere i porti minori dai maggiori,
stabilendo, o piuttosto regolando meglio, una gerarchia necessaria, che già
in gran parte esisteva di fatto e contro la quale si protestava soltanto in
nome d'interessi ristrettissimi.
Ma questa ottima disposizione, seppellita a sua volta in mezzo alle
altre m^giori, e troppo poco sviluppata, come fu detto, passò quasi inosser-
vata, travolta dal tmbine dell'opposizione che involgeva tutto intero il di-
segno di legge, e che oramai, lasciato indietro il suo carattere tecnico, era
diventata opposizione schiettamente politica.
^2 GIOVANNI RONCAGLI
VII.
Seconda fase della lotta per le Convenzioni.
I servizi della Marina mercantile concentrati al ministero della Marina. — Nuova fase
della questione marittima. — Una soluzione intermedia. — Interessi adriatici in
conflitto. — Il contributo di nolo, — Sintesi delPopera parlamentare in materia
marittima. — Contegno delle Compagnie di Navigazione. — La legge Lazzatti. —
La Società Nazionale dei servili marittimi.
La crisi del Gabinetto Giolittì, avvenuta il 2 novembre, interruppe la
lunga disputa.
Il nuovo Gabinetto, presieduto dal deputato Sidney Sonnino e con Gio-
vanni Bettole ministro della Marina, parve a molti promessa di lieta fine
della vexata quaestio.
Nessuno dubitava che il capo della scuola liberista non avrebbe saputo
trovare la soluzione atta a conciliare gli animi; per la qual cosa un senso
generale di fiduciosa aspettativa venne tosto a sostituirsi alla agitazione del
periodo precedente.
Una delle condizioni poste dal Bettole per accettare il portafogli della
Marina, in momento cosi diflScile, era stata — a quanto si afferma — quella
che il Governo provvedesse prima d'ogni altra cosa alla unificazione dei ser-
vizi della Marina mercantile, radunandoli tutti presso il ministero della Ma-
rina. Trovato in ciò consenziente il Parlamento, il 2 gennaio 1910 veniva
promulgata una legge speciale in forza della quale i servizi marittimi e gli
altri ad essi immediatamente attinenti, eccettuati quelli riguardanti 1* emigra-
zione, erano concentrati nel ministero della Marina. Parve che Tatto soddisfa-
cesse una necessità lungamente sentita; ma la fiducia con la quale esso era
stato salutato fu alquanto scossa quando, nella pratica applicazione, codesta
unificazione apparve ridotta al passaggio dei soli servizi sovvenzionati, con
poche altre cose di minor conto, dal ministero delle Poste a quello della
Marina. Già Tesclusione del trasporto marittimo degli emigranti non era
apparsa giustificata da alcun serio motivo; quando poi si cominciò a sapere
che i servizi della pesca marittima e quelli dei porti, spiagge, e fari sareb-
bero di fatto rimasti presso i ministeri d'Agricoltura e dei Lavori Pubblici e
che il trasferimento della Navigazione di Stato dalle Ferrovie alla Marina
non si sarebbe compiuto, quel senso generale di fiducia che aveva accolto la
riforma lungamente invocata venne di molto attenuato.
l'industria dei trasporti marittimi 53
Intaoto, però, soggetto della maggiore attenzione di tutti era sempre il
problema delle 6on?enzioni marittime e dei provvedimenti a favore della
Marina mercantile; tutti amavano confidare che la soluzione di questo sa-
rebbe stata agevolata dalla unificazione compiutasi, per quanto imperfetta ;
perocché in grazia di essa il problema era posto nelle mani del Bettole, che
riscuoteva unanime la fiducia del paese e del Parlamento.
Postosi egli airopera, trovossi innanzi tutto di fronte ad una situazione
profondamente pregiudicata da due fatti Tuno più grave deiraltro: da un
lato Tavvenuta aggiudicazione dei gruppi di servizi ai vincitori delle gare ;
dair altro gl'interessi regionali e locali fortemente acuiti nella lunga con-
tesa e attentamente vigili nel momento presente.
In questa contingenza sarebbe stato impossibile troncare di un colpo
qualsiasi legame col passato e inaugurare tutta in una volta una politica
marinara basata sulle idee propugnate dalla scuola liberista. Quando si pensi
alle clamorose proteste che sollevò in Napoli il fatto che, secondo il pro-
getto Schanzer per le aste, i minuscoli servizi del Golfo e delle isole Pon-
tine, vera continuazione di linee tramviarìe cittadine, erano stati assegnati
al gruppo del Tirreno superiore, che gravitava necessariamente su Genova,
^rà facile comprendere che sarebbe stato atto di poca prudenza tentare di
un colpo il passaggio dalle vecchie consuetudini, diventate tradizioni, ai con-
cetti nuovissimi; i quali, oltre tutto, presentavano un punto debole dal lato
dell'esperienza, che mancava del tutto.
Bisognava dunque ricercare una soluzione intermedia, la quale, tenendo
in giusto conto l'eredità del passato, provvedesse all'avvenire secondo lo spi-
rito dei tempi nuovi ed aprisse alla Marina nazionale la via per linnovarsi
e riconquistare quel posto che, per forza di circostanze, aveva da tempo
perduto.
Il disegno di legge presentato dal ministro Bettole alla Camera dei
deputati TU febbraio 1910, aveva per l'appunto il carattere di una soluzione
conciliativa; perchè, mentre limitava alquanto i servizi da mantenersi in
regime di sovvenzione fissa, faceva una piii larga parte alla Marina libera,
preparandole anche la via per partecipare vantaggiosamente ad alcuni servizi
pubblici regolari, senza assumere vincoli perentori come imponeva il vecchio
regime; tutto ciò mediante l'applicazione di un metodo nuovo detto del
« contributo di nolo » del quale sarà detto in appresso.
Superata mediante accordi con le ditte Peiree e Parodi e col Lloyd
Sabaudo la diflScoltà dipendente dall'awenuta aggiudicazione dei gruppi se-
condo il disegno Schanzer, il Governo promosse la costituzione di una nuova
Società, la quale avrebbe assunto l'esercizio di tutte le linee postali e com-
merciali, cosiddette politiche, comprese nella categoria dei servizi maggiori,
54 GIOVANNI RONCAGLI
Tale a dire con esclusione dei servizi del Golfo di Napoli e delle isole Pon-
tine, delle Eolie, dell* Arcipelago, todcano ecc., che erano oggetto di conyen-
zioni speciali con singoli assuntori. Era fatta eccezione soltanto per una
parte dei servizi postali e commerciali interni deirAdriatico, che sarebbe
stata concessa in esercizio alla Società Puglia di Bari.
L'eccezione parve determinata da un atto di condiscendenza verso inte-
ressi locali piuttosto che da utilità rispetto alla struttura organica del di-
segno; la quale anzi veniva a scapitarci. Infatti suo effetto immediato fu
quello di inasprire la competizione latente fra T Adriatico superiore rappre-
sentato da Venezia e 1* inferiore rappresentato da Bari e Brindisi unite.
In sostanza TAdriatico, che contro il primo disegno Schanzer era in-
'sorto compatto, in nome di un interesse veramente nazionale, quale è quello
della lotta economica contro T invadenza della bandiera austriaca, venutosi
alle gare col secondo disegno, aveva cominciato a mostrare che la cosid-
detta « quistione adriatica » era forse meno internazionale che nazionale:
una questione di prevalenza tra Nord e Sud divideva talmente animi ed in-
teressi che non era stato nemmeno possibile radunare, a momento opportuno,
sufficienti forze finanziarie, per riescire neiraltro intento di dare all'esercizio
dei servizi adriatici in genere un preponderante carattere locale. Per questo,
solo, come è già stato detto, la Veneziana era rimasta soccombente alle aste.
Ora, Teccezione fatta in favore della Puglia avendo acuito la compe-
tizione regionale, indebolì ancora le già deboli forze adriatiche e soprat-
tutto contribuì fortemente a compromettere anziché a facilitare la soluzione
generale.
D*altro canto Napoli e la Sicilia non si tenevano soddisfatte della parte
loro fatta nella assegnazione delle linee sovvenzionate e mostravano di rite-
nere che il contributo di nolo avrebbe giovato più agi' interessi liguri che a
quelli del mezzogiorno, data la proporzione esistente fra gli armamenti liberi
delle due regioni.
Il metodo del contributo di nolo era in sostanza la prima forma pra-
tica che si tentava per l'applicazione di uno dei principi generali della
scuola liberista, quello di comprendere tra i fattori determinanti di un qual-
siasi contributo dello Stato a favore della Marina mercantile il traffico effet-
tivamente compiuto.
Le merci sarebbero state classificate secondo un criterio che si potrebbe
chiamare del merito economico, cioè del benefizio che il loro movimento
in importazione od esportazione, per le vie del mare, arreca alla economia
generale della nazione; e in relazione a codesto merito sarebbe stato deter-
LINDUSTRIA DEI TRASPORTI MARITTIMI 55
minato il contributo da corrispondersi per tonnellata di peso e per mille
miglia. Questo il concetto generale. Ti erano poi delle particolari disposi-
zioni che stabilivano esclusioni o trattamenti speciali di massima, come per
esempio Tesclasione dei trafBci mediterranei, intesa a favorire con preferenza
quelli oltre Suez e oltre Gibilterra, e la concessione di una maggiore ali-
quota di contributo (doppia al massimo) alle navi che fossero impegnate
per non meno di cinque anni su linee regolari in base a speciali conven-
zioni con lo Stato.
La scelta delle merci, la loro ammissione al godimento del contributo,
la determinazione della misura di questo e la periodica revisione di tutta
questa materia, in dipendenza del movimento generale dei trafSci, erano affi-
date ad un « Comitato pei traffici marittimi » , presieduto dal presidente del
Consiglio superiore della Marina mercantile e composto in parti uguali di
funzionari delle pubbliche amministrazioni e di rappresentanti del Commercio
e della Marina mercantile.
Il contributo di nolo come compenso diretto, lo sgravio di alcuni oneri
fiscali (abolizione dei diritti consolari, riduzione delle tasse di ricchezza mo-
bile e di registro, esenzione dalle tasse di bollo) come compenso indiretto,
ed il rimborso della tassa per il Canale di Suez per le navi impegnate su
linee regolari, costituivano il sistema ideato dal Bettole per venire in aiuto
alla Marina libera.
Finanziariamente il disegno assegnava 15 milioni di lire alle linee
sovvenzionate e altrettanti alla Marina in generale, dei quali 4.750.000 ri-
servati air industria delle costruzioni navali e 10.250.000 a quella dei tras-
porti (*).
La novità e l'arditezza della cosa prestando facile esca ai commenti e
alle interpretazioni le piti svariate, spianarono la strada agli oppositori; e
la pubblica opinione, fattasi più che mai incerta in mezzo a tanta convul-
sione d' interessi, agitata anche nel frattempo dalle passioni politiche tutt altro
che acquetate, parve divisa. Da una parte coloro che, pur non riunendo i
principi della scuola liberista, volevano conciliare questi con la politica ge-
nerale, preponderante sempre, rimproveravano al Bettole di avere quasi rinne-
gato sé stesso facendo una parte ancora troppo larga ai servizi sovvenzionati ;
dall'altra i difensori del metodo della sovvenzione fissa s'affannavano a fare
confronti coi disegni precedenti, prendendo generalmente per base questo o
quel particolare, e conchiudevano per la minore convenienza del nuovo disegno,
quale ad essi appariva attraverso le loro minute analisi parziali.
Sopra le due parti, anzi l'una e l'altra dominando, incombeva la pas-
sione politica ; onde si può ben dire che il Bettole, inalzato al potere dalla
(') In questa somma erano comprese L. 1.750.000 come previsione deirammontare
de^li sgravi d*oneri fiscali.
56 GIOVANNI RONCAGLI
unanime fiducia del pubblico italiano, si trovasse d* un tratto solo, investito
da una corrente di ambizioni e di cupidigie politiche, per la quale non era
scopo la soluzione del problema marittimo.
In un memorabile discorso da lui pronunziato alla Camera il 20 marzo
1910, egli dette ampio conto deiropera sua, illustrando in ogni suo parti-
colare il progetto, e la Camera, nonostante Tostilità generale ormai aperta-
mente dichiarata contro il Gabinetto Sennino, lo ascoltò con religioso con-
tegno. Ma egli stesso sapeva ormai che ogni sua perorazione non avrebbe
potuto condurre che ad un successo oratorio, e che il suo discorso sarebbe
stato il « canto del cigno «. Di ciò persuaso, egli chiuse il suo dire con
questa raccomandazione: « Dopo circa due anni di discussione, lunga, appas-
sionata, fate che le risoluzioni della vostra maggioranza rappresentino le
direttive che voi volete siano date alla nostra politica commerciale marit-
tima, la quale non può vivere di dubbi e di polemiche negative. Condan-
nate il nostro programma, ma indicatene un altro » .
In queste parole sta tutta una sintesi dell'opera parlamentare svoltasi
da quattro anni : opera incerta quanto mai, che vale a dimostrare la gene-
rale impreparazione del paese.
L' indomani il Gabinetto rassegnava le 'proprie dimissioni, e la grave
quistione piombava nuovamente nel vuoto.
Durante questo avvicendarsi di studi e di progetti, le maggiori Com-
pagnie di Navigazione, cioè la Navigazione Generale Italiana, la Veloce
e Y Italia che, come già è stato detto, formano sostanzialmente un coi-po
unico, avevano tenuto palesemente un contegno di assoluto disinteresse. Già
neirassemblea generale degli azionisti del 19 dicembre 1908, la Naviga-
zione Generale Italiana aveva deliberato di dedicarsi unicamente a traffici
liberi alla scadenza dei contratti, e uguale contegno aveva assunto la Ve-
loce^ sola delle due appendici della Generale che godesse d*nna sovven-
zione dallo Stato per la linea del Centro America. Sino dal 1907 la Navi-
gazione Generale Italiana, fedele al suo programma di radunare in un
solo fascio quante più forze armatrici fosse possibile, mediante remissione
dell* ultima quota del suo capitale sottoscrìtto (20 milioni), erasi assicurata
la maggioranza delle azioni del Lloyd Italiano, prendendo così una parte
preponderante in queirazienda. Questa condizione di vassallaggio privava il
Lloyd di quella libertà d'azione della quale aveva bisogno per trattare in
nome proprio col Governo, quando vi era stato invitato. Era perciò corso fra
le due Società il compromesso già ricordato, secondo il quale, simultaneamente
alla cessione dei piroscafi, la Navigazione Generale avrebbe nuovamente ceduto
al Lloyd le 85 mila azioni acquistate nel 1907; anzi, come è stato già
detto, anche questo compromesso fu argomento di qualche diffidenza, ^e
nocque alla situazione generale della quistione che si trovava sub Judice.
l'industria dei trasporti marittimi 57
Scaduto col 31 dicembre 1909 il termine di validità del compromesso,
e col 81 marzo saccessivo quello di un successivo impegno preso dalla Na-
vigazione Generale per invito del Governo (Giolitti), di tenere il proprio
materiale a disposizione di chiunque diventasse entro quel giorno concessio-
nario di servizi sovvenzionati, la Navigazione Generale Italiana rimaneva
di fotte padrona del Lloyd Italiano, come già lo era della Veloce e del-
l'/to/m.
Alla caduta del Gabinetto Sennino la situazione si presentava dunque
nel modo che segue : le quattro maggiori Società, strette in un fascio, costi-
tuivano un gruppo che, per dichiarazioni più volte ripetute, non avrebbe
partecipato a servizi sovvenzionati.
Di probabili assuntori di questi non restavano che il Lloyd Sabaudo,
la Puglia e la Società Veneziana, che, insieme unite, rappresentavano una
potenzialità capitalistica di 86 milioni, cioè meno di un terzo di quella
rappresentata dalle quattro maggiori di fatto congiunte, la quale era ormai
di 111 milioni. .
Air infuori di queste Compagnie già in essere, e delle società Naviga-
zione Alta Italia di Torino, Commerciale Italiana di Genova, e Caricatori
e Searitori riuniti di Brìndisi, quest^ultima di assai modesta potenzialità,
specializzate in trasporti unicamente commerciali, e dì alcune altre minori
dedite esclusivamente al trasporto degli^emigranti o a piccoli sei-vizi locali
0, come il Servizio Italo- Spagnuolo, fomite di materiale decrepito, non vi
erano in tutta V Italia altri possibili assuntori oltre le Ditte Peirce e Parodi,
già note per la parte presa nelle precedenti competizioni.
D'altra parte il disegno di legge del Bettole, quando anche fosse stato,
in fondo, ritenuto preferibile, non poteva essere ripresentato alla Camera
senza che questo atto assumesse un significato troppo palese di avversione
politica contro il capo del cessato Gabinetto.
Per tutte queste ragioni, aggravate poi dair urgenza, perchè al 30 giugno
scadeva il termine ultimo delle convenzioni in corso, ed ogni tentativo ftitto
dal Governo per ottenere una nuova proroga era fallito, il Presidente del
Consiglio, on. Luzzatti, si appigliò al partito di prendere tempo, adottando
una misura provvisoria che bastasse ad assicurare la continuità dei servizi,
sino a quando si fosse potuto, dopo ulteriori studi, provvedere definitiva-
mente.
L' impressione che produsse in paese la dichiarazione fatta in proposito
dal Luzzatti nell* esporre al Parlamento il suo programma di Governo, fu
di sorpresa. Dopo otto anni di studi e di discussioni, male si comprendeva
la necessità di studiare ancora. D*alti-a parte la sospensiva non implicava
soltanto la questione dei servizi sovvenzionati, ma tutto il problema marit-
timo, in quanto che il Luzzatti, nello esporre il suo divisamente, aveva
illnstrato la asserita necessità di compiere nuovi studi con la incertezza
58 GIOVANNI RONCAGLI
che regaava ancora sulla scelta del metodo da preferire, cioè fra le idee
della vecchia scuola, a base di sovvenzione fìssa, e quelle della scuola li-
berista.
Ma l'impressione non condusse ad alcuna azione che contraddicesse il
proposito del Governo.
Per opera specialmente personale del Luzzatti, fu subito promossa la
costituzione di una nuova Società anonima, detta Società nazionale di ser-
vizi marittimi, con un capitale di almeno 15 milioni, la quale avrebbe
assunto temporaneamente i servizi postali e commerciali per la Sicilia e la
Sardegna, la Tunisìa, la Tripolitania, T Egitto, il Levante, il Mar Rosso,
lo Zanzibar, T India e la Cina, in base ad una convenzione stipulata il 27
aprile 1910, da approvarsi dal Parlamento, per la durata massima di tre
anni (1 luglio 1910-30 giugno 1913), con facoltà di risoluzione di anno in
anno da parte del Qoverno, mediante preavviso di sei mesi e contro paga-
mento di una sovvenzione annua complessiva di 9.200.000 lire. Speciali
clausole regolavano la costruzione di materiale nuovo per 2Ì.000 tonnellate,
in due periodi, e la cessione di questo e di tutto il rimanente materiale
in servizio ai nuovi concessionari, quando sarebbero state approvate per
legge convenzioni definitive.
Contemporaneamente erano state stipulate le convenzioni:
a) con la Società Veneziana di navigazione a vapore, per il servizio
commerciale tra Venezia e Calcutta: con la sovvenzione di 1.000.000;
b) con la Veloce, per la linea del Centro America: con la sovven-
zione di 500.000 lire;
e) con la Puglia, per alcuni servizi deirAdriatico e di concentra-
mento (raccoglitori e distributori da e per piccoli porti) : sovvenzione
1.250.000 lire;
d) col sig. Carlo Allodi di Livorno, per i servizi deirArcipelago
Toscano: sovvenzione 400.000 lire;
e) con la Società Siciliana di navigazione a vapore, per servizi
con le isole Eolie e di concentramento sulle coste siculo: sovvenzione
385.000 lire;
/) con altra Società da costituirsi per i servizi del Golfo di Napoli
e delle isole Pontine: sovvenzione 220.000 lire;
g) con la Sicania, per le comunicazioni con le Egadi e le Pelagio :
sovvenzione 305.000 lire;
h) col Banco di Roma, per il servizio fra Tripoli e Alessandria
d'Egitto: sovvenzione 195.000 lire;
i) con la Società olandese Nederland, per il servizio postale e com*
mereiaio fra l' Italia e le Indie Neerlandesi (linea Genova-Batavia) : sovven-
zione 70.000.
l/lNDUSTRIA DEI TRASPORTI MARITTIMI 59
Le convenzioni con la Veneziana e la Veloce non erano che proroghe
per tre anni di quelle in corso; tutte le altre avevano la durata di 15 anni,
eccetto quella con la Nederland, che era limitata a 10 anni.
Camera e Senato, mossi dal desiderio di non prolungare ancora la ormai
troppo lung^ e varia vicenda ; compresi più che altro della necessità di evitare
una sospensione di servizi, gli effetti della quale non si potevano prevedere,
approvarono frettolosamente il disegno di legge presentato dal Ministro della
Marina, ammiraglio Leonardi- Cattolica, di concerto col Luzzatti. I due rami
del Parlamento si limitarono a richiedere al Governo dichiarazioni esplicite di
impegno a presentare un progetto definitivo alla ripresa dei lavori parla-
mentari; e Ton. Luzzatti, non avendo esitato ad impegnarsi (\), la legge fu
promulgata il 13 giugno.
Essa provvedeva anche a prorogare sino al 31 dicembre 1911 le dispo-
sizioni vigenti a favore della Marina mercantile ; aboliva i diritti consolari;
riduceva le tasse di registro e bollo; prorogava al 30 giugno 1911 il ter-
mine stabilito dalla legge del 5 aprile 1908 per presentare al Parlamento
proposte di riordinamento della Cassa Invalidi della Marina mercantile;
regolava finalmente, con disposizione speciale, la posizione fatta dalle sopray-
yenute vicende agli aggiudicatari delle linee Ravenna-Trieste e Bayenna-
Fiume, soli rimasti tali in seguito alle aste del 1908.
La nuova Società nazionale di servizi marittimi, alla quale avevano
aderito, oltre diverse ditte industriali e bancarie nazionali, anche la Società
commerciale italiana di navigazione di Genoya, fu legalmente costituita
in Boma il 19 giugno 1910, con rogito del notaio Umberto Serafini, e col
P luglio 1910, contemporaneamente a tutti gli altri assuntori di servizi
nuovi 0 prorogati, e mentre s* inaugurava il servizio di Stato fra il conti-
nente e le maggiori isole, intraprese Tesercizio con 62 piroscafi cedutile
dalla Navigazione Generale Italiana al prezzo di 22 milioni, e mantenendo
la rete di ufBci e di agenzie già impiantata da quella Compagnia per le
linee ch'essa abbandonava.
Il resto della flotta già impiegata dalla Generale nei servizi sovven-
zionati, andava ripartito fra alcuni dei nuovi assuntori e altri armatori na-
zionali : soltanto i piroscafi che avevano seryito sulle linee della Sicilia, ora
passate allo Stato, emigi-arono sotto la bandiera spagnuola.
(*) Con Tart. 18 era fatto obbligo al Governo di presentare entro il 1 dicembre 1910
un disegno di legge per Tordinamento definitivo dei servizi sovvenzionati e per i prov-
vedimenti a favore delle industrie marittime, e nn altro per Tistitazione del Credito
Navale.
60 GIOVANNI RONCAGLI
Vili.
La situazione generale nel 1910.
La Manna mercantile nazionale nel 1910, paragonata con le Marine straniere. - Conclnsionì.
Con questo atto della volontà uazìonale si chiude la cronistoria dei
trasporti marittimi italiani dalla fondazione del Regno ai giorni nostri.
Trattasi di un atto provvisorio, consigliato da circostanze delle quali nessuno
è responsabile individualmente, ma che sono la conseguenza d' uno stato gene-
rale della coscienza pubblica, determinato da insufiBciente esperienza.
Le aspirazioni nazionali sono per un ordine di cose deUnitivo, adeguato
ai grandi interessi dei quali si tratta, degno della storia marittima che vanta
la nazione e tale da rianimare le forze presenti, facendone zampillare delle
nuove dalle fonti oggi latenti.
Per fare che queste aspirazioni siano soddisfatte è anzitutto necessario
che gl'Italiani si raccolgano e, temprandosi nell* esempio di popoli più forti,
guardino anche con occhio imparziale il cammino percorso in questo mezzo
secolo: vedranno che, dopo tutto, vi ha motivo a compiacersi. Se lo stato
presente della nostra Marina mercantile non è ancora quale lo dobbiamo
desiderare, esso tuttavia ci mostra che un notevole progresso assoluto, per
quanto riguarda il materiale, è stato fatto : e non è né utile né giusto rim-
proverarci da noi stessi di un regresso relativo, che si deve unicamente allo
straordinario slancio di altre nazioni marinare assai più ricche e più potenti
di noi, e a cause generali che, come l'invenzione del vapore e Tadozione del
ferro e dell'acciaio per le costruzioni navali, ci hanno messo in condizioni
di inferiorità rispetto ad altri paesi più favoriti dalla natura. È utile piut-
tosto valutare serenamente questo nostro regresso, sorvegliarlo, studiarne
meglio le cause, ma col proposito di scoprire i rimedi e di adottarli. È vero
che razione tutoria dello Stato fu incerta, insufficiente, errata forse anche
qualche volta; ma non per questo dobbiamo vedere il male più grande di
quello che é, e tanto meno disperare di dominarlo.
Quando ricordiamo con amarezza che Tltalia ebbe un tempo la prima
Marina mediterranea, abbiamo torto di dolerci di una decadenza che non é
avvenuta mai, perché anche oggi, come allora, la Marina mercantile italiana
é la prima nel Mediterraneo per numero di navi a vela ed a vapore e per
tonnellaggio totale : l'austriaca é inferiore alla metà come tonnellaggio, e la
francese, che nel totale ci supera a]»pena per poco più di Vb ^ol totale nostro
tonnellaggio, gravita forse più suU* Atlantico che sul Mediterraneo, o almeno
in misura presso a poco uguale.
l'industria dei trasporti marittimi 61
La nostra inferiorità rispetto ali* Austria consiste piuttosto nella propor-
zione tra il naviglio a vela e quello a vapore. L'Austria è fra tutte le na-
zioni d'Europa quella che ha fatto la più ampia sostituzione del vapore alla
vela, superando di molto anche la Qran Bretagna. Essa infatti, non conside-
rate le navi inferiori a 100 tonn., conta oggi un tonnellaggio netto di velieri
che oltrepassa di poco la millesima parte di quello dei piroscafi, mentre per
la Gran Bretagna la stessa proporzione è ancora oggi di circa un decimo,
per la Francia di poco più di cinque decimi e per noi di oltre sei decimi.
E non dobbiamo dimenticare che se ci fanno difetto il ferro ed il car-
bone, per contro abbiamo in casa una ricchezza che ci fu sempre e ci è
ancora invidiata : i nostri marinai. Le attitudini ataviche della nostra gente
di mare al lavoro professionale sono così vaste e varie che la formazione della
Marina a vapore non ha creato mai spostati nella Marina italiana : i vecchi
nostromi e i marinai del periodo velico, alla stessa guisa dei carpentieri
dell'età del legno, non hanno dovuto £are grandi sforzi di adattamento per
educarsi alle esigenze del nuovo mestiere ; i nostri capitani che un tempo, a
buon diritto, ebbero fama di abilissimi condottieri di navi a vela, audaci e
prudenti a tempo debito, manovratori sicuri ed eleganti, hanno riversato nel
campo dell'arte nuova del navigare a vapore tutto il prezioso capitale delle
loro qualità professionali. E tutti, dal capitano al mozzo, dal direttore di
macchina all'umile carbonaio, hanno conservata intatta quella virtù invidiabile
che ò la sobrietà, garanzia suprema per gli uomini e le cose che ad essi deb-
bono affidarsi nel grande toiiieo mondiale dei traffici: la statistica degli in-
fortuni marittimi è documento che parla molto alto per il buon nome del
marinaio italiano.
Tutto questo è forza : forza produttiva quanto mai, che domanda soltanto
un sapiente sistema di utilizzazione. Verso questa forza il paese ha il dovere
di rivolgere le sue cure più amorevoli e costanti, per conservarla e maggior-
mente renderla feconda.
La storia di questi primi cinquantanni di vita marittima nazionale, vista
nel suo insieme con occhio sereno, ci dice che Tltalia è sulla via del pro-
gresso, nonostante le incertezze, nonostante gli errori, a malgrado di parti-
colari avarizie della natura stessa, sì prodiga invece sotto altri aspetti verso
di noi.
Nel 1862, primo anno per il quale si abbia una regolare statistica,
l'Italia possedeva 57 navi a vapore per un tonnellaggio complessivo di 10.228
tonnellate; nel 1908, ultimo delle statistiche pubblicate, le navi a vapore
provviste di atto di nazionalità sono 626, e il loro tonnellaggio totale è di
566.738 tonnellate. 11 tonnellaggio medio unitario dei piroscafi, che nel
1862 era di 180 tonnellate appena, nel 1908 era salito a più di 900 ton-
nellate; e la variazione annuale, sia numerica, sia del tonnellaggio totale,
durante l'intero perìodo è stata sempre un incremento.
62 GIOVANNI RONCAGLI
Dei piroscafi inscritti al 31 dicembre 1908 nelle matricole del naviglio
nazionale (626, come è stato detto), 343 sono di tonnellaggio lordo superiore
alle 500 tonnellate, e 31 superiori alle 5000, sino oltre le 9000 tonnellate
di stazza lorda; soltanto 185 sono inferiori alle 100 tonnellate.
Parimenti nel 1862 i velieri inscritti erano 9356, per tonnellate 643.946;
crebbero in numero e tonnellaggio sino a superare la cospicua cifra di un
milione di tonnellate negli anni 1876 e 1877; poi diminuirono, riducendosi
a poco più di mezzo milione di tonnellate nel 1896 ; ebbero un lieve incre-
mento fra il 1896 e il 1903 per effetto specialmente della legge sui premi,
poi ripresero il cammino della decadenza in numero e tonnellaggio. Questa
degradazione avviene, da quel tempo in poi, con ragione annuale quasi
costante.
Nel 1908 i velieri non rappresentavano più che 453,324 tonnellate,
delle quali 95.730 appartenenti a navicelle inferiori a 100 tonnellate, in
massima parte costituenti il naviglio peschereccio.
Oggi oontiamo anche velieri di oltre 2000 tonnellate a scafo metallico ;
il tonnellaggio medio dei velieri di stazza superiore a 100 tonnellate, che
sono in tutto 628, è di 570 tonnellate, mentre nel 1880 era di 425.
Tutto ciò significa che, ove perdurino le condizioni attuali per rispetto
al movimento annuale del tonnellaggio, la proporzione fra il naviglio a vela
e quello a vapore potrà, in un decennio, discendere a due decimi appena,
ossia al doppio di quella che si verifica presentemente nella Gran Bretagna:
e quel giorno, se verrà, avremo, da questo punto di vista, superato la Francia,
se essa non avrà in quest'ordine di fatti mutato le odierne sue condizioni,
che sono, del resto, da lungo tempo stazionane.
Tra le Marine d'Europa, la nostra occupava nel 1872 il quarto posto
per tonnellaggio complessivo, superando la Germania e non essendo superata
che dalla Qran Bretagna, dalla Norvegia e dalla Francia : da quest'ultima
per meno di 60,000 tonnellate soltanto. Ed era la quinta tra le Marine del
mondo, perchè superata anche dagli Stati Uniti, che venivano, come sempre
vengono, secondi. Oggi la Marina italiana, quinta per tonnellaggio complessivo
fra le Marine d'Europa perchè superata e di molto anche dalla Germania,
è al settimo posto tra le più grandi Marine del mondo, superata di recente
anche dal Giappone, e superando a sua volta la Spagna, la Russia, l'Olanda,
la Svezia e rAustria-Ungheria. Ma per considerare la forza e la vitalità
dì un organismo come quello della Marina mercantile, non basta il pamgone,
unicamente statico, dei tonnellaggi : vi è un altro elemento che più importa
tenere in conto, e questo è la ragione aritmetica dell'incremento annuale del
tonnellaggio. Sotto questo punto di vista la Marina italiana è la quarta in
Europa, superando — e in misura notevole — anche la Fi-ancia ; ed è la sesta
del mondo. Uguale posizione le spetta se, invece di considerare l'incremento
del tonnellaggio, si considera quello nimierico del naviglio.
l'industria dei trasporti marittimi 63
L^inferiorìtà dell'Italia, incorreggibile forse perchè fatale, consiste assai
meno nella potenzialità della sua Marina mercantile che nella partecipazione
della bandiera estera ai traflSci nazionali. Il legame tra questi due elementi
della nostra economia marittima è assai meno intimo di quel che appaia a
prima giunta; perchè l'invadenza della bandiera straniera nei nostri porti, fa-
Yorita in modo eccezionale dalla nostra posizione geografica, non soltanto
rispetto al Mediterraneo, ma anche rispetto alle grandi vie del traffico in ge-
nerale ed a quella deirEsti-emo Oriente, per il Canale di Suez, in parti-
colare, non è tanto determinata dalla massa del tonnellaggio, quanto dalle
tariffe più miti che la bandiera estera può fare per i nostri trasporti. E
finché noi saremo costretti a pagare il carbone a prezzi così elevati come
quelli che pagammo sinora, in confronto delle Marine che lo hanno in casa
propria a mitissime condizioni, anche un notevole aumento del tonnellaggio
nazionale non potrebbe avere sul fenomeno della partecipazione straniera ai
nostri traffici marittimi tutta la ripercussione che si potrebbe credere. Né il
regime di liberismo commerciale che noi abbiamo adottato dalla fondazione
del nuovo Regno, e i conseguenti criteri generalmente seguiti nella stipula-
zione dei trattati di commercio e di navigazione potrebbero facilmente con-
sentire misure protettive senza esporci a rappresaglie, sia pure fuori del campo
strettamente marittimo.
La Marina mercantile della Terza Italia, ha certamente davanti a sé
un avvenire di lotta ; e se molto debbono ancora fare Governo e Parlamento,
perchè essa lo affronti preparata, molto ancoi'a spetta agli Italiani di fai-e
da sé ; e a spronarli verso una migliore utilizzazione delle loro energie, che
non sono piccole, può giovare uno sguardo al passato che abbiamo qui a
grandi linee riassunto.
Non siamo lontani dal giorno in cui la influenza di un altro avveni-
mento mondiale, simile a quello che fu Tapertura del Canale di Suez, si
farà sentire. La nazione italiana, appena ricomposta allora, turbata ancora
economicamente dagli strascichi delle guerre per la indipendenza, non seppe,
né potè prepararsi come sarebbe stato necessario, pure avendo chiara, seb-
bene forse esagerata, la visione di ciò che sarebbe stato Tindomani del gran
fatto.
Quando anche Panama aprirà il passo alle navi, questo nostro Medi-
terraneo acquisterà importanza ancora maggiore che esso oggi non abbia,
come tratto della grande fiumana di traffici che dalle coste atlantiche del-
l'America, per Gibilterra e Suez, e di là per le Indie, la Cina e l'Australia
e traverso al Pacifico si ricongiungerà in Panama alla sua origine. Questo
enorme fiume, che percorrerà il mondo intero quasi secondo un circolo mas-
simo, e verso il quale convergeranno infiniti affluenti dai due emisferi, riverserà
nel Mediterraneo un'onda sempre piii gagliarda di traffici; i nostri porti,
se saranno bene preparati a riceverla, come oggi non sono, ne trarranno ampio
64 GIOVANNI RONGAGLI - L'iNDUSTRU DEI TRASRORTI MARITTIMI
Tantaggio ; ma d*alka parte la concorrenza straniera jì ai preBentnà con forze
nuove, contro le quali dovrà lottare la noatra Marina. La nostra pania^
che è paese di transito per eccellenza, che è stata in tempi anche recenti
paese di invasione bellica, e lo è oggi di invasione economica, vedrà intensifi-
carsi quelli fra codesti suoi caratteri, che sono conseguenza della sua posi-
zione geografica, della conformazione topografica delle sue spìaggie e dei suoi
porti, del suo clima che ne fa un paese desiderato, della sua storia, della
genialità del suo popolo, che alle bellezze e alle risorse naturali della propria
terra, altre bellezze, altre risorse ha saputo aggiungere durante secoli e secoli
dì civiltà.
Da questo progredire dei traflSci marittimi, che avranno per mòta, o per
origine, o per luogo di sosta i nostri porti, l'Italia può trarre grande profitto
come può ricavare notevole danno. Andare incontro all*uno o all'altro è cosa
che dipende assai meno da circostanze che da sapienza e volontà di uomini :
Tavvenire dell* Italia sul mare non ò in balìa del caso, ma nelle mani del
suo popolo.
Roma, 30 luglio 1910.
Gomanduite 0. BoNOAOU.
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE
NELL' ULTIMO CINQUANTENNIO
L
La Società Geografica Italiana (S. G. !.)•
Dairitalia irradiò il lume del sapere, e della civiltà classica approfit-
tarono i popoli tutti d'Europa, mentre erano costituiti o si costituivano in
nazione. Ammirato il nostro paese ed ambito da tutti, trovò in ciò il sa-
premo ostacolo per conseguire la propria indipendenza; a cui va aggiunto, per
fatalità storica, che in Italia ebbe sede il papato.
Mentre i popoli d'Europa, aggruppati in nazioni distinte, avocarono a so
tutti i beneficii che i commerci e la evoluta civiltà seppero elargire, noi,
asBai tardi^ per sforzo supremo di volontà popolare, coadiuvato dalla di-
nastia di casa Savoia, abbiamo conseguito la libertà e la ìndipendeaza.
Sedemmo al banchetto delle nazioni, ma le esigenze del tempo tro-
varono noi mal preparati, con mezzi economici scarsi, con bisogni urgenti
da soddisfare in casa nostra e con tradizioni secolari cattive; d'onde, a
scopo d'imprese, manchevole o nulla l'offerta pecuniaria individuale, della
quale, più che dei mezzi dello Stato, si valsero e si valgono le grandi
nazioni straniere in imprese a scopo di ricerche scientifiche e di esplo-
razioni.
Debbo esporre in poche pagine la parte presa dall'Italia nelle « esplo-
razioni geografiche « nel cinquantennio di nostra unità, e dire dell'azione
esercitata dalla S. G. I. e dalle Società consorelle, nonché dell'ausilio even-
tualmente offerto dai Poteri dello Stato; questo io debbo narrare per vo-
lontà di chi ha iniziata l'opera, della quale questa monografia fa parte.
Doveva essere l'illustre decano dei nostri geografi il narratore, egli che
lumi e consiglio apportò nelle maggiori nostre esplorazioni e nelle più glo-
riose : ma le sue occupazioni di dovere e la matura età ne lo sconsigliarono ;
Elia Millosbvich. — Le principali tiplorasiom, ecc. 1
ELIA MILLOSBVICH
ed io, pur sapeado che altri meglio di me avrebbe detto, geografo io non
essendo, dovetti obbedire all'invito.
La prima cosa che interessa mettere in luce è che non mancarono in Italia
nomini animati da alte idealità, da sodi propositi, da coltura appropriata, da
spirito di abnegazione, e da coraggio personale, ai quali la natura aveva donato
il talento esplorativo ; ed è proprio di questa falange che dobbiamo occuparci,
perocché i meriti di essa tanto avanzano in eccellenza quanto scarso trova-
rono l'appoggio morale e materiale esteriore, e per le ragioni sopraddette e
perchè tanto più faoile ed eflScace è Tiniziativa personale quanto è più ele-
vata la coltura media di una nazione; e l'Italia, per sforzi che pur abbia
fatti, troppo di recente consegui TiDdipendenza per raggiungere la linea di
livello di altre nazioni; e il problema educativo la affanna, incerta se il
pane della coltura media debba mantenere il lievito classico o sostanziarsi
di fermento scientifico moderno.
A sorreggere Tiniziativa personale, ad incoraggiarla, ad illuminarla, e,
nell'assenza quasi completa di mecenati, a fornire i mezzi materiali per la
esplicazione, è benemerita, per quasi l'intero periodo del cinquantennio di
libertà, la Società Geogra/iea Italiana (S. G. L), della quale intendiamo
occuparci prima di parlare e delle esplorazioni geografiche proprio nostre,
e dell'opera di italiani in esplorazioni esotiche (').
Quando nel 1867 sorgeva a Firenze la S. Q. I., avendo per suo primo
presidente il barone Cristoforo Negri (1867-72), già esistevano numerose So-
cietà geografiche anche fuori d'Europa : alcune, come quelle di Parigi, Ber-
lino e Londra, di antichissima data (1821-80).
Tentativi di una Istituzione consimile non erano mancati nei tempi che
precedono il nostro risorgimento: ma la psiche italica anelava alla propria
libertà, gli ideali di studio e di ricerca parendo ed essendo in fatto subor*
dinati al grande concetto della redenzione della patria.
La Società, fino dalle origini sue, si presentò come un'accolta di per*
Bone amanti le cose geografiche, non mai come un manipolo di tecnici atti
a dirigere o un'Accademia geografica o un organo di geografia assolutamente
scientifica; questo suo carattere le permise l'aggregazione numeiiosa, le fornì
meno stentati mezzi economici, le agevolò la rinomanza e le diede facile e
fruttifero accesso presso i poteri dello Stato; i veri geografi v'erano, come
vi sono oggi, e la loro autorità diede, come dà anche ora, lustro all'Istitu-
zione. A questi uomini insigni, donatisi esclusivamente alla scienza, parve
qualche volta non sempre elevata la produzione resa pubblica dall'organo
della Società (Bollettino della Società Geografica Italiana — Boll. S. G. I.),
dimenticando l'indole e gli intenti dell'Istituzione, e astraendo dal sentimento
e dalla coltura tecnica della grande maggioranza dei soci.
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE o
È opportuna ancora un'altra riflessione (^). Scintitelo la Società col
nome di « geografica italiana » ; cioè, i fondatori vollero che avesse più ca-
rattere generale che locale, o, meglio, più carattere estensivo che intensivo^
quale sarebbe stata una Società « corografica italiana *. Lo studio di ea$a
nostra^ nei primi anni dell'unità nazionale, doveva essere rivolto ai grandi
fattori corografici, che non potevano essere assunti che dai poteri dello Stato ;
trattavasi nientemeno che di rilevare 1* intera Italia, coste e terre interne, su
basi scientifiche nuove ; trattavasi d'iniziare la Carta Oeologica, di re^imen-
tare su elementi scientifici la statìstica, e che so io: cose tutte che più tardi,
0 complete o già bene incoate, fornirono la materia prima per studi parti-
colareggiati ed intensivi, ai quali possono tendere i geografi con le forze
personali e con modesti sussidi.
Dunque: obbietto geografico estensivo, con che le adesioni sarebbero
state, come furono, fin da principio numerose; iniziare Téra delle esplora-
zioni là dove oravi da esplorare con speranza di gloria alla patria e di be-
neficio.
Con prudenza e con audacia, secondo T indole dei reggitori: con fortuna
0 meno, secondo i tempi : col soccorso pronto ed intenso, oppure lento e sten-
tato, dei poteri dello Stato, la S. G. I. mantenne sempre il suo programma,
ebbe trionfi e sconfitte, gioie e lutti ('), gravi ma fallaci, anzi stolte e col-
pevoli, accuse, sincere e valide difese; ma, tirate le somme, sema di essa^
buona parte della gloria che venne all'Italia da esplorazioni geograficlie no-
strali sarebbe mancata.
Se la forma usuale della sua non interrotta pubblicazione (il bollet-
tino) (^) doveva avere un carattere tale da soddisfare la maggioranza dei soci,
ciò non impedì che in esso trovassero posto Memorie originali, che fin
da principio venissero create fondazioni di premi per meriti geografici, che
sussidi si elargissero a viaggiatori, e si offrissero medaglie d'oro e titoli ono-
rifici. I premi Principe Umberto, poi Re Umberto, e il premio Canevaro, in-
formino. Del resto, la Società, o meglio chi ne resse le sorti, seppe provve-
dere, colla pubblicazione delle Memorie (I-XIII), alla diffusione di lavori di
ampia mole e tecnici, che male avrebbero trovato posto nel Bollettino, anche
perchè, di necessità, sbocconcellati.
Ancora quando la Società dimorava a Firenze, venne da essa iniziata la
sua prima spedizione geografica, come a suo tempo diremo.
Frattanto l'Italia completava la sua unità il 20 settembre 1870, e la
Società, un anno e mezzo dopo, si trasportava a Boma, e un po' più tardi
eleggeva a suo presidente Cesare Correnti (1878-79).
Questo periodo della S. 0. I. è certamente uno dei più splendidi e
dei più fecondi; tribntansi onoranze a benemeriti viaggiatori, di cui in ap-
presso far dovremo i nomi; sussidi, intercessioni, incoraggiamenti non man-
carono; affermasi nobilmente la Società con l'opera Gii studi bibliografici
ELIA MILLOSEVICH
e biografici sulla storia della geografia in Italia, e ciò al Congresso geo-
grafico internazionale a Paiigi, nel 1875 (^).
Ma l'opera più grandiosa della presidenza Correnti è la spedizione di
esplorazione col proposito di raggiungere i laghi equatoriali africani, col pro-
posito quindi di arrivare prima allo Scioa e poi spingersi fra i regnuncoli
di mezzodì, in paesi appena appena noti di nome. Non è questo il momento
di parlarne; qua devesi soltanto dire che l'impresa grandiosa e, per fatali
circostanze, le appendici di essa, uscirono bentosto dall'ambito scientifico,
perocché i mezzi finanziali non poterono di necessità essere forniti dalla sola
Società, ma vi concorsero S. M. il Be, il Governo, e l'intero paese. L'im-
presa, di conseguenza, ebbe il pubblico italiano non soltanto quale ascolta-
tore, ma quale giudice, non sempre benigno, perchè quasi sempre male in-
formato, e, nolenti la Società e i suoi maggiorenti, le cose assunsero tinta
politica, della quale non si avvantaggiò certo la istituzione ; anzi voglio sog-
giungere esser da qualche tempo che il pubblico italiano, o, più esattamente,
la stampa pubblica, nelle imprese gloriose, e a puro scopo scientifico, della
Società, vide spesso un'azione politica, quasiché la Società, nelle cose di
Africa, dovesse o volesse coprire col suo nome l'opera dei poteri dello Stato,
mentre la Società camminò sempre per la sua via, spesso dallo Stato sor-
retta, e a questo dando in compenso i lumi del suo sapere, quando questi
lumi vennero richiesti, giammai facendone offerta.
Né l'opera grandiosa della esplorazione al Sud dello Scioa distolse la
Società da altre più modeste spedizioni, ma non senza importanza, le quali
passarono senza rumore, durante e subito dopo la partenza della missione
diretta all'Africa equinoziale.
Cesare Correnti era uomo politico; l'impresa d'Africa veniva giudicata
con ardore di parte, d'onde la nomina a presidente della Società di don
Onorato Caetani, allora principe di Teano (1879-1887).
La foga di esplorazioni esotiche, ma soprattutto l'eccitazione provocata
dalle vicende, pur gloriose, ma luttuosissime, delle spedizioni verso TAMca
equatoriale, non fu ultima causa che numerosi progetti venissero presentati
da volonterosi ed arditi giovani ; e però l'opera della Presidenza e del Consiglio
direttivo nel periodo che consideriamo, fu assai bene spesa nel vagliare le
proposte, e nel venire in aiuto di quelle che erano serie e promettevano
buoni risultati; a suo tempo, caso per caso, di questa importante fun-
zione esercitata dalla Società dovremo parlare. Di iniziativa sua, almeno
diretta e palese, non era il caso di discorrere; appena adesso rientra in
Italia il superstite della esplorazione, di necessità fermatasi al sud imme-
diato dello Scioa ; egli è festeggiato come merita, e la Società cura la pub-
blicazione della grande opera Da Zeila alle frontiere del Caffa. È di
questo tempo che si accentua in Italia la corrente espansionista ; né questo
sentimento della nazione era fuor di proposito, poiché, ancora tardando,
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE ^
neppure un briciolo coloniale sarebbe rimasto all'Italia, se pur questa non do-
vesse accontentarsi dei rifiuti esotici ; e poiché i bricioli meno contestati e meno
difficili a cogliere, ancora si trovavano nell* Africa orientale, proprio nel campo
delle ricerche scientifiche cui tendeva la Società, essa ebbe cura suprema di
rimanere in terreno affatto estraneo alla politica, pur rendendo allltalia
e ai poteri dello Stato grandi benefici, lumeggiando di scienza le vie, che
pi il tardi sarebbero state aperte ai commerci ed alle colonie.
Un fatto notabile, che può parer estraneo ai nostri propositi, ma che
pure merita di essere ricordato, per il grande credito alla Istituzione, è la
parte suprema presa dalla Società, non tanto nel Congresso internazionale
a Venezia, quanto nell'organizzazione della celebre Mostra, pur internazionale,
di carte documenti ecc. ecc. ; una settantina di sale del suo palazzo offerse
S. M. il Be Umberto, e il mondo geografico straniero ben non sapeva, in
quella solenne circostanza, se più ammirare la Mostra o lo spettacolo che,
dalle finestre del palazzo, Venezia sapeva offrire.
Nel 1887 la Presidenza della Società ò assunta dal marchese Francesco
Nobili- Vitelleschi (1887-91). Qui siamo in pieno periodo della colonizzazione
deirEritrea. Nel 1889, oltre Massaua^ oltre Àsmara, oltre Keren, il Governo
fa riconoscere le regioni fino airAthaiti (Gassala). È dichiarato e si estende il
protettorato italiano lungo la costa della Somalia; già si parla di sfera di in-
fluenza dietro la costa del Benadir, neirinterno, in un interno alVincirca ignoto.
Spedizioni parziali, alcune importantissime, come avremo occasione di vedere,
si svolgono proprio allora, e coi sussidi della Società ; esse dimostrarono che
era scientificamente necessaria una esplorazione di quelle regioni, delle quali
già si occupavano l'opinione pubblica e i legislatori: ma nò Topinione pubblica,
né le Camere, nò lo Stato, sapevano di più di quanto le parziali esplora-
zioni avevano detto; in una parola, era da riconoscere l'intera regione nel-
rinteiiio della Somalia, i corsi dell' Uebi Scebeli e del Giuba, le regioni fra
il Nilo Bianco, i laghi Bodolfo e Stefania e il Sud dello Scioa.
Quanta gloria e quanti pericoli erano riservati ai volonterosi !
E i volonterosi trovarono un grande ed autorevole sostenitore nel mar-
chese Giacomo Doria, insigne naturalista, esploratore egli pure ragguarde-
volo; egli assumeva la Presidenza della Società Geografica in sul principio
del 1891, e la tenne fino al 1900. Le glorie scientifiche più sostanziali
(sotto il riflesso delle esplorazioni di iniziativa completa della Società) fu-
rono còlte in questo periodo, nel quale, per dolorosa fatalità, ebbe luogo la
disastrosa campagna contro TAbissinia. Gli accordi colla Società di Esplc
razione di Milano, i sussidi avuti da S. M. il Be e dallo Stato, che aveva
grande interesse di conoscere l'intero corso del Giuba, l'uomo adatto a di-*
rigore l'impresa e l'entusiasmo di Giacomo Doria, entusiasmo a cui s'aggiun-
geva l'incontestata autorità, permisero la grande impresa della così detta
« prima spedizione Bottego «, di cui dovremo a suo tempo dire: esplorazione.
ELIA MILLOSEVICH
questa, magnifica, che di un tratto allargò la nostra coltura geografica sul com-
pleto corso di un fiume, di cui non conoscevasi che il tratto dalla foce a Bai*-
dera. E poiché sentivasi il bisogno di creare a Lugh una stazione commerciale
italiana, se ne interessò (ben inteso, ofSciata) la Presidenza della Società, colla
•condizione che mezzi economici in aggiunta ai propri le venissero offerti per
risolvere un grande problema geografico che tormentava la scienza, il pro-
blema del corso del fiume Omo, d'onde l'eventualità di esplorare Tignota
regione fra il Nilo Bianco, il Sobat e il lago Rodolfo. La gloria scientifica
raggiunta dalla Società Geografica Italiana nella seconda spedizione Bottego
si mescola ad ineffabili dolori e a lutti, poiché la guerra scoppiava dopo che
la spedizione era partita, e la battaglia di Adua, alle calende di marzo del
1896, aveva luogo quando T intrepido parmense era sul Daua, a Sàlole.
Nella passione politica del momento, nel cuore esulcerato degli italiani
per l'onta subita, devesi, oggi che tante lune ci separano da quei dì, trovar
ragione delle cose stolte e offensive pronunziate in àmbiti autorevoli e scritte
contro la Società, a cui si affibbiarono responsabilità, delle quali essa seppe con
tutta facilità scagionarsi e sulle quali presto le fu fatta piena giustizia ; ma in-
tanto Giacomo Doria, compiuta l'opera sua, curata la pubblicazione anche della
spedizione « all'Omo », dati consigli alla Società di soffeimarsi un momento
nell'aìre delle esplorazioni per rivolgere la sua attività anche a ca$a nostra,
come un valoroso soldato, che ha strenuamente combattuto e vinto, chiese,
e, solo insistentemente richiedendo, ottenne il permesso di riposarsi. A lui
successe nella Presidenza della Società il nostro primo geografo, il prof. Dalla
Vedova, oggi senatore del Regno (1900-1906). Nessuno più competente di lui
a reggere gli organismi dell'Istituzione, che egli aveva per tanti anni scienti-
ficamente e tecnicameate guidati, quale Segretario generale. L'opera sua é
in buona parte nascosta; ti si pre^^enta sotto l'anonimo, o di sfuggita, nei Bol-
lettini della Società, ma valse a far rifulgere di gloria l'Istituto.
Al nascere del ventesimo secolo, dopo una ricerca affannosa ed esten-
siva di tutte le nazioni allo scopo di conoscere quanto della nostra terra
ignoravamo, i grandi problemi geografici, quelli nei quali occorre e basta
l'opera del pioniere, parvero risoluti, se pur si eccettuino le calotte polari e
le aride e desolate regioni dell'interno Australiano. Comincia ora l'opera in-
tensiva, per la quale occorrono preparazione e metodi diversi. Di più, Tantro-
pogeografia einsegna quale fonte di ricchezza nazionale sia il commercio,
quando esso venga reggimentato sopra nozioni e basi sicure. E però le esplo-
razioni commerciali nell'Asia Turca compiute da Lamberto Vannutelli, dietro
consiglio ed ispirazione del prof. Dalla Vedova, debbono essere giudicate
come un'azione altamente importante, compiuta dalla Società Geografica.
Nel 1906, per brev'ora, ebbe la Società Geografica Italiana per presi-
dente il marchese di S. Giuliano, il quale, chiamato dalla fiducia di S. M. il
Re ad alte funzioni, cedette il posto al marchese Raffaele Cappelli, sotto la
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 7
presidenza del quale ebbe luogo uoa ricognizione deir altipiano Etiopico fino
alla regione del lago Tzana e del Nilo Azzurro, riservandosi ad un prossimo
avvenire una esplorazione importante nella mal nota regione della Dankalia.
Oli accenni che precedono in riguardo alla Società Geografica Italiana
parvero proprio necessari aflSnchò il lettore potesse bene giudicare della fun-
zione di essa nel campo delle esplorazioni geografiche compiute da italiani
neirultimo cinquantennio, la Società essendosi costituita ben tre anni prima
dell'occupazione di Boma da parte dell'esercito nazionale.
IL
La Società Italiana di Esplorazioni geografiche e commerciali.
Sooietà consorelle minori.
Consorelle di minore potenzialità, ed anche con scopi diversi, ebbe la
Società Geografica Italiana; ricordo la Società di studt geografici e coloniali
di Firenze, e la Società Africana di Napoli. La prima Istituzione fu in ori*
gine una sezione della seconda, ma poi, col volgere del tempo, divenne
Istituto autouomo, che ha per obbietto gli studii geografici e coloniali ; la
sua pubblicità è oggidì collegata colla pubblicità della Bivista geografica
italiana, un organo di carattere tecnico, diretto da Olinto Marinelli e At-
tilio Mori, e che fa onore all'Italia. La Società Africana di Napoli, benché
con mezzi modesti, pur tuttavia incoraggiò e rese di pubblica ragione nel
suo organo viaggi di esplorazione a scopo specialmente commerciale, così che
qualche volta noi dovremo ricordare il suo Bollettino quando tratteremo in
modo speciale delle esplorazioni italiane in Africa.
Ma la Società italiana di esplorazioni geografiche e commerciali di
Milano, nella sua azione diretta o indiretta a favorire, soccorrere e incorag-
giare esploratori e esplorazioni italiani, ha un*importanza così notevole, e
così spesso l'opera sua intrecciasi con quella della Società Geografica
Italiana che credo mio dovere dire due parole di essa.
Il suo precipuo scopo fu quello di far conoscere le vie migliori al-
l'Italia per gli scambi di commercio coli' Africa; Topera sua quindi non fu
quella d*incoraggiare 1* esplorazione del pioniere, ma quella che immediata-
mente ne segue.
Il cap. Manfredo Camperio fondava in Milano, nel luglio del 1877, una
Bivista mensile, V Esploratore, un periodico in due parti distinte, la scien-
tifica e la commerciale. Uno dei primi atti ioìV Esploratore fu quello di co-
stituire in Milano una Società commerciale per lo Scioa e paesi limitrofi (*)•
S ELIA MILLOSEVICH
Ben presto la prima Società sì trasformò nella « Società di Esplora*
zione commerciale in Africa » (1879). L*azione con iscopo specialmente com-
merciale s'intrecciò beneficamente, in non poche esplorazioni, colla ricerca
puramente scientifica e geografica, venendo designate nuove vie inesplorate,
rettificati molti errori e recati benefici a spedizioni, o inviate in Africa dalla
Società Geografica Italiana, o colà intraprese per iniziativa individuale. Noi
dovremo, a suo tempo, segnalare quelle esplorazioni cbe debbonsi ali* iniziativa
della Società di Milano.
Nel 1887 Y Esploratore si fonde colla nuova sene delle pubblicazioni
sociali, col titolo Esplorazione Commerciale. La Società, sórta, come di-
cemmo, col proposito di indicare le vie e le fonti per cui ed a cui dirigersi
ed attingere dovevano i commerci fra Italia ed Africa, con lo scorrere del
tempo allargò il campo suo di dominazione, specialmente per la cresciuta
importanza dei commerci e delle relazioni coi paesi del Nuovo Mondo, dove
si dirigono e si svolgono le energie dei più forti nuclei dei nostri emigranti.
Ebbe ristituzione momenti lieti e tristi; soddisfazioni e lutti assai gravi,
attività ed arresti: ma i nomi del Camperio, dell'Erba, del Pozzo, del Vi-
goni e di tanti altri, vanno ricordati a titolo di lode, avendo costoro impiegato
mezzi, tempo ed ingegno, avendo sopportato polemiche e spesso lotte, sempre
coUalto proposito di giovare alla patria nostra.
Un notabile patrimonio di coltura geografica, di benefici insegnamenti
a prò' dei commerci, e di norme di cui profittò, o di cui avrebbe dovuto
profittare il paese nella sua energia espansionale, trovansi nelle pubblicazioni
di una Istituzione che conta ben trentatrè anni di vita e che giova sperare
possa aggiungerne molti altri.
III.
Le Esplorazioni geografiche italiane nell'ultimo cinquantennio.
Nel saggio statistico che segue, sono, in ordine di tempo, in modo molto
conciso e con una suddivisione razionale, indicate le principali esplorazioni
geografiche italiane nell'ultimo cinquantennio; un collegamento con date
anteriori, in qualche caso fu necessario e anche doveroso. Testi e fonti, con
numero di guida, trovansi indicati in fine del lavoro.
1. Europa.
Esplorazioni geografiche italiane in Europa, comparabili con quelle
fatte da italiani nelle altre parti della terra, trattandosi dei tempi nostri,
non possono esservi, poiché la coltura geografica nei riguardi dell'Europa ò
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 9
tale che le ricerche moderne hanno carattere strettamente intensivo; esse
sono compiute dai geografi, dai geologi, dai naturalisti dei singoli paesi, a
cui può essersi aggregato o chiamato ad aggregarsi qualche dotto italiano.
Ed in verità la geografia fisica e la geografia antropica dltalia. appunto nel
suo moderno tipo intensivo, è fatta o dovrebbe esser stata fatta tutta da
geografi italiani, proprio come avviene e deve avvenire per gli altri paesi
europei.
Nel campo archeologico il genio italiano, anche fuori d7talia, ma in
Europa, compiva esplorazioni importanti nel periodo che ci occupa; ma esse
escono del tutto dal carattere geografico : come ad esempio quelle recentissime
e classiche fatte a Creta da Federico Halbherr e dai suoi giovani compagni
di lavoro, se pur non si voglia trovarne un nesso colla stona della geografia
antica. Senonchè su questa via difficilmente saprebbesi trovare il limite;
troveranqo esse nobile posto in altra monografia.
Forse non è fuor di proposito ricordare, anche per il tempo nel quale
si compirono, le classiche esplorazioni di
1. Luigi Palma di Gbsnola, a Cipro (1860-70). Era il Cesnola un
antico ufficiale dell'esercito sardo, e le sue scopeite archeologiche a Cipro
possono competere in importanza con quelle di Layard, di Bolzoni, di
Botta, ecc. ecc.
La sua opera: Cyprus, iis ancients Cities, Tombs, ecc., London 1877-
1878, ebbe onori europei C).
2. Possono considerarsi frutto di esplorazioni geogiafiche fatte da ita-
liani in Europa le comunicazioni che leggonsi nel Boll. S. G. L ^mW Epiro,
del console E. Db Gdbkrnatis (1870-75) (^), e il viaggio di
8. Guido Cora in Albania (1874), narrato nel Cosmos e in Boll. S.G.I.
Esso è quasi simultaneo col viaggio dal medesimo compiuto a Tripoli (^).
Ricerche pure in Europa potrebbero qui essere ricordate quando, fatte
a scopo naturalistico, aumentarono le nostre raccolte nei Musei nazionali.
Così ad esempio : La crociera del « Violante » fatta dal cap. Enrico d'Al-
BERTis nel 1876 (suo libro, e voi. XI degli Annali Museo Genova, ecc.), e
altre di simile tipo.
In quanto riguarda TEuropa, non crediamo opportuno altre citazioni di
« esplorazioni », facilmente confondendosi « viaggi » con « esplorazioni »,
anche se in viaggi in regioni ben note siano per avventura stati aggiunti
particolari di carattere intensivo, forse sfuggiti da prima, anche se la men-
talità originale del viaggiatore seppe cavare legami etici per lo innanzi pas-
sati senza osservazione. La demarcazione peraltro è difficile, e però detur
coaciori venia.
Il nostro modesto lavoro comincia ora colle esplorazioni nelle regioni
polari.
10
ELIA MILLOSEVICH
2. Begioni Polari.
Esplorazioni polistiche.
Le esplorazioni in Africa assorbirono baona parte deirenergia italiana.
Era saggio, era giusto che così fosse ; ed in verità, se il nostro paese ò oggi
conosciuto come Stato coloniale, lo ò solo per le sue due colonie in Africa.
Scarso quindi è il contributo italiano in esplorazioni polari.
Nel Congresso geografico internazionale di Londra, parlando delle esplo-
razioni polari, appena appena si fece il nome di Qiacomo Bovb quando si
accennò all'Italia ; non era proprio così che si doveva dire, ma presso a poco
era vero.
Con orgoglio possiamo soggiungere che, cinque anni dopo, un italiano
piantava, il 25 aprile 1900, il vessillo tricolore in latitudine -{* 86^34', cioè
a chilometri 382 dal polo nord, una distanza di poco superiore a quella che
corre da Bologna a Castellammare Adriatico; soltanto un americano più tardi
lo avanzava, il Peary, che ebbe poi la fortuna di avvicinarsi così al polo
nord, il 6 aprile 1909, da esserne lontano di una quantità, per la soluzione
del problema, trascurabile. Procediamo peraltro con ordine.
4. Nella spedizione austro-ungarica, diretta da Carlo Weyprecht e
Giulio Payer col Tegetthoff (1872-74), la quale ebbe per massima sco-
perta quella dell* arcipelago « Terra Francesco Giuseppe », si fa grande lode
ai marinari del piroscafo, quasi tutti italiani (coste Istria e Dalmazia) ('^).
5. Nelle esplorazioni allo Spitzberg, della quinta spedizione svedese, par-
tita da TromsO il 21 luglio 1872, troviamo, per iniziativa della S. G. I., un
delegato del Governo nostro, Tufficiale della R. Marina Edoenio Parent.
Questa spedizione è una di quelle di prova che il grande NordenslgOld
premise prima di tentare il giro della costa nord del continente asiatico, cioè
il classico passaggio di NE ('')•
6. Ed eccoci al fugace accenno di una delle più classiche esplorazioni
del secolo testò revoluto, a quella cioè che rivelò, in via di fatto, essere ac-
cessibile il passaggio di NE.
L'alta direzione deirimpresa tenne A. Nordenskjòld ; Palander comandò
la Vega, e un manipolo di dotti vi fece corona.
Tra essi, con orgoglio, ricordiamo Giacomo Bove, tenente della marina
italiana. Il celebre problema del passaggio trovò pratica soluzione il 20
luglio 1879, avendo la Vega transitato in quel dì lo stretto di Bering, dopo
essere rimasta serrata fra i ghiacci a cii'ca 200 chilometri ad W dello stretto
per ben nove mesi. Devesi alla S. G. I. se Giacomo Bove potè* salire a
bordo della Vega (»*).
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE H
7. L'ufiRciale Alberto db Bensis, nel 1882-83, fece parte, in seguito
ad azione efficace della S. 0. I., della spedizione artica danese colla nave
Dijmphna al comando del capitano A. Hovgaard. La spedizione, cosi avven-
turosa, sì svolse nel mare di Cara; si deve ad essa la scoperta dell'isola
Bujs Ballot, dell'isola, cioè, chiamata col nome del celebre meteorologo, al
quale devesi lo studio del moto dei cicloni (^^).
8. Nansbn, aggiungendo al coraggio la scienza, sicuro della sua teoria
della deriva de' ghiacci, il 24 giugno 1SÌ)3 paitiva colla Fram da Cri-
stiania.
La sua esplorazione è nota a tutti. Egli raggiunse, con battelli e slitte ti-
rate dai cani, la latitudine di 86^ 4'.
Un principe di Casa Savoja, S. A. R. il duca degli Abruzzi, già
maestro in esperimenti difficili, concepisce Tidea dì una esplorazione polistica.
Educato nella scienza ed alla scuola di Nansen, provvede in modo mi-
rabile airapprovvigionamento della sua spedizione, e lascia l'Europa il 3
luglio 1899, raggiungendo, 17 giorni dopo, l'isola più meridionale del gruppo
Francesco Giuseppe.
Le vicende di quella esplorazione con la Stella Polare sono narrate dal
prìncipe stesso ; qui è inutile riassumerle.
Il manipolo illustre destinato alla scalata al polo nord componevasi di
S. A. R. Luigi Amedeo dì Savoja, del comandante Cagni, del tenente di va-
scello Querini, del medico militare Cavalli Molinelli, delle valorose guide
alpine e di due marinai, tutti questi italiani; aggiungasi il norvegese
Stòkken.
Al comandante Cagni toccò la gloria di superare di 30' la latitudine
raggiunta da Nansen. Ciò ebbe luogo, come già dicemmo; il giorno di S. Marco
dell'ultimo anno del secolo passato; un infortunio impedì all'ultimo mo-
mento a S. A. R. di guidare la decisiva esplorazione veiso Nord con slitte
e battelli, partendo dalla baja di Teplitz. Tutto d'un tratto l'Italia era
alla testa di tutte le nazioni nelle esplorazioni polistiche. Grande fu la gloria
conseguita; importanti i risultati scientifici raggiunti in un brevissimo pe-
riodo di tempo ; essi vennero sagacemente discussi. Solo, in tanta soddisfazione
nazionale, la scomparsa fatale del Querini cagionò luttuosa sensazione (^^).
9. Giulio Schoch, tenente di vascello. Note prese a bordo della bale-
niera norvegese Hertha, Riguardano una campagna alla caccia delle foche e
delle balene nel mare Polare (III-V, 1899) con una così detta nave bale-
niera da ghiaccio (^^).
10. La bandiera d'Italia è inalberata in una vetta alta 3910 m., vetta
Savoja, nel gruppo delle Spitzberg, mentre S. M. la regina Margherita
compie colà un'escursione nell'estate del 1903. Già un anno prima che
S. A. R. Luigi Amedeo di Savoja compiesse il mirabile suo viaggio, il nostro
re, allora Principe di Napoli, insieme colla sua augusta sposa, la princi-
pessa Elena, aveva visitato il gruppo suddetto coir « yacht * Jela (*^).
12 ELIA MILLOSEVICH
N.B. Ud ricordo della spedizione antartica Scott (1903), allo scopo di
eseguire un rilievo magnetico attraverso la Terra Vittoria, deve qui essere
fatto, perchè uno degli scienziati della spedizione era Tastronomo Luigi Ber-
nacchi, nato in Australia, ma di famiglia italiana. Cfr. Boll. S. G. L, 1905,
luglio [Emilio Oddone].
3. Viaggi di circxixnnavigazione.
Io credo di dover limitare Taccenno di viaggi di circumnavigazione ai
due colla Magenta e colla Vettor Pisani^ in vista del tempo nel quale Yen-
nero compiuti e dei risultati conseguiti. A nazione matura, tali viaggi di
circumnavigazione entrarono nei metodi di Governo anche per esigenze poli-
tiche, e però divennero numerosissimi, né riguardano quindi questo lavoro.
11. La Magenta fu la prima nave da guerra del nuovo regno d'Italia
che abbia, nel 1865, compiuta la circumnavigazione del globo. Ne fu coman-
dante Vittorio Arminjon ; ebbe a bordo come naturalista Enrico Hillybr
GioLioLi (n. 1845; m. 1909) che sostituì Filippo de Filippi. I frutti furono:
raccolte naturalistiche; osservazioni di fisica terrestre e di fisica marina; un
trattato di commercio col Giappone, e parecchie Opere (^'').
12. Dall'Italia alla Nmva Guinea, all'Australia, alla Nuova Zelanda
e a Montevideo è il viaggio della R. corvetta Vettor Pisani, nel periodo
1871-73. Comandante fu Loyera de Maria. È noto Taiuto apportato a
0. Bbccari e a L. M. d'Albertis in seguito alle ricerche e al loro ritro-
vamento ad Amboina. Notevoli i rilievi idrografici; rettifiche importanti nella
costa meridionale della Nuova Guinea. L'opera che descrive tutto il viaggio
fu pubblicata a Roma nel 1873, col titolo di cui sopra (*').
4. America.
Due grandi esploratori italiani campeggiano gloriosamente in America
in tempi vicini all'epoca del nostro riscatto; è doveroso iniziare con questi
la breve statistica delle esplorazioni italiane nel nuovo mondo.
13. Nella prima metà del secolo passato noi troviamo in G. B. Codazzi
(Lugo 1793-Pueblito 1859), ufiìciale d'artiglieria nelle armate di Napoleone,
un celebre cartografo del Venezuela e della Nuova Granata, dove aveva
quasi continuamente soggiornato dopo la caduta del primo Impero. Le opere
sue ebbero le lodi di E. de Beaumont, di F. Arago e di A. de Humboldt (^^).
14. Un altro grande italiano crediamo doveroso ricordare, Antonio
Raimondi, che fu detto il secondo esploratore del Perù (Milano 1826 -S, Pe-
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 13
diro 1890). Dal 1851 al 1869 percorse il Perù in tutte le direziòiii. Inge-
gnere e naturalista insieme (l'ideale per un esploratore), le sue ricerche, spe-
cialmente quelle mineralogiche, giovarono sommamente all'economia del paese.
Fauna, flora, reliquie antropologiche, armi primitive, indumenti di selvaggi,
tutto osservò, tutto studiò, tutto raccolse quest'uomo straordinario.
Compiute le sue grandi escursioni, Teminente geografo si accinse alla
opera sua descrittiva monumentale. Il Perù, pur rimasta incompleta. Se la
opera del Codazzi precede in ordine di tempo il limite di partenza del
nostro lavoro, quella del Raimondi Io invade; ma mi è parso giusto comin-
ciare col cartografo insigne di Lugo (*®).
15. LaciÒLi Bartolommeo, da Macerata. Raccolta etnografica peruviana,
specialmente del bacino deirUcayali (Museo preistorico di Roma). Era il
Lnciòli un uomo dato ai commerci e che si era stabilito nel Perù dal 1856
in poi (**). Cfr. gli scritti del dott. Colini G. A.
16. In altra regione dell'America (alto Amazzoni), dal 1869 a circa
il 1876, il padre Luioi Pozzi, missionario, raccoglieva oggetti etnografici
appartenenti a selvaggi che abitano le rive del Morena, del Pastassa e del
Napo. Museo preistorico di Roma ; cfr. scritti del dott. Colini 6. A. (").
17. Nella spedizione L. Wyse, ad esplorare il Darien, prese posto (1876)
Oliviero Bixio, nipote di Nino ; soccombette alle fatiche ed al clima (*^).
18. Pippo Vigoni e Alfonso Garovaolio, nella Pampa e nelle
Ande (*^).
19. Sotto gli auspici della S. G. I., Ermanno Strabelli di Piacenza
nel 1879 giungeva dal fiume delle Amazzoni al Para e poi a Manàos.
Negli anni 1880-83 imprese numerosi viaggi nelle regioni interne, portando
molta luce e facendo vere scoperte sui corsi affluenti dell' immane fiume.
Visitò alcune delle regioni più ignorate fra il Venezuela e il Brasile, e, col
marchese Adgosto Serra dei Duchi di Cardinale, compieva Timportante
ricerca delle scatuiigini dell'Orenoco (1887) {*^),
20. Nel 1880, Giovanni Pellbschi esplora nel Gran Chaco il Rio
Vermejo, un grosso affluente del Paraguai, che in esso sbocca a monte dello
sbocco del Paraoà in quello ('^).
21. Giacomo Bove, Giovanni Roncagli, Decio Vinciguerra, Do-
menico LovisATo, C. Spegazzini e P. de Gerardis. Spedizione argen-
tino-italiana (1882) diretta dal tenente Giacomo Bove, a bordo della nave
Cabo de Bornos e della goletta San José. Esplorazione della Terra degli
Stati, dei canali dell'arcipelago di Magellano e della costa adiacente del
Pacifico. Nozioni importanti etnografiche sulla Terra del Fuoco. Collezioni
naturalistiche di valore. Nel frattempo G. Roncagli si reca da Punta Arenas
a Santa Cruz, rettificando le carte anteriori al suo viaggio in detta percor-
renza. La spedizione ebbe valido appoggio dalla S. G. I., e le raccolte etno-
grafiche si trovano nel Museo preistorico a Roma (*").
14 ELIA MILLOSEVICH
22. Illuminato Giuseppe Coppi. Missionario nel Brasile, fornisce alla
S. G. I. una relazione contenente interessanti notizie geografiche ed etnogra-
fiche (1882-83) sopra la rf^ione del Bio Negro nel Brasile. Relazioni del
dott. a A. Colini ("),
23. Roberto Pandolfini. Una Relazione che riguarda una visita nel
1884 alle isole delle Tartarughe [Galapagos], spettanti alla repubblica del-
rEqaatore. Un gruppo di sei isole maggiori, alcune minori e molti isolotti (**).
24. Giacomo Bove. Note di un viaggio importante neiralto Paranà
(1883-84). Visita delle Alte e Basse Missioni; studio del corso del Paranà,
dalla sua confluenza coiri-guazù fino alla cascata del Guayrà, ecc. ecc.;
compagni di viaggio, Bossetti e Lucchesi delle Missioni ('®). Raccolta etno-
grafica in Museo preistorico di Roma.
25. Luigi Balzan (n. 1865; m. 1893). Nel 1885 ad Asuncion nel Pa-
raguai (Conferenza alla S. G. I. il 14 febbraio 1889). Più tardi, con sussidi
della S. G. I., auspice Giacomo Doria, esplora le regioni Boliviano; attra-
versato il gran Chaco, ritorna dalla Bolivia ad Assuncion. Collezioni etio-
grafiche ed antropologiche (Conferenza alla S. G. I. il 28 maggio 1893) ('^).
26. Carlo Vedovelli. Relazione, dietro invito della S. G. L, del
viaggio da Puerto Colombia a Bogotà (1891). Dimora di quattro anni nella
regione (^*).
27. Guido Bogoiani, pittore ed etnologo esploratore (1861-1902). De-
vesi a lui la preziosa raccolta etnografica (in Museo preistorico dì Roma)
deiralto Paraguai. Le sue ricerche etnografiche furono giudicate prozio*
sissime.
Una prima dimora (1887-1894) fruttò le opere / Ciamacoco ed i Ca-
duvet. Nel 1896 ritornava nelle pianure Platensi, e fino alla sua tragica
morte divise assai sapientemente il suo tempo fra Asuncion e le foreste del
Ciaco, inviando in Italia e altrove collezioni e studi. E Guido Boggiani una
delle più interessanti figure italiane di artista, geografo ed etnografo. La
S. G. I. lo animò e lo sorresse fino dai primi suoi vit^gi ('^).
28. S. A. R. il Duca degli Abruzzi, in compagnia del dott. Filippo
Filippi e di Vittorio Sella, compie lascensione del Monte Sant^Elia (1897)
neir Alasca, quella vetta, alta sopra 5500 m., della quale un altro italiano, per
primo, aveva dal mare rilevata e calcolata Taltezza nel 1791 [Alessandro Ma-
laspina: n. 1749, m. 1810] (").
29. Cesare Cipollbtti. Sistema idrografico del Rio Negro e elei Rio
Colorado; missione del governo Argentino (1899) C).
80. BusGALioNE Luigi. Viaggio in Amazzonia (1899) per studi bota-
nici; teoria suirorigine dei campos, sulla Mirmecofilia, ecc. ecc.; accenni
etnografici. Le Relazioni hanno molta importanza scientifica. La esplorazione
fu sussidiata dal Governo e dalla S. 6. I., auspice il botanico Romualdo
Pirotta (3«).
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 15
31. Gregorio Ronca. Colla B. nave Dogali va alle Antille, alle
Qniane e percorre a ritroso rAmazzoni, giuugendo sino a Santa Fé, per oltre
4000 chilometri dal mare. Bilievo accanito del percorso; informazioni sva-
riate, specialmente economiche (1904-05) (^'').
5. Asia - AtLstralasia - Melanesia.
82. Don Paolo Abbona. Un missionario piemontese che dimorò molti
anni in Birmania (fra il 1857 e il 1864) e che fu in rapporti con Cristoforo
Negri che ne tessè il necrologio. Attivò nn trattato di commercio fra il re
di Sardegna e il re di Birmania, e diede qualche notizia geografica sul corso
deir Jrawaddj, per quel t^mpo importante. Facilitò i rapporti fra l'Italia e
la Birmania (^^).
83. M. Gavazzi, Litta e Meazza. Con iscopo commerciale, per stu-
diare Tallevamento dei bachi e raccogliere sane sementi, questi tre viaggia-
tori milanesi, nel 1868, si recarono ad Oremburgo, ad Orsk, a Casalà sul
Sir Daria (Jaxartes), e a Bucara. Loro prigionia (^*).
34. GuARMANi Carlo, di Livorno. Inviato in Arabia, per acquisto di
cavalli, dal governo di Napoleone III, penetrò in regioni delFArabia (fino
a Easim) quasi del tutto ignote (1861-65). Scrisse l'opera intitolata: Sedici
anni di studii in Siria, Palestina, Egitto e nei deserti dell* Arabia (1864);
più tardi dettò: Gli italiani in Terra Santa {!%!%) (*^).
35. Odoardo Bbccari e Giacomo Doria. Appare nel nostro lavoro per
la prima volta il nome insigne di Odoardo Beccari (n. Firenze 1843), e lo
troviamo associato a Giacomo Doria (n. a Spezia 1845), esploratore e na-
turalista pur insigne, e grande mecenate (nelFalto senso della parola) degli
esploratori italiani.
Dopo il rilievo di Borneo iniziato dal Wallace (1854-62), sono questi
due illustri naturalisti che ne continuarono Topera. È esplorata la parte NW
di Borneo, specialmente con intensi studt di zoologia e di botanica (1865-68),
con una lunga dimora di Odoardo Beccari fra i Dajacchi di Borneo. Il libro
del Beccari si pubblicò sotto gli auspici e col concorso della S. G. I. (^0-
36. Manfredo Camperio. Un viaggio a Ceylan (1866)(").
87. Alfonso Garavaqlio e Pippo Vigonl Un'escursione nel 1869
ad est del Giordano; descrizione di antichi monumenti, specialmente di
Gerasa (").
38. Giulio Adamoli. Bicordi di un viaggio nelle steppe dei Kirghisi e
nel Turkestan (1869) (**).
89. Carlo Bacchia. Nel Siam e nella Birmania (1869-73). Una mis-
sione italiana nel Siam; la missione alle corti di Ava e Siam. Viaggio da
Aden a Bangun e da Rangun a Mandalay. Opera: La Birmania (*%
16 ELIA MILLOSEVIGU
40. Pietro Savio. Per studiare rallevamento del baco da seta, insieme
col conte Sallier de La Tour, recasi in Giappone (1869). Kaccolta etno-
grafica (Museo di Torino). Pubblicò: // Giappone nella sua vita pubblica
e privata, nella politica e commerciale. Lo scritto è interessante per poter
istituire il raffronto con lo stato attuale del Giappone, dopo 40 anni di energia
nazionale (").
41. Missione Italiana in Persia (1862). Prìncipali membri: Mar-
cello Cerruti in?iato straordinario allo Scià di Persia, Giacomo Doria, Mi-
chele Lessona, F. de Filippi, Orio, Lignana, Ferrati, ecc. ecc.; in tutto, 17
persone. Dai nomi, subito appare Teletta rappresentanza della scienza ita-
liana. Il celebre geologo De Filippi pubblicò la relazione. In quelTocca-
sione Giacomo Doria compì da solo un viaggio nelle provinoie orientali e
meridionali della Persia, specialmente per scopo naturalistico. Acquisti scien-
tifici in zoologia, geologia e geografia (*'^).
42. G. Emilio e Fedele Fr.lli Cerruti, e Giuseppe di Lbnna.
Un tentativo dell'Italia per cercare un luogo di colonia nell'Insulindia; ten-
tativo, pur troppo, senza esito felice (1869).
Coir « yacht » Alexandra la spedizione toccò le Molucche ; poi, fra i mari
di Banda e degli Arafura, le isole Kei e Arù. Dopo gravi peripezie, non
potendo la spedizione sbarcare nella Papuasia (Nuova Guinea), per la biya
di Mac Cluer, passò a studiare le isole di Salavatti e Batauta. Da Celebes,
toccando l'isola Bavian, la spedizione tornò in Italia (^^).
43. Lorenzo Insilveni (1870). È un viaggio attraverso l'Asia, fatto
valendosi di commendatizie della S. G. I. Si attraversa la Russia e la Mon-
golia, fino in Cina e Giappone (^^).
44. G. Messedaglia (1873-76), in Siria (^^).
45. Felice Giordano. Del viaggio di questo geologo, in Asia e Au-
stralasia (1872-73), si hanno lettere da Dargiling presso Tlmalaja, e da Kandy
(Ceylan). Sua esplorazione a Borneo (1873) (^0-
46. Odoardo Bbccari e Laioi Maria D'Albertis (1872-73). Nella
Nuova Guinea. Questa esplorazione è una delle più gloriose che conti l'Italia;
vale quanto, più tardi assai, in Africa valsero le spedizioni celebri nella So-
màlia. Benché le coste della Nuova Guinea fossero state toccate e ritoccate
le cento volte prima di questa epoca, pure, la prima vera ricognizione del-
l' « hinterland « tra feroci selvaggi e fra gli uccelli del paradiso, spetta ai due
nostii naturalisti. Era loro intenzione di rimontare il fiume Utanata ; ma il
monsone d'Est lo impedì. Sbarcarono a Eapoar. Più tardi, lasciata l'isola
di Sorong, presero terra sulla costa settentrionale della Papuasia, e vi si
internarono compiendo quella maravigliosa raccolta di piante e di animali,
che rese celebre nel mondo questa esplorazione. Col dicembre 1872, L. M.
D'Albertis ritornava in patria; ma in quei luoghi rimaneva 0. Beccari, che
nel 1872 esplorava le isole Arù e le isole Kei, e si proponeva una seconda
esplorazione nella Nuova Guinea (^*).
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 17
47. LoiGi Maria D*Albertis e Biccardo Tomasinelll. La seconda
esplorazione di L. M. D'Albertis nella Nuova Guinea (1875-77). CoU'aiuto
dei missionari di Somerset, il valoroso naturalista, dopo aver fatto centro di
numerose escursioni l'isola di Yule presso la costa orientale del golfo di
Papua, e dopo che il suo compagno fu costretto ad abbandonarlo per ragioni
di infermità, rimontò in due tempi il grande fiume Fly, giungendo in vista,
nel cuore del continente Papuano, della grande catena di montagne, da cui
trae origine il grosso fiume. Nel primo tempo potè risalirlo fino a circa 800
chilometri dalla costa (latitudine 5® 47' Sud). Soltanto Mac-Gregor soi-passò'
nel 1890 il punto al quale era giunto il nostro insigne ligure. La sua opera
classica è intitolata: Alla Nuova Guinea: ciò che ho veduto e ciò che ho
fatto. Raccolte straordinarie naturalistiche in Museo civico di Genova; antro-
pologiche, in Museo nazionale di Firenze; etnografiche, in Museo preistorico
di Soma (").
4b. Odoakdo Beccari. Seconda esplorazione nella Papuasia (1875).
Come è detto al n. 46, Odoardo Beccari, riposatosi a Macassar, dopo le
esplorazioni nelle isole Àrù e Kei, compie nella parte NW della Nuova
Guinea l'ascensione delle montagne che sembra accompagnino tutta la costa
al nord del paese, detto Papua Onim ; scopre il fiume Wa-Samson, il quale
trae origine nei monti Arfak. Visita quindi alcuni luoghi della costa occi-
dentale della baja Geelvink e parecchie isole. Collezioni natumlistiche ; rac-
colta etnografica (Museo preistorico di Boma) (*^).
49. Renzo Manzoni. Tre viaggi successivi (1877-1880), esplorando lo
Jemen da Aden a Sana (per l'esploraz. in Somalia, vedi dopo). Suo libro (^^).
50. Odoardo Bbccari. In giugno 1878 è a Padang, sulla costa occi-
dentale di Sumatra. Il proposito del viaggio è naturalistico, cioè quello di
far raccolta di uccelli, mammiferi (spoglie e scheletri), pesci, coleotteri,
ecc. ecc. La scoperta classica è stata il gigantesco Amorphophallus Titanum,
Àroidea spettacolosa, che di gran lunga sorpassa per grandezza quanto an-
cora si conosceva di analogo nel regno vegetale (^*).
51. Luchino conte Dal Verme. Note di un viaggio nell'estremo oriente^
Milano, 1885. È la brillante ed istruttiva descrizione di un viaggio notevole,
specialmente nel ritorno dal Giappone, perchè, lasciata la nave Vetlor Pisani
a Nagasaki, il viaggiatore ritornò in patria per la via della Siberia, da Wla-
divostok per Ircutsk, Tomsk, Tobolsk e Jecaterinenburg, ora in piroscafo, ora
in tarantdss, percorrendo circa 9000 chilometri (*'). Suo libro.
52. S. A. R. il duca Tommaso di Genova, in Corea. Relazioni di com-
mercio fra ritalia e la Corea, iniziate dal nostro Governo ed affidate a S. A. R.
<luando la Vettor Pisaai trovava^^i nel 1880 nelle acque giapponesi (^*).
53. Stefano Sommier. Percorre in barca l'Ob (Siberia), dal punto dove
rirtish vi si getta, fino all'Oceano (1880). Relazione interessante ed istrut-
tiva; suo libro. Scopo precipuo. licerche botaniche e antropologiche ('®).
Elia Milloskvk ir. — Le p^-incip-ih' esjilot'a'toni, ecc. 2
18 ELIA MILLOSEVICH
54. Leonardo Fea. Missione affidata dalla S. G. I. per iniziativa di
Giacomo Dona. Viaggio scientifico in Bairmnia, specialmente per collezioni
zoologiche (1885 e segaenti). EUccolte preziose in Museo civico a Genova; saggi
etnografici locali (Birmania e Indo-Cina) in Museo preistorico di Roma (**).
55. Elio Modigliani. Fra le tante isole disposte parallelamente alla
costa NW-SE di Sumatra, Tesploratore si consacrò allo studio della grande
isola di Nias (1886). Importanti note geografiche suirisola. Apprezzatissime
collezioni botaniche, zoologiche e antropologiche. Musei (Civico di Genova,
Antropologico di Firenze, ecc. ecc.). Il viaggio e gli studi si trovano de-
scrìtti in uno splendido volume, che porta il titolo Esplorazione a Nias, tipi
Treves (•»)•
56. Lodovico Nocentini. Il celebre nostro maestro di cinese, testò de-
funto, nel 1885 visitò le isole Quelpart-ce-Giù e Port-Hamilton. Queste isole
si trovano al sud della penisola Coreana, ali* imboccatura del mar Giallo (**).
57. Leonardo Fea, nel Tenasserim. Viaggio con appoggio morale e
materiale della 8. G. I. Iniziativa di Giacomo Doria (vedi n. 54).
Lungo soggiorno nelFalta Birmania e poscia nel Tenasserim e nel
Pegù. Viaggio da Moulmein al monte Mulai. Esplorazione del Carin indi-
pendenti. Lettere deiresploratore a Giacomo Doria. Biografia e viaggi in Gestro
(A. Museo Civico di Genova, 1904). Collezioni zoologiche di eccezionale impor-
tanza (Museo Civico di Genova); epoca, 1886-88 (®^).
58. Vittorio ed Erminio Sella (1889). Un viaggio nel Caucaso cen-
trale. Ascensioni deirElbruz e del Mala-tau (4660 m.). Collezioni fotogra-
fiche (uno dei primi saggi di valore) (^^).
59. Lamberto Loria. Dopo le glorie còlte da Odoardo Beccari e Luigi
Maria De Albertis nella Papuasia, appare terzo in tanto onore il dott. Lam-
berto Loria (1889-90). Nutrito di buoni studi, si reca nella Papuasia. Da
Port Moresby (1889), capoluogo della Nuova Guinea Britannica, invia la
prima lettera a Giacomo Doria, ai consigli e suggerimenti del quale noi
dobbiamo questa nnova esplorazione nella Papuasia. Il teatro delle ricerche
deiresploratore fu il SE della Nuova Guinea e gli Arcipelaghi che geogra-
ficamente ne dipendono.
Ritornato in Italia per ragioni di salute nel novembre 1890, ripartì
quasi subito (1891) per il suo secondo viaggio per la Nuova Guinea Bri-
tannica. Quasi sette anni visse Lamberto Loria in Papuasia, e narrò le sue
esplorazioni il 5 aprile 1898 in una ammirata Conferenza. Dice Giacomo
Doria che la quantità, la bellezza e la ricchezza delle collezioni che Lam-
berto Loria ha riportato dai suoi viaggi, hanno destato l'ammirazione di
tutto il mondo scientifico. Raccolta etnografica ìq Museo preistorico di
Roma («»).
60. Elio Modigliani. Neirinterno di Sumatra al lago Toba, e nel paese
dei Batacchi indipendenti; Tesploratore attraversa Sumatra da W ad E; let-
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 19
tere ad Artaro Issel e a Giacomo Doria (1890-91); esplorazione dell'isola
di Eogano. Conferenza alla S. G. I. il 6 febbraio 1892. Raccolte naturali-
stiche ed etnografiche importanti. Sue pubblicazioni : Fra i Batacchi mài-
fendenti \ L'isola delle donne \ Viaggio ad Engano (**).
61. Felice de Bocca. Nel Pamir e regioni contermini (1893). La ca-
tena dell'Alai, il pianòro del Palmir. Gli affluenti dell'Osso (^0.
62. Elio Modigliani. Dopo l'esplorazione dell'isola di Nias, dopo quella
nell'interno di Sumatra e dell'isola d'Eogano, viene la terza esplorazione nel
1894 alle isole Mentawei. Sono, le isole Mentawei, situate fra Nias ed En-
gano, ed erano mal conosciute piima dell'esplorazione Modigliani. Lettere
alla sorella, a Giacomo Doria, ecc. ecc.; materiale per lo studio delFisola
Sipòra (una delle Mentawei); lingua dei Mentawei. Modigliani, in tutte le
esplorazioni, si mostrò all'altezza della sua missione quale naturalista e glot-
tologo (•*).
63. Alfonso Garav aglio. Un viaggio nella Siria centrale e nella
Mesopotamia (1895) (").
64. Amedeo Giù li anetti. Il noto naturalista fonda una stazione zoo-
logica nella Nuova Guinea Britannica, nella catena Wharton, all'altezza di
m. 3300 : riconosce che il ramo principale del Vauapa non trae origine
dal monte Vittoria, bensì dalla catena Wharton e dal monte Alberto
Edoardo (1897) f«).
65. y. ed E. Sella. Nella spedizione Douglas Freshfield neirHimalaja, i
fratelli V. ed E. Sella compiono un viaggio tutto airintorno del Kaneiu-
ginga (1899) CO-
66. Spedizione del principe Scipione Borghese (1900). Da Tashkent par-
tono gli esploratori don S. Borghese, il prof. Giulio Brocherel, la guida Mattia
Zurbriggen ed un dragomanno.
Esplorazione nel Tien Scian centrale. Relazioni di Brocherel, da Tashkent
a Prscevalsk; l'altipiano di Sarigìass, il Gan-Tengri (la suprema vetta del
Tien Scian) ; sulla frontiera cinese, sul ghiacciaio di Caende, nella valle di
Irtash.
Sulla prima parte del viaggio, compiuto in compagnia della moglie e
di due amici francesi, il principe Borghese scrisse un libro: In Asia: Siria^
Eufrate e Babilonia ("").
67. Luiai Rossetti. Otto mesi in Corea; raccoglie informazioni geo-
grafiche, etnografiche ecc., sul paese. Due Conferenze ed un' opera in due vo-
lumi (1902) (").
68. Lamberto Vannutelli. Dietro iniziativa del prof. Dalla Vedova,
allora presidente della S. G. I., e coi mezzi della medesima, compionsi due
importantissime esplorazioni intensive, una nell'Asia minore settentrionale
(1904) e l'altra nella meridionale e nella Mesopotamia (1906), con obbietto
esclusivamente economico, allo scopo di rendere più facili e più proficui gli
20 ELIA xMlLLOSfiVICH
scambi di quelle regioni coli' Italia. Cfr. il libro di Vannutelli: Anatolia C^).
La descrizione e i risultati della seconda esplorazione saranno pubblicati fra
breve.
69. S. A. R. il Doga degli Abruzzi (1909), in compagnia del mar-
chese Negrotto, di Vittorio Sella, del dott. Filippo De-Filìppi e di tre guide,
nella sua quarta esplorazione, tentò Vascensione del monte Es (Godwin Austen),
che è la vetta più eccelsa del Karakoram nell'Himalaja W. La vetta pre-
scelta vieue, in altezza, subito dopo l'Everest (8840 m. i±i). Salita del Bride^
fino a m. 7493. Rilievi topografici (panorami fotogrammetrici). Conferenza
alla S. G. L, detta da S. A. R. il 22 febbraio 1910 C^).
70. Dott. Giuseppe de Luigi (1909). Dalla Società di esplorazioni geo-
grafiche e commerciali di Milano inviato in Cina in missione per obbietti
sopra tutto economici C'^),
6. Africa.
Le esplorazioni geografiche di carattere este/isivo in Africa, e le sco-
perte da parte di nostra gente neirultimo cinquantennio, furono di tale
importanza, che una forma meramente statistica di esploratori in ordine di
tempo, forma che era la sola possibile per le altre parti del mondo, male
si adatterebbe, e addimostrebbe insipienza neir espositore.
Nelle altre parti del mondo, Topera dell'Italia è esìgua, in rapporto
all'opera degli stranieri; soltanto le nostre esplorazioni in Australasia, e,
meglio, nella Nuova Guinea, avrebbero diritto, per la loro eccezionale im-
portanza, al raffronto straniero.
Per l'Africa, premetto adunque, un rapidissimo sguardo storico, il quale
colleghi le scoperte straniere con le nostre, e metta bene in luce le glorie
italiche, specialmente per quanto si riferisce alla ricerca delle regioni sorgenti-
fere Niliache, e alla conquista dello sterminato territorio fra il Sobat, il Nilo
Bianco, i laghi Rodolfo e Stefania, l'Oceano e le regioni al sud dell'Abissinia.
Quando la Società delle missioni anglicane fondò a Mombasa uno sta-
bilimento di missionari, due di questi, verso il 1848, avanzandosi neir in-
terno, scoperti il Eilimangiàro e la Eenia, ebbero notizia che grandi laghi
interni eranvi in Africa intorno all'equatore; le quali vaghe notizie, come
fantasmi giranti, fino dall'epoca del classicismo, erano pervenute al mare e
all'Egitto.
Apparve manifesto essere più facil cosa pervenire alle scaturigini del
grande Nilo con viaggio da levante a ponente, che non con la lunga percor-
renza da tramontana ad ostro. Per quest'ultima strada, a quel tempo, si era
peivenuti fino a Gondòkoro, a 560 chilometri dall'equatore.
l.E PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 21
Verso il 1858 Bqrton e Spekb scopersero, provenendo da Zanzibar, il
lago Tatigagnica ; anzi Spekb, nel ritorno, vide le rive meridionali di un im-
menso lago, XUkerevè, a cui impose il nome di Vittoria,
Un grande e sfortunato esploratore italiano, proprio adesso interviene;
ognuno prevede che parlar voglio di Giovanni Miani (Rovigo 1810 — Africa
1872). Il primo memorabile viaggio compiva egli nel 1859-60 insieme col
maltese Andrea de Bono, un commerciante d'avorio nelle regioni dell'alto
Nilo. Da Qondòkoro, quest'ultimo raggiunse il parallelo -f- 3® 12', e Miani
s'arrestò a GaluflS, a -[- 8® 32', sulla sponda sinistia dell'Un-y-Huè, affluente
del Nilo ; ove la fortuna avesse arriso sempre all'uno e all'altro, il lago Al-
berto^ distante dallo storico « Albero di Miani » appena 120 chilometri,
porterebbe un altro nome.
Nel periodo fra il 1860 e il 1868, Spkke, in compagnia di Grant,
esplora le rive orientali del lago Vittoria, e accerta che un fiume esce dal
nord, ed è proprio il ramo principale del Nilo, che prima, peraltro, dovrà
entrare nel lago Alberto.
Intanto Baker, da Gondòkoro, spingesi a sud per raggiungere il lago
designato da db Bono e da Miani, e che Speke, per le ostilità degli in-
digeni, provenendo dal lago Vittoria, non aveva potuto accertare.
Il viaggio di Baker, che l'esploratore compie con la moglie in condizioni
penosissime e pericolose, è confortato dal raggiungimento del lago Alberto.
Stanley, prima di compiere il maraviglioso percorso di tutto il Congo
(1874-76), completò l'esplorazione del lago Vittoria nella parte occidentale,
e potè' definirò quale sia il fiume, che, immettendo nel lago Vittoria, debba
ritenersi quale captU Nili; oggi bene sappiamo essere il fiume Rugherà
con tutti i suoi rami, la prima origine Niliaca.
E a Stanley pur devesi la prima ricognizione del lago Alberto Edoardo ;
e fu dopo questo accertamento che egli imprese a risolvere la grande que-
stione dei corsi del Congo ^ mentre, quasi contemporaneamente, Pietro B razza,
italiano (famiglia nobile Friulana) d'origine (nato a bordo della nave Venus
in rada di Rio Janeiro il 26 gennaio 1852, morto a Dakar il 14 settembre
1905), ma naturalizzato francese, esplorava VOgouè, della importanza del
qual fiume ben sanno coloro che conoscono la storia moderna della esplora-
zione, civilizzazione e colonizzazione del Congo.
L'intricato sistema degli affiuenti del Congo da parte di sinistra, e spe-
cialmente dell' Uelle, che tanto s'accosta al Nilo e a un corso del Bar-el-
Ghasàl (fiume delle Garzelle), i nostri, Orazio Antinori (Perugia 1811 —
Let-Marefià 1882) e Carlo Piaggia (Badia di Cantignano 1826? — Cartum
1882) esplorarono fin dal 1860, giungendo alle frontiere dei Niam-niam. Vi
entrò quest'ultimo intorno al 1864, proprio toccando TUèlle; e nel 1871
Giovanni Miani, nel suo secondo memorando viaggio, traversò il Monbottù
fino a Bakangai, la morte soltanto avendo voluto che all'Italia la gloria
22 ELIA MILLOSBVICH
non venisse di delineare i bacini del fiume delle Gazzelle e del corso dello
Uòlle, gloria che il tedesco ScHWfiiNFORT, che peraltro riconobbe i grandi
meriti delfinsigne esploratore rodigino, divide col russo Junker.
Romolo Gessi (nato a Ravenna; morto a Suez nel 1881), verso il 1876
circoscriveva il lago Alberto, d'onde soppesi per lui che esso è ben di-
stinto dal lago Alberto Edoardo trovato da Stanley.
£ proprio nel tempo delle esplorazioni di Junker che avviene la ter-
ribile rivoluzione del Mahdì, per la quale TEgitto perdeva le sue con-
quiste del sud; la capitale del Sudan cadeva in mano del vincitore, e
poche truppe Egiziane, segregate da tutto il mondo, erano prigioni, nella
provincia detta Equatoria, con Emin.
I viaggiatori, che esploravano nelle regioni colpite dal flagello, na-
turalmente si ricoverarono presso Emin ; fra essi, Jùncker e il nostro Ca-
sati. Un lustro di distacco dal mondo ! ! Juncker rivela, fuggendo, l'esi-
stenza dei nostri in Equatoria, e il grande Enrico Stanley riporta a Zan-
zibar, nel viaggio mirabile dal 1887 al 1889, sani e salvi, e Emin e
Casati.
In quel viaggio, Stanley c'insegnò esistere fra i due laghi, l'Alberto
6 l'Alberto Edoardo, il gruppo del Ruvenzori (forse le montagne della Luna,
di Tolomeo), gruppo che ben più tardi doveva essere asceso dal Duca
degli Abruzzi. L'ultima notabile scoperta nella regione fu quella del lago
Kivti, fra l'Alberto Edoardo e il Tangagnica, con spartiacque che lo fa
appartenere al sistema del Congo.
Quando alla fine del secolo mancavano due lustri, la geografia esten-
siva dell'Africa era rilevata, salvo, per il Nilo, il corso del Sobat e de'
suoi affluenti, e tutta la regione che da Berbera va al lago Rodolfo, e
dal Rodolfo a Eisimajo (penisola dei Somali).
Sapevasi, dal superstite della grande spedizione all'Africa Equatoriale,
Antonio Cegchi, che dall'acrocoro etiopico correva a sud, nel paese dei
Galla, un considerevole fiume, prima detto Ghibiè^ poi Omo, Il francese
Giulio Borblli perseguiva il fiume ben più avanti di Cocchi : ma, in ve-
rità, a tutti era ignoto dove esso defluisse: neppure il Negus sapevalo.
Del Sobat, breve tratto aveva rimontato, fin dal 1855, il già ricor-
dato Andrea De Bono: nulla più se ne sapeva; del fiume Giuba, quanto
VoN Deh Decken ci aveva insegnato fino dal 1865 (insegnamento pagato
con la morte), sapevamo, cioè fino a Barderà^ gloria e tomba di lui.
Pareva impossibile attraversare la penisola dei Somali, la ferocia dei
€ui abitanti spaventava il mondo.
Nel 1888 una spedizione austro-ungarica (Teleki e von H5hnel), da
Pangàni, per il Eilimangiaro e la Eenia, scopre i due laghi Rodolfo e
Stefania, e sa che un fiume definisce a nord del primo lago: fiume che
essere potrebbe anche l'Omo.
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 23
Se la grande spedizione alVÀfrìca Equatoriale, per fatalità di cose, non
raggiunse gli scopi che pur aveva diritto di conseguire, e per gli uomini che
la componevano e per le cure reiterate della S. G. L, ora, nella risoluzione
dei grandi problemi sopra indicati, l'Italia colse splendide palme, miste pur
di dolori e lutti, palme che gli stranieri c'invidiano, e delle quali noi non
avemmo, in qualche caso, la giusta consapevolezza.
Il primo tentativo dì un bianco di traversar la Somalia, spetta ai fra-
telli James che, partendo da Berbera sul golfo di Aden, ra^ungono un
aflSuente dell* Uebi Scebeli e arrivano, fra le ostilità dei selvaggi, a Faf, ma
non più in là (1876). Passano molti anni prima che si verifichi un nuovo
tentativo, la Somalia essendo lo spavento dei viaggiatori; ma due italiani,
nel 1891, Baudi di Vbsmb e Oandeo (1859-99), con larghi sussidi della
S. G. I., da Bèrbera, sulla via dei fratelli James, raggiungono l'Uebi Sce-
beli, e per Barri e Goddei arrivano fino ad Imi e, attraversando V Ogaden,
ritornano ad Barrar. Fu importante questo viaggio : il pregiudizio fu, almeno
presso di noi, in parte sfatato ; ma la fama di quel viaggio subì inevitabile
eclisse, perocché nello stesso tempo aveva luogo la prima traversata che un
bianco felicemente compiva. Questa è gloria tutta, proprio tutta, nostra; devesi
a Bricchetti-Bobecchi il viaggio ardimentoso. Provatosi con due precedenti
escursioni, parte da Mogadiscio, esplora il corso inferiore deirUebi Scebeli,
ritorna alla costa ad Obbìa, poi prende rotta a maestro, proprio neirassoluta-
mente ignoto; ad un certo punto piega a libeccio e raggiunge un'altra volta,
più a monte, l'Uebi Scebeli ; da Barri passa a Faf, fa una punta verso Barrar,
si rivolge poscia a levante, tocca Milmil e rivede il golfo di Aden a Bèrbera.
Quando Bricohbtti-Bobbcchi arrivò là, al primo momento gVinglesi non
crederono che egli fosse partito da Mogadiscio e avesse salvata la pelle, così
profonda presso gli stranieri era ancora la superstizione sulla Somàlia. In-
tanto, su per giù, rUebi Scebeli e qualche suo affluente erano geograficamente
delineati per opera di Baudi di Vesme, di Gandeo e, soprattutto, di Bobeccbi.
E il Giuba e VOmo? E Vallo corso del Sobat? La S. G. L, che inco-
raggiò, onorò e diede mezzi materiali a quasi tutti i nostri esploratori, poco
fortunata nella grande impresa all'Africa equinoziale, volle a sé Talto onore
di risolvere gli ultimi tre grandi problemi di geografia Africana, cioè acqui-
stare la conoscenza dei corsi del Giuba, dell'Omo (medio e inferiore) e del
Sobat, e loro affluenti, donde le due magnifiche esplorazioni guidate dal ca-
pitano Vittorio Bòttego (Parma 1860-Jellem 1897). Prima di dire due
parole di queste, crediamo conveniente accennare ad un'altra spedinone ita-
liana, che si intreccia con esse e che aveva il proposito di risolvere il pro-
blema della defluenza dell'Omo.
Eugenio de' Principi Ruspoli (Ziganosk 1866 -Gubala Giuda 1893),
già esperto nelle esplorazioni della Somalia per avere compiuto un primo
24 ELIA MILLOSEVICH
viaggio nella parte nord del paese dei Sondali, nel 1893 imprende una se-
conda spedizione, dalla quale la geografia imparò essere VUeb un affluente
del Giuba, le si rivelò in prima approssimazione il tracciato del Dana, altro
grande affluente dello stesso fiume, e acquistò il lago detto di Abbaja, che è poi
il damò, visto dall'alto dei monti un po' più tardi da Vittorio Bòttego.
Eugenio Ruspoli spirava (ucciso da un elefante) credendo che il fiume Sagan
trovato di qua dal lago, fosse VOmo, L'Omo non era; TOmo bisognava
cercarlo di là dai monti, a ponente di 200 chilometri dal Sagan, che in-
vece muore nel lago Stefania.
Vittorio Bòttego, nella sua prima grande esplorazione, si spinge fino alle
scaturigini del Giuba (Ganale Guddà) dopo aver percorso il grosso suo af-
fluente, il Ganale Diggò. Giunge, stremato di forze, proprio fin là dove il
fiume è un rigagnolo, nei Giam-Giam tra i feroci Sidama, con poca gente e
malconcia; e intanto lo lascia lassù il suo compagno di viaggio, il capitano
Grixoni, in pessime condizioni di salute e di forze, per ritornarsene in Europa
con 33 uomini della scorta.
Grixoni percorre per primo il Daua da nord a sud e poi da ovest ad est,
e accerta la deflnenza di esso nel Giuba, a monte di Lugh. Egli fu il
primo bianco che entrò a Lugh, visitato da poi, per un intreccio curioso
della seconda spedizione Buspoli e prima e seconda Bòttego, tante volte da
italiani, in un periodo di tempo relativamente corto.
Il ritorno di Bòttego dai Sidama a Lugh ebbe strazi epici ; nuove per-
dite ebbe a subire l'intrepido esploratore, e più voUe fu in pericolo di
morir di fame.
Egli era partito da Bèrbera il 30 settembre 1892, e l'8 settembre 1893
toccava la costa dell'Oceano Indiano, a Brava. Sterminate regioni intatte, e
popolazioni fino allora ignote Bòttego fece conoscere nelle prime linee ge-
nerali; tutto il tratto fra i monti Ando e il Daua, fra la catena, da cui
emerge il Faches, fino a Lugh, lungo quel Giuba, per lui oggi noto, in una
cci corsi affluenti precipui dalle scaturigini fino a Barderà.
Né Eugenio Ruspoli, né Donaldson Smith avevano raggiunto l'Omo;
di esso, nulla di più sapevamo nel 1895 di quanto ci avevano insegnato
Cocchi e Borelly: cioè conoscevamo il tratto del corso superiore del fiume.
S. M. il Re Umberto, il Governo e la Società geografica italiana pensa-
rono alle spese della seconda grande spedizione. Potendo Lugh divenire una
stazione commerciale (allo scopo di far affluire alle coste dell'Oceano Indiano
e a punti determinati le mercanzie dell' interno), Ugo Perrandi, clie dubito
ritalia non aver mai quanto merita apprezzato, doveva a Brava associarsi
alla spedizione, che di là sarebbe partita, per poi egli dirigere la stazione di
Lugh. Ugo Ferrandi era bene adatto a compiere, come compì, la sua difficilis-
sima missione, egli che già nel 1891 e poi nel 1892, in due viaggi da
Brava, aveva esplorato il basso Giuba fino a Barderà.
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 25
Lamberto Vannutelli, Maurizio Sacchi e Carlo Citerni sono designati
quali compagni di Vittorio Bottego.
Il fulmine della guerra, nella primavera del 1895, così vicino a scop-
piare sembra che il Governo non prevedesse, se tanto premevagli la istitu-
zione della stazione commerciale a Lugh ; donde il suo appoggio alla mis-
sione e ^incarico affidatole. Questo breve e ftigace accenno valga a disperdere
financo il rìcordo di insensate accuse e di insinuazioni, alle quali fu fatto
segno due anni dopo il C. D. della S. G. 1., allorché tristi notizie perven-
nero in Italia.
Bottego parte da Brava il 12 ottobre 1895, lascia a Lugh Ugo Fer-
randi ; dieci giorni prima della battaglia di Adua, i nostri mandano le ultime
dirette loro notizie in Italia dai pozzi di Sancurar, La spedizione raggiunge
gli Amhara BurgU onora la tomba di Eugenio Buspoli, vede il damò sco-
perto da lui, e vi aggiunge l'importante ritrovamento del lago Pagadè o
Margherita ; valica le montagne a ponente del lago, rileva il monte Uosciò,
mal designato dal grande geodeta Antonio d*Àbbadie ; trova nella vallata
VOmo quasi nel punto toccato da Borelly, lo segue in tutto il suo corso
verso il sud e rivela al mondo che il tiume misterioso defluisce nel lago Ro-
dolfo. Indi la spedizione, esplorata la costa ovest del lago, riprende la via
del nord per studiare i lontani corsi del Sobat.
Maurizio Sacchi, staccatosi dai compagni per portare alla costa le rac-
colte scientifiche, trova la morte il 7 febbraio 1897.
I tre valorosi, Bottego, Vannutelli e Citerni, s'avanzano nelle stermi-
nate regioni paludose e pianeggianti a ponente del Gaffa, accertano affluenti
importanti del Sobat e arrivano a Jellem, in influenza Àmarìca, il 16
marzo 1897.
Quale ecatombe sia là avvenuta tutti sanno; appena appena, dopo se-
vera prigionia, si salvarono Vannutelli e Citerni; Vittorio Bottego pugnando
moriva: ma morendo, si sottrasse da morte!
Possiamo ora continuare anche per l'Africa il metodo statistico in ordine
di tempo, che abbiamo seguito nel rìcordo delle pììi notevoli esplorazioni
nelle altre parti del mondo.
II lettore adesso è istruito dell'opera de' nostri, e l'accenno può correr
rapido senza timore, anche parlando delle esplorazioni nostre più insigni.
Vogliamo rifarci un momento più indietro del memorando nostro 1861.
71. Sapkto Giuseppe e Stella, missionari. Esplorano negli anni 1851 e
seguenti il paese de' Mensa^ dei Bogos e degli Habab^ che vengono messi in
luce per la prima volta, perchè tutte le esplorazioni da Massaua alI'Abis-
sinia, nella prima metà del secolo XIX, si fecero da sud. I due missionari
toccarono nelle loro importanti esplorazioni proprio buona parte di quelle
terre, che oggi formano la nostra Colonia Eritrea i^"').
26 ELIA MILLOSEVICH
72. Beltrame Giovanni (1854 e seguenti). Questo celebre missionario
e lìngìiìstd, (Grammatica della lingua Denka^ Firenze, 1870) fece importanti
escursioni tra ì Beni Sciangol e a Gondokoro ; fra gli Scillnk e i Denka. La
missione iniziata da Chartnm a ritroso del fiume (1859-60), è importante
(raccolte etnografiche in Museo preistorico a Roma), benché non abbia rag-
giunto le basse latitudini toccate da Miani e da De Bono. G. Beltrame era
nato a Taleggio nel 1824, e morì a Verona nel 1906 ('*).
78. Angelo Castelboloonesi, di Ferrara. Navigando a ritroso del Nilo,
esplora (1856-57) il fiume delle Gazzelle in barca, e poi fa una escursione
interna fra le popolazioni dei Bek, degli Adiak e dei Giur (Danka) C^).
74. GoaiiELMO Massaja (Piova nelV Astigiano 1809; S. Giorgio in
Cremano 1889). Questo eminente missionario africano, che mori cardinale
di S. M. C, dimorò, con una breve interruzione, circa 35 anni in Africa.
La sua opera, / miei trentacinque anni nell'Alta Miopia, è ricchissima di
preziose informazioni geografiche, etnografiche e storiche. Sarà sempre con-
sultata piti ancora nell'avvenire, perchè precede il periodo del contatto im-
mediato e continuo dell* Abissi nia col mondo moderno europeo. Fondò missioni
cattoliche specialmente nello Scioa, nel Gimma e fino nel Gaffa, ai tempi dei
regnuncoli dispotici chiusi da palizzate, al sud dello Scioa.
Fu rincitatore e il consigliere presso la S. G. I. nella esplorazione verso
l'Africa Equatoriale; e il capo di quella, Orazio Antinori, mise in luce i
grandi benefici alla spedizione prodigati dairillustre prelato.
Fu il primo europeo che neirottobre del 1858 giungesse a Bonga nel
Gaffa. Maestio in amarico e oromonico, pubblicò a Parigi le sue Lections
grammaticales ecc. (*•).
75. Orazio Antinori, già ricordato di sopra e soprattutto nello sguardo
storico precedente, fino dal 1859 da Chartum si reca a Sennar, poi nel Ka-
labat e alle montagne abissine. Nel 1860, con Guglielmo Lejean visita il
Cordofan e naviga il fiume delle Gazzelle. I viaggi del celebre naturalista
avevano obietto specialmente ornitologico, e le collezioni preziose da lui re-
cate in Italia adornano i nostri Musei; ma le quattro esplorazioni, fra il 1859
e il 1861, ebbero anche notevole importanza geografica. Dell'opera di luì in
tempi posteriori diremo in seguito (^0-
76. Giambattista Scala. La costa nella Guinea, già visitata verso il
1885 dairitaliano Tito Omboni ( Viaggio nell'Africa Occidentale^ Milano,
Givelli, 1835), è descritta diffusamente dal genovese G. B. Scala con obbietto
commerciale ed umanitario, facendo peraltro conoscere per primo quel tratto
che per 180 chilometri in linea retta va da Abbeokuta all'Oceano (1852-
1859) (").
77. Giovanni Miani. In ordine di tempo devesi qui ricordare il primo
memorabile viaggio dell'illustre Rodigino, del quale facemmo cenno nello
sguardo storico.
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 27
È il viaggio fatto col maltese De Bono nel 1859-60. Si può leggere
eoa interesse qnanto ne scrive Gaetano Branca nel suo libro {St viagg.
itaL).
Il celebre « albero di Miani « e la stazione di De Bono furono i primi
indizi di mano europea che preseutaronsi più tardi a Speke, a Orant e a
Baker. Il « Miani 's Baum « di Petermann era in latitudine -)~ S^32', sulla
sponda sinistra deirUn-y-Huè, affluente del Nilo. Sovente leggesi detto posto
a + 2**30' (Hugues, C. S. E. G., 226) ; ma vi è errore di un grado. Notevo-
lissima è la raccolta etnografica africana di G. Miani in Museo Civico Correr
a Venezia, ordinata da Vincenzo Lazari poco prima dell'immatura morte di
quel grande numismatico {^% ad un tempo traduttore del Cosmos di Ales-
sandro Humboldt.
78. BoRGHERO. Un contributo importante allo studio del delta del
Ntger e della costa degli Schiavi devesi al missionario Borohero, che vi
dimorò quattro anni, fra il 1862 e il 1867. Si legga la lettera di lui (1866),
diretta al Presidente della S. G. di Parigi (^^).
79. D*Ori. Un viaggio, fra il 1860 e il 1866, in parecchi distretti, al-
lora poco conosciuti, del Nilo Azzurro, specialmente nel paese di Taka {^^).
80. Carlo Piaggia. Un ardito e straordinario esploratore, di cui fa-
cemmo cenno nello sguardo storico sull'Africa. La sorte non gli permise la
coltura ; la natura diedegli le grandi e rare qualità dei pionieri nelle esplo-
razioni geografiche, un campo, che neiravvenire sarà tema di collegio. Leggi
su lui G. Branca, St. viagg. itaL, 410. Già compagno di Antinori nel
viaggio sopra ricordato, compie nel periodo 1863-65 quell'ardita penetra-
zione nei Niam-Niam e spingesi fino al bacino dell'Huelle (affi. Congo), se
pur non si spinse più a sud, certamente superando il parallelo nord del lago
Alberto, ma ad W di esso, avendo raccolto notizie, in verità assai confuse,
e di un lago (Alberto?) e di un gran fiume collegato con quello a quattro
giornate da Kifa, dove egli era giunto. Non è facile orientarsi sul percorso
del Piaggia (•*).
81. Giuseppe Forni (1865-69). Soggiornò per ragioni industriali in
Egitto, all'epoca dei lavori del taglio dell'istmo di Suez; esplorò, con qualche
beneficio alla scienza, il tratto fra Keneh ed Assuan sul Nilo e il mar
Rosso (»■').
82. Egidio Osio. In Abissinia, al seguito dell'esercito inglese (1868),
per incarico del Governo (••).
83. Orazio Antinorl Odoardo Bbccari, Arturo Issbl. Nell'occa-
sione che il grande naturalista Antinori, per incarico del Governo, assi-
steva nel 1869 alla inaugurazione del Canale di Snez, egli, associatosi ad
0. Beccari e ad A. Issel ai quali si aggregò anche G. Sapete, va da Aden
alla baja di Assab, da Assab alle isole Dahlak, e, per Massaua, spingesi a
Kerea (Bogos). Poi con Carlo Piaggia arriva (1870-72) fino a Cassala (*•).
28 ELIA MILLOSEVICH
84. Giovanni Miani. In questo tempo (1871-72) ha luogo rarditissìma
e sfortunata seconda grande esplorazione del nostro viaggiatore, della quale
facemmo cenno nel ricordo storico.
Parte da Kartum il 15 maggio 1871; dopo inaudite sciagure, valicato
il Gadda, arriva a MonbuttU nel maggio del 1872. Si spinge fino al Sulta-
nato di Bakangoi^ senza poter, come voleva, inoltrarsi verso Tequatore, e
muore d'inedia nel novembre 1872 nella residenza di un piccolo sultano
detto Numa. Come già dicemmo, i meriti di lui come coraggioso esplora-
tore vennero riconosciuti dagli stranieri. Monumento a Rovigo, auspice la
S. G. I. (^•).
85. Carlo Piaggia. Dopo il viaggio fino a Cassala con Àntinori (cfr. 83),
Tardito esploratore presta Topera sua a viaggiatori stranieri; purtroppo non
ne ebbe che a pentirsi. Tu questa circostanza (1873-75) visita molti distretti
dell'Abissinia e naviga il lago Tsana, dal quale trae alimento il Nilo Az-
zurro (®'). Forse non è da dimenticare qua il tentativo di un viaggio fatto
dall'ing. Conte Ferdinando dal Verme nel 1873, a scopo dì esplorazione, nel-
l'Africa orientale, tentativo fatalmente mancato, perchè le febbri colsero il
viaggiatore a Bagamojo appena lasciato Zanzibar, dove morì due mesi dopo
iniziata l'esplorazione (luglio 1873).
86. Orazio Antenori, Oreste Baratibri, G. Bellucci, De Gal-
VAGNO, A. Vanzetti, G. B. Lamberth, G. Ferrari, L. Tuminello. Nel
1875, mentre la S. G. I. preparava la grande spedizione all'Africa Equato-
riale, organizzava pure una piccola spedizione negli Sciott tunisini per accer-
tare se, con lo scavo di un canale dal golfo di Gabes fino al primo Sciott
nell'interno, si potesse utilmente inondare parte del deserto e guadagnarvi una
facile via d'accesso e terreni per le intense colture tropicali. Determinazione
dell'altitudine dello Sciott El Fegiei; i risultati furono tali da far ritenere
che il problema posto non era attuabile (^•).
87. Romolo Gessi. Cfr. il riassunto storico.
In una conferenza memoranda alla S. G. L, l'il marzo 1877, l'esplo-
ratore rendeva conto del suo classico viaggio (1876), del periplo del lago Al-
berto, missione compiuta per ordine del colonnello Gordon. Ordunque, la prima
circum -navigazione e il primo rilievo del lago Alberto, toccato la prima volta
da Baker, spettano all'italiano Romolo Gessi, il quale accertò essere il lago
separato dall'Alberto Edoardo e ben più piccolo di quanto credeva Samuele
Baker. Difatti il lago, lungo 82 km. e largo 40, finisce al sud in lat. -[- P12'
(rilev. Mason-Bey 1877) (»3).
88. Carlo Piaggia. Il sesto viaggio di Piaggia sul Nilo Bianco nel
1876 si collega coll'esplorazione precedente di Gessi, poiché, d'ordine di
Gordon, Piaggia compie una parte dell'esplorazione del lago Albei-to con
Gessi, ma da Magungo sull'Alberto risale il fiume Anfina, e si spinge fino
a Moroli\ esplorazione del lago da lui detto Cappechi (^^).
LK PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 29
89. Credo che un ricordo dell'opera di Pietro Sarvognan di Brazzà
debba qui trovai* posto, aucoicliè Tillustre viaggiatore sia stato naturalizzato
francese. Cfr. riassunto storico. Dopo molte esplorazioni nell'Africa occidentale,
ai servizi di Francia, fu nel 1876 a capo della grande esplorazione del-
VOgou-e tino agli Aduma. Baggiunse Y Alima, affluente di destra del Congo;
ma per le ostilità degli indigeni non potè* toccare il gran fiume. Ritor-
nato in Europa, consapevole delle grandi scoperte di Stanley, il grande rive-
latore del corso del Congo, con mezzi possenti riprese nel 1879 le ricerche
interrotte, vedendo nel T Alima un mezzo di collegamento fra l'Atlantico e il
medio Congo. Sono noti i classici risultamenti di questo viaggio, la fondazione
della stazione di Franceville, Tesplorazione di varii affluenti del Congo, che
raggiunse a Baluba. Vicino a Stanley Pool viene fondata la seconda stazione
(Brazzaville) nel 1880. Le esplorazioni posteriori lungo il Congo, di nuovo
uélV Ogou-e: la fondazione della stazione dell'alto Alima, ecc. ecc. ecc., costi-
tuiscono un insieme così glorioso, da collocare Brazzà di Sarvognan al posto
dei più grandi esploratori dell'Africa occidentale. Nominato nel 1883 « com-
missario della Repubblica francese nell'ovest africano « , dedicò tutta la sua
energia al Congo, e, stabilitosi a Kinshasa sul fiume, estese a poco a poco
il dominio francese nel bacino del gran fiume. Conferenza di Berlino (1885);
Stato indipendente del Congo, colonie francesi (Congo francese e Gabon),
protettorato del Belgio, recente annessione, ecc. ecc. ecc. (^^).
90. Orazio Antinori e la spedizione italiana, per cura della S. G. I.,
nell'Africa Equatoriale (1876-1882).
Il grande problema, affidato dalla S. G. I. ai suoi esploratori, era il
seguente: <« provenendo da Greco, cioè attravei-sando lEtiopia, esplorare le
regioni incognite fra il declivio meridionale etiopico e i già noti laghi equa-
toriali Vittoria, Alberto e Alberto Edoardo » .
Se la sorte avesse favorito la spedizione, i laghi Rodolfo e Stefania
sarebbero diversamente nominati. Assieme col comandante (0. A.) partirono
Giovanni Chiarini (Chieti, 1849 — Cialla, 1879) e Sebastiano Martini. Questo
ultimo, presto ritornò in Italia per rifornire la spedizione che già gravi perdite
aveva subite, e ripartì per lo Scioa con Antonio C^^^Ae (Pesaro, 1849 — La-
folè, 189(5). Le vicende della così detta seconda spedizione italiana nell'Africa
Equatoriale, che si fonde colla prima, sono narrate nell'opera pubblicata a spese
della S. G. I., Da Zeila alle frontiere del Gaffa. Traversìe, pericoli, disgrazie,
prigionìa, tutto parve cooperare perchè l'alto scopo non venisse raggiunto! Chia-
rini muore di stenti e di inedia, prigioniero della regina di Ghera, nelle
braccia di Cocchi, a Cialla, il 5 ottobre 1879. Cecchi resta due lunghi anni
captivo di quella regina, e Gustavo Bianchi, solo nel luglio del 1880 ne ot-
tiene la liberazione dal re del Goggiam; il ti marzo 1881 Cecchi rientra nello
Scioa, e a Let Marefià rivede Antinori. Tuttavia la scienza, e nelle raccolte
etnografiche (Museo preistorico a Roma) e nelle raccolte zoologiche, dovute
30 ELIA MILLOSBVICH
specialmente ad AntÌDori, e nei rilievi di Cecchi e Chiarini e nella lingua
Oromica sulle note di Masssya, Chiarini e Leon des Avanchers, ben ne
avvantaggiò. Il fiume Ghibiè percorsero e transitarono Cecchi e Chiarini
prima di raggiungere i piccoli regni di Ennaria, di Gomma e di Ghera, intoino
ai quali abbiamo imparato molte cose. Il Ghibiè^ come si sa, è Y Omoy che
tanto più tardi Vittorio Bòttego obbligava a sfociare nel lago Rodolfo (*^).
91. Giulio Adamoli. Un viaggio in Marocco, con proposito di studiare
i vantaggi di una fattoria commerciale in faccia a Lanzarotta e Forteven-
tura delle Canarie (*'').
92. Renzo Manzoni. Furono a suo luogo ricordati i tre via^ successivi
del Manzoni (1877-1880), dedicati alla esplorazione dello Jemen (cfr. n. 49).
Un tentativo di esplorazione della Somalia egli fa tra il secondo e il terzo
viaggio [vedi, per le fonti, (*^)].
93. G. Messbdaolia, nel Darfur (1878-1883) (*»).
94. Romolo Gessi e Pellegrino Matteucci (Bologna, 1850 — Londra,
1881). Quando Romolo Gessi, dopo il periplo del lago Alberto e il suo ri-
torno dall'Europa a Eartum, voleva dar mano nel Kaffa a Chiarini e a
Cecchi, Pellegrino Matteucci vi si associò.
Da Eartuni passano a Senaar sul Nilo Azzurro, e si spingono fino a
Fadasiy in regioni allora sconosciute (1878). Non possono oltrepassare lo Jabos,
nò lisolvere la questione se esso defluisca nel Sobat o, come oggi si sa, nel
Nilo Azzurro (•').
[Colgo questa occasione per accennare alle Raccolte etnografiche in
Museo preistorico a Roma, dovute alle cure di Romolo Gessi].
95. Prima spedizione commerciale in Abissinia (1879). Leggere il
libro di Pippo Tigoni : Abissinia. La spedizione è di iniziativa della Società
milanese di esplorazione commerciale in Africa. Vi prendono parte: Pippo
Vigoni, Tagliabue, Gustavo Bianchi, Pellegrino Matteucci (dopo il suo viaggio
con Gessi), Legnani e Ferrari. Da Massaua, per il Tigre e il Goggian, oltre
Baso, fino a Monoorer (Nilo Azzurro). Matteucci e Bianchi fanno importanti
ricerche naturalistiche e geologiche. Ferrari, Legnani e Yigoni al lago
Tzana (*••).
96. Giuseppe Narbtti (1879). Viaggio da Massaua a Debra-Tabor,
presso re Giovanni. Descrizione di Gondar (^^').
97. Giuseppe Maria Giulietti, Martini-Bernardi, Pietro Anto-
NELLI. Nel 1879, da Zeila, cercano i tre esploratori di raggiungere lo Scioa:
ma spogliati di tutto dagli indigeni, sono obbligati al ritorno. Poco dopo,
Giulietti compie con esito felice la traversata da Zeila all'Harrar (Relazione
scientifica, per quel tempo, importante).
Nel 1881 Giulietti imprese una esplorazione da Assab al fiume Guali-ma
fra gli Assabo-Galla. Assalito a tradimento dai Danakil, vi periva insieme
con G. Biglieri e 10 marinai ieìVMlore Fieramosca (*••).
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GKOGRAFICHE ITALIANE ol
98. Pellegrino Mattbocci, Alfonso Maria Massari e don Gio-
vanni Borghese. Una celebre traversata deirAfrica, primi fra gli europei,
compiono i due esploratori Pellegrino Matteucci e Alfonso Maria Massari, da
Saakin, nel Mar Bosso, fino all'Atlantico, al golfo di Guinea. Vi si associa
don Gio. Borghese, che concorse in gran parte alle spese di viaggio e ac-
compagnò gli esploratori fino alle poi*te dell' Uadai. La spedizione ebbe sus-
sidi materiali e morali dal Governo e dalla Soc. Geogr. It. (1880-1881).
Da Suakin, per Eartum, si diressero al Gordofan (Euca), poi a Eano nel
Socoto, d onde raggiunsero gli stabilimenti inglesi del Niger. Pellegrino Mat-
teucci moriva appena giunto di ritorno a Londra (8 agosto 1881). Questa
traversata ha destato molta ammirazione fra gli stranieri (^*^).
99. Gaetano Casati (1880-1889). Abbiamo fatto il nome di lui al-
lorché parlammo del celebre viaggio di Stanley. Le esplorazioni del Casati
in Africa durarono quasi un decennio, compresa la ben nota prigionia con
Emin (Edoardo Schnitzer) e con Jùncker.
Egli esplorò il bacino dell'Alto Nilo, la parte NE del bacino del Congo,
e poi, con Stanley, dal lago Alberto all'Oceano Indiano.
La esplorazione importante e personale si svolse dall'ottobre 1880 al
gennaio 1885. Ma anche durante l'isolamento dal mondo, da Ladò fece im-
portanti ricerche riguardanti i corsi d'acqua spettanti al lago Alberto e al
lago Alberto Edoardo, e studiò come potè* il gruppo celebre del Buvenzori,
che prima di Stanley vide e sommariamente riconobbe.
Gaetano Casati deve essere considerato come uno dei più notevoli pionieri
deirAfrica, allora semi-ignorata; era nato a Lesmo, in Brianza, nel 1838;
morì a Monticello nel 1902 (^•^).
100. Manfredo Camperio, Mamoli, Pastore ed Haimann. Bileva*
menti importanti in Cirenaica (1881).
[M. Camperio: n. Milano 1826, m. Napoli 1899]. Leggere la biografia
di questo ragguardevole uomo in Boll. Soc. Geogr. It. del febbraio 1900 {^^%
101. Daniele Comboni [n. 1831, m. 1881]. Un missionario di grandi
meriti, nella Nubia superiore. Esplora nel 1881 il Dar Nuba, a SW del Cor-
dofan ("«).
102. Eraldo Dabbene. Nel 1882 questo naturalista italiano esplora
i paesi dell'alto Nilo fino a SE di Lado (raccolte entomologiche) {^^'^).
103. Luigi Pknnazzi, avv. Gugl. Godio e dott. Magrbttl Un viaggio
nel 1882-83 da Snakin a Cassala e Metemma (108).
104. Missione italiana governativa Branchi (1883-84).
[Giovanni Branchi, nostro console, quando era in Australia, dimorò tre mesi
alle isole Figi, Di lui possediamo un libro (Le Mounier, 1878) col titolo
Tre mesi alle isole dei cannibali nell'arcipelago delle Figi. Poi in Nuova
Antologia, 1873, Una escursione in Tasmania. Importante collezione etno-
grafica in Museo preistorico a Roma]. Questa nota abbiamo qua collocato
32 ELIA MILLOSEVICH
per presentare al lettore il capo della missione italiana governativa a re
Giovanni.
Accordi conamerciali fra Giovanni re d'Abissinia e Tltalia. Compongono
la missione, oltre al capo, Gustavo Bianchi, Diana, Monari, e Salimbeni.
A quest'epoca l'Italia, già in possesso della baja d*Assab, sente il bisogno di
conoscere una buona vìa di comunicazione fra TAbissinia orientale e la baja.
Dalle esplorazioni di Gustavo Bianchi impariamo i caratteri di pendenza
generale dellacrocoro etiopico verso levante, e vengono definiti parecchi corsi
d'acqua.
Il 7-8 ottobre 1884 Gustavo Bianchi, assalito dai Dankali, periva vit-
tima della scienza, insieme con due suoi fidi compagni (Romagnoli e Blandino).
Nel 1886, A. Gagliardi, da Beilul, penetra nei Danakil e giunge al luogo
dell'eccidio di Gustavo Bianchi (^•*).
105. Pietro Antonelli [n. 1854, m. 1900), già ricordato per il suo
viaggio con Giulietti e Martini nel 1879, e ben noto per la sua azione in
favore di Cocchi quando questi era prigione a Gialla, imprese un importante
viaggio nel 1882-83 da Assab ad Ancober per una nuova via nell'Aussa. Sono
ben conosciute le funzioni politiche dal conte Antonelli esercitate presso il
Negus, col quale ebbe gmnde dimestichezza; l'azione di lui presso Timperatore
dell'Etiopia fu assai discussa nel sonso se sia stata benefica o no all'Italia.
Questo non è il luogo di esaminare la delicatissima questione ; certamente il
conte Antonelli operò ispirato al piti alto amore pel proprio paese (^^^).
106. Leopoldo Traversi, insieme con Pietro Antonelli (1886), in una
ricognizione militare contro gli Arussi Galla, determina l'esatta posizione del
lago Zuai, che Stecker e Hénon avevano visto qualche anno prima (^^0-
107. Pietro Sacconi. È ucciso dai Somali il 12 agosto 1883, mentre
da Harrar era giunto ad un affluente dell'Uebi Scebeli nell'alto suo corso;
una delle tante vittime nelle esplorazioni della Somalia! ('**).
108. Augusto Pranzoi. Nel 1883 proponesi di andare dall' Abissiuia
ad AfalLò (missione cattolica presso Gialla nel regno di Ghera), col pietoso
proposito di esumare i resti dello sfortunato e benemerito Giovanni Chiarini
(cfr. n. 90). Riesce nell'impresa ardua, ed esuma il cadavere il 26 settembre
1883.
A la città di Ghieti, che già aveva eretto un monumento a Chiarini,
Augusto Pranzoi consegna le preziose reliquie ("^).
109. Leopoldo Traversi, prima dell'esplorazione al lago Zuài col
conte Antonelli, va da Entotto, allora residenza dell'imperatore dell'Etiopia,
al bacino sorgentifero dell' Hauash (1885). Lettera di L. T. al conte A. Bou-
turline, che fu suo compagno di viaggio, credo fino allo Scioa (*^^).
110. Vincenzo Ragazzi, direttore della stazione, allora italiana, di
Let Marefià, dà notizie mediche raccolte nel viaggio da Assab all'Abissinia
(1885) (^^').
LB PRINCIPALI ESPLORAZIONI OBOORAFIGHE ITALIANB 33
111. Alfonso Maria Massari, già ben noto per la traversata dell'Africa
da Est ad Ovest (v. n. 98), nel novembre 1884, da Léopoldville (Stanley Pool)
si diresse nell'alto Congo e risalì il M'he fino all'equatore (Licuala) (^^').
112. L. Gapucci e L. Cicognani. Un viaggio da Assab all'Àussa; questo
ultimo, nei Bancali (1885-86) (''').
118. Weitzbcker Giacomo* missionario nel Basuto-Land. Suoi viaggi
nell'Africa Australe (terreni diamantiferi del West-Orìqua-Land, ecc. ecc.).
Sotto gli auspici! della S. G. L Perìodo 1885-88. Questo missionario val-
dese fornì al Museo preistorico di Boma collezioni etnografiche riguardanti
i Boscimani, i Zulà, i Basuti e gli indigeni dello Zambesi ('^^).
114. L. Bricchetti-Bobecchi (1886). Il primo viaggio di questo for-
tunato e valoroso esploratore, che più tardi doveva essere primo fra i bianchi
ad attraversare la temuta Somalia. Egli fa un'escursione attraverso il deserto
Libico, all'oasi di Siuva ; ne diede notizia in una Conferenza alla Società Geo-
grafica Italiana (^^*).
115. Vincenzo Ragazzi, nel suo viaggio a Let Marefià, dimostra che il
Do fané non è un vulcano attivo (1886), contro l'opinione generale sancita
dalle indicazioni di Roberto d'Héricourt (1840) ('*<>).
116. La Società di Esplorazioni commerciali in Milano (1886), col con-
corso della S. G. I. e della Società Africana di Napoli, organizza una spe-
dizione con iscopo commerciale e destinata all'Harrar. Ne fanno pai'te: il
col. G. Porro ed i signori P. Bianchi, Cocastelli, Gottardi, Licata, Romagnoli
e Zannini. •
L'emiro di Barrar, assalendo il posto militare di Gildessa (Gialdessa),
fece trucidare 1* intera spedizione, che là era giunta o prossima a giungere ;
altro grave lutto italiano! (*•*)•
117. Cesare Nerazzini, medico della R. Marina, in missione al Negus
Neghest (Giovanni) col cap. V. Ferrari, da Massaua a NE del lago Tana
(Ambaciarà). Nel ritorno, per una via non mai percorsa da prima, giungeva
a Macallè ("«).
118. Giacomo Bove, già ricordato con alto onore ai nn. 6, 21 e 24,
insieme col cap. G. Fabrello, imprende una missione con iscopo commer-
ciale ad eventuale interesse italiano, nel Congo.
Esame del basso Congo e delle fattorie straniere (1885-86).
L'esimio esploratore mancava tragicamente ai vivi nel 1887. Era nato
a Maranzana d'Acqui nel 1852; ebbe recentemente onorata tomba in
Acqui ('«^).
119. Vincenzo Ragazzi, nel 1886-87, continuando le sue esplorazioni,
determina la linea di displuvio tra affluenti occidentali del Webi superiore
e l'Hauas (»«^).
120. E. Cortese (1887). L'unica esplorazione italiana nel Madagascar
che io conosca, è quella dell' ing. E. Cortese. Nozioni generali sulla grande
Elia Millosbvicu. — L« principali etplortuiom, eee. 8
84 BUA MILLOSEVICH
isola, siilla Boa struttura geologica; antropografia dell'isola, piante, animali,
colonizzazione europea, viaggi neirisola. Esplorazione del distretto fluviale
del Betsiboka^ e deir/éoAa, suo principale affluente (''^).
121. Leopoldo Traversi, essendo medico dell* imperatore dell'Etiopia,
ottenne di poter pai'tire per una escursione nel Oimma e quindi all'alto corso
deirOmo (1887-88). Il Traversi non ebbe mezzo di poter sapere giusta-
mente del corso medio del fiume, che Giulio Borelly toccò Tanno dopo, e del
quale divinò la defluenza, identificata pib tardi assai da Vittorio Bottego (^*').
122. L. Bobbgghi-Brigchetti. Cfr. n. 114. Secondo suo viaggio in
Africa (1888); da Zeila alTHanar; lilievi alla bussola, distanze a passo di
cammello, raccolta di animali e di piante. Suo libro; Conferenza alla S. G. I.
il 26 giugno 1889. Baccolte etnografiche in Museo preistorico a Boma i}^'^),
123. Giulio D. Cocorda (1888-89), durante il suo viaggio nell'Africa
Australe manda alla S. G. I. una relazione sul Transwaal e sui campi d'oro (^*').
124. Manfredo Gamperio. Cfr. n. 100. L'illustre uomo, nel 1889-90,
nei suoi viaggi in Eritrea, giunge all'altipiano dei Mensa, che studia dal
lato agricolo e commerciale (^'*).
125. Il conte Salimbeni, che aveva fatto parte della missione italiana
Branchi nel 1883-84, è di nuovo iu Abissinia nel 1890 e compie un viaggio
da Adua a Socota (^^®).
126. Ing. Lumi Baldacci. In Eritrea, per studi geologici (1890). Suo
libro. Colà ritorna, per lo stesso scopo, nel 1909 (^'0*
127. G. Corona, primo console italiano: informazioni commerciali sul
Congo (»^«).
128. Giovanni Da vico. Da Ancober ad Harrar, e di là a Zeila attra-
verso il deserto degli Issa Somali (1890) ('^').
Benché numerosi tentativi di esplorazione della Somalia si abbiano
prima del 1890, stranieri e anche nostrali, con esito infruttuoso o quasi,
con spaventevoli catastrofi, tuttavia devesi fissare a quella data la sistematica
esplorazione della temuta penisola. L'esplorazione era assai seducente perchè
nessun bianco era riuscito ad attraversarla; donde la nostra ignoranza sui
corsi dei due grandi fiumi, VUebi Scebeli e il Giuba.
129. E. Baudi di Vesme. Migliorando le nozioni dateci dagli esplo-
ratori f.Ui Jame!<, il capitano Baudi di Vesme, da Berbera in direzione S-SE,
giuDse fino a Labaghardei e anche più in là, cioè al fianco meridionale dei
monti Bui-dap (1890), neirOgaden ("^).
130. L. Bricchetti-Robecchi (1890) percorre il litorale del paese dei
Somali da Obbia ad AUula (il vertice N della penisola).
Questa regione era quasi del tutto inesplorata, e il viaggiatore fornisce
importanti notizie naturali ed etnografiche; queste ultime, assieme colle rac-
colte che si procurò nella celebre traversata, figurano nel Museo etnografico
e preistorico a Roma. Il viaggio del Robecchi, del 1890, pronunzia la grande
sua traversata della Somalia (^^^).
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI aEOORAFICHE ITALIANE 35
181. II missionario valdese G. Weitzecker (1890), già prima ricordato,
comunica le sue impressioni geografiche intorno alle contrade del Natal (^^').
132. Vittorio Botteqo. Nel 1891 il grande esploratore italiano inizia
i suoi viaggi. Essendo a Massaua, primo fra gli europei, percorre la costa dei
Danachili^ da Massaua ad Assab (^^'').
133. E. Baudi di Yesmb, insieme con Giuseppe Candeo, nel febbraio del
1891 parte da Berbera per continuare le esplorazioni nella Somalia; di-
rigendosi verso SW, raggiungono ambedue TUebi Scebeli (Cfr. Sguardo
storico suWAfrica).
Sulla via dei fratelli James (vedi n. 129) arrivano fino ad Imi; non po-
tendo superare le difficoltà create loro dagli indigeni, ritornano ad Harrar.
Dopo gravi peripezie causate dalla prepotenza Amarica, possono rimpatriare
perla via di Zeila; questo viaggio importante preludia alle glorie italiane
nella Somalia (*'').
134. Due spedizioni italiane si incrociano in questo momento (1891),
proprio nel centro dell'Ogaden: quella memoranda della traversata della So-
malia, compiuta da Robecghi-Bricchetti, e Taltra, in senso inverso, tentata
da Eugenio Buspoli nella sua prima esplorazione nella penisola.
Della traversata della Somalia, compiuta dal Bobegghi-Buicohbtti,
abbiamo detto nella Relazione storica, per l'eccezionale importanza di quella.
La Conferenza riguardante quel viaggio venne tenuta dal Bricchetti alla
S. G. I., il 22 febbraio 1892 (^^•).
135. Eugenio dei Principi Ruspoli, nella sua prima esplorazione
nella Somalia, superate gravi difScoltà e pericoli, da Berbera (8 luglio 1891)
raggiungeva e passava l'IIebi Scebeli col proposito di esplorare gli ignoti
corsi del medio ed alto Giuba. Per defezione del capo dei soldati, l'impresa
fallì, e Ruspoli, insieme col suo compagno Keller, dovette ritornare in Europa.
Sua opera: Nel paese della mirrai Roma, 1892 (^").
136. Nel frattempo, Ugo Perrandi (1891-92), che ricordai con gran
compiacimento nella Relazione storica, vuol rs^giungere Barderà da Brava
lungo la sinistra deirUebi Scebeli, e giunge soltanto fino a Mansur; ma vi
riesce in un secondo viaggio. Ugo Perrandi è il primo bianco che entra a
Bardem, il 13 gennaio 1893, dopo la catastrofe toccata a Von der Decken
nel 18G5. Ha luogo l'incontro con Grixoni, che si era allontanato dal coman-
dante Vittorio Bòttego nell'alto Giuba (cfr. Relazione storica) (*^').
137. Eugenio dei Principi Ruspoli. Imprende la sua seconda esplo-
razione partendo a due mesi di distanza dalla partenza di Vittorio Bottego
da Berbera. Suoi compagni furono Ting. Borcbardt, il dott. Riva, il signor
Lucca ed Emilio Dal Senno ((5 dicembre 1892).
Un accenno di questo viaggio fu fatto nella Relazione storica.
L'accertamento che l' Ueb è un affluente del Giuba : la percorrenza di una
parte del Daua, affluente del Giuba: Tarrivo nei Giam-Giam, poi negli
36 BLIA MILLOSEVICH
Amhara Burgì : la scoperta del lago Abbaja (il Ciamò di Bottego), danno im-
portanza non lieve al viaggio, così tragicamente finito (*^^).
138. In questo frattempo (1892X A. Terracciano fa mi'esplorazione
botanica delle isole Dahlac (di fronte a Massana) e delVEritrea (^^^).
Qui è il posto, coi numeri 139 e 140, che spetterebbe per il riassunto
delle due classiche esplorazioni compiute sotto gli auspici diretti della S. G. I.
(col concorso anche dei poteri dello Stato), essendo Presidente della Società
il marchese Giacomo Doria, da Vittorio Bottkgo.
Le due gloriose esplorazioni, che di un tratto recarono tanto lume alla
geografia delF Africa orientale, sono state succintamente accennate nella Re-
lazione storica riguardante VAfrica.
Consultare le due opere: Il Giuba esplorato^ e L'Orno^ edite sotto gli
auspici e coi mezzi della S. G. I.
Al grande esploratore parmense fu inaugurato il monumento in patria,
il 27 settembre 1907. Chi scrive queste righe, ebbe il piacere di discutere
tutte le osservazioni astronomiche fatte da Lamberto Vannutelli durante la
seconda esplorazione, e di più Talto onore di commemorare a Parma l'illustre
estinto, nel giorno solenne della sua glorificazione. Due memorande Conferenze
debbono essere ricordate : la prima è la narrazione dell* esplorazione dei corsi
del Giuba, narrazione fatta da Vittorio Bottego il 17 marzo 1894; Taltra,
riguardante il corso delVOmo e le scoperte geografiche a quella ricerca
strettamente collegate, tennero i superstiti Lamberto Vannutelli e Carlo Gi-
temi, il 9 aprile 1898 {''%
141. Ugo Fbrkandi. Come è detto nella Relazione generale, da Eisi-
majo passa a Brava e sì unisce colla spedizione Bottego per compiere a
Lugh la missione governativa di carattere commerciale. Suo ritorno a Brava
da Lugh nel 1897, dopo la pace con TAbissinia (^^^).
142. Leonardo Fea. Già ricordato per i suoi viaggi a scopo special-
mente zoologico in Birmania, compie una esplorazione nelle isole del Capo
Verde e nella Guinea Portoghese, col medesimo scopo. La esplorazione scien-
tifica durò ben cinque anni (dicembre 1897 - marzo 1903). Raccolte zoologiche
in Museo Civico di Genova; leggere il necrologio scritto da Gestro (^^').
143. Curzio Masb-Dari, che, dal 1892, per ragioni commerciali
viaggiò nell'Eritrea ovest, incomincia (1899) ad inviare corrispondenze alla
Società Africana di Napoli, sui Bara o Cunama (^^^).
144. F. Sylos-Sersalb. In Somalia settentrionale (1902) fra i Migiur-
tini, fra Obbia e AUula (»«).
145. Il maggiore A. Pedretti. In escursione nella Cirenaica. Sue Note
di viaggio (Bengasi-Derna) ("•).
146. Ferdinando Martini. Viaggio con grossa carovana e molti europei
neirovest dell'Eritrea (regione dei Cunama). Descrizione geografica e itine-
rarii (autore Umbeiio AdamoUo), aprile 1902 (^^^).
LE PRINCIPALI ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE ITALIANE 37
147. Col. 6. Colli di Felizzano. Nei paesi Galla, a sud dello Scioa.
Bilievo topograQco deiritinerarìo. Cenni etnografici, polìtici e commerciali.
Il viaggio venne fatto con una spedizione inglese. Dagli ufficiali inglesi
vennero eseguite triangolazioni e determinazioni astronomiche fino al lago
Rodolfo. Dal lago Rodolfo ad Addis-Abeba, il col. G. Colli di Felizzano
esegui da solo rilievi alla bussola (novembre 1902 - maggio 1903) Q^^),
148. Il capitano medico della R. Marina Eduardo Baccari, per in-
carico del Governo (1903), penetra nello Stato del Congo fino ai grandi
laghi Kivù e Tangagnica^ studia la regione sotto più aspetti e ne pubblica
un libro apprezzatissimo. Tiene una Conferenza sui grandi laghi Africani, il
30 aprile 1905 alla S. G. I. ("«).
149. ViNASSA DB Rbgnt 0 Ugo Fbrrandi. Nella Tripolitania setten-
trionale, da Tripoli ad Homs (1902) (*'^»).
150. Olinto Marinelli e Giotto Dainelli, nel 1905, nelPoccasione
del Congresso Coloniale ad Asmara, insieme con Lamberto Loria, percor-
rono buona parte dell'Eritrea; i primi due giungono anche neirAssaorta.
Ricerche geografiche; determinazioni altimetriche, ecc. ecc. (^^^).
151. S. A. R. il Doga degli Abruzzi, con Umberto Cagni, Vittorio
Sella, Achille Cavalli Molinelli, Alessandro Rocoati ed Edoardo
Winspeare, nel 1906, compie Tesplorazione del Ruvenzori (nella parte più
alta), la catena di montagne fra il lago Alberto ed il lago Alberto Edoardo,
catena che Stanley per primo fece conoscere con esatta ubicazione, benché
probabilmente da Baker e Gessi fosse stata prima intravista. Un volume di
narrazione del viaggio (De Filippi), e due volumi di risultati scientifici.
S. A. R. il Duca degli Abruzzi lesse la sua Conferenza, riguardante la
prefata espici azione, alla S. G. I., il 7 gennaio 1907. La vetta più elevata,
vetta Margherita, risultò alta m. 5125; essa appartiene al gruppo « monte
Stanley «, ecc. ecc. (^^^). A 1100 chilometri di distanza, in Africa, un monte
altissimo e un bel lago, il primo quotato da un Principe di Casa Savoja, il
secondo scoperto da uno dei più celebri nostri esploratori, portano il nome
augusto di Margherita.
152. Il cap. A. M. Tancredi, G. Ostini e M. Rava (1908). Nell'Etiopia
settentrionale, fino al lago Tsana e alle cascate del Nilo Azzurro. Quadretti
della regione, eseguiti dal pittore M. Rava. Lo stesso Tancredi (1909)
compie una escursione nell'Assaorta, per conto della S. G. I. (^^^).
Sono giunto alla fine del modesto mio lavoro; possa Tamore, che mi
sorresse nello studio, velare la poca competenza, che, in verità, era meglio
assai che Tillustre decano fra i nostri geografi, e non un astronomo, lo dettasse.
38 BLU MILLOftEVIOH
Nelle pagine che seguono, vi sono le fonti e i teiti. Dopo ogni esplo-
razione trovasi nn numero in parentesi, a cui corrisponde identico numero
nelle pagine delle fonti e dei testi: questi e quelle possono essere una
buona guida per lo studioso che desiderasse conoscere minutamente la
portata di ciascuna esplorazione. Un semplice sguardo anche alle sole fonti
insegna al lettore il più ignaro dell'opera della Società Geografica Italiana,
quale parte essa abbia avuto, in otto lustri, nella funzione di consiglio, di
aiuto, di guida e di diffusione, a vantaggio delle esplorazioni geografiche ita-
liane, e quanto bene essa abbia recato alla scienza.
Sia r Italia fiera di questa sua Istituzione, e le porti gratitudine!
Elia Millosevich
Dir. deli'Oss. Asir. al Collegio Romano.
LB PRINCIPALI ESPLORAZIONI OBOQRAFICHB ITALIANE 89
FONTI E TESTI
Q) La Società geografica italiana e Vopera sua nel secolo XIX. G. Dalla Vedova,
Roma, 1904, ^ Dalla Vedova, La S, 0. I. ecc.
(•) Dalla Vedova, La S, Q. /., pag. 17.
(•) G. Dalla Vedova, / recenti lutti della S. 0. /., Roma, 1898,
(*) Bollettino della S. G. L, "=. Boll. S. G. I. L*intera collezione, fino al 1909 com-
preso, volami 46. Quattro serie di 12 volumi; 3 serie complete e la FV che finisce con
Tanno 1911. — Memorie della Società geografica italiana, ^ Mem. S. G. I. Sono pubbli-
cati 13 volumi.
(*) Sttdt biografici e bibliografici sulla storia della geografia in Italia ecc. ecc.
Due volumi; due edizioni (1875-82). I. Amat di S. Filippo, Biografia dei viaggiatori
italiani ecc. ecc. ^ Amat, i^. B. B, S» 0. L
(*) E. Pini, Cenni storici sulla S. I. di esploranioni, ecc. ecc. Boll, della S., ecc. ecc.
Anno 16*. fase. VII, 1901, Milano.
(») Dalla Vedova, biogr., Luigi Palma di Cesnola, Rivista d'Italia, 1889; Amat,
Studi biogr., I, 598.
(•) Boll. S. G. L, 1872, 1; 1873, 124; 1876, 8.
(•) Cosmos, 1875. Boll. S. G. L, J874, 752; 1875, 113.
(»*') G. Ricchieri, La « Stella Polare » nel mare Artico. Relasione, ecc. ecc. Mes-
sina, 1903; 6. Ved. anche (") Giglioli.
(^^) E. ed I. Gìglioli, Oli odierni viaggiatori italiani, Milano, 1874; 21 (estratto
dall'Ann. Se. ital ). G. Cora, Cosmos, Torino, 1878 ; A^^cr. di Parent, in «Esploratore»,
1885, 164.
(") Hngues, Cronologia delle scoperte e delle esplorazioni geografiche, Hoepli,
Milano, 1903, 815. 316 = Hugues, C. S. E. G.; Amat, S. B. B. S. G. L, 1882, 632-633;
Boll. S. G. L, 1877, 450; 1878, 3, 78; Riv. Maritt., 1878-80.
(>•) Hugues, 0. S. E. G., 348; Boll. S. G. I., 1883-1884; G. Ricchieri, ut supra.
(**) La « Stella Polare » nel mare Artico (1899-1900) e Ouervasioni scientifiche
eseguite durante la spedizione polare di S. A. R Luigi Amedeo di Savoia Duca degli
Abruzzi (due volumi, ecc. ecc). Conferenza di S. A. R .e del comandante Cagni, Boll. S. G. L,
febbr. 1901; Recensioni, giudizi, commenti, ecc. ecc. (passim)', Hugues, C. S. E. G.,
460, 61; G. Ricchieri, ut supra, ecc. ecc.
(») Boll. S. G. I., 1900, in, IV e V.
(»•) Boll. S. G. I., 1904, 232; Mem. S. G. L, IX, 82, 104.
(«') Boll S. G. I., voi. I, 71; 1868, 215-242. Arminjon, Il Giappone e il viaggio
della corvetta « .Magenta » nel 186 6, Genova, 1869. Giglioli E. H., Viaggio intomo al
globo della pirocorvetta « Magenta n, Milano, 1876; Amat, S. B. B. S. G., 603. Per Ar-
minjon, cfr. G. Dalla Vedova, / recenti lutti (ut supra). Per E. Giglioli, cfr. Boll. S. G. I.,
1910, 64 e Annali Museo di Genova, 1910 (Vinciguerra).
(>•) Rivista marittima, luglio e ottobre 1872, ottobre 1873; G. Cora, « Cosmos «, 1878,
I, 48; Amat, S. B. B. S. G., 613; E. ed L Giglioli, ut supra, 11-15.
^ ELIA MILLOSBVIGH
(■*) Amai, Oli illustri viaggiatori italiani, Roma, 1885, 418-415 ^ Amat, I. V. I. ;
C. Bertacchi, Oeogra/i italiani alVestero, Roma, 1899| 33-38 (estratto) ^ Mem. S. 6. 1.,
n, vili, 1898.
(*o) e. Bertacchi, ut supra, 38-46 (estratto); Hugaes, C. S. E. G., 244 e 249.
(") Boll. S. G. L, 1888, 600, 833, 880; 1884, 528.
(•■) Boll. S. G. I., 1878, 97; 1883, 287.
(••) Hugaes, C. S, E. G., 297; Boll. S. G. I, 1877, 172.
C^) Espi. Milano, sett. 1877.
(") P. DonazBolo, St. della geogr. Feltre, 1902, 201-202; Bull. S. G. 1 , 1887, 354.
500; 1888, 715, 832; 1889, 1890, 1900.
(■•) Hagaes. C. S. E. G., 326; Boll. S. G. L, 1881, 609.
(■') Huguea, C. S. E. G., 343-344; Boll. S. G. I., 1881, 803; 1882, 805; 1883, passim]
1884, 670.
(*•) Boll. S. G. I., noY. 1884; febbr. e marzo 1885.
(«•) Boll. S. G. L, 1885, 618-626.
(■•) Boll. S. G. I., 1884, nov. e die.
(•') Boll. S. G. I., 1889, HI; 1891, VI, VÌI, IX, XI; 1892, III, IV, VI, VII, X, XI;
1893, 919; 1894, 695. In 1893, 819, Necrologia.
(»■) Boll. S. G. I., I, VI, 1892.
(»•) Boll. S. G. I., 1894, VI, VII; 1897, X, XI; 1902, XII; Necrologia (Giglioli).
(•«) Boll. S. G. I., 1898, IV; Conferentadi Filippi, 8 marzo 1898; Relazione ori-
ginale; Hagaes, C. S. E. G., 449.
(••) Boll. S. G. L, 1901, VII, Vra, IX.
(••) Boll. S. G. L, 1901, I, II, m, IV, V.
(") Boll. S. G. I., 1907, V, XU; 1908, I, III.
(»•) Boll. S. G.I., 1872, VII; 1877, 161-168.
(>•) G. Branca, St. dei viaggiatori ital, 470476; Amat, S. B. B. S. G., I, 602.
(«•) Hagaes, C. S. E. G., 243; Amat, S. B. B. S. G., 601-602.
(«<) Hagaes. 0. S. E. G., 248; Giglioli, in N. Antologia, settembre 1872; Boll.
S. G. I, 1868. 193. Amat, S. B. B. S. G., 604.
(*•) Amat, S. B. B. S. G., 605. Per Necrologia, vedi Espi, comm., Milano, 1900, 1.
(*•) Hagaes, C. 8. E. G., 259; Boll. S. G. L, 1870, V, 61-106; Necr, Qarovaglio, in
Espi, comm., 1905.
(**) Hagaes, C. S. E. G., 260; Amat, S. B. B. S. G., 609; Boll. S. G. I.. 1:ì72, 95.
(*•) Boll. Cons. regno Italia, 1870; Riv. maritt., febbr. e marzo 1873; Boll. S. G. I,
1872, 85.
(*•) Amat. S. B. B. S. G., 609.
i*"*) Amat, S. B. B. S. G., 600-601. Relazione sommaria in Branca, i^^ viagg.,
455-470.
(^) E.edl. Giglioli, ttT supra, 15-17 (estratto dalFA. S. I., 1874); Amat, S. B. B. S. G.,
509-610.
(*•) Boll. S. G.I., 1871, 86-100; Amat, S. B.B. S. G., 612.
(■•) Esploratore, 1879-1880.
(») Amat, S. B. B. 8. G., 615; Boll. S. G. I., 1874, 182-216; G. Cora, in
« Gosmos », 1878.
(•■) E. ed I. Giglioli, ut supra, 2-11 (estratto dall'A. S. 1, 1874); Hagaes, C. S. E. G.,
278. Boll, S. G. I., 1873, 67-71; 1874, 137 e 311; 1875, 488. Secrologia di L, Af. D'AI-
bertis dettata da Decio Vinciguerra, in Boll. S. G. I., ott. 1901. L. M. D^Albertis, n. a
Voltri in Ligaria il 21 nov. 1841, m. sett. 1901.
LB PRINOIPALI ESPLORAZIONI OBOGRAFIGHB ITALIANB ^1
(•>) Decio Vincigaerra, ut supra; Hugnes, C. S. E. G., 292, 298; 868 (Spedizione
aastraliana Everill). Boll. S. G.I., 1879, 11; Amat, S. B. B. S. G. I, 615, ecc. ecc.
(•*) Hugaes, C. S. E. G., 294.
(»») Hugues, C. S. E. G., 308; Esploratore, 1878; Boll. S. G. I., 1879, 176, 432.
(••) Boll. S. G. I., 1880, 300-302.
(•») Boll. S. G. 1 , 1885, ott., 776-778.
(••) Boll. S. G.I., 1881, 28-39; Riv. Mariti. (1879-1880; sul viaggio totale della
Vettor Pisani, 1879-1881).
(••) Boll. S. G. T., 1881, 851-378.
(••) Boll. S. G. I., 1885, aprile-agosto.
(•») Boll. S. G. I., agosto e settembre 1887; Hugaes, C. S. E. G., 375.^Volumi Museo
Civico Genova.
(•«) Boll. S. G. I., maggio 1887.
("J Hugues, C. S. E. G., 380; Boll. S. G. I., 1888, 627, 854; Annali Musco Civico
Genova.
(•*) Hugues, C. S. E. G., 401.
(••) Boll. S. G. I., 1890, maggio e giagno; 1891, 830, 905; 1898, maggio, ecc. ecc.
(••) Hugues, C. S. E. G., 414; Boll. S. G. L, 1891, 201, 367, 588, 683; 1892, 117.
(") Boll. S. G. I., sett.-nov. e die. 1894.
(••) Boll. S. G. I., 1894, 387 e seg , 543 e seg.; 1898, 256 e seg.
(••) Esploratore 1895; Hugues, C. S. E. G., 439.
('•) Boll. S. G. I., luglio 1898; Hugues, C. 8. E. G., 448.
(") Hugues, C. S. E. G., 457.
(»■) Boll. S. G. L, 1904; V, VI, VII.
(") Boll. S. G. 1 , 1904, VI, VII.
('*) Boll. S. G. L, 1906, IX, X; 1907, III.
('•) Boll. S. G. I., 1910, IV.
(»•) Lettere nell'Espl. di Milano, 1909-1910.
(") Branca, St. viaggiai, itaL, 358 ; Sapete, Etiopia, introd., Necr,, in Espi. 1895,
288; Sulla colonia del p. Stella nei Bogos, vedi Boll. S. G. I., 1869, 469; Hugues,
C. S. E. G., 205.
('•) Branca, St> viaggiai. itaL, 382; Hugues, C. S. E. G., 213; Boll. S. G. I., 1906,
488-490.
('*) Branca, St. viaggiai, ital, 365. Tour de monde, Paris. 1862, n. 129; Pet. Miti.
Gotha, 1862, 356.
(w) Boll. S. G. I., 1889, 935; Hugaes. C. S. E. G. 223, ecc. ecc.
("} Hugues, C. S. E. G., 224 e 232; Branca, St. viaggiai. itaL, 373; Boll. S. G. 1.,
1868, 91 ; Malte-Brun, Nouv. Ann. des voyages, 1863, 1, 312; Pet. Mitt Ergftnz., n. 10, 1862.
(*') Branca, St. viaggiai. itaL, 423.
(*') Amat, ///. viaggiai., 441; Amat, S. B. B. S. G., I, 582; G. Branca, St. viaggiai.
Hai.. 389; Hugues, C. S. E. G., 226. Per De Bono, vedi Amat, S. B. B. S. G., I, 591; Malte-
Brau, Nouv. Ann. 1862, 5-38; Bull. Soc. géogr., Paris, IV.; Recenti eeoperte $ul fiume
Bianco fatte da Andrea De Bono e da lui stesso descritte, Alessandria d*£gitto, 1862.
(•♦) G. Branca, i^^ viaggiai. Hai., 431; Malte-Brun, Nouv. Ann. 1865, II, 141.
(••) Hugues, C. S. E. G., 233; Pet. Mitt. 1867, 73.
(**) Hugues, C. S. E. G., 242 ; Branca, come in testo.
(*^) G. Branca, Si. viaggiai. itaL, 355. Sua opera, Milano; ecc. ecc.
(") Boll. 8. G. I., 1869, IL
(••) Boll. S. G. L, 1870, 43; Hugues, C. S. E. G., 270; Amat, IlL viaggiai. itaL, 527
(biografia Antinorì).
42 BLIA MILLOSBVIGH
(^) Amat. III. viaggiai, ital, 441; Hugues, C. S. E. G., 272-273; Note di viaggio
al MonòuUù (Camperio), Boll. S. G. I.
(•») Hugaes, C. 8. E. G., 277; Amat, HI viaggiai. Hai., biografia di Carlo Piaggia,
511; Araat, S. B. B. S. G., 724.
(»■) Dalla Vedova, La Soc. geogr. ital,,S2; Boll. S. G. I., Xn, 227, 437, app. alle
pp. 452, 453, 619, 676; Boll. S. G. I., 1876, 17, 347; Hugues, C. S. E. G., 291.
(•»} Boll. S. G. I, 1877, 49; Hugaes, C. S. E. G., 295-306; Ainat, Ili viaggiai. Hai,
465; Amat, S. B. B. 8. G., I, 619; ecc. ecc. ecc.
(•♦) Amat, III viaggiai. Hai, 514; Hugues, C. S. E. G , 295.
(") Fonti su Brazzà numerosissime, Boll. 8. G. I., 1876-77-78-79-80-81 e seg., 1905
(necrologìa); Amat, 8. B. B. 8. G., L 624; Hugues, C. S. E. G., 301 e seg.; ecc. ecc. ecc.
(••) Hugaes, C. S. E. G., 304-305; Amat, 8. B. B. 8 G., 625-627 (G. Chiarini) ; Am t,
III. viaggiai, t7flZ., 473-494 (G. Chiarini); Hugues, 359. A. Cecchi, Boll. S. G. L, 1897,8;
Espi., 1897, 1 ; Da Zeila alla froniiera del Caffa (tre voi.) Loescher, 1886, 1887. Cfr. An-
nali Museo Civico di 8c. Nat. di Genova; cfr. Memorie S. G. I.; cfr. Boll. S. G. I., da
voi. X in poi, passim.
(•') Boll. S.G. I., 1876, 630. Espi. 1877, 3; 1878-1879, 25.
(*^) Rspl. 189:), necrologia scritta da Casati.
(••) Hagues, C. 8. E. G., 310; Amat, III. viaggiai. Hai. (Gessi), 465, 494; (Matteucci),
495, 509; Amat, 8. B. B. S. G., I, 639; Espi., I e II; ecc. ecc.
(«•») Espi. 1878, die; 1879, pp. 25 e 145; Hugaes, C. 8. E. G., 318.
(»«•) Boll. 8. G. I., 1879, 536.
(»«•) Amat, 8. B. B. 8. G., I, 635; Boll. 8. G. I., 1880-1881 ; Hugues, C. 8. E. G.,
319, 330.
(>") Boll. S. G. I., 1880, passim\ 1881, 811. Cfr. Massari, 18 die. 1881; Amat,
8. B. B. 8. G., 640; Hugues, C. 8. E. G.. 326.
(»•♦) Hugues, C. 8. B. G., 328; Espi. 1880-1883; Boll. 8. G. I., 1880, ecc. qcc, passim.
Per necrol. vedi Dal Verme, Boll. 8. G. I., 1902, 305; Espi. 1902, 65.
(10») Hugues, C. 8. E. G., 329; Espi, di Milano, da consultare sempre per conoscere
l'opera del Camperio; Boll. S. G. L, 1882, 83, ecc. Necrol. Haimann, Boll. 8. G. I.,
1883, 765.
("•) Amat, 8, B. B. 8. G., I, 732; Hugues, C. 8. E. G., 329; Espi. 1881, 872; Boll.
8. G. I, 1881.
("^} Boll. 8. G. I., 1882, 772; Hugues, C. 8. E. G., 345.
(«o«) G. Cora, in « Cosmos », 1884; 8oc. Afric. Napoli, 1883; Hugues, C. 8. E. G., 345.
{'»») Hugues, C. 8. E. G., 353, 373; Espi., 1883; Espi., necrol. Bianchi, 1885, 4.
Per Salimbeni vedi Boll. 8. G., I, 1885, 326, 907; 1886, 279; ed Espi., 1891, 186.
(»••) Boll. 8. G. I., 1883, 1889, 1901, passim-, Hugaes, C. 8. E. G., 349; Neer.
(Cardon), Boll. 8. G. I., 1901.
(••«) Hugues, C. 8. E., 313; Boll. 8. G. I, 1887, 581.
("■) Hugues, C. 8. E. G., 349; Amat, 8. B. B. 8. G., App., 30.
("») Hagues, C. 8. E. G., 359; Boll. 8. G., I. 1883, 511; 1884, die. 919.
("*} Boll. 8. G. I., 1886, 800;. Hugues, C. 8. E. G., 366. [Hugues dice che il viaggio
airHauash fu fatto in compagnia del Co. Butturlin (Boutturline)].
("•) Boll. 8. G. I., 1885, 744.
("•) Boll. 8. G. I., 1885, 337; Hugues, C. 8. E. G., 366.
("') Boll. Soc. Afr. Napoli, 1885, 138, 171; 1886, 32,61, 270; 1887,34, 127, 173.
("«) Boll. 8. G. I., 1885, 889; 1886, 839; 1887, 56, 350 e seg.
(»••) Boll. 8. G. I., 1889, 388, 468.
("») Hugues, C. 8. E. G., 878.